Nella rassegna stampa di oggi:
1) Il Papa: San Colombano indica le radici per far rinascere l'Europa
2) Trattato di Lisbona - Battaglia decisiva. L'Irlanda si prepara al referendum
3) Scuola, la Gelmini: "Stipendi più alti ai prof"
4) Semplificazione? Lo Stato si fidi dei suoi cittadini, di Giorgio Vittadini
Il Papa: San Colombano indica le radici per far rinascere l'Europa
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 11 giugno 2008 (ZENIT.org).- San Colombano, abate irlandese del primo Medioevo, ha un messaggio valido anche per i cristiani di oggi perché indica le basi sulle quali si può ricostruire l'Europa, ha affermato Benedetto XVI.
Il Papa ha dedicato il suo intervento nell'udienza generale di questo mercoledì alla figura di questo santo, che “con buona ragione” può essere definito “'europeo', perché come monaco, missionario e scrittore ha lavorato in vari Paesi dell’Europa occidentale”.
“Con la sua energia spirituale, con la sua fede, con il suo amore per Dio e per il prossimo divenne realmente uno dei Padri dell’Europa: egli mostra anche oggi a noi dove stanno le radici dalle quali può rinascere questa nostra Europa”, ha osservato.
Insieme agli Irlandesi del suo tempo, Colombano egli era consapevole dell’unità culturale dell’Europa, al punto che è in una sua lettera scritta intorno all’anno 600 ed indirizzata a Papa Gregorio Magno si trova per la prima volta l’espressione “totius Europae – di tutta l’Europa”, con riferimento alla presenza della Chiesa nel continente.
Nato intorno all’anno 543 nella provincia di Leinster, nel sud-est dell’Irlanda, a circa vent’anni entrò nel monastero di Bangor, il cui abate Comgall era noto per la sua virtù e il suo rigore ascetico.
In piena sintonia con Comgall, ha ricordato Benedetto XVI, “praticò con zelo la severa disciplina del monastero, conducendo una vita di preghiera, di ascesi e di studio. Lì fu anche ordinato sacerdote”.
A circa cinquant’anni, “seguendo l’ideale ascetico tipicamente irlandese della 'peregrinatio pro Christo', del farsi cioè pellegrino per Cristo, Colombano lasciò l’isola per intraprendere con dodici compagni un’opera missionaria sul continente europeo”.
Approdati sulla costa bretone, vennero accolti con benevolenza dal re dei Franchi d’Austrasia (l’attuale Francia). Dopo aver chiesto solo un pezzo di terra incolta, ottennero l’antica fortezza romana di Annegray, diroccata e abbandonata, sulle cui rovine costruirono in pochi mesi il primo eremo.
“La loro rievangelizzazione iniziò a svolgersi innanzitutto mediante la testimonianza della vita”, ha sottolineato il Papa, aggiungendo che “con la nuova coltivazione della terra cominciarono anche una nuova coltivazione delle anime”.
“La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffuse celermente attraendo pellegrini e penitenti. Soprattutto molti giovani chiedevano di essere accolti nella comunità monastica per vivere, come loro, questa vita esemplare che rinnovava la coltura della terra e delle anime”.
Per questo motivo, fu presto necessaria la fondazione di un secondo monastero a Luxeuil, che divenne in seguito il centro dell’irradiazione monastica e missionaria di tradizione irlandese sul continente europeo. Un terzo monastero fu poi eretto a Fontaine.
Colombano visse a Luxeuil quasi vent’anni, scrivendo per i suoi seguaci la Regula monachorum, l’unica antica regola monastica irlandese rimasta, che integrò con la Regula coenobialis, “una sorta di codice penale per le infrazioni dei monaci, con punizioni piuttosto sorprendenti per la sensibilità moderna, spiegabili soltanto con la mentalità del tempo e dell’ambiente”.
Con un'altra opera famosa, intitolata De poenitentiarum misura taxanda, Colombano introdusse nel continente la confessione e la penitenza private e reiterate; venne chiamata penitenza “tariffata” per la proporzione stabilita tra gravità del peccato e tipo di penitenza imposta dal confessore.
Queste novità, ha sottolineato il Papa, destarono nei Vescovi della regione un sospetto che si trasformò in ostilità quando Colombano li rimproverò apertamente per i costumi di alcuni di loro, entrando poi in conflitto anche con la Casa reale, perché aveva rimproverato il re Teodorico per le sue relazioni adulterine.
Nel 610, a seguito di una serie di intrighi e manovre a livello personale, religioso e politico, Colombano e tutti i monaci di origine irlandese vennero espulsi da Luxeuil, scortati fino al mare ed imbarcati a spese della corte verso l’Irlanda.
La nave, ha ricordato Benedetto XVI, “si incagliò a poca distanza dalla spiaggia e il capitano, vedendo in ciò un segno del cielo, rinunciò all’impresa e, per paura di essere maledetto da Dio, riportò i monaci sulla terra ferma”.
