venerdì 5 dicembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Henry, il no all’eutanasia può costargli la corona - Crisi istituzionale in Lussemburgo. Henri, Granduca dal 2000, cattolico praticante, rifiuta di firmare la Legge a favore dell’eutanasia. Il governo vuole togliergli tutti i poteri. Il primo ministro, il cristiano-sociale Jean-Claude Juncker, vuole privarlo di ogni potere. Per questo, infatti, il primo ministro ha proposto una modifica della Costituzione. La modifica costituzionale dovrà ottenere il consenso di due terzi del Parlamento. Il Lussemburgo abitato da 480 mila abitanti, per l’85 per cento cattolici, potrebbe divenire il terzo Paese europeo dopo Belgio ed Olanda a depenalizzare l’eutanasia.
2) L'enciclica sulla dottrina sociale può aspettare. Ma non la scommessa sui paesi poveri - È ciò che propone Ettore Gotti Tedeschi dalla prima pagina del giornale vaticano. Finanziare consumi e investimenti per due o tre miliardi di persone che attendono solo di migliorare la loro vita. L'esempio del microcredito di Sandro Magister
3) Galileo proposto come patrono del dialogo tra fede e scienza - Proposta dell'Arcivescovo Gianfranco Ravasi
4) Senza Dio non c’è futuro, neanche per il liberalismo - Il Cardinale Ruini presenta il libro di Pera: “Perché dobbiamo dirci cristiani” - di Antonio Gaspari
5) Non si combatte l’handicap eliminando i disabili - Chiarimento del presidente dell'associazione "Cristiani per servire"
6) 05/12/2008 10:55 – RUSSIA - È morto il Patriarca di Mosca, Alessio II
7) 05/12/2008 09:16 - CINA-TIBET-UE - Dalai Lama: La Cina non ha l’autorità morale per essere una superpotenza - Il leader tibetano guadagna il sostegno del parlamento europeo per l’autonomia (e non l’indipendenza) del Tibet. In Polonia il Dalai Lama incontrerà Sarkozy. In Cina si vuole boicottare i prodotti francesi, ma il ministero degli esteri chiede ai nazionalisti cinesi un atteggiamento “calmo e razionale”.
8) La liturgia nella storia - Il modo inventato da Dio per parlare con l'uomo - La Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato il libro Il metodo teologico. Tradizione innovazione, comunione in Cristo (Città del Vaticano, 2008, pagine 511, euro 29), primo volume della collana "Itineraria" proposta dalla Pontificia Academia Theologica. Tra i saggi di autori vari in esso contenuti pubblichiamo stralci di quello scritto dal curatore dell'intero volume. di Manlio Sodi – L’Osservatore Romano, 5 dicembre 2008
9) Proprio oggi abbiamo bisogno di realtà - Pigi Colognesi - venerdì 5 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
10) PARADOSSI/ Quant'è folle che in tempo di crisi politici di Pdl e Pd si occupino del destino dei carcerati? - Renato Farina - venerdì 5 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
11) SCUOLA/ Troppi insegnanti? Non è una novità. Il vero problema è come premiare il merito - Redazione - venerdì 5 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
12) IL GRANDUCATO STA VARANDO UNA LEGGE FAVOREVOLE ALL’EUTANASIA - Parlamentari del Lussemburgo non sostituitevi al Creatore - RINO FISICHELLA * - Avvenire, 5 dicembre 2008
13) SCUOLA A TERNI - È lo stesso personaggio che due anni fa, presidente di seggio alle elezioni, contestò la presenza dell’immagine sacra durante le operazioni di voto, minacciando di invalidarle se non fosse stata tolta dalla parete - Studenti contro il prof «Il crocifisso resta lì» - I ragazzi, italiani e stranieri, in rivolta verso l’insegnante che ogni giorno rimuove la croce durante le sue lezioni - DA TERNI ELISABETTA LOMORO – Avvenire, 5 dicembre 2008
14) ANALISI L’82% dei beneficiari sarebbero nuclei senza figli. Il Forum: «Ecco come rimediare»
«Così il Bonus finisce ai single e non alle famiglie» - Avvenire, 5 dicembre 2008
15) Handicap - Fratelli di disabili, nasce un blog per raccontarsi – Avvenire, 5 dicembre 2008


Henry, il no all’eutanasia può costargli la corona - Crisi istituzionale in Lussemburgo. Henri, Granduca dal 2000, cattolico praticante, rifiuta di firmare la Legge a favore dell’eutanasia. Il governo vuole togliergli tutti i poteri. Il primo ministro, il cristiano-sociale Jean-Claude Juncker, vuole privarlo di ogni potere. Per questo, infatti, il primo ministro ha proposto una modifica della Costituzione. La modifica costituzionale dovrà ottenere il consenso di due terzi del Parlamento. Il Lussemburgo abitato da 480 mila abitanti, per l’85 per cento cattolici, potrebbe divenire il terzo Paese europeo dopo Belgio ed Olanda a depenalizzare l’eutanasia.
Il Lussemburgo, uno dei sei membri fondatori dell'Europa comunitaria, è vicino alla crisi istituzionale a causa della decisione del granduca Henri, 53 anni, di non controfirmare il testo della nuova legge sull' «accompagnamento alla morte», che prevede situazioni di sostanziale eutanasia. Il sovrano, che è al potere dal 2000, ha informato i leader parlamentari che la sua coscienza cristiana gli impedisce di compiere un gesto del genere. E il pensiero di tutti è immediatamente andato a quanto accadde nel 1990 in Belgio, dove il cattolicissimo re Baldovino si fece da parte per un giorno allo scopo di non apporre la propria firma sulla legge che legalizzava l'aborto. Dopo quelle brevissime «dimissioni a tempo», il sovrano belga riprese il proprio posto sul trono e tutto andò avanti come prima.
La situazione del granducato sembra più complessa perché il Parlamento ha colto la palla al balzo, decidendo di ridimensionare il ruolo politico del granduca. Per non mettere la propria firma sulla legge, che legalizza l'eutanasia, Henri rischia insomma di perdere qualche piuma. I suoi sostenitori pensano che il gioco valga la candela ed esaltano la coerenza morale di un uomo che non si è piegato neppure di fronte al voto parlamentare. Però il Lussemburgo è una monarchia costituzionale e alla fine sono i rappresentanti eletti dal popolo a determinare il contenuto delle leggi. Dunque Henri vedrà il proprio ruolo ulteriormente assottigliato.
Il primo ministro- il cristiano-sociale Jean-Claude Juncker, che ha anche un importante ruolo comunitario in quanto presidente dell'Eurogruppo - ha replicato al sovrano con parole molto ferme. «Io capisco - ha detto Juncker - i problemi di coscienza del granduca, che più o meno sono anche i miei. Ma io penso che se la Camera dei deputati vota una legge, questa debba poter entrare in vigore». Il disegno di legge relativo all'eutanasia è stato adottato lo scorso febbraio dai deputati, malgrado il voto contrario degli stessi cristiano-sociali guidati da Juncker. Ora l'assemblea parlamentare è chiamata a votare in seconda lettura lo stesso documento, che - per avere effetto di legge - dovrà essere controfirmato e promulgato dal sovrano. La decisione di quest'ultimo di ostacolare il cammino del provvedimento, con un atteggiamento che alcuni chiamano «sciopero del granduca», sta spingendo la maggioranza del Parlamento a studiare una riforma istituzionale destinata a ridurre sensibilmente il potere discrezionale della corona. Il granduca resterà al proprio posto, ma non sarà più nelle condizioni di «scioperare» contro il Parlamento: in pratica gli verrà tolto ogni potere di firma sui provvedimenti legislativi.
Le polemiche di questi giorni costituiscono un'autentica tempesta nelle acque, tradizionalmente tranquille, della politica lussemburghese. Il granducato si trova tra Belgio, Francia e Germania. I suoi 470 mila abitanti sono tra i cittadini più ricchi dell'Unione europea. La famiglia regnante è nota per la sua osservanza cattolica, puntualmente riaffermata in questa occasione.
di Alberto Toscano
Il Giornale n. 290 del 2008-12-04 pagina 17
Dopo il no del Granduca Henry alla Legge sull’eutanasia il Lussemburgo vuole cambiare la Costituzione
Crisi istituzionale nel Lussemburgo dopo il rifiuto espresso lunedì scorso dal Granduca Henry di firmare, per ragioni di coscienza, la legge sulla legalizzazione dell’eutanasia nel piccolo Regno nel cuore dell’Europa. Il servizio di Roberta Gisotti.
Terremoto nei vertici istituzionali del Lussemburgo dopo il ‘no’ del Granduca Henry, cattolico, a sottoscrivere il testo che se approvato dal Parlamento, in seconda lettura entro dicembre renderà legale l’eutanasia. Per ovviare al rifiuto del Granduca di legittimare il provvedimento, come previsto dalla Costituzione del piccolo Stato retto da una Monarchia costituzionale, il premier Jean-Claude Junker ha proposto di emendare la Costituzione, cosicché il sovrano perda il suo potere di veto. Il premier Junker, leader dei cristiano sociali, si era opposto anche lui alla legge sull’eutanasia, quando in prima lettura nel febbraio scorso, aveva spaccato la Camera con 30 voti a favore contro 26. Dopo una fase di attesa e serrate consultazioni, il premier – che pure aveva parlato della questione con il Papa nell’udienza in Vaticano nel marzo scorso – ha voluto così rispettare – a suo dire - la volontà del sovrano e pure gli interessi del Paese. La modifica costituzionale dovrà ottenere il consenso di due terzi del Parlamento. Il Lussemburgo abitato da 480 mila abitanti, per l’85 per cento cattolici, sarà il terzo Paese europeo dopo Belgio ed Olanda a depenalizzare l’eutanasia per i malati terminali, con gravi sofferenze fisiche e psichiche e senza prospettive di miglioramento, con l’assistenza di almeno due medici e di un gruppo di esperti. Il Granduca Henry, 50 anni, da otto sul trono del Lussemburgo, sposato con Maria Teresa sua compagna universitaria, padre di 5 figli, non ha dunque ceduto alle pressioni del Parlamento, confortato dalla fede, come mette in luce l’arcivescovo del Lussemburgo, mons. Fernand Frank, al microfono di Hèlene Destombes:
R. - Il Granduca, secondo la sua coscienza, non ha potuto firmare questa legge, e questo non si è mai avverato, è la prima volta; il Granduca ha dimostrato in tal modo di essere un uomo con dei principi, che agisce secondo la propria coscienza - la coscienza dei cristiani - e credo che quella che il Granduca ha dato è una grande testimonianza. Il primo ministro ha proposto una modifica della Costituzione: secondo l’articolo 34 della Costituzione, il Granduca sanziona e promulga le leggi. Adesso la modifica consisterà nell’eliminare questo passaggio. E’ stato un sollievo, così la crisi istituzionale è stata evitata; pensate, un piccolo Paese in un periodo di crisi finanziaria che avrebbe potuto avere in più una crisi istituzionale.
D. - Come avete reagito riguardo a questo gesto molto forte del Granduca, che cosa significa?
R. - Per la prima volta il Granduca si è confrontato con questo problema; cioè, ci sono delle leggi sull’economia, sul traffico… ma qui si tratta di una legge che mette in gioco la vita umana.
D. - Com’è stato vissuto tutto questo dibattito su questa legge che legalizza l’eutanasia in alcune condizioni?
R. – Noi, come Chiesa, ci opponiamo; la Chiesa spera che la dignità umana venga rispettata e che si possa morire nella vera dignità, stringendo la mano ad una persona, e non morendo per mano di una persona.
RADIO VATICANA 04/12/2008 14.07.57


