mercoledì 18 giugno 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Cattolici in rivolta: Europa contro la famiglia
2) S.E. Card. Carlo Caffarra - Il bene del matrimonio
3) La ricerca sulle staminali non contrappone scienza e religione - Dichiarazione dei Vescovi statunitensi sulla ricerca non etica
4) Un sito di Al Qaeda minaccia Berlusconi e Magdi Allam: "Sono due morti che camminano, proprio come si autodefiniva Falcone", di Magdi Cristiano Allam
5) Bollette salate: è solo colpa del prezzo del petrolio?
6) Secchi: si preannuncia un mix di provvedimenti che vanno nella giusta direzione
7) Il governo faccia cose semplici e utili
8) Non mi fido, ma Tremonti è proprio ganzo - Di Giuliano Ferrara
9) La strategia dell'estrazione
10) LA MORTE DELLO SCRITTORE MARIO RIGONI STERN - Il gran narratore del mistero della vita
11) Internet ci ruba la realtà Ragazzi, attenti, di Marina Corradi
12) Paolo VI e il Credo di Maritain


Cattolici in rivolta: Europa contro la famiglia
Un dossier denuncia che spesso le sentenze delle corti comunitarie e le direttive anti-discriminazione entrano in contrasto con la Costituzione italiana. «I famosi Dico, le adozioni alle coppie omosessuali, il matrimonio tra persone dello stesso sesso... Tutto ciò che crediamo di aver chiuso fuori della porta del nostro Paese rischia di rientrare ora dalla finestra dell'Europa». È l'allarme che lancia la professoressa Marta Cartabia, docente di Diritto costituzionale all'università di Milano-Bicocca.
di Andrea Tornielli

«I famosi Dico, le adozioni alle coppie omosessuali, il matrimonio tra persone dello stesso sesso... Tutto ciò che crediamo di aver chiuso fuori della porta del nostro Paese rischia di rientrare ora dalla finestra dell'Europa». È l'allarme che lancia la professoressa Marta Cartabia, docente di Diritto costituzionale all'università di Milano-Bicocca, curatrice di un corposo saggio intitolato I diritti in azione (Il Mulino). La studiosa, in sintonia con l'«Association pour la Fondation Europa» (Afe) e con varie realtà del mondo cattolico lancia l'allarme per quello che definisce il rischio di «colonialismo giurisdizionale», vale a dire l'invasione, a suon di sentenze delle corti europee, degli ambiti spettanti alle Costituzioni nazionali. «Teoricamente - spiega al Giornale la studiosa - l'Europa non dovrebbe intervenire in tema di diritto familiare e questo è sancito anche in un protocollo al Trattato di Lisbona. Ma questi argomenti ritornano attraverso altre vie, ad esempio le direttive anti-discriminazione o le sentenze delle corti europee». Nel primo caso, si nota l'attivismo dell'Agenzia per i diritti fondamentali di Vienna, che, come dichiarato neanche troppo velatamente dal suo direttore, il danese Morten Kjaerum, non si limita soltanto a combattere la giusta battaglia contro le discriminazioni nei confronti degli omosessuali nel mondo del lavoro, ma considera «discriminatorio» il fatto che i gay non possano sposarsi o adottare bambini. «Le direttive anti-discriminazione - afferma la professoressa Cartabia - una volta inserite nel diritto europeo diventano il volano per la richiesta di equiparazione delle coppie gay alla famiglia». Per quanto riguarda invece il caso delle sentenze, basta ricordare quella della Corte europea per i diritti dell'uomo, che all'inizio di quest'anno ha condannato la Francia per aver rifiutato a una lesbica l'autorizzazione ad adottare un bambino (del quale, peraltro, la compagna convivente della ricorrente non aveva alcuna intenzione di occuparsi), stabilendo un risarcimento per danni morali di 10mila euro. O il caso della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, che lo scorso aprile, pur non potendo in realtà intervenire su temi previdenziali, ha dato ragione a un omosessuale tedesco che vi si era rivolto per ottenere la pensione di reversibilità del compagno scomparso, reversibilità non prevista dalle unioni civili in Germania. «Non c'è dubbio - denuncia Giorgio Salina, presidente dell'Association pour la Fondation Europa - che la convergenza di deputati europei appartenenti a diversi gruppi politici, gli intergruppi gay e lesbiche e analoghe organizzazioni europee determinano una forte pressione relativista nelle varie istituzioni ». Accade inoltre, continua Salina, che «le varie Corti internazionali, incluse alcune Corti costituzionali nazionali, assumano le reciproche sentenze e le risoluzioni del Parlamento europeo quali fonti del diritto, accumulando giurisprudenza. Si tratta di un metodo surrettizio di legiferare attraverso la magistratura aggirando le competenze riconosciute alle varie istituzioni». Nelle scorse settimane, la ministra del Lavoro del governo di Parigi, Rachida Dati, in prospettiva dell'imminente presidenza francese del Consiglio dell'Unione, ha affermato: «Il presidente Sarkozy e il governo francese intendono porre il tema dell'adozione di un diritto di famiglia comune nell'Ue, e ciò per evitare onerosi contenziosi in occasione della libera circolazione dei cittadini nei Paesi membri». Invocare un'uniformità sul diritto familiare significa aprire la questione del matrimonio e dell'adozione per gli omosessuali. Il Trattato di Lisbona, che regola il funzionamento delle istituzioni comunitarie, recepisce anche la Carta dei diritti fondamentali, rendendola vincolante. Non è un caso, fanno osservare Cartabia e Salina, che quel documento «sia aperto a diverse interpretazioni dei diritti relativi all'antropologia umana. Basti ricordare che l'articolo 9 cita il diritto a sposarsi e separatamente il diritto a formare una famiglia». Proprio il tentativo di alcune forze di procedere per via legislativa in sede europea, nel disinteresse generale, potrebbe far rientrare nel nostro Paese concezioni di famiglia diverse da quella sancita nella nostra Costituzione.
il Giornale, Mercoledì 11 giugno 2008

