Nella rassegna stampa di oggi:
1) Cristo non ostacola la vita né la libertà, Papa Benedetto XVI
2) Presentato il programma del Meeting di Rimini 2008
3) L’ultimatum del Vaticano ai ribelli di Lefebvre: pace se accettate il Concilio
4) Se cerchi la verità, l'antropologia ti può aiutare, di Marcelo Sánchez Sorondo Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
5) MASCHIO O FEMMINA: realtà o scelta? S.E. Card. Carlo Caffarra
Messaggio del Papa ai giovani partecipanti al congresso eucaristico internazionale
Cristo non ostacola la vita né la libertà
Un messaggio particolare il Papa ha voluto indirizzare ai giovani che, numerosi, hanno partecipato al quarantanovesimo congresso eucaristico internazionale celebratosi a Québec, in Canada, e conclusosi domenica 22 giugno. Nel messaggio il Papa ha invitato i giovani ad annunciare "senza paura" il Cristo che libera.
Cari giovani,
Da Roma, sono lieto di salutarvi e di assicurarvi della mia preghiera mentre siete riuniti in occasione del quarantanovesimo Congresso eucaristico internazionale di Québec. Gioisco nel vedere la vostra attenzione per il mistero dell'Eucaristia, "dono di Dio per la vita del mondo", come sottolinea il tema del Congresso. Vi invito a meditare incessantemente questo "grande mistero della fede", come noi lo proclamiamo in ogni Messa, dopo la consacrazione. In primo luogo, nell'Eucaristia riviviamo il sacrificio del Signore al termine della sua vita, mediante il quale salva tutti gli uomini. Restiamo così vicini a Lui e riceviamo in abbondanza le grazie necessarie alla nostra vita quotidiana e alla nostra salvezza. L'Eucaristia è per eccellenza il gesto dell'amore di Dio per noi. Cosa c'è di più grande di donare la propria vita per amore? In ciò Gesù è il modello del dono totale di sé, cammino lungo il quale dobbiamo ugualmente procedere nella sua sequela.
L'Eucaristia è altresì un modello del cammino cristiano, che deve forgiare tutta la nostra esistenza. È Cristo che ci invita a riunirci, per costituire la Chiesa, il suo Corpo in mezzo al mondo. Per accedere alle due mense della Parola e del Pane, dobbiamo innanzitutto accogliere il perdono di Dio, quel dono che ci risolleva nel nostro percorso quotidiano, che ripristina in noi l'immagine divina e che ci mostra fino a che punto siamo amati. Poi, come al fariseo Simone, nel Vangelo di Luca, Gesù si rivolge continuamente a noi attraverso la Scrittura: "Ho una cosa da dirti" (7, 40). In effetti, ogni parola della Scrittura è per noi una parola di vita, che dobbiamo ascoltare con molta attenzione. In modo particolare, il Vangelo costituisce il cuore del messaggio cristiano, la rivelazione totale dei misteri divini. Nel suo Figlio, la Parola fattasi carne, Dio ci ha detto tutto. Nel suo Figlio, Dio ci ha rivelato il suo volto di Padre, un volto di amore, di speranza. Ci ha mostrato il cammino della felicità e della gioia. Durante la consacrazione, momento particolarmente forte dell'Eucaristia perché ricordiamo il sacrificio di Cristo, siete chiamati a contemplare il Signore Gesù, come san Tommaso: "Mio Signore e mio Dio" (Giovanni, 20, 28). Dopo aver ricevuto la Parola di Dio, dopo esservi nutriti del suo Corpo, lasciatevi trasformare interiormente e ricevete da Lui la vostra missione. In effetti, Egli vi manda nel mondo, per essere portatori della sua pace e testimoni del suo messaggio d'amore. Non abbiate paura di annunciare Cristo ai giovani della vostra età. Mostrate loro che Cristo non ostacola la vostra vita, né la vostra libertà; mostrate loro al contrario che Egli vi dona la vera vita, vi rende liberi per lottare contro il male e per fare della vostra esistenza qualcosa di bello.
Non dimenticate che l'Eucaristia domenicale è un incontro amorevole con il Signore di cui non possiamo fare a meno. Quando lo riconoscete "nella frazione del pane", come i discepoli di Emmaus diventerete suoi compagni. Vi aiuterà a crescere e a dare il meglio di voi. Ricordate che nel pane dell'Eucaristia Cristo è realmente, totalmente e sostanzialmente presente. Pertanto, è nel mistero dell'Eucaristia, nella messa e durante la silenziosa adorazione dinanzi al Santissimo Sacramento dell'altare che lo incontrerete in modo privilegiato. Aprendo il vostro stesso essere e tutta la vostra vita sotto lo sguardo di Cristo non verrete schiacciati, al contrario, scoprirete che siete infinitamente amati. Riceverete la forza di cui avete bisogno per costruire la vostra vita e per compiere le scelte che vi si presentano ogni giorno. Dinanzi al Signore, nel silenzio del vostro cuore, alcuni di voi potrebbero sentirsi chiamati a seguirlo in una maniera più radicale nel sacerdozio o nella vita consacrata. Non abbiate paura di ascoltare questa chiamata e di rispondere con gioia. Come ho detto all'inizio del mio Pontificato, Dio non toglie nulla a coloro che si donano a lui. Al contrario, dà loro ogni cosa. Riesce a tirare fuori il meglio che c'è in ciascuno di noi, affinché la nostra vita possa veramente fiorire.
A voi, cari giovani, e a tutti i partecipanti al Congresso eucaristico internazionale di Québec, imparto un'affettuosa Benedizione Apostolica.
(©L'Osservatore Romano - 23-24 giugno 2008)
Presentato il programma del Meeting di Rimini 2008
Dal 24 al 30 agosto sul tema “O protagonisti o nessuno”
di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 23 giugno 2008 (ZENIT.org).- Protagonisti della propria vita significa “offrire un’ esperienza umana generata dalla fede cristiana che induce speranza”. Così Emilia Guarnieri ha presentato a Roma, mercoledì 19 giugno, la 29° edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli intitolata: “O protagonisti o nessuno”.
Con le sue oltre 700mila presenze medie, 400 mostre, 3000 incontri, 5000 personaggi, e i circa 850 giornalisti accreditati durante l’ultima edizione, il Meeting è il festival estivo di incontri, mostre, musica e spettacolo più frequentato del mondo.
Organizzato da 11 persone a tempo pieno e oltre 3.000 volontari, il Meeting è secondo gli animatori di Comunione e Liberazione “un grande evento sociale, una festa, un luogo dove si celebra la gloria terrena di un Dio creatore e amico”.
“Ma è soprattutto - sottolineano gli organizzatori - un gesto di gratuità: migliaia di persone, di ogni età e condizione sociale, che donano tempo ed energie per realizzare la manifestazione”.
In merito al tema di quest'anno, la Presidente del Meeting ha spiegato che “se il protagonista di oggi è colui che cerca solo il successo” allora si rischia solo “l'illusione di esserci” in un “triste e vuoto formalismo” alimentato da “scetticismo e cinismo”.
La Guarnieri ha denunciato questo tipo di “cultura che non educa, che non comunica più il senso della vita”. E se la vita è così fatta, “si diventa passivi, si vive di rimessa”.
Di qui la provocazione lanciata dal Meeting, che ha l’obiettivo di porre a tema “una sfida positiva”, ovvero, ha precisato la Guarnieri “chiediamoci se oggi esistano uomini capaci di paragonarsi con il reale, scoprendo, rischiando. Persone che attraverso la loro esperienza e il loro lavoro sono in grado di offrire un’ esperienza umana generata dalla fede cristiana che induce speranza”.
A questo proposito la Presidente del Meeting ha ricordato le parole di don Giussani secondo cui “protagonisti non vuole dire avere la genialità o la spiritualità di alcuni, ma avere il proprio volto, che è, in tutta la storia e l’eternità, unico e irripetibile”.
Alla presentazione del Meeting è intervenuto Sandro Bondi, Ministro per i Beni e le Attività culturali, il quale ha riconosciuto che “la politica ha oggi bisogno di autentici protagonisti, di testimonianze che siano un esempio perchè capaci di dimostrare coerenza tra ciò che enunciamo e ciò che poi facciamo realmente”.
Il Ministro ha quindi indicato un “protagonismo che dia un senso alla nostra vita, che abbia un nesso con la radice dell'esperienza umana”.
Enrico Letta, parlamentare del Partito Democratico, ha parlato del Meeting di Rimini come di una “free zone”, un “luogo di dialogo” dove poter davvero discutere.
Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle Opere (Cdo), ha invece toccato il tema dell’emergenza educativa.
"La questione educativa - ha sostenuto - per noi non è ai margini ma centrale: per questo che faremo alcuni incontri se volete dal punto di vista imprenditoriale, ma che avranno sempre come tema l’educazione”.
“Sono personalmente convinto – ha aggiunto Scholz - che l’impresa oggi, qualunque essa sia, piccola o grande che sia, sta diventando sempre di più un momento dove il lavoro contribuisce non solo alla formazione, ma anche all’educazione della persona."
Tra i tanti incontri del Meeting, il Presidente della Cdo ha sottolineato l'importanza delle mostre tra le quali c'è quella sul tema della detenzione e della libertà, alla cui presentazione ci saranno anche il Ministro della Giustizia Angelino Alfano e il capo del DAP, Ettore Ferrara, oltre alle testimonianze di due detenuti e dell’imprenditore cattolico Giuseppe Tovini.
Tantissimi i testimoni che interverranno, tra cui: il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza episcopale italiana; Cleuza Ramos, responsabile del movimento dei Senza Terra di San Paolo, in Brasile; Marcos Zerbini, deputato al Parlamento dello Stato di San Paolo; il monaco buddhista Shodo Habukawa; Marguerite Barankitse, fondatrice della Maison Shalom, in Burundi, dove vengono accolti gli orfani di etnia tutsi e hutu; l'infermiera ugandese Rose Busingye, che lavora in un centro di accoglienza per ammalati di Aids; e monsignor Paolo Pezzi, Arcivescovo cattolico di Mosca.
Tra i temi di riflessione sulla storia, si parlerà del '68 e della primavera di Praga, un ricordo di Giovannino Guareschi, un dibattito sui 60 anni della Costituzione, con il sen. Giulio Andreotti e il Ministro Roberto Maroni.
Un altro incontro ha per tema “Alle radici della diversità. Oltre il multiculturalismo” e vedrà la partecipazione del professore protestante John Milbank e del docente di Teologia Javier Prades López; su “Giustizia e diritti umani” si confronteranno invece l'ambasciatrice USA presso la Santa Sede, Mary Ann Glendon, e il professore ebreo Joseph H. H. Weiler.
