lunedì 31 maggio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: LA TRINITÀ DIVINA DIMORA IN NOI DAL BATTESIMO - Discorso introduttivo alla preghiera mariana dell'Angelus - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 30 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della recita dell'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro.
2) CONQUISTA SCIENTIFICA O PRESUNZIONE CREATRICE? - di La Redazione di Medicina e Persona - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 30 maggio 2010 (ZENIT.org).
3) POPIELUSZKO, UN MARTIRE DEL XX SECOLO - Proiettato alla Radio Vaticana il film sul cappellano di Solidarnosc - di Antonio Gaspari
4) 1033 bambini scomparsi nel 2009 - nel silenzio quasi generale…- Sono 1033 i minori scomparsi e ancora non ritrovati in Italia nel 2009. Questo il dato fornito dalla Direzione centrale anticrimine della polizia e diffuso nel corso del convegno ‘La scomparsa e lo sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti: quali strategie e interventi?’ organizzato dall’associazione Telefono Azzurro, in occasione della “Giornata internazionale dei bambini scomparsi”.
5) Che cosa voglio di più - Curatore: Fortunato, Simone - Regista: Silvio Soldini - Voto: 6/10 - domenica 30 maggio 2010
6) Responsabilità dei «magisteri paralleli» - Autore: Romano, Giovanni - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 30 maggio 2010
7) “Per i pedofili l’inferno sarà più duro” - GIACOMO GALEAZZI - CITTÀ DEL VATICANO - © Copyright La Stampa, 30 maggio 2010
8) IL CASO - UNA DELIBERA ELENCA TRA LE CONTROINDICAZIONI UN QI INFERIORE A 70 - Disabili mentali discriminati - «Niente trapianti in Veneto» - L’attacco di tre esperti su una rivista americana L’assessore Coletto: per loro solo più attenzioni - In sala operatoria Nel 2009 il Veneto ha eseguito 438 trapianti - http://corrieredelveneto.corriere.it - Michela Nicolussi Moro - 29 maggio 2010
9) Un fatto inaudito - Pigi Colognesi - lunedì 31 maggio 2010 – ilsussidiario.net

BENEDETTO XVI: LA TRINITÀ DIVINA DIMORA IN NOI DAL BATTESIMO - Discorso introduttivo alla preghiera mariana dell'Angelus - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 30 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della recita dell'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro.
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Cari fratelli e sorelle!
Dopo il tempo pasquale, concluso domenica scorsa con la Pentecoste, la Liturgia è ritornata al "tempo ordinario". Ciò non vuol dire però che l’impegno dei cristiani debba diminuire, anzi, entrati nella vita divina mediante i Sacramenti, siamo chiamati quotidianamente ad essere aperti all’azione della Grazia, per progredire nell’amore verso Dio e il prossimo. L’odierna domenica della Santissima Trinità, in un certo senso, ricapitola la rivelazione di Dio avvenuta nei misteri pasquali: morte e risurrezione di Cristo, sua ascensione alla destra del Padre ed effusione dello Spirito Santo. La mente e il linguaggio umani sono inadeguati a spiegare la relazione esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e tuttavia i Padri della Chiesa hanno cercato di illustrare il mistero di Dio Uno e Trino vivendolo nella propria esistenza con profonda fede.
La Trinità divina, infatti, prende dimora in noi nel giorno del Battesimo: "Io ti battezzo – dice il ministro – nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo". Il nome di Dio, nel quale siamo stati battezzati, noi lo ricordiamo ogni volta che tracciamo su noi stessi il segno della croce. Il teologo Romano Guardini, a proposito del segno della croce, osserva: "lo facciamo prima della preghiera, affinché … ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato … Esso abbraccia tutto l’essere, corpo e anima, … e tutto diviene consacrato nel nome del Dio uno e trino" (Lo spirito della liturgia. I santi segni, Brescia 2000, 125-126).
Nel segno della croce e nel nome del Dio vivente è, perciò, contenuto l’annuncio che genera la fede e ispira la preghiera. E, come nel vangelo Gesù promette agli Apostoli che "quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità" (Gv 16,13), così avviene nella liturgia domenicale, quando i sacerdoti dispensano, di settimana in settimana, il pane della Parola e dell’Eucaristia. Anche il santo Curato d’Ars lo ricordava ai suoi fedeli: "Chi ha accolto la vostra anima – diceva – al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? … sempre il sacerdote" (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale).
Cari amici, facciamo nostra la preghiera di sant’Ilario di Poitiers: "Conserva incontaminata questa fede retta che è in me e, fino al mio ultimo respiro, dammi ugualmente questa voce della mia coscienza, affinché io resti sempre fedele a ciò che ho professato nella mia rigenerazione, quando sono stato battezzato nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo" (De Trinitate, XII, 57, CCL 62/A, 627). Invocando la Beata Vergine Maria, prima creatura pienamente inabitata dalla Santissima Trinità, domandiamo la sua protezione per proseguire bene il nostro pellegrinaggio terreno.


[DOPO L’ANGELUS]
Stamani, a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, è stata celebrata la beatificazione di Maria Pierina De Micheli, Religiosa dell’Istituto delle Figlie dell’Immacolata Concezione di Buenos Aires. Giuseppina – questo il suo nome di Battesimo – nacque nel 1890 a Milano, in una famiglia profondamente religiosa, dove fiorirono diverse vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. A 23 anni anche lei imboccò questa strada dedicandosi con passione al servizio educativo, in Argentina e in Italia. Il Signore le donò una straordinaria devozione al suo Santo Volto, che la sostenne sempre nelle prove e nella malattia. Morì nel 1945 e le sue spoglie riposano a Roma nell’Istituto "Spirito Santo".