Anziché tornare a Luxeuil, i monaci decisero di iniziare una nuova opera di evangelizzazione e arrivarono in Italia, dove il re dei Longobardi assegnò loro un terreno a Bobbio. Colombano vi fondò un nuovo monastero, dove morì il 23 novembre 615.
Secondo il Pontefice, il messaggio di San Colombano si concentra in “un fermo richiamo alla conversione e al distacco dai beni terreni in vista dell’eredità eterna”.
La sua austerità, tuttavia, non era mai fine a se stessa, rappresentando “solo il mezzo per aprirsi liberamente all’amore di Dio e corrispondere con tutto l’essere ai doni da Lui ricevuti, ricostruendo così in sé l’immagine di Dio e al tempo stesso dissodando la terra e rinnovando la società umana”.
“Con la sua vita ascetica e il suo comportamento senza compromessi di fronte alla corruzione dei potenti – ha concluso il Papa –, egli evoca la figura severa di san Giovanni Battista”.
Battaglia decisiva. L'Irlanda si prepara al referendum
I cattolici irlandesi e i gruppi pro-life si stanno mobilitando per cercare di lanciare l'allerta sulle inevitabili conseguenze che provocherà il Trattato di Lisbona, se verrà approvato il prossimo 12 giugno. Una di queste è che l'Irlanda sarà costretta ad introdurre l'aborto nel paese. Sebbene la maggioranza dei mezzi di comunicazione Irlandesi, accompagnati da quelli europeisti degli altri stati, stiano facendo una massiccia campagna mediatica per ribadire che i timori dei cattolici sono infondati, la verità è che se il Trattato sarà approvato prevarrà sulla Costituzione Irlandese e certo il "diritto all'aborto" sarà uno dei primi ad essere garantiti...
La legislazione irlandese pro-vita potrebbe essere messa in discussione se fosse ratificato il Trattato di Lisbona
DUBLINO, 5 giugno 2008 (Lifesitenews.com). La Commissione referendaria irlandese ha dichiarato che la rati***** della nuova Costituzione Europea, ora chiamata Trattato di Lisbona, non comporterà per il paese l'obbligo di legalizzare l'aborto. La Commissione era stata accusata di aver presentato i fatti in maniera distorta dai gruppi favorevoli a una maggiore democrazia nell'Unione Europea.
Il presidente della Commissione, il giudice Iarfhlaith O'Neill ha dichiarato che se il Trattato verrà approvato l'Irlanda non sarà costretta a mettere fine alla proibizione dell'aborto, dato che l'articolo 40.3.3 della Costituzione Irlandese è protetto dalla legge dell'UE. Ma altri capi di governo dell'Unione non hanno espresso fiducia che la rati***** del Trattato di Lisbona non condurrà a cambiamenti radicali nella legislazione riguardante altre simili questioni etiche. Il presidente della Polonia, uno dei tre paesi che ancora mantengono la protezione legale per i non nati, ha avvertito lo scorso marzo che la rati***** potrebbe significare che la Polonia sarebbe costretta ad adottare il "matrimonio" omosessuale o altre simili concessioni alla potente lobby omosessualista della UE.
Jens-Peter Bonde, presidente dei Democratici Europei, e membro danese delle due convenzioni costituenti dell'UE, ha avvertito la settimana scorsa che la Commissione referendaria non aveva detto tutta la verità e che il Trattato di Lisbona potrebbe ben prevalere sulla Costituzione irlandese. "La Commissione referendaria non spiega quali differenze ci sono tra il Trattato di Lisbona e la costituzione che è stata rifiutata. Non spiega che il Trattato di Lisbona darà alla Costituzione dell'UE la prevalenza sulla Costituzione Irlandese, come indicato dalla Dichiarazione n. 17 - che è stata spostata dall'articolo I-6 della Costituzione", ha scritto Bonde.
Mentre i vescovi cattolici irlandesi non hanno appoggiato nessuna delle parti, alcune organizzazioni di laici cattolici e alcune personalità hanno messo in guardia che il Trattato di Lisbona aprirà le porte a un nuovo stato laicista che metterebbe sotto sorveglianza l'Irlanda, che è cattolica a maggioranza assoluta. Un'inserzione pubblicata da un'associazione su un giornale cattolico questo mese ha esortato i fedeli a respingere il Trattato, scrivendo che esso propone "una nuova identità europea basata sul laicismo radicale e sulle filosofie dell'ateismo".
Alcune personalità pro-life in Irlanda sostengono che la rati***** del Trattato avrà come risultato che l'Irlanda sarà costretta ad abbandonare la protezione dei non nati garantita dalla sua costituzione. Il 16 aprile scorso, l'organizzazione Pro-Life Campaign ha rilasciato un comunicato che condannava le pressioni del Consiglio d'Europa affinché l'Irlanda renda meno rigida la sua legge sull'aborto. Il Consiglio d'Europa, anche se non possiede potere legislativo sopra l'Unione, è il più vecchio e il più influente degli organismi pan-europei.
