domenica 8 giugno 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) «Verso Loreto, pellegrini sulle orme del Dio fedele» - Il cardinale Bagnasco ha aperto la marcia promossa da Cl «Cristo cerca l’uomo smarrito da una libertà sregolata»
2) Benedetto XVI: la vera religione, “l’amore di Dio e del prossimo” - Parole introduttive all'Angelus
3) La testimonianza di Malika Galliani, Dounia Ettaib e Rachida Kharraz al pellegrinaggio mariano Macerata- Loreto, di Magdi Cristiano Allam
4) «Liberi perché cristiani l’insegnamento di Biffi» Caffarra: oggi rischiamo di perdere la nostra identità
5) Il Papa ai partecipanti al VI Simposio Europeo dei Docenti Universitari - "Allargare gli orizzonti della razionalità. Prospettive per la Filosofia"
6) È la forma più assoluta di totalitarismo – Ratifica del Trattato di Lisbona
7) Lasciare il potere intellettuale al gramscismo? - Sandro Bondi dichiara a Tempi di non avere alcuna intenzione di far guerra alla egemonia culturale della sinistra.
8) Welfare, al lavoro sulla qualità dei servizi, di Giorgio Vittadini


«Verso Loreto, pellegrini sulle orme del Dio fedele» - Il cardinale Bagnasco ha aperto la marcia promossa da Cl «Cristo cerca l’uomo smarrito da una libertà sregolata»
Avvenire, 8 giugno 2008
DAL NOSTRO INVIATO A MACERATA
PAOLO VIANA
« T rent’anni di grazia e re­sponsabilità ». Imbrunisce sullo stadio Helvia Recina di Macerata e le parole del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova, sono il fischio d’inizio della trentesima «partita con Dio». Palchi gremiti, cori e cappellini, lo scenario è calcistico ma il pellegrinag­gio Macerata-Loreto, ventotto chilometri a piedi da ieri sera all’alba di oggi, non è un appuntamento solo per sportivi, anche se sono stati gli atleti marchigiani a portare qui la fiaccola be­nedetta dal Papa (e diretta a Sydney per la Gmg di luglio), né solo per i giovani, la maggioranza, e neppure soltanto per i cristiani, visto che quest’anno parte­cipa anche un nutrito gruppo di mu­sulmani. Tra loro, anche Domnia Ettaib, che guida l’associazione per l’afferma­zione dei diritti delle donne islamiche, e Malia El Hazzazi, modella marocchi­na e moglie di Adriano Galliani. Poco prima della Messa, sale sul palco Mag­di Cristiano Allam, che poi ha letto anche la prima Lettura e il Salmo durante l’Eu­caristia.
Si respira una «condi­visione dei valori del­la pace, della giustizia, della solidarietà e del­la libertà religiosa», ha scritto il presidente della Repubblica. «U­na significativa espe­rienza di preghiera che ripropone in mo­do originale un gesto profondamente sen­tito dal popolo cri­stiano »: il messaggio di papa Benedetto XVI offre questo sen­so al «popolo della notte» che si mette in marcia dietro la croce donata da Gio­vanni Paolo II, da Macerata a Villa Po­tenza, da Sanbucheto a San Firmano, da Chiarino a Loreto, sulle orme antiche della devozione lauretana. Un fiume umano che scorre alla luce delle fiac­cole e al ritmo del Rosario, dei canti, delle testimonianze, fino al Santuario della Santa Casa. L’esperienza, pro­mossa ogni anno da Comunione e li­berazione con le diocesi marchigiane, conquista scout e neocatecumenali, giovani dell’Azione cattolica e focolari­ni, Rinnovamento nello Spirito e so­prattutto il popolo delle parrocchie, ar­rivato in pullman da tutt’Italia per ade­rire a una proposta identitaria eppure inclusiva.
Toccanti gli omaggi agli amici scom­parsi: Chiara Lubich, il cantautore Clau­dio Chieffo, don Oreste Benzi e l’arci­vescovo di Loreto monsignor Gianni Danzi. Con un telegramma sono arri­vate anche le parole del patriarca di Ve­nezia, Angelo Scola.
Don Julian Carrón apre il pellegrinag­gio ricordando l’incontro di don Gius­sani con Giovanni Paolo II, nel 1998, da cui è tratto il tema di quest’anno: «Il mendicante è il vero protagonista del­la storia e siamo tutti mendicanti, noi che riconosciamo il nostro bisogno di Dio e ci mettiamo in cammino. Cristo, vedendoci, incontrandoci così diventa lui stesso mendicante del cuore del­l’uomo », spiega il presidente della Fra­ternità di Comunione e Liberazione, in­quadrando il dolore del mondo nella «divisione tra l’uomo che si convince di essere bisognoso di Dio e l’uomo che si crede autosufficiente». Dopo di lui, Monica Clementoni condivide con il popolo della Macerata-Loreto il ricor­do delle ultime ore, dolorosissime, del­la madre, e il suo insegnamento: «La sofferenza non è mai sterile, è sempre feconda».
Li ascolta monsignor Giancarlo Vecer­rica, vescovo in scarpe da trekking. Og­gi guida la diocesi di Fabriano-Mateli­ca ma ha «inventato» lui questo pelle­grinaggio alla fine degli anni Settanta, quando l’Italia era diversa eppure la se­colarizzazione mordeva già: « Siamo partiti tanto tempo fa – ricorda – per dare ai giovani un senso e l’abbiamo trovato noi con loro».