In tema di economia, società e bene comune, ci sarà il confronto “Liberiamo il lavoro”, con il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi e il Segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni; il dibattito sulla sussidarietà per il cambiamento del Paese, con il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno e il Presidente della Lombardia, Roberto Formigoni; il dibattito “Le condizioni della pace”, con il Ministro degli Esteri, Franco Frattini, il Cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e Amre Moussa, Segretario generale della Lega per gli Stati arabi.
Si parlerà anche di informazione, con i direttori de Il Giornale, del Tg1, de Il Riformista e del Quotidiano Nazionale; di redditi, con lo stesso Enrico Letta e l'amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo.
In merito alle politiche scolastiche per superare la crisi educativa, il dibattito “Spazio alla scuola”, con il Ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, e la senatrice Mariapia Garavaglia; sul rapporto tra economia finanziaria ed economia reale, interverrà Corrado Passera, di Intesa-Sanpaolo.
La presentazione del libro “Uomini senza patria” di Luigi Giussani, con scritti sugli anni Ottanta, verrà svolta da Eugenia Roccella, Sottosegretario di Stato al Lavoro, Salute e Politiche Sociali e Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle Opere.
E poi tanta scienza e cultura: dai libri alla musica, dalla poesia allo spettacolo, dall’universo al Sole, al clima. In palcoscenico lo spettacolo “La straniera”, tratto da “La Rocca” di T.S.Eliot. Mentre undici mostre saranno altrettanti focus su storia, scienza e letteratura.
L’ultimatum del Vaticano ai ribelli di Lefebvre: pace se accettate il Concilio
I lefebvriani, che hanno chiesto la revoca della scomunica, dovranno rispondere entro il 28 giugno alle proposte presentate per conto di Benedetto XVI dal cardinale Dario Castrillòn Hoyos, presidente della pontificia commissione “Ecclesia Dei”. Si tratta di cinque punti da sottoscrivere, chiariti i quali la Fraternità potrà rientrare nella piena comunione con Roma...
di Andrea Tornielli
Nei rapporti tra Santa Sede e lefebvriani è iniziato il conto alla rovescia: entro il prossimo 28 giugno la Fraternità San Pio X, fondata dall’arcivescovo francese insofferente verso la riforma liturgica post-conciliare, dovrà infatti decidere se accettare le cinque condizioni proposte dal Vaticano per rientrare nella piena comunione con Roma. Alcuni giorni fa il superiore dei lefebvriani, il vescovo Bernard Fellay, si è incontrato con il cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della commissione «Ecclesia Dei», che si occupa per conto di Benedetto XVI della trattativa con il gruppo tradizionalista. Fellay, che in precedenza aveva scritto al Papa chiedendo la revoca della scomunica comminata da Giovanni Paolo II nel 1988 a Lefebvre e ai quattro nuovi vescovi che egli aveva voluto consacrare senza il consenso della Santa Sede (tra i quali Fellay stesso), ha ricevuto una lettera con i cinque punti fissati dal cardinale e ne discuterà durante prossimo capitolo della Fraternità, che si svolgerà a fine mese.
Mai come in questo momento le trattative sono giunte in prossimità di un accordo che sanerebbe il mini-scisma venutosi a creare ormai vent’anni fa permettendo il pieno rientro dei lefebvriani nella comunione cattolica. Tra i punti che la Santa Sede chiede di sottoscrivere ci sarebbero, secondo le indiscrezioni raccolte, l’accettazione del Concilio Vaticano II e la dichiarazione della piena validità della messa secondo la liturgia riformata: due condizioni che già Lefebvre aveva sottoscritto con l’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 1988. Il Vaticano, da parte sua, offre al gruppo tradizionalista un inquadramento canonico simile a quello dell’Opus Dei, vale a dire una «prelatura», che permetterebbe alla Fraternità di continuare le sue attività e di formare i suoi seminaristi.
La marcia di riavvicinamento era cominciata nel 2000, quando i lefebvriani fecero un pellegrinaggio giubilare a Roma. Ne seguì una brevissima udienza concessa da Papa Wojtyla a monsignor Fellay e l’inizio delle lunghe e laboriose trattative con il cardinale Castrillón. Molte cose sono però cambiate da allora. I lefebvriani chiedevano, prima di fare qualsiasi passo verso l’accordo, che venisse liberalizzato l’antico messale preconciliare caduto in disuso dopo la riforma liturgica. Il nuovo Papa, Benedetto XVI, particolarmente sensibile a questi temi, un anno fa ha pubblicato il Motu proprio che dichiara la piena cittadinanza dell’antica messa permettendola in ogni parrocchia, sottraendo di fatto al vescovo la possibilità di proibirla. L’applicazione delle nuove direttive papali non è stata facile, ci sono molte resistenze – alcune clamorose, com’è noto – ma è fuori dubbio che dichiarando l’esistenza di un rito romano straordinario (quello antico) e uno ordinario (quello riformato), il Papa ha autorizzato in tutta la Chiesa e senza restrizioni la celebrazione tridentina. Inoltre, Ratzinger ha reintrodotto la croce al centro dell’altare, ha cominciato a distribuire la comunione ai fedeli inginocchiati, ha ripristinato paramenti antichi: tutti segnali che vanno nella direzione di sottolineare la continuità della tradizione.
Condizioni così favorevoli per un rientro nella piena comunione, con tutta probabilità non si ripeteranno più. Molti fedeli, ora che hanno ottenuto la messa in rito antico, non comprendono il perché la Fraternità non faccia pace definitivamente con Roma. I lefebvriani si sono resi conto di quanto sta avvenendo, anche se Fellay ha qualche problema di resistenze interne. La scelta è se accordarsi e rientrare nella piena comunione con la Santa Sede, oppure rimanere un piccolo corpo separato con il rischio di trasformarsi in un gruppuscolo settario e ininfluente.
Il Giornale n. 25 del 2008-06-23
Lo statuto dell'essere umano nell'epoca della scienza
Se cerchi la verità, l'antropologia ti può aiutare di Marcelo Sánchez Sorondo Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
Al termine del suo laborioso cammino nella Critica della ragione pura che fa capo all'io trascendentale, Kant confessava, con la sincerità di un antico stoico, un profondo sentimento di attesa: "Ogni interesse della mia ragione (tanto quello speculativo quanto quello pratico) si concentra nelle seguenti tre questioni: 1. Che cosa posso sapere? 2. Che cosa devo fare? 3. Che cosa ho diritto di sperare?". Quando poi riprese queste tematiche nella tarda Logik, aggiungeva una quarta domanda: "Che cosa è l'uomo?". Dopo tutto, infatti aggiunge - e la precisazione è una novità di valore essenziale - "tutto questo si potrebbe attribuire all'antropologia poiché le tre prime questioni si rapportano all'ultima, cioè, che cosa è l'uomo?".
Queste domande che fanno dell'antropologia il luogo privilegiato della ricerca della verità, rendono Kant uno dei pensatori moderni più radicale e geniale e insieme uno dei più problematici. Le laboriose analisi della Kritik der reinen Vernunft, ch'egli intende far passare sotto il nome di "metafisica", l'hanno smarrito in un labirinto che termina con più domande che risposte. Tuttavia, egli non disarma e fa appello - probabilmente sotto l'influsso del sentimento (feeling) di Hume che dà vitalità e valore alle impressions - alla convinzione ed esperienza profonda. Così egli riesce ad affermare nel noto testo della Kritik der praktischen Vernunft: "Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me". Nessuna incertezza o dubbio: "Io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza". Due esperienze fondamentali e pertanto due vie d'apertura verso l'infinito: ciascuna con lo stesso punto di partenza antropologico, ma con un orientamento diverso, che diventano oggi, con lo sviluppo della fisica, astrofisica, biologia e neurologia contemporanee di particolare significato e attualità. Seguiamo ancora le indicazioni di Kant.
La prima via - spiega - comincia dal posto che io con il mio corpo e il mio cervello occupo nel mondo sensibile esterno, e allarga la connessione, in cui mi trovo, a "una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora nei tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata". Questa esperienza è la via della riflessione sulla natura, che porta lo spirito al di là della tangente del mondo visibile, ammirato e smarrito, ma tuttavia fiero della sua consapevolezza dell'infinito.
La seconda via, cioè l'esperienza della legge morale, comincia "dal mio io invisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha - si noti bene! - la vera infinitezza, ma che solo l'intelletto può penetrare e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi conosco in una connessione non, come là (nell'esperienza del cielo stellato sopra di me), semplicemente accidentale, ma universale e necessaria". Nell'essere umano il punto di intersezione tra le due esperienze o spettacoli - come si vogliano chiamare - è impressionante e rivelativo dell'infinità reale, benché per partecipazione, dello spirito umano, cioè dell'anima intellettiva che ne è il suo centro.
Il primo spettacolo, spiega Kant, è quello di una quantità innumerevole di mondi, le cui misure di grandezza come c'informa l'astrofisica contemporanea assommano a milioni e centinaia di milioni di anni luce (un anno-luce è uguale a 9.460 miliardi di chilometri), ed è analogo per contrasto a quello proposto dalla microfisica delle particelle subnucleari che ci fa considerare la durata in misure minuscole e l'energia in quantità enormi. Perciò Kant ben può dire che tale spettacolo di magnitudini infinite "annulla completamente la mia importanza di creatura animale, che deve restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto dell'universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista di un breve tempo (e non si sa come) della forza vitale".
Il secondo spettacolo invece "eleva infinitamente il mio valore, nel senso di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall'animalità e anche dall'intero universo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme a fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all'infinito".
Tale è per Kant il grave e insostituibile compito della filosofia come "saggezza" (Weisheit): interpretare, all'esterno, la verità di essere della presenza della grandezza in continua espansione del mondo fisico, e della vita, e, all'interno, cioè nel profondo della libertà come la verità di essere dell'uomo. In questo modo emerge l'anima come soggetto che si possiede e si antepone come io.
Il primo spettacolo o esperienza è il cammino della scienza, particolarmente a partire dalla "rivoluzione copernicana" come la chiama lo stesso Kant ben consapevole del nuovo indirizzo determinato da Copernico e da Galileo; l'altro è la via del "conosci te stesso" che Eraclito intravede nel Logo e Aristotele individua nell'intelletto umano "capace di diventare e di fare tutte le cose", come superamento del fisicismo naturalista dei presocratici. I due spettacoli o esperienze si incontrano e si intrecciano nell'essere umano.
Da queste due esperienze risulta che la conoscenza dell'uomo non si gioca su un solo piano o livello, quello dell'osservazione, dell'esplicazione e della sperimentazione esterna (come riproduzione dei fenomeni) che è il cammino della scienza moderna. Siffatta conoscenza si allarga all'interazione tra l'osservazione naturale della scienza e la comprensione riflessiva della filosofia. L'essere umano è allo stesso tempo un ente osservabile, come tutti gli esseri della natura di cui egli partecipa, ed è un essere che conosce se stesso come esigeva Eraclito e poi Socrate, oppure che interpreta se stesso (Self interpreting being per usare la definizione di Charles Taylor o Paul Ricoeur).
