Nella rassegna stampa di oggi:
1) Dialogo tra le religioni. Il Vaticano prepara le linee guida, di Sandro Magister
2) Quante falsità su "pillola del giorno dopo" e medici obiettori
3) Più soldi agli insegnanti per far ripartire la scuola italiana. Mariastella Gelmini si presenta
4) IL CASO MILANO, IL RUOLO DEI MEDICI - SE QUEGLI OCCHI DENUNCIANO UN IDEALE TRADITO, di Davide Rondoni
Dialogo tra le religioni. Il Vaticano prepara le linee guida
Basta con le cerimonie. E più decisione nell'annunciare il Vangelo. Dall'Arabia Saudita arrivano nuovi segnali di apertura. Il filosofo algerino Mohammed Arkoun critica il papa, ma più ancora il vuoto culturale del mondo musulmano
di Sandro Magister
ROMA, 11 giugno 2008 – La riunione plenaria che il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha tenuto in Vaticano la scorsa settimana è stata la prima di questo pontificato e si è svolta con un presidente nuovo – il cardinale Jean-Louis Tauran – e con esperti anch'essi in larga parte nuovi.
Nuovo è stato anche l'obiettivo della plenaria: elaborare delle linee guida per orientare vescovi, sacerdoti e fedeli nel rapportarsi con le altre religioni. Un obiettivo, ha detto il cardinale Tauran, deciso "dopo molti anni di esitazione sulla sua opportunità". Il documento è ora in fase di stesura e sarà pubblicato tra alcuni mesi.
Sabato 7 giugno, al termine dei tre giorni dell'incontro, Benedetto XVI ha ricevuto i partecipanti nella Sala del Concistoro. Ha incoraggiato la pubblicazione delle linee guida poiché, ha detto, "la grande proliferazione di incontri interreligiosi nel mondo di oggi richiede discernimento". Parola, quest'ultima, usata nel linguaggio ecclesiastico per sollecitare analisi critica e scelte conseguenti.
In effetti, il rapporto con uomini di altre religioni è stato ed è praticato in modi diversi e talora contraddittori, dentro la Chiesa cattolica.
Nei paesi musulmani, ad esempio, la prassi più diffusa da parte dei cattolici è quella della silenziosa testimonianza di vita cristiana. Vi sono delle ragioni di prudenza che giustificano tale prassi. Ma contro chi la giustifica sempre e dovunque, la congregazione per la dottrina della fede ha pubblicato lo scorso 3 dicembre una nota dottrinale. Per contrapporvi questa tesi già enunciata da Paolo VI nella "Evangelii Nuntiandi" del 1975:
"Anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è [...] esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù".
Le linee guida che il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso si appresta a pubblicare si muoveranno in questa direzione. Nell'introdurre la plenaria, il cardinale Tauran ha detto infatti:
"Sappiamo che lo Spirito Santo opera in ogni uomo e ogni donna indipendentemente dal suo credo religioso o spirituale. Ma, d'altra parte, dobbiamo proclamare che Cristo è la Via, la Verità e la Vita. Gesù ci ha rivelato la verità su Dio e la verità sull'uomo, e questa è per noi la Buona Novella. Non possiamo mettere questa verità sotto il moggio".
Benedetto XVI, parlando a 200 rappresentanti di altre religioni durante il suo recente viaggio negli Stati Uniti, si era espresso in forma non meno chiara:
"È Gesù che noi portiamo nel forum del dialogo interreligioso. È l'ardente desiderio di seguire le sue orme che spinge i cristiani ad aprire le loro menti e i loro cuori al dialogo. [...] Nel nostro tentativo di scoprire i punti di comunanza, forse abbiamo evitato la responsabilità di discutere le nostre differenze con calma e chiarezza. [...] Il più importante obiettivo del dialogo interreligioso richiede una chiara esposizione delle nostre rispettive dottrine religiose".
Il che non toglie che vi sia un terreno comune d'azione tra uomini di diverso credo, su cui le linee guida insisteranno. Ha detto ancora Tauran introducendo la plenaria:
"I Dieci Comandamenti sono una sorta di grammatica universale che tutti i credenti possono utilizzare nel loro rapporto con Dio e con il prossimo. [...] Dio, creando l'uomo, l'ha ordinato con sapienza e con amore al suo fine, mediante la legge inscritta nel suo cuore (Romani 2,15), la legge naturale. Questa altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce e questa legge Dio l'ha donata nella creazione".
* * *
Negli stessi giorni in cui in Vaticano il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso teneva la sua plenaria, i rapporti tra la Chiesa cattolica e l'islam hanno registrato delle novità.
In Arabia Saudita, nella città santa della Mecca, re Abdallah bin Abdulaziz al-Saud ha inaugurato il 4 giugno una conferenza di tre giorni tra 600 esponenti del vasto mondo musulmano allo scopo di "dire al mondo che noi siamo la voce della giustizia e dei valori morali umani, della coesistenza e del dialogo".
A questo fine, Abdallah ha confermato la sua volontà di "organizzare incontri con i fratelli appartenenti ad altre fedi", in particolare l'ebraica e la cristiana. L'islamismo, secondo il sovrano saudita, "ha avviato e definito i principi e la strada per un dialogo con i fedeli delle altre religioni" e questa strada "passa attraverso i valori comuni alle tre religioni monoteiste". Tali valori "provano ripugnanza per il tradimento, rigettano il crimine, combattono il terrorismo" praticato da "estremisti presenti tra i nostri popoli", che "hanno unito le loro forze in flagrante aggressività per distorcere la giustizia e la tolleranza dell'islam".
Dette dal re dell'Arabia Saudita – nazione di rigido islamismo wahhabita e terra d'origine di Osama bin Laden e della maggior parte degli autori degli attacchi dell'11 settembre 2001 – sono parole d'indubbio peso. In Vaticano, "L'Osservatore Romano" le ha riportate con evidenza.