Loro nel ’78 erano trecento e parevan molti; oggi sono 80 mila. Come allora, si parla di gioia, di af­fidarsi a Maria, di Cri­sto vivo e vero, che si pone in cammino «al­la ricerca dell’uomo smarrito perché in­gannato da una li­bertà sregolata che molto promette e tut­to toglie. Che lo rapi­na della sua dignità» avverte il presidente della Conferenza epi­scopale italiana nel­l’omelia. Bagnasco li fissa uno ad uno, i pel­legrini pronti a parti­re, chi in tenuta tecni­ca e bandana, chi in ciabatte, da levare durante il percorso. «Pellegrini e mendicanti, ma non va­gabondi; noi sappiamo dove stiamo an­dando » ha ripetuto poco prima mon­signor Vecerrica che ha concelebrato la Messa presieduta da Bagnasco assieme a Claudio Giuliodori, vescovo di Mace­rata- Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, Luigi Conti, arcivescovo di Fermo e pre­sidente della Conferenza episcopale delle Marche, Giovanni Tonucci, arci­vescovo delegato pontificio di Loreto, Francesco Giovanni Brugnaro, arcive­scovo di Camerino-San Severino Mar­che, Armando Trasarti, vescovo di Fa­no- Fossombrone-Cagli-Pergola, e Giu­seppe Orlandoni, vescovo di Senigallia. Il cardinale Bagnasco parla di un Dio premuroso e fedele «che si fa mendi­cante, alla ricerca dell’umanità ferita e umiliata dalla menzogna e dalla divi­sione. È in nome di questa fedeltà che il Dio della luce si fa Mistero presente nella storia». Dio cerca Matteo («segui­mi ») e «Matteo si fa mendicante: la sua mendicanza è il discepolato dietro al Maestro, improvvisamente apparso co­me la ragione vera non solo del mon­do, ma del suo cuore, della sua piccola ma unica storia; apparso come la luce nel suo grigiore – aggiunge Bagnasco –, la grandezza nelle sue meschinità. È qui descritta anche la nostra vicenda».
C’è sintonia di mente e di cuore tra l’ar­civescovo di Genova e i giovani sugli spalti. Un segno incoraggiante per monsignor Giuliodori che ha definito questo pellegrinaggio «un’inversione di tendenza e la conferma che è possibi­le una rinnovata opera educativa». Il cardinale insiste sulla «vicenda», invita a «non perderne la memoria per rin­novarne la grazia». La voce si fa inten­sa: «Non dimentichiamo. La dimenti­canza è figlia dell’abitudine al dono, al miracolo, per cui anche il Cielo appare scontato e banale. Per questo dobbia­mo rinnovare ogni giorno l’ascolto di quell’invito, ' seguimi', che Gesù ha pronunciato su noi: un invito breve e delicato come un alito di vento, ma sconvolgente come un turbine».
L’omelia di Bagnasco, dunque, diventa un appello a «riascoltare la voce del grande Mendicante » e a scegliere la mendicanza umana, con l’aiuto della Vergine, per « alzarci anche noi ogni giorno, scuoterci dalle nostre pigrizie, dalle insidie dell’egoismo che intristisce l’anima. Rimanere pellegrini in questa attraversata nel tempo, pellegrini non soli, solerti e operosi, capaci di guarda­re il mondo con gli occhi di Cristo per amarlo un poco con il suo stesso cuo­re » . Pellegrini, appunto, e non vaga­bondi.
Macerata, il cardinale Bagnasco al suo arrivo allo stadio assieme a Vecerrica e Giuliodori



Benedetto XVI: la vera religione, “l’amore di Dio e del prossimo” - Parole introduttive all'Angelus
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 8 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato questa domenica da Benedetto XVI in occasione della recita della preghiera mariana dell'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini convenuti in Piazza San Pietro in Vaticano.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Al centro della liturgia della Parola di questa Domenica sta un’espressione del profeta Osea che Gesù riprende nel Vangelo: "Voglio l’amore e non il sacrificio, / la conoscenza di Dio più degli olocausti" (Os 6,6). Si tratta di una parola-chiave, una di quelle che ci introducono nel cuore della Sacra Scrittura. Il contesto, in cui Gesù la fa propria, è la vocazione di Matteo, di professione "pubblicano", vale a dire esattore delle tasse per conto dell’autorità imperiale romana: per ciò stesso, egli veniva considerato dai Giudei un pubblico peccatore. Chiamatolo proprio mentre era seduto al banco delle imposte – illustra bene questa scena un celeberrimo dipinto del Caravaggio –, Gesù si recò a casa di lui con i discepoli e si pose a mensa insieme con altri pubblicani. Ai farisei scandalizzati rispose: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati… Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mt 9,12-13). L’evangelista Matteo, sempre attento al legame tra l’Antico e il Nuovo Testamento, a questo punto pone sulle labbra di Gesù la profezia di Osea: "Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio".
E’ tale l’importanza di questa espressione del profeta che il Signore la cita nuovamente in un altro contesto, a proposito dell’osservanza del sabato (cfr Mt 12,1-8). Anche in questo caso Egli si assume la responsabilità dell’interpretazione del precetto, rivelandosi quale "Signore" delle stesse istituzioni legali. Rivolto ai farisei aggiunge: "Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato persone senza colpa" (Mt 12,7). Dunque, in questo oracolo di Osea Gesù, Verbo fatto uomo, si è, per così dire, "ritrovato" pienamente; l’ha fatto proprio con tutto il suo cuore e l’ha realizzato con il suo comportamento, a costo persino di urtare la suscettibilità dei capi del suo popolo. Questa parola di Dio è giunta a noi, attraverso i Vangeli, come una delle sintesi di tutto il messaggio cristiano: la vera religione consiste nell’amore di Dio e del prossimo. Ecco ciò che dà valore al culto e alla pratica dei precetti.
Rivolgendoci ora alla Vergine Maria, domandiamo per sua intercessione di vivere sempre nella gioia dell’esperienza cristiana. Madre di Misericordia, la Madonna susciti in noi sentimenti di filiale abbandono nei confronti di Dio, che è misericordia infinita; ci aiuti a fare nostra la preghiera che sant’Agostino formula in un noto passo delle sue Confessioni: "Abbi pietà di me, Signore! Ecco, io non nascondo le mie ferite: tu sei il medico, io il malato; tu sei misericordioso, io misero… Ogni mia speranza è posta nella tua grande misericordia" (X, 28.39; 29.40).


