martedì 27 aprile 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Madonna di Medjugorje: Messaggio del 25 aprile 2010 - Cari figli, in questo tempo quando in modo particolare pregate e chiedete la mia intercessione, vi invito figlioli, pregate perchè attraverso le vostre preghiere possa aiutare quanti più cuori possibili ad aprirsi ai miei messaggi. Pregate per le mie intenzioni. Io sono con voi e intercedo presso mio Figlio per ciascuno di voi. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
2) Chiesa peccatrice? Una leggenda da sfatare - La formula è sempre più di moda, ma è estranea alla tradizione cristiana. Sant'Ambrogio chiamò la Chiesa "meretrice" proprio per esaltare la sua santità. Più forte dei peccati dei suoi figli - di Sandro Magister
3) Morto feto sopravvissuto all’aborto - Autore: Tanduo, Luca e Paolo Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 26 aprile 2010
4) Avvenire.it, 27 Apriile 2010 - Il piccolo prematuro di Rossano: abortito, nato vivo e abbandonato - Su quel minuscolo neonato lo sguardo che sa vedere un uomo
5) Eugenetica e New York Times - Gli abusi che non fanno scandalo - Sperimentazioni di anticoncezionali e pianificazione familiare forzata hanno fatto crollare il tasso di fertilità delle donne di Porto Rico. “Merito” di programmi, finanziati dai Rockefeller e dalle più note e ricche famiglie della East Coast, che dagli anni Venti entusiasmano il New York Times… - http://www.tempi.it
6) Le nanotecnologie cambieranno il mondo militare - La mosca bombardiera - di Luca M. Possati - L'Osservatore Romano - 26-27 aprile 2010
7) PAPA/ Borgna: il senso delle lacrime di Benedetto - INT. Eugenio Borgna - martedì 27 aprile 2010 - Il papa ha pianto con le vittime. Un gesto di grande e profonda umanità, che dice - molto di più di tanti discorsi - come il capo della Chiesa abbia realmente condiviso il male delle vittime, soffrendo nel profondo per il loro dolore e per i peccati commessi dalla Chiesa. Lo dice a ilsussidiario.net il professor Eugenio Borgna, psichiatra e scrittore. – ilsussidiario.net
8) Aborto, eutanasia e suicidio. Basta con le "carnevalesche" interpretazioni clerofobiche e moderniste - Carlo Di Pietro – dal sito http://www.pontifex.roma.it
9) Rorty tra nichilismo e antinichilismo - di Andrea Muni – dal sito Pontifex.roma.it
10) Negare Satana significa ignorare il Vangelo. Cristo lottò contro di lui. Satana, il grande tentatore lo ha messo alla prova. Ingannò i Giudei che crocifissero Cristo. Si batte con preghiera, digiuno, penitenza e libero arbitrio - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it


Chiesa peccatrice? Una leggenda da sfatare - La formula è sempre più di moda, ma è estranea alla tradizione cristiana. Sant'Ambrogio chiamò la Chiesa "meretrice" proprio per esaltare la sua santità. Più forte dei peccati dei suoi figli - di Sandro Magister
ROMA, 26 aprile 2010 – Nel riferire l'incontro di Benedetto XVI con i cardinali nel quinto anniversario della sua elezione, "L'Osservatore Romano" ha scritto che "il pontefice ha accennato ai peccati della Chiesa, ricordando che essa, ferita e peccatrice, sperimenta ancor più le consolazioni di Dio".

Ma c'è da dubitare che Benedetto XVI si sia espresso esattamente così. La formula "Chiesa peccatrice" non è mai stata sua. E l'ha sempre ritenuta sbagliata.

Per citare solo un esempio tra tanti, nell'omelia dell'Epifania del 2008 egli definì la Chiesa in tutt'altro modo: "santa e composta di peccatori".

E l'ha sempre definita in quest'altro modo a ragion veduta. Al termine degli esercizi di Quaresima del 2007 Benedetto XVI ringraziò il predicatore – che quell'anno era il cardinale Giacomo Biffi – "per averci aiutato ad amare di più la Chiesa, la 'immaculata ex maculatis', come lei ci ha insegnato con sant'Ambrogio".

L’espressione “immaculata ex maculatis” è in effetti in un passaggio del commento di sant’Ambrogio al Vangelo di Luca. L’espressione sta a significare che la Chiesa è santa e senza macchia pur accogliendo in sé uomini macchiati di peccato.

Il cardinale Biffi, studioso di sant'Ambrogio – il grande vescovo di Milano del secolo IV che fu anche colui che battezzò sant'Agostino –, pubblicò nel 1996 un saggio dedicato proprio a questo tema, con nel titolo un'espressione ancor più ardita, applicata alla Chiesa: "Casta meretrix", meretrice casta.

Quest'ultima formula è da decenni un luogo comune del cattolicesimo progressista. Per dire che la Chiesa è santa ma soprattutto "peccatrice" e deve sempre chiedere perdono per i "propri" peccati.

Per avvalorare la formula, si usa attribuirla ai Padri della Chiesa in blocco. Ad esempio Hans Küng, nel suo saggio "La Chiesa" del 1969 – cioè in quello che fu forse il suo ultimo libro di vera teologia – scrisse che la Chiesa "è una 'casta meretrix' come fin dall'epoca patristica la si è spesso chiamata".

Spesso? Per quello che si sa, in tutte le opere dei Padri la formula compare una volta sola: nel commento di sant'Ambrogio al Vangelo di Luca. Nessun altro Padre latino o greco l'ha mai usata, né prima né dopo.

A favorire la fortuna recente della formula è stato forse un saggio di ecclesiologia del 1948 del teologo Hans Urs von Balthasar, intitolato proprio "Casta meretrix". Nel quale comunque non c'è affatto l'applicazione diretta alla Chiesa della natura di "peccatrice".

Ma in che senso sant'Ambrogio parlò della Chiesa come di una "casta meretrix"?

Semplicemente, sant'Ambrogio volle applicare alla Chiesa la simbologia di Rahab, la prostituta di Gerico che, nel libro di Giosué, ospitò e salvò nella propria casa degli israeliti in pericolo di vita (sopra, in un'incisione di Maarten de Vos della fine del XVI secolo).

Già prima di Ambrogio Rahab era vista come "prototipo" della Chiesa. Così nel Nuovo Testamento, e poi in Clemente Romano, Giustino, Ireneo, Origene, Cipriano. La formula "fuori della Chiesa non c'è salvezza" nacque proprio dal simbolo della casa salvatrice di Rahab.