Inoltre, re Abdallah ha detto di aver ottenuto "semaforo verde" al suo progetto di dialogo interreligioso dagli ulema sauditi e di voler consultare al riguardo anche i musulmani degli altri paesi. Nella conferenza della Mecca ha riunito nella stessa sala lo sceicco della moschea di al-Azhar al Cairo, Sayyid Tantawi, alta autorità sunnita, e l'ayatollah sciita Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, ex presidente dell'Iran e membro dell'Assemblea degli esperti, sede della suprema autorità del regime.
In Israele, i propositi di re Abdallah sono stati accolti positivamente dal gran rabbino ashkenazita Yona Metzger e da quello sefardita Shlomo Amar.
Nel comunicato finale della conferenza, denominato "L'appello della Mecca", si annuncia la creazione di un Centro islamico per le relazioni fra le civiltà. Esso organizzerà momenti di dialogo con rappresentanti di altre religioni, culture e filosofie, e promuoverà la pubblicazione di libri sull'argomento.
* * *
Un'altra novità di questi giorni è l'imminente riunione che gli esperti della rivista internazionale "Oasis" – promossa dal patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, e specializzata nel dialogo tra cristiani e musulmani – terranno in Giordania, ad Amman, dal 23 al 24 giugno. sul tema delle relazioni tra verità e libertà.
Amman è la città in cui ha sede l'al-Bayt Institute for Islamic Thought presieduto dal principe di Giordania Ghazi bin Muhammad bin Talal, cioè l'istituto che ha promosso la celebre lettera dei 138 musulmani intitolata "Una parola comune tra noi e voi" e indirizzata al papa e agli altri capi delle confessioni cristiane.
Nel prossimo mese di novembre è in agenda a Roma un incontro tra autorità ed esperti della Chiesa cattolica e una delegazione dei 138 musulmani.
Intanto, uno dei 138, l'algerino Mustafà Cherif, già ministro dell'educazione e ambasciatore, ha in corso di stampa sul prossimo numero del mensile "Mondo e Missione" del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano un commento su due recenti fatti nel suo paese.
Il primo di questi fatti, avvenuto ai primi di giugno, è la condanna di quattro algerini per essersi convertiti dall'islam al cristianesimo. I quattro sono protestanti, ma un'analoga condanna aveva precedentemente colpito un sacerdote cattolico, colpevole di aver guidato una preghiera, a Natale, con un gruppo di immigrati del Camerun.
Cherif definisce "incomprensibili e deplorevoli" i modi con cui in Algeria si affronta la questione del proselitismo, poiché "la nostra visione del diritto si fonda sul principio coranico: Nessuna imposizione in fatto di religione".
E aggiunge:
"Inoltre, i nostri amici cattolici in Algeria, da cinquant’anni a questa parte, non hanno mai cercato di convertire chicchessia, anche se hanno il diritto di testimoniare la loro fede. Questo, nonostante l’attuale papa ricordi spesso il carattere centrale per la Chiesa cattolica della sua missione evangelizzatrice".
Il secondo fatto commentato da Cherif si collega a questa sua precedente osservazione, ed è l'uscita di scena per ragioni di età dell'arcivescovo di Algeri, Henri Teissier, ufficializzata dal Vaticano lo scorso 24 maggio.
Cherif traccia un ritratto dell'anziano arcivescovo come "uno di quei preti misurati che cerca il giusto mezzo, consapevole delle riforme che andrebbero realizzate anche in seno alla Chiesa e non esitando talvolta a esprimere la sua differenza con il Vaticano, specialmente quando si tratta dei rapporti con i musulmani".
A riprova del "giusto mezzo" cercato da Teissier, Cherif scrive:
"Il Vaticano ha pubblicato lo scorso dicembre una nota dottrinale che riafferma la missione di evangelizzare i non cattolici. [...] Talvolta, tuttavia, partiti per evangelizzare il mondo, molti preti e pastori si sono messi alla scuola dei popoli che hanno incontrato e della loro cultura, senza cercare necessariamente di sviarli dalla loro religione originale. Mons. Henri Teissier è uno di quei grandi uomini di fede che rispettano l’altro".
Cherif aggiunge d'aver incontrato per la prima volta Teissier a Cordoba nel 1974, in occasione di un colloquio internazionale islamo-cristiano:
"In quel frangente è importante ricordare che, su intervento personale di mons. Teissier presso il vescovo di Cordoba, il nostro gruppo di partecipanti musulmani era stato autorizzato a tenere la preghiera del venerdì nella celebre moschea di Cordoba".
La "moschea" qui citata è propriamente, da secoli, la chiesa cattedrale della città.
* * *
Terza novità interessante è la critica rivolta a Benedetto XVI, ma più ancora al mondo islamico nel suo insieme, da parte di un intellettuale musulmano di spicco, Mohammed Arkoun.
Arkoun, 80 anni, nato in Algeria, ha insegnato alla Sorbona, a Princeton e in altre celebri università d'Europa e d'America. Oggi è direttore di ricerca all'Istituto di Studi Ismailiti di Londra, fondato dall'Aga Khan.
Intervistato da John Allen, vaticanista del "National Catholic Reporter", durante un convegno a Lugano, in Svizzera, Arkoun prende spunto dalla lezione di Ratisbona:
"Papa Benedetto ha sostenuto che un'intima relazione tra la ragione e la fede non esiste nel pensiero islamico e nelle sue espressioni. Questa affermazione, storicamente parlando, non è vera. Non è sicuramente vera se consideriamo il periodo che va dall'VIII al XIII secolo. Ma dopo la morte del filosofo Averroè nel 1198 la filosofia è effettivamente scomparsa dal pensiero islamico. Da qui in avanti, quindi, il papa è nel giusto. [...] Il guaio è che oggi, quando si parla con dei musulmani, essi non hanno la minima idea di questa loro storia".
E i 138 della lettera non fanno eccezione, prosegue Arkoun: "Non trovo tra loro nessuno storico del pensiero".
Il papa sbaglia, quindi, a prendere loro come interlocutori:
"Il papa dovrebbe piuttosto creare un vero spazio di discussione, invece di tutti questi cosiddetti dialoghi interreligiosi che si fanno a partire dal Concilio Vaticano II. Io ho preso parte a un buon numero di essi, e posso dire che sono del tutto inutili. Solo chiacchiere. In essi non vi è apporto intellettuale, non vi è rispetto per le alte competenze. Sono stati fatti studi importanti sulla questione della fede e della ragione, ma tutto questo è messo da parte e ignorato. Soltanto ci si complimenta a vicenda, dicendo: Io rispetto la tua fede, e tu rispetti la mia. Un puro nonsenso".
