Nella rassegna stampa di oggi:
1) 21/12/2008 16.35.44 – Radio Vaticana – Il Papa all’Angelus riflette sul mistero dell’Annunciazione e rende omaggio all’astronomia, poi invita a gustare la gioia di accogliere Gesù
2) Lettera Apostolica del Papa per il VII centenario della morte del beato Duns Scoto - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 21 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo della Lettera Apostolica che Benedetto XVI ha inviato all'Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Joachim Meisner, e ai partecipanti al Congresso scientifico internazionale in occasione del VII Centenario della morte del beato Giovanni Duns Scoto.
3) Più rispetto e assistenza per i malati mentali - Richiesta di "Cristiani per servire" - di Antonio Gaspari
4) Dannazione e redenzione nel cinema di John Ford - È la polvere la stoffa di cui è fatto il mondo - di Andrea Monda – L’Osservatore Romano, 21 dicembre 2008
5) La via dell'esodo lungo il deserto della Monument Valley - di Luca Miele – L’Osservatore Romano, 21 dicembre 2008
6) EDUCAZIONE/ Il "regalo" di Tatiana - Mario Mauro - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
7) ELUANA/ Ventorino: quando dietro la parola “pietas” si nasconde il proprio egoismo - Don Francesco Ventorino - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
8) SCUOLA/ Memorandum per il ministro Gelmini: si riforma solo ripartendo dall’educazione - INT. Giorgio Chiosso - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
9) TENDE AVSI/ Paraguay: La cittadella dell'amore di Padre Trento - Redazione - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
21/12/2008 16.35.44 – Radio Vaticana – Il Papa all’Angelus riflette sul mistero dell’Annunciazione e rende omaggio all’astronomia, poi invita a gustare la gioia di accogliere Gesù
Le leggi della natura siano di stimolo per contemplare le opere del Signore. Benedetto XVI all’Angelus spiega il ruolo dell’astronomia per scandire i tempi della preghiera ed invita - a pochi giorni dal Natale – a prepararsi per accogliere il Redentore. Il servizio di Roberta Gisotti:http://62.77.60.84/audio/ra/00143075.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00143075.RM
Un’insolita lezione di astronomia del Papa, che è partito nella sua riflessione dal tema dell’Annunciazione - offerto dal Vangelo nella quarta domenica di Avvento - mistero cui ritorniamo ogni giorno recitando l’Angelus, la preghiera che ci fa rivivivere “il momento decisivo in cui Dio bussò al cuore di Maria e, ricevuto il suo sì incomincio a prendere carne in lei e da lei”. A pochi giorni dal Natale il Papa ha quindi invitato “a fissare lo guardo sul mistero ineffabile che Maria ha custodito per nove mesi nel suo grembo verginale:”
“Il mistero di Dio che si fa uomo. E’ questo il primo cardine della redenzione. Il secondo è la morte e risurrezione di Gesù, e questi due cardini inseparabili manifestano un unico disegno divino: salvare l’umanità e la sua storia assumendole fino in fondo col farsi carico interamente di tutto il male che le opprime”.
Mistero di salvezza che “oltre a quella storica, ha una dimensione cosmica”: “Cristo – ha sottolineato il Santo Padre - è il sole di grazia che, con la sua luce, trasfigura ed accende l’universo in attesa”. E la stessa Festa del Natale – ha spiegato il Papa – è legata al solstistizio d’inverno, che segna l’allungarsi delle giornate nell’emisfero boreale, e questo a partire dalle ore 12 del 21 dicembre.
Benedetto XVI ha ricordato che Piazza San Pietro è una meridiana, laddove il grande obelisco getta la sua ombra – la più lunga dell’anno in questi tempi - lungo una linea che corre sul selciato, verso la fontana sotto la sua finestra. Questo per rimarcare il ruolo dell’astronomia nello scandire i tempi della preghiera, come l’Angelus recitato al mattino, a mezzogiorno e a sera; per cui anticamente con la meridiana si conosceva il ‘mezzogiorno vero’ e si regolavano gli orologi.
Il Papa ha così colto l’occasione per segnalare l’Anno mondiale 2009 dell’Astronomia, indetto nel 4° centenario delle prime osservazioni al telescopio di Galileo Galilei. Diversi furono - ha poi rammentato - i pontefici cultori di questa scienza come “Silvestro II che la insegnò, Gregorio XIII, cui dobbiamo il nostro calendario, e San Pio X che sapeva costruire orologi solari”.
“Se i cieli, secondo le belle parole del salmista, “narrano la gloria di Dio”, anche le leggi della natura, che nel corso dei secoli tanti uomini e donne di scienza ci hanno fatto capire sempre meglio, sono un grande stimolo a contemplare con gratitudine le opere del Signore”.
Tornando al tema del Natale, impariamo - ha concluso Benedetto XVI - da Giuseppe e Maria il segreto del raccoglimento per gustare la gioia di accogliere Gesù:
“Prepariamoci ad accogliere con fede il Redentore che viene a stare con noi, Parola d’amore di Dio per l’umanità di ogni tempo”.
Dopo la recita dell’Angelus, nei saluti ai pellegrini di tutto il mondo, il Papa ha rivolto un indirizzo particolare a 50 novelli sacerdoti dei Legionari di Cristo, ordinati ieri dal cardinale Angelo Sodano nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma, ed ancora all’associazione palermitana “Quelli della Rosa Gialla”, che ha realizzato un’opera teatrale ispirata alla vita di don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia 15 anni fa.
Lettera Apostolica del Papa per il VII centenario della morte del beato Duns Scoto - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 21 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo della Lettera Apostolica che Benedetto XVI ha inviato all'Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Joachim Meisner, e ai partecipanti al Congresso scientifico internazionale in occasione del VII Centenario della morte del beato Giovanni Duns Scoto.
