mercoledì 3 dicembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) La Santa Sede contro l'ingiusta discriminazione degli omosessuali - Spiegazione del portavoce vaticano
2) GLI EQUIVOCI SULLA DEPENALIZZAZIONE - UNA BUONA CAUSA NON SI SERVE DI ARGOMENTI PESSIMI - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 3 dicembre 2008
3) A Natale, accendere una candela "per la Chiesa perseguitata" - Iniziativa "Natale 2008" di Aiuto alla Chiesa che Soffre
4) La consacrazione nella liturgia eucaristica - Non formule magiche ma parole efficaci di una Persona viva - di Inos Biffi – L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2008
5) Le liriche di Seamus Heaney e le canzoni di Jacob Dylan - Lo sguardo umile della poesia - di Andrea Monda – L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2008
6) La via regale della conoscenza - di Antonio Mennini – L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2008
7) L'omelia del cardinale Grocholewski al congresso europeo promosso da Ccee-Ceec - Il compito delle scuole cattoliche – L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2008
8) E' nato il Partito "Protagonisti per l'Europa Cristiana": ecco il mio discorso inaugurale di Magdi Cristiano Allam
9) USA/ Il "vivi e lascia vivere" secondo Obama - Lorenzo Albacete - mercoledì 3 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
10) ALITALIA/ Troppi dubbi sul futuro di Cai, una compagnia che sarà grande quanto Swiss - Giuseppe Colangelo - mercoledì 3 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
11) UNIVERSITA’/ Latorre (Università della Calabria): bene il decreto Gelmini, finalmente si premia il merito - INT. Giovanni Latorre - mercoledì 3 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
12) GUARESCHI/ I segreti dell'intramontabile successo letterario e cinematografico di Don Camillo e Peppone - Gianni Foresti - mercoledì 3 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
13) DIBATTITO A PARIGI - Tra i punti-chiave del documento l’illegittimità di qualsiasi comitato di esperti, fosse pure il più autorevole e competente, nel decidere se accettare o meno le richieste estreme di alcuni pazienti - Francia, no all’eutanasia - Commissione di Sarkozy: «Non ci sono eccezioni» - Avvenire, 3 dicembre 2008


La Santa Sede contro l'ingiusta discriminazione degli omosessuali - Spiegazione del portavoce vaticano
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 2 dicembre 2008 (ZENIT.org).- La Santa Sede è contraria alle ingiuste discriminazioni contro gli omosessuali, ha spiegato il portavoce vaticano di fronte alle interpretazioni di alcuni mezzi di comunicazione.
Padre Federico Lombardi S.I. ha emesso una dichiarazione in cui commenta l'opposizione espressa in un'intervista dall'Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, alla proposta presentata dalla Francia di approvare la depenalizzazione universale dell'omosessualità, che potrebbe includere allo stesso tempo l'imposizione del matrimonio omosessuale.
Rispondendo alle domande dei giornalisti, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede ha dichiarato: "Nessuno vuole difendere la pena di morte per gli omosessuali, come qualcuno vorrebbe far credere".
"I noti principi del rispetto dei diritti fondamentali della persona e del rifiuto di ogni ingiusta discriminazione - che sono sanciti a chiare lettere nello stesso Catechismo della Chiesa cattolica - escludono evidentemente non solo la pena di morte, ma tutte le legislazioni penali violente o discriminatorie nei confronti degli omosessuali".
Il numero 2358 del Catechismo della Chiesa cattolica afferma: "Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova".
"Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione", aggiunge il Catechismo.
Secondo il portavoce vaticano, la proposta francese non solo cerca di "depenalizzare l'omosessualità", "ma di introdurre una dichiarazione di valore politico che si può riflettere in meccanismi di controllo in forza dei quali ogni norma (non solo legale, ma anche relativa alla vita di gruppi sociali o religiosi) che non ponga esattamente sullo stesso piano ogni orientamento sessuale può venire considerata contraria al rispetto dei diritti dell'uomo".
"Ciò può diventare chiaramente strumento di pressione o discriminazione nei confronti di chi - solo per fare un esempio molto chiaro - considera il matrimonio fra uomo e donna la forma fondamentale e originaria della vita sociale e come tale da privilegiare", ha spiegato padre Lombardi.
"Non per nulla meno di 50 stati membri delle Nazioni Unite hanno aderito alla proposta in questione, mentre più di 150 non vi hanno aderito - ha concluso -. La Santa Sede non è sola".


GLI EQUIVOCI SULLA DEPENALIZZAZIONE - UNA BUONA CAUSA NON SI SERVE DI ARGOMENTI PESSIMI - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 3 dicembre 2008
Come si difende una buona causa? Usan­do buoni argomenti. Quando si rileva che i fautori di una buona causa usano pes­simi argomenti (o, peggio ancora, equivoci), si ha il dovere di prendere le dovute distan­ze, per non rimanere invischiati in errori i­nammissibili e per non contribuire – anche non intenzionalmente – a diffonderli ulte­riormente. La proposta per la depenalizza­zione dell’omosessualità nel mondo, che la Francia a nome dell’Unione europea sta per presentare all’Onu, è un perfetto esempio di quanto appena detto e bene sta facendo la Santa Sede (nella persona di monsignor Ce­lestino Migliore) a denunciare non la propo­sta in quanto tale, ma le indebite motivazio­ni che la sorreggono. Purtroppo, i principali quotidiani italiani hanno presentato ai loro lettori questa noti­zia in modo assolutamente deformato e so­no in qualche caso perfino arrivati a far in­tendere che la Chiesa, pur di non rinunciare alla sua cieca omofobia, preferisce non por­tare fino in fondo il suo contributo alla lotta contro la pena capitale, che è ancora incre­dibilmente prevista come sanzione per gli o­mosessuali in non pochi Stati del mondo.
Il fatto che la Chiesa abbia orrore per la pe­na di morte e in particolare per quella mi­nacciata e inflitta agli omosessuali è talmen­te ovvio, che il solo ribadirlo è quasi umiliante (e comunque è stato ampiamente ribadito). Il vero punto della questione, che i com­mentatori antipatizzanti e prevenuti non hanno saputo cogliere, non è però il no alla pena di morte per gli omosessuali, bensì un altro. È infatti chiaro che la giustissima cam­pagna contro questo particolare uso della pe­na capitale dovrebbe iscriversi nella più ge­nerale campagna contro qualsiasi pratica pa­tibolare. Ad essa invece si è addebitata anche (o principalmente? il dubbio è legittimo) la funzione di far fare un passo avanti alla teo­ria del 'genere': i veri diritti da riconoscere agli omosessuali non sarebbero quelli che doverosamente vanno riconosciuti a tutti gli esseri umani, ma i particolarissimi diritti del 'genere'.
Ciò che si vuole, in buona sostanza, è porta­re avanti, fino alla definitiva legittimazione, e ai massimi livelli della comunità interna­zionale, l’idea secondo la quale l’identità ses­suale non è un dato biologico, ma il prodot­to di scelte personali, individuali, insindaca­bili e soprattutto meritevoli di riconosci­mento e tutela pubblica (in questo appunto si sostanzia la pretesa del riconoscimento del matrimonio tra omosessuali).
Se così stanno le cose, e mi sembra difficile dubitarne, l’atteggiamento di chi è invitato ad appoggiare la campagna contro la crimina­lizzazione dell’omosessualità non può che condensarsi in un no, un no esplicito, fermo, sereno e 'argomentato'; un no caratterizza­to dalla profonda amarezza di chi deve pren­dere atto di come una battaglia nobilissima come quella contro la pena di morte venga indebitamente strumentalizzata.