[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Infine, rivolgo con affetto il mio saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare al folto gruppo venuto da Pordenone per onorare la memoria del Cardinale Celso Costantini, del quale è stato presentato due giorni fa a Roma il volume del Diario, dal titolo Ai margini della guerra (1938-1947). Questa pubblicazione è di grande interesse storico. Il Cardinale Costantini, molto legato al Papa Pio XII, la scrisse quando era Segretario della Congregazione di Propaganda Fide. Il suo Diario testimonia l’immensa opera compiuta dalla Santa Sede in quegli anni drammatici per favorire la pace e soccorrere tutti i bisognosi. Saluto, inoltre, il Movimento dell’Amore Familiare che ha promosso alcuni incontri sulle radici cristiane della famiglia e della società, i fedeli provenienti da Sardagna di Trento, quelli di Lallio insieme con i loro amici tedeschi di Schöngeising, la Fondazione "Gigi Ghirotti" per i malati di tumore, l’Associazione Carabinieri da Firenze, i gruppi di ragazzi che hanno ricevuto la Cresima e le varie scolaresche. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


CONQUISTA SCIENTIFICA O PRESUNZIONE CREATRICE? - di La Redazione di Medicina e Persona - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 30 maggio 2010 (ZENIT.org).
Nel recente articolo apparso su Science (1), Craig Venter e il suo gruppo hanno descritto la sintesi chimica del genoma di Mycoplasma mycoides, agente infettivo della pleuropolmonite essudativa dei bovini, e il suo trasferimento nella cellula di un altro batterio, il Mycoplasma capricolum (agente infettivo per la stessa malattia nelle capre), ottenendo così un nuovo microorganismo, Mycoplasma mycoides Jcvi-syn1.0.
Hanno così riprodotto un organismo vivente sintetico, in cui il citoplasma e l’apparato per la sintesi proteica sono derivati dall’organismo originale, e il DNA nucleare è stato interamente rimpiazzato da un DNA sintetizzato in vitro. Questo risultato è stato l’esito di un progetto iniziato più di 10 anni fa, del costo stimato di 40 milioni di dollari, che ha impegnato 20 ricercatori a tempo pieno. È stato ottenuto mediante l’impiego di procedure in parte note e in parte originali, in cui 1078 sequenze da circa 10,000 basi sono state assemblate in 11 composti intermedi di 100,000 basi, fino all’assemblaggio del genoma completo di circa un milione di basi. Il genoma è stato poi trasferito nel microorganismo finale. Le cellule con il genoma sintetico sono in grado di crescere in modo autonomo alla stessa velocità del microorganismo originale, formano colonie che hanno il medesimo aspetto, e sono indistinguibili dall’originale all’analisi proteomica.
Le considerazioni che Venter fa all’inizio dell’articolo sono interessanti per capire le ragioni di questa conquista scientifica: la nostra capacità di ottenere informazioni genomiche è incrementata di otto ordini di grandezza negli ultimi 25 anni, tuttavia la nostra capacità di comprenderle è ad oggi molto limitata. Non siamo in grado di comprendere la funzione di tutti i geni di nessun sistema vivente, inclusi gli organismi unicellulari. Se i cromosomi contengono tutto il repertorio genetico di una cellula batterica, è possibile riprodurre un sistema genetico completo mediante sintesi chimica, partendo solo dalla sequenza di DNA contenuta nel computer?
La ricerca di Venter nasce da questa scommessa, e arriva ad un risultato positivo. Nella discussione si afferma che questo risultato è la prova del principio secondo il quale si possono produrre cellule partendo da sequenze genomiche digitali, e questo approccio dovrebbe essere applicabile anche alla sintesi di genomi più complessi. Si approda cioè alla “cellula sintetica”, in una visione che vede nel futuro la sintesi di organismi più complessi in un’ottica di “biologia sintetica”, la produzione di cellule con caratteristiche inesistenti in natura e finalizzate a impieghi biotecnologici.
Sarà dunque possibile vedere in futuro organismi pluricellulari complessi con caratteristiche disegnate in vitro? Questo non è affatto scontato, perché l’animale e l’uomo sono molto più complessi del micoplasma, e come lo stesso Venter ammette, tuttora non comprendiamo la funzione di molti dei nostri geni. Questo studio può forse avere prospettive terapeutiche per le malattie genetiche? Com’è noto, in tutto il mondo nascono ogni anno otto milioni di bambini con un gravi patologie di origine totalmente o parzialmente genetica. Molti di questi difetti sono monogenici, dovuti cioè al malfunzionamento di un singolo gene. Esistono già sperimentazioni cliniche di terapia genica, e in futuro di ricombinazione omologa, che sostituiscono il gene malato con un gene sano in alcune malattie genetiche quali le immunodeficienze primarie (deficit di ADA, malattia granulomatosa cronica, deficit di adesione leucocitaria, sindrome Wiskott Aldrich) (2). Da un punto di vista puramente clinico, l’efficacia terapeutica di queste sperimentazioni è evidente nei pazienti in cui il trasferimento del gene sano all’interno del genoma delle cellule staminali ematopoietiche avviene con successo (3).
Che rapporto hanno gli studi di Venter con queste ricerche? Entrano in competizione con le sperimentazioni già in corso? Certamente si, dal punto di vista “culturale” - del modo cioè di pensare la ricerca e quindi di affrontare il codice genetico - e dal punto di vista prettamento economico, cioè dei finanziamenti.
La medicina è nata per migliorare le condizioni di salute, in un susseguirsi di tappe e passaggi ineludibili, così come ci insegna la storia della medicina. In questo scenario corrisponde meglio alla categoria della possibilità provvedere a sostituire a fini terapeutici un gene alla volta piuttosto che progettare la creazione di un genoma ex novo. Come ci insegna la vicenda di Icaro, a tutti nota.
Editoriale a cura di M. Bregni, G. Pompilio, C. Isimbaldi