[DOPO L’ANGELUS]
Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Ricaldone (diocesi di Acqui Terme), da Torino, Nogara e Montòpoli in Val d’Arno, come pure i bambini della Prima Comunione di Alberoro. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


La testimonianza di Malika Galliani, Dounia Ettaib e Rachida Kharraz al pellegrinaggio mariano Macerata- Loreto
Dal sito www.magdiallam.it
Tre donne musulmane accomunate dalla devozione per la Vergine Maria dimostrano come sia possibile costruire un dialogo autentico con i cristiani condividendo il valore della sacralità della vita di cui la Madonna è l'emblema
autore: Magdi Cristiano Allam(Corriere della Sera, 8-5-08)
Che bell’evento nella costruzione di ponti tra le religioni la partecipazione di tre donne musulmane al pellegrinaggio mariano di Macerata-Loreto. Specie se si scopre che sono donne particolari: Malika El Hazzazi, moglie del vice-presidente del Milan Adriano Galliani, che sin da piccola si fa chiamare Maria; Dounia Ettaib, protagonista della lotta per l'emancipazione delle donne immigrate che è nata con il culto della madre di Gesù; Rachida Kharraz, piccola imprenditrice, che custodisce una statua della Madonna a casa. Per chi come me ha partecipato negli ultimi due anni al pellegrinaggio da musulmano e ora, per la prima volta, vi prende parte da cristiano, è una grande gioia. Perché è come se la semina cominciasse a dare i primi frutti ed è come se si stesse realizzando un piccolo miracolo.
Malika, Dounia e Rachida hanno in comune la loro origine marocchina, sono diventate cittadine italiane, sono sposate con italiani e hanno figli nati e cresciuti in Italia a cui sono stati dati nomi cristiani. Tutti noi abbiamo in comune una particolare devozione per la Vergine Maria, figura venerata anche nell'islam, a cui il Corano dedica un capitolo ed è oggetto di culto da parte degli stessi musulmani che prendono parte, al fianco dei cristiani, al pellegrinaggio dei diversi santuari mariani presenti in Egitto, Turchia, Giordania, Siria e Libano. In Pakistan, stato islamico retto dalla sharia, la legge coranica, c’è addirittura una città dedicata alla Madonna, Mariamabad, dove il 3 settembre di ogni anno circa 500 mila fedeli partecipano a un pellegrinaggio mariano. Anche se certamente è diversa la figura di Maria nel cristianesimo rispetto all'islam, che non crede nella natura divina di Gesù, il culto della Vergine e la condivisione del mistero della Natività di Gesù sono un tratto unificante tra le due religioni.
Ecco perché il pellegrinaggio mariano può rappresentare un momento di riflessione spirituale comune sul valore della sacralità della vita che proprio la Vergine Maria incarna. Mi sono sempre domandato perché mai se negli stessi paesi musulmani si venera Maria e i fedeli delle due religioni partecipano ai pellegrinaggi mariani, perché mai ciò non potesse accadere anche in Italia, nella culla del cattolicesimo.
Malika non nasconde la sua gioia: “In Marocco sin da piccola tutti mi chiamano Maria. Da sempre ho coltivato una venerazione per la Vergine Maria e nutro una particolare sensibilità nei suoi confronti. Non so come spiegarmelo. A casa ho una foto della Madonna che guardo tutte le sere prima di coricarmi. Nel suo volto c’è amore e rispetto, mi dà tanta forza e mi ispira tanta libertà”.
Dounia, una donna coraggiosa che è costretta a girare con la tutela di due poliziotti dopo aver subito un’aggressione fisica nei pressi della moschea di viale Jenner a Milano, rievoca con il sorriso che “mia madre mi ha raccontato che durante la gravidanza si era affidata alla grazia di Maria affinché nascessi normalmente. E lei è sempre grata a Maria perché è andato tutto bene. Mia madre mi ha insegnato che Maria è sempre stata al fianco delle donne in difficoltà, delle donne sole, delle vedove e delle divorziate. Lei è sempre stata presente nella mia vita. Mi sono sempre rivolta a lei. Sono emozionatissima per la mia partecipazione a questo pellegrinaggio. La scorsa notte non sono riuscita a chiudere occhio”.
Rachida ha una devozione particolare per la Madonna. A casa sua custodisce una sua statua ed ha un’immagine della Vergine affissa sulla parete della sua piccola impresa, un centro di Internet-Point. “Prego la Vergine Maria sin da piccola e ogni giorno il mio amore per lei cresce sempre di più. La Madonna mi è apparsa in sogno nei momenti di difficoltà e mi ha ispirato delle scelte di vita”. Rachida non nasconde che la sua devozione per Maria le ha causato dei problemi con gli estremisti islamici: “Mi hanno criticato e minacciato. Ma se il culto di Maria è prescritto nel Corano perché non posso amarla? Perché nelle moschee non si parla mai di Maria?”.
Il mio auspicio è che l’esempio di Malika, Dounia e Rachida sia contagioso e che il prossimo anno molti più musulmani partecipino al pellegrinaggio mariano di Loreto. A condizione che siano sinceri nella condivisione del valore della sacralità della vita di cui la Vergine Maria è l’emblema. Perché non deve trasformarsi in una passerella di quanti strumentalizzano il pellegrinaggio per affermare delle posizioni ideologiche in contrasto con quei valori che sono il fondamento dell’umanità e della civiltà di tutte le persone di buona volontà.
Magdi Cristiano Allam


«Liberi perché cristiani l’insegnamento di Biffi» Caffarra: oggi rischiamo di perdere la nostra identità
Avvenire, 8 giugno 2008
DAL NOSTRO INVIATO A BOLOGNA
MARINA CORRADI
O ttanta, sono gli anni che il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bo­logna, compirà il 13 giugno. Set­tanta, sono quelli che pochi gior­ni fa ha compiuto il cardinale Car­lo Caffarra, suo successore. Ven­tiquattro, sono gli anni che com­plessivamente, uno dopo l’altro, hanno passato sulla cattedra di san Petronio. Bologna, la sua gen­te, la fede: l’arcivescovo di oggi parla del predecessore, della città, e di uno sguardo sugli uomini che da Biffi ( « padre, maestro e ami­co » ) ha ereditato.
L’amicizia, fra loro, è di lungo cor­so. Risale a quando Biffi invitò Caffarra, giovane docente alla U­niversità Cattolica di Milano, a quel laboratorio culturale che fu la Scuola di San Vittore. Teologi entrambi; Biffi cultore di Ambro­gio, Caffarra di Agostino; tutti e due padani – il primo milanese, l’altro di Busseto – già condivide­vano, dice oggi l’arcivescovo di Bologna, « una profonda affinità di prospettiva, che si faceva poi condivisione del giudizio sulla realtà » . Molto amici, quei due, lo sapeva anche Giovanni Paolo II: che, racconta il cardinale, « nel 1995 mi disse che avrebbe voluto ordinarmi personalmente vesco­vo a Fidenza, ma poi, non poten­do, suggerì come in una scelta na­turale: chiama Biffi, tocca a lui » . E così fu. Oggi Caffarra siede nel­la sua stanza nel secentesco pa­lazzo di via Altabella, mentre at­torno alla cattedrale i bolognesi sciamano sbracciati nel primo caldo, all’ora della chiusura degli uffici. A un botteghino del lotto ti stupisce una lunga coda di gente in cerca di fortuna.