Ebbene, ecco il passaggio in cui sant'Ambrogio applicò alla Chiesa l'espressione "casta meretrix":

" Rahab – che nel tipo era una meretrice ma nel mistero è la Chiesa – indicò nel suo sangue il segno futuro della salvezza universale in mezzo all'eccidio del mondo. Essa non rifiuta l'unione con i numerosi fuggiaschi, tanto più casta quanto più strettamente congiunta al maggior numero di essi; lei che è vergine immacolata, senza ruga, incontaminata nel pudore, amante pubblica, meretrice casta, vedova sterile, vergine feconda... Meretrice casta, perché molti amanti la frequentano per le attrattive dell'amore ma senza la contaminazione della colpa" (In Lucam III, 23).

Il passo è molto denso e meriterebbe un'analisi ravvicinata. Ma per limitarci all'espressione "casta meretrix", ecco come il cardinale Biffi la spiega:

"L'espressione 'casta meretrix', lungi dall'alludere a qualcosa di peccaminoso e di riprovevole, vuole indicare – non solo nell'aggettivo ma anche nel sostantivo – la santità della Chiesa. Santità che consiste tanto nell'adesione senza tentennamenti e senza incoerenze a Cristo suo sposo ('casta') quanto nella volontà della Chiesa di raggiungere tutti per portare tutti a salvezza ('meretrix')".

Che poi agli occhi del mondo la Chiesa possa apparire essa stessa macchiata di peccati e colpita da pubblico disprezzo, è sorte che rimanda a quella del suo fondatore Gesù, anche lui considerato un peccatore dalle potenze terrene del suo tempo.

Ed è ciò che dice ancora sant'Ambrogio in un altro passo del suo commento al Vangelo di Luca: "La Chiesa giustamente prende la figura della peccatrice, perché anche Cristo assunse l'aspetto del peccatore" (in Lucam VI, 21).

Ma proprio perché santa – della santità indefettibile che le viene da Cristo – la Chiesa può accogliere in sé i peccatori, e soffrire con loro per i loro mali, e curarli.

In giorni calamitosi come gli attuali, pieni di accuse che vogliono invalidare proprio la santità della Chiesa, questa è una verità da non dimenticare.


Morto feto sopravvissuto all’aborto - Autore: Tanduo, Luca e Paolo Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 26 aprile 2010
I giornali riportano la notizia così: "Ha cessato di vivere nella notte, intorno alle 3, il corpicino del piccolo di 22 settimane che era sopravvissuto ad un aborto terapeutico sabato nell’ospedale di Rossano (Cosenza)."
Innanzitutto di fronte a questo fatto gravissimo ci viene doveroso precisare che a 22 settimane il bambino può sopravvivere autonomamente, come mostra questo caso; in secondo luogo che di terapeutico non c'è proprio nulla, visto che lo scopo è sopprimere una vita e non curarla. Che dire poi di fronte a un personale medico che non interviene per rianimare, e fa finta di nulla attendendo la morte? Purtroppo è la triste realtà, che solo a volte emerge nella cronaca. Ci resta la forza della preghiera per questa piccola vita persa, per la sua mamma e perché fatti come questi non si ripetano. E' proprio vero che la pratica dell'aborto ha reso moralmente accettabile ciò che prima sarebbe stato deprecabile. Ringraziamo il cappellano e quanti si sono prodigati per salvare il piccolo. Il cappellano dell’ospedale, si era recato a pregare sul feto, si è accorto che questi aveva ancora il cuore che batteva. Chiediamo che in tutto il territorio nazionale venga esteso quanto decretato dalla Regione Lombardia, nel gennaio 2008, n. 327, con l’“Atto di indirizzo per la attuazione della legge 194”.Il Decreto afferma che "a 23 settimane di età gestazionale è possibile la vita autonoma del neonato" e stabilisce che "il termine per l’interruzione di gravidanza di cui all’articolo 6b non debba essere effettuata oltre la 22ª settimana +3 giorni, ad eccezione dei casi in cui non sussiste la possibilità di vita autonoma del feto". Ricordiamo che l'art. 6 della legge 194 consente l’interruzione volontaria della gravidanza, anche dopo i primi novanta giorni, purché ricorra una delle seguenti condizioni: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. I casi come quello che riportiamo evidenziano sempre più dubbi sul secondo comma. Ci piacerebbe poi che venissero effettuate le autopsie dopo il decesso dei piccoli e raccolti i dati che certificano se la diagnosi di malformazione sia stata confermata oppure no, in modo da fare una statistica che possa servire per stabilire quanto le diagnosi siano precise, e il margine reale di errore delle stesse. Ricordiamo poi che l'art.7 della legge 194, comma terzo, afferma: "Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell'articolo 6 e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”. Ricordiamo che i più recenti dati scientifici indicano che la possibilità di vita autonoma del neonato migliora, tra la 22ª e la 24ª settimana, per ogni giorno di gravidanza.


Avvenire.it, 27 Apriile 2010 - Il piccolo prematuro di Rossano: abortito, nato vivo e abbandonato - Su quel minuscolo neonato lo sguardo che sa vedere un uomo
Non ce l’ha fatta, ma ce l’ha messa tutta, il piccolo sopravvissuto a un aborto a ventidue settimane di gravidanza a Rossano Calabro: il primo giorno di vita – sabato – l’ha passato da solo, dimenticato da tutti, abbandonato in un angolo, avvolto in un fagottino da qualche parte nell’ospedale in cui era stato abortito, finché un prete, venuto la mattina dopo a pregare per lui, si è accorto che era ancora vivo e ha dato l’allarme, ma non è bastato a salvarlo. Ed è morto la notte stessa, in un altro ospedale dove era stato trasferito per tentare un salvataggio tardivo, ormai impossibile.

Nel diffondere la notizia, ieri, i media hanno cercato di mascherare l’orrore usando un linguaggio surreale: si tratterebbe di un «errore» del personale sanitario che «non ha monitorato il feto dopo l’espulsione». Ma un essere umano lo chiamano "feto" finché sta nella pancia della sua mamma: una volta che ne viene fuori è un neonato. E poiché l’aborto a ventidue settimane è in sostanza un parto indotto, la verità è che sabato scorso è venuto al mondo un piccolissimo neonato fortemente prematuro, e nessuno si è accorto che era vivo perché non doveva esserlo: era "solo" un aborto.
E invece avrebbero dovuto far di tutto per salvargli la vita, addirittura secondo quella stessa legge 194 invocata per abortirlo: se c’è possibilità di vita autonoma per il nascituro – si legge all’articolo 6 – la gravidanza si può interrompere solo se la madre è in «grave pericolo di vita» – si badi bene, solo in questo caso – e il medico deve «adottare ogni misura idonea» per salvare il figlio.