POPIELUSZKO, UN MARTIRE DEL XX SECOLO - Proiettato alla Radio Vaticana il film sul cappellano di Solidarnosc - di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 30 maggio 2010 (ZENIT.org).- Un film straordinario, che racconta la storia di un eroe sconosciuto ai più, padre Jerzy Popiełuszko, testimone e martire di un popolo, quello polacco, che ha sconfitto la dittatura comunista con le armi dell’amore e del vangelo cristiano.
Venerdì 28 maggio alla Radio Vaticana è stato proiettato il film del regista polacco Rafał Wieczyński: “Popiełuszko. Non si può uccidere la speranza”.
Il film racconta la storia di un santo, le cui qualità e vicende sono paradigma della virtù di un popolo, e il cui sacrificio supremo, così simile a quello di Cristo, è stato indicato dal Pontefice Giovanni Paolo II, come il tributo di sangue che ha salvato l’Europa.
Padre Jerzy Popieluszko nacque il 14 settembre 1947 a Okopy provincia di Bialystok. Fu ordinato sacerdote dal Cardinal Stefan Wyszynsky il 28 maggio 1972 a Varsavia. Oltre al lavoro parrocchiale, nella Chiesa di San Stanislao Kostka, svolgeva il suo ministero tra gli operai organizzando conferenze, incontri di preghiera anche per medici ed infermieri, assisteva gli ammalati, i poveri, i perseguitati.
Per il suo coraggio, la difesa dei diritti umani, la richiesta di libertà e giustizia, la capacità di amare anche i suoi persecutori, divenne subito una minaccia per il regime dittatoriale.
Padre Popieluszko aiutava tutti gli operai, dava loro coraggio, li educava all’amore fraterno, li invitava a non reagire quando venivano colpiti, li confessava, sosteneva le loro famiglie. Gli insegnava a rispondere con preghiere e canti sacri e patriottici alle minacce e alle aggressioni. Sosteneva Solidarnosc nelle sue battaglie per garantire migliori condizioni sociali, per la libertà, la giustizia, il progresso.
Tentarono in vario modo di minacciarlo e spaventarlo. Uccisero i figli e i parenti delle persone a lui più vicine. Qualcuno dei suoi collaboratori cedette alle minacce e divenne una spia dei servizi segreti. Ma padre Popieluszko, non cedette mai alle provocazioni. Mai si piegò al sentimento di odio. Nel film, in un momento molto duro, quando scopre di essere tradito e prossimo alla paura, quando i suoi amici non ne possono più dell’oppressione e del terrore, si riporta una sua frase: “combatto il peccato non le sue vittime”.
Questa sua capacità eroica di amare tutti cristianamente, lo rendono libero e invincibile. Il regime non sa cosa fare. Cercano di screditarlo e di accusarlo di cospirazione politica, ma padre Popieluszko non parla mai di politica.
La situazione sta per precipitare e la Chiesa prova a convincerlo di riparare a Roma, ma padre Popieluszko è cosciente della sua missione e va avanti, fiducioso, ubbidiente e fedele a Cristo.
Così il 19 ottobre 1984 di ritorno da un servizio pastorale da Bydgosszcz a Gorsk vicino a Torun viene rapito da tre funzionari del Ministero dell’Interno, selvaggiamente picchiato e seviziato.
Pur legato dentro al cofano dell’auto cerca di fuggire. I persecutori lo braccano, lo colpiscono ancora più violentemente, lo sfigurano, lo legano tra bocca e gambe, in modo che non possa distendersi senza soffocare. Gli stringono un masso ai piedi e lo buttano ancora vivo in un fiume. Aveva 37 anni.
Il regime pensa di aver messo a tacere il più coraggioso dei suoi oppositori, e invece è il segno della sua fine. Da lì a poco non solo la Polonia sarà liberata, ma l’intero sistema comunista collasserà.
Nonostante le minacce e la violenza, oltre mezzo milione di persone sfilò al funerale di padre Popieluszko.
Tra i giovani che sfilarono oranti dietro a quella bara, c’era il regista del film Rafał Wieczyński, il quale ha rivelato a Radio Vaticana: “avevo 16 anni quando partecipai ai funerali di padre Popiełuszko. Insieme a 600 mila persone riuscivo a percepire i sentimenti della gente in quel periodo. E’ diventato una sorta di maestro, una figura con la quale mi confrontavo e volevo che la nuova generazione provasse le sensazioni di quei tempi, quando la gente era unita fondandosi sui valori del Vangelo”.
Da allora la tomba di padre Popiełuszko che si trova accanto alla chiesa di San Stanislao Kostka, a Varsavia, è meta continua di pellegrinaggi di fedeli provenienti dalla Polonia e dal mondo intero.
Il 14 giugno 1987 Papa Giovanni Paolo II ha pregato sulla sua tomba, senza avere la possibilità di gridare al regime e al mondo le virtù e la grandezza di padre Popieluszko.
A tutt’oggi oltre 18 milioni si sono soffermati sulla tomba di padre Popieluszko, e domenica 6 giugno verrà proclamato Beato.
Intervistato da ZENIT, il regista del film ha rivelato che in Polonia “il film è stato visto da un milione e trecentomila persone. Molto importante il fatto che sia stato visto nelle scuole da studenti che non hanno mai saputo che cosa è stata la dittatura comunista”.
L’edizione italiana del film ha avuto poca pubblicità e solo in 15.000 lo hanno visto, ma l’edizione home video dell’opera sarà diffusa nelle edicole allegata alle riviste “Panorama”, “Tv Sorrisi e Canzoni” e “Ciak” da venerdì 4 giugno.
Prima della proiezione che è avvenuta nella Radio Vaticana, Hanna Suchocka, già Primo Ministro Polacco, membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e attuale Ambasciatore presso la Santa Sede ha spiegato che “nella Chiesa non sono mancati uomini e donne, che hanno testimoniato Cristo fino alla fine”. Ma la figura di padre Popiełuszko è tuttavia “eccezionale, perchè è un eroe contemporaneo che ha testimoniato come si può vincere il male con il bene” .
“Padre Jerzy Popiełuszko era soprattutto un testimone di Cristo – ha sottolineato la Suchocka, - un sacerdote che viveva e lavorava per gli uomini”.
“Forse adesso, - ha aggiunto - quando ci avviciniamo alla conclusione dell’Anno Sacerdotale, vale la pena di ricordare la figura di Popiełuszko come esempio spirituale di chi, nonostante la fragile salute, è rimasto grande nella sua capacita di accettare la grazia di Dio”.
L’Ambasciatore polacco ha voluto poi cogliere un altro aspetto della figura di padre Jerzy, affermando che “padre Popieluszko era una persona libera dentro, nonostante le pressioni che venivano esercitate nei suoi confronti dalle autorità, dal suo ambiente e dai suoi collaboratori”.
“Forse è questa libertà che i suoi carnefici volevano soffocare – ha aggiunto –. Ma il suo sacrificio non è stato invano, la Polonia è stata liberata e il suo ricordo è rimasto vivo nella memoria e nei cuori dei Polacchi”.
Nel film spezzoni di telegiornale in bianco e nero si alternano con le vicende di vita quotidiana. Pur non denunciando mai in forma esplicita la dittatura comunista, la pellicola è una delle testimonianze più forti circa la crudeltà e disumanità di quel regime.
Così, come il film “Schindler's list” ha denunciato l’orrore del regime nazista, il film “Popiełuszko. Non si può uccidere la speranza” mostra gli orrori dei regimi socialisti.
In entrambi i casi vince l’umanità che di fronte ai peggiori orrori della storia, riesce a sopravvivere credendo e confidando in Dio.