S.E. Card. Carlo Caffarra - Il bene del matrimonio
Perugia, 14 giugno 2008
"Abbiamo questo tesoro in vasi di creta", ha scritto S. Paolo parlando del ministero apostolico. Penso che si possa dire lo stesso anche del matrimonio: un vero e proprio tesoro, anche se depositato in vasi di creta.
Vorrei aiutarvi colla seguente riflessione a prendere coscienza della bontà, della preziosità insita nel matrimonio. Il mio quindi non sarà un discorso esortativo-morale; né sarà una diagnosi della condizione in cui versa oggi il matrimonio nella società civile. Più semplicemente: sarà una riflessione sulla verità del matrimonio dalla quale possa venire a voi, lo spero, gioia grande nello spirito.
Ci farà da guida l’insegnamento del Concilio Vaticano II [cfr. Cost. Past. Gaudium et spes 48; EV 1/1471-1472] che distingue la bontà, il valore intrinseco del matrimonio in quanto istituito da Dio creatore, e l’abbondanza delle benedizioni effuse da Cristo redentore elevandolo alla dignità di sacramento.
1. La bontà naturale del matrimonio
La persona umana è uomo e donna. Possiamo chiederci: c’è una ragione intrinseca a questo fatto? Perché l’humanum si realizza in due modi o forme, il modo della mascolinità ed il modo della femminilità?
Qualcuno potrebbe rispondere che è una costante biologica. Da un certo grado in poi nella scala dei viventi la modalità con cui si assicura una migliore continuità della specie, è il di-morfismo sessuale.
La risposta è solo parzialmente vera, e soprattutto ha un approccio al problema quanto meno rischioso. Che sia parzialmente vera non compete a me dimostrarlo: è un fatto verificabile nei modi propri della verifica scientifica. Mi preme maggiormente fermarmi sull’altro punto.
È rischioso avere un approccio alla problematica antropologica "partendo dal basso", facendo cioè un ragionamento più o meno di questo tipo: "come in tutte le specie viventi da un certo livello in poi .. così anche nell’uomo …". Il rischio è che questa metodologia impedisce di capire l’originalità della persona, la sua incomparabile unicità, riducendola ad un "caso" di legge generale.
Ritorniamo dunque alla nostra domanda per cercare una risposta più adeguata. Essa ci è suggerita dalle prime pagine della S. Scrittura.
Nel secondo capitolo della Genesi la creazione della persona umana-donna è spiegata colla esigenza della persona umana-uomo di uscire dalla sua originaria solitudine. Non date a questa parola "solitudine" il significato indebolito psicologico che ha nel nostro linguaggio comune, una sorta di malessere psichico. Ha un significato ontologico: non riguarda il sentire ma l’essere della persona. Solitudine significa impossibilità di comunicare con un altro da sé; significa incompletezza quanto all’essere: è meno persona dal momento che è "sola" ["non è bene …"].
La creazione della persona umana-donna rende possibile l’uscita da sé da parte della persona umana-uomo: rende possibile la comunione con un altro e quindi la comunicazione. Non a caso le prime parole che l’uomo dice, le dice alla donna: diventa capace di parlare perché diventa capace di comunicare; diventa capace di comunicare perché diventa capace di comunione. La sequenza è: linguaggio → comunicazione → comunione.
Fate bene attenzione. La persona che rende possibile la comunione è la persona-donna. È un modo di essere persona diverso, espresso nella corporeità sessuale femminilmente configurata. Detto in un modo un poco rozzo. Non è creando un secondo uomo che l’uomo sarebbe uscito dalla sua solitudine: si sarebbe trovato di fronte un altro se stesso, e non un … "altro altro". La comunione interpersonale è possibile se esiste un altro in senso vero e proprio, ma che nello stesso tempo abbia la stessa dignità ontologica di persona.
Questa breve riflessione ci dà tutti gli elementi necessari per costruire la risposta alla nostra domanda.
La mascolinità e la femminilità sono il "simbolo reale" dell’originaria relazionalità della persona umana. Spiego analiticamente questa fondamentale affermazione.
Per capire che cosa è un "simbolo reale" dobbiamo tener presente che esiste non solo il linguaggio informativo ma anche performativo. Faccio un esempio. Se dico ad una persona: "ti ringrazio", uso un linguaggio informativo. Esprimo a quella persona che ho nei suoi confronti un attitudine di gratitudine. Ma non solo. Nello stesso tempo in cui dico "ti ringrazio", compio anche di fatto un atto di ringraziamento. Non è sempre così il nostro linguaggio.
Il "simbolo reale" è un segno, è un linguaggio e informativo e performativo. La costituzione sessuale della persona esprime, dice, "informa" che essa [la persona] è originariamente in relazione: è costituita dentro la relazione. Ma nello stesso tempo la costituzione sessuale rende possibile, è in grado di realizzare una vera e propria comunione interpersonale.
Ho usato spesso la parola "originario/a". Che cosa significa? Due cose. Primo, che la natura della persona umana è fatta in questo modo; secondo che la libertà non è sradicata da questa costituzione ma ne è responsabile; le è data come compito.
"In tal modo, il corpo umano, contrassegnato dal sigillo della mascolinità o della femminilità, racchiude fin dal principio l’attributo sponsale, cioè la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e – mediante questo dono – attua il senso stesso del suo essere e del suo esistere" [Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Esperta in umanità (31.5.2004) 6,3; EV 22/2796].
Non si dimentichi che come ogni linguaggio, anche il linguaggio della sessualità ha la sua propria "grammatica". Se non viene rispettata, il linguaggio o diventa incomprensibile o veicola significati falsi. Da quanto abbiamo detto finora la grammatica del linguaggio sessuale è la grammatica del dono di sé.
Riprendiamo ora l’inizio della nostra riflessione. La riflessione fatta finora ci ha fatto scoprire che il matrimonio è un "tesoro". Esso è la prima e in un certo senso la fondamentale espressione e realizzazione della costituzione relazionale della persona umana, e della chiamata della medesima alla comunione.
E il simbolo reale che il matrimonio è questo, è che solo in esso si pongono le condizioni perché venga all’esistenza una nuova persona in modo adeguato alla sua dignità. La verità del matrimonio libera la persona dal rischio che essa si inabissi in un confronto sterile e alla fine mortale solo con se stessa [cfr. doc. cit.; 2794]. E la paternità-maternità è la perfetta uscita da sé, l’autodonazione che realizza nella pienezza la comunione fra l’uomo e la donna.
Il matrimonio è un grande bene che vi è stato donato perché è la possibilità di realizzare in pienezza voi stessi nell’unico modo vero: nel dono di sé sponsale e genitoriale.
2. La bontà soprannaturale del matrimonio
Entriamo ora nell’universo della fede. In esso la preziosità propria del matrimonio è stata elevata a dignità sublime. Cercherò ora di balbettare qualcosa al riguardo, partendo da un’esperienza molto semplice.
Sicuramente ci è capitato di dire: "questa persona è più bella di quella", oppure "questa musica, questa chiesa, questa città è più bella di quella …". Noi cioè siamo capaci di istituire una gradazione all’interno della stessa perfezione [nell’esempio: la bellezza].
Quest’operazione spirituale è possibile perché abbiamo una qualche sia pure oscura percezione della perfezione in questione al grado puro, al grado sommo. Altrimenti come potremmo dire "più – meno" se non avessimo una misura con cui misurare il grado di perfezione?
Non solo. L’essere "più" o "meno" [e.g. bello/a] non può spiegarsi che in base alla più o meno intensa partecipazione a quella perfezione e al suo stato puro. Lo dice la parola stessa, parte-cipazione, cioè "prendere-parte". È nel prendere parte è possibile un più e un meno.
Che cosa accade in un uomo ed in una donna che si sposano "in Cristo", che ricevono cioè il sacramento del matrimonio? Sono resi partecipi dello stesso amore di Cristo quale si è realizzato nella sua perfezione pura sulla croce.
L’apostolo Giovanni introduce il racconto della passione del Signore scrivendo che in essa l’amore di Gesù giunse alla sua suprema perfezione.
Mediante il sacramento del matrimonio, l’uomo e la donna sono resi partecipi e quindi capaci di amarsi collo stesso amore con cui Cristo ha amato, anche se, ovviamente, non colla stessa misura. L’amore sponsale di due sposi cristiani è della stessa natura, anche se di misura diversa dell’amore di Cristo crocefisso.
Fate bene attenzione: non sto parlando di un compito, sto parlando di una grazia; non sto parlando di un impegno, sto parlando di un dono. Per riceverlo non è chiesto di più che la volontà di sposarsi "in Cristo" cioè di celebrare non il matrimonio semplicemente ma il matrimonio-sacramento. Nulla di meno; ma neanche nulla di più.
Potete ora capire perché nella fede la preziosità propria del matrimonio è elevata a dignità sublime.
Alla fine del punto precedente vi dicevo che il matrimonio è un grande bene perché esso dona all’uomo e alla donna la possibilità di realizzare se stessi nel modo vero, cioè nel dono di sé.
Nel sacramento questa possibilità viene inabitata e come investita da una possibilità umano-divina, quella di Cristo crocefisso.
C’è un altro aspetto su cui voglio attirare la vostra attenzione. Abbiamo questo tesoro in vasi di creta, ci dice l’Apostolo. Vi ho parlato poc’anzi della "grammatica" del dono che crea comunione fra l’uomo e la donna. Ma il linguaggio sessuale può essere detto seguendo la "grammatica" del possesso che genera conflitto fra l’uomo e la donna.
La preziosità è stata deturpata, la correlazione originaria è stata ferita: ha bisogno di essere guarita. Inseriti nel mistero della Croce, l’uomo e la donna sposi sono guariti dalla grazia di Cristo, e sono riportati ad una comunione nella quale la concupiscenza può essere vinta. È certo un cammino difficile e lungo. "Nella forza della risurrezione è possibile la vittoria della fedeltà sulle debolezze, sulle ferite subite e sui peccati della coppia. Nella grazia del Cristo che rinnova il loro cuore, l’uomo e la donna diventano capaci di liberarsi del peccato e di conoscere la gioia del dono reciproco" [Congregazione della Dottrina della Fede, Dich. Esperta … cit. 11,1; EV 22/2813].
Conclusione
Mi piace concludere con un testo di K. Woitila. "Creare qualcosa che rispecchi l’Essere e l’Amore assoluto è forse la cosa più straordinaria che esista. Ma si campa senza rendersene conto" [in Tutte le opere letterarie, Bompiani, Milano 2001, pag. 869]. È detto tutto.
È "il tesoro": "creare qualcosa", dare cioè origine alla comunione sponsale e famigliare; "che rispecchi l’Essere e l’Amore assoluti"; la costitutiva correlazione della persona umana è ad immagine di Dio.
Ma il tesoro "è deposto in vasi di creta", poiché "si campa anche senza rendersene conto".
Ed allora, "l’amore è una sfida continua. Dio stesso forse ci sfida affinché noi stessi sfidiamo il destino" [ibid. pag. 849].