Questa affermazione di due differenti livelli oggettivi del conoscere che si fanno presenti nell'uomo, ossia quello esterno del mondo che è l'oggetto della scienza e quello interno del se stesso, che fa capo all'io, può offrire una risposta di riconciliazione e di pacificazione alla questione posta dallo statuto dell'essere umano nel campo del sapere nell'epoca del predominio della scienza, a meno che, l'ideologia positivista non pretenda di abolire la frontiera fra le scienze della natura e le scienze dell'uomo e di annettere le seconde alle prime.
È con questo spirito che possiamo dirimere un conflitto come è quello della scienza legata alle mutazioni genetiche o all'ereditarietà, che sebbene siano state scoperte dal monaco agostiniano Mendel, dopo Darwin vengono il più delle volte collegate alle teorie evoluzioniste. Nessun limite esterno si può imporre all'ipotesi secondo cui variazioni aleatorie e modificazioni avvenute, si siano fissati e rinforzati nel "corridoio stretto d'evoluzione" al fine di assicurare la sopravvivenza della specie, e quindi anche di quella umana. Finora abbiamo evidenze storiche e forse biologiche, quindi qualcosa che è più di un'ipotesi, per dirla come Giovanni Paolo ii, su cui le scienze sperimentali dovranno fare accertamenti più stringenti con il rigore del metodo galileiano della formula matematica, della riproduzione dell'ipotesi in un esperimento concreto e veritativo.
La filosofia da parte sua - assieme alle scienze sociali aperte alle conoscenze della biologia - non deve intraprendere una battaglia persa in partenza per stabilire i fatti naturali. La filosofia deve interrogarsi su come possa incontrarsi con il punto di vista naturalista partendo dal presupposto che l'essere umano è già un essere parlante e questionante. Essere umano quindi, che si è dato delle risposte che sono indice del suo regno di libertà nei confronti della natura data. Mentre lo scienziato segue l'ordine discendente delle specie e fa apparire l'aspetto aleatorio, contingente e imprevedibile del risultato evolutivo dell'essere umano, il filosofo prende le mosse dall'autointerpretazione della propria situazione intellettuale, morale e spirituale e procede verso l'alto risalendo il corso dell'evoluzione fino alle fonti della vita e dell'essere che l'uomo stesso è. Il punto di partenza può essere ancora la questione originaria, sempre latente con una specie di autoreferenzialità di principio: la legge morale per Kant è quello che fa la differenza, la libertà è quello che Hegel chiama "l'essenza dello spirito".
L'essere umano, scoperto e riconosciuto a se stesso come morale e libero, può legittimamente domandarsi come egli si sia venuto preparando nella natura animale. Lo sguardo è quindi retrospettivo in quanto rimonta la catena delle mutazioni e delle variazioni. Questo sguardo retrospettivo incrocia quello progressivo, discendente il fiume delle "discendenze" dell'essere umano, uomo e donna. I due sguardi si intersecano in un punto: la nascita di un mondo simbolico e spirituale dove la legge morale e la libertà realizzata configurano l'umanità dell'uomo.
La confusione da evitare risiede nei due sensi che è possibile assegnare al termine origine, quello della derivazione genetica o orizzontale e quello invece della fondazione ontologica o verticale. L'uno fa riferimento all'origine della specie nella successione nello spazio e tempo a partire da un dato già originato, l'altro invece si pone domande sull'apparire dell'essere partecipato a partire dall'Essere per essenza. Si tratta qui della prima origine dell'ente che è il "passaggio" dell'ente dal nulla all'essere, che non è propriamente un passaggio quanto piuttosto l'origine primaria dell'ente che emerge sul nulla grazie all'atto di essere partecipato: Ex hoc quod aliquid est ens per participationem, sequitur quod sit causatum ab alio, ossia, da ciò che una cosa è ente per partecipazione ne segue che sia causata da altro. Di qui la formula completa della creazione come partecipazione (passiva nella creatura e attiva in Dio): Necesse est dicere omne ens, quod quocumque modo est, a Deo esse, ossia, "È necessario affermare che ogni cosa, che in qualsiasi modo è, viene da Dio". L'essenziale in questa "origine" verticale è il decentramento analogico verso il profondo, ossia, verso il se stesso di ciascuno, e il ri-centramento analogico verso l'alto, ossia verso Dio. Afferma questo anche l'ultimo Tommaso: Deus est et tu: sed tuum esse est participatum, suum vero essentiale, ossia, "Dio è e tu: ma il tuo essere è per partecipazione, il Suo per essenza".
Il passaggio dal semplice essere come animale creatura, per usare un'espressione kantiana, verso la dignità metafisica di essere spirituale analogo a Dio, si fonda nella dignità dell'uomo come forma per se subsistens, ossia, anima intellettiva, io trascendente, grazie all'appartenenza diretta, cioè in proprio che l'anima intellettiva ha dell'essere (esse) o atto di essere (actus essendi) partecipato. San Tommaso è molto determinato su questo punto, che costituisce l'originalità della sua antropologia, poco conosciuto dalla filosofia moderna: "quando viene a mancare il fondamento della materia - come nelle sostanze spirituali e nell'anima umana - la forma che resta di una natura determinata, una natura sussistente per sé, si rapporterà al suo essere (esse) come la potenza all'atto. Non dico come potenza separabile dall'atto, ma come quella ch'è sempre accompagnata dal proprio atto". Così egli conclude che anche nelle creature spirituali "c'è la composizione di potenza e atto".
La conclusione che si può desumere da questa altissima riflessione speculativa dell'Aquinate è che la dignità di essere spirito è caratterizzata da Kant, Hegel e da altri dopo la rivoluzione galileiana in convergenza con san Tommaso: nel pensiero moderno attraverso la trascendentalità del conoscere, della libertà, della legge morale che fanno capo all'io, mentre in san Tommaso queste trascendentalità come l'io stesso, il se medesimo, si fondano nell'atto di essere, e la sua appartenenza necessaria allo spirito (finito) si ha per diretta partecipazione da Dio. Così ogni singolo sussistente, come ha mostrato anche Kierkegaard, ha la sua origine verticale come persona creata.
(©L'Osservatore Romano - 23-24 giugno 2008)
MASCHIO O FEMMINA: realtà o scelta? S.E. Card. Carlo Caffarra
Brescia, 21 giugno 2008
Il dilemma posto nel titolo della mia riflessione ci introduce subito in medias res: la mascolinità e la femminilità che biologicamente istituiscono la forma umana, sono fatti semplicemente naturali oppure modi di essere propri della persona decisi esclusivamente dalla sua libertà? Cercherò di rispondere a questa domanda e sarà la prima parte della mia riflessione; nella seconda parte, più breve per ragioni di tempo, cercherò di mostrare la rilevanza che la risposta data ha sulla istituzione matrimoniale e familiare.
1. COSTRUZIONE DELLA RISPOSTA
Inizio da un testo dell’Enc. Veritatis splendor: "i dibattiti su natura e libertà hanno sempre accompagnato la storia della riflessione morale … di una tensione analoga resta segnata, anche se in un senso differente, l’epoca contemporanea … come se la dialettica – se non addirittura il conflitto – tra natura e libertà fosse caratteristica strutturale della storia umana" [46,1.2; EE 8/1623. 1624].
Possiamo verificare che in molte concezioni attuali del dimorfismo sessuale umano, in molte sue interpretazioni, è affermata in modo inequivocabile – più chiaramente che in altri dibattiti – una visione strutturalmente conflittuale fra natura e libertà, e quindi fra sessualità biologicamente intesa e la sessualità culturalmente intesa.
Questa tendenza, questo modo di considerare la mascolinità e la femminilità ha seguito e segue due percorsi che a prima vista hanno direzioni diverse, ma che in profondità portano allo stesso capolinea antropologico.
1,1. Primo percorso: libertà versus natura. È la nota teoria del gender. Le differenze fra mascolinità e femminilità vengono considerate come semplici effetti culturali. La forma sessuale cioè da imprimere nell’essere e da esprimere nell’agire della persona è affidata esclusivamente alla libertà, ad una libertà completamente sradicata da qualsiasi riferimento "naturale". L’essere uomo - l’essere donna nel senso della propria configurazione personale è, deve essere esclusivamente frutto della libertà che, nel progettare questa configurazione, non ha alcun referente "naturale". L’unica istanza competente a rispondere alla domanda: "chi è l’uomo – chi è la donna", "che senso ha l’essere uomo – l’essere donna"", è la libertà della persona.
Per cogliere fino in fondo la portata teoretica e [nella seconda parte del mio intervento] pratica di queste affermazioni, dobbiamo almeno accennare ad un fatto culturale di immensa portata: il cambiamento intervenuto nella coscienza dell’uomo occidentale circa il modo di considerare il proprio corpo. Il discorso sarebbe molto lungo. Mi limito all’essenziale.
Esprimo il mutamento con una formula … un po’ icastica: la persona umana non è il suo corpo, ma ha un corpo. È andata cioè progressivamente oscurandosi fino a scomparire una visione unitaria della persona [essa non è uno spirito che possiede un corpo, ma è "unità di corpo e spirito": è una persona corporea o un corpo personale]; al suo posto è subentrata una visione dualistica [la persona ha un corpo].
Alla luce della seconda visione, il corpo non ha più una sua originalità specifica [l’essere un corpo-persona], ma è del tutto uguale a ciò che viene indicato come "natura": un materiale a disposizione. Più precisamente. "Di conseguenza la natura umana e il corpo appaiono come dei presupposti o preliminari: materialmente necessari alla scelta della libertà, ma estrinseci alla persona, al soggetto e all’atto umano" [doc. cit. 48,1; EE/8,1628].
Il capolinea di questo percorso è la riduzione dell’io all’esercizio della sua libertà, affermata ovviamente in linea di principio. Una riduzione che porta diritto ad una progressiva dissoluzione della relazionalità della persona.
1,2. Secondo percorso: natura versus libertà. Questo secondo percorso riduce l’io all’insieme dei processi biologici e psicologici. L’io non possiede alcuna capacità di auto-muoversi e di auto-determinarsi, ma è piuttosto mosso dai suoi dinamismi psicofisici e da essi determinato. R. Bodei parla di una "rottamazione dell’io" [in Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze, Feltrinelli, Milano 2002, pag. 254-257].