1033 bambini scomparsi nel 2009 - nel silenzio quasi generale…- Sono 1033 i minori scomparsi e ancora non ritrovati in Italia nel 2009. Questo il dato fornito dalla Direzione centrale anticrimine della polizia e diffuso nel corso del convegno ‘La scomparsa e lo sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti: quali strategie e interventi?’ organizzato dall’associazione Telefono Azzurro, in occasione della “Giornata internazionale dei bambini scomparsi”.
Dal primo gennaio al 4 marzo 2010 le segnalazioni sono state già 222. Il ministero dell’Interno ha calcolato che in Italia i minori scomparsi e ancora da rintracciare dal primo gennaio 1974 al 31 ottobre 2009 sono 10.768, di cui 1.994 italiani e 8.774 stranieri. E dal 2007 al 2009 si è verificato un costante incremento dei casi.
Dietro il fenomeno dei minori scomparsi in Italia potrebbe celarsi anche il traffico internazionale di organi, come l’anno scorso aveva denunciato il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Un rischio evidenziato nuovamente anche in questi giorni dal presidente della Commissione parlamentare per l'Infanzia e l'adolescenza, Alessandra Mussolini.
Si tratta di un terribile dramma, ma purtroppo se ne parla un giorno, al massimo due, e poi cala uno strano silenzio…


I trapianti e i mille bimbi scomparsi

Caro Direttore,
permettimi di fare una brevissima aggiunta all’articolo sui trapianti che ha suscitato diverse reazioni negative come se il traffico di organi fosse una mia fissazione. Il ministero dell’Interno ha comunicato in questi giorni la cifra dei bambini scomparsi in Italia nel 2009: mille. Mille bambini, caro Direttore, non due o tre o dieci, che possono essere scappati da casa o aver perso la strada; e in Italia, non in qualche landa sperduta del terzo o quarto mondo. Nessuno, però, ha commentato un dato così sconvolgente, né ha fatto ipotesi o si è posto domande, mettendo in atto quell’abituale strategia del silenzio che denunciavo e che rappresenta di per sé una prova che ci troviamo nell’ambito dei trapianti. Perfino i Carabinieri non parlano. Eppure loro sanno. Qualcosa sicuramente sanno. Non possiamo credere che siano tanto bravi a correre dietro ai carichi di droga o alle tangenti degli appaltatori, e che viceversa non siano in grado di trovare neanche il più piccolo indizio sulla scomparsa di mille bambini. Neanche uno straccio di «intercettazione» da fornire a chi, come noi, è angosciato mille volte di più dal traffico di organi che non da quello delle escort. C’è qualcuno che impedisce loro di parlare? Vorrei saperlo.
di Ida Magli - Il Giornale domenica 30 maggio 2010