La ricerca sulle staminali non contrappone scienza e religione - Dichiarazione dei Vescovi statunitensi sulla ricerca non etica
WASHINGTON, D.C., martedì, 17 giugno 2008 (ZENIT.org).- I Vescovi statunitensi riconoscono che la ricerca sulle cellule staminali ha catturato l'immaginazione di molti membri della società, ma ribadiscono che uccidere deliberatamente esseri umani innocenti è profondamente immorale.
I presuli hanno affrontato la questione relativa alla ricerca sulle cellule staminali embrionali in una dichiarazione approvata nel loro incontro primaverile, terminato sabato.
In primo luogo, hanno spiegato cosa sono le cellule staminali e perché hanno suscitato tanto interesse nella comunità scientifica.
"Gli scienziati sperano che queste basi biologiche possono essere indirizzate per produrre molti tipi di cellule per 'riparare' il corpo umano, curare malattie, alleviare sofferenze", sottolineano. "Ma alcuni scienziati sono più interessati alle cellule staminali ottenute distruggendo un essere umano allo stato embrionale nei primi giorni del suo sviluppo. Immagazzinare queste 'cellule staminali embrionali' implica l'uccisione deliberata di esseri umani innocenti, un atto gravemente immorale".
Tre argomentazioni false
I presuli hanno sottolineato tre argomentazioni proposte per giustificare la distruzione di embrioni umani per ottenere cellule staminali: "1) i benefici potenziali prevalgono su qualsiasi danno arrecato in questo caso; 2) quella che viene distrutta non è una vita umana, o almeno non è un essere umano con diritti umani fondamentali; 3) non si dovrebbe pensare che sezionare embrioni umani per le loro cellule implichi una perdita di vita embrionale".
Dopo aver mostrato la debolezza di ogni argomentazione, i Vescovi sottolineano che "questo non è solo un insegnamento per la Chiesa cattolica. La Dichiarazione di Indipendenza della nostra Nazione ha dato per scontato che gli esseri umani sono diversi per dimensioni, forza e intelligenza, ma ha dichiarato che i membri della razza umana diversi da questi punti di vista sono creati uguali nei loro diritti fondamentali, iniziando dal diritto alla vita".
"Purtroppo, questo principio di uguali diritti umani per tutti non è sempre stato messo in pratica, anche dai firmatari della Dichiarazione. Nei momenti più importanti della nostra Nazione, tuttavia, gli Americani hanno compreso che non possiamo scartare o escludere una classe dell'umanità, cioè che i diritti umani fondamentali devono appartenere a tutti i membri della razza umana, senza distinzioni".
I Vescovi sottolineano anche l'asserzione per cui gli embrioni usati per la ricerca sulle cellule staminali sarebbero "soprannumerari", e quindi "embrioni indesiderati che morirebbero comunque".
Questa argomentazione "è semplicemente non valida". "Alla fine tutti noi moriremo, ma questo non dà a nessuno il diritto di ucciderci".
La dichiarazione si concentra anche sulla questione della clonazione e su altri elementi collegati.

"La clonazione umana è intrinsecamente sbagliata perché riduce la procreazione a un mero processo produttivo, formando nuovi esseri umani in laboratorio con caratteristiche specifiche come se fossero merci. [...] Ciò è particolarmente chiaro quando gli embrioni umani vengono prodotti clonando a scopi di ricerca, perché le nuove vite umane sono generate unicamente per essere distrutte", denunciano.
Alcuni ricercatori e legislatori propongono addirittura di sviluppare embrioni clonati nel grembo di una donna per qualche settimana per immagazzinare tessuti e organi più utili, "una pratica grottesca contro la quale il Congresso si è schierato attraverso il Fetus Farming Prohibition Act del 2006".
"Alcuni vorrebbero che le donne fossero donatrici di ovuli per la ricerca sulla clonazione umana, offrendo anche denaro per superare le preoccupazioni di queste donne circa i rischi per la loro salute".
Riferendosi alla proposta già approvata nel Regno Unito, i Vescovi ricordano che "altri ricercatori vogliono usare ovuli animali per esperimenti di clonazione umana, creando embrioni 'ibridi' che offuscano la linea di separazione tra specie umane e animali".
Una volta che si è passato il confine morale che evita di trattare ogni essere umano come mero oggetto di ricerca, riconoscono i presuli, "non c'è punto di arresto".
"L'unico atteggiamento morale che afferma la dignità umana di tutti noi è rifiutare il primo passo di questa via".
Per questo motivo, esortano "i cattolici e tutte le persone di buona volontà a unirsi a noi nel riaffermare, proprio in questo contesto della ricerca sulle cellule staminali embrionali, che 'l'uccisione di creature umane innocenti, anche se realizzata per aiutare altri, rappresenta un atto assolutamente inaccettabile'".
"La questione della ricerca sulle cellule staminali non ci obbliga a scegliere tra scienza ed etica, e men che meno tra scienza e religione", osservano i Vescovi.
"Presenta una scelta relativa a come la nostra società perseguirà il progresso medico e scientifico. Ignoreremo le norme etiche e useremo alcuni degli esseri umani più vulnerabili come oggetti, minando il rispetto per la vita umana che è alla base di tutti i metodi di guarigione?".
Un percorso simile, anche se portasse a un rapido progresso tecnologico, "sarebbe un regresso nei nostri sforzi di costruire una società che sia pienamente umana".
Al posto di ciò, concludono "bisogna perseguire il progresso in modi eticamente responsabili che rispettino la dignità di ogni essere umano", perché "solo questo produrrà cure con cui tutti possano convivere".