Sostanzialmente, la legge dice che se una donna con una gravidanza avanzata rischia di morire, ma il figlio che ha in grembo ha qualche possibilità di sopravvivere, l’aborto è vietato e il medico la fa partorire per salvarle la vita, cercando di salvare pure il piccolo. Un parere recente del Comitato nazionale per la bioetica – che riguardava le cure riservate ai grandi prematuri, cioè ai nati molte settimane prima del termine naturale della gravidanza – invitava a una adeguata applicazione di questa parte della 194, ribadendone la forte indicazione per una salvaguardia della vita del nascituro, quando ce n’è la possibilità.
Sembra però che l’aborto sia stato effettuato perché il piccolo era malformato: una pratica eugenetica, quindi, che non è consentita dalla legge ma che purtroppo pare essere la realtà della stragrande maggioranza degli aborti tardivi.

Sicuramente bisognerà verificare con il massimo rigore se la legge è stata rispettata. Ma non è solo questo il punto che ci interessa: la gravità assoluta di quanto successo, se tutti i fatti fossero confermati, è che quando il piccolo è nato, a quanto pare, non l’hanno neppure guardato. L’hanno lasciato in un angolo, come un oggetto senza valore. Forse un minuscolo essere umano, pur abortito e malformato, non merita attenzione? Non a caso, ad accorgersi che era vivo è stata una persona che era andata a pregare per lui, e che voleva farlo accanto a lui: quel sacerdote era andato a pregare per un altro essere umano. Gli è andato vicino, lo ha guardato, e ha visto che era un proprio simile. Piccolissimo, ma esattamente come lui.

Non è stato un clinico particolarmente abile a riconoscere i segni di vita del piccolo, ma un uomo che ne ha guardato un altro e che lo ha riconosciuto, così diverso e al tempo stesso così uguale. Non servono specialisti per "vedere" il prossimo, né leggi severe, o pareri pensosi: è sufficiente l’umana pietà, che forse è morta ieri notte, insieme a quel neonato.
Assuntina Morresi