DATI FORNITI DAL MINISTERO DELL’INTERNO
Suddivisione regionale dei minori italiani e stranieri per i quali sono state attivate le segnalazioni di ricerca sul territorio.
Anno 2009
http://www.bambiniscomparsi.it/it_IT/PDF/MS_2009.pdf
Anno 2008
http://www.bambiniscomparsi.it/it_IT/PDF/MS_2008.pdf
Anno 2007
http://www.bambiniscomparsi.it/it_IT/PDF/MS_2007.pdf


Che cosa voglio di più - Curatore: Fortunato, Simone - Regista: Silvio Soldini - Voto: 6/10 - domenica 30 maggio 2010
Due amanti consumano il loro amore segreto in una Milano frenetica.
Sembra di essere in un carcere, e in uno dei più duri, dove però la cella è la tua casetta, il tuo mutuo, il lavoro massacrante, l’ansia di arrivare alla fine del mese, il capo con il braccino corto e il sabato sera davanti a un dvd a noleggio. E poi ci sono i figli che, va da sé, sono solo fatica. L’ultimo film di Soldini parla ancora di persone in trappola, come già in “, dove si seguivano, in un crescendo di ansia e speranze deluse, le disavventure di un uomo che aveva perduto il lavoro; così si segue, con altrettanto disagio, la parentesi, quasi una vacanza, sessuale dei due protagonisti, gli ottimi Alba Rohrwacher e Pierfrancesco Favino. Il disagio è notevole e direttamente proporzionale al realismo anche nei dettagli più piccoli, con cui Soldini incornicia il suo dramma. E’ vero, è vita dura per la classe media sempre più fragile nei momenti di crisi: il lavoro che sembra non pagare mai, l’ansia da conto in rosso, la casa come un campo di battaglia in cui i figli sono spesso, inconsapevolmente, delle micce accese per l’incendio che verrà. E ancora: la famiglia un po’ ingombrante dei suoceri, il rapporto d’amicizia con i vicini di casa. Soldini, con poche parole e molti fatti, mostra una crisi evidente alla quale non c’è scampo, come ci ricorda un finale prevedibilmente cupo. Non c’è differenza tra la vita “normale” dei due protagonisti con i rispettivi compagni, e la parentesi sessuale che i due amanti si prendono strappandosi alla vita di tutti i giorni. E’ vita grigia, senza prospettive, forse anche squallida come sono i squallidi i motel a ore dove i due amanti si accucciano a cadenza settimanale. Non c’è rapporto che duri, né quello degli amanti, né quello dei coniugi. L’amore non regge perché non si intravvede nemmeno da lontano un orizzonte buono e positivo. Forse, a ben vedere, perché l’amore di solito è un “tu”, è un rapporto, e in Soldini invece diventa un affare solitario, da coltivare nel segreto della propria mente e da conservare nell’archivio della memoria del cellulare. E’ significativo a questo proposito che i due protagonisti non solo, letteralmente, girano a vuoto, non vanno da nessuna parte (compreso il viaggio in Egitto, di cui significativamente si vede poco o nulla), ma non hanno nessuno con cui dividere un giudizio, un’opinione, un riscontro su questo rapporto che nel bene e nel male è capitato, e con cui bisognerà pure fare i conti. E invece no: non un amico, non un conforto, con l’eccezione, piccola ma non banale, del suocero del protagonista. E’ una partita, quella dell’amore, da giocarsi in due, in coppia, tra le lenzuola calde di un albergo. Con l’esito, terribile, che in un rapporto diventi più necessaria la pillola anticoncezionale che il giudizio, magari inadeguato ma gratuito, di un amico. E allora: che cosa vogliamo di più ? Davvero, non il sesso selvaggio, non una casa più accogliente, nemmeno, forse una moglie più comprensiva o dei figli più tranquilli. No. Dateci un amico, un amico vero.


Responsabilità dei «magisteri paralleli» - Autore: Romano, Giovanni - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 30 maggio 2010