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BENEDETTO XVI
SOMMO PONTEFICE
Lettera Apostolica
al Nostro Venerato Fratello
Joachim Meisner, Cardinale di S.R.C.,
Arcivescovo di Colonia,
e a quanti da ogni parte del mondo partecipano
al Congresso scientifico internazionale
in occasione del VII Centenario della morte
del beato Giovanni Duns Scoto
Rallégrati, città di Colonia, che un giorno hai accolto fra le tue mura Giovanni Duns Scoto, uomo dottissimo e piissimo, il quale l'8 novembre del 1308 passò dalla vita presente alla patria celeste; e tu, con grande ammirazione e venerazione, ne conservi le spoglie.
I Nostri Venerabili Predecessori, Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, lo hanno esaltato con elevate espressioni; anche Noi ora vogliamo circondarlo di meritata lode e invocarne il patrocinio.
Giustamente perciò e meritatamente viene ora celebrato il settimo centenario del suo pio transito. E mentre, per questa felice occasione, in diverse parti del mondo si stanno pubblicando articoli e intere opere in onore del beato Giovanni Duns Scoto e si tengono congressi, tra i quali è ora in preparazione quello solenne di Colonia, che si svolgerà nei giorni 5-9 del prossimo mese di novembre, riteniamo essere dovere del Nostro servizio, in questa circostanza, dire alcune parole su un uomo così esimio, che si è reso tanto benemerito nel contribuire al progresso della dottrina della Chiesa e della scienza umana.
Egli infatti, associando la pietà con la ricerca scientifica, secondo quella sua invocazione: "II primo Principio degli esseri mi conceda di credere, gustare ed esprimere quanto è gradito alla sua maestà e innalza le nostre menti alla sua contemplazione" (1), con il suo raffinato ingegno così profondamente è penetrato nei segreti della verità naturale e rivelata e ne ha ricavato una dottrina tale da essere chiamato "Dottore dell'Ordine", "Dottore Sottile" e "Dottore Mariano", divenendo maestro e guida della Scuola Francescana, luce ed esempio a tutto il popolo cristiano.
Desideriamo pertanto richiamare gli animi degli studiosi e di tutti, credenti e non credenti, all'itinerario e al metodo che Scoto ha seguito per stabilire l'armonia tra fede e ragione, nel definire in tale maniera la natura della teologia da esaltarne costantemente l'azione, l'influsso, la prassi, l'amore, piuttosto che la pura speculazione; nel compiere questo lavoro, egli si fece guidare dal Magistero della Chiesa e da un sano senso critico in merito alla crescita nella conoscenza della verità, ed era persuaso che la scienza ha valore nella misura con cui viene realizzata nella prassi.
Ben saldo nella fede cattolica, egli si è sforzato di comprendere, spiegare e difendere le verità della fede alla luce della ragione umana. Pertanto null'altro si sforzò di fare se non di dimostrare la consonanza di tutte le verità, naturali e soprannaturali, che promanano da un'unica e medesima Fonte.
Accanto alla Sacra Scrittura, divinamente ispirata, si colloca l'autorità della Chiesa. Egli sembra seguire il detto di S. Agostino: "Non crederei al Vangelo, se prima non credessi alla Chiesa" (2). Infatti, il nostro Dottore non di rado pone in speciale risalto la suprema autorità del Successore di Pietro. Secondo il suo dire, "sebbene il Papa non possa dispensare contro il diritto naturale e divino (poiché il suo potere è inferiore ad entrambi), tuttavia, essendo il Successore di Pietro, il Principe degli Apostoli, egli ha la medesima autorità che ebbe Pietro" (3).
Pertanto la Chiesa Cattolica, che ha come Capo invisibile lo stesso Cristo, il quale lasciò i suoi Vicari nella persona del beato Pietro e nei suoi Successori, guidata dallo Spirito di verità, è custode autentica del deposito rivelato e ,regola della fede. La Chiesa è criterio saldo e stabile della canonicità della Sacra Scrittura. Essa infatti "ha stabilito quali sono i libri da ritenersi autentici nel canone della Bibbia" (4).
Altrove afferma che "le Scritture sono state esposte con quel medesimo Spirito col quale furono scritte, e così si deve ritenere che la Chiesa cattolica le abbia presentate con quel medesimo Spirito con cui ci è stata trasmessa la fede, istruita cioè dallo Spirito di verità" (5).
Dopo aver provato con vari argomenti, tratti dalla ragione teologica, il fatto stesso della preservazione della Beata Vergine Maria dal peccato originale, egli era assolutamente pronto anche a rigettare questa persuasione, qualora fosse risultato che essa non fosse in sintonia con l'autorità della Chiesa, dicendo: "Se non contrasta con l'autorità della Chiesa o con l'autorità della Scrittura, sembra probabile doversi attribuire a Maria ciò che è più eccellente" (6).
II primato della volontà mette in luce che Dio è prima di tutto carità. Questa carità, questo amore, Duns Scoto lo tiene presente quando vuole ricondurre la teologia ad un'unica espressione, cioè alla teologia pratica. Secondo il suo pensiero, essendo Dio "formalmente amore e formalmente carità" (7), comunica con grandissima generosità al di fuori di sé i raggi della sua bontà e del suo amore (8). E in realtà, è per amore che Dio "ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (Ef 1, 3-4).