Questa "rottamazione dell’io" impedisce di parlare di libertà se non in termini di spontaneità: la libertà consiste nella mera spontaneità. Che cosa distingue la libertà dalla semplice spontaneità? Il fatto che la spontaneità è movimento dell’organismo verso il suo proprio bene; la libertà è movimento della persona verso il bene in sé e per sé. La ricerca di un bicchiere d’acqua quando ho sete, è un movimento spontaneo; per me che ho sete l’avere a disposizione una bevanda è un bene, un bene per me. La ricerca di una vita associata giusta invece – per fare un esempio – è una inclinazione che implica un atto di intelligenza, un confronto critico fra società giusta e società ingiusta. Il vivere in una società giusta è pensato non come un bene per me o per alcuni, ma come un bene dell’uomo come tale, un bene comune. Già Platone ha dimostrato che il bene intelligibile – il bene cioè che si rivela mediante la ragione – è comune a tutti: è il bene comune.
L’io nella sua libertà si pone nell’incrocio fra le non raramente contrastanti sollecitazioni istintive che non possono che spingere verso "ciò che piace – ciò che non piace" e l’inclinazione razionale verso il bene in sé e per sé. Se riduco l’io alla natura bio-psichica, resta solo la possibilità di "essere agito" non di agire.
L’individualismo, che è stato il capolinea del processo precedente, divenendo spontaneismo espunge ogni criterio valutativo che non sia relativo al soggetto.
La propria mascolinità o femminilità non ha in nessun modo il carattere di una misura interna al proprio agire sessuale. Non è possibile distinguere una condotta sessuale giusta da una condotta sessuale ingiusta "per natura". E ciò per due ragioni che si coniugano assieme: l’io è la sua libertà; la libertà dell’io è la sua spontaneità. Nella seconda parte vedremo la rilevanza pratica di questa duplice riduzione.
1,3. Percorso cristiano: "uomo e donna li creò". Cerchiamo di verificare la risposta cristiana alla domanda "Uomo e donna: realtà o scelta?".
Faccio una premessa sulla quale purtroppo non posso dilungarmi. Esiste una visione cattolica del mondo e dell’uomo: diciamo della realtà. Questa visione ha degli elementi che la caratterizzano in maniera inconfondibile. Uno di questi è la congiunzione "et". "Pertanto, in questo pensiero non si assiste ad alcun cambio repentino dal "sì al no", non esiste alcun deciso "o così o così", né si può notare alcun "capovolgimento" assoluto, mentre si trovano invece "continuità", "dipendenza", "connessioni armoniche"" [L. Scheffczyk, Il mondo della fede cattolica. Verità e forma, V&P, Milano 2007, pag. 49].
La risposta dunque che la Chiesa propone non è "o natura o cultura", oppure "o realtà o scelta", ma si muove nella direzione dell’ "et": natura e cultura, realtà e scelta. In che senso? Faccio una seconda e non meno importante premessa.
Quando parliamo di mascolinità e femminilità, parliamo di un corpo maschile e femminile; di una fisiologia maschile e femminile; di una psiche maschile e femminile. In una parola: di una "natura maschile e di una natura femminile".
Questa natura è dotata di un senso perché è una natura ragionevole. Questo vuol dire che uomini e donne hanno elaborato una comprensione della loro mascolinità e femminilità, e in coerenza con essa hanno prodotto codici etici riguardanti il modo di vivere la propria mascolinità e femminilità.
Questo non vuol dire però che ciò che è dato al principio – la natura maschile e femminile della persona umana – non comporta alcuna indicazione specifica per l’elaborazione di quella comprensione e per i contenuti di quel codice: non esiste una pura autonomia. Ma il sussistere in una natura maschile o femminile vuole dire che la comprensione che l’uomo ha della mascolinità e della femminilità può essere vera o falsa; che le leggi di comportamento possono essere giuste o ingiuste. E pertanto il criterio veritativo non può essere il consenso computato aritmeticamente, così come il criterio valutativo non è la spontaneità. Il giusto è distinto dall’ingiusto "per natura"; il vero è distinto dal falso in ragione della realtà. E questo discernimento è opera della ragione.
Ma non della ragione che si riduca ad essere serva della semplice spontaneità naturale o della soggettività alla ricerca della propria individuale realizzazione. Ma della ragione che si apre all’essere e al bene in sé e per sé in cui ogni persona può riconoscersi.
Come vedete, la comprensione ed il vissuto della propria mascolinità e femminilità è un impegno arduo. Non è mai un dato acquisito una volta per sempre. È un’opera educativa.
Nella sua dolce provvidenza anche il Signore Iddio ha aiutato la persona umana in quest’opera educativa.
Esiste una rivelazione divina sulla mascolinità e femminilità umane. Essa riprende e compie quanto la retta ragione percepisce sia pure faticosamente.
Ora finalmente vorrei presentarvi i dati fondamentali di questa visione, alla luce congiunta della ragione e della fede. Sarò costretto a procedere in maniera … un po’ apodittica e me ne scuso – per il poco tempo a disposizione, partendo dai primi tre capitoli della Genesi, che sono l’immutabile base di tutta la visione cattolica dell’uomo.
La mascolinità e la femminilità sono le due forme, i due modi fondamentali in cui si realizza l’umanità della persona. La persona umana prima di essere "greco o barbaro, schiavo o libero, giudeo o gentile" è uomo o donna. La humanitas è bi-forme.
Questa bi-formità non significa e non comporta gradazione nella dignità: la persona è ugualmente o uomo o donna. La persona-uomo e la persona-donna hanno la stessa dignità avendo lo stesso statuto ontologico.
Perché questa bi-formità? Che senso ha? Quale è la sua verità più profonda?
È la costituzione relazionale della persona umana. Mascolinità e femminilità sono il simbolo reale che la persona umana non è un individuo che "contratta" il rapporto con l’altro, ma è originariamente dentro alla relazione con l’altra persona. Che cosa significa "simbolo reale". Due cose. Significa una capacità espressiva. Il bi-morfismo sessuale è un linguaggio, perché il corpo è il linguaggio della persona. Ogni linguaggio veicola un significato. Il significato veicolato dalla mascolinità/femminilità della persona è un significato sponsale: l’essere costituiti non per inabissarsi dentro ad una confronto sterile solo con se stessi, ma per una relazione con l’altro. Solo l’esistenza di una persona umana "altra", solo una vera e propria alterità-diversità era in grado di veicolare visibilmente il significato comunionale dell’esistenza umana.
Potremmo a questo punto sviluppare una lunga riflessione, partendo dal fatto che ogni linguaggio ha una sua grammatica, non rispettando la quale esso perde la sua capacità espressiva. Mi limito ad una telegrafica costatazione. La relazione omosessuale non veicola più il significato originario: è relazione di identici, cioè con se stesso.
Ma "simbolo reale" significa anche un’altra cosa. Significa anche e non dammeno capacità performativa. La mascolinità/femminilità della persona sono capacità di realizzare la comunione dei due: unità dei due. L’unità non distrugge la dualità; la dualità non impedisce l’unità. In sintesi. "In questa sua particolarità, il corpo è l’espressione dello spirito ed è chiamato, nel mistero stesso della creazione, a esistere nella comunione delle persone, "a immagine di Dio"" [Giovanni Paolo II, in Insegnamenti III/2 (1980), 288].
Il segno della capacità espressiva e performativa della comunione fra i due insita nella sessualità, è la capacità di porre le condizione dell’esistenza di un terzo, il figlio. Altro dai genitori: è persona! Frutto della loro unione: è loro!
Questa visione della persona umana non si regge né sulla contrapposizione della libertà alla natura né sulla contrapposizione contraria.
Da essa emerge una libertà radicata nella natura ed una natura affidata alla libertà. È quindi una libertà, che è responsabilità; è libertà condivisa con la libertà dell’altro.
È all’interno di questa visione che si comprende in che cosa consista ultimamente la ferita che il peccato ha inferto alla bontà della correlazione fra i due sessi: ha introdotto la grammatica del dominio, e quindi del conflitto che logicamente mira alla soppressione dell’altro, dentro alla grammatica del dono e quindi della comunione che logicamente mira a custodire nella sua identità l’altro. In fondo la storia del rapporto fra uomo e donna è percorsa dall’uso che essi fanno dell’una o dell’altra grammatica nel linguaggio della loro sessualità. E con questo sono già arrivato alla seconda parte.
2. RILEVANZA PRATICA DELLA RISPOSTA
Vorrei ora indicarvi molto brevemente quale rilevanza ha la riflessione precedente su alcune istituzioni della nostra vita associata. Lo devo fare telegraficamente.
Parto da una rilevanza di carattere generale, che enuncerei nel modo seguente: poiché la società uomo-donna è il paradigma fondamentale di ogni socializzazione della persona, l’errore e il disordine circa quella inficia ogni rapporto sociale. Prima societas in coniugio, dicevano già i Romani.
Il "sociale umano" è costituito dalla relazione di diversi. La ragione propria del fatto sociale [la ratio societatis] è una ragione relazionale, come ha in questi anni dimostrato P.P. Donati e la sua scuola. Questa ragione è negata quando si nega la diversità dell’altro per affermare se stesso, o quando si nega se stesso per comparire in una indistinta uniformità. Vedete come la visione che sopra abbiamo schizzata circa il rapporto uomo-donna è esemplare, paradigmatica appunto.
Desidero però attirare la vostra attenzione sulla rilevanza che tutta questa riflessione ha circa l’istituto matrimoniale.
L’istituto matrimoniale sta subendo una vera e propria "de-costruzione": viene come smontato pezzo per pezzo. Abbiamo ancora (?) in mano tutti i pezzi, ma non più l’edificio. Fuori metafora. Si parla ancora di coppia, di famiglia, di genitori, di paternità/maternità. Ma questa parole veicolano significati fra loro contrari.
Sono sempre più convinto che quest’opera di de-costruzione è stata operata dalla perdita della visione vera della sessualità umana. Gli altri fattori de-costruttivi, e ce ne sono e potenti, hanno potuto operare perché stava accadendo quell’oscuramento.
Devo dire che anche il pensiero cristiano non è sempre stato vigile al riguardo. E non saremmo mai abbastanza riconoscenti a Giovanni Paolo II che, primo pontefice nella storia, ci ha donato un compiuto Magistero circa il corpo e la sessualità umana. E a Benedetto XVI per ciò che ha scritto nella prima parte della sua prima Enciclica.
Concludo con un testo di K. Woitila. "Certe volte la vita umana sembra essere troppo corta per l’amore. Certe volte invece no – l’amore umano sembra essere troppo corto per una lunga vita. O forse troppo superficiale. In ogni modo l’uomo ha a disposizione un’esistenza e un amore – come farne un insieme che abbia senso?" [in Tutte le opere letterarie, Bompiani, Milano 2001, pag. 867].
L’avere a disposizione un’esistenza ed un amore; la sfida che questa disponibilità rivolge alla libertà: farne un insieme che abbia senso.
È di questo in fondo che abbiamo parlato, poiché la sessualità umana è il modo originario con cui questa sfida è lanciata ad ogni uomo e ad ogni donna.