Caro Don Gabriele,

l’amico Gianfranco Amato mi ha proposto d’intervenire nel dibattito sui sondaggi e la bioetica. Non credo di essere particolarmente qualificato per intervenire ma seguendo il suo suggerimento vorrei rispondere sui punti che Lei ha sollevato.
1. C’è ben poco da aggiungere a quanto ha detto Lei e all’arido linguaggio delle cifre. Il fatto che dei cattolici praticanti e non solo anagrafici mostrino una tale distanza dall’insegnamento della Chiesa non è solo il sintomo di una grave approssimazione dottrinale nelle parrocchie, ma peggio ancora è la prova che a livello più alto esistono dei “magisteri paralleli” che consapevolmente censurano o distorcono il magistero del Papa. E’ la conseguenza, secondo me, di aver appiattito per troppi anni la dottrina della Chiesa in una dimensione intramondana dove la solidarietà per gli “ultimi” si colora abbondantemente di sentimentalismo, senza ancorarsi a nessun criterio oggettivo. Che cosa rende cattolico un pensiero o una posizione? La disponibilità a confrontarsi con il Magistero e agire di conseguenza.
2. L’appartenenza ecclesiale genera indubbiamente una posizione originale nei riguardi del “mondo”. Non è scontato, o non è più scontato, ad esempio, prendersi cura di una vita allo stadio terminale. Non è scontato stare di fronte a chi muore o a chi nasce con gravissime malformazioni se non si ha nulla cui fare riferimento. La caratteristica di una posizione di appartenenza dovrebbe essere appunto la capacità di non fuggire di fronte alla realtà.
3. Secondo me il denominatore comune tra ateismo e agnosticismo consiste nella pretesa di autosufficienza. Può variare il grado d’intensità e di militanza, ma la base è comune. Ciò non toglie che alcune posizioni siano più disposte al dialogo di altre.
4. Quali sono le condizioni di un vero dialogo? Non certo la rinuncia alle proprie posizioni ma al contrario la passione per quello che si è incontrato. Questo fa valorizzare ogni spunto di verità e di sincerità presente nell’altro. Mi è capitato di discutere accanitamente via Facebook con un amico molto ateo, e di restare a bocca aperta (letteralmente!) di fronte a una sua affermazione: “Da quando ti ho conosciuto, ho cancellato l’iscrizione a molti gruppi atei e anticlericali perché mi sono accorto di quanto fossero stupidi e volgari”. Era l’ultima cosa che mi sarei aspettato! Noi cristiani non dovremmo mai sottovalutare il tesoro che portiamo nei nostri vasi di creta, guai a noi se lo annacquassimo! Quanto agli “atei devoti” prima di tutto bisognerebbe rifiutare questo termine spregiativo imposto dai media laici. Io parlerei di laici aperti alla fede. Certo c’è il rischio di strumentalizzare la religione, ma la loro posizione è degna della massima attenzione e rispetto. Senz’altro meglio di chi rifiuta la fede in quanto tale e le nega qualsiasi dignità.
5. “L’identità tra atto umano, atto morale e atto ragionevole ha ancora validità?”. Penso di sì, specialmente quando consideriamo che, ad esempio, creare una vita in laboratorio dove nulla è lasciato all’imprevedibile e alla gratuità, completamente finalizzata ai nostri scopi, sarebbe sentita come un atto assolutamente disumano. E’ umano, morale e ragionevole un gesto che lascia spazio a una dimensione oltre l’uomo, un gesto che non appartenga solo a una razionalità puramente strumentale.
6. Sull’intolleranza dell’UAAR non mi pronuncio. Se vogliono vivere sempre nel risentimento e se hanno sempre bisogno di un nemico è un problema loro.
7. “Le ragioni per difendere la vita sono universali?”. Agli occhi delle persone ragionevoli dovrebbero esserlo, pena l’estinzione della società in quanto tale. Ma siamo in una cultura dove l’ideologia è davvero diventata “l’intelligente destituzione del visibile”, come aveva intuito Hannah Arendt.
8. “La ragionevolezza di una posizione è determinata dalla educazione ricevuta e dalla tradizione in cui si è nati e cresciuti?”. Secondo me è un problema di libertà. L’appartenenza a una tradizione – specialmente quando viene assunta in modo acritico, come scriveva don Giussani – non è automaticamente indice di ragionevolezza. Certo una tradizione favorisce, ma in un’epoca che mette tutto in discussione occorre un lavoro per riscoprirne il valore e tornare a farla propria. Ancora Don Giussani citava questa splendida massima di Goethe: “Quel che hai ereditato dai tuoi padri riguadagnatelo per possederlo”.
9. Ai sondaggi, come agli exit-poll, si può far dire tutto e il contrario di tutto, e il modo di porre le domande è anche un modo di manipolare le risposte. Tuttavia credo che stavolta le cifre abbiano ragione. Il mondo cattolico è in una fase di grande confusione e disorientamento. Non è solo e nemmeno principalmente un problema di disciplina quanto di recupero della verità. Se i cattolici, specialmente i sacerdoti e i vescovi, pensassero di rendersi bene accetti al mondo dicendogli quel che gli piace sentirsi dire, tradirebbero non solo la Chiesa ma anche l’umanità, che da loro si aspetta “le risposte che non si trovano su Google”, e si condannerebbero all’irrilevanza e al disprezzo.


