lunedì 19 aprile 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Avvenire.it, 19 Aprile 2010 - MESSA A MALTA - «Dipendiamo interamente da Dio»
2) Dal vostro inviato a Malta Massimo Introvigne: il Papa rilancia le radici cristiane dell'Europa
3) BENEDETTO XVI, LA BIOETICA E LE CRITICHE - di Renzo Puccetti*
4) «Ascoltando la mia storia Ratzinger ha pianto» - di Andrea Tornielli
5) Benedetto XVI a Malta. L'approdo che salva dal naufragio - Il pianto del papa con le vittime degli abusi sessuali. "Dio non rifiuta nessuno. E la Chiesa non rifiuta nessuno. Tuttavia, nel suo grande amore, Dio sfida ciascuno di noi a cambiare e diventare più perfetti" - di Sandro Magister
6) PAPA/ 1. De Bortoli: grazie Benedetto, vero difensore della ragione laica - INT. Ferruccio De Bortoli - lunedì 19 aprile 2010 – ilsussidiario.net
7) PAPA/ 2. Il filosofo Hadjadj: il linciaggio mediatico cancella Cristo e la vera giustizia - INT. Fabrice Hadjadj - lunedì 19 aprile 2010 – ilsussidiario.net


Avvenire.it, 19 Aprile 2010 - MESSA A MALTA - «Dipendiamo interamente da Dio»
Cari Fratelli e Sorelle in Gesù Cristo,
Maħbubin uliedi [Miei cari figli e figlie],
Sono molto contento di essere qui con voi tutti oggi davanti alla bella chiesa di San Publio per celebrare il grande mistero dell’amore di Dio reso manifesto nella Santa Eucarestia. In questo tempo, la gioia del periodo Pasquale riempie i nostri cuori perché stiamo celebrando la vittoria di Cristo, la vittoria della vita sul peccato e sulla morte. E’ una gioia che trasforma le nostre vite e ci riempie di speranza nel compimento delle promesse di Dio. Cristo è risorto alleluia! Saluto il Presidente della Repubblica e la Signora Abela, le Autorità civili di questa amata Nazione e tutto il popolo di Malta e Gozo. Ringrazio l’Arcivescovo Cremona per le sue gentili parole e saluto anche il Vescovo Grech e il Vescovo Depasquale, l’Arcivescovo Mercieca, il Vescovo Cauchi e gli altri Vescovi e sacerdoti presenti, così come i fedeli cristiani della Chiesa che è in Malta e in Gozo.

Fin dal mio arrivo ieri sera ho avvertito la stessa calorosa accoglienza che i vostri antenati hanno riservato all’apostolo Paolo nell’anno sessanta.Molti viaggiatori sono sbarcati qui nel corso della vostra storia. La ricchezza e la varietà della cultura maltese è un segno che il vostro popolo ha tratto grande profitto dallo scambio di doni ed ospitalità con i viaggiatori venuti dal mare. Ed è significativo che voi abbiate saputo esercitare il discernimento nell’individuare il meglio di ciò che essi avevano da offrire.Vi esorto a continuare a fare così. Non tutto quello che il mondo oggi propone è meritevole di essere accolto dai Maltesi.

Molte voci cercano di persuaderci di mettere da parte la nostra fede in Dio e nella sua Chiesa e di scegliere da se stessi i valori e le credenze con i quali vivere. Ci dicono che non abbiamo bisogno di Dio e della Chiesa. Se siamo tentati di credere a loro, dovremmo ricordare l’episodio del Vangelo di oggi, quando i discepoli, tutti esperti pescatori, hanno faticato tutta la notte, ma non hanno preso neppure un solo pesce. Poi, quando Gesù è apparso sulla riva, ha indicato loro dove pescare e hanno potuto realizzare una pesca così grande, che a stento potevano trascinarla. Lasciati a se stessi, i loro sforzi erano infruttuosi; quando Gesù è rimasto accanto a loro, hanno catturato una grande quantità di pesci. Miei cari fratelli e sorelle, se poniamo la nostra fiducia nel Signore e seguiamo i suoi insegnamenti, raccoglieremo sempre grandi frutti.

La prima lettura della Messa odierna è di quelle che so che amate ascoltare: il racconto del naufragio di Paolo sulla costa di Malta e la calorosa accoglienza a lui riservata dalla popolazione di queste isole. Notate come i componenti dell’equipaggio della barca, per poter sopravvivere, furono costretti a gettare fuori il carico, l’attrezzatura della barca ed anche il frumento che era il loro unico sostentamento. Paolo li esortò a porre la loro fiducia solo in Dio, mentre la barca era scossa dalle onde. Anche noi dobbiamo porre la nostra fiducia in lui solo. Si è tentati di pensare che l’odierna tecnologia avanzata possa rispondere ad ogni nostro desiderio e salvarci dai pericoli che ci assalgono. Ma non è così. In ogni momento della nostra vita dipendiamo interamente da Dio, nel quale viviamo, ci muoviamo ed abbiamo la nostra esistenza. Solo lui può proteggerci dal male, solo lui può guidarci tra le tempeste della vita e solo lui può condurci ad un porto sicuro, come ha fatto per Paolo ed i suoi compagni, alla deriva sulle coste di Malta.

Essi hanno fatto ciò che Paolo esortava loro di compiere e fu così che "tutti poterono mettersi in salvo a terra" (At 27,44). Più di ogni carico che possiamo portare con noi - nel senso delle nostre realizzazioni umane, delle nostre proprietà, della nostra tecnologia - è la nostra relazione con il Signore che fornisce la chiave della nostra felicità e della nostra realizzazione umana. Ed egli ci chiama ad una relazione di amore. Fate attenzione alla domanda che per tre volte egli rivolge a Pietro sulla riva del lago: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?".

Sulla base della risposta affermativa di Pietro, Gesù gli affida un compito, il compito di pascere il suo gregge. Qui vediamo il fondamento di ogni ministero pastorale nella Chiesa. È il nostro amore per il Signore che deve plasmare ogni aspetto della nostra predicazione ed insegnamento, della celebrazione dei sacramenti, e della nostra cura per il Popolo di Dio. È il nostro amore per il Signore che ci spinge ad amare quelli che Egli ama, e ad accettare volentieri il compito di comunicare il suo amore a coloro che serviamo. Durante la passione del Signore, Pietro lo ha rinnegato tre volte. Ora, dopo la Resurrezione, Gesù lo invita tre volte a dichiarare il suo amore, offrendo in tal modo salvezza e perdono, e allo stesso tempo affidandogli la sua missione. La pesca miracolosa aveva sottolineato la dipendenza degli apostoli da Dio per il successo dei loro progetti terreni. Il dialogo tra Pietro e Gesù ha sottolineato il bisogno della divina misericordia per guarire le loro ferite spirituali, le ferite del peccato. In ogni ambito della nostra vita necessitiamo dell’aiuto della grazia di Dio.