Fedele discepolo di san Francesco d'Assisi, il beato Giovanni contemplò e predicò assiduamente l'incarnazione e la passione salvifica del Figlio di Dio. Ma la carità o l'amore di Cristo si manifesta in modo speciale non soltanto sul Calvario, ma anche nel santissimo sacramento dell'Eucarestia, senza il quale "scomparirebbe ogni pietà nella Chiesa, né si potrebbe - se non attraverso la venerazione del medesimo sacramento - tributare a Dio il culto di latria" (9). Questo sacramento inoltre è sacramento di unità e di amore; per mezzo di esso siamo indotti ad amarci scambievolmente e ad amare Dio come bene comune e da essere coamato dagli altri.
E come quest'amore, questa carità, fu l'inizio di tutto, così anche nell'amore e nella carità soltanto sarà la nostra beatitudine: "Il volere oppure la volontà amorevole è semplicemente la vita eterna, beata e perfetta" (10).
Avendo Noi all'inizio del Nostro ministero innanzitutto predicato la carità, che è lo stesso Dio, vediamo con gioia che la dottrina singolare di questo Beato riserva un luogo particolare a questa verità, che massimamente riteniamo degna di essere indagata ed insegnata nel nostro tempo. Pertanto volentieri venendo incontro alla richiesta del Venerato Fratello Nostro Joachim Meisner, Cardinale di S.R.C., Arcivescovo di Colonia, inviamo questa Lettera Apostolica con la quale desideriamo onorare il beato Giovanni Duns Scoto ed invocare su di Noi la sua celeste intercessione. Infine a coloro che in qualsiasi modo partecipano a questo congresso internazionale ed ad altre iniziative riguardanti questo esimio figlio di San Francesco, impartiamo di cuore la Nostra Benedizione Apostolica.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 28 ottobre 2008, quarto anno del Nostro Pontificato.
BENEDICTUS PP. XVI
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1 DUNS SCOTUS, Tractatus de primo Principio, c. 1 (ed. MULLER M., Friburgi Brisgoviae, 1941, 1).
2 Idem, Ordinatio I d.5 n.26 (ed. Vat. IV 24-25).
3 Idem, Rep. IV d.33 q.2 n. 19 (ed. VIVES XXIV 439 a.)
4 Idem, Ordinatio I d.5 n. 26 (ed. Vat. IV 25).
5 Ibid., IV d.11 q.3 n. 15 (ed. Vat. IX 181).
6 Ibid., III d.3 n. 34 (ed. VIVES XIX 167 b).
7 Ibid., I d.17 n. 173 (ed. Vat. V 221-222).
8 Cfr idem, Tractatus de primo Principio, c.4 (ed. MULLER M., 127).
9 Idem, Rep. IV d.8 q.1 n.3 (ed. VIVES XXIV 9-10).
10 Ibid., IV d.49 q.2 n. 21 (ed VIVES XXIV 630a).
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Più rispetto e assistenza per i malati mentali - Richiesta di "Cristiani per servire" - di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 21 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Il 20 dicembre si è celebrata la 38ma "Giornata dei diritti dell'handicappato mentale".
L'evento non ha avuto molto risalto sui mezzi di comunicazione di massa. Per questo motivo, ZENIT ha intervistato Franco Previte, presidente dell'Associazione "Cristiani per servire" (http://digilander.libero.it/cristianiperservire), che da anni si occupa del tema.
Perché questa ricorrenza?
Previte: Si celebra la 38ma "Giornata dei diritti dell'handicappato mentale" voluta dall'ONU per ricordare quanto nella sostanza ha come obiettivo il ribadire "che questo tipo di malato deve godere in tutta la misura possibile degli stessi diritti degli altri esseri umani", così come è stato voluto dall'ONU.
Tra questi diritti, (che condividiamo) :
il diritto alla vita, (no all'eutanasia);
il diritto ad essere riconosciuto come persona (prima che come "categoria");
il diritto ad avere una famiglia (cioè sostenere con i meccanismi della solidarietà sociale);
il diritto ad avere una migliore assistenza possibile (medica, riabilitativa);
il diritto alla scuola, (quando si può);
il diritto al lavoro, (quando è possibile);
il diritto a partecipare alla vita della comunità (religiosa, ricreativa, sociale).
Qual è la situazione in Italia e in Europa per l'assistenza agli affetti da malattie mentali?
Previte: In Italia è in atto un grande disorientamento sia verso i servizi sociali che sono carenti, sia verso le famiglie che sono state abbandonate al loro destino da moltissimo tempo. In Europa vi è una carente Normativa Comunitaria. Come abbiamo sottolineato nel nostro Ricorso n.44330/06 del 13 ottobre 2006 alla "Corte Europea per i Diritti dell'Uomo" di Strasburgo. Comunque in alcuni Stati ogni 3/5 anni viene rivista la legge sulla malattia mentale, cosa che non avviene in Italia.
Per esempio sono in enorme crescita fenomeni come l'anoressia e la bulimia. Due facce della stessa medaglia e consistono nella perdita o nell'eccesso di appetito che colpisce in maniera speciale le ragazze. Questa patologia si potrebbe definire uno stato di ansia che, se esagerato, comporta un rapporto errato con il proprio corpo, un difetto nutrizionale a danno della salute fisica e mentale. Esse sono manifestazioni di un disagio in una varietà di disturbi che interessano la sfera psichica dell'individuo.
L'anoressia e la bulimia sono gravi disturbi sotto il profilo medico-sociale. Nel 9% dei casi colpiscono i giovani fra i 9 e i 15 anni. Malattie come l'anoressia e la bulimia, unitamente ad altri "fenomeni", costituiscono una verità, una fondamentale dimostrazione di quanto sia grave il disagio sociale e di quanto siano urgenti interventi atti a migliorare la qualità dei servizi delle cure e dell'eventuale inserimento sociale dei "soggetti".
E' quindi urgente e necessaria una forte presa di coscienza del Parlamento e del Governo.