“Per i pedofili l’inferno sarà più duro” - GIACOMO GALEAZZI - CITTÀ DEL VATICANO - © Copyright La Stampa, 30 maggio 2010
Il Vangelo maledice i pedofili e l’inferno sarà ancora più duro per i preti che abusano dei minori. In un solenne atto penitenziale nella Basilica vaticana e in vista del monito che Benedetto XVI lancerà tra dieci giorni all’incontro mondiale del clero, Charles Scicluna, promotore di giustizia dell’ex Sant’Uffizio, trasforma in anatema la «preghiera di riparazione» a San Pietro: la peggiore dannazione attende i rappresentanti del clero che hanno violentato bambini.
Con parole pesanti come macigni, il pm che indaga i sacerdoti pedofili inquadra teologicamente la linea di «tolleranza zero» divenuta obbligatoria malgrado le resistenze di settori della gerarchia ecclesiastica. Il Pontefice persegue la «purificazione» della Chiesa dal «marciume» e nessuna omissione di vigilanza e di denuncia sarà più tollerata. Dopo i nuovi capi degli episcopati nazionali (Schönborn, Léonard, Zollitsch, Bagnasco) ieri è intervenuto un altro «ratzingeriano» che occupa un ruolo-chiave in Curia per marcare la netta discontinuità rispetto agli insabbiamenti e alle coperture del passato.
Quindi la Santa Sede dichiara ufficialmente che le pene dell’inferno aspettano tutti coloro che si sono macchiati del peccato di pedofilia, ma saranno ancora più dolorose per i religiosi che abusano dei minori. E a rilanciare la «terribile» condanna del Vangelo e dei Padri della Chiesa è stato, significativamente, il giudice ecclesiastico incaricato di seguire le denunce per pedofilia che giungono da tutto il mondo in Vaticano. Monsignor Scicluna ha preso spunto dal Vangelo di Marco in cui Gesù avverte che chi «scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare». Non a caso ha voluto commentare il brano attraverso la nettissima condanna di San Gregorio Magno.
«Chi dopo essersi portato ad una professione di santità distrugge altri tramite la parola, con l’esempio, sarebbe davvero meglio per lui che i suoi malfatti gli fossero causa di morte essendo secolare (ossia non religioso) piuttosto che il suo sacro ufficio lo imponesse come esempio per altri nelle sue colpe, perché tendenzialmente se fosse caduto da solo il suo tormento nell’inferno sarebbe di qualità più sopportabile». Da stretto collaboratore del Papa, Scicluna ha evocato un’immagine degli inferi, la valle della Geenna dell’Antico Testamento, anche per mettere in guardia i religiosi di oggi dalle amicizie a dai legami che possono trasformarsi in peccato. «Se il mio amico, il mio compagno, la persona a me cara è per me occasione di peccato, è per me un inciampo nel mio peregrinare, io non ho altra scelta, secondo il criterio del Signore, se non di tagliare questo legame», avverte. «Chi negherebbe lo strazio di una tale scelta? Non è forse questa una crudele amputazione? Eppure il Signore è chiaro: è meglio per te entrare da solo nel Regno, senza una mano, senza un piede, senza un occhio, che con il mio amico andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile». Dunque è’«doloroso ma necessario» il «dovere dei vescovi di perseguire con assoluta severità gli abusi sessuali del clero, escludendo i colpevoli dal ministero sacerdotale e deferendoli ai giudici competenti».
© Copyright La Stampa, 30 maggio 2010


IL CASO - UNA DELIBERA ELENCA TRA LE CONTROINDICAZIONI UN QI INFERIORE A 70 - Disabili mentali discriminati - «Niente trapianti in Veneto» - L’attacco di tre esperti su una rivista americana L’assessore Coletto: per loro solo più attenzioni - In sala operatoria Nel 2009 il Veneto ha eseguito 438 trapianti - http://corrieredelveneto.corriere.it - Michela Nicolussi Moro - 29 maggio 2010
VENEZIA—Proprio alla vigilia della «XII Giornata nazionale della donazione» di scena domani e dopo il «sì» del ministero della Salute ai donatori samaritani, il Veneto — che nel 2009 ha già visto aumentare dal 21,6% al 27,3% i rifiuti al prelievo di organi — si ritrova al centro di una bufera internazionale perchè accusato di discriminare i pazienti candidati al trapianto. L’attacco parte dai professori Nicola Panocchia e Maurizio Bossola, nefrologi del «Gemelli» di Roma, e da Giacomo Vivanti, psicologo dell’Università della California, che in un articolo pubblicato sull’ «American Journal of Transplantation » denunciano: «Le linee guida della Regione Veneto indicano il ritardo mentale come una controindicazione al trapianto e di fatto escludono pazienti con disabilità intellettiva da questa procedura salvavita». «Tali disposizioni—affermano i medici — non trovano nessuna giustificazione di tipo etico, clinico o giuridico. Che il ritardo mentale medio o grave sia una controindicazione al trapianto è una disposizione discriminatoria priva di logica e tanto più grave se perpetrata da un’istituzione pubblica. Non c’è nessuna prova scientifica che giustifichi l’esclusione dei disabili intellettivi». Specifica Bossola: «Tutte le Regioni adottano dei criteri per l’inserimento dei pazienti in lista d’attesa ma il criterio di esclusione è una malattia psichiatrica grave, che ridurrebbe la possibilità di adesione alle terapie antirigetto. Invece nelle linee guida del Veneto c’è un criterio di controindicazione assoluta all’inserimento di persone con ritardo mentale, stimato peraltro usando una misura grossolana, quella del quoziente intellettivo».

Tra gli esclusi, avverte il nefrologo, finirebbero bimbi Down o autistici. Il j’accuse si riferisce all’allegato A della delibera 851 del 31 marzo 2009, che recita: «L’esperienza clinica degli ultimi anni ha messo in luce la necessità di individuare le problematiche psichiche e sociali del paziente candidato al trapianto d’organi, al fine di prevenire o arginare eventuali complicanze psichiche post-trapianto». Seguono due elenchi. Il primo nelle «controindicazioni assolute» indica anche il «ritardo mentale con QI inferiore a 50»; il secondo nelle «controindicazioni relative» (richiedono «attenta valutazione psichica del paziente e del sistema sociofamiliare in cui è inserito») include il «ritardo mentale con QI inferiore a 70». Il tutto, agli occhi dei critici, aggravato dalla seguente frase inserita in delibera: «La possibilità di usufruire del trapianto trova ancora una limitazione nella scarsità di organi disponibili. Ciò rende assolutamente necessario prestare particolare attenzione alla selezione dei pazienti». Apriti cielo. «Le discriminazioni in base a criteri psichici sono ingiuste come quelle basate su sesso, età, etnia e vanno eliminate», tuona Adriano Pessina, direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica.