Un sito di Al Qaeda minaccia Berlusconi e Magdi Allam: "Sono due morti che camminano, proprio come si autodefiniva Falcone"
Non mi faccio intimidire dai tagliagola e dai taglialingua. Ho ricevuto tanti messaggi di solidarietà da persone semplici, ma è terrificante il silenzio delle istituzioni che rinnegano i valori fondanti della nostra umanità
autore: Magdi Cristiano Allam
Cari Amici,
E' di poche ore fa la notizia che in un sito islamico legato ad Al Qaeda il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed io siamo stati minacciati di morte qualificandoci "due morti che
camminano, proprio come si autodefiniva Falcone". Il testo compare in lingua italiana e l'autore è probabilmente un italiano convertito alla causa del terrorismo islamico di Bin Laden.
Ho subito ricevuto in questo nostro sito, tramite gli sms e le telefonate tanti messaggi di fraterna e affettuosa solidarietà, con l'incoraggiamento ad andare avanti, da parte di persone semplici con cui condivido una solida e genuina amicizia. Nell'ambito delle istituzioni, solo la Comunità ebraica romana per bocca del suo presidente Riccardo Pacifici mi ha espresso vicinanza e solidarietà.
Ebbene ringrazio di cuore tutti gli amici sinceri e li rassicuro che non mi faccio intimidire né dai terroristi tagliagola di Al Qaeda né dai terroristi taglialingua dei Fratelli Musulmani. Così come non mi faccio condizionare dal terrificante silenzio del governo, dei politici, del parlamento, dei magistrati, dei giornalisti e della cosiddetta società civile. Costoro non si rendono conto che il loro silenzio sulla flagrante violazione del fulcro della nostra umanità, la fede nella sacralità della vita, la difesa della dignità della persona e il rispetto della libertà di scelta, si traduce nella resa dei valori e nella disfatta della nostra civiltà occidentale.
La notizia è stata riportata dal collega Massimiliano Hamza Boccolini dell'Adn-Kronos International. Ve la cito: "Il premier italiano Silvio Berlusconi e il vice direttore del 'Corriere
della Sera', Magdi Allam, sono di nuovo nel mirino dei siti islamici che si rifanno all'internazionale di Osama Bin Laden. Nuove minacce sono state rivolte nei loro confronti all'interno di uno dei forum islamici sul web piu' famosi e frequentati. A differenza del passato, ed in particolare negli anni del precedente governo Berlusconi quando queste minacce venivano postate in lingua araba, ora la presenza degli internauti islamici si è allargata così come la loro vicinanza
all'Italia tanto che vengono postati direttamente in italiano. A scrivere è un nuovo membro dei siti che si fa chiamare 'Muhajir Allah Wada'a Ahlahu' (emigrante di Allah ha dato l'addio alla sua gente). Pur usando un nome arabo, a differenza di altri utenti di questi forum che si occupano delle vicende del nostro paese, lui sembra scrivere bene nella nostra lingua. Nel post dal titolo
"Berlusconi e Magdi Allam", scrive: "Sono due morti che camminano...proprio come si auto definiva Falcone..messaggio in codice?! Forse!". Leggendo queste ultime parole e paragonando il linguaggio usato con quello dei comunicati delle varie cellule arabe di al-Qaeda sembra più una provocazione che un messaggio in codice da inviare ad una cellula dormiente. I messaggi riconosciuti tali dagli esperti, e solitamente presenti nei discorsi del numero due di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, hanno riferimenti temporali o geografici che servono a far capire ai
suoi uomini come e quando muoversi. Resta il fatto che per la prima volta questo genere di minacce e di provocazioni appaiono in un sito di propaganda qaedista completamente in lingua italiana".
Cari amici, andiamo avanti insieme da Protagonisti per l’Italia dei diritti e dei doveri, promuovendo un Movimento della Verità, della Vita e della Libertà, per una riforma etica dell’informazione, della società, dell’economia, della cultura, della politica e dello Stato, con i miei migliori auguri di successo e di ogni bene.
Magdi Cristiano Allam


Bollette salate: è solo colpa del prezzo del petrolio?
Redazione18/06/2008
Autore(i): Redazione. Pubblicato il 18/06/2008 – IlSussidiario.net
Il caro petrolio è ancora alla base degli aumenti di luce (+2,2%) e gas (+4,6%) previsti per il prossimo 1° luglio da Nomisma e che dovranno essere confermati entro fine mese dall'Authority per l'energia. Un rincaro che andrebbe ad aggiungersi a quelli già scattati nei precedenti trimestri e che dalla fine del 2004 hanno voluto dire per ogni nucleo familiare un rincaro complessivo di quasi 400 euro.
E per fortuna, come dice Nomisma, che tali rincari sono limitati, rispetto a quanto sarebbe potuto succedere, dalla forza dell'euro, altrimenti avremmo avuto degli aumenti ben superiori a quelli stimati per il prossimo trimestre.
Ma non è tutto: per il prossimo futuro le previsioni non sono rosee. Siccome gli aggiornamenti trimestrali si basano sulle medie dell'andamento delle materie prime dei sei mesi precedenti per l'elettricità e dei nove mesi precedenti per quanto riguarda le tariffe del gas, dai prezzi record del greggio di questi ultimi mesi non possiamo che aspettarci nel 2008 una stangata ancora più dura per i costi energetici delle famiglie e delle imprese.
Tutta e solo colpa del prezzo del petrolio?
Se così fosse non ci resterebbe che rassegnarci al peggio, in quanto tale prezzo non ci vede protagonisti in nessun punto della filiera della produzione, siamo dei semplici importatori e raffinatori di questa materia prima.
Sorge però a questo punto una domanda: ma l’energia elettrica si produce solo con centrali che funzionano con i derivati del petrolio?
E poi un’altra domanda: ma il gas non è propriamente un derivato del petrolio e dunque perché per il prezzo del metano sempre ci si riferisce al prezzo del petrolio e dei suoi diretti derivati?
Per quanto riguarda la prima domanda la risposta è che in Italia produciamo energia elettrica anche con altre materie prime come il carbone (poco), le biomasse e i rifiuti e con altre fonti rinnovabili come l'acqua, il vento, il sole. E poi con il gas che fa funzionare tutte le nuove centrali di produzione di elettricità a ciclo combinato, e dove il problema posto dalla seconda domanda ritorna in modo drammatico: per far funzionare queste centrali utilizziamo una materia prima molto costosa che incide in modo rilevante sul prezzo finale dell'energia elettrica.
Ritornando all'interrogativo principale da cui siamo partiti (tutta colpa del petrolio?) si possono aggiungere queste considerazioni:
1) Certamente sono in atto manovre speculative sul petrolio, manovre confermate nei giorni scorsi dal Ministro Tremonti, favorite anche dalla crescente domanda dei Paesi asiatici e dalla sostanziale non volontà di aumentare la produzione da parte dei Paesi produttori.
2) Senza un serio ritorno al nucleare di nuova generazione, come enunciato dal Ministro Scajola per conto del Governo, non potremo mai pensare di avere in Italia un'offerta energetica che sia in linea con i prezzi degli altri Paesi europei, in quanto continueremmo ad essere troppo dipendenti dal petrolio e dalle manovre speculative spesso di natura finanziaria di cui abbiamo detto.
3) Occorre incentivare e promuovere maggiormente la produzione elettrica da fonti rinnovabili e in particolare la costruzione di nuovi termovalorizzatori, in grado di rispondere oltre che al problema della produzione elettrica anche a quello, non meno drammatico, dello smaltimento dei rifiuti.
4) Occorre tentare seriamente di sganciare il più possibile il prezzo del gas da quello del petrolio agendo sui Paesi produttori (tentativo quasi disperato, essendo Russia e Algeria monopolisti in questo campo) e agendo nel contempo sui grandi soggetti importatori che, in forza della crescente domanda interna dovuta come detto alla produzione termoelettrica, lucrano consistenti margini economici anche in presenza di contratti pluriennali di approvvigionamento che non giustificano del tutto l'aumento delle tariffe agli utenti finali, siano esse famiglie o aziende.
5) Occorre infine che gli attori in campo, siano essi produttori e/o importatori, raffinatori o distributori siano maggiormente attenti non solo al valore del titolo in Borsa della propria società, ma anche al valore di chi si trova a valle della filiera, delle famiglie e delle imprese, che se venissero considerate sempre e solo come soggetti su cui scaricare l'aumento dei costi si troverebbero, ben presto, a non poter sostenere con efficacia la propria funzione di elementi trainanti la società e l'economia, con buona pace del concetto di “bene comune”.
(Mario Saporiti Presidente di Utilità Spa)


Secchi: si preannuncia un mix di provvedimenti che vanno nella giusta direzione
Int. a Carlo Secchi18/06/2008
Autore(i): Int. a Carlo Secchi. Pubblicato il 18/06/2008 – IlSussidiario.net
Questo Consiglio dei Ministri è di una certa rilevanza: dovrebbe varare provvedimenti da un lato volti a esigenze di rigore, dall'altro a favore dello sviluppo e per ricapitalizzare le esigenze della classe media, mantenendo il potere d'acquisto delle famiglie. C'é una manovra che si preannuncia almeno in questa prima tranche di 13,1 miliardi, per il 2009: qual è la sua opinione su tutto questo?