Ribadiamolo quindi ancora una volta, con infinita pazienza e senza lasciarci turbare dal­l’esasperazione linguistica, dalle stigmatiz­zazioni e perfino dagli insulti che si rilevano in coloro che sono scesi in campo per stig­matizzare l’arcivescovo Migliore: nulla si to­glie alla dignità e ai diritti delle persone o­mosessuali, negando che la loro sia un’iden­tità di genere, sostenendo (in coerenza con la storia di tutta l’umanità e di tutti i popoli) che il matrimonio è esclusivamente un vin­colo tra uomo e donna, finalizzato a garanti­re socialmente l’ordine delle generazioni. Ri­cordare le violenze subite nella storia dagli omosessuali è doveroso, ma non è argomen­to sufficiente per indurci a ritenere che le pra­tiche omofile (peraltro del tutto lecite, ove si diano tra adulti consenzienti) debbano otte­nere un riconoscimento pubblico, istituzio­nale e giuridico, quale quello coniugale.
È tempo che si chieda a tutti coloro che pro­muovono iniziative internazionali con forti ri­cadute di tipo 'antropologico' (come quelle che coinvolgono le nuove frontiere dei dirit­ti umani) l’onestà intellettuale di non assu­mere atteggiamenti ideologici unilaterali, spesso inutilmente provocatori, e di presta­re attenzione e rispetto a visioni del mondo e dell’uomo, come quella cristiana, che non rappresentano gli interessi di lobby, potenti, ma effimere, bensì il condensato del buon senso umano.


A Natale, accendere una candela "per la Chiesa perseguitata" - Iniziativa "Natale 2008" di Aiuto alla Chiesa che Soffre
ROMA, martedì, 2 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Accendere una candela il giorno di Natale per esprimere sostegno alla Chiesa perseguitata nel mondo è la proposta della campagna "Una luce per la Chiesa perseguitata", lanciata dal Segretariato italiano dell'organizzazione caritativa Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).
Collegandosi al sito www.acs-italia.org è possibile partecipare all'iniziativa, alla quale hanno aderito in pochi giorni già più di 2.000 benefattori. Si potrà richiedere la candela versando un piccolo contributo, che verrà destinato ai progetti ACS di sostegno alla Chiesa perseguitata.
La campagna, spiegano gli organizzatori, "ricorderà i cattolici non solo dei Paesi nei quali testimoniare la fede in Cristo può comportare 'apertamente' la persecuzione e la violenza - come accade in Cina, in India, in Pakistan e in alcuni Stati a maggioranza religiosa islamica -, ma anche tutti coloro per i quali essere cattolici rappresenta, in Paesi meno noti alla cronaca, un elemento 'distintivo' che comporta rischi molto concreti di pressioni e gravi emarginazioni sociali".
La candela-simbolo sarà tenuta accesa da coloro che aderiscono all'iniziativa nel giorno di Natale "affinché - proprio nella solennità della nascita di Cristo Salvatore - i cattolici che possono liberamente professare la propria fede siano vicini nella fede e nella preghiera a tutti coloro che spesso accanto alla gioia della natività, anche quel giorno, patiscono la persecuzione".
Preghiera e unione spirituale con la Chiesa perseguitata sono due degli elementi fondamentali che, uniti alle opere concrete, caratterizzano l'attività di ACS, impegnata per la Chiesa sofferente da oltre 60 anni. L'associazione sovvenziona attualmente progetti in 140 Paesi con i fondi ottenuti dai suoi uffici in 17 Paesi.


La consacrazione nella liturgia eucaristica - Non formule magiche ma parole efficaci di una Persona viva - di Inos Biffi – L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2008
Il concilio di Trento, nel suo insegnamento dogmatico, conserva intatto il suo valore. Si direbbe anzi che oggi risalta ancor più chiaramente la felicità del suo stile essenziale e del suo linguaggio rigoroso nel delimitare i confini della fede cattolica. Ora, secondo quel concilio, "nel divin sacramento della santa Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, il nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente" (Sessione xiii, cap. 1). Viene così affermata l'efficacia delle parole della consacrazione: le stesse pronunziate da Cristo nell'Ultima Cena all'istituzione di questo "mirabile sacramento", "quando - dichiara ancora il Tridentino - dopo la benedizione del pane e del vino, ha affermato con parole esplicite e chiare di dare il proprio corpo e il proprio sangue". Riconoscere, però, una simile virtù alle parole della consacrazione non comporta l'attribuzione alle "parole" come tali di una specie di potere magico, e neppure misconoscere il profondo significato e valore dell'intera anafora della messa. La formula consacratoria è operativa perché colui che la presiede la pronunzia come "vicario" in persona Christi, ossia rappresentando sacramentalmente il Signore, che in ogni celebrazione è l'autore principale: nell'Eucaristia sono presenti in forma sacramentale il Corpo e il Sangue di Gesù, perché anzitutto è Gesù medesimo a presiederla realmente nella figura del sacerdote. Tali parole, quindi, non contengono e non manifestano una loro separata e magica potenza verbale, indipendentemente da Cristo; al contrario, la consacrazione è sempre originariamente e "attualmente" un atto di Cristo, un intervento della sua signoria, che agisce mediante lo Spirito Santo, che è la stessa che nell'Ultima Cena, "creativamente", ha convertito il pane spezzato nel suo Corpo e il vino della coppa nel suo Sangue. Il Decretum pro Armenis, del 1439, dichiarava che "la forma di questo sacramento sono le parole del Salvatore, con le quali egli istituì questo sacramento: infatti il sacerdote compie questo sacramento parlando a nome di Cristo". Se non si comprende questa presenza sacramentale di Gesù in ogni consacrazione eucaristica, si continuerà sia a non capire il principio e la ragione della conversione "mirabile e singolare", sia a misconoscere il senso e la portata delle parole della consacrazione, sia a parlare vanamente di loro proprietà appunto magiche; di conseguenza, col pretesto di mettere in risalto l'intera anafora, si continuerà a misconoscere il ruolo unico che tanto la dottrina quanto la prassi della Chiesa hanno riconosciuto a questa parte della stessa anafora e alle parole del Signore che vi sono incluse.
Senza dubbio, l'anafora non va frammentata e va tutta valorizzata come un'interpretazione dei vari aspetti del mistero eucaristico e quasi come indice del suo progressivo avvenire e quindi della sua irradiazione. Anzi, lo stesso momento consacratorio, a cui viene riconosciuta la "genesi" dell'Eucaristia, va intimamente collegato col rendimento di grazie prefaziale, con la memoria dei mirabilia Dei in esso rievocati, con l'invocazione dell'azione transustanziante dello Spirito di Cristo, con l'anamnesi e l'offerta, con le intercessioni e la dossologia finale. Ma la sensibilità all'intimo nesso che lega i diversi tratti della "prece eucaristica" non pregiudica affatto l'importanza singolare della consacrazione.
Oggi non mancano liturgisti, eruditi sì in anafore, ma di spessore teologico piuttosto modesto, i quali contestano sant'Ambrogio e i suoi seguaci per aver parlato delle "parole efficaci (sermo operatorius)" di Gesù Cristo come causa della conversione eucaristica.
Veramente dovrebbero incominciare a contestare san Giustino, nel quale troviamo l'espressione: "nutrimento consacrato con la preghiera di ringraziamento formata dalle "parole di Cristo"". In ogni caso, il riconoscimento di questa efficacia è insegnamento tradizionale nella Chiesa, reso evidente anche nei gesti di adorazione che conseguono la consacrazione, e in altri richiami luminosi o sonori che la preparano o l'accompagnano, nella persuasione che proprio alla consacrazione, di cui l'epiclesi stessa è un aspetto, è dovuta la transustanziazione e quindi la presenza del Corpo e del Sangue del Signore.
Certo, con la riforma liturgica l'anafora, ad alta voce o in canto, può essere più chiaramente compresa, e più attivamente partecipata, da tutta la comunità celebrante; ma non è per ciò stesso perentoriamente decaduta la convenienza, o l'opportunità, che permangano dei segni a ricordare, quasi a risvegliare l'attenzione, sull'importanza unica del "centro vitale dell'Eucaristia", come lo chiama Josef Andreas Jungmann, ossia del momento consacratorio e di quanto ad esso si connette.