Con lui possiamo fare ogni cosa: senza di lui non possiamo fare nulla. Conosciamo dal Vangelo di san Marco i segni che accompagnano coloro che hanno posto la loro fede in Gesù: prenderanno in mano serpenti e questo non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno (cfr Mc 16,18). Tali segni sono stati presto riconosciuti dai vostri antenati, quando Paolo venne fra loro. Una vipera si attaccò alla sua mano ma egli semplicemente la scosse e gettٍ nel fuoco senza soffrire alcun danno. Paolo fu condotto a vedere il padre di Publio, il "protos" dell’isola, e dopo aver pregato e imposto le mani su di lui, lo guarì dalla febbre. Di tutti i doni portati a queste rive nel corso della storia della vostra gente, quello portato da Paolo è stato il più grande di tutti, ed è vostro merito che esso sia stato subito accolto e custodito. Għożżu l-fidi u l-valuri li takom l-Appostlu Missierkom San Pawl. [Preservate la fede e i valori che vi sono stati trasmessi dal vostro padre, l’apostolo San Paolo.]

Continuate ad esplorare la ricchezza e la profondità del dono di Paolo e procurate di consegnarlo non solo ai vostri figli, ma a tutti coloro che incontrate oggi. Ogni visitatore di Malta dovrebbe essere impressionato dalla devozione della sua gente, dalla fede vibrante manifestata nelle celebrazioni nei giorni di festa, dalla bellezza delle sue chiese e dei suoi santuari. Ma quel dono ha bisogno di essere condiviso con altri, ha bisogno di essere espresso. Come insegnٍ Mosè al popolo di Israele, i precetti del Signore "ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai" (Dt 6,6-7). Ciٍ è stato ben capito dal primo santo canonizzato di Malta, Dun Gorg Preca. La sua instancabile opera di catechesi, ispirando giovani ed anziani con un amore per la dottrina cristiana ed una profonda devozione al Verbo incarnato, è diventata un esempio che vi esorto a mantenere.

Ricordate che lo scambio di beni tra queste isole ed il resto del mondo è un processo a due vie. Quello che ricevete, valutatelo con cura, e ciò che possedete di valore sappiatelo condividere con gli altri. Desidero rivolgere una particolare parola ai sacerdoti qui presenti in questo anno dedicato alla celebrazione del grande dono del sacerdozio. Dun Gorg era un prete di straordinaria umiltà, bontà, mitezza e generosità, profondamente dedito alla preghiera e con la passione di comunicare le verità del vangelo. Prendetelo come modello ed ispirazione per voi, mentre adempite la missione che avete ricevuto di pascere il gregge del Signore. Ricordate anche la domanda che il Signore Risorto ha rivolto tre volte a Pietro: "Mi ami tu?". Questa è la domanda che egli rivolge a ciascuno di voi. Lo amate? Desiderate servirlo con il dono della vostra intera vita? Desiderate condurre altri a conoscerlo ed amarlo? Con Pietro abbiate il coraggio di rispondere: "Sì Signore, tu sai che io ti amo" e accogliete con cuore grato il magnifico compito che egli vi ha assegnato. La missione affidata ai sacerdoti è veramente un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che brama irrompere nel mondo (cfr Omelia, 24 aprile 2005).

Guardando ora attorno a me alla grande folla raccolta qui in Floriana per la celebrazione dell'eucarestia, mi torna alla mente la scena descritta nella seconda lettura di oggi, nella quale miriadi di miriadi e migliaia di migliaia unirono le loro voci in un grande inno di lode: "A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli" (Ap 5,13). Continuate a cantare questo inno, a lode del Signore risorto ed in ringraziamento per i suoi molteplici doni. Con le parole di San Paolo, Apostolo di Malta, concludo la mia esortazione a voi questa mattina: "L-imħabba tiegħi tkun magħkom ilkoll fi Kristu Ġesù" ["Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù!"] (1 Cor 16,24).Ikun imfaħħar Ġesù Kristu! [Sia lodato Gesù Cristo!]


Dal vostro inviato a Malta Massimo Introvigne: il Papa rilancia le radici cristiane dell'Europa
Dopo tante nubi, per Benedetto XVI torna il sereno. A tutti noi che lo abbiamo visto a Malta il Papa è apparso felice di trovarsi in mezzo a una grande folla di semplici cattolici che non frequentano i salotti buoni, non leggono il New York Times ma sventolano contenti le bandiere del Vaticano e gridano “Viva il Papa”. Malta – il Paese del mondo con la più alta percentuale di cattolici praticanti, oltre il settanta per cento – è la terra ideale per questo ritorno al popolo cattolico reale.

I viaggi del Papa, però, non sono mai occasionali. A Malta Benedetto XVI ha certo incontrato le vittime di tragici episodi di pedofilia, ma l’incontro – pure commovente e importante – non deve oscurare il senso globale della visita e dei discorsi. Il Papa è venuto per rilanciare uno dei temi che alle lobby ha dato fastidio e su cui si vorrebbe farlo tacere: quello dell’Europa che o è cristiana e riconosce la sua storia o non è. In Germania e in Austria il Papa aveva ripreso l’appello di Giovanni Paolo II a riconoscere anche nei testi costituzionali dell’Europa le radici cristiane. In Francia aveva precisato che queste radici sono monastiche, che la cultura europea si è formata con l’azione civilizzatrice dei grandi monasteri del Medioevo. A Malta aggiunge un altro tassello: le radici dell’Europa sono paoline. La grandezza del nostro continente nasce dal comando di Dio a san Paolo di “passare in Europa”. Anche a Oriente c’erano ricche civiltà. Ma la Provvidenza diresse la nave di Paolo verso l’Europa, non verso l’Asia, e così nacque quello che chiamiamo Occidente. Nacque, in parte, a Malta dove 1950 anni fa – questa è la ragione del viaggio di Benedetto XVI – la stessa Provvidenza fece naufragare san Paolo, che ne trasse occasione per fondare la prima comunità cristiana dell’isola.

Da allora san Paolo a Malta è dovunque, come ricorda anche una mostra voluta dal Primo Ministro Gonzi per la visita del Papa. Ha suscitato ordini religiosi e missionari maltesi che sono andati in tutto il mondo. Si ritrova in tutti gli snodi della grande storia di una piccola isola che diverse volte ha salvato l’Europa fermando la marea musulmana, come quando nel 1565 respinse vittoriosamente il grande assedio dei Turchi. Già prima, nel 1429 – un tema centrale nella pittura di Malta – san Paolo secondo la tradizione apparve a cavallo con la spada sguainata per guidare personalmente i maltesi a respingere un’invasione saracena. Benedetto XVI ha salutato “le fortificazioni che risaltano in maniera così prominente nell’architettura dell’isola e che ci parlano di lotte precedenti, quando Malta contribuì moltissimo alla difesa della cristianità sia per terra che per mare”.

Le lotte continuano. Oggi Malta deve fare fronte alla sfida dell’immigrazione clandestina, su cui il Papa ha avuto parole equilibrate, ricordando che questo problema “naturalmente, non può essere risolto dall’isola di Malta” da sola. “So delle difficoltà che può causare l’accoglienza di un gran numero di persone, difficoltà che non possono essere risolte da alcun Paese di primo approdo, da solo”. I poveri dell’Africa, se vanno certamente accolti con cristiana generosità quando è necessario, vanno anzitutto aiutati a casa loro “perché tutti possano, nella loro terra, vivere una vita dignitosa”.