Eugenetica e New York Times - Gli abusi che non fanno scandalo - Sperimentazioni di anticoncezionali e pianificazione familiare forzata hanno fatto crollare il tasso di fertilità delle donne di Porto Rico. “Merito” di programmi, finanziati dai Rockefeller e dalle più note e ricche famiglie della East Coast, che dagli anni Venti entusiasmano il New York Times… - http://www.tempi.it
Per loro non c’è stata alcuna richiesta di risarcimento. Nessuno al New York Times si è stracciato le vesti per quei giovanissimi corpi violati, feriti e marcati per sempre. Nessun grande avvocato liberal ha portato in giudizio gli esecutori e i finanziatori di questa strage silenziosa. A Porto Rico un terzo delle donne in età fertile è stato sterilizzato. È l’isola con il più alto tasso al mondo di donne che non possono avere figli. In America si assiste da settimane a una nuova puntata della “Mani pulite di Dio”. Sono le inchieste sulla pedofilia nella Chiesa cattolica. Ma a fronte degli abusi sessuali sui minori da parte di sacerdoti, che stando alle ultime ricerche indipendenti sarebbero meno dell 0,5 per cento del totale di abusi in tutta l’America, ci sono legioni di donne e bambine americane e caraibiche sterilizzate senza approvazione. Spesso senza neppure che lo sapessero. E di questo capitolo oscuro della medicina contemporanea il New York Times, che oggi tira le fila dell’attacco durissimo alla Chiesa cattolica sulla pedofilia, è stato una bandiera. Lo descrive bene Fatal Misconception, la prima storia globale del controllo della popolazione, pubblicato dalle prestigiose edizioni di Harvard a firma dello storico liberal Matthew Connelly. Il Wall Street Journal ha scritto che per la prima volta uno studio storico serio fa luce sui disastri della “filantropia biologica”. Nella piccola isola cattolica di Porto Rico arrivarono legioni di umanitaristi, medici, industriali, femministe e progressisti per trasformare la cinquantunesima “stella” degli Stati Uniti in un laboratorio della contraccezione di massa. E il New York Times allora stava orgoglioso dalla parte degli sterilizzatori perché l’editore di famiglia, i gloriosi Sulzberger, erano nel board della Fondazione Rockefeller che finanziava sul campo il malthusianesimo a Porto Rico. Quando negli anni Venti dall’Inghilterra piovvero critiche sui programmi statunitensi di sterilizzazione degli “inadatti a vivere”, il quotidiano se la prese con l’“attacco inglese alla nostra eugenetica”. Eugenetica che il New York Times non esitò a definire una fantastica “nuova scienza” (come denunciò anche lo scrittore G. K. Chesterton) e che era foraggiata dalla Rockefeller Foundation. L’ultimo stato che ha rimosso le leggi eugenetiche è stata la Virginia nel 1979. E proprio il New York Times aveva descritto le sterilizzazioni della Virginia come “estinzioni graziose”. Sul numero del 22 gennaio del 1934 i consulenti del ministero dell’Interno nazista lodavano il «buon esempio fornito dagli Stati Uniti». Era l’anno in cui Hitler avviava la sua politica di eugenetica di massa, che avrebbe portato alla morte di 70 mila persone in diciotto mesi. Malati di mente, “promiscui”, albini, alcolizzati, talassemici, epilettici, tantissimi immigrati, dagli irlandesi agli italiani del sud, afroamericani e messicani.
Centomila persone sacrificate
Eccole le vittime della sterilizzazione negli Stati Uniti. E parliamo di 100 mila esseri umani. Donne afroamericane, donne indioamericane, donne sudamericane e donne bianche povere inglobate in programmi di sterilizzazione obbligatori. Un vero e proprio asse del male composto da organizzazioni umanitarie, filantropiche, educative, scientifiche e demografiche. La divisione del lavoro è stata geografica e funzionale: la sezione demografica dell’Onu ha fatto della “popolazione mondiale” un fatto politico, la Fondazione Rockefeller ha fornito ricercatori e fondi, il Population Council ha creato nuovi contraccettivi e insieme alle università e alle Nazioni Unite ha educato nuovi “esperti”, mentre il New York Times tesseva gli elogi dell’eugenetica. Quando Indira Gandhi divenne prima ministro dell’India, nominò suo figlio Sanjay responsabile del controllo delle nascite sotto l’egida dell’Onu e del Population Council di Rockefeller. Le donne venivano sequestrate, deportate in massa, piegate con la forza alla sterilizzazione, in nome di teorie partorite a migliaia di chilometri di distanza, a Washington, a Londra, a Stoccolma. Nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. A Porto Rico la sterilizzazione delle donne era così diffusa che veniva genericamente chiamata “la operacion”. E nessuno al New York Times protestò quando si scoprì che il dottor Pincus scelse proprio Porto Rico come laboratorio per la sperimentazione della pillola anticoncezionale. Si scoprirà che un terzo delle donne portoricane non era a conoscenza della sterilizzazione. Il New York Times non ha mai smesso di strizzare l’occhio all’eugenetica. Pochi mesi fa in un’eloquente intervista al quotidiano Ruth Bader Ginsburg, l’unico giudice donna della Corte Suprema degli Stati Uniti, ha detto: «Francamente ero convinta che ai tempi della decisione Roe (sentenza che legalizza l’aborto in America, ndr) vi fosse preoccupazione per la crescita demografica e in particolare per la crescita della parte più indesiderata della popolazione». Nel board of trustees della Rockefeller Foundation l’editore del New York Times, il signor Arthur Sulzberger, è stato una voce importante dal 1939 al 1957, negli anni in cui l’eugenetica ha mostrato il suo volto più sanguinario e totalitario. Si dà il caso che la fondazione Rockefeller abbia finanziato gran parte delle campagne per la sterilizzazione in America.
La sintonia col nazismo
Non furono i nazisti infatti a ideare le camere a gas. Fu (prima della conversione al cristianesimo) il premio Nobel Alexis Carrel (1873-1944), autore di L’homme, cet inconnu, il quale diceva che «criminali e malati di mente devono essere umanamente ed economicamente eliminati in piccoli istituti per l’eutanasia, forniti di gas. L’eugenetica è indispensabile per perpetuare la forza. Una grande razza deve propagare i suoi migliori elementi. L’eugenetica può esercitare una grande influenza sul destino delle razze civilizzate ma richiede il sacrificio di molti singoli esseri umani». Ricercatore presso il Rockefeller Institute for Medical Research, Carrel abbracciò l’eugenetica nazista in una lettera del 7 gennaio del 1936, quando alla Rockefeller siedevano già i membri della famiglia Suzlberger: «Il governo tedesco ha preso energiche misure contro la propagazione dei difettosi, contro le malattie mentali e i criminali. La soluzione ideale sarebbe la soppressione di questi individui non appena abbiano dimostrato di essere pericolosi».