Come si può intervenire?
Previte: Come "Cristiani per servire" abbiamo richiesto nelle nostre Petizioni giacenti in Parlamento interventi a livello della prevenzione, della diagnosi, delle terapie, della pedagogia, delle istituzioni di ricovero della famiglia, dell'ambiente sociale, delle relazioni tra persona ed ambiente, dell'economia.
Prevenzione: della medicina prenatale ( esempio assistenza in gravidanza);
Diagnosi: dovere del medico e delle istituzioni sanitarie per la ricerca di deficit genetici;
Terapie: trattamento psico-farmacologico;
Pedagogia: rilevamento dei limiti di funzionamento intellettivo. Fondamentale è la scuola, e l'integrazione scolastica costituisce un obiettivo di grande civiltà.
Istruzioni di ricovero: sarebbero auspicabili piccole strutture di accoglienza con modelli di vita comunitaria che possono facilitare l'inserimento sociale.
Famiglia: essa costituisce l'anello più importante e più delicato nella catena degli interventi (specie verso i bambini), in quanto l'umanizzazione è tanto possibile quanto è maggiore la solidità dell'istituto familiare, esclusi i soggetti schizofrenici.
Ambiente sociale: può contribuire a ridurre il tasso di prevalenza del ritardo mentale.
Relazioni tra persona e ambiente: un ambiente ricco di stimoli, ma non ansiogeno, né coercitivo quale spazio verde, attività verso il mondo agricolo (accudire animali domestici da cortile, cultura fiori ecc.), nonché incontri con animali domestici, come passeggiate a dorso di cavallo, asini, oppure a piedi in compagnia di cani di razza Terranova, adatti per il loro carattere bonaccione, la cosiddetta "pet therapy".
Cosa è necessario in pratica?
Previte: E' essenziale e prioritario quanto abbiamo richiesto nella nostra Petizione n.5 assegnata alla 12ma Commissione Igiene e Sanità e n.6 alla III Commissione Esteri del Senato della Repubblica; e con la petizione n.9 assegnata alla 12ma Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati.
Queste necessità le ho già illustrate il 17 marzo 2005 nella Sala Verde di Palazzo Chigi in occasione della "Giornata di riflessione sulla depressione" e sono condensate in 9 punti essenziali:
1. Eventuale costituzione di un Fondo Speciale Economico (Dopo di noi)
2. Possibile attivazione della ricerca scientifico-farmacologica sulle malattie mentali
3. Aggiornamento assegni di assistenza.
4.Deducibilità dal reddito complessivo agli effetti IRPEF delle spese socio-alberghiere.
5. Riforma Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
6. Proibizione della terapia elettroconvulsionante e braccialetto elettronico
7. Aumento posto letto da 15 a 30 negli Enti Ospedalieri.
8. Riqualificazione Operatori Sanitari ( Medici ed Infermieri).
9. Nelle strutture residenziali esistenti spazio verde.
La cronaca riporta spesso di tristi episodi nei quali sono protagoniste persone psichicamente instabili. Qual è il suo parere in merito?
Previte: Oggi assistiamo all'affermarsi del fenomeno della frammentazione delle "cose" e per questo è difficile e spesso vana la ricerca di un "senso". Scrisse il Santo Padre Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica "Fides et Ratio": Non pochi si chiedono se abbia ancora senso porsi la domanda sul senso".E' una degradazione della ragione senza ricercare la verità, senza ricercare la realtà. Oggi il cittadino che continua nella strada della morale ha il timore di perdere quei diritti che fanno parte dell'etica civile, cioè il rispetto della persona. I psicolabili "violentati" nei loro diritti e le loro famiglie abbandonate da molto tempo reclamano solidarietà e giustizia.
La patologia mentale colpisce a vari livelli, dalla depressione alla schizofrenia, ma continua a gemere sotto la cenere del silenzio e dell'indifferenza delle Istituzioni, mentre è crescente tra persone di ogni età, specie tra i giovani, di circa il 20% della popolazione, il 16% per varie forme di disagio mentale, il 4% per disordini mentali.
Per porre riparo a una situazione così grave non bastano manifestazioni esteriori, come quando accadono casi eclatanti, allora tutti fanno finta di "muoversi", e poi ....il "problema" svanisce nel giro di una notte!
I tempi della politica non tengono conto del dolore e delle difficoltà della gente sofferente!
Non possiamo non ricordare le finalità pastorali etico-sociali nel Messaggio dei Vescovi per la "30ma Giornata per la vita", perché è servire la vita anche "quando è scomoda e dolorosa anche per chi è gravemente ammalato".
La nostra viva riconoscenza, autentica e sincera, è rivolta oltre che al Santo Padre Giovanni Paolo II anche al Pontefice Benedetto XVI per le parole di sostegno, di denuncia e di impegno profuse con coraggio e senza mezzi termini nel Messaggio in occasione della 14ma Giornata Mondiale del Malato "sui problemi connessi col disagio mentale".
Che cosa propone l'Associazione Cristiani per Servire?
Previte: Servizi specifici ed adeguati in uguali strutture, questo abbiamo richiesto al Parlamento italiano e a quello europeo.
Molto importante è il "dopo di noi", cioè cosa accadrà ai malati mentali quando i parenti non ci saranno più. C'è bisogno di un sistema sociale studiato e programmato che si riveli idoneo ai bisogni assistenziali (anche economici) sulla autonomia della persona-malata in grado di garantire il domani.