Le leggi di Malta non comprendono né il divorzio né l’aborto, né riconoscono le unioni omosessuali. Su questi punti l’isola cattolica resiste alle pressioni delle istituzioni europee e di una cultura che “promuove idee e valori che sono talvolta in contrasto con quelle vissute e predicate da nostro Signore Gesù Cristo. Spesso sono presentate con un grande potere persuasivo, rinforzato dai media e dalla pressione sociale da gruppi ostili alla fede cristiana”. Sulle lobby che cercano di travolgere la resistenza delle istituzioni del popolo maltese Benedetto XVI è tornato più volte: “Non tutto quello che il mondo oggi propone è meritevole di essere accolto dai Maltesi. Molte voci cercano di persuaderci di mettere da parte la nostra fede in Dio e nella sua Chiesa e di scegliere da se stessi i valori e le credenze con i quali vivere. Ci dicono che non abbiamo bisogno di Dio e della Chiesa”.

Malta invece, ha detto il Papa, deve “continuare a difendere l’indissolubilità del matrimonio quale istituzione naturale e sacramentale, come pure la vera natura della famiglia, come già sta facendo nei confronti della sacralità della vita umana dal concepimento sino alla morte naturale”. “Qui a Malta vivete in una società che è segnata dalla fede e dai valori cristiani. Dovreste essere orgogliosi che il vostro Paese difenda sia il bambino non ancora nato, come pure promuova la stabilità della vita di famiglia dicendo no all'aborto e al divorzio. Vi esorto a mantenere questa coraggiosa testimonianza alla santità della vita e alla centralità del matrimonio e della vita famigliare per una società sana (…).Nel contesto della società europea, i valori evangelici ancora una volta stanno diventando una contro-cultura, proprio come lo erano al tempo di San Paolo”.

Riparte dunque da Malta la battaglia di Benedetto XVI per il riconoscimento pubblico delle radici cristiane dell’Europa. “Non lasciate mai – ha detto il Papa ai maltesi – che la vostra vera identità venga compromessa dall’indifferentismo o dal relativismo. Possiate essere sempre fedeli all’insegnamento di san Paolo, che vi esorta: ‘Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile, siate forti. Tutto si faccia tra voi nella carità’ (1 Cor, 13-14)”. Il Papa sa che, quando le lobby vogliono costringere a tacere, la migliore risposta è alzare la voce.


BENEDETTO XVI, LA BIOETICA E LE CRITICHE - di Renzo Puccetti*
ROMA, domenica, 18 aprile 2010 (ZENIT.org).- Oggi è il giorno in cui ho trovato il tempo per leggere la lettera aperta rivolta al Santo Padre da parte del teologo Hans Küng,[1] secondo cui l’attuale pontificato si caratterizzerebbe «per non avere saputo cogliere una serie di opportunità». Nel testo il teologo svizzero ne elenca undici. Chi scrive non ha competenze specifiche per verificare la fondatezza di ciascuno di essi, è possibile che alcuni elementi si possano trarre leggendo l’omelia che il Papa ha pronunciato nella Messa celebrata oggi a Malta,[2] ma due punti sollevati da Küng hanno però forti implicazioni bioetiche; immagino che prenderli in esame, seppure in maniera non certo esaustiva, possa interessare i lettori di questa rubrica.
Nel primo di questi si sostiene la opportunità di aiutare le popolazioni dell’Africa sollevandole dal peso della sovrappopolazione e dal flagello dell’AIDS assecondando la contraccezione e l’uso del preservativo.
Su questo punto l’argomentazione sembra svilupparsi partendo da una prospettiva proporzionalistica; il bene o il male di un’azione deriverebbe da una ponderazione delle conseguenze. Tale prospettiva non certo nuova e di cui si riconoscono peraltro numerose varianti, non perché è sostenuta da Küng esime dai problemi e garantisce dal commettere azioni immorali. Chi stabilisce i criteri di utilità? Come sono valutate le conseguenze? Chi le verifica? Sono tutte prevedibili? È stato osservato che il proporzionalismo, facendo l’uomo responsabile di tutto, finisce per farlo diventare responsabile di niente. Come potrebbe rispondere infatti il proporzionalista e quindi in definitiva lo stesso Hans Küng, a quei medici che dalla sbarra del tribunale di Norimberga si fossero giustificati adducendo la loro buona intenzione quando sottoponevano i prigionieri agli esperimenti di congelamento e di decompressione? Non agivano forse nell’interesse dei piloti della Luftwaffe ed in definitiva dell’intero popolo tedesco che aveva un interesse a vincere la guerra?[3] Una tale prospettiva, al fine, finisce per ridurre l’azione malvagia ad un semplice errore di calcolo. Attenzione non si dice qui che contraccezione ed esperimenti sugli ebrei siano la stessa cosa, una tale lettura del concetto da me espresso sarebbe talmente rozza da non meritare alcun commento, ma si vuole fare riflettere sui limiti della teoria proporzionalista.[4] Ma diamo per scontato che tale impostazione sia accettabile e seguiamo il teologo dissidente.
Vi sono robuste evidenze che la diffusione della contraccezione porti ad una riduzione del tasso di fertilità nei paesi in via di sviluppo.[5] Molto meno evidente che la riduzione della popolazione porti a benefici in termini economici. Se quindi lo sviluppo economico viene preso come unico indicatore del benessere di una popolazione, allora la pretesa di dettare l’agenda da parte di Küng comincia ad avere dei guai. A tale proposito riporto quanto affermato da Luca Molinas, dottorando presso la facoltà di Scienze Economiche “La Sapienza”: «In sostanza il mondo accademico è totalmente diviso ed in disaccordo sulla relazione tra crescita della popolazione e sviluppo economico nei paesi in via di sviluppo».[6] Lo stesso autore conclude affermando: «Lo studio comparativo sulle politiche demografiche in Cina ed in India dimostra che l’approccio neomaltusiano esce sostanzialmente sconfitto nel dibattito». Ma la contraccezione non ha soltanto effetti in termini di popolazione. Se il teologo considerasse ad esempio gli studi in proposito del nobel per l’economia Gorge Akerlof se ne potrebbe facilmente rendere conto. Una delle conseguenze indirette individuate da Akerlof è quella, ad esempio, dell’incremento dei bambini costretti a crescere con un solo genitore. Ora il guaio è che Küng sembra rinvenire nella contraccezione proprietà quasi taumaturgiche. Quando egli accusa infatti di “rigorismo impietoso” il Magistero, egli cita tutta una serie di questioni come la contraccezione, l’inseminazione artificiale, l’aborto, la diagnosi pre-natale, l’eutanasia, quali esempi di “estremismo fanatico”.[7] Lo “zelo antimodernista” della Chiesa finirebbe addirittura per incoraggiare l’aborto attraverso la proibizione della contraccezione. Il professor Küng non ce ne voglia, ma il suo concetto di modernità ci ricorda quello di Cristiane, la protagonista del film “Good Bye Lenin!” , che, risvegliatasi dopo un coma protratto stenta ad adattarsi ai cambiamenti che hanno fatto seguito al crollo del comunismo. Allo stesso modo il prof. Küng sembra riproporre riflessioni etiche che potevano avere una qualche verosimiglianza qualche decennio fa.
Presentarsi con una tale teoria al premio Ig Nobel assicurerebbe ottime probabilità di vittoria; è piuttosto difficile infatti pensare che una persona ubbidisca al Papa per quanto riguarda la contraccezione, ma contravvenga al suo insegnamento sull’aborto. Si dà il caso peraltro che il sottoscritto abbia da poco pubblicato uno studio che fa piazza pulita dell’idea che la diffusione della contraccezione in una popolazione riduca il ricorso all’aborto.[8] Contra factum non valet argumentum. Il teologo casca male anche quando accusa il Papa sulla questione del preservativo e l’AIDS. Verrebbe da ripetere la risposta di Apelle di Coo al ciabattino a noi tramandata: “Sutor, ne ultra crepidam!”. Se egli infatti è così ansioso di riconciliare la religione con la scienza moderna, siamo certi che trarrebbe vantaggio dallo studio della letteratura scientifica prima di aprire bocca su argomenti da cui la sua statura intellettuale guadagna quando sta zitto. Abbiamo pubblicato da poco un piccolo libro proprio su questo argomento che in modo facile, facile potrà aiutarlo a comprendere che la sua posizione è sbagliata e che quando il Papa afferma che la distribuzione di preservativi aumenta il problema, egli ha ragione.[9] L’ennesima conferma deriva da uno studio svolto in Kenya da poco pubblicato che mostra come la conoscenza tra i giovani che il condom protegge dall’AIDS si associa ad una maggiore promiscuità sessuale.[10]
Quando il teologo parla di «una pianificazione famigliare ragionevole, così come una contraccezione ragionevole»,[11] lontano dall’offrire qualche risposta, sembra piuttosto più simile ad uno che brancola nel buio, ma vuole indicare la strada ai passanti.