L'enciclica sulla dottrina sociale può aspettare. Ma non la scommessa sui paesi poveri - È ciò che propone Ettore Gotti Tedeschi dalla prima pagina del giornale vaticano. Finanziare consumi e investimenti per due o tre miliardi di persone che attendono solo di migliorare la loro vita. L'esempio del microcredito di Sandro Magister
ROMA, 5 dicembre 2008 – A intervalli ricorrenti si inseguono le voci su una vicina nuova enciclica di Benedetto XVI, dedicata questa volta alla dottrina sociale della Chiesa.

Sono voci che non mancano di fondamento. L'ultima enciclica socioeconomica – la "Centesimus annus" di Giovanni Paolo II – risale al 1991 ed è considerata da molti, in curia, invecchiata. Gli uffici vaticani più impegnati sul tema, in particolare il pontificio consiglio della giustizia e della pace presieduto dal cardinale Renato Martino, si sono fatti un punto d'onore di strappare a papa Joseph Ratzinger un documento più al passo con i tempi.

In realtà, più che invecchiata, la "Centesimus annus" non è stata mai seriamente accettata dall'insieme del corpo cattolico e della gerarchia. È stata giudicata troppo amica del sistema capitalista. L'odierno crollo dell'economia mondiale è ritenuto da molti una convalida di quel giudizio negativo.

Sta di fatto che sulla scrivania di Benedetto XVI sono già arrivate tre successive bozze della nuova enciclica sociale. E tre volte il papa le ha rimandate indietro, insoddisfatto.

Da teologo, Ratzinger si è occupato solo marginalmente di dottrina sociale e di questioni economiche. Da papa, ha dedicato la sua prima enciclica alla carità e la seconda alla speranza. Coerentemente, uno si aspetterebbe che dedichi la terza alla fede, piuttosto che alla dottrina sociale.

D'altra parte, alcuni spunti di dottrina sociale si trovano già nella seconda parte della "Deus caritas est", la parte di quell'enciclica che più risente del lavoro degli uffici vaticani. Integralmente ratzingeriane sono invece la prima parte della "Deus caritas est" e l'intera "Spe salvi". Sembra difficile che Benedetto XVI voglia apporre la sua firma a una terza enciclica che non dica niente di originale e non rechi la sua fortissima impronta personale.

In più, non va trascurato l'effetto sorpresa. La "Spe salvi" nessuno se l'aspettava. Il papa la scrisse in solitudine e la promulgò senza nemmeno farla passare da un "editing" della curia. Niente vieta che anche la prossima sua enciclica sia un fuori programma.

Ma allora non c'è nulla da aspettarsi, tra breve, dalla Santa Sede, su questioni che pure sono al centro degli odierni sconvolgimenti dell'economia mondiale?

Sì e no. Sull'imminente arrivo di un enciclica papale è d'obbligo esser cauti. Ma a livelli inferiori di autorità il Vaticano non è muto.

Lo scorso 22 novembre, ad esempio, il pontificio consiglio della giustizia e della pace ha pubblicato un documento su finanza e sviluppo che ha occupato due pagine intere de "L'osservatore Romano". Il lunghissimo documento – ambiziosamente intitolato "Un nuovo patto per rifondare il sistema finanziario internazionale" – si è proposto come preparatorio alla conferenza promossa dalle Nazioni Unite a Doha dal 29 novembre al 2 dicembre 2008.

Il destino di questi documenti curiali è però quello di non lasciare alcuna traccia di sé. Pochissimi li leggono. E chi li legge deve resistere agli sbadigli.

Più efficace è invece un'altra modalità con cui la Santa Sede si esprime. Da qualche mese "L'Osservatore Romano" ha un columnist di prim'ordine sulle questioni dell'economia mondiale: Ettore Gotti Tedeschi, economista e banchiere, presidente in Italia del Banco Santander Central Hispano.

Gotti Tedeschi è cattolico ma non è uomo di curia. Anzi, in curia i più guardano a lui con distacco critico. Scrive sotto la sua personale responsabilità. Ma ciò che scrive fa davvero pensare. È lucido nelle analisi e originale nelle proposte di soluzione. Insomma, le sue DUE brevi colonne incidono molto di più di pagine e pagine di documenti scialbi.

Eccone qui di seguito una prova. È la nota da lui pubblicata giovedì 4 dicembre, sulla prima pagina del giornale del papa:


Sviluppo e crisi finanziaria. La bolla che ci salverà di Ettore Gotti Tedeschi

Per assorbire la bolla finanziaria che sta minacciando il mondo intero, si pensa negli Stati Uniti di produrne una nuova – legata forse all'energia o al mercato automobilistico – utilizzando l'unica liquidità disponibile, cioè quella cinese. La nuova bolla probabilmente ignorerà ancora di più quella parte del mondo esclusa dal benessere. Si potrebbe invece avviare un processo economico creativo di dimensione planetaria che ristabilisca una crescita più sostenibile. In altre parole, una bolla di solidarietà che coinvolga i paesi poveri. Una bolla umanitaria che corregga l'errore della passata bolla di sviluppo egoistico, frutto della crisi di valori dell'uomo.

I fenomeni economici attualmente più preoccupanti, oltre alla crisi di liquidità, sono: la difficoltà di accedere al credito a causa delle prospettive di recessione; l'andamento negativo delle borse; il crollo della domanda e dei consumi; la conseguente sovracapacità produttiva inutilizzata e la crescita dei costi fissi non assorbiti; lo spettro della disoccupazione. Come si potrebbe ristabilire l'equilibrio tra produttività, occupazione e conseguente potere di acquisto, sostenendo l'attività delle imprese quotate in borsa?

Una risposta coraggiosa e non a breve termine c'è: valorizzando la domanda potenziale dei paesi poveri, mettendoli in condizione di partecipare al piano di risanamento globale grazie alla loro domanda inespressa, una domanda totalmente da sorreggere e finanziare. Si tratta, appunto, di un progetto di bolla umanitaria. Resta però il problema di come finanziarla.

La bolla finanziaria sostenuta fino a poco tempo fa negli Stati Uniti – quella dei mutui "subprime" – si fondava sulla speranza di crescita del reddito e sulla crescita del valore immobiliare, sottovalutandone però il rischio. La bolla umanitaria si potrebbe analogamente fondare sulla speranza di crescita del reddito e del valore degli investimenti in paesi popolati da persone desiderose di migliorare e piene di dignità. L'Asia ha liquidità, gli Stati Uniti hanno tecnologia, l'Europa cuore, idee e iniziative imprenditoriali medio-piccole. I paesi poveri hanno due o tre miliardi di candidati al progresso economico su cui investire in un'ottica a lungo termine.

Perché, quindi, invece di un'altra bolla correttiva, egoistica e a breve termine, non si pensa a una bolla solidale a lungo termine, che generi la crescita di produzioni e manodopera, finanziando i consumi e gli investimenti nei paesi poveri? Che permetta in alcuni anni a circa tre miliardi di persone di partecipare alla crescita dell'intero sistema economico? Persone che però sono pronte, da subito, a esprimere una domanda essenziale per l'occidente, nonché a esser coinvolte in progetti infrastrutturali e produttivi, in progetti di formazione al lavoro e di conoscenza scientifica.

Si tratta di un progetto che deve essere finanziato a lungo termine e a tassi bassissimi e questo rappresenta l'impegno maggiore dei governi, ma i governi stessi che hanno garantito i mutui "subprime" potranno facilmente garantire opere infrastrutturali; potranno, con un po' di sforzo, garantire imprese produttive da insediare in joint venture nei paesi poveri e in settori-chiave come quello alimentare. Un esempio di successo è costituito dalla Grameen-Danone Food in Bangladesh. Si potrebbero progettare e realizzare scuole e banche in joint venture. Si potrebbe investire soprattutto nella rete e nella compravendita per posta elettronica, per aiutare quelle popolazioni a entrare direttamente nel circuito commerciale con i loro prodotti, controllabili qualitativamente.