(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2008)


Le liriche di Seamus Heaney e le canzoni di Jacob Dylan - Lo sguardo umile della poesia - di Andrea Monda – L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2008
Chissà se Jacob Dylan ha mai letto Seeing Things, la bella raccolta di poesie di Seamus Heaney del 1981? La domanda non è retorica e propende per il sì: l'indizio che spinge verso questa ipotesi scaturisce dal titolo dell'ultimo album musicale pubblicato dal giovane cantautore (figlio del più celebre Bob), che è proprio, guarda caso, Seeing Things, "veder cose" si potrebbe tradurre, e così infatti s'intitolava l'edizione italiana della raccolta di Heaney, ma l'espressione vuol dire anche "avere delle visioni". È bella in questo caso la ricca ambiguità della lingua inglese, perché viene da pensare che le due cose coincidano, veder cose e avere visioni, e comunque questa è la stoffa con cui è tessuta la poesia, un fatto di "vista". Sul duplice senso di questo seeing things si è soffermato di recente il critico letterario de La Civiltà Cattolica, il gesuita Antonio Spadaro, osservando come "la densità di visione è tipica dell'ispirazione creativa di cui l'uomo ha bisogno per vivere appieno la sua vita (...) in questo senso ogni oggetto può diventare un'opera d'arte nel senso che è reso tale dallo sguardo di chi lo contempla". Importante, per il critico messinese, è però che lo sguardo sia "fresco", cioè creaturale, primigenio. Viene in mente la lirica di Borges dedicata al mare, quel "violento e antico essere che rode i pilastri della terra (...) Chi lo guarda lo vede per la prima volta, sempre. Con lo stupore che le cose elementari lasciano". Ma per vedere il mondo come se fosse la prima volta, bisogna tenere gli occhi ben aperti. È lo sforzo che si intuisce latente in molte delle dieci nuove canzoni di Jacob Dylan, lo sforzo di ripulire le nostre finestre o comunque di spalancarle: Got my window open wide canta in Something Good This Way Comes, piccolo inno dedicato alle felicità più semplici della vita la cui "morale" è appunto che se ampliamo il nostro sguardo allora potremmo cogliere l'avvento di "qualcosa di buono". E questo "avvento" accade nelle cose più consuete, come nel vedere "le strade riempirsi nella penombra del sole d'estate", quel sole che, nell'ultima canzone, "ha baciato i limoni del cimitero qui sotto" e che permette di see clear at last, di vedere finalmente chiaro, anche se è un vedere "da questa parte del telescopio" (The end of the telescope è il titolo di questa ultima bella ballata), come a voler significare che la realtà può anche essere incandescente e a volte c'è bisogno di un mezzo per evitare di bruciarsi. È un disco pulito e onesto questo del giovane Dylan, che ha il suo pregio appunto nella ferialità del verso, nel suo sguardo verso l'ordinario, teso ad ammirare le cose elementari di cui parla Borges e di cui ha cantato a suo tempo Heaney nell'omonima raccolta perché, come scrive Gilberto Sacerdoti nell'introduzione, se da una parte la veggenza è senz'altro "l'attributo supremo della più alta poesia", è pur vero che "per Heaney la veggenza coincide con la visione delle cose stesse" e la descrizione coincide con la rivelazione. In questo senso il poeta irlandese premio Nobel per la poesia nel 1995 è un seguace di Words-worth in quanto, ricorda sempre Sacerdoti, "ha preso delle cose di ogni giorno, le ha spellate della pellicola di familiarità che normalmente le ricopre, e mediante una descrizione del naturale e dell'ordinario è riuscito non soltanto a suscitare un sentimento analogo al soprannaturale, ma anche a mostrare le radici saldamente naturali del sentimento del soprannaturale". Strani tipi di "veggenti", Heaney nel 1981 e, oggi, Jacob Dylan; entrambi tesi a cogliere quel mistero a cui accennava paradossalmente Oscar Wilde, racchiuso non nell'invisibile ma nel visibile, entrambi capaci di compiere quel rovesciamento di cui parlava un altro maestro del paradosso come Chesterton quando ricordava l'immagine dickensiana del Moreeffoc, questa parola immaginaria che però si può trovare un po' dappertutto perché è l'insegna di un Coffee-room vista però dall'interno, attraverso una porta vetrata e che Chesterton, associandola all'umiltà, usava per designare la bizzarria di cose che sono divenute ovvie, quando le si scorga, all'improvviso, da un altro punto di vista. In effetti per vedere le cose "da un altro punto di vista", bisogna compiere la "capriola dell'umiltà", fare come il Poverello d'Assisi e mettersi a testa in giù, per riscoprire e cantare la meraviglia del mondo creato. L'umiltà è la forza più rivoluzionaria che esista. Da questo punto di vista aveva ragione Davide Rondoni quando commentando la raccolta di poesie dell'irlandese, di cui elogiava il titolo così "evocativo", affermava che "Il viaggio di Heaney è all'insegna di una forza tranquilla ed eversiva. Tranquilla nel senso che il suo veder cose persuade il lettore non con l'astuta retorica o con la trovata del mago ma con la naturalezza della sorpresa. (...) Eversiva proprio perché il gesto di legame con il mondo è assoluto. E lo sguardo che raggiunge le cose non muove da una pozza di risentimento o di astio verso l'esistenza. (...) La forza tranquilla ma eversiva di Heaney risiede nella non messa in discussione della appartenenza del mondo alla paternità divina".
(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2008)


La via regale della conoscenza - di Antonio Mennini – L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2008
Consentitemi, in quest'occasione, di accennare brevemente ad alcune linee-guida presenti nel pensiero di Benedetto XVI, che mi sembrano ben esemplificate nel suo recente discorso a Parigi, al Collège des Bernardins, in una continuità culturalmente e pedagogicamente sorprendente con i discorsi di Ratisbona (la ragione come punto di incontro per tutti gli uomini) e all'università La Sapienza di Roma (la fede come compimento della ragione, così che il Papa ha potuto presentarsi come custode della verità, presentando nello stesso tempo la verità non come un discorso astratto o teorico, ma come un'esperienza verificata nei secoli); rispetto a questi due primi passi, su ragione/fede/esperienza, a Parigi l'esperienza della fede è stata poi esemplificata in maniera paradigmatica con la vicenda del monachesimo. A questo proposito, vorrei anzitutto accennare al fatto che questo insistere sullo spessore concreto della verità come esperienza integrale (non si dimentichi che in russo la verginità, caratteristica del monachesimo, è chiamata appunto "sapienza integrale"), è molto vicino alla sensibilità orientale. In Vladimir Solov'ëv, ad esempio la conoscenza per fede viene presentata come via regale della conoscenza, dove l'espressione "via regale" richiama esplicitamente la vita monastica e la sua caratteristica principale, che è quella di portare l'uomo ad abbandonare la dissipazione per unirsi a Dio solo, "così che l'uomo che vuole conoscere la realtà in tutte le sue sfaccettature ma senza dissipazioni, vizi, eccessi, fantasie o vani pensieri deve seguire non la via privata, tortuosa e pericolosa delle proprie opinioni, ma quella già tracciata, che porta direttamente al Signore della realtà e che nella sua signoria ritrova tutto". A partire dalla formula Quaerere Deum, sintetica dell'esperienza monastica sia in Occidente, come l'ha descritta il Papa al Collège des Bernardins, sia nell'Oriente cristiano, Benedetto XVI riprende sovente il tema della creazione artistica e della bellezza in termini di rapporto tra "fatto cieco" e "fatto che, esso stesso, è Lògos" ("La novità dell'annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, bensì un fatto che, esso stesso, è Lògos - presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est [Giovanni, 1, 14]: proprio così nel fatto ora c'è il Lògos, il Lògos presente in mezzo a noi. Il fatto è ragionevole"). Direi che quest'ultimo aspetto è oggi di fondamentale importanza, se si pensa all'insensatezza e alla disperazione dominanti nella cultura postmoderna che, in un'epoca di globalizzazione qual è la nostra, caratterizza sia l'Europa e l'Occidente sia, ormai, in larga parte anche la Russia. Alla luce di questo si comprende bene perché Benedetto XVI abbia voluto dedicare le sue due prime encicliche all'Amore di Dio e alla Speranza, rimettendo l'uomo davanti alla domanda che Cristo rivolse ai primi due discepoli: "Che cosa cercate?" (Giovanni, 1, 38) - una domanda che traduce l'immensità del desiderio umano. La speranza che Benedetto XVI propone ai suoi ascoltatori, e oggi ai suoi lettori, la speranza cristiana, non è altro che la speranza del desiderio umano preso sul serio nella sua radice profonda, nel suo potente dinamismo che urge l'infinito. L'appello di Benedetto XVI ad "allargare la ragione", ad "allargare il desiderio", costituisce una sfida a verificare se la proposta del Cristo, vivo e presente nella sua Chiesa, risponde alla sete eterna dell'uomo - per dirla come Cesare Pavese "ciò che l'uomo cerca nei piaceri è un infinito e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di conseguire questa infinità". Ed è solo la nostra libertà, la libertà della singola persona, misurandosi in un dialogo serrato e franco con la persona di Cristo, che può trovare la risposta vera. Da cui dipende la nostra felicità. E forse il futuro stesso del mondo.