La seconda questione sollevata da Küng nella sua lettera aperta sarebbe la mancata riconciliazione con la scienza moderna attraverso il riconoscimento «senza ambiguità» della teoria dell’evoluzione e «aderendo, seppure con le debite differenziazioni, alle nuove prospettive della ricerca, ad esempio sulle cellule staminali».
Ora, che quella che lui stesso riconosce come teoria, cioè terreno soggetto ad una continua rivalutazione scientifica, debba essere materia che impegna quello stesso Magistero di cui egli disconosce la infallibilità in materia di fede e di morale,[12] è espressione di un contorsionismo logico davvero ammirevole. Quando poi il professore cita quale esempio la questione della ricerca sulle cellule staminali è quanto meno impreciso. Egli infatti omette di ricordare che la Chiesa è favorevoli a tutte le forme di ricerca mediante cellule staminali che non implichino la distruzione di embrioni, considerati degni di rispetto al pari delle persone. Se ad un tale tipo di ricerca il teologo è favorevole, allora egli non potrà che prendere atto che la sua prospettiva accetta la sacrificabilità di alcuni esseri umani per il tornaconto di altri. Questo, depurato dagli aspetti circostanziali, è quanto accomuna infatti aborto e sperimentazione su cellule staminali embrionali: sopprimere lecitamente e legalmente esseri umani piccoli, piccoli, assolutamente indifesi, privi di qualsiasi colpa se non quella di esistere, esseri umani con caratteristiche che tutti noi abbiamo condiviso, perché qualcun altro ha deciso che ciò è utile. Basta toglierli l’umano di cui sono portatori, non più esseri umani viventi, ma ovuli fecondati, zigoti, blastocisti, embrioni, feti. Che arma potente il linguaggio! Se governi le parole puoi cambiare il mondo senza che questi se ne accorga. In tale esercizio si erano cimentati con eccellenti risultati anche nel campo di Dachau dove l’uomo era abolito e si sperimentava su versuchspersonen (soggetti permanenti da esperimento).[13]
La filantropia del prof. Hans Küng, se non preoccupasse per la presa mediatica, mi sembrerebbe più patetica che pericolosa.

[1] Hans Küng. Benedetto XVI ha fallito i cattolici perdono la fiducia. La Repubblica, 15 Aprile 2010. (http://www.repubblica.it/esteri/2010/04/15/news/hans_kung-3359034/)
[2] Benedetto XVI. Omelia del 18 Aprile 2010. (http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2010/documents/hf_ben-xvi_hom_20100418_floriana_it.html)
[3] cfr. Gli esperimenti "medici" nei campi di concentramento nazisti. (http://www.olokaustos.org/argomenti/esperimenti/medexp01.htm)
[4] Le teorie teleologiche sono chiaramente respinte dal Magistero (vd. N. 79 Veritatis Splendor).
[5] John Bongaarts and Elof Johansson. Future Trends in Contraceptive Prevalence and Method Mix in the Developing World. Studies in Family Planning. 2002; 33(1): 24-36.
[6] http://w3.uniroma1.it/secis/Molinas.ppt#3
[7] Hans Küng. A global ethic for global politics and economics. P. 135.
[8] Puccetti R, Di Pietro ML, Costigliola V, Frigerio L. Prevenzione dell’aborto in occidente: quanto conta la contraccezione? Italian Journal of Gynaecology & Obstetrics 2009: 21(3): 164-78.
[9] Cesare Cavoni, Renzo Puccetti. Il Papa ha ragione! L’AIDS non si ferma con il condom. Fede & Cultura Ed. 2010.
[10] Chiao C, Mishra V. Trends in primary and secondary abstinence among Kenyan youth. AIDS Care. 2009; 21(7): 881-92.
[11] Hans Küng. Il viaggio del Papa in Africa? Un’occasione sprecata. Euronews 2010.
[12] Hans Küng. Infallibile? Una domanda. Queriniana Edizioni, 1970.
[13] Luciano Sterpellone. Le cavie dei lager: gli esperimenti medici delle SS. Mursia Editore, 2005. p.11.
Il dottor Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno.


«Ascoltando la mia storia Ratzinger ha pianto» - di Andrea Tornielli
«È stato un regalo davvero bellissimo, dopo tutta questa sofferenza, abbiamo pianto tutti, anche il Papa ha pianto». Joseph Magro ha 38 anni, e mostra con orgoglio il rosario che ha appena ricevuto dalle mani del Papa. Insieme con altre sette vittime di abusi sessuali subiti nell’orfanotrofio San Giuseppe, ha potuto parlare a tu per tu per qualche minuto con Benedetto XVI lontano dalle telecamere, nella cappella della nunziatura.

Può raccontare che cosa le è successo?

«Ho subito abusi sessuali a partire dall’età di quindici anni, tra il 1988 e il 1990, nell’orfanotrofio San Giuseppe. Un sacerdote, padre Charles Pulis, veniva a svegliarmi la mattina e mi baciava in bocca, poi mi masturbava. Io non potevo parlare, non potevo ribellarmi, non potevo dire nulla, perché minacciava di buttarmi fuori dall’istituto. Da sette anni si è aperto il processo, ma non abbiamo ancora avuto la sentenza, non abbiamo ancora avuto giustizia».