Ai primi di maggio, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha richiesto che i suoi 47 stati membri "rendano legale l'aborto se non lo hanno ancora fatto". L'aborto resta illegale nella Repubblica d'Irlanda, uno dei pochi paesi nell'Unione Europea a mantenere restrizioni significative. Sebbene la risoluzione dell'Assemblea non sia vincolante per gli stati membri, esercita una pressione sul Consiglio d'Europa per rendere l'aborto un "diritto" incondizionato. Una risoluzione del genere ha una certa forza morale, e può essere usata per fare pressione sui paesi come l'Irlanda, la Polonia e Malta per istituire un "diritto all'aborto".
Come in Inghilterra, il Trattato di Lisbona fu ratificato dal governo polacco senza un referendum dopo che il governo si era assicurato una clausola di esenzione dalla Carta Europea dei Diritti Fondamentali. Il Trattato prende il posto della defunta Costituzione Europea rifiutata dagli elettori francesi e olandesi nel 2005. In Inghilterra, dove il governo ha più volte rassicurato l'opinione pubblica che vi erano sostanziali differenze tra il documento originale e il Trattato di Lisbona, i membri del parlamento non sono stati in grado di indicare differenze che non fossero soltanto marginali. Nonostante una considerevole richiesta di chiarimenti da parte dell'opinione pubblica e la pressione dei conservatori all'opposizione, il governo laburista ha usato questa spiegazione per giustificare il suo rifiuto di far votare gli inglesi, nonostante le promesse di indire un referendum fatte durante la campagna elettorale.
Il referendum irlandese è in programma per il 12 giugno e la campagna elettorale è intensa da ambo le parti, con tutti i maggiori partiti politici a favore del "SÌ". Tuttavia il consenso dell'opinione pubblica non è forte come i promotori del "SÌ" desidererebbero. Sebbene un sondaggio recente mostrasse la percentuale dei "SÌ" al 41% e i "NO" al 33%, il vantaggio è andato progressivamente scemando e può essere ingannevole. Come ha messo in evidenza Gordon Raynor del Daily Telegraph, all'epoca del referendum del 2001 sul Trattato di Nizza i sondaggi mostravano che la campagna per il "SÌ" riscuoteva ben oltre il 50% dei consensi. Il giorno dopo gli elettori irlandesi bocciarono sonoramente il Trattato.
Quasi tutti gli stati membri dell'Unione Europea, Inghilterra compresa, hanno approvato la Costituzione europea modificata attraverso il voto del parlamento, senza un referendum. Ma l'Irlanda sola ha l'obbligo costituzionale di sottoporre la questione al voto popolare. Secondo le regole della stessa UE, questa costituzione di 287 pagine dev'essere approvata all'unanimità da tutti gli stati membri.
Il Trattato di Lisbona include provvedimenti per la creazione di un superstato europeo, compresa la creazione dell'Ufficio del Presidente Europeo e le forze armate pan-europee.
di Harry White
www.lozuavopontificio.net
Scuola, la Gelmini: "Stipendi più alti ai prof"
Intervista al ministro dell’Istruzione: "Tra scuole paritarie e statali non deve esserci conflittualità. In Italia un professore di liceo, dopo 15 anni in cattedra, guadagna 27.500 euro lordi annui. In Germania 20mila euro in più" …
Roma - Riportare la squadra della scuola italiana e tutti i suoi studenti in serie A. Un ampio capitolo della relazione del ministro dell’Istruzione pubblica dell’università e della ricerca, Mariastella Gelmini, alla Commissione Cultura della Camera è dedicato alla parità scolastica.
Ministro, in questa legislatura alle famiglie verrà concessa libertà di scelta?
«Il mio primo obbiettivo è quello di diminuire le distanze tra paritarie e le statali, tra le quali non deve esserci conflittualità. L’istruzione è pubblica. Sempre. Anche quando viene erogata dalle scuole private. Occorre andare incontro a questa esigenza di libertà delle famiglie e lavorare in modo che i genitori possano scegliere la scuola dove educare i propri figli».
Il ministro Maurizio Sacconi sul fronte delle politiche sociali sta pensando a forme di sostegno come il voucher. Potrebbe funzionare anche nella scuola?
«Il principio che va difeso è quello della libertà di scelta poi anche sul voucher o il buono scuola si può riflettere e ragionare. Possono essere strade praticabili anche per il sistema dell’istruzione. Occorre però fare molta attenzione perché le risorse sono limitate. Quel poco che abbiamo lo dobbiamo spendere al meglio».
Per la piena realizzazione della parità scolastica ha un modello in mente? Magari la Lombardia?