(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2008)


L'omelia del cardinale Grocholewski al congresso europeo promosso da Ccee-Ceec - Il compito delle scuole cattoliche – L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2008
Roma, 2. Rafforzare il ruolo delle scuole cattoliche in Europa quali strumenti per l'evangelizzazione e il dialogo. Su questo, ma anche sul problema del decremento delle iscrizioni negli istituti, si sono concentrate le analisi dei partecipanti al congresso internazionale sul tema "La scuola cattolica nello spazio pubblico europeo", conclusosi oggi a Roma. L'incontro è stato promosso dal Consiglio dalle Conferenze Episcopali d'Europa (Ccee), in collaborazione con il Comitato Europeo dell'Insegnamento Cattolico (Ceec) e il sostegno della Conferenza episcopale italiana. In particolare, il prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, cardinale Zenon Grocholewski, nell'omelia durante la messa celebrata al congresso, ha sottolineato che il compito delle scuole cattoliche è quello di "indicare il Cristo presente nel nostro tempo e nella nostra storia". "La liturgia odierna ci ricorda che tutta l'esistenza dell'uomo - ha commentato il cardinale - è protesa all'incontro con il Cristo, con il Signore e con la pienezza di vita che Egli ci dona". Riferendosi al periodo dell'Avvento, il prefetto ha aggiunto che esso "ci prepara a celebrare il Natale storico del Signore, ma ci spinge ancor più a guardare con serena fiducia l'avvento definitivo di Cristo e la realizzazione piena del Regno". Focalizzando poi la sua riflessione sul tema del congresso, il porporato ha aggiunto che "il tempo di Avvento ci presenta due figure che possono essere emblematiche dell'agire in tal senso: Maria e Giovanni il Battista. Maria ha accolto la Parola di Dio, il Cristo fatto carne, e lo ha donato al mondo. Giovanni, voce di uno che grida nel deserto, lo ha indicato presente nel mondo". Il cardinale ha quindi aggiunto: "Questo è il compito di ogni credente, la missione della Chiesa, il compito di ogni istituzione educativa cattolica: indicare il Cristo presente nel nostro tempo e nella nostra storia". Secondo il cardinale, infatti, "le nostre istituzioni scolastiche cattoliche sono spesso oggi l'unico luogo dove molti possono sentir parlare di Cristo, dove possono incontralo nella cultura, nell'arte, nella letteratura, in quello che di bello, di grande il Suo messaggio, il Vangelo, ha prodotto in Europa". E per questo ha concluso il porporato, ai giovani che vivono momenti di difficoltà e di sofferenza di fronte alle prove della vita "la scuola e l'educazione cattolica devono parlare di Cristo, perché anche loro possano sentire il bisogno di incontrarlo". La cattolicità delle scuole - è stato dunque ricordato nei lavori - consiste nella testimonianza del Vangelo, tramite l'amore cristiano: si tratta di una missione resa ancora più necessaria dalla profonda secolarizzazione delle società in atto nel continente europeo. Una secolarizzazione che peraltro sta incidendo concretamente anche sulla dimensione quantitativa degli stessi istituti di educazione: infatti è emerso che, mentre il numero degli alunni delle scuole cattoliche nel resto del mondo cresce, in Europa invece registra un forte calo. Come ha sottolineato il vescovo ausiliare di Vrhbosna, Sarajevo, Pero Sudar, presentando a tale proposito alcuni dati, nei 30.754 istituti nel continente erano iscritti, tre anni fa, 7.514.365 alunni. Oggi, gli alunni sono calati a 7.317.843, dei quali quasi la metà, 3.378.378, studiano in Francia e in Spagna. Inoltre, le scuole cattoliche nelle nazioni europee, ex comuniste, sono frequentate soltanto da 196.522 allievi. Di fronte a questo scenario, è stato osservato, "essendo le scuole un mezzo privilegiato in cui si elabora e si trasmette una speciale concezione del mondo, dell'uomo e della storia", l'obbligo da parte delle Chiese particolari di aprire nuovi istituti, diventa ancora più urgente. Per questo, è stata l'analisi, di monsignor Sudar, "il bisogno della Chiesa di servirsi di questo validissimo strumento per svolgere la propria missione nel mondo, certamente non è venuto meno. Al contrario - ha aggiunto il presule - il richiamo a non lasciarci scoraggiare dai tentativi di emarginazione dei valori spirituali vale, in modo particolare, proprio per le scuole cattoliche". Un pensiero questo, che era stato ribadito anche dall'arcivescovo di Birmingham, Vincent Gerard Nichols, presidente della commissione catechesi, scuola e università della Ccee, nella sua relazione di apertura dei lavori, evidenziando che "in quanto persone impegnate per la verità della persona umana espressa in Cristo, abbiamo un contributo fondamentale da offrire". L'impegno poi deve essere profuso altresì a mantenere il ruolo fondamentale dell'insegnamento della religione nelle scuole. È quanto hanno specificato i partecipanti, riflettendo sull'analisi emersa da una ricerca illustrata dal segretario generale del Ceec, Etienne Verhack, nella quale risalta l'estrema diversità dei sistemi educativi e delle relative ore assegnate nello spazio didattico riservato alla religione, in base alle molteplici caratteristiche socio-culturali di ogni Paese. Dalla ricerca peraltro si evince la necessità di adeguare strutture e programmi didattici alla nuova realtà del multiculturalismo, ovvero la presenza crescente di alunni non cattolici nelle scuole cattoliche. Da qui, l'attenzione all'importante ruolo delle scuole anche come strumenti di dialogo. Come ha affermato monsignor Sudar "ci vuole un impegno audace e mirato delle scuole cattoliche che per loro natura sono chiamate a educare alla cultura della comunione e a una fraterna convivenza con gli altri popoli al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra". I valori, ha spiegato il presule, quali la riconciliazione, l'amore per i prossimo, il rispetto delle differenze, sono intrinseci all'educazione cattolica, perché sono intrinseci al messaggio di Gesù. Il vescovo ha concluso: "Nel mondo sempre più ateo, l'identità cattolica non si contrappone, ma suppone le altre identità religiose. Dare spazio all'identità religiosa dei non cattolici nelle scuole cattoliche, non significa compromettere o indebolire quella dei cattolici. Al contrario. L'identità cattolica nello spazio pubblico europeo, viene confrontata e messa alla prova giorno per giorno". E ancora ha detto il presule: "Con questo tipo di accoglienza le scuole cattoliche diventano, tra l'altro, quell'auspicabile mezzo per proporre la tradizione cristiana a quanti ne sono lontani". Per rendere più concreta la riflessione è stata indicata quale positiva esperienza quella delle cosiddette "Scuole per l'Europa" sorte a Sarajevo durante la guerra nei Balcani. Monsignor Sudar ne ha illustrato le finalità: nelle scuole c'è libertà di praticare la religione e gli alunni hanno solo l'obbligo di frequentare una lezione di "cultura religiosa", nella quale vengono spiegate le differenze e le affinità delle religioni presenti in Bosnia ed Erzegovina. In quattordici anni di esistenza in un ambiente postbellico e poco tollerante, è stato precisato, non si è verificato nessun caso di intolleranza motivato dalla diversità etnica o religiosa degli alunni. Anzi, il numero degli alunni frequentanti le scuole, in tredici anni, è salito da 420 a 4.500. Il programma scolastico vigente negli istituti tende a sottolineare, prima e soprattutto, l'importanza dell'educazione. Tutte le discipline vengono concepite in vista dei valori fondamentali che, aggiunge monsignor Sudar, "in ultima analisi, sono comuni alle grandi religioni". Gli allievi sono, tra l'altro, obbligati a frequentare l'insegnamento della storia delle religioni, che mira a far comprendere il ruolo positivo del credere umano nell'aldilà e del contributo della religione alla storia dell'umanità. Per il presule infine: "Lasciando ai genitori e agli alunni delle scuole superiori la libertà di scegliere tra l'insegnamento della religione cattolica, ortodossa e islamica da una parte ed etica dall'altra, le nostre scuole non promuovono il sincretismo, ma mettono in pratica il comandamento "Ama il prossimo tuo come te stesso" (Luca 10, 27), che significa muoversi per primo per riconoscere e rispettare tutto ciò che significa la sua identità".