Eminenza, il motto del suo pre­decessore era « Ubi fides ibi li­bertas » . Un motto attuale?
È forse l’insegnamento più forte di Biffi: la convinzione che la pro­posta cristiana è sommamente ragionevole. In un’anticipazione, quasi, di un tema centrale di Be­nedetto XVI. E cioè che solo da u- na rinnovata amicizia fra fede e ragione può nascere quella gran­de testimonianza di carità che è la forza creativa del cristianesi­mo. Ma in questo stesso punto si incontra la profonda difficoltà di evangelizzazione dell’Occidente, oggi. Da una parte, una ragione che si è automutilata e quindi non riconosce nella fede alcuna di­mensione veritativa. Dall’altra, u­na fede che in non pochi cristia­ni si contenta di essere esclama­ta e non interrogata, professata e non pensata. E, di conseguenza, una ragione che si è interdetta la possibilità di guidare l’uomo ver­so gli interrogativi ultimi, e una fede che non sa più mostrare la sua ragionevolezza. In questa frattura, a rischio è l’umanità ( e la libertà) della persona. Quella adombrata nel motto che Biffi prese da Ambrogio, è la nostra sfi­da.
Resta famosa del suo predeces­sore la definizione di Bologna che diede oltre vent’anni fa: « Sa­zia e disperata » . Aveva visto in anticipo un malessere che oggi va ben oltre la città?
Ho appena incontrato la giunta della Caritas diocesana. Le fami­glie che faticano a arrivare a fine mese sono sempre di più. Non è più così sazia, Bologna, ma pur­troppo mi sembra ancora dispe­rata. Era una volta una città coe­sa, amante del confronto – le grandi piazze, i portici ne sono il segno urbanistico – nel profondo rispetto reciproco. Oggi appare disgregata. Come se non ci fosse più interesse a parlarsi. I fonda­mentali tessuti connettivi del convivere civile si stanno sfilac­ciando. Se c’è una città che ha fat­to storia nel senso più alto del ter­mine, dall’Università al pensiero politico, è Bologna. Confesso però che oggi ho un timore. Temo che Bologna si rassegni al tramonto, a congedarsi dalla storia. Già Bif­fi notava i germi di questo ma­lessere nella ultima sua let­tera pastorale. Capisco che le mie parole, come allora le sue, possano addolora­re. Ma nascono da un grande amore che en­trambi portiamo a que­sta città. Vede, è come quando si ama una donna molto bella, e si vede che questa don­na si trascura.
Scriveva Biffi in quel­la stessa ultima nota: « Si ha l’impressione che nessu­no proponga più niente di ma­gnifico e di affascinante, e anche i giovani sembrano rassegnati a vivere alla giornata » .
Qui tocchiamo il nodo su cui si gioca il destino di questa città, l’e­mergenza educativa. È come se si fosse spezzato il racconto della vi­ta fra i padri e i figli. Tempo fa so­no venuti a trovarmi dei bambini di una scuola elementare di peri­feria. Ho chiesto se conoscevano la chiesa di San Petronio. « Mai sentita nominare » , hanno rispo­sto. La cosa mi ha fatto male. Da allora ripeto: attenzione, qui sta capitando qualcosa di grave. Per­ché un popolo continua se cu­stodisce la sua tradizione ren­dendola viva nel rapporto fra ge­nerazioni. Se il tramandare ai fi­gli si interrompe, sono come sra­dicati, orfani di una dimora spi­rituale. Senza memoria, una co­munità muore.
Ma perché questa parola si è in­terrotta?
Perché i padri hanno perso autorevolezza. Autorevolezza vuole dire che io, padre o madre, offro a te, figlio, una proposta di vita, del­la cui bontà e verità sono certo: e ne sono certo perché la ho verifi­cata nella mia vita. Nel momento in cui queste premesse vengono meno, non resta più niente di ve­ro da dare ai figli. Dentro a una mentalità relativistica, l’educa­zione non diventa difficile, ma impossibile. L’atto educativo stes­so è percepito quasi come un so­pruso. «Deciderà lui, quando sarà grande » , dicono oggi i genitori. Così creiamo, in realtà, degli schiavi. Contro questo idolo rela­tivista, il cardinale Biffi ci avvertì fra i primi.
Un’altra affermazione di Biffi fe­ce clamore quando disse che oc­correva « salvaguardare la fisio­nomia della nazione dai rischi di una immigrazione incontrolla­ta » .
I fatti purtroppo gli hanno dato ragione. Se un popolo tenta di di­menticare la sua identità, e rinuncia a quella storia che la defi­nisce; se vive, come ha scritto il sociologo Riccardo Prandini, nel « paradosso dell’identità di chi non vuole identità per non iden­tificarsi » , non diventa maggior­mente capace di accoglienza – questo è l’errore madornale – ma invece sempre più spaventato dell’altro, e quindi meno acco­gliente o anche ostile. Al contra­rio, una forte consapevolezza di i­dentità, nel senso alto del termi­ne, rende possibile l’incontro col diverso: perché non hai paura, e dunque c’è possibilità di vero dialogo e di inte­il grazione. Oggi la nostra perdita di identità crea il terreno per una grande paura dell’' altro', dello straniero. Anche a Bologna: an­che qui si avverte questa paura. Ma la paura non consiglia mai be­ne.
Un punto su cui lei torna spesso nelle omelie è la «difficoltà di giu­dizio » sulla realtà di molti cri­stiani, come non preparati a af­frontare la modernità.
Questa per me oggi è la vera de­bolezza del soggetto cristiano: la incapacità di fare della fede un modo di stare dentro la realtà. Ciò che si celebra la domenica, per molti non ha nulla a che fare con ciò che si fa il lunedì. È solo una pia elevazione dalle bruttezze del mondo. Ma in concreto, cosa c’entra con Cristo il modo in cui pensiamo e viviamo la famiglia? Le grandi esperienze della nostra vita, innamorarsi, avere figli, la­vorare, come c’entrano con Cri­sto? È la capacità di stare cristia­namente dentro la realtà che vie­ne meno.