«Sicuramente quella regione rappresenta un’eccellenza da molti punti di vista ma non è un modello unico cui fare riferimento. E se è vero che il Nord in genere dà risultati migliori dobbiamo tener conto che quella della scuola è una realtà differenziata dove è possibile trovare eccellenze anche al Sud».
Nel suo discorso alla Camera ha citato il grido d’allarme di Papa Ratzinger che ha parlato di «emergenza educativa». L’impressione è che le scuole cattoliche abbiano aspettative molto alte su quanto potrà questo governo in termini di parità. Anche dal punto di vista finanziario.
«È il Paese intero che ha aspettative molto alte su quanto potremo fare per rispondere all’esigenza di un vero cambiamento. Occorre molto buon senso e soprattutto idee condivise su che cosa esattamente vogliamo chiedere alla scuola alla quale fino ad ora è stato chiesto troppo. Anche di colmare lacune sociali affidando agli insegnanti responsabilità ed azioni che invece competono alla famiglia che rappresenta, pur nelle sue difficoltà, la base fondamentale su cui sviluppare le attività didattiche, formative ed educative. Quello della scuola non è un mondo allo sfascio. Ci sono ottimi docenti preparati ed impegnati ma sottopagati».
Si chiede uno sforzo comune per adeguare gli stipendi degli insegnanti italiani alla media degli altri paesi europei.
«Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria, dopo 15 anni di insegnamento, è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. In Germania ne guadagnerebbe 20.000 di più, in Finlandia 16.000. La media Ocse è superiore ai 40mila euro annui».
Tre priorità: merito, autonomia, valutazione.
«Il merito è la più alta forma di democrazia, uno strumento per garantire pari opportunità. Autonomia e valutazione sono due facce della stessa medaglia. Parlare di autonomia significa innanzitutto valorizzare la governance degli istituti dotarla di poteri e risorse adeguate e puntare sulla loro valutazione. Non possiamo rendere piena l’autonomia scolastica senza un sistema di valutazione che certifichi in trasparenza con quali risultati venga speso il pubblico denaro».
Le tre I della precedente riforma varata dal ministro Letizia Moratti sono diventate 4.
«La patente delle tre I, Inglese, Internet, Impresa non può essere presa a discapito della quarta I, Italiano che, come scriveva Leonardo Sciascia “è il ragionare”, il territorio in cui si esercita la ragione. Importantissimo anche per favorire l’integrazione. Il nostro primo obbligo è insegnare ai bambini migranti la lingua italiana e la nostra Costituzione. A tutti»,
di Francesca Angeli
Il Giornale n. 138 del 2008-06-11
Semplificazione? Lo Stato si fidi dei suoi cittadini
Giorgio Vittadini11/06/2008
Autore(i): Giorgio Vittadini. Pubblicato il 11/06/2008 – IlSussidiario.net
E’ di scena questa settimana lo slogan “Semplificare per crescere: dal rapporto Attali alla via italiana”: è significativo perché in Italia la semplificazione è da tempo sull’agenda politica, con risultati finora deludenti. Un imprenditore italiano parte svantaggiato rispetto ai suoi concorrenti: i costi di start-up sono 17 volte quelli di un competitor inglese (che spende 207 euro) o francese (301 euro). Ogni impresa italiana brucia in burocrazia il 5% del fatturato e ventiquattro giornate/persona l’anno. Il risultato deludente nasce dal fatto che in Italia le deleghe statali di semplificazione si sono strutturate esse stesse come “lenzuoli” normativi che hanno prodotto decreti legislativi torrenziali e alluvioni di regolamenti. Per ogni legge abrogata rinasceva un regolamento, per ogni semplificazione una o più norme. Inoltre, un incompleto federalismo ha complicato le cose perché, nonostante alcune Regioni abbiano avviato semplificazioni importanti, il problema dell’intreccio delle competenze non è stato adeguatamente risolto.
Occorre un cambiamento di metodo: la “semplificazione” desiderata da tutti deve andare nella direzione della sussidiarietà superando l’idea che solo quello che è pubblico è per definizione “morale”. Il cittadino prima che un “controllato” da parte della Pubblica Amministrazione, deve essere considerato una “risorsa” per la collettività. In quest’ottica la verifica di requisiti previsti dalle leggi potrà essere fatta direttamente dal cittadino, risparmiando i tempi della burocrazia. Si passerebbe così dal controllo ex ante al controllo ex post, sfruttando adeguatamente le potenzialità di strumenti come le dichiarazioni di inizio di attività e le autocertificazioni. Sembra che il cambiamento annunciato dal Governo vada in questa direzione perché l’accento è sulla necessità di verificare l’operato della stessa Pubblica Amministrazione, sulla valorizzazione delle professionalità, del merito, della qualità dei servizi e della soddisfazione dei cittadini. Il superamento della diffidenza verso il privato è un primo tassello di quella “rivoluzione culturale” su cui innestare un nuovo sviluppo del Paese.