In sede europea, con la Petizione n.146/99 inoltrata dalla nostra Associazione (la prima Associazione ad introdurre questa "problematica" in Europa), la UE ha riconosciuto primaria l'importanza della promozione della salute. Con un'altra Petizione del 21 dicembre 2004 si è voluto porre in evidenza l'inadeguata attenzione della Costituzione Europea sull'handicap mentale richiedendo un provvedimento legislativo, Risoluzione o Direttiva Comunitaria sui portatori di disagio psichico, soprattutto per una libera circolazione delle persone in sicurezza, già prevista dal Trattato di Schengen, a fronte dei gravi rischi per la diversificazione dei provvedimenti vigenti in ciascun Stato.
Respinta la Petizione per "incompetenza dell'Unione Europea nel settore della sanità pubblica compresa quella relativa alla malattia mentale", ho fatto ricorso alla "Corte Europea per i diritti dell'Uomo" di Strasburgo (rubricato al n.44330/06), con il quale si ritiene una violazione dei diritti inerenti il comparto socio-sanitario dal quale non è possibile non considerare la patologia mentale da parte della Costituzione Europea che ha disatteso, confuso, unificato il disagio psichico col patogeno fisico ritenuto uguale nel mondo della sofferenza e del dolore, come ha compiuto la "Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità" dell'ONU, ancora da ratificare da parte del Governo Italiano, richiesta fortemente voluta con le citate nostre Petizioni.
Attendiamo gli sviluppi formali del Ricorso alla Corte Europea, con la speranza che si addivenga ad una Sentenza definitiva di riconoscimento e di stimolo al Parlamento Europeo per una Direttiva Comunitaria uguale e con la stessa valenza in tutti gli Stati della Unione Europea.
Mentre il Governo italiano ha presentato un disegno di legge iniziante la ratifica della "Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità" che dovrà essere approvato dal Parlamento, noi abbiamo presentato un appello al Governo Berlusconi ed al Consesso Parlamentare, per sollecitare alcuni punti ritenuti prioritari ed indilazionabili, e cioè:
a.) ai sensi dell'art.43 la ratifica come consenso vincolante e nel rispetto delle dignità umana precise riserve ai sensi dell'art.47 e tali da escludere ogni possibile riferimento all'aborto, ad ogni metodo o modalità della salute riproduttiva;
b.) emendamento per riconoscere il termine giuridico di handicappato mentale ai sensi dell'art.47 da parte dell'Italia onde apportare, come recita l'art. 4 della "Convenzione", norme migliorative in sostituzione delle leggi 180 e 833 del 1978 in conformità con la legge n.104/1992;
c.) richiesta all'ONU di indizione di una " Giornata Mondiale sulla salute mentale" ;
d.) che il Parlamento adotti una legge-quadro di riordino dell'assistenza psichiatrica.
Dannazione e redenzione nel cinema di John Ford - È la polvere la stoffa di cui è fatto il mondo - di Andrea Monda – L’Osservatore Romano, 21 dicembre 2008
"Il mio nome è John Ford. Faccio western". Questa forse è la battuta più celebre di Sean Aloysious O'Feeney, nato alla fine dell'Ottocento da emigranti irlandesi e diventato famoso per le decine di film che hanno raccontato l'ultima grande epica della storia moderna, quella del Far West e della violenta e avventurosa nascita degli Stati Uniti d'America. Come osservava Ludovico Alessandrini, compianto e illuminato dirigente della Rai, se si mettessero insieme tutti i migliori film western di Ford se ne ricaverebbe una sorta di poema epico, degno di Omero, capace di raccontare attraverso i diversi "canti" - il primo film di Ford è del 1917, l'ultimo del 1966 - la nascita di una nazione sorta da quel continuo affrontare e superare la frontiera, il mondo selvaggio, l'ignoto, la sfida dell'integrazione e del melting pot. Con il solito acume il poeta argentino Jorge Luis Borges ha riassunto molto bene la questione affermando che: "Seppure per motivi commerciali, Hollywood ha salvato l'epica", e a John Ford spetta senz'altro il ruolo maggiore in questo lavoro di salvataggio. Ma per una volta proviamo a porre l'accento non su John, ma su Sean, cioè sul "lato oscuro" della sua filmografia, sulle opere non-western, quelle che rischiano di essere sbilanciate dal peso imponente delle pellicole con il cowboy come protagonista. Dare un'occhiata all'altro piatto della bilancia vuol dire imbattersi in altri film straordinari - e anche pluripremiati, tra l'altro Ford, con i quattro premi Oscar vinti come regista detiene ancora un record insuperato - da Il traditore a Furore, da Un uomo tranquillo a Com'era verde la mia valle, da La croce di fuoco a L'ultimo hurrah. Sono film dove è forte la presenza della città, come ne Il traditore o ne L'ultimo hurrah; o altri dove invece prevale il paesaggio rurale, a metà strada tra la natura selvaggia e la presenza dell'uomo: un paesaggio quasi sospeso, una dimensione da "soglia" - come nel Messico de La croce di fuoco, l'Irlanda di Un uomo tranquillo e il Galles di Com'era verde la mia valle. La realtà è che Ford è Ford sia negli scenari infiniti della Monument Valley, sia