Com’è potuto accadere?
È ancora una conseguenza della emarginazione della ragione dal­la fede. La fede va pensata. Ago­stino disse che una fede non pen­sata non è fede vera. E non è una idea da intellettuali. Mia madre non aveva finito la terza ele­mentare: la fede però le in­segnava come si affronta la realtà – la realtà dura di una vedovanza precocis­sima, con 4 figli piccoli. Il lavoro era pesante, i soldi ben pochi, ma lei sapeva sperare, crescerci e an­dare avanti. Si alzava prestissimo per an­dare a Messa. Noi le diceva­mo: dormi ancora, ri­posati. Ri­spondeva: ma non ca­pite che senza Mes­sa io non ce la faccio? Questa è cul­tura cristia­na. È carne, è cosa da man­giare. Cristo è il cibo che consente di vivere una vi­ta buona, no­nostante le peggiori difficoltà. Questo oggi manca, e questo il Papa ci dice, quando afferma che da una fede divisa dalla ragione non sorgerà mai una grande testimonianza cristiana.
Lei ai bolognesi parla di un ' bene comune' da ritrovare.
Il bene umano vero è sempre comune, lo disse già Platone. È un bene condiviso in cui ogni uomo ragionevole si riconosce: mentre gli interessi individuali dividono. Ma il bene comune nella co­scienza civile può essere sola­mente frutto di etica condivisa, di una riscoperta di valori? L’agostiniano che è in me dice di no: per­ché siamo di fatto più sensibili al nostro bene privato. E però l’in­vocazione di salvezza che l’uomo consapevolmente o no oggi ri­volge alla Chiesa è: ridateci la pos­sibilità di vivere una vera comu­nione, senza la quale periamo nella nostra solitudine. Cristo è venuto per questo, per raccoglie­re i figli divisi e dispersi. È la sfi­da di evangelizzazione su cui Gio­vanni Paolo II continuava a tor­nare, ed è sfida aperta a Bologna. A partire dall’educazione e dalla ricostruzione della famiglia e del matrimonio, perché la comunità umana comincia fra un uomo e una donna.
Il cardinale Biffi colse in questa città i germi di un malessere che ora lei vede conclamato. Ma un cristiano non può mancare di speranza. In che cosa spera l’ar­civescovo di Bologna?
Ho fatto da poco una meditazio­ne sulla Lettera ai Galati. L’uomo è giustificato dalla sua fede in Cri­sto, dice Paolo. Io credo di dover annunciare e testimoniare come vescovo il dono della salvezza che Cristo ci ha già fatto. Ma non co­me fosse qualcuno di morto che ci ha lasciato un insegnamento: come qualcuno di vivo. Non ci ha detto solamente, Gesù Cristo, « ascoltatemi, e imparate ciò che vi insegno » , ma nell’ultima cena ci ha invitato: prendete e mangiate. Io in voi, e voi in me, e non avre­te più paura. Cristo, dunque, è la mia speranza.



È la forma più assoluta di totalitarismo
In questi giorni, con la ratifica da parte del Parlamento italiano del cosiddetto Trattato di Lisbona, si porrà fine definitivamente all'esistenza delle Nazione Italia. E mano a mano si porrà fine all'esistenza di quasi tutte le altre nazioni in Europa…

In questi giorni, con la ratifica da parte del Parlamento italiano del cosiddetto Trattato di Lisbona, si porrà fine definitivamente all'esistenza delle Nazione Italia. E mano a mano si porrà fine all'esistenza di quasi tutte le altre nazioni in Europa. Non bisogna sorprendersi del silenzio che accompagna l'atto più importante che sia mai stato compiuto dal 1870 con il Regno d'Italia. È un silenzio che non è dovuto soltanto al volere dei governanti, ben sicuri fin dall'inizio dell'operazione “Unione europea“ che bisognava tenerne all'oscuro il più possibile i cittadini, ma anche alla obiettiva difficoltà per i giornalisti di fornire informazioni e tanto meno spiegazioni di un progetto che esula da qualsiasi concetto di «politica“.
Il Trattato di Lisbona è infatti una «visione del mondo» universale, una teologia dogmatica con le sue applicazioni pratiche, la forma più assoluta di totalitarismo che sia mai stata messa in atto. Come potrebbero i giornalisti istruire con poche parole milioni di persone sulla metafisica di Kant? Eppure c'è quasi tutto Kant, inclusa la sua proposta per la Pace Perpetua, nel progetto dell'Unione europea. Ma c'è anche molto Rousseau, molto Voltaire, molto Marx, con in più quello che Tremonti definisce «mercatismo»: l'assolutizzazione del mercato.
La falsificazione dei significati linguistici accompagna fin dall'inizio l'operazione europea: quello che viene firmato non è affatto un Trattato e non è neanche una «Costituzione», come era stato chiamato prima che i referendum popolari lo bocciassero. È la proclamazione di una religione universale, accompagnata in tutti i dettagli dagli strumenti coercitivi verso i popoli e verso le singole persone per realizzarla. È il passo fondamentale, dopo averlo costituito in Europa, per giungere alla meta prefissata: il governo mondiale.
Posso indicare in questo breve spazio soltanto alcuni degli strumenti preordinati:
A) Il sincretismo fra le varie religioni e fra i vari costumi culturali. Un sincretismo che verrà raggiunto con lo spostamento di milioni di persone e smussando tutte le differenze attraverso il «dialogo». Discendono da questa precisa volontà dei governanti le ondate immigratorie che stanno soffocando l'Europa d'occidente. Si tratta di decisioni di forza, prese a tavolino: se nasceranno reazioni o conflitti, come di fatto sono già nati, provvederanno le schedature biometriche, la polizia e il tribunale europeo a eliminarli.
B) Il governo concentrato in poche persone, quasi sconosciute ai cittadini, mentre diventano sempre più pleonastici i parlamenti nazionali. Il parlamento europeo, infatti, tanto perché nessuno possa obiettare in seguito che non aveva capito, è stato istituito fin dall'inizio privo di potere legislativo. Pura finzione al fine di gettare polvere negli occhi ai cittadini e tenere buoni con ricche poltrone i residui pretendenti al potere nell'impero fittizio.