Proprio ora che stiamo diventando più poveri, sostenere i veri paesi poveri avrà un costo relativo, ma renderà enormemente. Quanto è costata la bolla dei mutui "subprime" solo negli Stati Uniti? Dieci trilioni di dollari? Quanto è stato invece investito nei paesi poveri negli ultimi dieci anni per farli partecipare alla crescita economica? Oggi siamo felici che la ricca Cina – aiutata dall'Occidente a svilupparsi economicamente – partecipi alla soluzione della crisi globale, ma si può immaginare un futuro con una ricca Africa, un ricco sud-est asiatico o una ricca America latina.

Alle obiezioni circa la mancanza di fondi e ai rischi eccessivi si può rispondere con le esperienze sul microcredito del premio Nobel per la pace, Muhammad Yunus: il rischio è scarso nei popoli poveri. Essi danno a garanzia un bene superiore: la loro stessa vita. Le bolle vere, quelle negative, si producono quando si falsano i prezzi e le condizioni di mercato, non quando si sostiene l'ingresso progressivo di miliardi di persone nel ciclo economico. Esse per noi costituirebbero una ricchezza, anche sul piano morale. Una bolla solidale quindi, una bolla umanitaria, che non sarà per nulla rischiosa, ma che anzi potrebbe salvarci.


Galileo proposto come patrono del dialogo tra fede e scienza - Proposta dell'Arcivescovo Gianfranco Ravasi
ROMA, venerdì, 5 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Galileo Galilei era un profondo uomo di fede e può diventare "patrono" del dialogo tra fede e scienza.
Sono queste le conclusioni del congresso "La scienza 400 anni dopo Galileo Galilei", organizzato il 26 novembre a Roma dall'impresa aerospaziale Finmeccanica per preparare l'Anno Internazionale dell'Astronomia, convocato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite in memoria dei 400 anni (1609) dell'utilizzo da parte di Galilei del monocolo astronomico.
Le conclusioni sono state presentate dal Segretario di Stato di Bendetto XVI, il Cardinale Tarcisio Bertone, e dal presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, l'Arcivescovo Gianfranco Ravasi.
Nel suo discorso, il Cardinal Bertone ha constatato che "in questi ultimi anni ci sono stati interventi chiarificatori che, se hanno con grande sincerità posto in luce lacune di uomini di Chiesa legati alla mentalità dell'epoca, hanno permesso al tempo stesso di far risaltare la ricca personalità di questo scienziato che con il cannocchiale astronomico scoprì che la Terra non è il centro di tutti i movimenti celesti".
Il porporato si è riferito in particolare alla dichiarazione del 31 ottobre 1992, con la quale Giovanni Paolo II ha riconosciuto pubblicamente gli errori commessi dal tribunale ecclesiastico che ha giudicato gli insegnamenti scientifici di Galilei.
Uomo di fede
"Quel che mi pare debba essere sottolineato è che Galileo, uomo di scienza, ha pure coltivato con amore la sua fede e le sue profonde convinzioni religiose - ha detto il Cardinal Bertone -. Galileo Galilei è un uomo di fede che vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio".
Per mostrarlo, il porporato ha letto due citazioni di Galilei di due lettere scritte a Cristina di Lorena.
Nella prima, l'astronomo diceva: "Mi par che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie, (...) procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio".
Nella seconda aggiungeva: "Io qui direi quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, ciò è l'intenzione dello Spirito Santo essere d'insegnarci come si vada al cielo, e non come vada il cielo".
Patrono del dialogo tra scienza e fede?
Per questo motivo, monsignor Ravasi, nel contesto del congresso, ha rilasciato alcune dichiarazioni alla "Radio Vaticana" proponendo Galileo come "patrono ideale per un dialogo tra scienza e fede".
Parlando alla stampa, inoltre, ha auspicato "che l'Archivio Segreto Vaticano ripubblichi integralmente e anche con opportuna esegesi tutti i materiali del cosiddetto 'processo Galilei'".
"Ritengo che abbiamo guardato abbastanza al passato, che abbiamo giustamente recitato tutti i nostri mea culpa - ha osservato -. Ora è giunto il momento di guardare al futuro con ottimismo nei rapporti tra scienze a fede".
Secondo Ravasi, "compito di scienziati e teologi è quello di cominciare a guardare reciprocamente nei rispettivi altrui terreni, vedendo che esistono dei punti di intersezione".
"I due settori non sono del tutto estranei l'uno all'altro, ma hanno dei punti di incontro e uno stesso oggetto che è l'uomo e il cosmo. L'unica differenza è che la 'lettura' è fatta da prospettive differenti", ha constatato il presule.
Non c'è opposizione tra scienza e fede
Benedetto XVI ha sottolineato la dimensione di fede di Galilei nel discorso che ha rivolto all'assemblea plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze il 31 ottobre scorso.
"Galileo vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio così come lo è delle Scritture - ha detto in quell'occasione -. È un libro la cui storia, la cui evoluzione, la cui 'scrittura' e il cui significato 'leggiamo' secondo i diversi approcci delle scienze, presupponendo per tutto il tempo la presenza fondamentale dell'autore che vi si è voluto rivelare".
Per questo, citando Giovanni Paolo II, il Pontefice ha mostrato la collaborazione che c'è e ci può essere tra scienza e fede con queste parole: "Sono sempre più convinto che la verità scientifica, che è di per sé una partecipazione alla Verità divina, possa aiutare la filosofia e la teologia a comprendere sempre più pienamente la persona umana e la Rivelazione di Dio sull'uomo, una rivelazione compiuta e perfezionata in Gesù Cristo. Per questo importante arricchimento reciproco nella ricerca della verità e del bene dell'umanità, io, insieme a tutta la Chiesa, sono profondamente grato".


Senza Dio non c’è futuro, neanche per il liberalismo - Il Cardinale Ruini presenta il libro di Pera: “Perché dobbiamo dirci cristiani” - di Antonio Gaspari
ROMA, giovedì, 4 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Intervenendo a Roma, questo giovedì, alla presentazione del libro del senatore Marcello Pera, “Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica” (Mondadori 2008), il Cardinale Camillo Ruini ha auspicato l’alleanza tra cattolici e laici per superare le sfide della modernità.
Il Cardinale Ruini ha espresso “personale gratitudine” al senatore Pera “per “la forte e fortemente argomentata affermazione dell’importanza di dirsi cristiani oggi”.
Il porporato ha constatato che il libro di Pera è “in buona misura contro corrente” perché il punto di vista di partenza è quello “del laico e liberale che si rivolge al cristianesimo per chiedergli le ragioni della speranza”.
Il libro si colloca nell’ambito di un grande dibattito, tra “coloro che vorrebbero espungere il cristianesimo dalla nostra cultura pubblica, o almeno ridimensionare la sua presenza”, e quello di “coloro che cercano invece di mantenere e rimotivare questa presenza, ritenendola oggi particolarmente necessaria e benefica”.
Secondo Pera, per superare la crisi che sta attanagliando l’Occidente non basta trincerarsi nel solo ruolo di “cristiani per cultura”, al contrario è necessario superare un razionalismo chiuso e aprirsi all’ampiezza dell’esperienza umana, non amputandola della presenza nella nostra vita del senso del divino, del mistero, del sacro e dell’infinito.
Pera cita Kant quando, nella Critica della ragion pratica, sostiene che “è moralmente necessario ammettere l’esistenza di Dio” e che “la speranza comincia soltanto con la religione”.
E questo vale soprattutto per la vita politica, “le leggi non bastano, occorrono virtù adeguate e a tal fine la religione cristiana deve essere anche un sentimento, che si traduce in un costume civile”.
“In questo contesto il senatore spiega che relativismo è incompatibile con il liberalismo, e a maggior ragione con il cristianesimo”, rovesciando la tesi secondo cui “un atteggiamento relativistico sia indispensabile per la realizzazione di una società libera”.
Il Cardinale Ruini ha rilevato come nel libro di Pera si ricordi quanto la matrice teista e cristiana sia stata decisiva per la dottrina dei diritti fondamentali dell’uomo in quanto uomo.
A questo proposito, il saggio di Pera riporta la Dichiarazione di indipendenza americana dove è scritto che “tutti gli uomini sono creati uguali,… dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili”.
Così, mentre da una parte si conferma l’incompatibilità del liberalismo con il relativismo, dall’altra emerge il suo “nesso non estrinseco”, storico e concettuale, con il cristianesimo.
Il Cardinale Ruini ha quindi notato con interesse le differenze tra il saggio di Benedetto Croce “Perché non possiamo non dirci cristiani” e il libro di Pera.
Mentre Croce, pur riconoscendo i meriti della rivoluzione cristiana, “vuole identificare l’autentico liberalismo con il superamento della religione”, Pera sostiene che “l’essenza del liberalismo ha il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio” e, come ha sottolineato Benedetto XVI nella lettera al senatore “il liberalismo distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento”.
Di particolare attualità la parte del libro dove il senatore parla dell’unità dell’Europa e afferma senza esitazioni che “l’Europa deve dirsi cristiana” perché il “patriottismo costituzionale”, come sembra proporre Habermas, “lascia l’Europa senza una precisa identità e senza un principio realmente unificante, oltre a dividere l’Occidente allontanando l’Europa dall’America”.
A questo proposito il Cardinale Ruini ha affermato “o il liberalismo si sposa con una concreta dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, e allora esso ha qualcosa da offrire alla crisi morale contemporanea, o invece il liberalismo si professa autosufficiente, ‘neutrale’ o ‘laico’, e allora diventa un moltiplicatore della crisi stessa”.
Dopo aver condiviso quanto scritto dal Pontefice sul libro di Pera, il porporato ha aggiunto che “delle cinque prese di posizione in cui essa si articola, soltanto quella riguardante il rapporto tra Europa e cristianesimo può considerarsi la riaffermazione di una linea ben nota della Chiesa e dei Pontefici, sebbene anche qui suoni nuovo il parlare, da parte di un Pontefice, del fondamento cristiano-liberale dell’Europa”.
“Le altre quattro prese di posizione, sul radicamento del liberalismo nell’immagine cristiana di Dio, sulla multiculturalità, sul dialogo interculturale piuttosto che interreligioso e infine sul rapporto tra il liberalismo e la dottrina cristiana del bene, - ha precisato il Cardinale Ruini - costituiscono degli sviluppi o chiarimenti assai significativi che contribuiranno non poco al dibattito in corso sui rapporti tra il cristianesimo e il mondo contemporaneo”.
Il porporato ha concluso rinnovando l’invito di Benedetto XVI ad “allargare i confini della ragione” ribadendo la “necessaria e urgente e crescente collaborazione tra cattolici e laici”.