L'impressione è che ci sia un mix di operazioni finalizzate al risanamento del bilancio pubblico, per far fronte agli impegni presi e ribaditi recentemente anche all'ultimo Ecofin, che consistono in primi tagli alla spesa e in una revisione del carico fiscale. I tagli alla spesa mi pare vadano nella giusta direzione, per quanto riguarda le ipotesi fatte: non c'è dubbio che per tagliare bisogna agire sulle grandi voci di spesa, la spesa pubblica, partendo dal personale e dai Ministeri, dove questo è in misura maggiore. Quindi i tagli devono essere incisivi. Poi vi sono operazioni sul piano della fiscalità che mirano a un aumento del gettito, in parte per far fronte a recenti decisioni come lo sgravio dell'Ici sulla prima casa, in parte come premessa, spero, per una revisione dell'attuale sistema impositivo. In particolare penso alle famiglie, che con le riforme introdotte da Visco nel governo Prodi si sono ritrovate con un notevole aggravio a livello di Irpef. Il passo importante per dare respiro e sollievo alla classe media, con un occhio verso i redditi più bassi che sono stati penalizzati dalle riforme di Visco, è quello di riequilibrare il carico fiscale, come premessa per un alleggerimento a loro favore.

Cosa ne pensa della Robin Hood tax? Ha destato qualche scalpore il fatto che sia stata la proposta di un'esponente come Tremonti, perché si tratta comunque di una sorta di inasprimento fiscale.

Sembra una tassa di guerra: punisce profitti elevati dovuti a circostanze esogene, come nel caso specifico le tensioni del mercato del petrolio. Il pensare, come si faceva ai tempi di guerra, di tassare i profitti ritenuti eccessivi rispetto alla normalità può avere un certo senso, però si introducono degli elementi distorsivi nel funzionamento del mercato, e c'é il rischio che questo ricada sui consumatori dei beni di cui trattasi, in questo caso i derivati del petrolio; quindi è da guardare con attenzione e da ritenere un provvedimento di carattere eccezionale. Altrimenti poi si scoraggiano gli investimenti e ci sono tutti una serie di conseguenze negative. È chiaro l'effetto di annuncio sul piano politico; ma un conto è quello, e un conto è capire dal punto di vista tecnico e di funzionamento economico del meccanismo quali possono essere le ripercussioni. Vediamo come verrà congegnata; immagino rispetterà i requisiti di eccezionalità.

Nel giugno del 2006, all'indomani dell’insediamento del governo Prodi, si parlava di liberalizzazioni, le famose lenzuolate, e ne parliamo ancora adesso. La new entry è rappresentata dalla voce “pacchetto energia”, di cui il nucleare è una parte importante. Una sua riflessione su queste due voci?

C'é stato un effetto di annuncio importante rispetto alle liberalizzazioni del Governo Prodi, che furono abbastanza modeste, e in taluni casi si sono rivelate dei veri e propri boomerang, che hanno portato un aumento dei prezzi anziché una diminuzione. Occorre aumentare la concorrenza nel sistema. Basti per tutti il caso della distribuzione della benzina: noi siamo il Paese col maggior numero di distributori, e guarda caso i prezzi sono i più elevati, e per di più non è consentito distribuirla a taluni soggetti che potrebbero farlo a condizioni vantaggiose – come nel caso dei supermercati – e di poterlo fare su ampia scala. Il sistema Italia ha bisogno di più concorrenza in tutti i settori, e quindi ci vogliono misure che vadano in quella direzione. Un modo diverso di chiamare le liberalizzazioni è il termine “privatizzazioni”: se questo significa dismissioni di beni che non servono più alla proprietà pubblica, ben vengano anche queste, perché sono fonte di oneri e costi e non portano vantaggio alla collettività. Poi non è che si debba privatizzare per il gusto di privatizzare: tante cose è bene che siano pubbliche, altre che siano affidate al mercato. L'importante è che ci sia concorrenza nell'erogazione di servizi pubblici. Altrimenti si vede il caso di servizi di pubblica utilità che continuano a rincarare perchè non c'é concorrenza, non perchè sono pubblici o privati. Il nucleare, ben venga: il nostro Paese è talmente “demente” da acquistare energia prodotta a pochi chilometri dai confini, invece che produrla in proprio.

Quando si passerà al merito del problema ci sarà una battaglia per ragioni culturali in un Paese come il nostro.

Per ragioni di sottocultura. L'energia nucleare è un’energia rinnovabile, un'energia sicura, come è ampiamente dimostrato. La tecnologia oggi ha fatto passi da gigante rispetto al recente passato; abbiamo sprecato decine di migliaia di miliardi di vecchie lire per il referendum, di cui paghiamo ancora le conseguenze da vent'anni, e abbiamo l'energia più cara d'Europa. Questo non ha nessun senso; il nucleare è il modo per affrancarsi rispetto alla servitù rappresentata dal petrolio e dalle forme di energia non rinnovabile. Questo non vuol dire che non vadano bene eolico o fotovoltaico: ma la vera risposta viene dal nucleare.


Il governo faccia cose semplici e utili
Carlo Pelanda18/06/2008
Autore(i): Carlo Pelanda. Pubblicato il 18/06/2008 – IlSussidiario.net
Il Consiglio dei ministri di oggi è quello più atteso dall’avvio del governo Berlusconi: potremo finalmente valutarne la volontà e capacità di mettere mano alle molteplici emergenze del paese, con misure di breve termine, nonché di impostare le soluzioni ai problemi strutturali con strategie di medio/lungo periodo.
Le priorità, da un punto di vita di tenuta economica del sistema, sono: (a) tornare qualche soldo alle famiglie italiane, circa la metà, che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese a causa si salari inadeguati a reggere l’aumento del costo della vita (tariffe, tasse, mutui, cibo ed energia); (b) ridurre il prezzo dei carburanti, intervenendo sulla componente fiscale, per i trasportatori e simili affinché possano sopravvivere e, soprattutto, non scaricare i costi maggiori del gasolio sui prezzi al consumo; (c) tagliare i costi pubblici per creare uno spazio di bilancio utile sia alle detassazioni, sia a portare i conti statali il più vicino possibile al pareggio, in ogni caso obbligatorio per eurovincolo entro il 2012 (non facile se il 2008 ed il 2009 saranno recessivi e quindi portatori di minor gettito). In base all’agenda dei lavori rilasciata alla stampa, sembra che il governo abbia ben chiare tali priorità e che per ciascuna abbia una soluzione. Resta da vedere l’intensità della soluzione stessa, cioè il “quanto” viene trasferito dai costi improduttivi dello Stato al sollievo di famiglie, categorie produttive e disinflazione. Conosciamo tutti la situazione di rigidità della spesa pubblica. Per questo va detto a chi governa: fate il possibile, ma fatelo presto.
Sembra finalmente ben orientata la linea di politica energetica, con la quale si vuol mirare alla costruzione di centrali nucleari di ultima generazione. Questa è la madre di tutte le soluzioni ed al governo va solo raccomandato di non lasciarsi intimidire da che demonizza tale tecnologia. Ma pare raccomandazione inutile e speriamo bene. Va solo segnalato che il petrolio, in ogni caso, resterà una risorsa centrale almeno per un secolo e pertanto andrebbero incentivate le soluzioni tecnologiche che permettono di produrne di sintetico. Solo da pochi mesi, infatti, sono disponibili nuove tecnologie che permettono di trasformare qualsiasi materiale organico, tra cui i rifiuti, in combustibili sintetici sia per la generazione di elettricità che per l’autotrazione. Ma c’è tempo: la priorità ora è lanciare il nucleare.
Il governo deve fare il possibile per risolvere l’emergenza nella quale ci troviamo perché di emergenza si tratta. Proprio per questo spirito di “comunità nei guai”, che vuole azioni pratiche e soluzioni essenziali, se è lecito dare un consiglio, il governo non si metta nei pasticci con inutili impieghi di militari in compiti inappropriati di polizia interna, tasse selettive con nomi “pericolosi” tipo Robin Hood e stranezze del genere. Non servono. Faccia cose semplici ed utili.
www.carlopelanda.com