tra i vicoli notturni e nebbiosi di Dublino, in quelli corrotti dei bassifondi messicani o in quelli, non meno opachi, della città del New England, teatro delle sfide elettorali de L'ultimo hurrah. Un regista che "sa di che cosa è fatto il mondo", diceva Orson Welles, suo grande estimatore e imitatore; sarà lo stesso autore di Quarto Potere a riconoscere, un giorno, l'influenza, anche tecnica, ricevuta da film come Ombre rosse. Ford sa di cosa è fatto l'uomo, e sa che la vita di ogni uomo assomiglia all'attraversamento di un deserto. Questa immagine egli ripropone anche quando non si tratta del deserto dell'Arizona: la vita umana è sempre contesa tra i due poli della dannazione e della redenzione. In questo senso sono assimilabili due film, Il traditore e La croce di fuoco, che il regista americano ricava da due intensi romanzi: quello di Liam O'Flaherty e Il potere e la gloria di Graham Greene. I due protagonisti, Gypo Nolan, il membro dell'Ira irlandese che ha tradito il suo amico, e l'anonimo prete vigliacco inseguito dalla polizia messicana, compiono un'odissea estrema e dolorosa che li porterà, anche contro la loro immediata volontà, a una sorta di riscatto finale. Sono due fuggitivi - The fugitive è il titolo originale, migliore di quello italiano, del film tratto da Greene - che scappano da loro stessi, dal peso della responsabilità che li schiaccia inesorabilmente e la fotografia, cupa, asfissiante, delle due pellicole rende in modo quasi tangibile il senso della notte dell'angoscia che i due personaggi stanno vivendo. Emerge prepotentemente in questi due film la dimensione religiosa e il peso, anche "iconografico" della fede cattolica del regista d'origine irlandese. Se il finale di In nome di Dio con quel camminare, anzi lo strisciare per terra, di John Wayne l'unico cowboy superstite che arranca con in braccio il bambino salvato nel deserto, è evidentemente figura del mistero del Natale di Cristo, il finale de Il traditore con Victor MacLaglen nei panni del "giuda" Gypo Nolan, anch'egli strisciante, ma tra le panche della chiesa dublinese, mendicando il perdono per il tradimento, rinvia esplicitamente al mistero della croce, così come l'ultima scena di The Fugitive, con la luce che fende l'oscurità e il ritorno del sacerdote, rappresenta un richiamo forte e chiaro alla risurrezione di Cristo e, con lui, del suo popolo. Il cinema di Ford ha la forza dell'essere popolare, nel senso concreto, incarnato; un cinema che riesce a parlare un linguaggio forte e chiaro, fatto di passioni estreme e sanguigne, ma che non riduce mai la complessità dell'esistenza umana che rispetta sempre quel mistero che è l'uomo. Così un film all'apparenza solare e lieve, come Un uomo tranquillo, che sembra solo una scanzonata celebrazione della terra e dello spirito irlandese, rivela al suo interno molto di più: una zona d'ombra e di "forza" che striscia latente in tutti i film di Ford e permette un godimento del suo cinema che non diminuisce nel tempo. È forse questa "custodia della complessità" a spiegare come mai sia stato Ford a realizzare uno dei film migliori sul tema, così difficile e scivoloso, della politica. L'ultimo hurrah è uno degli ultimi film del regista americano, uscito cinquant'anni fa negli Usa e ispirato dal romanzo omonimo di Edwyn O'Connor, un film crepuscolare, dolente e struggente, grazie anche a una intensa interpretazione di Spencer Tracy. A distanza di mezzo secolo la storia non ha perso il suo smalto rivelandosi uno dei pochi film nell'intera storia del cinema che parla di politica senza cadere nel rischio, molto diffuso non solo nel nostro Paese, del moralismo ipocrita e del manicheismo. Da questo punto di vista il film di Ford rinvia non solo al romanzo di Edwyn O'Connor, ma anche ai romanzi di Flannery O'Connor - anche lei di origine irlandese come rivela il cognome - una scrittrice cattolica allergica a ogni forma di moralismo e di manicheismo. Per la O'Connor ogni racconto è la descrizione dell'opera della Grazia nei territori del diavolo; e quindi è difficile trovare nelle sue narrazioni storielle a lieto fine: il suo scrivere "da cattolica", non vuol dire costruire trame edificanti, ma approfondire il mistero della realtà, penetrarla attraverso una discesa ad inferos. Questa è la lezione della O'Connor che ha compreso bene come rischi, per l'uomo contemporaneo, siano lo spiritualismo, il moralismo e il sentimentalismo - e forse sta qui, nel sentimentalismo, la ragione della strana assenza di buoni film sulla politica. È quanto mai attuale la lezione della O'Connor, specie nella sua critica al manicheismo che, per la scrittrice americana, non è solo cattiva teologia, ma anche pessima letteratura: "La narrativa riguarda tutto ciò che è umano e noi siamo polvere, dunque se disdegnate di impolverarvi, non dovreste tentare di scrivere narrativa". È la stessa lezione di John Ford, "esperto di umanità", che ha raccontato la polvere, cioè la stoffa di cui è fatto il mondo, anche quando, a mostrarlo, non siano direttamente le nuvole di polvere desertica della Monument Valley.