E alla domanda se le giovani generazioni musulmane hanno una reale sete di un nuovo modo di esprimere la fede, diverso da quello degli "ulema della televisione", Arkoun risponde:
"Certamente. Quando in Egitto tengo una conferenza, l'ascolto è enorme. L'interesse della gente è fortissimo. Anche le persone più anziane sono felici, sentono che possono finalmente respirare. La gente mi ha applaudito quando ho detto che dopo la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona i musulmani non avrebbero dovuto scendere in strada a dimostrare contro di lui, ma avrebbero dovuto correre nelle biblioteche. Ad apprendere ciò è accaduto al pensiero islamico dopo il XIII secolo".
Quante falsità su "pillola del giorno dopo" e medici obiettori
Assuntina Morresi11/06/2008
Autore(i): Assuntina Morresi. Pubblicato il 11/06/2008 – IlSussidiario.net
Al Convegno della SIGO (Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia) a Roma di lunedì scorso l’intervento di Eugenia Roccella, Sottosegretario al Welfare con delega ai temi etici, ha offerto spunti interessanti e originali.
Oltre a ribadire le ben note posizioni sulla legge 194 – che non sarà modificata ma si cercherà di applicarla integralmente ed omogeneamente in Italia, anche formulando linee guida nazionali – Eugenia Roccella ha rovesciato l’ipotesi espressa dalla stragrande maggioranza dei relatori del convegno, e cioè che la prima prevenzione dell’aborto è la contraccezione. Ricordando la situazione di paesi europei come Francia, Gran Bretagna e Svezia, ad esempio, la Roccella ha spiegato che politiche di diffusione capillare di contraccezione e della “pillola del giorno dopo” non hanno portato a una diminuzione degli aborti, ma spesso a un loro aumento. Mentre in Italia si verifica l’anomalìa di una bassa diffusione di contraccezione, insieme a una bassa natalità e un’abortività fra le più basse in Europa. Segno che le nascite non vengono controllate dall’aborto, né dalla contraccezione, e che non è la contraccezione a far diminuire gli aborti, quanto piuttosto una certa stabilità e responsabilità nei rapporti interpersonali, dovuta alla sostanziale tenuta – nonostante tutto- della rete dei rapporti familiari nel nostro paese.
Interessante la proposta sugli obiettori di coscienza, spesso presentati nei media come un ostacolo all’applicazione della 194: Eugenia Roccella ha ricordato che non c’è correlazione fra obiezione di coscienza e “buon” funzionamento della legge. Regioni come Puglia, Emilia Romagna e Marche, ad esempio, hanno un elevato numero di aborti ma anche di obiettori. Sarebbe invece opportuno coinvolgere proprio gli obiettori nei percorsi preventivi e post-abortivi: rispettando naturalmente il diritto all’obiezione di coscienza, si potrebbero individuare spazi nella formazione, nei momenti educativi e anche nei periodi post-abortivi, in cui questi medici potrebbero intervenire nel pieno rispetto della legge, senza creare ostacoli alle donne che comunque decidessero di abortire, ma cercando di porre le condizioni perché non si arrivi a tale richiesta, e non vi si ricorra ripetutamente, come purtroppo avviene soprattutto fra le immigrate.
Un impegno in questo senso sarebbe anche un modo per dimostrare una volta per tutte che veramente chi obietta in Italia lo fa per coscienza, e non per convenienza.
10 giugno 2008
Il ministro dell'Istruzione ha parlato alla commissione Cultura della Camera
Più soldi agli insegnanti per far ripartire la scuola italiana. Mariastella Gelmini si presenta
Meritocrazia, sussidiarietà, parità, e "una grande alleanza che restituisca al paese la parola speranza"
Dal Foglio.it
Un discorso deciso, ottimista in cui è stata chiesta un’assunzione di responsabilità da parte di tutti quello che Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha fatto alla commissione Cultura della Camera dei Deputati presentando il suo programma per la scuola. La proposta che fa notizia è quella dell’aumento degli stipendi per gli insegnanti: “E’ l’ora del buon senso, del pragmatismo e delle soluzioni condivise – ha detto il ministro introducendo il tema – Questo principio vale anche sul fronte insegnanti. Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di insegnamento è pari a 27.500 euro lordi annui. Fosse in Germania, ne guadagnerebbe ventimila in più. In Finlandia sedicimila in più. La media Ocse è superiore a 40.000 euro l’anno”. Poi l’affondo: “Questa legislatura deve vedere uno sforzo unanime nel far sì che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media Ocse. Ma per far questo dobbiamo aggredire le cause delle iniquità del sistema, mediocre nell’erogazione dei compensi, mediocre nei risultati, mediocre nelle speranze”. Non ha dubbi il ministro Gemini: “Una scuola ostaggio di rivendicazioni, più finalizzata al controllo ideologico che non al recupero dei compiti del sistema, ha prodotto un esito che credo né i sindacati, né i partiti, né la società italiana tutta possano ritenere sensato: stipendi da fame, tramonto della cultura del merito, tramonto del senso della scuola”. E proprio sulla meritocrazia specifica, citando Roger Abravanel: "Il merito non è una fonte di disuguaglianza, ma al contrario uno strumento per garantire pari opportunità, e dunque la più alta forma di democrazia".