18 giugno 2008
Oggi si riunisce il Consiglio dei ministri
Non mi fido, ma Tremonti è proprio ganzo - Di Giuliano Ferrara
Non riesco ancora a capire se in generale abbia torto o ragione. Propendo all’ingrosso per il torto. La sua verve apocalittica mi mette in sospetto. Questa evocazione della paura. Questa offerta continua di tutela. Questa improvvisa scoperta dei “valori”. Questo ventinovismo, che dovrebbe portarci a un’autoritativa riscoperta del comando dello stato in economia, sub specie roosveltiana o colbertiana. Il capitalismo ha dei limiti, ovvio. La sua forma globale pone qualche serio problema, chi lo nega. Il nostro ministro finanziario in capo ha tutto il diritto di ragionare su queste cose con quel suo fare malizioso. Ma diffido del suo carattere, pur riconoscendogliene uno, il che è enorme nella politica italiana. Se continua così, però, finisco dritto dritto tra i sedotti di Giulio Tremonti. Il tipo è proprio ganzo.
I numeri di Osaka furono da grande repertorio. Annunciò che oggi in Consiglio dei ministri, alle ore 17 e 30, varerà tre leggi finanziarie. Che porterà al pareggio di bilancio secondo il calendario europeo, appunto in tre anni. Che ha convinto i poteri locali a rinunciare a una massa di trasferimenti di risorse sempre maggiore, progressivamente maggiore, di qui al 2011. Che farà il federalismo fiscale, cioè la più grande ristrutturazione del bilancio pubblico, di valore costituzionale e di impatto radicale, della storia della Repubblica. Che la farà con procedura legislativa ordinaria, a partire dal prossimo mese di settembre, e che ha cominciato a discuterne a Milano con i capi dell’opposizione, sindaci presidenti di Regione e ministri ombra. Sta intanto mettendo ordine nei numeri, perché se deve cambiare il criterio della distribuzione delle risorse fiscali nel territorio nazionale, è ovvio che è necessario sapere bene come vanno le cose adesso.
In uno speciale dopocena giapponese, Tremonti non ha soltanto annunciato, sarebbe roba da cortile di casa, da provinciale, che non ci sarà più il mercato nero degli emendamenti, con tutto il corteggio di blocco del Parlamento nella sessione di bilancio dedicata al baratto e di dissoluzione di ogni politica economica nel tanto-a-me e tanto-a-te. Non ha solo promesso che oggi un insieme a sorpresa di provvedimenti triennali ci libererà del vecchio spettacolino da fiera paesana, e per i prossimi tre anni. Non si è limitato ad accennare a un consenso che è già acquisito, a un sostanziale governo bipartisan della riforma federalista che è il frutto del “nuovo clima” benedetto dal Papa, ha fatto altro. E che altro.
Tra i numeri di Tremonti e le sue promesse per oggi c’è anche la tassa bellissima, quella che trasferisce ricchezza direttamente dalle tasche della speculazione sul petrolio a quelle di chi soffre per mancanza di cibo in seguito alla speculazione sul frumento e sul riso, una Robin tax da non confondere con l’ideologica Tobin tax, l’imposta contro il libero commercio dei capitali: una tassa che farà da modello per l’Europa, alla quale è stata già proposta nelle debite forme, sollevando meraviglia per tanta impudente sicurezza italiana. E c’è anche una proposta che ha sconcertato a Londra, a New York e a Chicago i mercati dei futures, strumenti finanziari sofisticati e molto inclini al comportamento speculativo: siccome ci sono più contratti che barili, dice Tremonti, siccome l’Agenzia internazionale per l’energia ha confermato che la follia dei prezzi petroliferi e del grano negli ultimi sei mesi dipende da un’ondata speculativa promossa dal capitale finanziario alla ricerca di nuovo spazio nella crisi dei derivati e dei mutui subprime, allora la politica deve discretamente suggerire che il mercato si autoregoli, se non voglia sopportare qualche seria bacchettata antispeculativa, e che aumenti il deposito cauzionale necessario a scambiare gli strumenti che alimentano la speculazione sul greggio e sulle materie prime.
Agli ambienti americani che lamentavano l’ardimento della proposta, una costosa certificazione di mercato del carattere speculativo dei borsini attuali delle materie prime sul cui mercato loro signoreggiano, un Tremonti che ormai si comporta come un Mattei del XXI secolo, spiritoso e spavaldo, ha opposto che “la gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo”. Stupendo. Gaddiano. Bisogna che ci convinca anche del suo realismo. E non ce ne sarà più per nessuno. Wait and see. Oggi non è poi così lontano.


18 giugno 2008
La strategia dell'estrazione
Dal Foglio.it
Perché ai sauditi conviene pompare greggio nel mercato e calmare i prezzi
L’Arabia Saudita ha annunciato che è pronta ad aumentare l’offerta di petrolio per allentare la tensione del mercato che, secondo re Abdullah, è anomala. L’Arabia Saudita sta già operando per la riduzione del prezzo del petrolio. In un mese, ha ampliato di 350 mila barili al giorno, arrivando a 9.450 milioni di barili al giorno, un livello che è quasi un massimo rispetto alla capacità produttiva attuale. Ciò però non è bastato, perché alle tensioni economiche, nel mercato del petrolio, si sommano quelle politiche. Fra poco, tuttavia, entrerà in funzione il nuovo giacimento di Khursaniyah, con una capacità di mezzo milione di barili al giorno. In teoria i sauditi potrebbero porre sul mercato tutta questa nuova offerta. La risposta emergerà il 22, nella riunione del vertice dell’Opec. L’annuncio che l’Arabia studia un ampliamento di offerta, viene a ridosso della riunione del G8 che ha sollecitato i paesi produttori a tenere presente che l’attuale prezzo del barile sta generando inflazione, rallentamento della crescita mondiale, problemi drammatici nei paesi poveri.
I proventi dei produttori di petrolio di stati come l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi ad essa collegati sono investiti in gran parte nelle economie occidentali . L’inflazione da petrolio nell’area del dollaro e dell’euro finisce per danneggiare anche gli stessi produttori. Ma sopratutto va notata la coincidenza fra la presa di posizione saudita e i colloqui europei di Bush sulla questione iraniana. L’Arabia Saudita fa parte delle nazioni del Golfo che vedono con estremo sospetto l’escalation nucleare dell’Iran e che pertanto sono allineate con gli occidentali. Anche l’Iran è un grande produttore di petrolio, membro dell’Opec. E una espansione dell’offerta saudita di greggio può indebolire la sua posizione nel braccio di ferro con l’occidente, in quanto fra le cause del prezzo anomalo attuale vi è la tensione con l’Iran. Se il prezzo del barile scende, questo fattore diventa meno rilevante. Così sulla riunione del 22 , in cui si deciderà quanto del mezzo milione di barili di Khursaniyah verrà immesso sul mercato, il punto di vista dei paesi membri dell’Opec sulla questione iraniana avrà molto peso.