C) Nella sua qualità di fase di passaggio verso il governo mondiale, l'Europa deve essere debolissima, come infatti sta diventando. Per ora qualcuno lo nota a proposito dell'economia e della ricerca (ricerca significa intelligenza), ma presto sarà chiaro a tutti l'impoverimento intellettuale e affettivo di popoli costretti a perdere la propria identità, la propria «forma» in ogni settore della vita. In Italia la perdita è più grave per il semplice motivo che gli italiani sono i più ricchi di creatività. Di fronte al vuoto di qualsiasi ideale e di qualsiasi futuro, i giovani si battono per quelli vecchi inesistenti, oppure «si annoiano». Vi si aggiungono con uguale impoverimento i milioni di immigrati, anch'essi sradicati dalla loro identità e gettati nel crogiolo della non-forma.
Si tratta di conseguenze ovvie, perseguite con ostinazione durante il passare degli anni sia dai fanatici credenti nella religione universale che da coloro che se ne servono per assolutizzare il proprio potere. Ci troviamo di fronte a quello che i poeti tedeschi individuavano chiaramente durante il nazismo come «il generale naufragio dello spirito». Seppellire le nazioni per paura del nazionalismo significa provocare di nuovo il generale naufragio dello spirito. Significa che alla fine Hitler ha vinto.
Il Giornale n. 135 del 2008-06-07


Lasciare il potere intellettuale al gramscismo? - Sandro Bondi dichiara a Tempi di non avere alcuna intenzione di far guerra alla egemonia culturale della sinistra.
Chiede Amicone, direttore di Tempi: Lei ha già ha speso parole generose per Nanni Moretti e Umberto Eco, per esempio. Oltre all’ecumenismo proverà a promuovere voci, personalità, espressioni culturali radicalmente diverse rispetto all’egemonia di matrice gramsciana che imperversano in questo paese praticamente dall’immediato secondo dopoguerra?
Il Ministro risponde: sarebbe assurdo pensare di proporre una nuova egemonia di segno diverso ma sempre finalizzata al potere
Ci risiamo.
Ogni volta che il Centro torna al Governo, è preso da raptus di buonismo e libertarismo. Dimenticando che la battaglia più importante, premessa di ogni altra, è quella culturale. A questa battaglia le sinistre dedicano da sempre le migliori energie.
Un esempio?
Nel 1974 viene introdotto in Italia il divorzio. Sbaglierebbe chi pensasse che la maggioranza degli italiani si sia lasciata convincere dai tre anni di campagna referendaria che lo precedettero. Il voto sul divorzio (o sull’aborto, sulla droga e così via) fu il risultato di un’opera di corruzione della mentalità e dei costumi intrapresa almeno dal secondo dopo guerra.
Fu Gramsci ad insegnare che, per ottenere la direzione della vita di un paese occidentale, era indispensabile conquistare l’egemonia culturale. Luigi Amicone, direttore di Tempi, queste cose le sa ed intelligentemente chiede all’On. Bondi, neo-Ministro per i Beni e le Attività culturali: "Lei ha già ha speso parole generose per Nanni Moretti e Umberto Eco, per esempio. Oltre all’ecumenismo proverà a promuovere voci, personalità, espressioni culturali radicalmente diverse rispetto all’egemonia di matrice gramsciana che imperversano in questo paese praticamente dall’immediato secondo dopoguerra?". La risposta del Ministro è permeata dalle ingenuità del libero mercato: "Piuttosto credo sia giusto riconoscere le grandi intellettualità, come nel caso di Eco, ma vorrei anche che nessuno si scandalizzasse quando vengono chiamati ai livelli più alti intellettuali di centrodestra". Bondi vede "grande intellettualità" dove, invece, c’è solo un raccontar balle utile alla cultura progressista.
Ma la risposta di Bondi rivela un virus più grave: il considerare la concorrenza – tra intellettuali di destra e "intellettuali" di sinistra – come una panacea per tutti i mali.
Il buon Amicone, non si arrende e, forse non capacitandosi di tanta insipienza, insiste sollevando: "la questione della storia e della storia della cultura insegnata attraverso i libri di testo". Allucinante la risposta del neo-Ministro: "Credo che la questione sia di competenza del ministro dell’Istruzione".
Peccato che il Ministero incaricato del "Sostegno Editoria Libraria" sia proprio quello di Bondi. Se non si sostengono le case editrici che pubblicano testi veritieri, quali saranno i libri che verranno adottati nelle scuole?
Amicone - lo immagino sgomento - insiste: "Non sarebbe ora di chiudere il rubinetto dei finanziamenti pubblici a questo cinema che di italiano ha solo i vizi e ben poche virtù culturali?". Aggiungo io: e il teatro, la musica, lo spettacolo? Bondi nemmeno capisce la domanda: "Se non ci fosse un sostegno pubblico, non esisterebbe più da tempo cinema di qualità italiano".
On. Bondi, pensi almeno alla sua poltrona: quanti voti crede le porterà la libera concorrenza ? un popolo nutrito da sesso libero, droga, sballi vari, per quale ragione dovrebbe preferirla al Partito Democratico?
Le parole del neo ministro rivelano tuttavia una malattia ancora più grave. Si tratta del male – letale per l’Occidente – del relativismo.
Ogni papà sa che non tutto deve essere lasciato alla libertà di scelta dei piccoli. Un Governo che vuole davvero il bene di un popolo non può ignorare come e da quale cultura si sia affermato il peggiore totalitarismo della storia. Chissà perché, invece, per il Centro-Destra, la libera diffusione di testi come "Il piccolo manuale della guerriglia urbana" (autoprol.org) o il "Manuale dell’azione diretta" (bologna.social-forum.org) è considerata "concorrenza", come se i black block o i neo terroristi dei Centri Sociali spuntassero per magia.
La maggiore novità del nuovo Parlamento sta nel fatto che la destra non è più rappresentata, benché alcuni suoi esponenti siano stati eletti qua e la’. Così, come tutti i Governi centristi, anche quello attuale si sta occupando di economia, si sicurezza, di efficienza. Alla cultura ci mettono uno qualsiasi.