All’inizio cita “l’emergenza educativa” di cui il Papa non ha esitato a parlare e della sua “passione per l’educazione” che le fa desiderare “che questa Italia cresca”. Il ministro ha poi ricordato, prima di citare dati più o meno noti sulla situazione a tratti sconsolante della scuola italiana, come “l’emergenza educativa non si affronta semplicemente con nuovi contenuti e nuove metodologie, pur utili. Né con il richiamo a dei “valori” astrattamente affermati. I valori per essere condivisi e vissuti devono essere convincenti per i ragazzi, ed essi lo sono se testimoniati da adulti – siano essi genitori, insegnanti ma anche personale non docente – che propongano un senso positivo della vita”. La preoccupazione del ministro nel suo discorso è stata spesso rivolta a come solo un lavoro condiviso tra maggioranza e opposizione possa aiutare la scuola italiana a uscire dalla sua “malattia”: più volte ha ribadito l’intenzione di non volere attuare modifiche legislative e la volontà di lavorare nel solco di quanto iniziato dal ministro Fioroni (senza dimenticare la necessitè di attuare la legge Moratti); ringraziando il lavoro di Mariapia Garavaglia, ministro ombra dell’Istruzione, ha parlato di “convergenza” con il programma del Partito Democratico nella parte in cui esso chiede “una vera e propria carriera professionale degli insegnanti”. Gli insegnanti sono il punto da cui per il ministro bisogna ripartire a costruire: motivandoli e pagandoli meglio innanzitutto.
E’ un “cambiamento epocale di mentalità” quello che serve a far ripartire la scuola, non rivoluzioni o nuove leggi. Cita Gramsci e Sciascia nel suo discorso, il ministro del Pdl, parla di sussidiarietà ("Il nuovo ruolo delle Regioni, così come il necessario rafforzamento dell’autonomia scolastica, devono costituire una sorta di federalismo all’insegna della sussidiarietà che è il quadro istituzionale entro cui affrontare i problemi"), parità scolastica (“Invito tutti a non pensare agli istituti, ma agli studenti e alle loro famiglie, e vi chiedo: c’è qualcuna di queste famiglie che merita meno di altre sostegno alla sua determinazione ad educare liberamente i propri figli in un modo piuttosto che in un altro?”) e di come “l’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per pretendere, ope legis, che ogni adolescente percorra la stessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e la dispersione. Diamo ad ogni persona la sua scuola – ha concluso – e ogni persona troverà nella sua scuola le ragioni per frequentarla con profitto”. Dopo avere sottolineato come a lle tre "i" di internet, inglese e impresa si debba aggiungerne uyna quarta ("la I di Italiano"), terminando il discorso il ministro ha auspicato “una grande alleanza per la scuola che restituisca al paese la parola speranza”.
di Piero Vietti
IL CASO MILANO, IL RUOLO DEI MEDICI - SE QUEGLI OCCHI DENUNCIANO UN IDEALE TRADITO
Avvenire, 11 giugno 2008
DAVIDE RONDONI
E adesso che emerge con sfrontata micidiale chiarezza che malattia di avidità può accecare dei medici… E adesso che emerge, in una regione che sta provando a darsi una sanità migliore, quale cupidigia può accecare chi dovrebbe pensare solo a curare bene… E adesso che il freddo dio denaro ha introdotto la sua mano scheletrica nelle stanze dove il calore della vita lotta per non perdersi; e adesso da dove ripartire? Dalle infinite polemiche sui modelli sanitari da adottare? Dalla sterile e ormai superata contrapposizione tra sanità gestita dallo Stato e l’intervento dei privati? Per poi concludere, ovviamente, che occorre uno Stato flessibile e un privato-sociale animato da ideali veri? È ovvio, insomma, che il delicato campo della Sanità non può essere terreno solo di uno Stato lento e burocratico, causa di tanti esempi di malasanità, o di un privato che ama i soldi più di tutto, tanto da violare le vite altrui. Ma da dove ripartire dunque, dalle polemiche?
No, occorre guardare i medici negli occhi. Guardare quegli occhi che migliaia di volte al giorno, in migliaia di città d’Italia vengono guardati in corsie, cliniche, ambulatori da gente che vorrebbe leggervi un poco di speranza, una traccia di sollievo. Occorre fissare gli occhi dei nostri dottori. Dietro le lenti, se ne hanno. Sotto fronti segnate da decenni di carriera, o aperte, lanciate a una vita fantasticata. E guardare se negli occhi hanno qualcosa che brucia come una passione o se sono opachi, spenti e sottili come quelli di tutti i calcolatori di professione. Se non hanno quella fiamma negli occhi, sono medici da temere. Intendo la fiamma, o chiamatela luce o come vi pare, che anima chi sa di avere un grande compito.
I grandi compiti, come insegnano splendidi romanzi come 'Corpi e anime' o anche tanti film sui dottori, non si eseguono solo in grandi epiche occasioni. Ma di più nella penombra delle decisioni invisibili, dei sacrifici non ripagati, delle scelte senza ricompensa, e nella banalità quotidiana. E’ in quei frangenti normali che la fiamma si può spegnere, lo sguardo farsi torvo, inaridito. Dalla fine dell’Ottocento la figura del medico è stata sempre al centro di storie che ne ritraevano l’aspetto 'eroico' e i grandi rischi. Ancora oggi molte delle fortunate fiction televisive ambientate in ospedali recano traccia, magari con linguaggio ironico, di tale 'eroismo'. E proprio in un momento in cui tante sono le sfide sulla vita umana e ai medici si guarda per essere guidati in nuovi territori o posti al riparo da violenze travestite. Forse in troppi hanno pensato che si tratti di cose lontane dalla realtà, finzioni, appunto.
Ma se finti sono gli ospedali, le infermiere, i nomi che si mostrano in quei romanzi o film, reale, realissima è la necessità che lo sguardo del medico sia abitato da un fuoco ideale. Se no, l’alternativa tra scadimento burocratico e impiegatizio o l’oscura rapacità sarà l’unica cosa che ci rimane. Allora occorre ripartire guardando i medici negli occhi: avete quel fuoco? da dove vi viene? come lo alimentate? Non a caso la Chiesa ha tra i suoi santi anche alcuni medici, e tra questi il lombardo Riccardo Pampuri. Cioè uno da guardare, da cui imparare il fuoco mentre si apprendono nuove tecniche. Perché tutti si può diventare rapaci, o uomini spenti, se non si imitano esempi di uomini accesi. Oggi nell’Italia che sempre è ferita, chi fa il medico ha un compito doppio, un sacrificio doppio da compiere. Se voleva una vita tranquilla, dove contano gli agi e gli onori, ha sbagliato mestiere. E le conseguenze le paghiamo tutti.