1) Cristo non ostacola la vita né la libertà, Papa Benedetto XVI
2) Presentato il programma del Meeting di Rimini 2008
3) L’ultimatum del Vaticano ai ribelli di Lefebvre: pace se accettate il Concilio
4) Se cerchi la verità, l'antropologia ti può aiutare, di Marcelo Sánchez Sorondo Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
5) MASCHIO O FEMMINA: realtà o scelta? S.E. Card. Carlo Caffarra
Messaggio del Papa ai giovani partecipanti al congresso eucaristico internazionale
Cristo non ostacola la vita né la libertà
Un messaggio particolare il Papa ha voluto indirizzare ai giovani che, numerosi, hanno partecipato al quarantanovesimo congresso eucaristico internazionale celebratosi a Québec, in Canada, e conclusosi domenica 22 giugno. Nel messaggio il Papa ha invitato i giovani ad annunciare "senza paura" il Cristo che libera.
Cari giovani,
Da Roma, sono lieto di salutarvi e di assicurarvi della mia preghiera mentre siete riuniti in occasione del quarantanovesimo Congresso eucaristico internazionale di Québec. Gioisco nel vedere la vostra attenzione per il mistero dell'Eucaristia, "dono di Dio per la vita del mondo", come sottolinea il tema del Congresso. Vi invito a meditare incessantemente questo "grande mistero della fede", come noi lo proclamiamo in ogni Messa, dopo la consacrazione. In primo luogo, nell'Eucaristia riviviamo il sacrificio del Signore al termine della sua vita, mediante il quale salva tutti gli uomini. Restiamo così vicini a Lui e riceviamo in abbondanza le grazie necessarie alla nostra vita quotidiana e alla nostra salvezza. L'Eucaristia è per eccellenza il gesto dell'amore di Dio per noi. Cosa c'è di più grande di donare la propria vita per amore? In ciò Gesù è il modello del dono totale di sé, cammino lungo il quale dobbiamo ugualmente procedere nella sua sequela.
L'Eucaristia è altresì un modello del cammino cristiano, che deve forgiare tutta la nostra esistenza. È Cristo che ci invita a riunirci, per costituire la Chiesa, il suo Corpo in mezzo al mondo. Per accedere alle due mense della Parola e del Pane, dobbiamo innanzitutto accogliere il perdono di Dio, quel dono che ci risolleva nel nostro percorso quotidiano, che ripristina in noi l'immagine divina e che ci mostra fino a che punto siamo amati. Poi, come al fariseo Simone, nel Vangelo di Luca, Gesù si rivolge continuamente a noi attraverso la Scrittura: "Ho una cosa da dirti" (7, 40). In effetti, ogni parola della Scrittura è per noi una parola di vita, che dobbiamo ascoltare con molta attenzione. In modo particolare, il Vangelo costituisce il cuore del messaggio cristiano, la rivelazione totale dei misteri divini. Nel suo Figlio, la Parola fattasi carne, Dio ci ha detto tutto. Nel suo Figlio, Dio ci ha rivelato il suo volto di Padre, un volto di amore, di speranza. Ci ha mostrato il cammino della felicità e della gioia. Durante la consacrazione, momento particolarmente forte dell'Eucaristia perché ricordiamo il sacrificio di Cristo, siete chiamati a contemplare il Signore Gesù, come san Tommaso: "Mio Signore e mio Dio" (Giovanni, 20, 28). Dopo aver ricevuto la Parola di Dio, dopo esservi nutriti del suo Corpo, lasciatevi trasformare interiormente e ricevete da Lui la vostra missione. In effetti, Egli vi manda nel mondo, per essere portatori della sua pace e testimoni del suo messaggio d'amore. Non abbiate paura di annunciare Cristo ai giovani della vostra età. Mostrate loro che Cristo non ostacola la vostra vita, né la vostra libertà; mostrate loro al contrario che Egli vi dona la vera vita, vi rende liberi per lottare contro il male e per fare della vostra esistenza qualcosa di bello.
Non dimenticate che l'Eucaristia domenicale è un incontro amorevole con il Signore di cui non possiamo fare a meno. Quando lo riconoscete "nella frazione del pane", come i discepoli di Emmaus diventerete suoi compagni. Vi aiuterà a crescere e a dare il meglio di voi. Ricordate che nel pane dell'Eucaristia Cristo è realmente, totalmente e sostanzialmente presente. Pertanto, è nel mistero dell'Eucaristia, nella messa e durante la silenziosa adorazione dinanzi al Santissimo Sacramento dell'altare che lo incontrerete in modo privilegiato. Aprendo il vostro stesso essere e tutta la vostra vita sotto lo sguardo di Cristo non verrete schiacciati, al contrario, scoprirete che siete infinitamente amati. Riceverete la forza di cui avete bisogno per costruire la vostra vita e per compiere le scelte che vi si presentano ogni giorno. Dinanzi al Signore, nel silenzio del vostro cuore, alcuni di voi potrebbero sentirsi chiamati a seguirlo in una maniera più radicale nel sacerdozio o nella vita consacrata. Non abbiate paura di ascoltare questa chiamata e di rispondere con gioia. Come ho detto all'inizio del mio Pontificato, Dio non toglie nulla a coloro che si donano a lui. Al contrario, dà loro ogni cosa. Riesce a tirare fuori il meglio che c'è in ciascuno di noi, affinché la nostra vita possa veramente fiorire.
A voi, cari giovani, e a tutti i partecipanti al Congresso eucaristico internazionale di Québec, imparto un'affettuosa Benedizione Apostolica.
(©L'Osservatore Romano - 23-24 giugno 2008)
Presentato il programma del Meeting di Rimini 2008
Dal 24 al 30 agosto sul tema “O protagonisti o nessuno”
di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 23 giugno 2008 (ZENIT.org).- Protagonisti della propria vita significa “offrire un’ esperienza umana generata dalla fede cristiana che induce speranza”. Così Emilia Guarnieri ha presentato a Roma, mercoledì 19 giugno, la 29° edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli intitolata: “O protagonisti o nessuno”.
Con le sue oltre 700mila presenze medie, 400 mostre, 3000 incontri, 5000 personaggi, e i circa 850 giornalisti accreditati durante l’ultima edizione, il Meeting è il festival estivo di incontri, mostre, musica e spettacolo più frequentato del mondo.
Organizzato da 11 persone a tempo pieno e oltre 3.000 volontari, il Meeting è secondo gli animatori di Comunione e Liberazione “un grande evento sociale, una festa, un luogo dove si celebra la gloria terrena di un Dio creatore e amico”.
“Ma è soprattutto - sottolineano gli organizzatori - un gesto di gratuità: migliaia di persone, di ogni età e condizione sociale, che donano tempo ed energie per realizzare la manifestazione”.
In merito al tema di quest'anno, la Presidente del Meeting ha spiegato che “se il protagonista di oggi è colui che cerca solo il successo” allora si rischia solo “l'illusione di esserci” in un “triste e vuoto formalismo” alimentato da “scetticismo e cinismo”.
La Guarnieri ha denunciato questo tipo di “cultura che non educa, che non comunica più il senso della vita”. E se la vita è così fatta, “si diventa passivi, si vive di rimessa”.
Di qui la provocazione lanciata dal Meeting, che ha l’obiettivo di porre a tema “una sfida positiva”, ovvero, ha precisato la Guarnieri “chiediamoci se oggi esistano uomini capaci di paragonarsi con il reale, scoprendo, rischiando. Persone che attraverso la loro esperienza e il loro lavoro sono in grado di offrire un’ esperienza umana generata dalla fede cristiana che induce speranza”.
A questo proposito la Presidente del Meeting ha ricordato le parole di don Giussani secondo cui “protagonisti non vuole dire avere la genialità o la spiritualità di alcuni, ma avere il proprio volto, che è, in tutta la storia e l’eternità, unico e irripetibile”.
Alla presentazione del Meeting è intervenuto Sandro Bondi, Ministro per i Beni e le Attività culturali, il quale ha riconosciuto che “la politica ha oggi bisogno di autentici protagonisti, di testimonianze che siano un esempio perchè capaci di dimostrare coerenza tra ciò che enunciamo e ciò che poi facciamo realmente”.
Il Ministro ha quindi indicato un “protagonismo che dia un senso alla nostra vita, che abbia un nesso con la radice dell'esperienza umana”.
Enrico Letta, parlamentare del Partito Democratico, ha parlato del Meeting di Rimini come di una “free zone”, un “luogo di dialogo” dove poter davvero discutere.
Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle Opere (Cdo), ha invece toccato il tema dell’emergenza educativa.
"La questione educativa - ha sostenuto - per noi non è ai margini ma centrale: per questo che faremo alcuni incontri se volete dal punto di vista imprenditoriale, ma che avranno sempre come tema l’educazione”.
“Sono personalmente convinto – ha aggiunto Scholz - che l’impresa oggi, qualunque essa sia, piccola o grande che sia, sta diventando sempre di più un momento dove il lavoro contribuisce non solo alla formazione, ma anche all’educazione della persona."
Tra i tanti incontri del Meeting, il Presidente della Cdo ha sottolineato l'importanza delle mostre tra le quali c'è quella sul tema della detenzione e della libertà, alla cui presentazione ci saranno anche il Ministro della Giustizia Angelino Alfano e il capo del DAP, Ettore Ferrara, oltre alle testimonianze di due detenuti e dell’imprenditore cattolico Giuseppe Tovini.
Tantissimi i testimoni che interverranno, tra cui: il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza episcopale italiana; Cleuza Ramos, responsabile del movimento dei Senza Terra di San Paolo, in Brasile; Marcos Zerbini, deputato al Parlamento dello Stato di San Paolo; il monaco buddhista Shodo Habukawa; Marguerite Barankitse, fondatrice della Maison Shalom, in Burundi, dove vengono accolti gli orfani di etnia tutsi e hutu; l'infermiera ugandese Rose Busingye, che lavora in un centro di accoglienza per ammalati di Aids; e monsignor Paolo Pezzi, Arcivescovo cattolico di Mosca.
Tra i temi di riflessione sulla storia, si parlerà del '68 e della primavera di Praga, un ricordo di Giovannino Guareschi, un dibattito sui 60 anni della Costituzione, con il sen. Giulio Andreotti e il Ministro Roberto Maroni.
Un altro incontro ha per tema “Alle radici della diversità. Oltre il multiculturalismo” e vedrà la partecipazione del professore protestante John Milbank e del docente di Teologia Javier Prades López; su “Giustizia e diritti umani” si confronteranno invece l'ambasciatrice USA presso la Santa Sede, Mary Ann Glendon, e il professore ebreo Joseph H. H. Weiler.