Ma dire che "La Chiesa è una ricchezza per lo Stato" e poi agire come se verità ed errore avessero gli stessi diritti o producessero gli stessi effetti è roba da Prodi.
David Botti
FattiSentire.net


Il Papa ai partecipanti al VI Simposio Europeo dei Docenti Universitari - "Allargare gli orizzonti della razionalità. Prospettive per la Filosofia"
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 8 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo sabato in udienza i partecipanti al VI Simposio Europeo dei Docenti Universitari, sul tema: "Allargare gli orizzonti della razionalità. Prospettive per la Filosofia" (Roma, 5-8 giugno 2008).
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Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri Docenti,
è per me motivo di profonda gioia incontrarvi in occasione del VI Simposio europeo dei Docenti universitari sul tema "Allargare gli orizzonti della razionalità. Prospettive per la Filosofia", promosso dai Docenti delle Università di Roma e organizzato dall’Ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma in collaborazione con le Istituzioni regionali, provinciali e del Comune di Roma. Ringrazio il Signor Cardinale Camillo Ruini e il Prof. Cesare Mirabelli, che si sono fatti interpreti dei vostri sentimenti, e rivolgo a tutti i presenti il mio cordiale benvenuto.
In continuità con l’incontro europeo dei Docenti universitari dello scorso anno, il vostro Simposio affronta un tema di grande rilevanza accademica e culturale. Desidero esprimere la mia gratitudine al Comitato organizzatore per tale scelta che ci permette, tra l’altro, di celebrare il decennale della pubblicazione della Lettera Enciclica Fides et ratio del mio amato predecessore, il Papa Giovanni Paolo II. Già in quella occasione cinquanta Docenti di filosofia delle Università di Roma, pubbliche e pontificie, manifestarono la loro gratitudine al Papa con una dichiarazione nella quale si ribadiva l’urgenza del rilancio dello studio della filosofia nelle Università e nelle Scuole. Condividendo tale preoccupazione e incoraggiando la fruttuosa collaborazione tra i Docenti di diversi Atenei, romani ed europei, desidero rivolgere ai Docenti di filosofia un particolare invito a proseguire con fiducia nella ricerca filosofica investendo energie intellettuali e coinvolgendo le nuove generazioni in tale impegno.
Gli eventi succedutisi nei dieci anni trascorsi dalla pubblicazione dell’Enciclica hanno delineato con maggiore evidenza lo scenario storico e culturale nel quale la ricerca filosofica è chiamata ad inoltrarsi. Infatti la crisi della modernità non è sinonimo di declino della filosofia; anzi la filosofia deve impegnarsi in un nuovo percorso di ricerca per comprendere la vera natura di tale crisi (cfr Discorso all’incontro europeo dei Docenti universitari, del 23 giugno 2007) e individuare prospettive nuove verso cui orientarsi. La modernità, se ben compresa, rivela una "questione antropologica" che si presenta in modo molto più complesso e articolato di quanto non avvenisse nelle riflessioni filosofiche degli ultimi secoli, soprattutto in Europa. Senza sminuire i tentativi compiuti, rimane ancora molto da indagare e da comprendere. La modernità non è un semplice fenomeno culturale, storicamente datato; essa in realtà implica una nuova progettualità, una più esatta comprensione della natura dell’uomo. Non è difficile cogliere negli scritti di autorevoli pensatori contemporanei un’onesta riflessione sulle difficoltà che si frappongono alla soluzione di questa prolungata crisi. L’apertura di credito che taluni autori propongono nei confronti delle religioni e, in particolare, del cristianesimo, è un segno evidente del sincero desiderio di far uscire dall’autosufficienza la riflessione filosofica.
Fin dall’inizio del mio pontificato ho ascoltato con attenzione le richieste che mi giungono dagli uomini e dalle donne del nostro tempo e, alla luce di tali attese, ho voluto offrire una proposta di indagine che mi sembra possa suscitare interesse per il rilancio della filosofia e del suo ruolo insostituibile all’interno del mondo accademico e culturale. Voi ne avete fatto oggetto di riflessione nel vostro Simposio: è la proposta di "allargare gli orizzonti della razionalità". Ciò mi consente di soffermarmi su di essa con voi come tra amici che desiderano fare un percorso comune di ricerca. Vorrei partire da una profonda convinzione, che più volte ho espresso: "La fede cristiana ha fatto la sua scelta netta: contro gli dei della religione per il Dio dei filosofi, vale a dire contro il mito della sola consuetudine per la verità dell’essere" (J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, cap. III). Tale affermazione, che rispecchia il cammino del cristianesimo fin dai suoi albori, si rivela pienamente attuale nel contesto storico culturale che stiamo vivendo. Infatti solo a partire da tale premessa, che è storica e teologica ad un tempo, è possibile venire incontro alle nuove attese della riflessione filosofica. Il rischio che la religione, anche quella cristiana, sia strumentalizzata come fenomeno surrettizio è molto concreto anche oggi.
Ma il cristianesimo, come ho ricordato nell’Enciclica Spe salvi, non è soltanto un messaggio informativo, ma performativo (cfr n. 2). Ciò significa che da sempre la fede cristiana non può essere rinchiusa nel mondo astratto delle teorie, ma deve essere calata in un’esperienza storica concreta che raggiunga l’uomo nella verità più profonda della sua esistenza. Questa esperienza, condizionata dalle nuove situazioni culturali e ideologiche, è il luogo che la ricerca teologica deve valutare e su cui è urgente avviare un dialogo fecondo con la filosofia. La comprensione del cristianesimo come reale trasformazione dell’esistenza dell’uomo, se da un lato spinge la riflessione filosofica ad un nuovo approccio con la religione, dall’altro la incoraggia a non perdere la fiducia di poter conoscere la realtà. La proposta di "allargare gli orizzonti della razionalità" non va, pertanto, semplicemente annoverata tra le nuove linee di pensiero teologico e filosofico, ma deve essere intesa come la richiesta di una nuova apertura verso la realtà a cui la persona umana nella sua uni-totalità è chiamata, superando antichi pregiudizi e riduzionismi, per aprirsi anche così la strada verso una vera comprensione della modernità. Il desiderio di una pienezza di umanità non può essere disatteso: attende proposte adeguate. La fede cristiana è chiamata a farsi carico di questa urgenza storica, coinvolgendo tutti gli uomini di buona volontà in una simile impresa. Il nuovo dialogo tra fede e ragione, oggi richiesto, non può avvenire nei termini e nei modi in cui si è svolto in passato. Esso, se non vuole ridursi a sterile esercizio intellettuale, deve partire dall’attuale situazione concreta dell’uomo, e su di essa sviluppare una riflessione che ne raccolga la verità ontologico-metafisica.