(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2008)


E' nato il Partito "Protagonisti per l'Europa Cristiana": ecco il mio discorso inaugurale di Magdi Cristiano Allam
Il programma transitorio di un nuovo soggetto politico si fonda sulla centralità dei valori e della dignità della persona. L'appello a tutti gli italiani di aderire per contribuire alla riforma etica dell'Italia e dell'Europa
autore: Magdi Cristiano Allam
Cari italiani, cari amici,
è con immensa gioia che vi annuncio la nascita del Partito Protagonisti Per l’Europa Cristiana.
Al pari della scelta di amare l’Italia e dell’orgoglio di sentirmi cittadino italiano, al pari del dono della fede cristiana e del regalo più bello che la vita potesse riservarmi, ricevere il battesimo dalle mani del Vicario di Cristo, il Papa Benedetto XVI, considero il Partito Protagonisti Per l’Europa Cristiana una scelta personale e un dono del Signore.
Sin dall’età di quattro anni, quando grazie a un’opportunità offertami dalla Divina Provvidenza cominciai a frequentare il collegio delle suore comboniane e poi dei salesiani in Egitto, il mio Paese natale, nutrivo una istintiva e profonda passione per la politica. Da subito mi sono sentito pienamente coinvolto nella mia anima e nella mia mente in una dimensione di impegno etico personale e collettivo finalizzato al perseguimento della verità sul piano della conoscenza, del bene comune sul piano dei valori e dell’interesse generale sul piano dell’azione. Erano gli anni Cinquanta e Sessanta della dittatura di Gamal Abdel Nasser, dei nefasti veleni della predicazione della distruzione dello Stato di Israele, che mise in moto un mostro ideologico di odio, violenza e morte che disconoscendo il valore fondante della nostra umanità, il valore della sacralità della vita, si è man mano ritorto contro tutti, contro gli ebrei, contro i cristiani e infine contro gli stessi musulmani.
Successivamente, dopo il mio arrivo in Italia nel 1972 per proseguire i miei studi nell’Università La Sapienza di Roma dove mi sono laureato in Sociologia, ho sperimentato la stagione calda della rivolta studentesca e dell’euforia ideologica di un comunismo internazionalista e terzomondista, che cominciò a picconare dall’interno i pilastri della civiltà cristiana dell’Italia e dell’Europa. L’opera di sgretolamento della struttura portante della nostra civiltà europea cristiana è proseguita con la crescita e il dilagare in seno all’insieme della società laica e liberale, persino in seno alla società cattolica e alla stessa Chiesa, di una profonda crisi dei valori e dell’identità.
Cari italiani, cari amici,
nella consapevolezza che la nostra Europa è in preda ad una deriva etica che si alimenta di una concezione materialista e consumista della vita; così come è prigioniera di una malattia ideologica naufragata nel nichilismo, relativismo, islamicamente corretto, buonismo, laicismo, soggettivismo giuridico, autolesionismo, indifferentismo e, sul piano più ampio della gestione sociale, nel multiculturalismo;
verificando giorno dopo giorno che questa Europa è destinata ad un inesorabile suicidio per il predominio a livello globale sul piano economico di un capitalismo selvaggio senza regole etiche e diritti umani che ha paradossalmente il suo paradigma nel regime della Cina comunista; in aggiunta alla crescente sottomissione sul piano dei valori e dell’identità all’arbitrio dell’estremismo islamico che strumentalizzando una concezione formale delle leggi, dei diritti, della democrazia e del dialogo ci costringe a subire la violazione dei principi basilari della civiltà europea cristiana e della nostra comune umanità; chiarendo che noi vogliamo convivere pacificamente e costruttivamente con i musulmani come persone, nel rispetto delle regole che valgono per tutti, ma non vogliamo essere costretti ad accettare l’islam come religione, Maometto come profeta e a legittimare la sharia come legge riconosciuta dal nostro stato di diritto;
il Partito Protagonisti Per l’Europa Cristiana si assume la storica missione di riscattarci sul piano personale e collettivo proclamando uno stato di emergenza etica, che consideri come priorità nazionale italiana e comunitaria europea la riscoperta, l’adesione e la difesa della nostra comune civiltà europea cristiana.
La civiltà europea cristiana è il contesto che rappresenta correttamente la verità storica delle radici giudaico-cristiane di un modello complessivo di civiltà che, recependo e assimilando ciò che di positivo e costruttivo è insito nel pensiero greco, romano, laico e liberale, ha consentito all’Europa di emergere come Nazione civile e prospera, custode dello stato di diritto e della democrazia, nonché promotrice dello sviluppo economico nell’insieme del mondo. L’Europa cristiana è pertanto essenzialmente il contesto di chiarezza e di certezza dei binomi indissolubili di Fede e Ragione, Libertà e Verità, Valori e Regole, che tutelano le persone di buona volontà che oggi sentono forte dentro di sé la necessità di acquisire una concezione etica della vita, per poter ridefinire qualitativamente l’insieme del proprio modello esistenziale e di progresso, indipendentemente dalla propria fede, cultura ed etnia, siano essi credenti o no, cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, induisti, europei, orientali, americani o arabi. Proprio perché siamo animati da un autentico amore per il prossimo, chiunque esso sia, oggi più che mai siamo consapevoli che per poter elargire amore dobbiamo innanzitutto amarci, riconciliandoci con noi stessi e riscattando la nostra anima dal baratro della deriva etica.
La missione del Partito Protagonisti Per l’Europa Cristiana è di colmare il baratro tra materialità e spiritualità in un mondo globalizzato soltanto nella dimensione materiale della modernità ma che è in conflitto sui valori e le regole della spiritualità della modernità, realizzando un’Italia, un’Europa ed una Umanità di benessere, giustizia e pace a misura d’uomo, fondati su:
- il primato dei diritti fondamentali dell’uomo e dei valori non negoziabili che sostanziano l’essenza della nostra umanità;
- la fede nella sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale;
- la considerazione della dignità della persona come il fondamento della civile convivenza;
- il rispetto della libertà di scelta a partire dalla libertà religiosa;
- il perseguimento del bene comune e dell’interesse generale;
- l’adesione alla verità che si fonda sui fatti oggettivi, assoluti e universali;
- la centralità della famiglia naturale nella costruzione sociale;
- il rispetto per l’autorità morale;
- il dovere dell’informazione oggettiva e responsabile;
- la salvaguardia della democrazia e del diritto sostanziale;
- l’indissolubilità di diritti e doveri;
- l’inviolabilità delle regole etiche, comuni e condivise;
- la garanzia della sicurezza personale e collettiva;
- il liberalismo economico e la solidarietà sociale;
- la sussidiarietà e la meritocrazia;
- la tutela e la valorizzazione dell’ambiente quale patrimonio dell’umanità.