In tema di economia, società e bene comune, ci sarà il confronto “Liberiamo il lavoro”, con il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi e il Segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni; il dibattito sulla sussidarietà per il cambiamento del Paese, con il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno e il Presidente della Lombardia, Roberto Formigoni; il dibattito “Le condizioni della pace”, con il Ministro degli Esteri, Franco Frattini, il Cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e Amre Moussa, Segretario generale della Lega per gli Stati arabi.
Si parlerà anche di informazione, con i direttori de Il Giornale, del Tg1, de Il Riformista e del Quotidiano Nazionale; di redditi, con lo stesso Enrico Letta e l'amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo.
In merito alle politiche scolastiche per superare la crisi educativa, il dibattito “Spazio alla scuola”, con il Ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, e la senatrice Mariapia Garavaglia; sul rapporto tra economia finanziaria ed economia reale, interverrà Corrado Passera, di Intesa-Sanpaolo.
La presentazione del libro “Uomini senza patria” di Luigi Giussani, con scritti sugli anni Ottanta, verrà svolta da Eugenia Roccella, Sottosegretario di Stato al Lavoro, Salute e Politiche Sociali e Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle Opere.
E poi tanta scienza e cultura: dai libri alla musica, dalla poesia allo spettacolo, dall’universo al Sole, al clima. In palcoscenico lo spettacolo “La straniera”, tratto da “La Rocca” di T.S.Eliot. Mentre undici mostre saranno altrettanti focus su storia, scienza e letteratura.
L’ultimatum del Vaticano ai ribelli di Lefebvre: pace se accettate il Concilio
I lefebvriani, che hanno chiesto la revoca della scomunica, dovranno rispondere entro il 28 giugno alle proposte presentate per conto di Benedetto XVI dal cardinale Dario Castrillòn Hoyos, presidente della pontificia commissione “Ecclesia Dei”. Si tratta di cinque punti da sottoscrivere, chiariti i quali la Fraternità potrà rientrare nella piena comunione con Roma...
di Andrea Tornielli
Nei rapporti tra Santa Sede e lefebvriani è iniziato il conto alla rovescia: entro il prossimo 28 giugno la Fraternità San Pio X, fondata dall’arcivescovo francese insofferente verso la riforma liturgica post-conciliare, dovrà infatti decidere se accettare le cinque condizioni proposte dal Vaticano per rientrare nella piena comunione con Roma. Alcuni giorni fa il superiore dei lefebvriani, il vescovo Bernard Fellay, si è incontrato con il cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della commissione «Ecclesia Dei», che si occupa per conto di Benedetto XVI della trattativa con il gruppo tradizionalista. Fellay, che in precedenza aveva scritto al Papa chiedendo la revoca della scomunica comminata da Giovanni Paolo II nel 1988 a Lefebvre e ai quattro nuovi vescovi che egli aveva voluto consacrare senza il consenso della Santa Sede (tra i quali Fellay stesso), ha ricevuto una lettera con i cinque punti fissati dal cardinale e ne discuterà durante prossimo capitolo della Fraternità, che si svolgerà a fine mese.
Mai come in questo momento le trattative sono giunte in prossimità di un accordo che sanerebbe il mini-scisma venutosi a creare ormai vent’anni fa permettendo il pieno rientro dei lefebvriani nella comunione cattolica. Tra i punti che la Santa Sede chiede di sottoscrivere ci sarebbero, secondo le indiscrezioni raccolte, l’accettazione del Concilio Vaticano II e la dichiarazione della piena validità della messa secondo la liturgia riformata: due condizioni che già Lefebvre aveva sottoscritto con l’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 1988. Il Vaticano, da parte sua, offre al gruppo tradizionalista un inquadramento canonico simile a quello dell’Opus Dei, vale a dire una «prelatura», che permetterebbe alla Fraternità di continuare le sue attività e di formare i suoi seminaristi.
La marcia di riavvicinamento era cominciata nel 2000, quando i lefebvriani fecero un pellegrinaggio giubilare a Roma. Ne seguì una brevissima udienza concessa da Papa Wojtyla a monsignor Fellay e l’inizio delle lunghe e laboriose trattative con il cardinale Castrillón. Molte cose sono però cambiate da allora. I lefebvriani chiedevano, prima di fare qualsiasi passo verso l’accordo, che venisse liberalizzato l’antico messale preconciliare caduto in disuso dopo la riforma liturgica. Il nuovo Papa, Benedetto XVI, particolarmente sensibile a questi temi, un anno fa ha pubblicato il Motu proprio che dichiara la piena cittadinanza dell’antica messa permettendola in ogni parrocchia, sottraendo di fatto al vescovo la possibilità di proibirla. L’applicazione delle nuove direttive papali non è stata facile, ci sono molte resistenze – alcune clamorose, com’è noto – ma è fuori dubbio che dichiarando l’esistenza di un rito romano straordinario (quello antico) e uno ordinario (quello riformato), il Papa ha autorizzato in tutta la Chiesa e senza restrizioni la celebrazione tridentina. Inoltre, Ratzinger ha reintrodotto la croce al centro dell’altare, ha cominciato a distribuire la comunione ai fedeli inginocchiati, ha ripristinato paramenti antichi: tutti segnali che vanno nella direzione di sottolineare la continuità della tradizione.
Condizioni così favorevoli per un rientro nella piena comunione, con tutta probabilità non si ripeteranno più. Molti fedeli, ora che hanno ottenuto la messa in rito antico, non comprendono il perché la Fraternità non faccia pace definitivamente con Roma. I lefebvriani si sono resi conto di quanto sta avvenendo, anche se Fellay ha qualche problema di resistenze interne. La scelta è se accordarsi e rientrare nella piena comunione con la Santa Sede, oppure rimanere un piccolo corpo separato con il rischio di trasformarsi in un gruppuscolo settario e ininfluente.
Il Giornale n. 25 del 2008-06-23
Lo statuto dell'essere umano nell'epoca della scienza
Se cerchi la verità, l'antropologia ti può aiutare di Marcelo Sánchez Sorondo Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
Al termine del suo laborioso cammino nella Critica della ragione pura che fa capo all'io trascendentale, Kant confessava, con la sincerità di un antico stoico, un profondo sentimento di attesa: "Ogni interesse della mia ragione (tanto quello speculativo quanto quello pratico) si concentra nelle seguenti tre questioni: 1. Che cosa posso sapere? 2. Che cosa devo fare? 3. Che cosa ho diritto di sperare?". Quando poi riprese queste tematiche nella tarda Logik, aggiungeva una quarta domanda: "Che cosa è l'uomo?". Dopo tutto, infatti aggiunge - e la precisazione è una novità di valore essenziale - "tutto questo si potrebbe attribuire all'antropologia poiché le tre prime questioni si rapportano all'ultima, cioè, che cosa è l'uomo?".
Queste domande che fanno dell'antropologia il luogo privilegiato della ricerca della verità, rendono Kant uno dei pensatori moderni più radicale e geniale e insieme uno dei più problematici. Le laboriose analisi della Kritik der reinen Vernunft, ch'egli intende far passare sotto il nome di "metafisica", l'hanno smarrito in un labirinto che termina con più domande che risposte. Tuttavia, egli non disarma e fa appello - probabilmente sotto l'influsso del sentimento (feeling) di Hume che dà vitalità e valore alle impressions - alla convinzione ed esperienza profonda. Così egli riesce ad affermare nel noto testo della Kritik der praktischen Vernunft: "Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me". Nessuna incertezza o dubbio: "Io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza". Due esperienze fondamentali e pertanto due vie d'apertura verso l'infinito: ciascuna con lo stesso punto di partenza antropologico, ma con un orientamento diverso, che diventano oggi, con lo sviluppo della fisica, astrofisica, biologia e neurologia contemporanee di particolare significato e attualità. Seguiamo ancora le indicazioni di Kant.
La prima via - spiega - comincia dal posto che io con il mio corpo e il mio cervello occupo nel mondo sensibile esterno, e allarga la connessione, in cui mi trovo, a "una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora nei tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata". Questa esperienza è la via della riflessione sulla natura, che porta lo spirito al di là della tangente del mondo visibile, ammirato e smarrito, ma tuttavia fiero della sua consapevolezza dell'infinito.
La seconda via, cioè l'esperienza della legge morale, comincia "dal mio io invisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha - si noti bene! - la vera infinitezza, ma che solo l'intelletto può penetrare e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi conosco in una connessione non, come là (nell'esperienza del cielo stellato sopra di me), semplicemente accidentale, ma universale e necessaria". Nell'essere umano il punto di intersezione tra le due esperienze o spettacoli - come si vogliano chiamare - è impressionante e rivelativo dell'infinità reale, benché per partecipazione, dello spirito umano, cioè dell'anima intellettiva che ne è il suo centro.
Il primo spettacolo, spiega Kant, è quello di una quantità innumerevole di mondi, le cui misure di grandezza come c'informa l'astrofisica contemporanea assommano a milioni e centinaia di milioni di anni luce (un anno-luce è uguale a 9.460 miliardi di chilometri), ed è analogo per contrasto a quello proposto dalla microfisica delle particelle subnucleari che ci fa considerare la durata in misure minuscole e l'energia in quantità enormi. Perciò Kant ben può dire che tale spettacolo di magnitudini infinite "annulla completamente la mia importanza di creatura animale, che deve restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto dell'universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista di un breve tempo (e non si sa come) della forza vitale".
Il secondo spettacolo invece "eleva infinitamente il mio valore, nel senso di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall'animalità e anche dall'intero universo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme a fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all'infinito".
Tale è per Kant il grave e insostituibile compito della filosofia come "saggezza" (Weisheit): interpretare, all'esterno, la verità di essere della presenza della grandezza in continua espansione del mondo fisico, e della vita, e, all'interno, cioè nel profondo della libertà come la verità di essere dell'uomo. In questo modo emerge l'anima come soggetto che si possiede e si antepone come io.
Il primo spettacolo o esperienza è il cammino della scienza, particolarmente a partire dalla "rivoluzione copernicana" come la chiama lo stesso Kant ben consapevole del nuovo indirizzo determinato da Copernico e da Galileo; l'altro è la via del "conosci te stesso" che Eraclito intravede nel Logo e Aristotele individua nell'intelletto umano "capace di diventare e di fare tutte le cose", come superamento del fisicismo naturalista dei presocratici. I due spettacoli o esperienze si incontrano e si intrecciano nell'essere umano.
Da queste due esperienze risulta che la conoscenza dell'uomo non si gioca su un solo piano o livello, quello dell'osservazione, dell'esplicazione e della sperimentazione esterna (come riproduzione dei fenomeni) che è il cammino della scienza moderna. Siffatta conoscenza si allarga all'interazione tra l'osservazione naturale della scienza e la comprensione riflessiva della filosofia. L'essere umano è allo stesso tempo un ente osservabile, come tutti gli esseri della natura di cui egli partecipa, ed è un essere che conosce se stesso come esigeva Eraclito e poi Socrate, oppure che interpreta se stesso (Self interpreting being per usare la definizione di Charles Taylor o Paul Ricoeur).