(©L'Osservatore Romano - 21 dicembre 2008)
La via dell'esodo lungo il deserto della Monument Valley -
di Luca Miele – L’Osservatore Romano, 21 dicembre 2008
Solo cowboy, duelli all'Ok Corral, scazzottate e bevute? A distanza di più di trenta anni dalla morte, la produzione cinematografica di John Ford appare ancora troppo schiacciata sull'iconografia western. Negli anni - complice una certa opacità della critica - si è sedimentata una lettura semplicistica di Ford e della sua opera, solo recentemente ribaltata. A riguardarli, i film del regista americano di origini irlandesi conservano intatti forza e fascino. Da dove nasce tale fascino? Ha scritto bene Fabio Troncarelli: esso si sprigiona dalla "sottile trama di enigmi che accompagnano come un ricamo misterioso le opere fordiane". Le immagini di Ford "hanno un senso segreto, una iridescente varietà di significati". Più che la semplicità o l'univocità o, ancora, la perentorietà di certi "messaggi", è la ricchezza e l'abbondanza dei punti di vista, dei piani narrativi e dei simboli - polisemia - la chiave per accostarsi all'opera del regista americano. Ford si muove dentro la costellazione di opposizioni binarie tipiche del genere western; e che la sua stessa opera ha contribuito a codificare: il deserto e il giardino; il matrimonio e il celibato; il maschile e il femminile; il bianco e l'indiano; la legge e la sua violazione. Ma - come già notava Franco Ferrini - tra poli opposti il regista instaura una serie di connivenze segrete, di transiti, di scambi. Queste ambivalenze trovano espressione a livello iconografico. Basti pensare all'immagine del portico - ricorrente, da Sentieri Selvaggi a Sfida infernale - spazio di ibridazione tra il "dentro" e il "fuori", di esitazione tra gli spazi immensi della wilderness e quelli privati della famiglia, tra la natura e la civiltà. L'immagine dunque di Ford, regista un poco sempliciotto che amava riprendere cazzotti e bevute, dalla filmografia volta esclusivamente a nutrire il mito western, è da archiviare. La stessa ricchezza delle fonti visive, confluite nella sua composizione - la pittura di Frederic Remington e di Winslow Homer, ma anche la fotografia di Timothy O' Sullivan - è una controprova della complessità e del genio del regista. Nel cuore dell'ispirazione fordiana si staglia prepotente la componente religiosa. Come ha scritto Franco Ferrini, nella sua ormai classica monografia dedicata al regista, "l'iconografia cattolica presiede in larghissima parte allo statuto dell'iconografia fordiana". In un film del 1948, questa ispirazione è quanto mai trasparente. In Three Godfathers (In nome di Dio) tre "dannati" raccolgono nel deserto un bimbo appena nato, ormai orfano. I tre partono di notte seguendo una stella. Un versetto della Bibbia li guida verso una città chiamata Nuova Gerusalemme. Due dei tre protagonisti muoiono durante il tragitto, lasciando il terzo da solo a badare al bambino. L'uomo stremato troverà un'asina con la quale portare il piccolo nella città, proprio alla vigilia di Natale. Nel film Ford non solo mette in scena una Natività, ma struttura la sua storia - come ha sottolineato Janey Ann Place - sulla parabola del figlio prodigo. L' "eroe", attraverso il sacrificio personale, riscatta un passato di dannazione. L'urgenza che accomuna molti degli eroi fordiani è infatti la redenzione, la loro condizione l'essere sospesi tra l'inevitabilità della caduta e l'anelito al riscatto. Nei three bad men viene rievocato, attraverso continui effetti visivi, il modello trinitario. "Nella chiusa del film - ha notato Ferrini - si vedono le silhouette dei tre cavalcare e sparire all'orizzonte mentre protendono le braccia in una raffigurazione stilizzata della crocifissione". Ma la "polisemia", come cifra della regia di Ford, è rintracciabile soprattutto nel motivo del deserto che, nella trama dei film del regista americano, costituisce un elemento essenziale: in particolare con la Monument Valley e le sue cattedrali solitarie che suggeriscono, con il loro stesso manifestarsi, la vertigine del sacro. Il cinema di Ford è "un cinema di attraversamenti" (Francesco Ballo) e il luogo privilegiato di questo peregrinare è proprio il deserto. Attraversamenti solitari come quelli di Ethan Edwards di Sentieri Selvaggi o di gruppo - La Carovana dei Mormoni, Furore, La pattuglia sperduta, Il grande sentiero - come atto costitutivo della nazione americana che si struttura sull'esodo biblico. È possibile istituire un parallelismo tra il deserto fordiano e quello biblico? Quali risonanze rimbalzano da uno all'altro? È possibile comprendere il deserto di Ford senza rintracciarne l'origine nel testo biblico? "Il deserto - ha scritto Bruno Forte - è metafora dell'intera esperienza umana davanti all'Eterno". Esso "è il luogo - ha notato Lisa Cremaschi - in cui appare con più forza la simultaneità tra grazia e tentazione; è il luogo in cui Dio ha sigillato l'alleanza con il suo popolo, il luogo dell'intimità con Dio; ma è anche il luogo della ribellione, il deserto inospitale in cui deve morire la generazione infedele e ribelle, in cui viene cacciato il capro espiatorio che porta con sé il peso dei peccati del popolo". Se il deserto è polvere che cancella ogni traccia di chi lo attraversa, il protagonista di Sentieri Selvaggi, Ethan Edwards lotta contro questa dissolvenza: le orme che lo conducono sulle tracce della nipote - rapita ancora bambina dagli indiani - si dissolvono, l'uomo lotta contro l'evanescenza del passaggio dell'uomo sulla terra. Un paesaggio - il deserto - che può nullificare l'uomo e travolgere le sue strutture simboliche, come in Furore nel quale la siccità spinge all'esodo e provoca la dissoluzione della famiglia Joad. Il deserto è il luogo della solitudine estrema, solitudine nella quale attecchisce la tentazione. Per Ethan Edwards essa si manifesta nell'azzardo di farsi legge a se stesso, a idolatrare l'odio e la vendetta. Ma il grumo di violenza che tiranneggia il protagonista di Sentieri Selvaggi, finisce per sciogliersi nell'atto del perdono. Il deserto è anche il luogo in cui si manifesta la Grazia; il che, nel cinema fordiano, accade spesso con il motivo della nascita. Nascita che è una vera e propria Natività in Three Godfathers, ma la nascita di un bambino compare anche in Ombre rosse. Il deserto infine come luogo dell'intimità con Dio: è ancora in Three Godfathers un versetto della Bibbia - la memoria e il riattualizzarsi di questa intimità - a indicare la via da percorrere.
(©L'Osservatore Romano - 21 dicembre 2008)
EDUCAZIONE/ Il "regalo" di Tatiana - Mario Mauro - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
Muammar Gheddafi è uno dei più grandi donatori esistenti per una scuola cattolica. È un paradosso ma è la verità.