Com’è andato l’incontro con il Papa?

«Non avevo più fede nei preti, ora, dopo quest’esperienza commovente che mi è capitata, ho ricominciato a sperare. Voi in Italia avete un santo. Capito? Avete un santo».

Posso chiederle quali parole vi siete scambiati con Benedetto XVI?

«Quando gli ho detto che mi chiamavo Joseph, il Papa ha spalancato gli occhi: “Joseph come me!”. Gli ho chiesto: “Perché quel sacerdote mi ha fatto questo, perché ha abusato di me?”. Lui mi ha risposto dicendomi che prega per me, e abbiamo pregato insieme».

Come reagiva il Papa in quei momenti?

«Mi ha molto colpito il fatto che provasse una grande pena. Si vedeva che stava soffrendo con me. Io non volevo farlo soffrire, non gli ho raccontato gli abusi che ho subito, ma lui ha pianto insieme a me, pur non avendo alcuna colpa per ciò che mi è accaduto».

Si aspettava questo incontro?

«No, è stato un grande regalo per me, essere accolto in questo modo e ascoltato da lui. Avevo ascoltato il suo discorso all’aeroporto, sabato pomeriggio, non c’era alcun cenno al problema degli abusi. Ma stamattina (domenica 18, ndr), dopo le nove, ho ricevuto una telefonata: dovevo andare a casa del vescovo perché ci avrebbe portato dal Papa. Ho avuto finalmente un po’ di pace grazie a quest’incontro. Mi ha dato un rosario, questo che porto al collo ora».
AnTor
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Benedetto XVI a Malta. L'approdo che salva dal naufragio - Il pianto del papa con le vittime degli abusi sessuali. "Dio non rifiuta nessuno. E la Chiesa non rifiuta nessuno. Tuttavia, nel suo grande amore, Dio sfida ciascuno di noi a cambiare e diventare più perfetti" - di Sandro Magister
ROMA, 19 aprile 2010 – L'atto simbolico più forte del suo viaggio a Malta, Benedetto XVI l'ha compiuto al riparo dai media. È stato il suo pianto con otto vittime di abusi sessuali ad opera di sacerdoti, abusi compiuti su di loro quand'erano in giovanissima età.

Il papa li ha incontrati a porte chiuse, nella nunziatura, poco dopo la messa di domenica 18 aprile. È stato uno degli otto, Lawrence Grech, 35 anni, a riferire del pianto del papa. E anche della propria commozione e del riaccendersi in lui della fede.

Il comunicato ufficiale vaticano ha così descritto l'incontro:

"Il Santo Padre era profondamente commosso dai loro racconti ed ha espresso la sua vergogna e dolore per ciò che le vittime e le loro famiglie hanno sofferto. Ha pregato con loro ed ha assicurato loro che la Chiesa sta facendo e continuerà a fare tutto ciò che è nelle sue possibilità per accertare le accuse, per portare di fronte alla giustizia i responsabili degli abusi e per mettere in pratica misure efficaci finalizzate alla salvaguardia dei giovani nel futuro. Nello spirito della sua recente lettera ai cattolici dell'Irlanda, ha pregato affinché tutte le vittime di abusi possano sperimentare guarigione e riconciliazione, che diano loro la forza per proseguire il cammino con rinnovata speranza".

*

In effetti, il viaggio a Malta è stato compiuto da papa Joseph Ratzinger sotto una pressione mediatica internazionale fortissima, che esigeva da lui dei gesti e delle parole per lo scandalo della pedofilia.

E lui non vi si è sottratto. Ma l'ha fatto con lo stile che gli è proprio.

Non ha mai parlato esplicitamente, in pubblico, della questione della pedofilia. Ha ascoltato, piuttosto, ciò che altri gli hanno detto in proposito: il vescovo della Valletta all'inizio della messa e, nel pomeriggio, un giovane omosessuale, durante l'incontro con i giovani sulla banchina del porto. Quest'ultimo intervento, in particolare, è stato un j'accuse tagliente e circostanziato contro le pecche della Chiesa.

In almeno due occasioni, però, papa Benedetto ha fornito in pubblico la sua chiave di lettura della crisi che ha colpito la Chiesa con lo scandalo della pedofilia.

*

La prima volta è stata sabato pomeriggio, quando ha brevemente parlato ai giornalisti sull'aereo diretto a Malta.

Per spiegare i motivi del suo viaggio, Benedetto XVI ha ricordato il naufragio di san Paolo a Malta nell'anno 60:

"Penso che il motivo del naufragio parla per noi. Dal naufragio, per Malta è nata la fortuna di avere la fede; così possiamo pensare anche noi che i naufragi della vita possono fare il progetto di Dio per noi e possono anche essere utili per nuovi inizi nella nostra vita".

E poco oltre ha aggiunto:

"So che Malta ama Cristo e ama la sua Chiesa che è il suo Corpo e sa che, anche se questo Corpo è ferito dai nostri peccati, il Signore tuttavia ama questa Chiesa, e il suo Vangelo è la vera forza che purifica e guarisce".

*

La seconda volta è stata domenica pomeriggio, col discorso ai giovani sul molo del porto della Valletta.

Ha detto il papa, in questo discorso:

"San Paolo, da giovane, ha avuto un’esperienza che lo ha cambiato per sempre. Come sapete, un tempo egli era nemico della Chiesa ed ha fatto di tutto per distruggerla. Mentre era in viaggio verso Damasco, con l’intento di eliminare ogni cristiano che vi avesse trovato, gli apparve il Signore in visione. Una luce accecante brillò attorno a lui ed egli udì una voce dirgli: 'Perché mi perseguiti? Io sono Gesù, che tu perseguiti' (Atti 9, 4-5). Paolo venne completamente sopraffatto da questo incontro con il Signore e tutta la sua vita venne trasformata. Divenne un discepolo fino ad essere un grande apostolo e missionario. [...]

"Ogni incontro personale con Gesù è un’esperienza travolgente d’amore. Dapprima, come Paolo stesso ammette, aveva 'perseguitato ferocemente la Chiesa di Dio e cercato di distruggerla' (cfr. Galati 1, 13). Ma l'odio e la rabbia espresse in quelle parole furono completamente spazzate via dalla potenza dell'amore di Cristo. Per il resto della sua vita, Paolo ha avuto l’ardente desiderio di portare l’annuncio di questo amore fino ai confini della terra.

"Forse qualcuno di voi mi dirà che San Paolo è stato spesso severo nei suoi scritti. Come posso affermare che egli ha diffuso un messaggio d’amore?