Non si combatte l’handicap eliminando i disabili - Chiarimento del presidente dell'associazione "Cristiani per servire"
CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 4 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Non si combatte l’handicap eliminando i disabili prima o dopo la nascita.
Questa evidente constatazione spiega il rifiuto, da parte della Santa Sede, di firmare la "Convenzione dell'ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità".
La Santa Sede, che pure ha contribuito in maniera importante a realizzare il testo della Convenzione, ha spiegato che la contrarietà è limitata alla questione dell'aborto.
Il Vaticano infatti ha chiesto che nel documento fosse inserito un divieto esplicito nei confronti dell'aborto.
Secondo la Santa Sede è "tragico che una imperfezione del feto possa essere una condizione per praticare l'aborto".
Intervistato da ZENIT, Franco Previte, presidente dell’associazione "Cristiani per servire", ha spiegato che la Santa Sede ha ragione ad opporsi alla ratifica di una Convenzione che non difende il diritto alla vita dei disabili.
Il presidente dei Cristiani per servire ha precisato che “le metodologie sulla salute riproduttiva, di cui agli artt.23/b e 25/a della Convenzione, possono dare adito all'applicazione dell'aborto selettivo, promuovendo la contraccezione abortiva, le limitazioni delle nascite, l’irresponsabilità nei rapporti sessuali, le sterilizzazioni. Tutte misure che offendono la dignità della persona”.
“Inoltre – ha continuato Previte – la pianificazione familiare, come contemplata dalla ‘Convenzione’, è in netto contrasto con l’articolo 10 dove ‘viene garantito il diritto inalienabile alla vita’, con l'articolo 15 ‘dove nessuno dovrà essere sottoposto ad esperimenti medici scientifici’ e con l'articolo 16 dove si protegge ‘ogni forma di sfruttamento, violenza od abuso’”.
“Se non si rifiutano esplicitamente pratiche quali l’aborto, la sterilizzazione e l’eutanasia – ha sottolineato – potrebbe verificarsi la possibilità che tutti i disabili, specie quelli psichici potrebbero correre il rischio di essere sterilizzati o subire forme di eutanasia onde frenare la diffusione di handicap genetici. Così ci troveremmo di fronte alla negazione del diritto alla vita, un diritto fondamentale dell'umanità”.
Considerando che anche il governo italiano attraverso il DPR ( Decreto del Presidente della Repubblica) presenterà alle Camere il Disegno di legge per attuare la ratifica della Convenzione per i diritti delle Persone con Disabilità, i Cristiani per servire hanno chiesto di avvalersi dell’art. 47/1 per inserire alcuni emendamenti, e cioè:
- Precise riserve, ai sensi dell’art. 47 e tali da escludere ogni possibile riferimento all’aborto, ad ogni metodo o modalità della salute riproduttiva;
- Riconoscimento del termine giuridico di handicappato mentale per adempiere a quanto sancisce l’art. 4 della “Convenzione” onde adottare appropriate misure legislative;
- L’indizione di una “Giornata Mondiale sulla salute mentale”;
- Una legge-quadro di riordino dell’assistenza psichiatrica.


05/12/2008 10:55 – RUSSIA - È morto il Patriarca di Mosca, Alessio II
Mosca (AsiaNews) – Il capo della Chiesa russa ortodossa, il patriarca Alessio II è morto stamane, all’età di 79 anni. Il patriarcato non ha diffuso i motivi della morte, anche se si sapeva che egli era malato da molto tempo.
È stato patriarca di tutte le Russie dal 1990, il primo ad essere eletto senza l’influenza del governo russo. Ha aiutato la Chiesa ortodossa a recuperare libertà e autorità morale dopo decenni di repressione sotto il comunismo, ma molti sacerdoti che hanno subito arresti e lager, lo accusavano di essere stato una spia della polizia segreta sovietica (Kgb).
È stato spesso visto come un sostenitore della Nuova Russia di Putin. Nei rapporti con la Chiesa cattolica egli ha sempre evitato di incontrare papa Giovanni Paolo II, puntando il dito contro un preteso “proselitismo” da parte dei cattolici russi. Sotto la sua guida l’ecumenismo cattolico-ortodosso ha subito un forte rallentamento.


05/12/2008 09:16 - CINA-TIBET-UE - Dalai Lama: La Cina non ha l’autorità morale per essere una superpotenza - Il leader tibetano guadagna il sostegno del parlamento europeo per l’autonomia (e non l’indipendenza) del Tibet. In Polonia il Dalai Lama incontrerà Sarkozy. In Cina si vuole boicottare i prodotti francesi, ma il ministero degli esteri chiede ai nazionalisti cinesi un atteggiamento “calmo e razionale”.
Bruxelles (AsiaNews/Agenzie) – La Cina manca di autorità morale per essere una vera superpotenza: lo ha detto il Dalai Lama davanti all’assemblea del parlamento europeo, radunato ieri a Bruxelles. Il leader tibetano ha affermato che Pechino meriterebbe essere una superpotenza, date le dimensioni della sua popolazione, la sua forza militare ed economica, ma “un fattore importante è l’autorità morale e questa è ciò che manca”.
Il Dalai Lama ha citato “il livello poverissimo di rispetto per i diritti umani, la libertà religiosa, la libertà di espressione e la libertà di stampa” e ha aggiunto che a causa della “troppa censura… l’immagine della Cina nel campo dell’autorità morale è povera, molto povera”.
Secondo il Premio Nobel, questa autorità morale andrebbe espressa affrontando i problemi del Tibet, dello Xinjiang, di Hong Kong e di Taiwan.
L’arrivo del Dalai Lama al parlamento europeo è stato accolto da applausi; alcuni parlamentari hanno perfino sventolato la bandiera tibetana.
Hans-Gert Pöttering, presidente del parlamento, ha assicurato che l’Europa continuerà “a difendere i diritti del popolo tibetano alla propria cultura e alla propria religione”.
“Se cessiamo di batterci per questi principi – ha detto – rinunciamo a noi stessi”. Egli ha quindi domandato alle autorità cinesi di “dare prova” di impegno reale nei dialoghi con i tibetani, giungendo a dei risultati.
Dopo la repressione a Lhasa nel marzo scorso, il presidente francese Sarkozy – oggi presidente di turno dell’Unione Europea - aveva minacciato il boicottaggio delle cerimonie olimpiche se Pechino non avesse ripreso i dialoghi col governo tibetano in esilio, fermi da anni. Prime delle Olimpiadi la Cina ha ripreso i colloqui, ma essi sono infruttuosi perché la Cina continua ad accusare il Dalai Lama di voler dividere “la nazione cinese”.
Il Dalai Lama ha ripetuto davanti ai parlamentari Ue che egli non vuole l’indipendenza del Tibet, ma solo un’autonomia che salvi il Tibet dal “genocidio culturale” a cui è sottoposto dall’occupazione cinese.
Il leader tibetano è atteso oggi a Gdansk, in Polonia, per celebrare insieme ad altri Premi Nobel i 25 anni del Nobel per la Pace a Lech Walesa. Nell’occasione incontrerà anche il presidente Sarkozy.
L’aperto appoggio alla causa tibetana – come anche il premio Sakharov assegnato al dissidente democratico Hu Jia – rivelano un cambiamento di tono dell’Ue nei confronti di Pechino. A causa di ciò, la Cina ha minacciato ritorsioni economiche, ma un rappresentante francese ha sminuito le minacce, sottolineando che “i cinesi hanno bisogno degli investimenti occidentali”, soprattutto in questo periodo di crisi economica.
In Cina la decisione di Sarkozy di incontrare il Dalai Lama ha provocato molte critiche contro la Francia sui blog nazionalisti, che domandano il boicottaggio dei prodotti francesi. Liu Jianchao, portavoce del ministero cinese degli esteri, pur manifestando “insoddisfazione” per la posizione europea e francese, ha chiesto al pubblico cinese di agire in modo “calmo e razionale”.


La liturgia nella storia - Il modo inventato da Dio per parlare con l'uomo - La Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato il libro Il metodo teologico. Tradizione innovazione, comunione in Cristo (Città del Vaticano, 2008, pagine 511, euro 29), primo volume della collana "Itineraria" proposta dalla Pontificia Academia Theologica. Tra i saggi di autori vari in esso contenuti pubblichiamo stralci di quello scritto dal curatore dell'intero volume. di Manlio Sodi – L’Osservatore Romano, 5 dicembre 2008
Nella letteratura teologica e soprattutto sacramentaria il rapporto tra lex credendi, lex orandi e lex vivendi è tornato di forte attualità, soprattutto in seguito al primo documento conciliare e in seguito ad alcuni documenti di attuazione di quei dettati. I principi teologici che sono all'origine della Sacrosanctum concilium hanno fatto sì che questo peculiare aspetto della tradizione fosse recuperato in tutta la sua valenza sia teologica che formativa.
Ritengo opportuno proporre in estrema sintesi un percorso storico per cogliere una linea teologica non sempre omogenea, ma tale comunque da lasciare intravedere come l'oggi del dopo Vaticano ii abbia potuto recuperare, pur in termini rinnovati, una linea teologica quanto mai unitaria.