1) Dialogo tra le religioni. Il Vaticano prepara le linee guida, di Sandro Magister
2) Quante falsità su "pillola del giorno dopo" e medici obiettori
3) Più soldi agli insegnanti per far ripartire la scuola italiana. Mariastella Gelmini si presenta
4) IL CASO MILANO, IL RUOLO DEI MEDICI - SE QUEGLI OCCHI DENUNCIANO UN IDEALE TRADITO, di Davide Rondoni
Dialogo tra le religioni. Il Vaticano prepara le linee guida
Basta con le cerimonie. E più decisione nell'annunciare il Vangelo. Dall'Arabia Saudita arrivano nuovi segnali di apertura. Il filosofo algerino Mohammed Arkoun critica il papa, ma più ancora il vuoto culturale del mondo musulmano
di Sandro Magister
ROMA, 11 giugno 2008 – La riunione plenaria che il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha tenuto in Vaticano la scorsa settimana è stata la prima di questo pontificato e si è svolta con un presidente nuovo – il cardinale Jean-Louis Tauran – e con esperti anch'essi in larga parte nuovi.
Nuovo è stato anche l'obiettivo della plenaria: elaborare delle linee guida per orientare vescovi, sacerdoti e fedeli nel rapportarsi con le altre religioni. Un obiettivo, ha detto il cardinale Tauran, deciso "dopo molti anni di esitazione sulla sua opportunità". Il documento è ora in fase di stesura e sarà pubblicato tra alcuni mesi.
Sabato 7 giugno, al termine dei tre giorni dell'incontro, Benedetto XVI ha ricevuto i partecipanti nella Sala del Concistoro. Ha incoraggiato la pubblicazione delle linee guida poiché, ha detto, "la grande proliferazione di incontri interreligiosi nel mondo di oggi richiede discernimento". Parola, quest'ultima, usata nel linguaggio ecclesiastico per sollecitare analisi critica e scelte conseguenti.
In effetti, il rapporto con uomini di altre religioni è stato ed è praticato in modi diversi e talora contraddittori, dentro la Chiesa cattolica.
Nei paesi musulmani, ad esempio, la prassi più diffusa da parte dei cattolici è quella della silenziosa testimonianza di vita cristiana. Vi sono delle ragioni di prudenza che giustificano tale prassi. Ma contro chi la giustifica sempre e dovunque, la congregazione per la dottrina della fede ha pubblicato lo scorso 3 dicembre una nota dottrinale. Per contrapporvi questa tesi già enunciata da Paolo VI nella "Evangelii Nuntiandi" del 1975:
"Anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è [...] esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù".
Le linee guida che il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso si appresta a pubblicare si muoveranno in questa direzione. Nell'introdurre la plenaria, il cardinale Tauran ha detto infatti:
"Sappiamo che lo Spirito Santo opera in ogni uomo e ogni donna indipendentemente dal suo credo religioso o spirituale. Ma, d'altra parte, dobbiamo proclamare che Cristo è la Via, la Verità e la Vita. Gesù ci ha rivelato la verità su Dio e la verità sull'uomo, e questa è per noi la Buona Novella. Non possiamo mettere questa verità sotto il moggio".
Benedetto XVI, parlando a 200 rappresentanti di altre religioni durante il suo recente viaggio negli Stati Uniti, si era espresso in forma non meno chiara:
"È Gesù che noi portiamo nel forum del dialogo interreligioso. È l'ardente desiderio di seguire le sue orme che spinge i cristiani ad aprire le loro menti e i loro cuori al dialogo. [...] Nel nostro tentativo di scoprire i punti di comunanza, forse abbiamo evitato la responsabilità di discutere le nostre differenze con calma e chiarezza. [...] Il più importante obiettivo del dialogo interreligioso richiede una chiara esposizione delle nostre rispettive dottrine religiose".
Il che non toglie che vi sia un terreno comune d'azione tra uomini di diverso credo, su cui le linee guida insisteranno. Ha detto ancora Tauran introducendo la plenaria:
"I Dieci Comandamenti sono una sorta di grammatica universale che tutti i credenti possono utilizzare nel loro rapporto con Dio e con il prossimo. [...] Dio, creando l'uomo, l'ha ordinato con sapienza e con amore al suo fine, mediante la legge inscritta nel suo cuore (Romani 2,15), la legge naturale. Questa altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce e questa legge Dio l'ha donata nella creazione".
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Negli stessi giorni in cui in Vaticano il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso teneva la sua plenaria, i rapporti tra la Chiesa cattolica e l'islam hanno registrato delle novità.
In Arabia Saudita, nella città santa della Mecca, re Abdallah bin Abdulaziz al-Saud ha inaugurato il 4 giugno una conferenza di tre giorni tra 600 esponenti del vasto mondo musulmano allo scopo di "dire al mondo che noi siamo la voce della giustizia e dei valori morali umani, della coesistenza e del dialogo".
A questo fine, Abdallah ha confermato la sua volontà di "organizzare incontri con i fratelli appartenenti ad altre fedi", in particolare l'ebraica e la cristiana. L'islamismo, secondo il sovrano saudita, "ha avviato e definito i principi e la strada per un dialogo con i fedeli delle altre religioni" e questa strada "passa attraverso i valori comuni alle tre religioni monoteiste". Tali valori "provano ripugnanza per il tradimento, rigettano il crimine, combattono il terrorismo" praticato da "estremisti presenti tra i nostri popoli", che "hanno unito le loro forze in flagrante aggressività per distorcere la giustizia e la tolleranza dell'islam".
Dette dal re dell'Arabia Saudita – nazione di rigido islamismo wahhabita e terra d'origine di Osama bin Laden e della maggior parte degli autori degli attacchi dell'11 settembre 2001 – sono parole d'indubbio peso. In Vaticano, "L'Osservatore Romano" le ha riportate con evidenza.