Immediata la reazione dell’assessore veneto alla Sanità, Luca Coletto: «Abbiamo il dovere di porci tutti i problemi che possano portare al fallimento di un trapianto, anche perchè nessuno al mondo dispone di tanti organi quanti sono i richiedenti. Nel caso di soggetti con ritardo mentale il Veneto si rifà alla letteratura scientifica internazionale, che definisce quelli con QI inferiore a 70 pazienti non da escludere ma ai quali porre particolare attenzione, perché presentano controindicazioni da valutare attentamente. Si tratta di capire se siano in grado di seguire le complicate terapie post-intervento — prosegue Coletto — se abbiano una famiglia che li assista, se i comportamenti legati alla loro condizione possano nuocere al buon esito del trapianto nel tempo. Porterò il tema al Coordinamento degli assessori alla Sanità delle Regioni, per giungere ad una condivisione ». Un salvagente lo lancia intanto Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale Trapianti: «Posso garantire che nel Veneto, regione capofila, a nessun paziente con ritardo mentale è stato mai negato l’intervento. Anche i disabili, mentali o fisici, hanno pari diritto al trapianto se possono beneficiare dell’organo donato sia in termini di attesa di vita sia perchè in grado, in autonomia o con adeguata assistenza, di fruirne al meglio. Le linee guida venete, documento corretto e dettagliato, citano studi internazionali per dire che il problema esiste, ma le tabelle riportate non hanno valore operativo di screening dei candidati al trapianto».
Michela Nicolussi Moro - 29 maggio 2010


Un fatto inaudito - Pigi Colognesi - lunedì 31 maggio 2010 – ilsussidiario.net
Fin dall’ultima settimana di aprile avevo pensato che uno dei successivi editoriali l’avrei dedicato a Maria, ricordata con specialissima intensità e tenerezza durante il mese di maggio. Ma poi non mi veniva lo spunto, ogni idea mi sembrava banale e mi sono ridotto a sfruttare l’ultimo giorno utile. Il materiale a disposizione era in realtà pressoché infinito: bastava dare un’occhiata alla storia dell’arte, sfogliare qualche antologia letteraria, fare un giro fra città, campagne e vallate strapiene di segni di devozione alla Madonna. O passare una domenica in qualche santuario mariano, dove un popolo fatto di gente normale si rivolge fiducioso alla Madre del cielo.
Eppure qualcosa non andava. Ho dovuto così ammettere di essere lontano dalla semplicità di quel popolo, dalla carnale confidenza che ha costruito i capolavori d’arte, dettato le pagine di poesia, suscitato le note degli infiniti canti popolari. Subisco la tentazione di un cristianesimo intellettuale, dove prevale la teoria, l’analisi, il discorso. Invece in quella giovane ragazza si è trattato solo di fatti, di cose e di accadimenti.
Quando la civiltà non era ancora intaccata dal tarlo dell’intellettualismo si dava privilegio ai fatti; per questo i medievali amavano così tanto le reliquie. Comprese quelle della Madonna.
Naturalmente non si trattava del suo corpo, assunto in cielo, ma di oggetti a lei legati. Come il velo che portava quando è nato Gesù e che l’imperatore Carlo il Calvo nell’876 donò alla Chiesa di Chartres.
Vescovo, clero e popolo ingrandirono a più riprese la vecchia cattedrale per onorare una reliquia così importante; fino alla maestosa costruzione romanica dell’inizio dell’anno mille.
Ma nel 1194 un disastroso incendio distrusse il magnifico edificio.
Persino la preziosissima reliquia sembrava perduta. Il senso cristiano dei fedeli capì subito che la disgrazia era un segno del cielo che invitava alla conversione. E grandissima fu la gioia quando, tra le macerie, fu ritrovato il santo velo. Iniziò allora l’opera di ricostruzione. Ha scritto Huysmans: «In Francia a quei tempi la Madonna era amata: come si ama colei che ci ha partorito, come si ama un’autentica madre. Alla notizia che Lei, scacciata dall’incendio, è costretta ad errare in cerca di un rifugio, tutti si affliggono, scoppiano in pianto sconvolti; le popolazioni lasciano a mezzo i loro affari, abbandonano le loro case per correre in suo soccorso».
E in pochi decenni sorse la nuova, splendida cattedrale, coi suoi magnifici portali zeppi di statue, con le sue vetrate nelle quali ogni corporazione di mestieri ricollegava il proprio lavoro alla storia sacra, con le sue guglie inconfondibili, che da lontano salutano il pellegrino. La reliquia della Madonna aveva ritrovato la sua degna dimora.
Ma poi è venuto il cristianesimo intellettuale. Quando ho visitato Chartres il velo della Vergine se ne stava dimenticato in una cappella laterale, scura, un po’ polverosa, con un cartello esplicativo che parlava di vecchie credenze e di leggende medievali. Le guide turistiche si concentravano piuttosto sulle innovazioni formali del gotico francese o sulle tecniche usate dai mastri vetrai. Come se quella gente avesse fatto il capolavoro della cattedrale per solleticare i gusti estetici dei loro pronipoti o le ambizioni intellettuali dei turisti. Invece l’hanno edificata per una “cosa”, il velo della Madre di Dio, piccolo segno di un fatto inaudito.
E se anche fosse stata una reliquia inventata, oltre mille anni di preghiera la rendono più significativa di tutte le nostre elucubrazioni.