Il rapporto tra fede, culto e vita costituisce una trilogia che lungo la storia ha avuto alterne situazioni nella declinazione della loro dialettica. Gli elementi che hanno interagito sono i più vari, e complesso sarebbe delinearne le cause in questo ambito.
Una qualunque storia della teologia, comunque, è - in genere - in grado di offrire aspetti giustificativi di quanto è avvenuto. Qui se ne fa un cenno, ma solo come momento di passaggio verso la riflessione circa la teologia liturgica e il suo metodo.
Quando accostiamo il contesto dei Padri della Chiesa osserviamo che la liturgia non è un aspetto separato, quasi una parentesi, della riflessione oltre che della prassi ecclesiale. Lex credendi, lex orandi e lex vivendi costituiscono una sintesi che viene rilanciata dall'operare dei Padri come maestri, come pastori, come liturgisti, come predicatori.
Le varie prospettive trovano la loro sintesi nella celebrazione dei santi misteri; in essi parola e rito annunciano e fanno fare esperienza del Mistero. Un riflesso eloquente di tale sintesi è quello che si constata - in particolare, ma non esclusivamente - nei sermones: qui il contenuto lascia trasparire un messaggio che, partendo dall'esperienza della celebrazione dei santi misteri, viene rilanciato come linea di azione in base ad una prospettiva teologica unitaria. In sintesi è possibile affermare che nell'antichità cristiana la liturgia è teologia.
Dal medioevo fino al concilio di Trento l'allontanamento dalla centralità della Parola nel culto, il sorgere di forme di pietà popolare, la progressiva clericalizzazione della liturgia, la incomprensione dei linguaggi liturgici, la privatizzazione della messa, sono alla base di una visione non più corretta della liturgia, come al tempo dei Padri. La liturgia è il rito, e per capire il rito bisogna ricorrere all'allegoria per decifrarne il senso.
Di conseguenza la teologia guarderà al rito solo per cogliere e spiegare la modalità di presenza del Cristus passus. In sintesi si può constatare come la teologia si allontani dalla liturgia ormai considerata non come actio ma come rito.
Con il trattato De locis theologicis di Melchior Canus la liturgia ri-assume un ruolo e riprende progressivamente significato. Sulla linea di altri elementi come la Scrittura, alla liturgia si dà il beneficio di essere fonte riconosciuta per convalidare una tesi teologica.
Il percorso del dopo concilio di Trento fino alla Mediator Dei, pur caratterizzato da rubricismo e cerimonialismo, comincia a essere testimone dei primi seri studi sulle fonti liturgiche (e patristiche) e, con l'inizio del xx secolo, testimone della prima parte del "movimento liturgico": è qui che si pongono le basi per una rinnovata visione teologica della liturgia e per iniziare un discorso anche circa la "liturgia considerata come scienza".
Il rinnovato concetto di "liturgia" emerge nella Sacrosanctum concilium (Sc). La visione teologica della liturgia appare in tutta evidenza, in particolare nei primi paragrafi del primo capitolo. Come il concilio di Trento riprende le categorie bibliche per fondare la teologia del sacrificio, così si nota come il Vaticano ii faccia un discorso di teologia biblica per presentare la liturgia come storia di salvezza in atto, e dunque come teologia in senso pieno. È da questo punto di partenza che scaturiscono quei principi fondamentali che poi saranno l'anima sia della riforma liturgica che del rinnovamento teologico: la liturgia come storia di salvezza in atto (cfr. Sc 5-6); opera della Trinità; attuazione della presenza di Cristo (cfr. Sc 7); epifania della Chiesa (cfr. Sc 9); luogo e mezzo della partecipazione attiva al mistero di Cristo (cfr. Sc 10, 14 e altri); luogo privilegiato attraverso cui Dio parla al suo popolo; luogo in cui ii popolo risponde a Dio con una pluralità di linguaggi (cfr. Sc 30); pedagogia della Chiesa (cfr. Sc 33); cuore della Chiesa e di tutta la vita cristiana (cfr. Sc 9, 10, e altri). I principi racchiusi in Sacrosanctum concilium si aprono, poi, in rapida conseguenza, sui vari aspetti che contribuiscono a rendere la celebrazione vera esperienza del mistero mentre simboleggia una vita cristiana vissuta in mysterio nelle sfide del quotidiano. Possiamo ora chiederci: cosa è la teologia liturgica? La risposta a questa domanda ormai codificata in vari studi che sono stati puntualizzati, come sopra ricordato, principalmente a partire dalla Sacrosanctum concilium in poi. Una sintesi di tale percorso è possibile verificarla soprattutto - ma non esclusivamente - nell'ampio contributo che sotto il titolo: Teologia liturgica, caratterizza il Dizionario di Liturgia, e in forma più ridotta il Dizionario di omiletica. I due contributi, rispettivamente di Salvatore Marsili, che ha spinto molto la riflessione in questa linea, e di Achille Triacca, che ha dedicato a queste prospettive numerosi studi, offrono un insieme di elementi per arrivare a concludere che la teologia liturgica è la "teologia prima", necessaria e indispensabile perché il discorso su Dio sia un discorso "cristiano", ricevuto cioè per esperienza sacramentale da Cristo (...) La teologia liturgica è l'unica che è naturalmente consona e totalmente adeguata a una spiritualità cristiana nel pieno ed esclusivo significato del termine. È quindi la teologia a cui deve attingere e alla quale deve condurre qualunque catechesi e ogni attività pastorale".
Si tratta di accostarsi alla liturgia non tanto come ad un rito, quanto soprattutto a un'esperienza teologica unica: un'esperienza che racchiude in sé teoria e prassi, sempre a partire dalla celebrazione. In una situazione di complessità qual è quella in cui si dibatte anche la scienza teologica, rimettere il culto al centro è offrire la possibilità di una sintesi integrale in cui lex credendi, lex orandi e lex vivendi ritrovano il loro più radicale punto d'incontro costituito dall'esperienza reale, pur in mysterio, della Santissima Trinità.
(©L'Osservatore Romano - 5 dicembre 2008)


Proprio oggi abbiamo bisogno di realtà - Pigi Colognesi - venerdì 5 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
Il precetto assoluto e indiscutibile cui dovevano soggiacere i narratori sovietici era sintetizzato nello slogan «realismo socialista». Romanzi, racconti, novelle, poesie e pièces teatrali erano tenuti a parlare di una cosa sola: della realtà. Niente fumisterie romantiche, niente abbandoni ai sogni, alle introspezioni morbose, alle fantasticherie. Il difetto era che sul sostantivo «realismo» pesava come un macigno l’aggettivo «socialista». Ciò significava che la realtà non era quella che lo scrittore vedeva coi suoi occhi, constatava con la sua ragione, scopriva indagando i fatti. No, la realtà era quella indicata dall’interprete accreditato del divenire storico, cioè il partito. Anche se vedevi che il tuo vicino di casa tornava con la mano maciullata da una pressa, dovevi dire che le industrie sovietiche erano dei modelli ineguagliati di funzionamento. Anche se tua moglie veniva spedita in lager, dovevi raccontare che l’URSS era il paradiso realizzato in terra, la patria della giustizia e della libertà.
Resta il fatto che la lezione del «realismo» non è invecchiata. Anzi, proprio oggi abbiamo più che mai bisogno di guardare in faccia le cose come stanno. Proprio oggi quando la crisi economica ha svelato che dietro le parole altisonanti della finanza avanzata non c’era niente. Proprio oggi quando il virtuale si impone sul reale. Proprio oggi quando, come ha scritto Gluksmann, è finita la post-modernità, cioè l’epoca in cui si crede che una cosa esista solo perché se ne pronuncia il nome. Abbiamo bisogno di realtà.
Vasilij Grossman aveva fermamente creduto nel realismo socialista. È stata la sua fortuna. Era un ingegnere qualunque, destinato a qualche incarico nelle industrie della sua Ucraina, con la passione della scrittura. Il vate del realismo socialista sovietico, Maksim Gorkij, ne ha scoperto le doti narrative e ne ha fatto una stella del firmamento letterario sovietico. Durante la Seconda Guerra mondiale, Grossman sta con le truppe come inviato del giornale dell’armata rossa e partecipa all’epico scontro di Stalingrado, che deciderà in favore degli antinazisti le sorti della guerra sul fronte orientale. Subito dopo il conflitto, Grossman mette mano a un monumentale romanzo. Per la giusta causa, che ha per tema proprio quella battaglia. Un bell’esempio di realismo socialista.
Ma come diceva un altro grande scrittore russo, Michail Bulgakov, la realtà è testarda. E Grossman accetta di guardarla in faccia. Si accorge così che l’URSS non è quello che il partito vuol celebrare, che la guerra non è stata solo eroismo, ma anche viltà, che la giustizia socialista è tirannia, che l’uomo nuovo sovietico è una menzogna, che Stalin perseguita gli ebrei, come lui, allo stesso modo di Hitler, che la libertà di espressione è imbavagliata e i rapporti umani distrutti dal sospetto e dalla calunnia. Reagisce nell’unico modo che conosce: scrivere. E dalla sua penna esce uno dei capolavori mondiali della letteratura del secolo scorso: Vita e destino. Ora possiamo leggerlo in una nuova edizione, basata su un manoscritto più completo di quello usato per la precedente, e in una nuova traduzione, appena pubblicata da Adelphi.
La grandezza di questo straordinario affresco della seconda parte della battaglia di Stalingrado sta tutta nelle due parole del titolo. Il centro dello sguardo appassionato e simpatetico di Grossman è la vita nella sua semplicità, senza i fronzoli incatenanti dell’ideologia, senza le strettoie di interpretazioni precostituite. La vita dell’uomo così com’è ha un cuore pulsante e indistruttibile: lo struggente desiderio di vivere, cioè di essere felici, di amare, di essere buoni. Come quella vecchia che vede il nazista sconfitto riportare dal bunker, dove i tedeschi tenevano i prigionieri russi, il cadavere di un adolescente. Lei lancia un grido lacerante, si china a raccogliere per terra qualcosa e si avvicina al tedesco; tutti si aspettano che lo colpisca con un sasso. Ma lei gli offre un boccone di pane. Niente di più contrario alla logica amico/nemico del realismo socialista. Niente di più corrispondente alla legge del cuore umano.
La vita così guardata apre uno spiraglio sul destino, la seconda parola del titolo. Il destino non è un ingranaggio che tritura le vite, è qualcosa di misterioso, terribile e affascinante. I personaggi di Grossman ne sintetizzano la percezione in una domanda. Come quella che la protagonista del romanzo pone proprio nelle ultimissime pagine. Pensando ai figli e agli amici, si chiede: «Che ne sarà di loro?». E conclude che, in ogni caso, essi potranno, se vorranno, vivere da uomini. E così il loro destino si compirà. Grossman non era credente, eppure quando parla del destino mostra un’acutissima percezione religiosa. Il cuore della vita dell’uomo grida l’eternità del destino. Per questo, quando la madre dell’alter ego romanzesco di Grossman scrive al figlio l’ultima lettera dal ghetto ebreo prima di essere uccisa, la conclude così: «Vivi! Vivi per sempre!».