1) Il Papa: San Colombano indica le radici per far rinascere l'Europa
2) Trattato di Lisbona - Battaglia decisiva. L'Irlanda si prepara al referendum
3) Scuola, la Gelmini: "Stipendi più alti ai prof"
4) Semplificazione? Lo Stato si fidi dei suoi cittadini, di Giorgio Vittadini
Il Papa: San Colombano indica le radici per far rinascere l'Europa
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 11 giugno 2008 (ZENIT.org).- San Colombano, abate irlandese del primo Medioevo, ha un messaggio valido anche per i cristiani di oggi perché indica le basi sulle quali si può ricostruire l'Europa, ha affermato Benedetto XVI.
Il Papa ha dedicato il suo intervento nell'udienza generale di questo mercoledì alla figura di questo santo, che “con buona ragione” può essere definito “'europeo', perché come monaco, missionario e scrittore ha lavorato in vari Paesi dell’Europa occidentale”.
“Con la sua energia spirituale, con la sua fede, con il suo amore per Dio e per il prossimo divenne realmente uno dei Padri dell’Europa: egli mostra anche oggi a noi dove stanno le radici dalle quali può rinascere questa nostra Europa”, ha osservato.
Insieme agli Irlandesi del suo tempo, Colombano egli era consapevole dell’unità culturale dell’Europa, al punto che è in una sua lettera scritta intorno all’anno 600 ed indirizzata a Papa Gregorio Magno si trova per la prima volta l’espressione “totius Europae – di tutta l’Europa”, con riferimento alla presenza della Chiesa nel continente.
Nato intorno all’anno 543 nella provincia di Leinster, nel sud-est dell’Irlanda, a circa vent’anni entrò nel monastero di Bangor, il cui abate Comgall era noto per la sua virtù e il suo rigore ascetico.
In piena sintonia con Comgall, ha ricordato Benedetto XVI, “praticò con zelo la severa disciplina del monastero, conducendo una vita di preghiera, di ascesi e di studio. Lì fu anche ordinato sacerdote”.
A circa cinquant’anni, “seguendo l’ideale ascetico tipicamente irlandese della 'peregrinatio pro Christo', del farsi cioè pellegrino per Cristo, Colombano lasciò l’isola per intraprendere con dodici compagni un’opera missionaria sul continente europeo”.
Approdati sulla costa bretone, vennero accolti con benevolenza dal re dei Franchi d’Austrasia (l’attuale Francia). Dopo aver chiesto solo un pezzo di terra incolta, ottennero l’antica fortezza romana di Annegray, diroccata e abbandonata, sulle cui rovine costruirono in pochi mesi il primo eremo.
“La loro rievangelizzazione iniziò a svolgersi innanzitutto mediante la testimonianza della vita”, ha sottolineato il Papa, aggiungendo che “con la nuova coltivazione della terra cominciarono anche una nuova coltivazione delle anime”.
“La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffuse celermente attraendo pellegrini e penitenti. Soprattutto molti giovani chiedevano di essere accolti nella comunità monastica per vivere, come loro, questa vita esemplare che rinnovava la coltura della terra e delle anime”.
Per questo motivo, fu presto necessaria la fondazione di un secondo monastero a Luxeuil, che divenne in seguito il centro dell’irradiazione monastica e missionaria di tradizione irlandese sul continente europeo. Un terzo monastero fu poi eretto a Fontaine.
Colombano visse a Luxeuil quasi vent’anni, scrivendo per i suoi seguaci la Regula monachorum, l’unica antica regola monastica irlandese rimasta, che integrò con la Regula coenobialis, “una sorta di codice penale per le infrazioni dei monaci, con punizioni piuttosto sorprendenti per la sensibilità moderna, spiegabili soltanto con la mentalità del tempo e dell’ambiente”.
Con un'altra opera famosa, intitolata De poenitentiarum misura taxanda, Colombano introdusse nel continente la confessione e la penitenza private e reiterate; venne chiamata penitenza “tariffata” per la proporzione stabilita tra gravità del peccato e tipo di penitenza imposta dal confessore.
Queste novità, ha sottolineato il Papa, destarono nei Vescovi della regione un sospetto che si trasformò in ostilità quando Colombano li rimproverò apertamente per i costumi di alcuni di loro, entrando poi in conflitto anche con la Casa reale, perché aveva rimproverato il re Teodorico per le sue relazioni adulterine.
Nel 610, a seguito di una serie di intrighi e manovre a livello personale, religioso e politico, Colombano e tutti i monaci di origine irlandese vennero espulsi da Luxeuil, scortati fino al mare ed imbarcati a spese della corte verso l’Irlanda.
La nave, ha ricordato Benedetto XVI, “si incagliò a poca distanza dalla spiaggia e il capitano, vedendo in ciò un segno del cielo, rinunciò all’impresa e, per paura di essere maledetto da Dio, riportò i monaci sulla terra ferma”.