"La mia risposta è questa. Dio ama ognuno di noi con una profondità e intensità che non possiamo neppure immaginare. Egli ci conosce intimamente, conosce ogni nostra capacità ed ogni nostro errore. Poiché egli ci ama così tanto, egli desidera purificarci dai nostri errori e rafforzare le nostre virtù così che possiamo avere vita in abbondanza. Quando ci richiama perché qualche cosa nelle nostre vite dispiace a lui, non ci rifiuta, ma ci chiede di cambiare e divenire più perfetti. Questo è quanto ha chiesto a San Paolo sulla via di Damasco. Dio non rifiuta nessuno. E la Chiesa non rifiuta nessuno. Tuttavia, nel suo grande amore, Dio sfida ciascuno di noi a cambiare e diventare più perfetti.

"San Giovanni ci dice che questo amore perfetto scaccia il timore (cfr. 1 Giovanni 4, 18). E perciò dico a tutti voi 'Non abbiate paura!'. Quante volte ascoltiamo queste parole nelle Scritture! Sono state indirizzate dall’angelo a Maria nell’Annunciazione, da Gesù a Pietro, quando lo ha chiamato ad essere un discepolo, e dall’angelo a Paolo la vigilia del suo naufragio. A quanti di voi desiderano seguire Cristo, come coppie sposate, genitori, sacerdoti, religiosi e fedeli laici che portano il messaggio del Vangelo al mondo, dico: non abbiate paura! Certamente incontrerete opposizione al messaggio del Vangelo. La cultura odierna, come ogni cultura, promuove idee e valori che sono talvolta in contrasto con quelle vissute e predicate da nostro Signore Gesù Cristo. Spesso sono presentate con un grande potere persuasivo, rinforzato dai media e dalla pressione sociale da gruppi ostili alla fede cristiana. È facile, quando si è giovani e impressionabili, essere influenzati dai coetanei ad accettare idee e valori che sappiamo non sono ciò che il Signore davvero vuole da noi. Ecco perché dico a voi: non abbiate paura, ma rallegratevi del suo amore per voi; fidatevi di lui, rispondete al suo invito ad essere discepoli, trovate nutrimento e aiuto spirituale nei sacramenti della Chiesa.

"Qui a Malta vivete in una società che è segnata dalla fede e dai valori cristiani. Dovreste essere orgogliosi che il vostro Paese difenda sia il bambino non ancora nato, come pure promuova la stabilità della vita di famiglia dicendo no all'aborto e al divorzio. Vi esorto a mantenere questa coraggiosa testimonianza alla santità della vita e alla centralità del matrimonio e della vita famigliare per una società sana. A Malta e a Gozo le famiglie sanno come valorizzare e prendersi cura dei loro membri anziani ed infermi, ed accolgono i bambini come doni di Dio. Altre nazioni possono imparare dal vostro esempio cristiano. Nel contesto della società europea, i valori evangelici ancora una volta stanno diventando una contro-cultura, proprio come lo erano al tempo di San Paolo.

"In quest’Anno Sacerdotale, vi chiedo di essere aperti alla possibilità che il Signore possa chiamare alcuni di voi a darsi totalmente al servizio del suo popolo nel sacerdozio e nella vita consacrata. Il vostro paese ha dato molti eccellenti sacerdoti e religiosi alla chiesa. Siate ispirati dal loro esempio e riconoscete la profonda gioia che proviene nel dedicare la propria vita all’annuncio del messaggio dell’amore di Dio per tutti, senza eccezione".

*

Naufragio e ferite, odio e volontà di distruggere... Ma per papa Benedetto davvero tutto è grazia e promessa di guarigione, "anche gli attacchi del mondo ai nostri peccati".

Possono essere la mano di Dio che "desidera purificarci dai nostri errori e rafforzare le nostre virtù, così che possiamo avere vita in abbondanza".