PARADOSSI/ Quant'è folle che in tempo di crisi politici di Pdl e Pd si occupino del destino dei carcerati? - Renato Farina - venerdì 5 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
Il tema non è all’ordine del giorno, figuriamoci. Non è là mai. Adesso meno che mai. Parlo del carcere. Non nel senso di prendere uno, mettercelo dentro e poi buttar via la chiave. Un discorso così funzionerebbe, funziona sempre, si trova immediatamente qualcuno che applaude. Dico la questione carcere, intendendo le persone che vi sono rinchiuse: che possano star bene, scontare la pena, essere rieducate. Anche solo a tirar fuori dal cassetto questo argomento è considerato da folli in tempi di crisi economica e di insicurezza.
Allora, lo facciamo noi. Se non si fa qui, dove? Proprio in questi momenti di crisi chi è ai margini viene spinto oltre i margini, nel burrone. Che non se ne parli proprio, perché si sa che comporterebbe spese relative alla dignità della vita di un condannato. La politica infatti tace. Deve tacere: si perderebbero dei consensi.
In Parlamento c’è un ambito dove questo capitolo invece non solo è possibile aprirlo, ma è una priorità: ed è l’Intergruppo per la Sussidiarietà, guidato da Maurizio Lupi, e che ha nel suo gruppo promotore personalità di tutti gli schieramenti. Non sono i più buoni e bravi: chi può dirlo? Hanno però fatto “un incontro”, come ha raccontato a un gruppo di universitari di Bologna Paola De Micheli (Partito democratico). E quando si incontra qualcuno in senso forte, cioè umano, si è costretti a guardare il proprio cuore. Viene su il desiderio di giustizia e di verità. Si opera.
Ecco che allora ieri mattina Nicola Boscoletto è venuto da Padova ad incontrare in Roma il senatore Tiziano Treu, l’onorevole Linda Lanzillotta, il segretario dell’Intergruppo Emmanuele Forlani e il sottoscritto. Boscoletto aveva un dossier, ma il vero dossier era lui. Da vent’anni si occupa di prigioni e soprattutto di chi ci vive. Ha impiantato con i suoi amici cooperative, lavoro, rieducazione. Aveva un fuoco dentro. Si chiama passione e commozione per l’umano.
Ha dimostrato che rendere più umana la vita dentro il carcere, consentendo di portarvi dentro del lavoro, e progressivamente allargando gli spazi della società civile e del non profit lì dentro conviene in tutti i sensi. È un risparmio economico (oggi un detenuto costa 300 euro al giorno!) e matematicamente azzera o quasi i casi di recidiva, ciò che comporta un costo sociale altissimo, con conseguenze danno economico misurabile.
Occorre che la politica incentivi o almeno non opprima impeti come quello documentato dalla Rebus (il consorzio di cooperative sociali di cui Boscoletto è presidente). Ci stiamo muovendo. Non importa lo schieramento. Ci sono territori dove ne va la vita. Dove il bipolarismo rusticano deve lasciare lo spazio a un bipolarismo mite, che non vuol dire imbelle. Anzi.
Come vedete nel deserto ci sono sorgenti d’acqua viva.


SCUOLA/ Troppi insegnanti? Non è una novità. Il vero problema è come premiare il merito - Redazione - venerdì 5 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
Le anticipazioni del Rapporto 2009 della Fondazione Agnelli non evidenziano nulla di sorprendente sul mondo insegnanti: che siano troppi, che il rapporto insegnanti-studenti sia tra quelli più elevati in Europa, tutto ciò è già noto, per cui la Fondazione Agnelli non fa che confermare quanto già saputo. Non è infatti uno scoop giornalistico che «nelle scuole statali dal 1951 al 1978 il numero degli insegnanti sia triplicato passando da 240 mila a 732 mila e in seguito, nonostante la contrazione della popolazione studentesca, il trend non si sia arrestato arrivando oggi, nel complesso, a superare abbondantemente il milione di persone». Come non è una sorpresa che «il rapporto tra allievi e insegnanti sia oggi prossimo a 11, al netto dei posti di sostegno, uno tra i più bassi dell'area Ocse», tanto meno c'è da meravigliarsi che«il numero di ore d'insegnamento frontale per docente sia del 10% circa inferiore alla media europea, con classi di dimensioni più piccole e stipendi più bassi del 10%».
Tutto vero, ma tutto noto. La questione seria è come far fronte ad una situazione che rischia di perpetuare per tanti anni ancora l'attuale corpo docente con un lento dimagrimento, oltre al fatto di impedire ai giovani l'ingresso dentro la scuola. Il problema comunque non è vecchi o giovani, ma chi è capace di educare e di istruire e chi invece non lo è. Questo è il dramma della scuola, un dramma che nessuna statistica riesce a rilevare, ma che studenti e genitori conoscono bene e con una precisione che vale più di tante ricerche.
Come fare per uscire da questo tunnel che di fatto ha rallentato il cammino della scuola, causandone di fatto la crisi? È infatti sugli insegnanti che si gioca la qualità della scuola, non certo sui progetti di riforma né sulla ridefinizione delle procedure. La strada c’è, ed è quella di affidare alle scuole la scelta degli insegnanti, una strada cioè di liberalizzazione del sistema, che elimini il ruolo docente e faccia dell'insegnamento una libera professione. Solo in questo modo chi vale – sia vecchio o sia giovane poco importa – insegni; chi invece non lo sa fare, si indirizzi verso un’altra professione. Non è giusto che siano gli studenti a dover pagare l'ignoranza culturale e l'insensibilità educativa di tanti, troppi insegnanti.
Questo è il vero dimagrimento: che insegni chi lo sa fare. Ma avrà l’attuale ministro il coraggio di percorrere l'unica via seria per ridare agli insegnanti il suo valore e alla scuola insegnanti validi? Avrà il coraggio di realizzare ciò che Berlinguer ha messo solo sulla carta, ovvero l’autonomia e la parità scolastica? Chi ama la scuola e chi fa con passione il lavoro di insegnante se lo augura.
(Gianni Mereghetti)