Inoltre, re Abdallah ha detto di aver ottenuto "semaforo verde" al suo progetto di dialogo interreligioso dagli ulema sauditi e di voler consultare al riguardo anche i musulmani degli altri paesi. Nella conferenza della Mecca ha riunito nella stessa sala lo sceicco della moschea di al-Azhar al Cairo, Sayyid Tantawi, alta autorità sunnita, e l'ayatollah sciita Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, ex presidente dell'Iran e membro dell'Assemblea degli esperti, sede della suprema autorità del regime.
In Israele, i propositi di re Abdallah sono stati accolti positivamente dal gran rabbino ashkenazita Yona Metzger e da quello sefardita Shlomo Amar.
Nel comunicato finale della conferenza, denominato "L'appello della Mecca", si annuncia la creazione di un Centro islamico per le relazioni fra le civiltà. Esso organizzerà momenti di dialogo con rappresentanti di altre religioni, culture e filosofie, e promuoverà la pubblicazione di libri sull'argomento.
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Un'altra novità di questi giorni è l'imminente riunione che gli esperti della rivista internazionale "Oasis" – promossa dal patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, e specializzata nel dialogo tra cristiani e musulmani – terranno in Giordania, ad Amman, dal 23 al 24 giugno. sul tema delle relazioni tra verità e libertà.
Amman è la città in cui ha sede l'al-Bayt Institute for Islamic Thought presieduto dal principe di Giordania Ghazi bin Muhammad bin Talal, cioè l'istituto che ha promosso la celebre lettera dei 138 musulmani intitolata "Una parola comune tra noi e voi" e indirizzata al papa e agli altri capi delle confessioni cristiane.
Nel prossimo mese di novembre è in agenda a Roma un incontro tra autorità ed esperti della Chiesa cattolica e una delegazione dei 138 musulmani.
Intanto, uno dei 138, l'algerino Mustafà Cherif, già ministro dell'educazione e ambasciatore, ha in corso di stampa sul prossimo numero del mensile "Mondo e Missione" del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano un commento su due recenti fatti nel suo paese.
Il primo di questi fatti, avvenuto ai primi di giugno, è la condanna di quattro algerini per essersi convertiti dall'islam al cristianesimo. I quattro sono protestanti, ma un'analoga condanna aveva precedentemente colpito un sacerdote cattolico, colpevole di aver guidato una preghiera, a Natale, con un gruppo di immigrati del Camerun.
Cherif definisce "incomprensibili e deplorevoli" i modi con cui in Algeria si affronta la questione del proselitismo, poiché "la nostra visione del diritto si fonda sul principio coranico: Nessuna imposizione in fatto di religione".
E aggiunge:
"Inoltre, i nostri amici cattolici in Algeria, da cinquant’anni a questa parte, non hanno mai cercato di convertire chicchessia, anche se hanno il diritto di testimoniare la loro fede. Questo, nonostante l’attuale papa ricordi spesso il carattere centrale per la Chiesa cattolica della sua missione evangelizzatrice".
Il secondo fatto commentato da Cherif si collega a questa sua precedente osservazione, ed è l'uscita di scena per ragioni di età dell'arcivescovo di Algeri, Henri Teissier, ufficializzata dal Vaticano lo scorso 24 maggio.
Cherif traccia un ritratto dell'anziano arcivescovo come "uno di quei preti misurati che cerca il giusto mezzo, consapevole delle riforme che andrebbero realizzate anche in seno alla Chiesa e non esitando talvolta a esprimere la sua differenza con il Vaticano, specialmente quando si tratta dei rapporti con i musulmani".
A riprova del "giusto mezzo" cercato da Teissier, Cherif scrive:
"Il Vaticano ha pubblicato lo scorso dicembre una nota dottrinale che riafferma la missione di evangelizzare i non cattolici. [...] Talvolta, tuttavia, partiti per evangelizzare il mondo, molti preti e pastori si sono messi alla scuola dei popoli che hanno incontrato e della loro cultura, senza cercare necessariamente di sviarli dalla loro religione originale. Mons. Henri Teissier è uno di quei grandi uomini di fede che rispettano l’altro".
Cherif aggiunge d'aver incontrato per la prima volta Teissier a Cordoba nel 1974, in occasione di un colloquio internazionale islamo-cristiano:
"In quel frangente è importante ricordare che, su intervento personale di mons. Teissier presso il vescovo di Cordoba, il nostro gruppo di partecipanti musulmani era stato autorizzato a tenere la preghiera del venerdì nella celebre moschea di Cordoba".
La "moschea" qui citata è propriamente, da secoli, la chiesa cattedrale della città.
* * *
Terza novità interessante è la critica rivolta a Benedetto XVI, ma più ancora al mondo islamico nel suo insieme, da parte di un intellettuale musulmano di spicco, Mohammed Arkoun.
Arkoun, 80 anni, nato in Algeria, ha insegnato alla Sorbona, a Princeton e in altre celebri università d'Europa e d'America. Oggi è direttore di ricerca all'Istituto di Studi Ismailiti di Londra, fondato dall'Aga Khan.
Intervistato da John Allen, vaticanista del "National Catholic Reporter", durante un convegno a Lugano, in Svizzera, Arkoun prende spunto dalla lezione di Ratisbona:
"Papa Benedetto ha sostenuto che un'intima relazione tra la ragione e la fede non esiste nel pensiero islamico e nelle sue espressioni. Questa affermazione, storicamente parlando, non è vera. Non è sicuramente vera se consideriamo il periodo che va dall'VIII al XIII secolo. Ma dopo la morte del filosofo Averroè nel 1198 la filosofia è effettivamente scomparsa dal pensiero islamico. Da qui in avanti, quindi, il papa è nel giusto. [...] Il guaio è che oggi, quando si parla con dei musulmani, essi non hanno la minima idea di questa loro storia".
E i 138 della lettera non fanno eccezione, prosegue Arkoun: "Non trovo tra loro nessuno storico del pensiero".
Il papa sbaglia, quindi, a prendere loro come interlocutori:
"Il papa dovrebbe piuttosto creare un vero spazio di discussione, invece di tutti questi cosiddetti dialoghi interreligiosi che si fanno a partire dal Concilio Vaticano II. Io ho preso parte a un buon numero di essi, e posso dire che sono del tutto inutili. Solo chiacchiere. In essi non vi è apporto intellettuale, non vi è rispetto per le alte competenze. Sono stati fatti studi importanti sulla questione della fede e della ragione, ma tutto questo è messo da parte e ignorato. Soltanto ci si complimenta a vicenda, dicendo: Io rispetto la tua fede, e tu rispetti la mia. Un puro nonsenso".