Anziché tornare a Luxeuil, i monaci decisero di iniziare una nuova opera di evangelizzazione e arrivarono in Italia, dove il re dei Longobardi assegnò loro un terreno a Bobbio. Colombano vi fondò un nuovo monastero, dove morì il 23 novembre 615.
Secondo il Pontefice, il messaggio di San Colombano si concentra in “un fermo richiamo alla conversione e al distacco dai beni terreni in vista dell’eredità eterna”.
La sua austerità, tuttavia, non era mai fine a se stessa, rappresentando “solo il mezzo per aprirsi liberamente all’amore di Dio e corrispondere con tutto l’essere ai doni da Lui ricevuti, ricostruendo così in sé l’immagine di Dio e al tempo stesso dissodando la terra e rinnovando la società umana”.
“Con la sua vita ascetica e il suo comportamento senza compromessi di fronte alla corruzione dei potenti – ha concluso il Papa –, egli evoca la figura severa di san Giovanni Battista”.
Battaglia decisiva. L'Irlanda si prepara al referendum
I cattolici irlandesi e i gruppi pro-life si stanno mobilitando per cercare di lanciare l'allerta sulle inevitabili conseguenze che provocherà il Trattato di Lisbona, se verrà approvato il prossimo 12 giugno. Una di queste è che l'Irlanda sarà costretta ad introdurre l'aborto nel paese. Sebbene la maggioranza dei mezzi di comunicazione Irlandesi, accompagnati da quelli europeisti degli altri stati, stiano facendo una massiccia campagna mediatica per ribadire che i timori dei cattolici sono infondati, la verità è che se il Trattato sarà approvato prevarrà sulla Costituzione Irlandese e certo il "diritto all'aborto" sarà uno dei primi ad essere garantiti...
La legislazione irlandese pro-vita potrebbe essere messa in discussione se fosse ratificato il Trattato di Lisbona
DUBLINO, 5 giugno 2008 (Lifesitenews.com). La Commissione referendaria irlandese ha dichiarato che la rati***** della nuova Costituzione Europea, ora chiamata Trattato di Lisbona, non comporterà per il paese l'obbligo di legalizzare l'aborto. La Commissione era stata accusata di aver presentato i fatti in maniera distorta dai gruppi favorevoli a una maggiore democrazia nell'Unione Europea.
Il presidente della Commissione, il giudice Iarfhlaith O'Neill ha dichiarato che se il Trattato verrà approvato l'Irlanda non sarà costretta a mettere fine alla proibizione dell'aborto, dato che l'articolo 40.3.3 della Costituzione Irlandese è protetto dalla legge dell'UE. Ma altri capi di governo dell'Unione non hanno espresso fiducia che la rati***** del Trattato di Lisbona non condurrà a cambiamenti radicali nella legislazione riguardante altre simili questioni etiche. Il presidente della Polonia, uno dei tre paesi che ancora mantengono la protezione legale per i non nati, ha avvertito lo scorso marzo che la rati***** potrebbe significare che la Polonia sarebbe costretta ad adottare il "matrimonio" omosessuale o altre simili concessioni alla potente lobby omosessualista della UE.
Jens-Peter Bonde, presidente dei Democratici Europei, e membro danese delle due convenzioni costituenti dell'UE, ha avvertito la settimana scorsa che la Commissione referendaria non aveva detto tutta la verità e che il Trattato di Lisbona potrebbe ben prevalere sulla Costituzione irlandese. "La Commissione referendaria non spiega quali differenze ci sono tra il Trattato di Lisbona e la costituzione che è stata rifiutata. Non spiega che il Trattato di Lisbona darà alla Costituzione dell'UE la prevalenza sulla Costituzione Irlandese, come indicato dalla Dichiarazione n. 17 - che è stata spostata dall'articolo I-6 della Costituzione", ha scritto Bonde.
Mentre i vescovi cattolici irlandesi non hanno appoggiato nessuna delle parti, alcune organizzazioni di laici cattolici e alcune personalità hanno messo in guardia che il Trattato di Lisbona aprirà le porte a un nuovo stato laicista che metterebbe sotto sorveglianza l'Irlanda, che è cattolica a maggioranza assoluta. Un'inserzione pubblicata da un'associazione su un giornale cattolico questo mese ha esortato i fedeli a respingere il Trattato, scrivendo che esso propone "una nuova identità europea basata sul laicismo radicale e sulle filosofie dell'ateismo".
Alcune personalità pro-life in Irlanda sostengono che la rati***** del Trattato avrà come risultato che l'Irlanda sarà costretta ad abbandonare la protezione dei non nati garantita dalla sua costituzione. Il 16 aprile scorso, l'organizzazione Pro-Life Campaign ha rilasciato un comunicato che condannava le pressioni del Consiglio d'Europa affinché l'Irlanda renda meno rigida la sua legge sull'aborto. Il Consiglio d'Europa, anche se non possiede potere legislativo sopra l'Unione, è il più vecchio e il più influente degli organismi pan-europei.