Il Partito Protagonisti Per l’Europa Cristiana è portatore di una riforma etica qualitativa dell’insieme del nostro modello di progresso economico, dell’organizzazione sociale e della stessa concezione della felicità, che mette al centro la dignità della persona, affinché la materialità sia al servizio della persona e non viceversa la persona schiava della materialità, facendo prevalere la dimensione dell’ “essere” anziché quella dell’ “avere”. E’ in questo contesto che il nostro Partito propone delle soluzioni concrete ai problemi reali della gente sul piano economico, sociale e politico, dalla famiglia alla scuola, dalla salute al lavoro, dalla religione alla comunicazione, dalla democrazia alla sicurezza, dall’ambiente all’energia, dal turismo ai trasporti, dall’immigrazione all’integrazione.
Il Partito Protagonisti Per l’Europa Cristiana promuoverà un processo di formazione culturale, etica e politica affinché ciascuno di noi possa diventare Protagonista di Verità e Libertà, il binomio indissolubile che sostanzia il fondamento della civiltà europea; per ergersi a Testimone di Fede e Ragione, il binomio indissolubile che sostanzia il fondamento della civiltà cristiana; ed affermarsi come Costruttore di Valori e Regole, il binomio indissolubile che sostanzia la via del riscatto dalla deriva etica per realizzare la comune civiltà dell’uomo.
Cari italiani, cari amici,
- se anche voi sentite forte la necessità di mettere i valori e le regole al centro del percorso personale e collettivo in Italia, in Europa e nel Mondo;
- se anche voi volete partecipare in modo consapevole e responsabile a liberare il Tempio della politica, dell’economia, della cultura e della religiosità autentica da tutti i mercanti che ci hanno ridotto alla stregua di “cose” da sfruttare e poi abbandonare;
- se anche voi siete consapevoli che l’amore per il prossimo e la pace con le persone di buona volontà, che consideriamo il fulcro della civiltà dell’Europa cristiana, potranno essere realizzati con un dialogo sincero e costruttivo che non sia fine a se stesso, bensì fondato sul rispetto dei diritti umani assoluti e universali e la condivisione dei valori non negoziabili, perseguendo il traguardo del bene comune e dell’interesse generale;
- se anche voi ritenete che sia arrivato il tempo di andare oltre la denuncia di tutto ciò che attorno a noi non va, di porre fine alla deresponsabilizzazione che ci porta a delegare ad altri il compito di risolvere da soli i problemi di tutti, di impegnarci a fondo e in prima persona per costruire insieme un’alternativa etica e realistica, ebbene
Aderite al Partito Protagonisti Per l’Europa Cristiana!
Cari italiani, cari amici, Coraggio! Costruiamo insieme la Civiltà di Verità e Libertà, Fede e Ragione,
Valori e Regole!
Cari italiani, cari amici, Sì, noi siamo i Protagonisti e ce la faremo!
Magdi Cristiano Allam


USA/ Il "vivi e lascia vivere" secondo Obama - Lorenzo Albacete - mercoledì 3 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
L’approvazione in California della Proposta 8, che dichiara illegale il matrimonio gay, è uno dei pochi argomenti sfuggiti al monopolio rappresentato dalle notizie sulla crisi finanziaria e sulla formazione del governo di Obama. I sostenitori del matrimonio gay hanno organizzato in tutto il Paese manifestazioni in appoggio degli sforzi legali per invalidare i risultati della votazione e sembrerebbe che la Proposta 8, se messa ai voti oggi, verrebbe sconfitta.
I sostenitori del matrimonio gay sanno di avere di fronte una strada difficile per superare l’opposizione di una considerevole maggioranza di americani. Se si esclude una regolamentazione da parte di una Suprema Corte più progressista (con i nuovi giudici nominati dal presidente Obama), la battaglia per il matrimonio gay deve essere combattuta stato per stato. Per questo la sconfitta in California, dove un grande numero di elettori è progressista, è stata così sconfortante.
Ora come ora, solo due stati approvano il matrimonio tra lo stesso sesso, Massachusetts e Connecticut. Perfino nello stato di New York, dove il parlamento statale è in mano ai democratici e il governatore è un fermo sostenitore del matrimonio gay, i risultati della votazione in California hanno convinto molti deputati a muoversi con cautela prima di sollevare la questione.
Uno dei risultati di maggior interesse della votazione californiana è il rifiuto del matrimonio gay da parte degli afro-americani che, come ci si aspettava, hanno comunque votato per Obama. Anche la maggioranza degli ispanici ha votato per Obama e contro il matrimonio omosessuale, ma questo era stato previsto da molti osservatori a causa della retrostante cultura cattolica. Nel caso degli afro-americani, i sostenitori del matrimonio gay avevano tentato di porlo in termini simili alla negazione dei diritti civile ai neri americani, con particolare evidenza alle leggi che proibivano il matrimonio interrazziale. Questa strategia, comunque, sembra essere fallita.
Il 70% dei votanti neri in California ha votato per rigettare il matrimonio gay e al loro interno, le donne hanno votato contro in una proporzione quasi doppia rispetto agli uomini. Si dice che il risultato è stato influenzato dal grande numero di afro-americani che vanno in Chiesa, soprattutto le donne e i loro bambini. Le loro opinioni sulle questioni morali coincidono quasi totalmente con quelle dei Repubblicani e tuttavia, dato il conservatorismo economico di questi ultimi, votano per il Partito Democratico.
È stato consigliato a chi propone il matrimonio gay di smettere di presentare la propria causa come una continuazione del movimento per i diritti civili, di evitare di trovare argomentazioni religiose e cercare invece un appoggio per “accettazione senza approvazione”, richiamandosi così all’atteggiamento americano del “vivi e lascia vivere” come strumento per promuovere una diversità senza conflitti. Questa è esattamente la posizione del presidente eletto Obama.


ALITALIA/ Troppi dubbi sul futuro di Cai, una compagnia che sarà grande quanto Swiss - Giuseppe Colangelo - mercoledì 3 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
Da più di una settimana è stato raggiunto l’accordo definitivo tra la Cai e il Commissario Straordinario dell’Alitalia sull’acquisto da parte della prima di alcuni attivi della seconda, pagati a prezzi di mercato.
Abbiamo appreso che la Cai rileverà 93 aerei Alitalia, i più nuovi e moderni, di cui 64 in proprietà e 29 in leasing, potrà contare sull’intero parco slot e sul marchio della vecchia compagnia di bandiera. Per questi attivi verranno pagati 1,052 miliardi di euro, di cui però solo 100 milioni in cash (ancora non pagati), mentre per il resto si tratta di accollo debiti.
Sul fronte dei lavoratori, Cai si è impegnata ad assumere 12.500 unità di personale a tempo pieno di cui 1.550 piloti, 3.300 assistenti di volo e 7.650 tra impiegati, operai, quadri e dirigenti. Dobbiamo ancora aggiungere altri 139 piloti assunti part-time.
In sede di valutazione degli attivi, gli slot di Alitalia sono stati valutati 550 milioni di euro, ma questo non ha generato un ulteriore pagamento per cassa. La ragione data è che tale valore è stato ampiamente compensato da un badwill di oltre 1,5 miliardi di euro, dovuto alle perdite accumulate dalla compagnia negli ultimi mesi.
Non è stato però adeguatamente spiegato dai protagonisti perché tale compensazione sia lecita. Il dubbio che sorge è il seguente: dal momento che Cai compra solo degli attivi, sia pure oberati di debiti, - la polpa buona di Alitalia, ovvero la good company - , non si vede perché il suddetto badwill non possa rimanere nella bad company che rimane in carico alla collettività. Se così fosse, il valore negativo del badwill non dovrebbe certo essere portato in compensazione per gli slot acquisiti da Cai. Sarebbe utile che venisse spiegato questo dettaglio di non poco conto.
Per avere un benchmark di confronto dell’operazione Alitalia/Cai ci sembra molto utile fare un confronto con un’operazione simile che si è svolta in Europa di recente, ovvero l’acquisto di Swiss, la compagnia di bandiera svizzera nata dalle ceneri di Swissair, da parte di Lufthansa nel marzo 2005.