La Rockefeller Foundation finanziò anche molti ricercatori tedeschi. Tra di essi il dottor Ernst Rudin, che avrebbe organizzato lo sterminio medico degli handicappati ordinato da Adolf Hitler. E uno dei direttori del New York Times, Eugene Black, da membro della Rockefeller divenne cofondatore del Population Council, l’organizzazione americana di ricerca che ha portato avanti molte campagne per la sterilizzazione di popolazioni indigene nel mondo. Compresa Porto Rico. La famiglia Sulzberger era generosamente impegnata a finanziare anche le attività di Margaret Sanger, la quale venne così incensata da Orson Wells nel 1931: «Quando la storia della nostra civiltà sarà scritta, sarà una storia biologica e Margaret Sanger la sua eroina». Il nome Sanger è il collante fra eugenetica e femminismo. Fondatrice della American Birth Control League (1916) e della International Planned Parenthood Federation (1952), diresse una rivista, The Birth Control Review, che divenne col tempo il più importante laboratorio teorico per la selezione della specie, al grido di slogan come «noi preferiamo la politica della sterilizzazione immediata per garantire che la procreazione sia assolutamente proibita ai deboli di mente». Sanger costruì la sua prima clinica per il controllo delle nascite nel quartiere di Brownsville a New York, uno dei più poveri della città. Così poteva estirpare meglio “il peso morto dei rifiuti umani”. La sua eredità è arrivata fino a noi. Fu Sanger a procurare i finanziamenti a Gregory Pincus per la ricerca anticoncezionale. E Pincus la sua pillola andò a sperimentarla sui “negri” di Porto Rico. Mentre oltreoceano Papa Paolo VI metteva a punto l’enciclica Humanae Vitae che condannava proprio l’antinatalismo praticato nella sperduta isola caraibica. È così che si chiude uno sconosciuto e tragico ciclo che coinvolge il più rispettato giornale d’America, le più note e ricche famiglie della East Coast, interi pezzi della medicina del Novecento e una piccola isola dei Caraibi, che a oggi vanta non soltanto il miglior Pil della regione, ma anche il più alto tasso al mondo di donne sterilizzate.
di Giulio Meotti
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Le nanotecnologie cambieranno il mondo militare - La mosca bombardiera - di Luca M. Possati - L'Osservatore Romano - 26-27 aprile 2010
"Hasta la vista baby!". Inflessibile giustiziatore, il Terminator ha appena distrutto con un colpo di pistola il robot rivale completamente ghiacciato, salvando così il capo della futura ribellione degli umani. L'immagine, tratta dal cult Terminator ii, può sembrare esagerata e ai limiti dell'irreale, eppure non lo è affatto. La genetica e le nanotecnologie sono oggi i campi nei quali si registrano i progressi più promettenti per le applicazioni militari. Complice anche la mancanza di una vera normativa internazionale sul tema, gli studi sul funzionamento del cervello umano e sui processi cognitivi stanno aprendo prospettive inattese - e imprevedibili - anche grazie all'interazione con altri tipi di tecnologie.
Guerra delle menti, supersoldati "post-umani", truppe di robot, computer potentissimi non sono più sciocchezze riservate agli intenditori. Gli sviluppi sono sconosciuti, i pericoli altrettanto: questi nuovi tipi di armamenti - il cui impatto sulla realtà è tuttora poco misurabile - potrebbero modificare gli equilibri dell'attuale sistema delle relazioni internazionali, oltre alle questioni di natura giuridica (i controlli) ed etica ch'essi evocano.
La statunitense Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency) ha recentemente investito cospicui finanziamenti in tre settori di ricerca: la neurofarmacologia, l'immagine neuronica e l'interfaccia tra cervello e macchina. Tra gli obiettivi dei ricercatori, quello di sviluppare anestetici e analgesici sempre più efficaci, in modo da influenzare direttamente il comportamento umano, oppure sostanze che facciano resistere al sonno o aumentino le capacità fisiche e psichiche (il miglioramento della memoria, il superamento degli stress psicologici del combattimento, la percezione dei pericoli nei soldati o il "siero della verità" negli interrogatori).
"Si tratta di possibilità che sinora erano considerate solo nei libri di fantascienza, ma che si stanno rilevando realistiche anche nel breve-medio periodo", spiega Carlo Jean, presidente del Centro Studi Geopolitica Economica nella ricerca intitolata "Nuove tecnologie militari". Così, ad esempio, i ricercatori stanno mettendo a punto un tipo di binocolo caratterizzato non solo da eccezionali performance ottiche, ma anche da un collegamento con il cervello del soldato che lo impiega. Grazie al monitoraggio neuronico - spiegano gli esperti - il militare potrebbe in breve tempo riconoscere bersagli e avvertire minacce, superando così le barriere esistenti nella corteccia cerebrale. Un miglioramento delle potenzialità umane pari a quello realizzatosi con l'evoluzione della specie in milioni di anni. "Verrebbe ottenuta - spiega Jean - quella che è denominata sensibilità del ragno; essa rende possibile al soldato di essere consapevole del pericolo non appena esso viene percepito dai sensori ottici e acustici, prima che il cervello abbia avuto il tempo il processare il relativo segnale".
Programmi militari sempre più raffinati stanno prendendo piede anche nel settore delle nanotecnologie. Già negli anni Novanta il Pentagono aveva indicato in questo campo una delle sei aree strategiche di sviluppo, arrivando nel 2001 alla costituzione del centro di coordinamento National Nanotechnology Initiative (Nni). Ricerche di questo tipo sono svolte anche in Russia e in Cina. Le realizzazioni già attuate riguardano l'equipaggiamento dei militari, con la realizzazione di elmetti polivalenti, capaci di ricevere messaggi video, audio e scritti e di disporre di dispositivi di visione notturna, avvistatori laser, radar e infrarossi. Ma la fantasia dei tecnici si spinge anche oltre: a esempio nanodevices che, inseriti nel cervello, consentirebbero di accedere a internet solo pensando, oppure di realizzare la telecinetica (spostare oggetti con il solo pensiero).
"Beninteso - rileva Jean - lo sviluppo delle nanotecnologie determina problemi; rende più difficile la verifica di accordi sul controllo degli armamenti (che si basa sulla quantità dei sistemi d'arma di un dato tipo e non sulla loro inverificabile qualità); potrebbe poi consentire la realizzazione di affidabili sistemi di difesa antimissili, erodendo la stabilità della dissuasione". Ci sono inoltre problemi di natura etica: "Le nanotecnologie, unite alle biotecnologie e alle scienze genetiche - aggiunge Jean - potrebbero indurre a manipolare il sistema nervoso dei soldati, compromettendo l'integrità fisica e psichica naturale; potrebbero inoltre aumentare le capacità delle armi biologiche, che rappresentano un pericolo per le società avanzate forse superiore a quello della proliferazione nucleare". Il Congresso americano ha fissato l'obiettivo che entro il 2010 siano robotizzati oltre il trenta per cento dei nuovi aerei d'attacco ed entro il 2015 il 25 per cento dei veicoli da combattimento terrestri. È il segno che la robotica ha ormai invaso il campo militare: l'aeronautica sta perfezionando progetti come il Predator o il Global Hawk, o la precisione dei missili Hellfire allo scopo di diminuire i danni collaterali e prevenire le perdite tra i civili. Tra i progetti più avveniristici, un tipo di robot aereo a propulsione nucleare in grado di restare in volo per anni.
La Darpa sta sviluppando mini e micro aerei robot, taluni anche dalle dimensioni di un insetto, capaci di posarsi sul davanzale di una finestra o dietro un'imposta per captare segnali o registrare immagini. Tutto può accadere. E magari tra qualche anno l'innocua vecchietta della porta accanto schiacciando inavvertitamente una piccola mosca potrebbe dare il via al prossimo inverno nucleare. Altro che Terminator.
(©L'Osservatore Romano - 26-27 aprile 2010)