LA MORTE DELLO SCRITTORE MARIO RIGONI STERN - Il gran narratore del mistero della vita
Avvenire, 18 giugno 2008
ROBERTO BERETTA
Il 'sergent magiù' sarà arrivato, finalmente, 'a baita'? Mario Rigoni Stern ha chiuso gli occhi sulle brume ovattate del suo Altopiano, in un’estate che tarda a scrollarsi di dosso la pioggia: ma poco sarà importato a lui, che – come il Giacomo di un suo libro noto – aveva imparato ad apprezzare tutte le stagioni.
Dell’anno e della vita. Perché il sergente maggiore matricola 15454, battaglione Vestone, divisione Tridentina, era uscito davvero dal famoso sottopassaggio della ferrovia di Nikolajewka, dove il 26 gennaio 1943 il comandante l’aveva spedito con la mitragliatrice 'pesante' a scavare un varco per i compagni sfiniti. Lui era sortito sul serio da quella sacca di ghiaccio in cui aveva lasciato i suoi più cari amici e dalla quale non riuscirono più a liberarsi, a distanza di anni, neppure molti dei superstiti, schiacciati dal peso di una sopravvivenza non meritata. Lui no, il sergente non era rimasto a vita 'nella neve', neppure come scrittore – sebbene la storia sembra gli abbia riservato il destino di identificarlo per sempre con l’opera sua maggiore. La sua missione, una volta narrata la fine crudele di tanti compagni, era stata quella di ricominciare a raccontare la vita che a troppi era stata bruciata invano. Rigoni ce l’aveva fatta, a prezzo di una rinuncia alla facile ma ripetitiva gloria degli autori che riescono al primo colpo ( Il sergente nella neve,
il suo esordio, è del 1953) nonché all’usura di confrontarsi ogni volta con l’inarrivabile se stesso del passato. Lui – ormai divenuto quieto impiegato del catasto – è riuscito faticosamente a 'sganciarsi', come gli avevano insegnato nelle tattiche di guerra della scuola alpina, dapprima riprendendo le storie dei 'recuperanti' (che poi fornirà in sceneggiatura a Ermanno Olmi, con il compositore Bepi De Marzi componente della trinità asiaghese di poeti-contadini in cui Rigoni indubbiamente rappresentava 'il padre'), quindi pescando nelle narrazioni della Grande Guerra, soprattutto però leggendo tra le inesauribili note a margine del libro della natura. Non era tipo da 'fughe' snobistiche nel verde, Rigoni Stern: della montagna sapeva fin da bambino tutte le durezze e la miseria. E certo amava troppo i boschi per desiderare che servissero soltanto a seppellire le sue disillusioni di uomo fatto, magari con gli urogalli a cantarci sopra un raro richiamo. Il 'sergent magiù' non avrebbe mai dimenticato: né quelli della ritirata di Russia, né quelli del lager – e nemmeno i molti altri le cui storie di guerra aveva più volte ascoltato, raccolto, narrato. Anzi, ci avrebbe studiato sopra con puntiglio alpino, cercando di venire a capo – documenti storici alla mano – dell’impossibile 'perché' di uomini che si uccidono l’un l’altro, di uomini che ne mandano altri a morire. Per giungere però infine a spiegare il mistero con le parole più semplici, quelle di sempre, prese a prestito per l’occasione da un vecchio pastore: «La guerra è una brutta bestia, che gira il mondo e ogni tanto si ferma qua e là». Ovvero, la sapienza di chi cerca miglior saggezza non nelle elucubrazioni degli intellettuali, ma nella concretezza di ciò che – da quando il mondo è tale – non ha mai tradito le attese: le venature sempre uguali e sempre diverse di una foglia, gli affetti veri e i ricordi del passato, le grandezze e persino gli eroismi dei piccoli 'nessuno' della storia. E intanto le stagioni riprendono a girare la ruota, verrà l’estate che non vuole ancora venire e poi la neve a coprire l’Altopiano; e anche l’anno prossimo i caprioli scenderanno a brucare nella radura vicino al paese, dove ogni primavera un uomo anziano con la barba stava a spiare le tracce che – nonostante tutto – il mondo aveva ancora voglia di ricominciare a vivere.


Internet ci ruba la realtà Ragazzi, attenti
Avvenire, 18 giugno 2008
MARINA CORRADI
C’ è un dubbio che comincia a serpeggiare nelle più prestigiose università internazionali, dall’University College di Londra ad atenei americani: ma l’abitudine al web, la fruizione istantanea di milioni di informazioni, non toccherà le capacità di concentrazione e approfondimento? Non è che l’ipertrofia di una informazione universale e virtuale andrà a incidere sulle capacità cognitive dell’homo sapiens? Insomma, per dirla brutalmente come la copertina della rivista americana
Atlantic,
Google non ci starà rendendo cretini? Forse a noi, già adulti, no – o comunque peggiorerà di poco la situazione. Ma la domanda ci ha risvegliato un recente fugace sospetto, che non avevamo osato esternare.
Qualche sera fa abbiamo assistito a una lezione per ragazzi in un osservatorio astronomico. Notte di quasi estate, Orsa maggiore, Orsa minore e le altre sorelle, all’infinito. Nel silenzio rotto solo dai grilli il mirino di potenti telescopi mostrava, ravvicinata, una metà della Luna: crateri, ombre, accecanti deserti. Voce di un ragazzino, delusa: « Ma, si vede molto meglio su Google! » . Un soffio di inquietudine addosso. Senti, avremmo voluto dirgli, su Google vedi splendide foto. Ma questa, è la realtà. La realtà è infinitamente superiore a un’immagine sullo schermo. La realtà si tocca, si fiuta, talvolta si mangia. È concreta, è carne.
Come posso spiegarti? Sarebbe come se tu, quando avrai una ragazza, ti contentassi di guardarla in fotografia, e non la volessi abbracciare. La vicenda dell’osservatorio non è un caso. Qualcosa inquieta nei figli.
Sembrano essersi così abituati a vedere il mondo attraverso il filtro di uno schermo, televisivo o di pc, da non distinguere più il virtuale dalla realtà. Vedono una cosa su Google e credono di averla già vista. « Andiamo a guardare il Giro d’Italia che passa » . « Ma l’ho visto in tv » . No, non hai visto: non hai visto come è ripida quella salita, dal vero, e come sono fradicie le maglie dei corridori, e non hai respirato la passione di quelli che ai bordi aspettano, e incitano, e gridano. Credi di sapere già, e non sai niente. ( « Vedere è idèin, sapere è eidénai,
cioè avere visto: prima si vede, poi si conosce: ogni pensiero proviene dall’esperienza » , annotò Hannah Arendt).
Addirittura, osservando una scolaresca arrivata davanti a San Pietro, abbiamo notato come, prima ancora di fermarsi a guardare, estraevano camere e cellulari, a fotografare.
Come non sostenendo la realtà, e dovendo tradurla subito in un’immagine per metabolizzarla. Se, poi, porti dei ragazzini in campagna, è facile che si annoino rapidamente: « Non c’è niente da vedere » . C’è il mondo intero, invece – nidi, lepri, alberi, germogli, insetti – ma loro sembrano disabituati a guardare. Come mancasse il filtro di uno schermo; come se la realtà vera fosse quella virtuale. E stranamente passivi, poco capaci di inventare, di giocare. Come se un nesso fondamentale fosse stato incrinato. « Si vede molto meglio su Google! » . Leopardi, sotto una luna come quella dell’altra sera, scrisse il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
L’esporsi alla realtà provoca l’urto della domanda, l’anelito di una attesa.
Prendere i figli a schiaffi non si può, l’ha detto il Consiglio d’Europa. Ma almeno per la collottola sì: alzati, vieni a vedere – l’erba, la coccinella, la pioggia, le facce, soprattutto le facce degli uomini. Vieni a vedere il mondo, com’è davvero. È una foresta di segni. Guarda, respira, tocca. Su uno schermo, è solo una povera copia.