Cari amici, avete davanti a voi un cammino molto impegnativo. Innanzitutto è necessario promuovere centri accademici di alto profilo, in cui la filosofia possa dialogare con le altre discipline, in particolare con la teologia, favorendo nuove sintesi culturali idonee ad orientare il cammino della società. La dimensione europea del vostro convenire a Roma – voi provenite infatti da 26 Paesi - può favorire un confronto ed uno scambio sicuramente fruttuosi. Confido che le istituzioni accademiche cattoliche siano disponibili alla realizzazione di veri laboratori culturali. Vorrei anche invitarvi ad incoraggiare i giovani ad impegnarsi negli studi filosofici, favorendo opportune iniziative di orientamento universitario. Sono certo che le nuove generazioni, con il loro entusiasmo, sapranno rispondere generosamente alle attese della Chiesa e della società.
Tra pochi giorni avrò la gioia di aprire l’Anno Paolino, durante il quale celebreremo l’Apostolo delle Genti: auguro che questa singolare iniziativa costituisca per tutti voi un’occasione propizia per riscoprire, sulle orme del grande Apostolo, la fecondità storica del Vangelo e le sue straordinarie potenzialità anche per la cultura contemporanea. Con questo auspicio, imparto a tutti la mia Benedizione.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


Welfare, al lavoro sulla qualità dei servizi
Giorgio Vittadini07/06/2008
Autore(i): Giorgio Vittadini. Pubblicato il 07/06/2008 – IlSussidiario.net
Negli ultimi tempi è tornato di attualità il tema della valutazione della qualità dei servizi nei settori tipici del welfare quali sanità, istruzione, formazione, assistenza, cultura, tempo libero. Il tema è cruciale poiché la costruzione di adeguati sistemi di valutazione può aiutare, da una parte, chi fornisce il servizio a migliorarne la qualità e, dall’altra, gli utenti a giudicarne l’adeguatezza alle proprie esigenze, superando le asimmetrie informative dovute all’impossibilità di conoscere la qualità del servizio prima della sua erogazione. Tali sistemi possono inoltre permettere all’ente pubblico di individuare e correggere disparità nella qualità dei servizi tra i diversi territori e settori, e di valutare, in un sistema pubblico-privato, quali strutture ammettere al finanziamento, diretto o indiretto, in modo da rendere possibile la libera scelta dell’utente.
Come giungere alla valutazione della qualità? Innanzitutto attraverso processi di valutazione ex ante, attuabili utilizzando versioni evolute delle certificazioni ISO 9001 o sistemi di accreditamento delle procedure di erogazione che assicurano la qualità del servizio. Negli ultimi anni, inoltre, è emersa l’esigenza di affiancare a tali metodi ex ante la rilevazione di adeguati indicatori che informino ex post sull’efficienza dei servizi erogati, sulla loro efficacia nel migliorare l’outcome degli utenti – che considera particolari aspetti dello stato di benessere degli utenti (quali salute, istruzione, formazione) -, sulla qualità percepita dagli utenti stessi. Infine, per evitare una “selezione avversa” per cui le strutture erogatrici tendono a non prendere i pazienti più gravi temendo di vedere abbassati i loro standard di qualità, si devono effettuare, mediante opportuni metodi statistici, valutazioni al netto dell’influenza sugli outcome delle diverse caratteristiche degli utenti (case-mix).
Questo il quadro teorico. Qual è, invece, lo stato dell’arte in Italia nei tre principali settori del welfare (istruzione scolastica, istruzione universitaria e sanità)?
La didattica delle università viene valutata dai nuclei di valutazione all’interno delle singole università e dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU), mentre il Comitato d’indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR) ha effettuato la sua prima valutazione della ricerca sul triennio 2003-2005. L’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) che nel 2009 dovrebbe sostituire CNVSU e CIVR, oltre a effettuare le suddette valutazioni, come recita il D.M. 18 ottobre 2007, dovrebbe verificare, coadiuvato da adeguate banche di informazione sugli studenti universitari, quali quella del Consorzio Alma Laurea o del Consorzio Stella, quanto i laureati siano in grado di immettersi con successo nel mercato del lavoro e quanto siano soddisfatti dei loro studi.
Per ciò che concerne la scuola, sono state istituite le sperimentazioni per la valutazione degli apprendimenti su base volontaria e censuaria, durante il ministero Moratti, e nel 2006 la sperimentazione su base campionaria durante il ministero Fioroni, che prevede l’instaurarsi di una valutazione di sistema (inerente la spesa, l’utilizzo delle risorse umane, strutturali e finanziarie, la regolarità dei percorsi e l’abbandono scolastico). Inoltre, nel luglio 2007 è stata emanata, dallo stesso Fioroni, una direttiva ministeriale di indirizzo per l’attività dell’Invalsi (ente di valutazione della scuola) che alla valutazione di sistema iniziata nel 2006, aggiunge una valutazione degli strumenti per rilevare il valore aggiunto che la scuola offre in termini di apprendimento con test in ingresso e in uscita ai diversi livelli scolastici.
Per la sanità a livello nazionale sono state avanzate solo proposte sperimentali e settoriali. Tuttavia in Lombardia è stato avviato nel 2004 e rinnovato nel 2007 il “Programma triennale per l’implementazione del sistema di valutazione delle aziende sanitarie pubbliche e private”, con l’ausilio della Joint Commission International (JCI), agenzia che accredita la maggior parte delle strutture sanitarie statunitensi. Tale programma prevede l’accreditamento di alcune strutture pilota, l’adozione di alcuni degli standard di qualità di efficienza previsti dalla JCI, e, con l’ausilio del CRISP (centro interuniversitario dell’Università di Milano Bicocca), la sperimentazione di una valutazione ex post di efficacia e customer satisfaction degli ospedali lombardi.
La speranza è che tutto ciò costituisca l’alba di un sistematico ingresso della valutazione nel settore dei servizi di pubblica utilità alla persona.