PAPA/ Borgna: il senso delle lacrime di Benedetto - INT. Eugenio Borgna - martedì 27 aprile 2010 - Il papa ha pianto con le vittime. Un gesto di grande e profonda umanità, che dice - molto di più di tanti discorsi - come il capo della Chiesa abbia realmente condiviso il male delle vittime, soffrendo nel profondo per il loro dolore e per i peccati commessi dalla Chiesa. Lo dice a ilsussidiario.net il professor Eugenio Borgna, psichiatra e scrittore. – ilsussidiario.net
A Malta il papa ha pianto con le vittime: un gesto, semplice, umano, universale. Cosa rappresentano per lei le lacrime del pontefice?
Già nel Vangelo Gesù «scoppiò in pianto». Gesù, il figlio di Dio, si è commosso per noi, ha condiviso il nostro dolore mortale. Mai le lacrime testimoniano qualcosa di oscuro. Sono sempre l’espressione della straordinaria luce interiore che è in noi, dell’ansia di infinito che vive nel cuore delle persone. Anche il papa, come Gesù, ha pianto. Nelle lacrime di Benedetto XVI ho visto la suprema testimonianza dell’amore che vive in lui nei confronti di chi è stato ferito, colpito, ignorato. Non c’è gesto che indichi di più la bontà del suo cuore, la sua straordinaria capacità, con quei suoi occhi azzurri, espressione di una dolcezza e di una tenerezza senza fine, di abbracciare le vittime.
Le vittime sono state oggetto di soprusi oscuri, che ci ripugna anche immaginare. Che cosa può aiutare a superare la distanza che rende questo dolore inesplicabile?
La consapevolezza che in noi non esistono solo spazi di luce infinita, ma anche di notte oscura, che talvolta travolgono perfino le persone che dell’amore, dell’ascolto e della gentilezza d’animo dovrebbero fare le stelle polari del loro comportamento. Il dolore che il papa prova è anche quello che tutti noi proviamo di fronte all’indicibile mistero del male che vive in noi. E che talvolta si esprime in forme che oltrepassano ogni «confine» di male, come quando colpiscono la dimensione evangelica - l’infanzia - di fronte alla quale dovremmo inchinarci con un atteggiamento di ascolto, di aiuto, di preghiera.
Dentro di noi è il male o il bene a vincere lo scontro?
Il male, come ombra fatale che vive in noi e che combatte sempre col bene, viene quasi sempre sconfitto. Ma qualche volta è il male che riesce a distruggere le nostre «stelle del mattino», quelle della speranza, della carità e dell’amore.
Nel fuoco degli attacchi che hanno investito la Chiesa, le vittime sono sembrate talvolta in subordine rispetto a preoccupazioni di tipo strumentale. Quello che il papa ha fatto può davvero aiutare le vittime nella loro sofferenza e nella loro ansia di giustizia?
Benedetto XVI ha mostrato, con la sua profonda, limpida commozione, la vastità di quel dolore. Ma comprenderlo fino in fondo vuol dire immedesimarsi, in profondità, con quel dolore. Davvero la condivisione del dolore è l’ultimo gesto, a parte la preghiera, che possa dare un senso alla mia disperazione. Nelle lacrime e nel sorriso del papa mi sembra di cogliere la sua estrema testimonianza di un dolore rivissuto, di un violenza sperimentata come se fosse stata indirizzata verso di lui, come se lui ne fosse stato la vittima. E in parte, certo, lo è stato, per la violenza con la quale persone estranee a quanto è accaduto lo hanno colpito così assurdamente.
Benedetto XVI non ha avuto paura di manifestare apertamente i propri sentimenti. Che cosa, secondo lei, dà al papa la possibilità di una libertà così grande?
Un cuore dai confini vastissimi, che riesce a pulsare vivo non solo per sé, non solo per i cattolici, ma per tutti coloro che in qualche modo sono stati e sono state vittime del dolore e dell’angoscia. Le sue capacità di immedesimazione, di comunicare le attitudini abissali del proprio cuore, di vivere la fede come un’enorme dilatazione della speranza, si sono fatte lacrime sanguinanti. Le sue parole sono scaturite dalla sorgente infinita dell’amore che vive in lui, come colui che continua la testimonianza di Pietro.
Dopo aver tradito il comandamento dell’amore peccando contro i bambini, che sono l’immagine del volto di Dio, cosa resta alla Chiesa? Come può tornare ad essere credibile?
Queste ferite rappresentano solo un segmento quanto mai ristretto della continua, inesauribile testimonianza di luce che dà la Chiesa. Preti e missionari che si consumano in una vita di opere, ma in vista di che cosa, in realtà? Solo di orizzonti che nascano dall’amore. Solo chi ha occhi per vedere e orecchie per ascoltare cosa si nasconde nel cuore della Chiesa, può provare in sé e cogliere, al di là di crisi temporanee, la grande luce e i grandi orizzonti della speranza che la sostengono. Per chi ha occhi per vedere, queste ferite - certo anche recate da persone in condizioni di sofferenza patologica - sono motivo di una riflessione sulle debolezze del peccato; per gli altri un’occasione in più per attaccare la Chiesa.
Il papa ha pianto con le vittime. La Chiesa deve ora sperare nell’indulgenza del mondo?
La Chiesa non ha bisogno di indulgenza, ma di riconoscimento: di essere guardata, osservata, amata in questa sua straordinaria testimonianza che vive da secoli. L’indulgenza del mondo implicherebbe, in qualche modo, che il mondo fosse più generoso di quanto non sia la Chiesa. Mi pare difficile. D’altra parte la Chiesa ha affrontato questi fatti gravissimi con una fermezza e un rigore quasi «draconiani», che indicano la sua estrema limpidezza come istituzione. No, la Chiesa non ha bisogno dell’indulgenza, se mai della serenità del mondo. Di un mondo che si renda conto delle contraddizioni che vivono in ciascuno di noi. Cose crudeli e inammissibili che non eludono la colpa, ma che accadono, anche, sotto la spinta di patologie non controllate.
Lei ha citato più volte la speranza, perché?
Perché solo la speranza ci induce a guardare al di là delle cose che accadono. Non parlo delle speranze terrene, che sono falsate dalle cose della vita, ma della speranza come struttura portante della vita stessa. Della «spes contra spem» di cui parla San Paolo, che esiste come attesa di cose che a volte non vedo, ma che il mio cuore mi lascia intravedere. Non parlo dell’ottimismo, ma della speranza intesa come trascendenza, senza della quale non c’è vita.
Non parla di ottimismo, perché?
Perché l’ottimismo è legato alla previsione di qualcosa di concreto e di reale,mentre la speranza guarda, al di là di quello che accade, ad un orizzonte che per chi crede è segno dell’infinito. La voce, il silenzio, la luce dell’infinito è ciò che secondo me precisa il senso più nascosto e profondo della speranza. Che non interessa soltanto il mio io, ma quel «noi» che è dato dalla fusione dell’io e del tu.
Su questo giornale il filosofo laico Pietro Barcellona ha detto che il comandamento dell’amore, «ama il prossimo tuo come te stesso», è rivoluzionario, ma molto difficile oggi, perché il «me stesso» che dovrei amare al pari del mio prossimo è smembrato, dissolto: è come se non si trovasse più. Che ne pensa?
Dal punto di vista psicopatologico e sociologico, oggi si guarda all’io come ad una somma di atomi anarchici; ma è un’analisi che frammenta l’io e non lo coglie nella sua unità e nella sua totalità di «monade» dalle porte aperte nella quale confluisce ogni fattore, anche oscuro, della nostra personalità. L’io può essere visto come immanenza totale, e allora in senso psicologico è prigioniero dei nostri istinti, delle nostre abitudini, dei nostri tradimenti. Ma questa non è l’ultima parola sul nostro io, perché noi siamo, in fondo, trascendenza. La massima del Vangelo è quella che mi consente realmente di fare psichiatria, e di dare un senso vero, più umano, al dolore che Benedetto XVI ha testimoniato con le sue lacrime.
Lei come ha accolto le lacrime di Benedetto?
Nelle sue lacrime di amore c’è tutto il segreto di quello che io considero l’aiuto che ciascuno di noi può dare agli altri, non solo ai livelli teologici altissimi del papa, ma anche a quelli che uno psichiatra può fare per cercar di dare una mano a chi è sul ciglio della disperazione, e che si salva solo se incontra persone che fino in fondo mettono le loro risorse a disposizione di chi, in condizioni estreme di dolore, considera la morte come la sola sua possibilità. Solo questa speranza ontologica, metafisica può salvare una vita. È l’ésperance che Charles Péguy pone a fondamento di pagine indimenticabili, e come lui don Giussani. Pagine che rimarranno sempre nel cuore di chi le ha lette e di chi ha avuto la fortuna di fare con Giussani un incontro che non potrà mai dimenticare, e che ha segnato - come è stato per me - anche il cammino della sua speranza.
(Federico Ferraù)