PAPA/ 1. De Bortoli: grazie Benedetto, vero difensore della ragione laica - INT. Ferruccio De Bortoli - lunedì 19 aprile 2010 – ilsussidiario.net
Il 19 aprile del 2005 il card. Joseph Ratzinger viene eletto al soglio di Pietro. «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore». Sono queste le sue prime parole alla città e al mondo. A cinque anni di distanza, ilsussidiario.net ha raccolto da Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, alla luce dell’immagine pubblica di Benedetto XVI, della sua guida della Chiesa e di fatti più o meno recenti, le sue considerazioni su questo primo lustro di pontificato.
In che cosa secondo lei l’attuale pontificato di Benedetto XVI esprime di più la personalità di Joseph Ratzinger?
Credo che la cifra principale sia quella di un’affermazione forte - anche se non priva di elementi problematici - dell’identità cristiana, in una fase storica che tende ad una secolarizzazione spinta e ad un annacquamento dei valori. Come Giovanni Paolo II è stato il grande papa del superamento della guerra fredda, della riconciliazione con le altre fedi, il papa che ha chiesto scusa per gli errori della Chiesa, papa Ratzinger vuole soprattutto rinsaldare le ragioni della fede. Egli stringe intorno a sé una Chiesa che per molti motivi, in una società materialista e priva di valori, tende ad avere un ruolo marginale.
Giovanni Paolo II aveva messo al centro del suo magistero il rapporto della Chiesa con il mondo contemporaneo; e Benedetto XVI?
Papa Ratzinger ha scelto di occuparsi di più di ciò che accade all’interno della Chiesa. Ma qui tocchiamo un punto delicato: in questo pontificato c’è stato l’errore, forse, di non aver saputo comunicare bene il «segno» pastorale di un papa teologo e della missione che ha legato al suo ministero. Quella di rilanciare il senso più profondo della fede per tutti coloro, innanzitutto, che professano la cristianità nel mondo.
E che soffrono l’attacco di un relativismo imperante.
Sì. Benedetto XVI non è un papa chiamato a regolare i conti con la storia, come il suo predecessore, ma a rispondere a una domanda chiave: quale sarà il ruolo della fede in una società globalizzata, dove assisteremo probabilmente allo scontro - ma speriamo anche all’incontro - con altre fedi che qualche volta mostrano di avere un’identità più forte della nostra? Poiché non è così, perché questa è solo un’apparenza, papa Ratzinger si pone il problema del grande rischio di una progressiva marginalizzazione della Chiesa nell’occidente secolarizzato. Le polemiche che riguardano il tema della pedofilia sono anche questo: segnano quanto sia percepita debole e marginale la Chiesa in alcuni paesi dell’occidente.
Secondo lei Benedetto XVI è un papa conservatore?
È visto come un conservatore, ma in realtà ha avviato un confronto a tutto campo molto forte. Non chiude il dialogo, lo apre in forme diverse: con la scienza, con gli stati, con il mondo laico. La Chiesa di papa Ratzinger, forte della propria identità, lo fa senza alcun complesso di inferiorità e senza rinunciare a nessuna parte di se stessa. C’è che Benedetto XVI soffre l’handicap della percezione di un papa tedesco nelle opinioni pubbliche occidentali, soprattutto nel mondo anglosassone. Proprio per questo sarà interessante il viaggio in Inghilterra, per il rapporto con la chiesa anglicana e dopo la sua Lettera all’episcopato irlandese.
Joseph Ratzinger, il 19 aprile di cinque anni fa, stupì tutti quando scelse il nome di Benedetto. Cosa le suggerì questo fatto?
Innanzitutto rimasi molto colpito dalle sue prime parole, quando disse di essere «un umile servitore nella vigna del Signore». C’è lì dentro tutta l’umiltà di un papa teologo, di grandissima cultura, che scegliendo il nome di Benedetto, uno dei padri dell’Europa cristiana, dava un senso ancor più universale al proprio pontificato. Ovviamente la scelta del nome Benedetto comportava e comporta una continuità teologica e filosofica.
Dove stanno a suo modo di vedere le sfide che la Chiesa di papa Benedetto oggi si pone? Sul terreno della morale, della cultura, o della politica?
Certamente a papa Ratzinger interessa un dialogo costruttivo sul versante della morale, dei valori etici non negoziabili. Ma anche sul terreno della presenza sociale della Chiesa. E questo aspetto, a differenza del primo, è rimasto secondo me a torto un po’ in subordine. È un difetto che ho riscontrato nel dibattito sulla presenza cattolica nella nostra società.
Forse perché i temi etici sono quelli che riguardano immediatamente le libertà personali.
Senz’altro. Infatti siamo noi ad esserci soffermati sui temi legati alla bioetica, mentre nel magistero i temi sociali sono ugualmente centrali perché questa è una società molto individualista e l’individualismo tende a schiacciare la persona, a umiliarla, trasformandola in un oggetto o una merce. Ma in questi cinque anni Benedetto XVI ha sempre riaffermato il valore della persona non al di fuori, ma all’interno di un’istituzione: la famiglia, la società, la comunità più ampia.
Come si sta sviluppando secondo lei il rapporto della Chiesa con la società italiana? Un recente editoriale del Corriere parlava di «Italia anticristiana».
C’è oggi un nichilismo imperante che spesso e volentieri dà contro il cristianesimo. Anche nella polemica sul tema, purtroppo triste, della pedofilia c’è una parte della società italiana che assiste da spettatrice non interessata, qualche volta annoiata e qualche volta compiaciuta, a questa disputa che vede il papa e la Chiesa «accerchiati», per molti motivi. Naturalmente, anche per errori commessi.
Che idea si è fatto dello scandalo pedofilia?
La Chiesa sta pagando gravi errori che ha commesso nel coprire alcuni reati, che però questo papa ha riconosciuto, a differenza di quello che è avvenuto in passato. Anzi, questo è il papa che ha fatto della trasparenza sul tema della pedofilia un elemento di grande coraggio che va ad aggiungersi, direi, ai tratti salienti del suo pontificato. Cosa che altre istituzioni non hanno fatto. C’è stato, aggiungo, uno sforzo di trasparenza che francamente alla Chiesa non è nemmeno dato. La Chiesa ha un ruolo diverso: non è chiamata a perseguire i reati e non ha un compito di magistratura civile. Abbiamo mai incolpato le istituzioni laiche e repubblicane di reati personali commessi da coloro che stanno in Parlamento, o che ricoprono pro tempore la funzione di presidente del Consiglio o della Repubblica?
È difficile valutare ora quale potrà essere la portata di questo scandalo per il futuro della Chiesa. Qual è la sua valutazione?
Guardi, qui c’è un rischio: che il papa che ha fatto la maggiore opera di trasparenza in tema di pedofilia, passi alla storia come il papa legato a questo scandalo. Sarebbe davvero una grave ingiustizia. La Lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda ha un peso rivoluzionario. La Chiesa è chiamata al risarcimento e sta facendo la sua parte, ma sono convinto che sia anche oggetto di una crociata, alimentata soprattutto nel mondo anglosassone e americano dettata da pregiudizi e interessi. Penso con sofferenza alla quasi totalità dei preti, che fanno il proprio mestiere ma che probabilmente, oggi, escono di casa con un timore in più. Non è giusto, perché la pedofilia riguarda tutta la società.
Julián Carrón, in una recente lettera a Repubblica, ha detto che «nulla sembra bastare»: né a ripagare le vittime del male subìto, né a colmare la nostra esigenza di giustizia. Ecco perché il papa, dice Carrón, ha detto che solo Cristo può colmare il nostro bisogno.
Quello che dice Carrón è vero, non basta la sanzione civile e penale, c’è una sanzione ben più elevata che per un cristiano è quella del giudizio di Dio. Per la Chiesa lo scandalo pedofilia è una grande prova, e l’inizio di una penitenza. È conscia della gravità di quello che è stato commesso, e la sofferenza l’accompagnerà per molti anni ancora. Non a caso il papa ha detto che una colpa del genere non è prescrivibile. Essa richiederà una lunga decantazione, e un’elaborazione personale e collettiva interna alla Chiesa.
Lei parla di una prova. Che cosa intende?
Credo che lo scandalo aiuterà la Chiesa a risollevarsi e a guardare con occhi nuovi alle sfide della modernità, che apparentemente la vedono così debole ma che poi in realtà, come è accaduto per esempio con il Concilio Vaticano II, sono state affrontate e vinte. Quando sono state rifiutate, com’è avvenuto con il modernismo, si sono aperti per la Chiesa anni molto bui, e i recuperi sono stati lenti, faticosi e difficili.
Come la figura di Benedetto XVI interroga la sua personale coscienza laica?
La interroga su quelli che sono i confini della nostra piccola e personale missione di cattolici laici nella vita quotidiana. Io credo che si debba essere consci dei propri limiti, e che si debba rifuggire da quelle che probabilmente sono state in questi anni alcune degenerazioni dell’essere credenti, come quella forma di estremismo che va sotto il nome degli atei devoti. Molto negativa, a mio avviso, soprattutto nel ridurre lo spazio a disposizione del laicato cattolico. Mi interroga poi sul senso della laicità positiva, vittima di un errore culturale che l’ha schiacciata su posizioni laiciste.
Quale figura di cattolico si sente di auspicare?
Un cattolico più aperto, che ascolta di più, forte delle proprie convinzioni, ma impegnato a difendere di più i valori cattolici della solidarietà e della comprensione della società. Un cattolico meno «crociato» e più pastore.
Il suo bilancio?
Insisto su di un aspetto che mi sembra forse il più significativo del messaggio pastorale di questi cinque anni di pontificato. Con Benedetto XVI l’identità cristiana dialoga e rispetta le altre identità, dalle quali chiede a sua volta di essere rispettata. L’essere cristiani non vuol dire essere depositari di una serie di colpe storiche, cosa che qualche volta mi sembra di notare anche nella pubblicistica italiana, ma è qualcosa che incarica di una serie di responsabilità, nel rispetto e nella solidarietà degli altri. E che contempla non soltanto l’affermazione dei valori non negoziabili, ma anche di una serie di valori sociali e morali, altrettanto necessari un mondo sempre più distante, egoista e materialista.
(Federico Ferraù)