E alla domanda se le giovani generazioni musulmane hanno una reale sete di un nuovo modo di esprimere la fede, diverso da quello degli "ulema della televisione", Arkoun risponde:
"Certamente. Quando in Egitto tengo una conferenza, l'ascolto è enorme. L'interesse della gente è fortissimo. Anche le persone più anziane sono felici, sentono che possono finalmente respirare. La gente mi ha applaudito quando ho detto che dopo la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona i musulmani non avrebbero dovuto scendere in strada a dimostrare contro di lui, ma avrebbero dovuto correre nelle biblioteche. Ad apprendere ciò è accaduto al pensiero islamico dopo il XIII secolo".
Quante falsità su "pillola del giorno dopo" e medici obiettori
Assuntina Morresi11/06/2008
Autore(i): Assuntina Morresi. Pubblicato il 11/06/2008 – IlSussidiario.net
Al Convegno della SIGO (Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia) a Roma di lunedì scorso l’intervento di Eugenia Roccella, Sottosegretario al Welfare con delega ai temi etici, ha offerto spunti interessanti e originali.
Oltre a ribadire le ben note posizioni sulla legge 194 – che non sarà modificata ma si cercherà di applicarla integralmente ed omogeneamente in Italia, anche formulando linee guida nazionali – Eugenia Roccella ha rovesciato l’ipotesi espressa dalla stragrande maggioranza dei relatori del convegno, e cioè che la prima prevenzione dell’aborto è la contraccezione. Ricordando la situazione di paesi europei come Francia, Gran Bretagna e Svezia, ad esempio, la Roccella ha spiegato che politiche di diffusione capillare di contraccezione e della “pillola del giorno dopo” non hanno portato a una diminuzione degli aborti, ma spesso a un loro aumento. Mentre in Italia si verifica l’anomalìa di una bassa diffusione di contraccezione, insieme a una bassa natalità e un’abortività fra le più basse in Europa. Segno che le nascite non vengono controllate dall’aborto, né dalla contraccezione, e che non è la contraccezione a far diminuire gli aborti, quanto piuttosto una certa stabilità e responsabilità nei rapporti interpersonali, dovuta alla sostanziale tenuta – nonostante tutto- della rete dei rapporti familiari nel nostro paese.
Interessante la proposta sugli obiettori di coscienza, spesso presentati nei media come un ostacolo all’applicazione della 194: Eugenia Roccella ha ricordato che non c’è correlazione fra obiezione di coscienza e “buon” funzionamento della legge. Regioni come Puglia, Emilia Romagna e Marche, ad esempio, hanno un elevato numero di aborti ma anche di obiettori. Sarebbe invece opportuno coinvolgere proprio gli obiettori nei percorsi preventivi e post-abortivi: rispettando naturalmente il diritto all’obiezione di coscienza, si potrebbero individuare spazi nella formazione, nei momenti educativi e anche nei periodi post-abortivi, in cui questi medici potrebbero intervenire nel pieno rispetto della legge, senza creare ostacoli alle donne che comunque decidessero di abortire, ma cercando di porre le condizioni perché non si arrivi a tale richiesta, e non vi si ricorra ripetutamente, come purtroppo avviene soprattutto fra le immigrate.
Un impegno in questo senso sarebbe anche un modo per dimostrare una volta per tutte che veramente chi obietta in Italia lo fa per coscienza, e non per convenienza.
10 giugno 2008
Il ministro dell'Istruzione ha parlato alla commissione Cultura della Camera
Più soldi agli insegnanti per far ripartire la scuola italiana. Mariastella Gelmini si presenta
Meritocrazia, sussidiarietà, parità, e "una grande alleanza che restituisca al paese la parola speranza"
Dal Foglio.it
Un discorso deciso, ottimista in cui è stata chiesta un’assunzione di responsabilità da parte di tutti quello che Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha fatto alla commissione Cultura della Camera dei Deputati presentando il suo programma per la scuola. La proposta che fa notizia è quella dell’aumento degli stipendi per gli insegnanti: “E’ l’ora del buon senso, del pragmatismo e delle soluzioni condivise – ha detto il ministro introducendo il tema – Questo principio vale anche sul fronte insegnanti. Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di insegnamento è pari a 27.500 euro lordi annui. Fosse in Germania, ne guadagnerebbe ventimila in più. In Finlandia sedicimila in più. La media Ocse è superiore a 40.000 euro l’anno”. Poi l’affondo: “Questa legislatura deve vedere uno sforzo unanime nel far sì che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media Ocse. Ma per far questo dobbiamo aggredire le cause delle iniquità del sistema, mediocre nell’erogazione dei compensi, mediocre nei risultati, mediocre nelle speranze”. Non ha dubbi il ministro Gemini: “Una scuola ostaggio di rivendicazioni, più finalizzata al controllo ideologico che non al recupero dei compiti del sistema, ha prodotto un esito che credo né i sindacati, né i partiti, né la società italiana tutta possano ritenere sensato: stipendi da fame, tramonto della cultura del merito, tramonto del senso della scuola”. E proprio sulla meritocrazia specifica, citando Roger Abravanel: "Il merito non è una fonte di disuguaglianza, ma al contrario uno strumento per garantire pari opportunità, e dunque la più alta forma di democrazia".