Anche la Swiss, come Alitalia, era una compagnia in grave perdita economica, non da più di dieci anni come Alitalia ma per l’intero quadriennio 2001-2004. Anche la Confederazione elvetica (oltre che il Cantone di Zurigo e le due principali banche del Paese) per Swissair prima e per Swiss dopo, al pari dello Stato italiano per Alitalia, ha dovuto coprire un’enormità di perdite.
Dal lato del compratore, anche Lufthansa come Cai ha limitato al minimo l’apporto in cash al momento dell’acquisto. Ha pagato in cash nel 2005 solo 70 milioni di franchi svizzeri (circa 45 milioni di euro) per rilevare il 15% delle azioni Swiss in mano ai piccoli azionisti. I venditori erano talmente sollevati di porre fine alle loro perdite, che giocoforza la loro posizione negoziale è diventata più debole e non è stato difficile per l’acquirente spuntare un prezzo molto attraente, oltre che delle condizioni di pagamento molto favorevoli. Anche Lufthansa si è accollato un ingente debito stimabile in circa 1 miliardo di franchi (circa 650 milioni di euro). I velivoli rilevati erano circa una settantina.
Un’interessante peculiarità del caso Swiss ha riguardato la determinazione del valore della compagnia, che è stato condizionato alla performance economica futura di Swiss e all’andamento di mercato dell’azione Lufthansa su un orizzonte temporale di 3 anni.
Un pagamento ai grandi soci poteva semplicemente non esserci, se le cose fossero andate male, o in caso di successo avrebbe potuto raggiungere i 300 milioni di franchi. Alla fine dei 3 anni pattuiti, nel marzo 2008, visto un 2007 molto buono, i grandi soci hanno ricevuto 269 milioni di franchi (ovvero circa 174 milioni di euro). Si può quindi dire che Swiss è costata a Lufthansa tutto compreso circa 850 milioni di euro, di cui 174 milioni di euro solo 3 anni dopo e a primo utile realizzato (per poco più di 70 aerei).
Confrontando i due deal, si può dire che il prezzo spuntato da Cai è molto interessante, come d’altronde lo era quello per Swiss spuntato da Lufthansa, ma non si può dire che il primo sia così più basso del secondo. In entrambi i casi, l’acquisizione di un vettore in forte perdita da anni ha dato più potere negoziale al compratore, che ha potuto spuntare prezzo e condizioni di pagamento molto interessanti.
Piuttosto, se confrontiamo la Swiss e la futura Cai, ci rendiamo conto che avranno una dimensione relativamente simile: Swiss dispone attualmente di 77 velivoli, 1.069 piloti, 3.248 assistenti di volo e 7.672 tra impiegati, operai, quadri e dirigenti, per un totale di circa 12.000 dipendenti. Come già rilevato Cai disporrà di 93 velivoli per 12.500 dipendenti a tempo pieno e 139 piloti part-time. CAI avrà un po’ più di piloti di Swiss (di più anche se li proporzioniamo ad una flotta più grande del 21%) e un po’ meno assistenti di volo.
Certo che se consideriamo che Swiss collega con il mondo un Paese come la Svizzera che è meno popoloso della sola Lombardia, mentre Cai si propone con una dimensione solo leggermente superiore di collegare un Paese con 60 milioni di abitanti, quasi otto volte la Svizzera, ci rendiamo ben conto che l’Italia avrà una compagnia di bandiera davvero molto piccola.


UNIVERSITA’/ Latorre (Università della Calabria): bene il decreto Gelmini, finalmente si premia il merito - INT. Giovanni Latorre - mercoledì 3 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
Dall’osservatorio privilegiato di uno degli atenei “virtuosi”, appartenente al consorzio Aquis (Associazione per la qualità delle università italiane statali), il rettore dell’Università degli Studi della Calabria Giovanni Latorre giudica positivamente, dicendosene «entusiasta», alcune delle norme contenute nel decreto Gelmini, dopo le modifiche apportate in Commissione Istruzione al Senato.
Professor Latorre, la novità più significativa contenuta nella nuova versione del decreto 180 riguarda gli scatti per i docenti, non più automatici ma legati all’accertamento dell’attività scientifica: cosa ne pensa?
Innanzitutto bisogna precisare all’opinione pubblica una cosa importante e non nota: la carriera universitaria è l’unica che prevede complessivamente ben sei passaggi, tra concorsi e paraconcorsi. Si diventa ricercatori attraverso un concorso; poi c’è la conferma, per la quale bisogna presentare le pubblicazioni fatte dopo la nomina a ricercatore; quindi si diventa associati con un altro concorso, e c’è la relativa conferma con la presentazione dei titoli; infine per diventare ordinario c’è un altro concorso, e ancora la conferma dopo tre anni. Quindi, anche allo stato attuale, non è assolutamente vero che la carriera sia automatica: nessun’altra carriera statale è soggetta a ben sei momenti di verifica. I magistrati, ad esempio, vincono il concorso di magistratura e poi non hanno ulteriori concorsi.
Quindi era utile o no una norma di questo genere?
Fatta salva la premessa, la norma che è stata approvata trova non solo il mio personale favore, ma anche il favore di tutta l’accademia italiana. Noi da sempre reclamiamo la verifica, la valutazione, e quindi la premialità conseguente alla maggiore produttività. Quindi sono favorevole, a patto però che si chiarisca che i docenti universitari sono di gran lunga – rispetto a qualunque altra carriera statale – i più soggetti alla verifica della loro capacità di mantenere il ruolo a livelli di merito. Ciò detto, ripeto, le modifiche apportate al decreto su questo aspetto mi trovano non solo d’accordo ma addirittura entusiasta, perché spero che alla valutazione possa corrispondere poi anche il giusto premio, per coloro che saranno all’altezza.
Veniamo alle norme sugli atenei: si parla di un diverso trattamento tra atenei virtuosi e quelli che invece non hanno i conti in regola. È così?
Sì, e in linea di massima sono d’accordo anche su queste altre norme. Sono d’accordo perché anche qui viene dato spazio a una logica premiale che giustamente deve riconoscere un premio agli atenei che sono stati in grado di gestirsi bene, grazie a scelte oculate. È solo attraverso questa sorta di simulazione del mercato, infatti, che si possono ottenere incentivi veri. Ma anche in questo caso c’è un però.
Quale?
C’è il problema che in Italia il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) negli ultimi dieci anni è rimasto sostanzialmente inalterato. In termini di valore reale, anzi, è anche diminuito, tenendo conto del fatto che i costi del personale sono aumentati molto più velocemente del FFO. È per questo che la spinta a diventare università non virtuose è stata in parte determinata da scelte non rigorose, ma in parte sempre più cospicua anche dal fatto che gli atenei si sono trovati in difficoltà a gestire costi che aumentavano molto più velocemente delle entrate. È stata una sorta di deriva difficilmente controllabile, legata alla diminuzione del valore reale dei fondi. Si tenga conto che l’Università della Calabria è una delle università cosiddette virtuose, per cui non parlo da un soggetto che si trova svantaggiato da queste regole; però mi metto anche dalla parte dei tanti rettori che magari hanno fatto scelte oculate, e nonostante ciò si trovano oggi a dover fronteggiare bilanci in pericolo per le cause di cui si diceva.
Come uscire allora da questa situazione?
Facendo in modo che queste politiche premiali siano realizzate tramite l’utilizzo di risorse aggiuntive, e non sottraendo risorse ad alcuni – che sono già sull’orlo del collasso – per darle ad altri atenei. Così si realizza solo una guerra tra poveri. Trovare risorse aggiuntive da distribuire in termini premiali: questa deve essere la logica.