PAPA/ 2. Il filosofo Hadjadj: il linciaggio mediatico cancella Cristo e la vera giustizia - INT. Fabrice Hadjadj - lunedì 19 aprile 2010 – ilsussidiario.net
Una conversazione de ilsussidiario.net col filosofo francese Fabrice Hadjadj su Benedetto XVI, la Chiesa, gli scandali. «Dato che il Verbo si è fatto carne, i cristiani non si riuniscono solo attorno al credo, ma anche attorno a un viso, a una persona contemporanea, messa nella storia, come Cristo in mezzo ai suoi discepoli». E sugli scandali: «Carrón ha ragione. Come fare per non ingolfarci in un atteggiamento negativo di vendetta o di rimorso? Il peccato imperdonabile è proprio entrare in un logica di non perdono».
Cosa rappresenta questo Papa per lei e quale contributo sta dando alla Chiesa?
Innanzitutto il Papato si basa su un articolo di fede: è la punta sottile del mistero dell’Incarnazione. Dato che il Verbo si è fatto carne, i cristiani non si riuniscono solo attorno al credo, ma anche attorno a un viso, a una persona contemporanea, messa nella storia, come Cristo in mezzo ai suoi discepoli. Così la fede non è astratta, ma incarnata. Così come l’amore di Dio è inseparabile dall’amore del prossimo, il cammino verso il Dio che istruisce deve passare per questo prossimo magistrale. Ma c’è ancora un’altra cosa: il Verbo, nel farsi carne, ha voluto rendersi vulnerabile.
Il mistero del Papa continua questo mistero di vulnerabilità della verità. Gli articoli di fede come tali non possono essere né feriti né uccisi, ma si può ferire o uccidere un Papa. Ed è necessaria questa possibilità per dimostrare che la verità del cristianesimo non è in un sistema, ma in un rapporto libero, drammatico, con una persona.
E il contributo di Benedetto al nostro tempo?
Quanto al contributo di Benedetto XVI al nostro tempo, credo che lo si possa leggere alla luce del suo motto: “Collaboratore della Verità”. Certo, ogni Papa è per vocazione collaboratore della Verità, ma l’attuale Papa lo è soprattutto per la sua chiarezza espositiva, la sua carità intellettuale e il suo desiderio di portare alla luce perfino le mancanze più oscure dei suoi confratelli nel sacerdozio.
Lei ha firmato un appello in difesa del Papa (“Appel à la vérité”) insieme a molti altri esponenti del mondo culturale francofono. Perché lo ha fatto? Non bastava la sua posizione personale?
Questo appello potrebbe essere considerato un atto di lobbying, ma, in verità, quando si tratta della Chiesa il personale e il comunitario sono indissociabili. San Paolo non dice forse che formiamo un solo corpo? “Se un membro di questo corpo soffre, tutte le membra soffrono con lui; se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui”. È questo che volevo testimoniare firmando l’appello. Non solamente noi abbiamo compassione per le vittime, ma prendiamo su di noi anche il peccato dei nostri fratelli, e sosteniamo il Papa e i vescovi per cercare insieme a loro la pace nella giustizia. Il linciaggio mediatico è facile: nel parteciparvi, ciascuno può per un instante sentirsi puro, vedere il male solo negli altri, credersi sempre dalla parte giusta. La verità ci fa uscire da questa polarizzazione da cattivo western, costringe noi stessi a entrare nella bontà.
Nella sua lettera a Repubblica, Julián Carrón affronta la vicenda degli scandali in modo insolito, dicendo che «tutto questo è servito per mettere davanti ai nostri occhi la natura della nostra esigenza di giustizia. È senza confini». È infinito sia il desiderio del nostro cuore, sia l'esigenza di giustizia. Cosa pensa di questo approccio?
Julián Carrón va all’essenziale. Se si lascia da parte l’agitazione e la confusione di questi ultimi giorni, che non sono altro che una schiuma superficiale destinata a sparire, cosa resta di solido e reale? Il desiderio di giustizia. Esso solo può legittimare l'attuale inquietudine. Esso solo può forare lo schermo mediatico e volgerci verso ciò che più conta in tutta questa vicenda. Dicendo queste cose Carrón non pretende però di darci una soluzione chiavi in mano, come se l’orrore del male fosse un problema meccanico: egli ci coinvolge nel dramma e ci rimanda alla nostra responsabilità. La questione che pone è: quale giustizia di fronte all’irreversibile? Come non sprofondare in un atteggiamento negativo di vendetta o di rimorso, che ci rinchiude nel passato e che non apre a nessun futuro? Il peccato imperdonabile è proprio entrare in una logica di irremissibilità: è quello di una pseudo-giustizia, vendicativa, sterile, che invece di far rifluire la vita, ci rende complici delle tenebre e della morte. Si può certamente sterminare i cattivi, ma a cosa serve se la vita non ha alcun senso? L’abuso sessuale sui bambini è terribile. Ma l’abuso spirituale non lo è di meno. Ora, è un abuso spirituale che non cessiamo di perpetrare sui nostri bambini quello di offrire loro nient’altro che un mondo consumista, senza redenzione né comunione nella gioia. Un giorno saremo giudicati per questi abusi spirituali.
La risposta all'esigenza di giustizia - dice Carrón - essendo la nostra domanda infinita, può essere solo la Croce di Cristo. Anzi è solo essa che salva la nostra dimensione umana. Il mondo però continua a chiedere giustizia di fronte al male fatto e crede che questa sia una scappatoia. Lei è un filosofo. È possibile far vedere la pertinenza e la concretezza della posizione di Carrón da un punto di vista della riflessione filosofica?
Pensare che la filosofia possa far vedere tutta la pertinenza della Croce è cadere nel razionalismo e non capire che il mistero della Croce è l’avvenimento di un incontro, non la deduzione di un sistema. Ma se la filosofia non può realizzare questo incontro, può almeno predisporci ad esso, e lo fa in questo caso mostrando i limiti di una giustizia strettamente umana. La giustizia umana non può che essere parziale e superficiale.
Parziale, perché quando pretende di essere totale, diventa totalitaria: non bisogna dimenticare che è proprio dei totalitarismi il pretendere di far scomparire per sempre il male partendo da una teoria umana. Superficiale, perché l’uomo non può sondare le viscere e i cuori e non può nemmeno essere sicuro della purezza delle sue stesse intenzioni.
Affinché il nostro desiderio infinito di giustizia possa essere colmato, occorre un giudice che adempia a queste tre condizioni: essere il signore della Storia; conoscere il segreto dei cuori; e operare per la riconciliazione e non per la distruzione. Ecco ciò che il filosofo può dimostrare e può aggiungere che questo giudice non può che essere un Dio salvatore.
Carrón denuncia il pericolo (o l'intenzione?) - attraverso gli attacchi - di separare Cristo dalla Chiesa: come può la Chiesa essere il luogo di Cristo, se è così indegna?
Un Cristo senza la Chiesa è assurdo quanto una testa senza corpo. Significa allo stesso tempo negare il principio e il fine della redenzione: l’incarnazione e la comunione. Il Verbo si è fatto carne, ha sposato l’umanità, l’ha radunata nel suo corpo mistico che è la Chiesa. Bisogna affermare, contro ogni tentazione spiritualistica, questo mistero di visibilità. Senza la Chiesa, che orienta e incarna la fede, è difficile non ridurre Dio a una nube senza forma, Gesù a un idolo domestico, la carità a un discorso umanitario, che non conosce la comunione personale e concreta.