Aborto, eutanasia e suicidio. Basta con le "carnevalesche" interpretazioni clerofobiche e moderniste - Carlo Di Pietro – dal sito http://www.pontifex.roma.it
La Scrittura, nel racconto dell'uccisione di Abele da parte del fratello Caino, rivela, fin dagli inizi della storia umana, la presenza nell'uomo della collera e della cupidigia, conseguenze del peccato originale. L'uomo è diventato il nemico del suo simile. Dio dichiara la scelleratezza di questo fratricidio: « Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello » (Gn 4,10-11). Penso che questo monito e queste considerazioni che, ogni Cristiano Cattolico deve riconoscere con veritiere ed ufficiali, non necessitano di alcuna interpretazione personale. Aborto, eutanasia e suicidio: basta con le "carnevalesche" interpretazioni moderniste. Sant'Agostino diceva: "Roma ha parlato, dunque il caso è chiuso". Per quanto vogliate sforzarvi nelle vostre vaneggianti, quanto clerofobiche, teorie, ...

... Cattolicesimo è, oltre che religione e fede, anche LEGGE. La Chiesa, attraverso i suoi Santi Martiri, nonchè Padri e Servitori, ha teorizzato e tramandato sino a noi delle LEGGI che, in quanto tali, vanno rispettate ed inconfutabilmente accettate. Mi rivolgo, dunque, principalemnte ai catto - comunisti - clerofobici, che, pur di accreditarsi consensi e di dar "fiato ai polmoni", continuano imperterriti nella loro opera di demonizzazione e distruzione della morale Cattolica: l'unica via di salvezza che, in questo "mondo marcio", ci rimane. La mia opinione di normale informatico di campagna e, ahimé, di peccatore, è che se esistono delle regole, dalle quali nasce la parte sana della società formatasi negli ultimi 2000 anni di storia, vanno rispettate... Opinionisti e filosofi modernisti, anticlericali, antisemiti, comunisti ed oserei dire anche un pò "fumati", per cortesia, andate "a lavorare". Analizziamo, a scanso di equivoci, cosa ci insegna la Chiesa in merito ad aborto, eutanasia e suicidio.

L'aborto: 2270 La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento. Dal primo istante della sua esistenza, l'essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita. 181 . « Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato » (Ger 1,5). « Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra » (Sal 139,15). 2271 Fin dal primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato. Questo insegnamento non è mutato. Rimane invariabile. L'aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale: « Non uccidere il bimbo con l'aborto, e non sopprimerlo dopo la nascita ». 182 « Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l'aborto come pure l'infanticidio sono abominevoli delitti ». 183 2272 La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. « Chi procura l'aborto, se ne consegue l'effetto, incorre nella scomunica latae sententiae », 184 « per il fatto stesso d'aver commesso il delitto » 185 e alle condizioni previste dal diritto. 186 La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia.

Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società. 2273 Il diritto inalienabile alla vita di ogni individuo umano innocente rappresenta un elemento costitutivo della società civile e della sua legislazione: « I diritti inalienabili della persona dovranno essere riconosciuti e rispettati da parte della società civile e dell'autorità politica; tali diritti dell'uomo non dipendono né dai singoli individui, né dai genitori e neppure rappresentano una concessione della società e dello Stato: appartengono alla natura umana e sono inerenti alla persona in forza dell'atto creativo da cui ha preso origine. Tra questi diritti fondamentali bisogna, a questo proposito, ricordare: il diritto alla vita e all'integrità fisica di ogni essere umano dal concepimento alla morte ». 187 « Nel momento in cui una legge positiva priva una categoria di esseri umani della protezione che la legislazione civile deve loro accordare, lo Stato viene a negare l'uguaglianza di tutti davanti alla legge.

Quando lo Stato non pone la sua forza al servizio dei diritti di ciascun cittadino, e in particolare di chi è più debole, vengono minati i fondamenti stessi di uno Stato di diritto. [...] Come conseguenza del rispetto e della protezione che vanno accordati al nascituro, a partire dal momento del suo concepimento, la legge dovrà prevedere appropriate sanzioni penali per ogni deliberata violazione dei suoi diritti ». 188 2274 L'embrione, poiché fin dal concepimento deve essere trattato come una persona, dovrà essere difeso nella sua integrità, curato e guarito, per quanto è possibile, come ogni altro essere umano. La diagnosi prenatale è moralmente lecita, se « rispetta la vita e l'integrità dell'embrione e del feto umano ed è orientata alla sua salvaguardia o alla sua guarigione individuale [...].

Ma essa è gravemente in contrasto con la legge morale quando contempla l'eventualità, in dipendenza dai risultati, di provocare un aborto: una diagnosi [...] non deve equivalere a una sentenza di morte ». 189 2275 « Si devono ritenere leciti gli interventi sull'embrione umano a patto che rispettino la vita e l'integrità dell'embrione, non comportino per lui rischi sproporzionati, ma siano finalizzati alla sua guarigione, al miglioramento delle sue condizioni di salute o alla sua sopravvivenza individuale ». 190 « È immorale produrre embrioni umani destinati a essere sfruttati come "materiale biologico" disponibile ». 191 « Alcuni tentativi d'intervento sul patrimonio cromosomico o genetico non sono terapeutici, ma mirano alla produzione di esseri umani selezionati secondo il sesso o altre qualità prestabilite. Queste manipolazioni sono contrarie alla dignità personale dell'essere umano, alla sua integrità e alla sua identità » 192 unica, irrepetibile.

L'eutanasia: 2276 Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un rispetto particolare. Le persone ammalate o handicappate devono essere sostenute perché possano condurre un'esistenza per quanto possibile normale. 2277 Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile. Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L'errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da condannare e da escludere. 193 2278 L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'« accanimento terapeutico ».

Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. 2279 Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d'ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L'uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate.

Il suicidio: 2280 Ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che gliel'ha donata. Egli ne rimane il sovrano Padrone. Noi siamo tenuti a riceverla con riconoscenza e a preservarla per il suo onore e per la salvezza delle nostre anime. Siamo amministratori, non proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo. 2281 Il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell'essere umano a conservare e a perpetuare la propria vita. Esso è gravemente contrario al giusto amore di sé. Al tempo stesso è un'offesa all'amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi. Il suicidio è contrario all'amore del Dio vivente. 2282 Se è commesso con l'intenzione che serva da esempio, soprattutto per i giovani, il suicidio si carica anche della gravità dello scandalo.

La cooperazione volontaria al suicidio è contraria alla legge morale. Gravi disturbi psichici, l'angoscia o il timore grave della prova, della sofferenza o della tortura possono attenuare la responsabilità del suicida. 2283 Non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la morte. Dio, attraverso le vie che egli solo conosce, può loro preparare l'occasione di un salutare pentimento. La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita.
Carlo Di Pietro


Rorty tra nichilismo e antinichilismo - di Andrea Muni – dal sito Pontifex.roma.it
Richard Rorty (New York, 4 ottobre 1931 – Palo Alto, 8 giugno 2007) attualmente è uno dei filosofi di maggior successo a livello mondiale. Tra le varie onorificenze ricevute, Rorty nel 1999 ha ricevuto una laurea honoris causa dall’Università di Parigi VIII (Vincennes-St. Denis), nel 2000 un’altra dalla Johannes Pannonius University di Pecs, in Ungheria, nel 2001 una dall’Università Babes-Bolyai di Clui, in Romania, e una dall’Università “Vrije” di Bruxelles, in Belgio.Fino ad oggi, quando si è parlato di nichilismo, non sempre si è fatto riferimento a Rorty, il quale piuttosto è stato associato soprattutto al pragmatismo (in particolare, vedendo il lui un fondatore del neopragmatismo) e ricollegato alla ricezione e alla rielaborazione, negli Stati Uniti, di autori europei “continentali”, tra cui Heidegger, Gadamer e Derrida, in contrapposizione agli “analitici” di area anglosassone. Alcuni, quando hanno parlato di nichilismo, Rorty ...