Questa affermazione di due differenti livelli oggettivi del conoscere che si fanno presenti nell'uomo, ossia quello esterno del mondo che è l'oggetto della scienza e quello interno del se stesso, che fa capo all'io, può offrire una risposta di riconciliazione e di pacificazione alla questione posta dallo statuto dell'essere umano nel campo del sapere nell'epoca del predominio della scienza, a meno che, l'ideologia positivista non pretenda di abolire la frontiera fra le scienze della natura e le scienze dell'uomo e di annettere le seconde alle prime.
È con questo spirito che possiamo dirimere un conflitto come è quello della scienza legata alle mutazioni genetiche o all'ereditarietà, che sebbene siano state scoperte dal monaco agostiniano Mendel, dopo Darwin vengono il più delle volte collegate alle teorie evoluzioniste. Nessun limite esterno si può imporre all'ipotesi secondo cui variazioni aleatorie e modificazioni avvenute, si siano fissati e rinforzati nel "corridoio stretto d'evoluzione" al fine di assicurare la sopravvivenza della specie, e quindi anche di quella umana. Finora abbiamo evidenze storiche e forse biologiche, quindi qualcosa che è più di un'ipotesi, per dirla come Giovanni Paolo ii, su cui le scienze sperimentali dovranno fare accertamenti più stringenti con il rigore del metodo galileiano della formula matematica, della riproduzione dell'ipotesi in un esperimento concreto e veritativo.
La filosofia da parte sua - assieme alle scienze sociali aperte alle conoscenze della biologia - non deve intraprendere una battaglia persa in partenza per stabilire i fatti naturali. La filosofia deve interrogarsi su come possa incontrarsi con il punto di vista naturalista partendo dal presupposto che l'essere umano è già un essere parlante e questionante. Essere umano quindi, che si è dato delle risposte che sono indice del suo regno di libertà nei confronti della natura data. Mentre lo scienziato segue l'ordine discendente delle specie e fa apparire l'aspetto aleatorio, contingente e imprevedibile del risultato evolutivo dell'essere umano, il filosofo prende le mosse dall'autointerpretazione della propria situazione intellettuale, morale e spirituale e procede verso l'alto risalendo il corso dell'evoluzione fino alle fonti della vita e dell'essere che l'uomo stesso è. Il punto di partenza può essere ancora la questione originaria, sempre latente con una specie di autoreferenzialità di principio: la legge morale per Kant è quello che fa la differenza, la libertà è quello che Hegel chiama "l'essenza dello spirito".
L'essere umano, scoperto e riconosciuto a se stesso come morale e libero, può legittimamente domandarsi come egli si sia venuto preparando nella natura animale. Lo sguardo è quindi retrospettivo in quanto rimonta la catena delle mutazioni e delle variazioni. Questo sguardo retrospettivo incrocia quello progressivo, discendente il fiume delle "discendenze" dell'essere umano, uomo e donna. I due sguardi si intersecano in un punto: la nascita di un mondo simbolico e spirituale dove la legge morale e la libertà realizzata configurano l'umanità dell'uomo.
La confusione da evitare risiede nei due sensi che è possibile assegnare al termine origine, quello della derivazione genetica o orizzontale e quello invece della fondazione ontologica o verticale. L'uno fa riferimento all'origine della specie nella successione nello spazio e tempo a partire da un dato già originato, l'altro invece si pone domande sull'apparire dell'essere partecipato a partire dall'Essere per essenza. Si tratta qui della prima origine dell'ente che è il "passaggio" dell'ente dal nulla all'essere, che non è propriamente un passaggio quanto piuttosto l'origine primaria dell'ente che emerge sul nulla grazie all'atto di essere partecipato: Ex hoc quod aliquid est ens per participationem, sequitur quod sit causatum ab alio, ossia, da ciò che una cosa è ente per partecipazione ne segue che sia causata da altro. Di qui la formula completa della creazione come partecipazione (passiva nella creatura e attiva in Dio): Necesse est dicere omne ens, quod quocumque modo est, a Deo esse, ossia, "È necessario affermare che ogni cosa, che in qualsiasi modo è, viene da Dio". L'essenziale in questa "origine" verticale è il decentramento analogico verso il profondo, ossia, verso il se stesso di ciascuno, e il ri-centramento analogico verso l'alto, ossia verso Dio. Afferma questo anche l'ultimo Tommaso: Deus est et tu: sed tuum esse est participatum, suum vero essentiale, ossia, "Dio è e tu: ma il tuo essere è per partecipazione, il Suo per essenza".
Il passaggio dal semplice essere come animale creatura, per usare un'espressione kantiana, verso la dignità metafisica di essere spirituale analogo a Dio, si fonda nella dignità dell'uomo come forma per se subsistens, ossia, anima intellettiva, io trascendente, grazie all'appartenenza diretta, cioè in proprio che l'anima intellettiva ha dell'essere (esse) o atto di essere (actus essendi) partecipato. San Tommaso è molto determinato su questo punto, che costituisce l'originalità della sua antropologia, poco conosciuto dalla filosofia moderna: "quando viene a mancare il fondamento della materia - come nelle sostanze spirituali e nell'anima umana - la forma che resta di una natura determinata, una natura sussistente per sé, si rapporterà al suo essere (esse) come la potenza all'atto. Non dico come potenza separabile dall'atto, ma come quella ch'è sempre accompagnata dal proprio atto". Così egli conclude che anche nelle creature spirituali "c'è la composizione di potenza e atto".
La conclusione che si può desumere da questa altissima riflessione speculativa dell'Aquinate è che la dignità di essere spirito è caratterizzata da Kant, Hegel e da altri dopo la rivoluzione galileiana in convergenza con san Tommaso: nel pensiero moderno attraverso la trascendentalità del conoscere, della libertà, della legge morale che fanno capo all'io, mentre in san Tommaso queste trascendentalità come l'io stesso, il se medesimo, si fondano nell'atto di essere, e la sua appartenenza necessaria allo spirito (finito) si ha per diretta partecipazione da Dio. Così ogni singolo sussistente, come ha mostrato anche Kierkegaard, ha la sua origine verticale come persona creata.
(©L'Osservatore Romano - 23-24 giugno 2008)
MASCHIO O FEMMINA: realtà o scelta? S.E. Card. Carlo Caffarra
Brescia, 21 giugno 2008
Il dilemma posto nel titolo della mia riflessione ci introduce subito in medias res: la mascolinità e la femminilità che biologicamente istituiscono la forma umana, sono fatti semplicemente naturali oppure modi di essere propri della persona decisi esclusivamente dalla sua libertà? Cercherò di rispondere a questa domanda e sarà la prima parte della mia riflessione; nella seconda parte, più breve per ragioni di tempo, cercherò di mostrare la rilevanza che la risposta data ha sulla istituzione matrimoniale e familiare.
1. COSTRUZIONE DELLA RISPOSTA
Inizio da un testo dell’Enc. Veritatis splendor: "i dibattiti su natura e libertà hanno sempre accompagnato la storia della riflessione morale … di una tensione analoga resta segnata, anche se in un senso differente, l’epoca contemporanea … come se la dialettica – se non addirittura il conflitto – tra natura e libertà fosse caratteristica strutturale della storia umana" [46,1.2; EE 8/1623. 1624].
Possiamo verificare che in molte concezioni attuali del dimorfismo sessuale umano, in molte sue interpretazioni, è affermata in modo inequivocabile – più chiaramente che in altri dibattiti – una visione strutturalmente conflittuale fra natura e libertà, e quindi fra sessualità biologicamente intesa e la sessualità culturalmente intesa.
Questa tendenza, questo modo di considerare la mascolinità e la femminilità ha seguito e segue due percorsi che a prima vista hanno direzioni diverse, ma che in profondità portano allo stesso capolinea antropologico.
1,1. Primo percorso: libertà versus natura. È la nota teoria del gender. Le differenze fra mascolinità e femminilità vengono considerate come semplici effetti culturali. La forma sessuale cioè da imprimere nell’essere e da esprimere nell’agire della persona è affidata esclusivamente alla libertà, ad una libertà completamente sradicata da qualsiasi riferimento "naturale". L’essere uomo - l’essere donna nel senso della propria configurazione personale è, deve essere esclusivamente frutto della libertà che, nel progettare questa configurazione, non ha alcun referente "naturale". L’unica istanza competente a rispondere alla domanda: "chi è l’uomo – chi è la donna", "che senso ha l’essere uomo – l’essere donna"", è la libertà della persona.
Per cogliere fino in fondo la portata teoretica e [nella seconda parte del mio intervento] pratica di queste affermazioni, dobbiamo almeno accennare ad un fatto culturale di immensa portata: il cambiamento intervenuto nella coscienza dell’uomo occidentale circa il modo di considerare il proprio corpo. Il discorso sarebbe molto lungo. Mi limito all’essenziale.
Esprimo il mutamento con una formula … un po’ icastica: la persona umana non è il suo corpo, ma ha un corpo. È andata cioè progressivamente oscurandosi fino a scomparire una visione unitaria della persona [essa non è uno spirito che possiede un corpo, ma è "unità di corpo e spirito": è una persona corporea o un corpo personale]; al suo posto è subentrata una visione dualistica [la persona ha un corpo].
Alla luce della seconda visione, il corpo non ha più una sua originalità specifica [l’essere un corpo-persona], ma è del tutto uguale a ciò che viene indicato come "natura": un materiale a disposizione. Più precisamente. "Di conseguenza la natura umana e il corpo appaiono come dei presupposti o preliminari: materialmente necessari alla scelta della libertà, ma estrinseci alla persona, al soggetto e all’atto umano" [doc. cit. 48,1; EE/8,1628].
Il capolinea di questo percorso è la riduzione dell’io all’esercizio della sua libertà, affermata ovviamente in linea di principio. Una riduzione che porta diritto ad una progressiva dissoluzione della relazionalità della persona.
1,2. Secondo percorso: natura versus libertà. Questo secondo percorso riduce l’io all’insieme dei processi biologici e psicologici. L’io non possiede alcuna capacità di auto-muoversi e di auto-determinarsi, ma è piuttosto mosso dai suoi dinamismi psicofisici e da essi determinato. R. Bodei parla di una "rottamazione dell’io" [in Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze, Feltrinelli, Milano 2002, pag. 254-257].