Ai primi di maggio, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha richiesto che i suoi 47 stati membri "rendano legale l'aborto se non lo hanno ancora fatto". L'aborto resta illegale nella Repubblica d'Irlanda, uno dei pochi paesi nell'Unione Europea a mantenere restrizioni significative. Sebbene la risoluzione dell'Assemblea non sia vincolante per gli stati membri, esercita una pressione sul Consiglio d'Europa per rendere l'aborto un "diritto" incondizionato. Una risoluzione del genere ha una certa forza morale, e può essere usata per fare pressione sui paesi come l'Irlanda, la Polonia e Malta per istituire un "diritto all'aborto".
Come in Inghilterra, il Trattato di Lisbona fu ratificato dal governo polacco senza un referendum dopo che il governo si era assicurato una clausola di esenzione dalla Carta Europea dei Diritti Fondamentali. Il Trattato prende il posto della defunta Costituzione Europea rifiutata dagli elettori francesi e olandesi nel 2005. In Inghilterra, dove il governo ha più volte rassicurato l'opinione pubblica che vi erano sostanziali differenze tra il documento originale e il Trattato di Lisbona, i membri del parlamento non sono stati in grado di indicare differenze che non fossero soltanto marginali. Nonostante una considerevole richiesta di chiarimenti da parte dell'opinione pubblica e la pressione dei conservatori all'opposizione, il governo laburista ha usato questa spiegazione per giustificare il suo rifiuto di far votare gli inglesi, nonostante le promesse di indire un referendum fatte durante la campagna elettorale.
Il referendum irlandese è in programma per il 12 giugno e la campagna elettorale è intensa da ambo le parti, con tutti i maggiori partiti politici a favore del "SÌ". Tuttavia il consenso dell'opinione pubblica non è forte come i promotori del "SÌ" desidererebbero. Sebbene un sondaggio recente mostrasse la percentuale dei "SÌ" al 41% e i "NO" al 33%, il vantaggio è andato progressivamente scemando e può essere ingannevole. Come ha messo in evidenza Gordon Raynor del Daily Telegraph, all'epoca del referendum del 2001 sul Trattato di Nizza i sondaggi mostravano che la campagna per il "SÌ" riscuoteva ben oltre il 50% dei consensi. Il giorno dopo gli elettori irlandesi bocciarono sonoramente il Trattato.
Quasi tutti gli stati membri dell'Unione Europea, Inghilterra compresa, hanno approvato la Costituzione europea modificata attraverso il voto del parlamento, senza un referendum. Ma l'Irlanda sola ha l'obbligo costituzionale di sottoporre la questione al voto popolare. Secondo le regole della stessa UE, questa costituzione di 287 pagine dev'essere approvata all'unanimità da tutti gli stati membri.
Il Trattato di Lisbona include provvedimenti per la creazione di un superstato europeo, compresa la creazione dell'Ufficio del Presidente Europeo e le forze armate pan-europee.
di Harry White
www.lozuavopontificio.net
Scuola, la Gelmini: "Stipendi più alti ai prof"
Intervista al ministro dell’Istruzione: "Tra scuole paritarie e statali non deve esserci conflittualità. In Italia un professore di liceo, dopo 15 anni in cattedra, guadagna 27.500 euro lordi annui. In Germania 20mila euro in più" …
Roma - Riportare la squadra della scuola italiana e tutti i suoi studenti in serie A. Un ampio capitolo della relazione del ministro dell’Istruzione pubblica dell’università e della ricerca, Mariastella Gelmini, alla Commissione Cultura della Camera è dedicato alla parità scolastica.
Ministro, in questa legislatura alle famiglie verrà concessa libertà di scelta?
«Il mio primo obbiettivo è quello di diminuire le distanze tra paritarie e le statali, tra le quali non deve esserci conflittualità. L’istruzione è pubblica. Sempre. Anche quando viene erogata dalle scuole private. Occorre andare incontro a questa esigenza di libertà delle famiglie e lavorare in modo che i genitori possano scegliere la scuola dove educare i propri figli».
Il ministro Maurizio Sacconi sul fronte delle politiche sociali sta pensando a forme di sostegno come il voucher. Potrebbe funzionare anche nella scuola?
«Il principio che va difeso è quello della libertà di scelta poi anche sul voucher o il buono scuola si può riflettere e ragionare. Possono essere strade praticabili anche per il sistema dell’istruzione. Occorre però fare molta attenzione perché le risorse sono limitate. Quel poco che abbiamo lo dobbiamo spendere al meglio».
Per la piena realizzazione della parità scolastica ha un modello in mente? Magari la Lombardia?