... nemmeno lo hanno nominato (cfr. p. es. Vercellone 19921, 2009u.ma; Volpi 19961, 2004u.ma). Anche se ci sono sempre stati, negli scritti di Rorty, molti elementi propri del nichilismo, questi non sono stati evidenziati dalla maggioranza dei suoi commentatori. Solo una stretta minoranza, a partire almeno dagli anni Ottanta, ha parlato apertamente di Rorty come nichilista (cfr. ad. es. Larsen 1987, p. 14). Rorty è stato anche interpretato, esattamente al contrario, come “antinichilista”, e questo soprattutto da parte di alcuni critici di area pedagogica (p. es. Cambi 2005, p. VIII). Questa contrapposizione radicale, per certi aspetti inconciliabile, tra alcune interpretazioni di Rorty come nichilista e altre di Rorty come antinichilista, per altri aspetti conferma un approccio condiviso e unitario nel vedere nel nichilismo un concetto chiave almeno per alcune delle interpretazioni che fino ad ora sono state date del pensiero Rorty.

Si tratta a mio avviso di un nichilismo contraddittorio, che finisce col contraddire se stesso e risultare, di fatto, antinichilismo. Se ci si attiene a quanto Rorty si limita a dire, è nichilista -lo vuole essere, ritiene di esserlo, dichiara esplicitamente e ripetutamente tesi nichiliste-. Se, invece, si vogliono trarre alcune conclusioni dall’esterno degli scritti di Rorty, spingendo alcune sue affermazioni a conclusioni che lui stesso non ha tratto e che possiamo prendere noi per lui, osservandone alcune incongruenze di fondo, allora Rorty può risultare, di fatto, antinichilista.

È presente, in Rorty, il conflitto con i principi della tradizione già presente nei Padri e figli di Turgenev (1862) o nella negazione di qualsiasi valore ancorato a basi metafisiche e religiose (cfr. p. es. Dostoevski). Più in generale, Rorty rientra a pieno nella definizione di Lalande, secondo la quale “non esiste nulla (di assoluto)”, “non v’è verità morale” e in quella di Eisler, secondo la quale si nega “ogni possibilità di conoscenza, ogni verità generale certa”.

Si tratta di un nichilismo implicito sia gnoseologico che etico, metafisico e politico. Per quanto riguarda l’atto conoscitivo (aspetto gnoseologico), non si può conoscere niente con sicurezza. Per quanto riguarda l’aspetto etico, non c’è una verità etica. Per quanto riguarda l’aspetto metafisico, viene negata la categoria dell’essere, la stessa ragion d’essere della metafisica, in quanto inutile. Per quanto riguarda l’aspetto politico, la libertà individuale è, per Rorty, una libertà che dovrebbe stare quanto più possibile al di sopra di ogni autorità, legge e condizionamento sociale. Come in Nietzsche, anche in Rorty si proclama un’assoluta mancanza di certezze e una negazione di tutti i valori tradizionali, ultramondani e soprasensibili.
Quale filosofia per la scuola?


Negare Satana significa ignorare il Vangelo. Cristo lottò contro di lui. Satana, il grande tentatore lo ha messo alla prova. Ingannò i Giudei che crocifissero Cristo. Si batte con preghiera, digiuno, penitenza e libero arbitrio - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
Qualche lettore del nostro blog ha negato l' esistenza del demonio. Sul tema ci é parso utile registrare l' autorevole opinione del professor Don renzo Lavatori, teologo e celebre demonologo. Professor Lavatori, Satana esiste?: " certo e non é una invenzione della Chiesa. Ricordo che la sua più grande vittoria é far credere che non esista. Satana é un essere perfido, ma terribilmente astuto ed intelligente, sa come mimetizzarsi. Negare la sua esistenza significa,di fatto, negare il Vangelo". In che senso?: " nel Vangelo molti episodi ci descrivono Cristo intento a lottare contro il Demonio, nell' effettuare esorcismi, nell' evitare le tentazioni. Cristo é stato sempre avversato da Satana e se il Diavolo ha osato tentare Cristo, figurarsi se non lo fa con noi". Ma per quale motivo Satana é un essere astuto?: " non dimentichiamo mai che Satana ha riconosciuto subito Cristo e e che era al corrente della Scrittura. Lui aveva natura angelica, ...

... era un angelo che ha osato, per superbia ed orgoglio, ribellarsi con un' altra schiera ,a Dio perché pretendeva essere uguale a Dio. Pretendeva sostituirsi a Dio ed é sprofondato agli inferi, ecco quella che si chiama la colpa angelica".

Dunque in svariate parti del Vangelo si legge di una sorta di marcamento ad uomo di Satana su Cristo: " il suo scopo primario é quello di mettere in difficoltà Cristo e tentare l' uomo, con insidie e seduzioni, quali il successo, il denaro, il potere. In questo e nel cogliere le nostre debolezze é maestro. Satana seppe strumentalizzare molto bene anche i Giudei, aizzandoli a metterlo in Croce tanto che in punto di fatto risulta corretto dire che i Giudei di quel tempo, assieme ai farisei e agli scribi, lo condannarono a morte. Nel Sinedrio tutti, Giudei e popolo inclusi, scelsero Barabba e non solo i capi. Ovviamente fu un deicidio inconsapevole, ma deicidio fu, e lo dice anche il libro degli Atti degli Apostoli molto chiaramente. Sarebbe ingiusto ed antistorico fare ricadere sugli ebrei attuali questa colpa, per quanto riguarda quel tempo, spiace dirlo, ma fu così".

Ma come si può sconfiggere Satana?: " intanto con il libero arbitrio. Satana é potente, ma non sia mai un alibi. Alla fine siamo sempre noi a decidere nel bene o nel male. La libertà di scegliere tocca a noi e satana non sia un alibi di comodo".

Con quali altre armi?: " le solite: il digiuno, la preghiera incessante e la penitenza. In ogni caso per combatterlo abbiamo bisogno di una fede grande e rassegnarci che sino alla fine dei tempi dobbiamo fare i conti con lui".