C’è stata una revisione anche del blocco del turn over…
Diciamo pure che c’è stata una marcia indietro del governo, con il passaggio dal 20% al 50% del turn over, perché molto probabilmente si sono accorti di avere sbagliato. E aggiungo che secondo me il problema rimane, anche con il blocco al 50%. Interrompere l’immissione in ruolo, non garantendo nemmeno la copertura delle posizioni già esistenti all’interno delle università, significa da una parte sbattere la porta in faccia ai tanti giovani che si sono impegnati dopo la laurea con un dottorato, un assegno di ricerca o un post-dottorato, che oggi si ritrovano la strada sbarrata e che inevitabilmente perderemo perché diventeranno ricercatori in altri paesi; dall’altra parte, ed è la cosa più grave, questo Paese, che ha un numero di ricercatori tra i più bassi in Europa, anziché porsi l’obiettivo di aumentarli punta a diminuirne il numero. Ed è una cosa inaccettabile.
Guardiamo oltre le norme contenute nel decreto: in una prospettiva di riforma a lungo termine, quali sono secondo lei le priorità di cui tenere conto?
La priorità per il rilancio del sistema universitario è duplice: finanziamento e valutazione. La spesa per l’università, sia come spesa per studente, sia come frazione di prodotto interno lordo, descrive un’Italia che, comparata con quella di tutti i paesi con i quali dobbiamo competere, investe poco sulla ricerca e sull’università. Quindi ci vogliono certamente maggiori investimenti. Naturalmente il maggiore investimento deve essere accompagnato da rigorose misure di valutazione dell’uso che si fa delle risorse investite. Questa è una richiesta che da anni viene fatta dalle università e dalla Crui: un sistema di valutazione che possa consentire l’allocazione di risorse aggiuntive in modo premiale, attribuendole agli atenei, ai dipartimenti e ai singoli ricercatori che danno buona prova di sé.


GUARESCHI/ I segreti dell'intramontabile successo letterario e cinematografico di Don Camillo e Peppone - Gianni Foresti - mercoledì 3 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
Conosco molte persone che si sono appassionate ai libri di Giovannino Guareschi dopo aver visto i film di don Camillo e Peppone con Cervi e Fernandel.
Non scriverò nessuna sinossi dei film, non darò nessun giudizio tecnico/estetico, non confronterò la sceneggiatura con gli scritti, nonostante lo stesso autore storcesse il naso per le storpiature e molti critici cinematografici abbiano dato buoni giudizi per Don Camillo e Il ritorno di don Camillo, mentre hanno considerato insufficienti gli altri tre film.
Il primo film, don Camillo, è stato campione d’incassi nella stagione 1952-53 e la serie è proseguita con successo fino al 1965. Ha reso famosi due attori come Cervi e Fernandel e non si riesce a leggere i libri senza vedere trasparire i loro volti.
E pensare che Giovannino Guareschi aveva provato inizialmente ad impersonare Peppone, ma era meglio come autore che come attore.
Siamo nel 2008 e questi film da più di 50 anni, sono stati visti al cinema, all’oratorio, in tv, in vhs, dvd e sui canali satellitari da milioni di persone. Li hanno sdoganati anche i comunisti (Veltroni ).
Annualmente Retequattro (un plauso) li propone uno dopo l’altro con una media del 9% di share ovvero più di 2.000.000 di telespettatori. Quest’anno i cinque film, nonostante una programmazione un po’selvaggia della rete del biscione (al mercoledi contro la Champions League, al giovedì contro la Talpa ed un film anche al sabato sera) ha realizzato una media del 9,52% con 2.300.000 telespettatori.
Un buon ascolto direi. Le cose belle, anche se datate, sono sempre attuali e non tramontano mai.
Proposte:
Se volete fare un regalo è sul mercato già da tempo un cofanetto dvd Don Camillo , collana Cinema Forever di The Mediast Collection con tutti e cinque i film rimasterizzati e restaurati in audio e video e due discreti documentari, "Giovannino Guareschi, l'uomo della Bassa" e "L'Italia. Il ritorno di Guareschi”.
Oltre che scrittore e giornalista, Guareschi è stato anche disegnatore, famose le sue vignette per la campagna politica del 1948, con i comunisti trinariciuti oppure il famoso «Nella cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no».
Un’altra chicca, è il libro con cd, Da «Bertoldo» a «Candido». Inventario della collezione Minardi. Autori: Vittore Armanni, Gianluca Perondi, Daniele Scala, edito dalla fondazione Arnoldo a Alberto Mondatori in collaborazione con la Regione Lombardia. Il libro cataloga disegni e corrispondenze di Giovannino Guareschi e Giovanni Mosca, Ferdinando Palermo, Giacinto Mondani (suoi stretti collaboratori). La chicca sta nel cd-rom con i disegni pubblicati sul Candido e sul Bertoldo. Un bel lavoro in cui troviamo quasi un migliaio di vignette di Guareschi.


DIBATTITO A PARIGI - Tra i punti-chiave del documento l’illegittimità di qualsiasi comitato di esperti, fosse pure il più autorevole e competente, nel decidere se accettare o meno le richieste estreme di alcuni pazienti - Francia, no all’eutanasia - Commissione di Sarkozy: «Non ci sono eccezioni» - Avvenire, 3 dicembre 2008
DA PARIGI DANIELE ZAPPALÀ
La Francia sbarra la porta all’eutanasia attiva, nonostante le pressioni insi­stenti di una lobby divenuta sempre più influente. Ieri, la commissione presie­duta dal deputato neogollista Jean Leonet­ti ha consegnato il proprio rapporto di va­lutazione della legge «sulla fine della vita» votata nell’aprile del 2005. E il verdetto di­fende in sostanza gli assi principali del te­sto: ovvero, il duplice rifiuto dell’eutanasia attiva e dell’accanimento terapeutico nel trattamento dei malati terminali. Sembra allontanarsi dunque la prospettiva di una “eccezione d’eutanasia”, cioè di deroghe al principio generale per alcuni casi di malat­tie incurabili. In chiave propositiva, la commissione Leo­netti sottolinea la necessità di un osserva­torio delle pratiche relative alla fine della vi­ta e suggerisce la creazione di una nuova fi- gura sanitaria: un medico di riferimento per le cure palliative, dato che, come la stessa commissione riconosce, esse rappresenta­no ancor oggi in Francia più l’eccezione che la regola nei casi terminali.
La commissione era stata istituita dal pre­sidente Nicolas Sarkozy la scorsa primave­ra dopo l’ondata di reazioni suscitate dal caso di Chantal Sébire, una paziente colpi­ta da un tumore al viso poi ritrovata morta nel proprio domicilio. Il caso, ampiamente mediatizzato, è divenuto da allora uno de­gli argomenti più evocati dal fronte pro-eu­tanasia. E anche una parte del mondo po­­litico, a cominciare dal Partito socialista, ha cercato di cavalcare con opportunismo l’on­data emotiva chiedendo a propria volta del­le deroghe alla legge. Il deputato Leonetti, medico di professio­ne, ha avanzato diversi argomenti a difesa della legge, compreso quello dell’illegitti­mità costituzionale di qualsiasi comitato d’esperti, fosse pure il più autorevole e com­petente, nel decidere se accettare o meno le richieste estreme di alcuni pazienti: «Che diritto avrebbero degli esperti di dire che la morte è possibile o no?», ha osservato colui che fu già il redattore principale del testo di legge. Il rapporto ha smontato anche un al­tro grimaldello giuridico suggerito dal fron­te pro-eutanasia: quello d’introdurre una fattispecie di “crimine commesso per com­passione”, in modo da aprire un varco a de­roghe di fatto ma per via giurisprudenzia­le. Secondo il rapporto, i margini di discre­zionalità del giudice debbono rimanere quelli canonici già in vigore nelle procedu­re penali. In generale, la commissione con­sidera che la società nel suo insieme non ha il diritto di “impegnarsi” nei confronti di un singolo individuo per abbreviarne arti­ficialmente la vita, restando salvo il rifiuto dell’accanimento terapeutico.
La Francia sembra invece decisa ad ap­profondire l’opzione delle cure palliative e anche quella dell’accompagnamento fa­miliare. In proposito, la commissione pro­pone di creare un congedo pagato per uno dei cari del malato. Oggi, solo un malato terminale su quattro muore in Francia af­fiancato da una persona cara.