All’inizio cita “l’emergenza educativa” di cui il Papa non ha esitato a parlare e della sua “passione per l’educazione” che le fa desiderare “che questa Italia cresca”. Il ministro ha poi ricordato, prima di citare dati più o meno noti sulla situazione a tratti sconsolante della scuola italiana, come “l’emergenza educativa non si affronta semplicemente con nuovi contenuti e nuove metodologie, pur utili. Né con il richiamo a dei “valori” astrattamente affermati. I valori per essere condivisi e vissuti devono essere convincenti per i ragazzi, ed essi lo sono se testimoniati da adulti – siano essi genitori, insegnanti ma anche personale non docente – che propongano un senso positivo della vita”. La preoccupazione del ministro nel suo discorso è stata spesso rivolta a come solo un lavoro condiviso tra maggioranza e opposizione possa aiutare la scuola italiana a uscire dalla sua “malattia”: più volte ha ribadito l’intenzione di non volere attuare modifiche legislative e la volontà di lavorare nel solco di quanto iniziato dal ministro Fioroni (senza dimenticare la necessitè di attuare la legge Moratti); ringraziando il lavoro di Mariapia Garavaglia, ministro ombra dell’Istruzione, ha parlato di “convergenza” con il programma del Partito Democratico nella parte in cui esso chiede “una vera e propria carriera professionale degli insegnanti”. Gli insegnanti sono il punto da cui per il ministro bisogna ripartire a costruire: motivandoli e pagandoli meglio innanzitutto.
E’ un “cambiamento epocale di mentalità” quello che serve a far ripartire la scuola, non rivoluzioni o nuove leggi. Cita Gramsci e Sciascia nel suo discorso, il ministro del Pdl, parla di sussidiarietà ("Il nuovo ruolo delle Regioni, così come il necessario rafforzamento dell’autonomia scolastica, devono costituire una sorta di federalismo all’insegna della sussidiarietà che è il quadro istituzionale entro cui affrontare i problemi"), parità scolastica (“Invito tutti a non pensare agli istituti, ma agli studenti e alle loro famiglie, e vi chiedo: c’è qualcuna di queste famiglie che merita meno di altre sostegno alla sua determinazione ad educare liberamente i propri figli in un modo piuttosto che in un altro?”) e di come “l’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per pretendere, ope legis, che ogni adolescente percorra la stessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e la dispersione. Diamo ad ogni persona la sua scuola – ha concluso – e ogni persona troverà nella sua scuola le ragioni per frequentarla con profitto”. Dopo avere sottolineato come a lle tre "i" di internet, inglese e impresa si debba aggiungerne uyna quarta ("la I di Italiano"), terminando il discorso il ministro ha auspicato “una grande alleanza per la scuola che restituisca al paese la parola speranza”.
di Piero Vietti
IL CASO MILANO, IL RUOLO DEI MEDICI - SE QUEGLI OCCHI DENUNCIANO UN IDEALE TRADITO
Avvenire, 11 giugno 2008
DAVIDE RONDONI
E adesso che emerge con sfrontata micidiale chiarezza che malattia di avidità può accecare dei medici… E adesso che emerge, in una regione che sta provando a darsi una sanità migliore, quale cupidigia può accecare chi dovrebbe pensare solo a curare bene… E adesso che il freddo dio denaro ha introdotto la sua mano scheletrica nelle stanze dove il calore della vita lotta per non perdersi; e adesso da dove ripartire? Dalle infinite polemiche sui modelli sanitari da adottare? Dalla sterile e ormai superata contrapposizione tra sanità gestita dallo Stato e l’intervento dei privati? Per poi concludere, ovviamente, che occorre uno Stato flessibile e un privato-sociale animato da ideali veri? È ovvio, insomma, che il delicato campo della Sanità non può essere terreno solo di uno Stato lento e burocratico, causa di tanti esempi di malasanità, o di un privato che ama i soldi più di tutto, tanto da violare le vite altrui. Ma da dove ripartire dunque, dalle polemiche?
No, occorre guardare i medici negli occhi. Guardare quegli occhi che migliaia di volte al giorno, in migliaia di città d’Italia vengono guardati in corsie, cliniche, ambulatori da gente che vorrebbe leggervi un poco di speranza, una traccia di sollievo. Occorre fissare gli occhi dei nostri dottori. Dietro le lenti, se ne hanno. Sotto fronti segnate da decenni di carriera, o aperte, lanciate a una vita fantasticata. E guardare se negli occhi hanno qualcosa che brucia come una passione o se sono opachi, spenti e sottili come quelli di tutti i calcolatori di professione. Se non hanno quella fiamma negli occhi, sono medici da temere. Intendo la fiamma, o chiamatela luce o come vi pare, che anima chi sa di avere un grande compito.
I grandi compiti, come insegnano splendidi romanzi come 'Corpi e anime' o anche tanti film sui dottori, non si eseguono solo in grandi epiche occasioni. Ma di più nella penombra delle decisioni invisibili, dei sacrifici non ripagati, delle scelte senza ricompensa, e nella banalità quotidiana. E’ in quei frangenti normali che la fiamma si può spegnere, lo sguardo farsi torvo, inaridito. Dalla fine dell’Ottocento la figura del medico è stata sempre al centro di storie che ne ritraevano l’aspetto 'eroico' e i grandi rischi. Ancora oggi molte delle fortunate fiction televisive ambientate in ospedali recano traccia, magari con linguaggio ironico, di tale 'eroismo'. E proprio in un momento in cui tante sono le sfide sulla vita umana e ai medici si guarda per essere guidati in nuovi territori o posti al riparo da violenze travestite. Forse in troppi hanno pensato che si tratti di cose lontane dalla realtà, finzioni, appunto.
Ma se finti sono gli ospedali, le infermiere, i nomi che si mostrano in quei romanzi o film, reale, realissima è la necessità che lo sguardo del medico sia abitato da un fuoco ideale. Se no, l’alternativa tra scadimento burocratico e impiegatizio o l’oscura rapacità sarà l’unica cosa che ci rimane. Allora occorre ripartire guardando i medici negli occhi: avete quel fuoco? da dove vi viene? come lo alimentate? Non a caso la Chiesa ha tra i suoi santi anche alcuni medici, e tra questi il lombardo Riccardo Pampuri. Cioè uno da guardare, da cui imparare il fuoco mentre si apprendono nuove tecniche. Perché tutti si può diventare rapaci, o uomini spenti, se non si imitano esempi di uomini accesi. Oggi nell’Italia che sempre è ferita, chi fa il medico ha un compito doppio, un sacrificio doppio da compiere. Se voleva una vita tranquilla, dove contano gli agi e gli onori, ha sbagliato mestiere. E le conseguenze le paghiamo tutti.