IL GRANDUCATO STA VARANDO UNA LEGGE FAVOREVOLE ALL’EUTANASIA - Parlamentari del Lussemburgo non sostituitevi al Creatore - RINO FISICHELLA * - Avvenire, 5 dicembre 2008
Seguiamo con profonda apprensione quanto sta avvenendo in questi giorni in Lussemburgo, dove il Parlamento sembra apprestarsi a votare la legge sulla depenalizzazione dell’eutanasia e dell’assistenza al suicidio. Di fatto, se questa legge dovesse essere approvata, il Lussemburgo verrebbe a porsi in quella zona d’ombra in cui si sono inseriti quei pochi Paesi europei che hanno accettato la triste sorte dell’eutanasia.
Per paradossale che possa sembrare, a nessuno può sfuggire anzitutto la profonda contraddizione che segna questo passaggio dove, insieme all’eutanasia viene discussa un’altra legge sulle cure palliative. Si tratta, come è noto, di soluzioni in un certo senso opposte. Con le cure palliative, infatti, si cura il malato terminale togliendogli la sofferenza; con l’eutanasia, invece, la medicina viene utilizzata non per curare eliminando il dolore, ma per togliere la vita. È dunque contraddittorio mostrare il volto della pietà con una legge sulle cure palliative e, nello stesso tempo, con una diversa legge sull’eutanasia, mostrare il volto tragico della fine della vita senza la libertà autentica di affrontare l’inevitabilità della morte con vera dignità personale e con la debita assistenza. Da una parte si tende la mano al paziente in stato terminale evitandogli giustamente ogni sofferenza e con l’altra si arma il colpo fatale con l’inserimento dell’eutanasia come soluzione finale. La vita non è un contenuto negoziabile. Essa nonostante qualsiasi legge degli uomini rimarrà sempre fondata su quel principio di indisponibilità che nessuna azione politica può attentare nella sua inviolabilità e sacralità.
L’insegnamento della Chiesa, fondato sulla natura dell’uomo, è stato esplicitato nell’Enciclica Evangelium vitae
di Giovanni Paolo II, quando in proposito ha definito: «Con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale ... La scelta deliberata di privare un essere umano della vita è sempre cattiva dal punto di vista morale e non può mai essere lecita né come fine, né come mezzo per un fine buono».
La Congregazione per la Dottrina della Fede nella sua Nota dottrinale riguardo l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica ha ribadito che: «Quanti sono impegnati direttamente nelle rappresentanze legislative hanno il preciso obbligo di opporsi a ogni legge che risulti un attentato alla vita umana. Per essi, come per ogni cattolico, vige l’impossibilità di partecipare a campagne di opinione in favore di simili leggi né ad alcuno è consentito dare ad esse il suo appoggio con il proprio voto». Questo insegnamento orienta in modo sicuro un parlamentare cattolico che voglia presentare la sua azione politica come ispirata dalla sua fede pur nella legittima autonomia propria delle Istituzioni e della necessaria laicità per il rispetto di tutti. Ogni parlamentare cattolico, pertanto, in coscienza retta deve opporsi con il suo voto a una legge che sostiene la legittimità dell’eutanasia. La libertà del parlamentare nuoce al bene comune quando la sua scelta politica si fonda su un terreno relativista che confonde come lecite tutte le posizioni in nome della libertà individuale.
Vale anche la pena di aggiungere che il parlamentare cattolico in questo caso specifico non può neppure appellarsi al principio del 'male minore', secondo l’insegnamento di
Evangelium vitae.
Questa legge, infatti, non ha alcun valore restrittivo nei confronti di una legge precedente, essendo la prima volta che viene affrontata dal Parlamento del Lussemburgo. D’altra parte, il cittadino cattolico dovrebbe riflettere seriamente nel momento in cui con il suo voto fosse chiamato ad eleggere un parlamentare che ha sostenuto e votato una simile legge che contraddice totalmente l’insegnamento di Cristo e della sua Chiesa, negando nello stesso tempo la legge morale naturale.
Nessuna istituzione parlamentare può nascondersi dietro i sofismi quando è chiamata a legiferare sull’inizio della vita e la sua fine. La dignità della persona, di ogni persona e in qualunque situazione si trovi, soprattutto quando è in stato di maggior debolezza, va garantita e difesa contro ogni tentativo più o meno larvato di compassione per condurla all’eutanasia. Il principio di autodeterminazione a cui spesso qualcuno si richiama va compreso nella sua giusta interpretazione. Esso può sempre e solo essere un atto con cui si sceglie la vita, mai la morte.
Contrariamente saremmo in presenza di una scelta arbitraria che nulla ha da spartire con la libertà.
L’eutanasia, a dispetto della sua semantica ('dolce morte'), è in ogni caso un’azione violenta contro la vita e un atto di sfiducia nel progresso della scienza medica. Talvolta l’appoggio ad essa è determinato dalla mancata comprensione della contraddizione esistente fra l’eutanasia e cure palliative. In ogni caso sarebbe pericoloso e avvilente per un parlamentare rincorrere i vari sondaggi che spesso vengono fatti conoscere strumentalmente e che poca attinenza hanno con la verità. Il sentimento in alcuni casi specifici spesso annebbia la mente e impedisce di dare risposte razionali. Il legislatore, tuttavia, deve saper dare prova di lucidità e lungimiranza sapendo quanto vi è in gioco.
Nessuno può pretendere di diventare arbitro della vita e della morte. Una depenalizzazione nulla toglie al male oggettivo che una simile legge contiene. L’unico emendamento valido può essere solo la sua cancellazione.
Non possiamo che condividere le sagge espressioni del nostro confratello l’Arcivescovo del Lussemburgo, monsignor Fernand Franck, quando ha detto che chi cammina sul sentiero della speranza può solo giungere a una società migliore mentre chi si affida al desiderio della morte apre le porte all’arbitrio e mina le fondamenta del vivere sociale e civile. Nessuno, pertanto, si arroghi il diritto di sostituirsi al Creatore. La vita e la morte appartengono a lui solo.
* Arcivescovo, presidente della Pontificia Accademia per la vita


SCUOLA A TERNI - È lo stesso personaggio che due anni fa, presidente di seggio alle elezioni, contestò la presenza dell’immagine sacra durante le operazioni di voto, minacciando di invalidarle se non fosse stata tolta dalla parete - Studenti contro il prof «Il crocifisso resta lì» - I ragazzi, italiani e stranieri, in rivolta verso l’insegnante che ogni giorno rimuove la croce durante le sue lezioni - DA TERNI ELISABETTA LOMORO – Avvenire, 5 dicembre 2008
C’ è un particolare rituale che precede e conclude le lezioni di italiano nella classe 3°A dell’Istituto professiona­le per i servizi ' Alessandro Casa­grande' di Terni. Non la lettura di un passo della Divina Commedia o dei Promessi Sposi,
ma la rimozio­ne e deposizione nel cassetto della cattedra del crocifisso appeso alla parete. Che rego­larmente torna al suo posto terminata quel­l’ora di lezione. Protagonista di questo ge­sto che, da fine settembre, è divenuto una vera e propria abitudine, come il suono del­la campanella di fine lezione, è Franco Cop­poli, 43 anni, ternano, docente di lettere. Il tutto tra il forte disappunto dei suoi stessi studenti, 16 ragazzi sia italiani che stranie­ri. Riuniti in un’apposita assemblea dedi­cata all’argomento, i ragazzi si sono e­spressamente dichiarati a favore del man­tenimento del crocifisso durante tutte le o­re di lezione. Volontà che hanno manife­stato in un atto formale sia al preside, che ai loro insegnanti, professor Coppoli com­preso, il quale, imperturbabile, continua a togliere e riappendere il crocifisso prima della lezione «in difesa dello Stato laico e pluralista», spiega il docente, e «per dare piena libertà a ogni insegnante di sceglie­re l’ambiente formativo in cui operare» (è lo stesso personaggio che due anni fa, pre­sidente di seggio alle elezioni, contestò la presenza dell’immagine sacra durante le o­perazioni di voto, minacciando di invali­darle se non fosse stata tolta dalla parete). A nulla, finora, sono valse le manifestazio­ni di dissenso del consiglio d’istituto, che al­l’unanimità si è espresso contro l’atteggia­mento del collega, né quelle formalizzate del dirigente scolastico Giuseppe Metasta­sio che ha scelto la linea della fermezza, e di molti altri studenti dell’istituto.
E pensare che nella 3° A sono stati anche i ragazzi stranieri e non cattolici a votare a fa­vore del mantenimento del crocifisso in quanto «fa parte della tradizione e della cul­tura italiana», dichiarano unanimi. Per lo­ro il crocifisso non è esclusivamente un sim­bolo sacro, ma «è soprattutto il fondamen­to di valori come il rispetto reciproco, la di­gnità della persona, la tolleranza, che sono propri di ogni stato libero e democratico». Il loro dissenso deciso, ma che ha mante­nuto sempre toni sereni, sta coinvolgendo l’intero istituto. Spostando un po’ il bari­centro della vicenda sul fatto che non sia­no state ascoltate le loro rimostranze e non sia stata riconosciuta, dal loro insegnante, la volontà dell’assemblea di classe di man­tenere il crocifisso al proprio posto. «Pur ri­spettando l’autorità degli insegnanti - af­fermano altri studenti - non siamo d’ac­cordo su quanto sta accadendo nel nostro istituto». Lo stesso preside Metastasio in u­na sua circolare aveva chiesto agli inse­gnanti il rispetto della volontà degli stu­denti. Ma così non è stato per il professor Coppoli.
«Gli studenti - afferma il dirigente scolasti­co - hanno dimostrato grande maturità e ri­spetto. I loro dibattiti sull’argomento sono stati sempre animati da uno spirito dialet­tico e di confronto, dai toni pacati. Si sono però trovati sempre concordi riguardo alla situazione del crocifisso».
Intanto della vicenda sono stati interessa­ti l’Ufficio scolastico regionale e la Procura della Repubblica alla quale il dirigente sco­lastico ha presentato un formale esposto.
L’Ufficio scolastico regionale, da parte sua, ha acquisito tutta la documentazione ne­cessaria per ricostruire la vicenda e, non appena sarà terminata l’istruttoria, invierà i documenti al ministero dell’Istruzione, cui spetta ogni decisione in merito. Il di­rettore dell’Ufficio scolastico regionale um­bro, Nicola Rossi, ha sottolineato che « il mancato rispetto delle regole va sanziona­to ».
Coppoli, docente di italiano e storia all’istituto professionale per i servizi «Casagrande», contestato anche da preside e consiglio d’istituto. Il dissenso degli alunni in assemblea


ANALISI L’82% dei beneficiari sarebbero nuclei senza figli. Il Forum: «Ecco come rimediare»
«Così il Bonus finisce ai single e non alle famiglie» - Avvenire, 5 dicembre 2008

INSINTESI
1I limiti di reddito fissati dal governo sono ben al di sopra delle soglie di povertà per quanto riguarda singoli e coppie senza figli. Al contrario, per chi ha figli, i limiti di reddito sono al limite della povertà o al di sotto. In questo modo il bonus andrebbe per l’80% a chi non ha bambini.
2La controproposta del Forum delle associazioni familiari riparametra i limiti di reddito in maniera da distribuire le stesse risorse in maniera più equa verso i nuclei con figli che hanno necessità di maggiori sostegni.
Costruito così il Bonus famiglia rischia di rivelarsi un 'bonus single', tutt’al più un 'bonus coppie', ma non certo un aiuto mirato ai nuclei con figli, quelli che più di altri rischiano di finire in sofferenza per i contraccolpi della crisi economica.
Lo sottolinea il Forum delle associazioni familiari che ha compiuto una serie di elaborazioni incrociando le previsioni dello stesso governo, i dati Istat, quelli relativi ai redditi e alle soglie di povertà relativa. Le conclusioni sono riassunte nella tabella 1: se i requisiti di reddito resteranno quelli fissati dall’esecutivo nel decreto, infatti, ben l’82% dei beneficiari del bonus saranno persone singole e coppie senza figli. Le famiglie con bambini, invece, sarebbero appena il 18% dei soggetti interessati, troppo poco per poter definire il provvedimento un 'Bonus famiglia'. Per questo il Forum ha già elaborato anche una controproposta, che sposta il peso del bonus maggiormente verso i nuclei con figli ( tabella 2).
«Non vogliamo aprire una guerra tra poveri o sottrarre risorse ai pensionati – premette Giuseppe Barbaro, vicepresidente nazionale del Forum delle Associazioni familiari –. Ma è evidente che questo bonus, così come è stato pensato, non solo presenta forti limiti strutturali, a partire dalla sua natura di una tantum, ma rischia addirittura di non raggiungere l’obiettivo prefissato, quello cioè di venire incontro ai bisogni delle famiglie.
Occorre ritararne i parametri, i requisiti d’accesso».