l’anniversario
Nel 1968, l’anno più burrascoso del post-Concilio, il pontefice lesse il testo nel quale ricapitolava i fondamenti cattolici. La bozza fu redatta dal filosofo francese con la coscienza che occorreva ribadire i punti fermi del credere Paolo VI e il Credo di Maritain
Avvenire, 18 giugno 2008
DI ROBERTO BERETTA
«Noi crediamo in un solo Dio, Padre, figlio e Spi­rito santo, Creatore delle cose visibili, come questo mon­do ove trascorre la nostra vita fugge­vole, delle cose invisibili quali sono i puri spiriti, chiamati altresì angeli»...
Non è né il Simbolo niceno-costanti­nopolitano (il Credo recitato nella messa), né il Simbolo apostolico – più antico e meno noto. È invece l’incipit del «Credo del popolo di Dio», pro­nunciato da Paolo VI (in latino) esat­tamente 40 anni or sono in piazza San Pietro, nella celebrazione conclusiva dell’«anno della fede» e solo due gior­ni dopo la dichiarazione pubblica che le ossa dell’apostolo Pietro erano sta­te rinvenute là dove la tradizione le a­veva sempre volute, sotto l’altare del­la Confessione nella basilica pontifi­cia. Come se Montini avesse voluto affermare, proprio nel cuore dell’an­no più burrascoso del post-Concilio, che – qualunque cosa fosse poi suc­cessa – i punti fermi della fede stava­no lì: in opere e parole, in carne (o al­meno ossa) e spirito. Un testo «strano», quel Credo. Anzi­tutto per la lunghezza e minuziosità, del tutto inedita per una formula che – nella storia della Chiesa – aveva sem­pre mirato alla concisione. Paolo VI sembra invece compiacersi nell’elen­care tutti gli «elementi» di cui la fede cattolica deve constare, compresi i più desueti e contestati all’epoca (e anche in seguito): dagli angeli citati fin dal­l’apertura – appunto – al peccato ori­ginale; dalla Chiesa «costituita di or­gani gerarchici» al battesimo dei bam­bini; dall’infallibilità papale alla pre­senza reale nell’eucaristia, al purga­torio, all’assunzione di Maria, eccete­ra. «Noi abbiamo voluto – dichiarò in­fatti Montini introducendo la profes­sione di fede – che essa fosse suffi­cientemente completa ed esplicita, per rispondere in misura appropria­ta al bisogno di luce, sentito da così gran numero di anime fede­li, come da tutti coloro che nel mondo, a qualunque famiglia spirituale appartengano, so­no in cerca della Verità».
D’altra parte, pare quasi che il timido Pontefice voglia ap­positamente colpire i punti più sensibili della vulgata teo­logica allora corrente («Noi siamo coscienti dell’inquie­tudine – disse ancora Paolo VI – che agita alcuni ambienti moderni in relazione alla fe­de... Vediamo anche dei cattolici che si lasciano prendere da una specie di passione per i cambiamenti e le no­vità »), senza curarsi delle possibili con­seguenze su di lui: che infatti non mancarono, grazie al lungo strascico di polemiche scatenatesi nel mondo cattolico stesso, il quale accusò il Pa­pa di offrire ai credenti non un pane ma «qualcosa di pesante da digerire come le pietre»: «Questo Credo – scris­se un periodico olandese – non risol­ve nulla... non aiuta nessuno; esso ren­de soltanto il conflitto più acuto... Ciò che è stato disposto da diversi secoli è semplicemente ripetuto con le stes­se parole, come se il mondo e l’uomo non fossero, nel frattempo, cambia­ti... Ancor peggio, come se non ci fos­se stato il Concilio Vaticano II». «Un nuovo Sillabo» ovvero un «Credino»: così, sprezzantemente, venne ribat­tezzato l’impegnativo testo; quasi un amaro aperitivo della burrasca che si scatenerà su Roma un mese dopo, al­la promulgazione dell’Humanae vi­tae.
Altro che «Credino»... L’atto di fede di Paolo VI era il frutto di una delle men­ti teologicamente e filosoficamente più notevoli del Novecento, probabil- mente la migliore in ambito cattoli­co: quella di Jacques Maritain. Come hanno infatti dimostrato i documen­ti prodotti per la prima volta nel 1999 dal benedettino Michel Cagin (la sto­ria è ricostruita anche dal cardinale Georges Cottier nell’ultimo numero del mensile Trenta Giorni), l’idea di «una professione di fede completa e dettagliata» da offrire alla Chiesa da parte del Papa era balenata a Maritain già nel 1966, appena terminato quel
Contadino della Garonna che molti discepoli dell’ottuagenario filosofo giudicheranno con delusione come un «revisionismo» sul letto di morte. Il 14 gennaio 1967, dal suo ritiro nella casa dei Piccoli Fratelli a Tolosa, Ma­ritain confida per lettera al cardinale e teologo svizzero Charles Journet ta­le idea, che «mi è venuta in mente di­versi giorni fa, con una intensità e chiarezza tali che non credo di poter­la trascurare». Considerata «la gravità della crisi che minaccia le fondamen­ta della fede», Maritain ritiene che «u­na cosa soltano, in circostanze simili, è capace di colpire universalmente gli spirito e mantenere il bene assoluta­mente essenziale, cioè l’integrità del­la fede: un ATTO decisivo e straordi­nario cella sola forza che resta intat­ta, un atto sovrano dell’AUTORITÀ su­prema che è quella del Vicario di Ge­sù Cristo; non un atto disciplinare, né delle esortazioni, o delle direttive; – un ATTO DOGMATICO, sul piano stesso della fede».
Journet trasmette la forte proposta a Paolo VI già il 18 gennaio; quest’ulti­mo il 22 febbraio proclama l’«Anno della Fede» esortando i vescovi a cen­trare il loro insegnamento proprio sul Credo e a farlo proclamare solenne­mente nelle chiese. Verso la fine del 1967, durante un’altra udienza, Jour­net ha occasione di tornare sull’argo­mento con il Pontefice e chiede se non ha intenzione di promulgare una sor­ta di «professione di fede di Paolo VI». Il Papa ricorda che un proposito del genere era stato avanzato anche per la fine del Concilio, due anni prima, ma che le tracce pervenute (tra l’altro una di padre Yves Congar) non gli e­rano piaciute; provi dunque a farla lui... Il cardinale torna a casa e scrive subito all’amico Maritain: «Dunque, Jacques, come non avrei potuto pen­sare subito a domandarle aiuto? Bi­sogna trovare il tono giusto, ma an­che la questione delle cose da dire è ardua da risolvere. Si dice che non ser­virebbe un altro Sillabo. E non baste­rebbe neppure accontentarsi di una ripresa del simbolo della fede»...
Il filosofo si mette al lavoro: dal 3 all’11 gennaio, a Parigi, redige il testo; il 20 lo invia a Journet: «Sono stato felice di farlo... e vergognoso e confuso d’aver dovuto, per redigere queste pagine, mettere per qualche istante, nella fan­tasia, un poveraccio come me al po­sto del Santo Padre!». Peraltro, nelle intenzioni dell’autore, quel testo do­veva essere soltanto una traccia, in­vece Paolo VI lo adottò quasi integral­mente (tra le maggiori differenze: la soppressione di tre paragrafi – uno su­gli angeli, il secondo sull’unica origi­ne del genere umano, l’ultimo sulla nuova era del Vaticano II –, l’elimina­zione di un paio d’accenni a ebrei e i­slamici, infine l’aggiunta di passaggi sull’unità dei cristiani, il battesimo dei neonati, lo stato terreno della Chiesa e qualche altro punto). «Sono confu­so – commenta Maritain nel suo dia­rio, dopo aver appreso dai giornali che Paolo VI aveva effettivamente letto il 'suo' Credo –, profondamente scos­so di essere coinvolto in un mistero che mi sorpassa in tal modo».
«Penso che al Papa sia richiesto non soltanto di dare istruzioni ammirevo­li a persone che sono sempre più ani­malizzate, ma anche di far ascoltare un forte grido nel deserto», aveva scrit­to l’anziano pensatore accompa­gnando il suo testo. E il cardinale Jour­net nel 1970 scriverà che quel Credo rappresentava l’«espressione finale» dottrinaria del Vaticano II, concilio co­munemente considerato «pastorale». E fu così che Maritain – un semplice laico, per di più negli anni Cinquanta sul punto di subire una condanna dal Sant’Uffizio – divenne quasi un «pa­dre della Chiesa».
Una summa della fede: dall’esistenza degli angeli al peccato originale, dal battesimo dei neonati all’ordine gerarchico della Chiesa. Sollevò polemiche, ma coglieva nel profondo la crisi religiosa in fieri