Questa "rottamazione dell’io" impedisce di parlare di libertà se non in termini di spontaneità: la libertà consiste nella mera spontaneità. Che cosa distingue la libertà dalla semplice spontaneità? Il fatto che la spontaneità è movimento dell’organismo verso il suo proprio bene; la libertà è movimento della persona verso il bene in sé e per sé. La ricerca di un bicchiere d’acqua quando ho sete, è un movimento spontaneo; per me che ho sete l’avere a disposizione una bevanda è un bene, un bene per me. La ricerca di una vita associata giusta invece – per fare un esempio – è una inclinazione che implica un atto di intelligenza, un confronto critico fra società giusta e società ingiusta. Il vivere in una società giusta è pensato non come un bene per me o per alcuni, ma come un bene dell’uomo come tale, un bene comune. Già Platone ha dimostrato che il bene intelligibile – il bene cioè che si rivela mediante la ragione – è comune a tutti: è il bene comune.
L’io nella sua libertà si pone nell’incrocio fra le non raramente contrastanti sollecitazioni istintive che non possono che spingere verso "ciò che piace – ciò che non piace" e l’inclinazione razionale verso il bene in sé e per sé. Se riduco l’io alla natura bio-psichica, resta solo la possibilità di "essere agito" non di agire.
L’individualismo, che è stato il capolinea del processo precedente, divenendo spontaneismo espunge ogni criterio valutativo che non sia relativo al soggetto.
La propria mascolinità o femminilità non ha in nessun modo il carattere di una misura interna al proprio agire sessuale. Non è possibile distinguere una condotta sessuale giusta da una condotta sessuale ingiusta "per natura". E ciò per due ragioni che si coniugano assieme: l’io è la sua libertà; la libertà dell’io è la sua spontaneità. Nella seconda parte vedremo la rilevanza pratica di questa duplice riduzione.
1,3. Percorso cristiano: "uomo e donna li creò". Cerchiamo di verificare la risposta cristiana alla domanda "Uomo e donna: realtà o scelta?".
Faccio una premessa sulla quale purtroppo non posso dilungarmi. Esiste una visione cattolica del mondo e dell’uomo: diciamo della realtà. Questa visione ha degli elementi che la caratterizzano in maniera inconfondibile. Uno di questi è la congiunzione "et". "Pertanto, in questo pensiero non si assiste ad alcun cambio repentino dal "sì al no", non esiste alcun deciso "o così o così", né si può notare alcun "capovolgimento" assoluto, mentre si trovano invece "continuità", "dipendenza", "connessioni armoniche"" [L. Scheffczyk, Il mondo della fede cattolica. Verità e forma, V&P, Milano 2007, pag. 49].
La risposta dunque che la Chiesa propone non è "o natura o cultura", oppure "o realtà o scelta", ma si muove nella direzione dell’ "et": natura e cultura, realtà e scelta. In che senso? Faccio una seconda e non meno importante premessa.
Quando parliamo di mascolinità e femminilità, parliamo di un corpo maschile e femminile; di una fisiologia maschile e femminile; di una psiche maschile e femminile. In una parola: di una "natura maschile e di una natura femminile".
Questa natura è dotata di un senso perché è una natura ragionevole. Questo vuol dire che uomini e donne hanno elaborato una comprensione della loro mascolinità e femminilità, e in coerenza con essa hanno prodotto codici etici riguardanti il modo di vivere la propria mascolinità e femminilità.
Questo non vuol dire però che ciò che è dato al principio – la natura maschile e femminile della persona umana – non comporta alcuna indicazione specifica per l’elaborazione di quella comprensione e per i contenuti di quel codice: non esiste una pura autonomia. Ma il sussistere in una natura maschile o femminile vuole dire che la comprensione che l’uomo ha della mascolinità e della femminilità può essere vera o falsa; che le leggi di comportamento possono essere giuste o ingiuste. E pertanto il criterio veritativo non può essere il consenso computato aritmeticamente, così come il criterio valutativo non è la spontaneità. Il giusto è distinto dall’ingiusto "per natura"; il vero è distinto dal falso in ragione della realtà. E questo discernimento è opera della ragione.
Ma non della ragione che si riduca ad essere serva della semplice spontaneità naturale o della soggettività alla ricerca della propria individuale realizzazione. Ma della ragione che si apre all’essere e al bene in sé e per sé in cui ogni persona può riconoscersi.
Come vedete, la comprensione ed il vissuto della propria mascolinità e femminilità è un impegno arduo. Non è mai un dato acquisito una volta per sempre. È un’opera educativa.
Nella sua dolce provvidenza anche il Signore Iddio ha aiutato la persona umana in quest’opera educativa.
Esiste una rivelazione divina sulla mascolinità e femminilità umane. Essa riprende e compie quanto la retta ragione percepisce sia pure faticosamente.
Ora finalmente vorrei presentarvi i dati fondamentali di questa visione, alla luce congiunta della ragione e della fede. Sarò costretto a procedere in maniera … un po’ apodittica e me ne scuso – per il poco tempo a disposizione, partendo dai primi tre capitoli della Genesi, che sono l’immutabile base di tutta la visione cattolica dell’uomo.
La mascolinità e la femminilità sono le due forme, i due modi fondamentali in cui si realizza l’umanità della persona. La persona umana prima di essere "greco o barbaro, schiavo o libero, giudeo o gentile" è uomo o donna. La humanitas è bi-forme.
Questa bi-formità non significa e non comporta gradazione nella dignità: la persona è ugualmente o uomo o donna. La persona-uomo e la persona-donna hanno la stessa dignità avendo lo stesso statuto ontologico.
Perché questa bi-formità? Che senso ha? Quale è la sua verità più profonda?
È la costituzione relazionale della persona umana. Mascolinità e femminilità sono il simbolo reale che la persona umana non è un individuo che "contratta" il rapporto con l’altro, ma è originariamente dentro alla relazione con l’altra persona. Che cosa significa "simbolo reale". Due cose. Significa una capacità espressiva. Il bi-morfismo sessuale è un linguaggio, perché il corpo è il linguaggio della persona. Ogni linguaggio veicola un significato. Il significato veicolato dalla mascolinità/femminilità della persona è un significato sponsale: l’essere costituiti non per inabissarsi dentro ad una confronto sterile solo con se stessi, ma per una relazione con l’altro. Solo l’esistenza di una persona umana "altra", solo una vera e propria alterità-diversità era in grado di veicolare visibilmente il significato comunionale dell’esistenza umana.
Potremmo a questo punto sviluppare una lunga riflessione, partendo dal fatto che ogni linguaggio ha una sua grammatica, non rispettando la quale esso perde la sua capacità espressiva. Mi limito ad una telegrafica costatazione. La relazione omosessuale non veicola più il significato originario: è relazione di identici, cioè con se stesso.
Ma "simbolo reale" significa anche un’altra cosa. Significa anche e non dammeno capacità performativa. La mascolinità/femminilità della persona sono capacità di realizzare la comunione dei due: unità dei due. L’unità non distrugge la dualità; la dualità non impedisce l’unità. In sintesi. "In questa sua particolarità, il corpo è l’espressione dello spirito ed è chiamato, nel mistero stesso della creazione, a esistere nella comunione delle persone, "a immagine di Dio"" [Giovanni Paolo II, in Insegnamenti III/2 (1980), 288].
Il segno della capacità espressiva e performativa della comunione fra i due insita nella sessualità, è la capacità di porre le condizione dell’esistenza di un terzo, il figlio. Altro dai genitori: è persona! Frutto della loro unione: è loro!
Questa visione della persona umana non si regge né sulla contrapposizione della libertà alla natura né sulla contrapposizione contraria.
Da essa emerge una libertà radicata nella natura ed una natura affidata alla libertà. È quindi una libertà, che è responsabilità; è libertà condivisa con la libertà dell’altro.
È all’interno di questa visione che si comprende in che cosa consista ultimamente la ferita che il peccato ha inferto alla bontà della correlazione fra i due sessi: ha introdotto la grammatica del dominio, e quindi del conflitto che logicamente mira alla soppressione dell’altro, dentro alla grammatica del dono e quindi della comunione che logicamente mira a custodire nella sua identità l’altro. In fondo la storia del rapporto fra uomo e donna è percorsa dall’uso che essi fanno dell’una o dell’altra grammatica nel linguaggio della loro sessualità. E con questo sono già arrivato alla seconda parte.
2. RILEVANZA PRATICA DELLA RISPOSTA
Vorrei ora indicarvi molto brevemente quale rilevanza ha la riflessione precedente su alcune istituzioni della nostra vita associata. Lo devo fare telegraficamente.
Parto da una rilevanza di carattere generale, che enuncerei nel modo seguente: poiché la società uomo-donna è il paradigma fondamentale di ogni socializzazione della persona, l’errore e il disordine circa quella inficia ogni rapporto sociale. Prima societas in coniugio, dicevano già i Romani.
Il "sociale umano" è costituito dalla relazione di diversi. La ragione propria del fatto sociale [la ratio societatis] è una ragione relazionale, come ha in questi anni dimostrato P.P. Donati e la sua scuola. Questa ragione è negata quando si nega la diversità dell’altro per affermare se stesso, o quando si nega se stesso per comparire in una indistinta uniformità. Vedete come la visione che sopra abbiamo schizzata circa il rapporto uomo-donna è esemplare, paradigmatica appunto.
Desidero però attirare la vostra attenzione sulla rilevanza che tutta questa riflessione ha circa l’istituto matrimoniale.
L’istituto matrimoniale sta subendo una vera e propria "de-costruzione": viene come smontato pezzo per pezzo. Abbiamo ancora (?) in mano tutti i pezzi, ma non più l’edificio. Fuori metafora. Si parla ancora di coppia, di famiglia, di genitori, di paternità/maternità. Ma questa parole veicolano significati fra loro contrari.
Sono sempre più convinto che quest’opera di de-costruzione è stata operata dalla perdita della visione vera della sessualità umana. Gli altri fattori de-costruttivi, e ce ne sono e potenti, hanno potuto operare perché stava accadendo quell’oscuramento.
Devo dire che anche il pensiero cristiano non è sempre stato vigile al riguardo. E non saremmo mai abbastanza riconoscenti a Giovanni Paolo II che, primo pontefice nella storia, ci ha donato un compiuto Magistero circa il corpo e la sessualità umana. E a Benedetto XVI per ciò che ha scritto nella prima parte della sua prima Enciclica.
Concludo con un testo di K. Woitila. "Certe volte la vita umana sembra essere troppo corta per l’amore. Certe volte invece no – l’amore umano sembra essere troppo corto per una lunga vita. O forse troppo superficiale. In ogni modo l’uomo ha a disposizione un’esistenza e un amore – come farne un insieme che abbia senso?" [in Tutte le opere letterarie, Bompiani, Milano 2001, pag. 867].
L’avere a disposizione un’esistenza ed un amore; la sfida che questa disponibilità rivolge alla libertà: farne un insieme che abbia senso.
È di questo in fondo che abbiamo parlato, poiché la sessualità umana è il modo originario con cui questa sfida è lanciata ad ogni uomo e ad ogni donna.