A determinare lo squilibrio è un’anomala parametrazione dei requisiti di reddito annuo a seconda dei componenti la famiglia, soprattutto se messa a confronto con la corrispondente soglia di povertà relativa.
Osservando ancora la tabella 1, infatti, si nota come il tetto dei primi due scaglioni (uno e due componenti il nucleo) sia fissato rispettivamente a 15mila e a 17mila euro annui, pari circa al doppio della soglia di povertà corrispondente: 7mila euro per un singolo e 11mila per una coppia.
Per contro, invece, il tetto di reddito annuo degli scaglioni successivi– quelli per le famiglie con 1, 2 bambini – sale di pochissimo e si posiziona appena al di sopra della soglia di povertà.
Addirittura con 3 o 4 figli solo i nuclei già al di sotto della soglia di povertà relativa usufruirebbero del bonus. «La sproporzione è evidente: del bonus possono beneficiare single con redditi doppi rispetto alle soglie di povertà, mentre le famiglie devono essere in miseria per avere accesso ai benefici – commenta Roberto Bolzonaro, presidente dell’Afi, Associazione delle famiglie italiane, che ha materialmente elaborato i dati –. Non si comprende perché si voglia aiutare anche chi se la può cavare, non avendo carichi familiari da sostenere, e si continui invece ad ignorare il grido di aiuto di chi non ce la fa ad adempiere ai propri compiti di cura nei riguardi dei figli».
Non tutto è ancora perduto, però. Il Forum sta prendendo contatto in queste ore con i parlamentari dei tre schieramenti (Pdl, Pd e Udc) per sottoporre loro l’ipotesi di una diversa distribuzione dei parametri di accesso al bonus. Se condivisa, potrebbe essere presentata dagli stessi parlamentari come emendamento al momento della discussione del decreto in Parlamento. La controproposta del Forum, come si può vedere dalla tabella 2, prevede di scalettare in maniera diversa i limiti di reddito, favorendo una migliore distribuzione delle risorse verso le famiglie con figli. Il tutto è compensato abbassando il limite di reddito per 1 e 2 componenti e quindi il numero totale dei beneficiari (da 7.906.000 a 5.900.000). La nuova distribuzione porta ad un impegno per lo Stato di 2 miliardi e 335 milioni di euro, 65 in meno rispetto al decreto originario. Il rapporto dei benefici tra single, coppie senza figli e famiglie con bambini verrebbe riequilibrato a un 40 e 60 per cento. «Il nostro obbiettivo finale rimane il quoziente e abbiamo già proposto un primo intervento di incremento degli assegni familiari e riduzione dell’Irpef attraverso le deduzioni – conclude Giuseppe Barbaro –. Ma occorre fare di più e in maniera strutturale. Lo stesso ministro Tremonti ha sempre sostenuto che gli investimenti dovevano essere scorporati dai limiti imposti al rapporto deficit-Pil. E non c’è investimento sociale più importante di quello della famiglia che cresce ed educa i figli».
Francesco Riccardi Bolzonaro (Afi): non si comprende perché si voglia aiutare anche chi se la può cavare, non avendo carichi familiari da sostenere, e si continui invece ad ignorare il grido di aiuto di chi non ce la fa ad adempiere ai propri compiti di cura nei riguardi dei figli
Le associazioni familiari proporranno ai parlamentari di presentare emendamenti per modificare i limiti di reddito che danno accesso ai benefici In questo modo si potrà riequilibrare la distribuzione delle risorse a favore dei nuclei con bambini


Handicap - Fratelli di disabili, nasce un blog per raccontarsi – Avvenire, 5 dicembre 2008
La Provincia di Milano insieme all’Aias patrocina un sito che raccoglie le riflessioni dei fratelli e delle sorelle E si scopre un universo fatto di relazioni complesse, poco studiate dagli psicologi, in cui accanto a tensioni e gelosie si sviluppano grandi risorse
Il neuropsichiatra Grioni: «Molti ragazzi soffrono perché pensano che i loro genitori li amino meno rispetto a un altro figlio con handicap. Paradossalmente, possono arrivare a invidiarlo perché riceve maggiori attenzioni»
«Sono una mamma di due bimbi, il secondo dei quali disabile. Per noi genitori è un’ulteriore preoccupazione. Non vorremmo che la primogenita ne risentisse: sicuramente crescerà più sensibile e altruista ma ci dispiace che non abbia la spensieratezza tipica della sua età » .
Un post, un commento lasciato da una mamma su un sito internet. Una manciata di parole che esprimono il profondo disagio e le preoccupazioni che accomunano tanti genitori che devono crescere un figlio disabile assieme ad altri figli normodotati. Una situazione fatta di relazioni complesse e poco studiata dagli esperti, che può generare tensioni e situazioni di conflitto tra fratelli, ma anche aprire la strada a esperienze di crescita personale positive.
Talvolta infatti può capitare che i figli sani vengano messi da parte, più o meno consapevolmente, dai genitori.
Perché, quando in casa bisogna assistere un ragazzo disabile, inevitabilmente le cure e le attenzioni si concentrano su quest’ultimo. « Molti fratelli e sorelle di persone disabili soffrono perché pensano di essere meno amati dai genitori – spiega Antonio Grioni, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta – .
Paradossalmente, possono arrivare anche a invidiare il fratello ' fortunato' che riceve maggiori attenzioni » . Situazione che genera conflitti e incomprensioni.
Un tema di cui si è discusso pochissimo: « Finora si era dedicata assistenza e supporto ai genitori che si prendono cura di un ragazzo disabile a carico – aggiunge Grioni –, prestando scarsa attenzione alle necessità dei fratelli » .
Altro rischio è che i fratelli normodotati vengano ingabbiati nel ruolo di ' care giver' sostitutivi dei genitori, e vengano caricati di un’eccessiva responsabilità di cura.
« Questa situazione può essere pericolosa – commenta Roberta Garbo, docente di psicologia e didattica speciale all’Università di Milano- Bicocca –. Il rapporto tra fratelli porta una dimensione relazionale specifica, che può avere impatti positivi per entrambi. La sfida è riuscire a comprendersi e conoscersi in una situazione che, in certi casi, può essere molto difficile da gestire » . Le diverse forme e la gravità dell’handicap infatti possono rendere più o meno complesso gestire i rapporti, anche tra fratelli. Anche il momento del gioco non è poi così scontato se bisogna interagire con un bambino che fatica a muoversi o che risponde in maniera diversa agli stimoli.

Ma come occorre comportarsi per fare in modo che i figli sani vivano in maniera il più possibile positiva la disabilità dei fratelli?
Antonio Grioni e Roberta Garbo non hanno dubbi: nessuna reticenza e nessun tabù. Le parole non dette infatti rischiano solo di peggiorare la situazione. « I bambini si pongono delle domande. Si chiedono, ad esempio, se si tratta di una malattia contagiosa, se sono in qualche modo responsabili della condizione del fratello. Ma non osano chiedere risposte ai genitori per non dar loro dispiacere » , spiega Antonio Grioni.
Occorre che mamme e papà parlino di questa situazione con i propri figli, anche con i più piccoli, utilizzando un linguaggio appropriato.
Una ricetta che vale anche per ragazzi adolescenti e giovani adulti: « Parlare con altre persone che condividono questa situazione, all’interno di gruppi di auto mutuo aiuto, è una modalità molto semplice ma efficace per affrontare questa situazione » , conclude Grioni.
Ma anche forum e siti internet possono essere utili strumenti per confrontarsi. La Provincia di Milano, in collaborazione con Aias ( Associazione italiana assistenza agli spastici) ha da poco dato vita a un blog dedicato a fratelli e sorelle di persone disabili ( http://fratelli-e­sorelle.aiasmilano. it). « Si tratta di uno strumento pensato per raccogliere storie e testimonianze – spiega Stefano Fava, responsabile del progetto – e che ci è servito come base per preparare un convegno sul tema.
Ora ci impegniamo a portarlo avanti, per trasformarlo in uno spazio di discussione e di confronto » .
Ascrivere sul sito sono soprattutto mamme e sorelle.
« Probabilmente perché sono più coinvolte nella cura, gli uomini invece faticano di più ad aprirsi e a parlare di questi temi – commenta Fava –. Altro elemento che è emerso è che molte sorelle di persone disabili hanno scelto di lavorare nel campo dell’assistenza » .
Come ha fatto Patrizia, che sul blog scrive di essere diventata psicologa « probabilmente grazie a mio fratello. Mi viene spesso da pensare ai problemi che posso aver vissuto da piccola – prosegue –. Il senso di impotenza per non poterlo aiutare, senso di abbandono da parte dei miei genitori, paure. Ma a volte si sottovalutano gli aspetti positivi che abbiamo grazie a loro: sensibilità, attenzione ai problemi degli altri, propensione alla cura, voglia di impegnarmi nell’associazione dei familiari e altri » .
Ilaria Sesana