«Sicuramente quella regione rappresenta un’eccellenza da molti punti di vista ma non è un modello unico cui fare riferimento. E se è vero che il Nord in genere dà risultati migliori dobbiamo tener conto che quella della scuola è una realtà differenziata dove è possibile trovare eccellenze anche al Sud».
Nel suo discorso alla Camera ha citato il grido d’allarme di Papa Ratzinger che ha parlato di «emergenza educativa». L’impressione è che le scuole cattoliche abbiano aspettative molto alte su quanto potrà questo governo in termini di parità. Anche dal punto di vista finanziario.
«È il Paese intero che ha aspettative molto alte su quanto potremo fare per rispondere all’esigenza di un vero cambiamento. Occorre molto buon senso e soprattutto idee condivise su che cosa esattamente vogliamo chiedere alla scuola alla quale fino ad ora è stato chiesto troppo. Anche di colmare lacune sociali affidando agli insegnanti responsabilità ed azioni che invece competono alla famiglia che rappresenta, pur nelle sue difficoltà, la base fondamentale su cui sviluppare le attività didattiche, formative ed educative. Quello della scuola non è un mondo allo sfascio. Ci sono ottimi docenti preparati ed impegnati ma sottopagati».
Si chiede uno sforzo comune per adeguare gli stipendi degli insegnanti italiani alla media degli altri paesi europei.
«Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria, dopo 15 anni di insegnamento, è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. In Germania ne guadagnerebbe 20.000 di più, in Finlandia 16.000. La media Ocse è superiore ai 40mila euro annui».
Tre priorità: merito, autonomia, valutazione.
«Il merito è la più alta forma di democrazia, uno strumento per garantire pari opportunità. Autonomia e valutazione sono due facce della stessa medaglia. Parlare di autonomia significa innanzitutto valorizzare la governance degli istituti dotarla di poteri e risorse adeguate e puntare sulla loro valutazione. Non possiamo rendere piena l’autonomia scolastica senza un sistema di valutazione che certifichi in trasparenza con quali risultati venga speso il pubblico denaro».
Le tre I della precedente riforma varata dal ministro Letizia Moratti sono diventate 4.
«La patente delle tre I, Inglese, Internet, Impresa non può essere presa a discapito della quarta I, Italiano che, come scriveva Leonardo Sciascia “è il ragionare”, il territorio in cui si esercita la ragione. Importantissimo anche per favorire l’integrazione. Il nostro primo obbligo è insegnare ai bambini migranti la lingua italiana e la nostra Costituzione. A tutti»,
di Francesca Angeli
Il Giornale n. 138 del 2008-06-11
Semplificazione? Lo Stato si fidi dei suoi cittadini
Giorgio Vittadini11/06/2008
Autore(i): Giorgio Vittadini. Pubblicato il 11/06/2008 – IlSussidiario.net
E’ di scena questa settimana lo slogan “Semplificare per crescere: dal rapporto Attali alla via italiana”: è significativo perché in Italia la semplificazione è da tempo sull’agenda politica, con risultati finora deludenti. Un imprenditore italiano parte svantaggiato rispetto ai suoi concorrenti: i costi di start-up sono 17 volte quelli di un competitor inglese (che spende 207 euro) o francese (301 euro). Ogni impresa italiana brucia in burocrazia il 5% del fatturato e ventiquattro giornate/persona l’anno. Il risultato deludente nasce dal fatto che in Italia le deleghe statali di semplificazione si sono strutturate esse stesse come “lenzuoli” normativi che hanno prodotto decreti legislativi torrenziali e alluvioni di regolamenti. Per ogni legge abrogata rinasceva un regolamento, per ogni semplificazione una o più norme. Inoltre, un incompleto federalismo ha complicato le cose perché, nonostante alcune Regioni abbiano avviato semplificazioni importanti, il problema dell’intreccio delle competenze non è stato adeguatamente risolto.
Occorre un cambiamento di metodo: la “semplificazione” desiderata da tutti deve andare nella direzione della sussidiarietà superando l’idea che solo quello che è pubblico è per definizione “morale”. Il cittadino prima che un “controllato” da parte della Pubblica Amministrazione, deve essere considerato una “risorsa” per la collettività. In quest’ottica la verifica di requisiti previsti dalle leggi potrà essere fatta direttamente dal cittadino, risparmiando i tempi della burocrazia. Si passerebbe così dal controllo ex ante al controllo ex post, sfruttando adeguatamente le potenzialità di strumenti come le dichiarazioni di inizio di attività e le autocertificazioni. Sembra che il cambiamento annunciato dal Governo vada in questa direzione perché l’accento è sulla necessità di verificare l’operato della stessa Pubblica Amministrazione, sulla valorizzazione delle professionalità, del merito, della qualità dei servizi e della soddisfazione dei cittadini. Il superamento della diffidenza verso il privato è un primo tassello di quella “rivoluzione culturale” su cui innestare un nuovo sviluppo del Paese.