Il 21 dicembre del 1988 un Boeing PanAm esplose in volo e precipitò sul piccolo villaggio scozzese di Lockerbie, uccidendo in tutto 270 persone. Da quel giorno, Cia, Fbi, Scotland Yard e servizi segreti britannici misero in piedi una colossale caccia all'uomo, un'indagine che si è conclusa il 14 novembre 1991, quando contemporaneamente i giudici scozzesi e quelli americani hanno annunciato i loro mandati di cattura, puntando l'indice sui due libici, Abdel Basset Al Megrahi, 39 anni, sospettato di essere il capo dei servizi segreti nelle linee aeree libiche, e Amin Khalifa Fhimah, 35 anni, agente segreto che ha lavorato negli uffici della Libyan Airlines a Malta.
Dopo 15 anni in cui Stati Uniti e nazioni Unite hanno pesantemente sanzionato il governo libico che non voleva riconoscere la propria responsabilità. Nel 2003 è stato trovato un accordo e Gheddafi ha accettato di pagare 10 milioni di dollari per ciascuna delle 270 vittime della strage. Fin qui sembrerebbe una “normalissima” storia di terrorismo internazionale e risarcimenti per poter rientrare nella comunità internazionale, fatto che conviene molto a Gheddafi che non può rimanere isolato soprattutto dal punto di vista economico.
Il fatto eclatante e incredibile è che il destino ha voluto che quasi due milioni e mezzo di dollari del risarcimento per una delle vittime andassero nelle casse di una scuola cattolica americana. Tatiana, la madre di Andre Guervorguian, prima di morire nel 1999, ha infatti devoluto tutti i soldi del risarcimento alla scuola cattolica De la Salle nell’Upper West side di New York, fondata dal figlio nel 1984. Nei giorni scorsi è arrivata l’ultima rata dei pagamenti, che ammontava a 491.000 dollari.
È la fine paradossale della storia del rapporto tra una madre, immigrata dalla Russia e vedova da quando il figlio era bambino, e appunto Andre, il figlio affidato a un’educazione cattolica a scuola e in parrocchia. Una storia bellissima non perché la madre ha scelto la scuola cattolica invece di altre scuole, ma perché il figlio e la sua educazione sono sempre stati la ricchezza più grande per lei, la sola e più importante ragione di vita. Ha capito che tutto passa attraverso l’educazione e la scelta di affidare questo figlio a Fratel Brian della parrocchia di Amsterdam Avenue è stato l’incontro decisivo per la vita di suo figlio e per la sua.
Questa storia, il paradosso di Gheddafi, è uno spunto per ribadire la battaglia sulla scuola e sulla libertà di educazione, la battaglia per la libertà di scelta, il ruolo stesso della famiglia all’interno dell’esperienza educativa. Queste espressioni infatti che abbiamo visto a volte compresse in un dibattito fuori dalla logica, come quello che si è consumato in Italia per oltre cinquant’anni, sono in realtà attori di un dibattito molto più vasto, che oggi ci pone radicalmente di fronte a grandi responsabilità.
Quanto queste siano urgenti la dice lunga su quale sia l’importanza di quello che ognuno di noi, nel suo piccolo porta avanti con dedizione e con generosità; e dice anche quanto sia irresponsabile sottrarsi a tali responsabilità con dei gesti che hanno una valenza politica enorme, quale quello di rimettere continuamente in discussione la riforma dei processi educativi.
Quando discutiamo di educazione e cerchiamo un ruolo per la famiglia, scopriamo che il ruolo lo dobbiamo cercare per la scuola perché la famiglia ha per sua natura il ruolo di autorità; la famiglia è per sua natura depositaria di questo dialogo perché la Provvidenza stessa gliel’ha affidato per poter concorrere a compiere il destino dei figli che ha generato.
Educare, a mio modo di vedere, significa aiutare a trasmettere il significato della vita e delle cose e favorire così l’esperienza, l'avventura della conoscenza.
Per sua natura quindi educare è possibile solo nella libertà. Quando sviluppiamo l'organizzazione di un sistema educativo senza rispettare questa condizione noi neghiamo lo scopo di quel sistema, lo usiamo male.
L’educazione nasce dall’incontro di due libertà: la libertà di chi viene educato e la libertà di colui che educa: ora, la messa in moto di questo processo richiede la libertà di chi è stato provocato o risvegliato, che potrebbe scegliere di non rispondere alla sfida, e di rimanere nel suo torpore. Dall’altro lato il rischio riguarda colui che educa, chiamato a mettersi in gioco in prima persona, a stimolare l’altro senza imporsi e ad essere disposto a cambiare a cambiare egli stesso.
Mamma Tatiana ha lasciato milioni di dollari per la scuola fondata dal figlio perché ha capito che questo è ciò che salva il Mondo, solo l’educazione permette alla persona di diventare consapevole del valore della sua esistenza e dei bisogni più profondi che definiscono la sua umanità: il bisogno di significato, di bellezza, di verità, di giustizia, di felicità.
ELUANA/ Ventorino: quando dietro la parola “pietas” si nasconde il proprio egoismo - Don Francesco Ventorino - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
La Casa di cura “Città” di Udine ha confermato la disponibilità ad assistere Eluana Englaro nei suoi ultimi giorni di vita, «a patto però che la Regione Friuli Venezia Giulia si prenda la responsabilità di condividere questo percorso di pietas». È quanto ha dichiarato il dottor Claudio Riccobon, amministratore delegato della struttura sanitaria.
Gli animali si uccidono per pietà, per non farli soffrire quando la loro vita è definitivamente compromessa. Oggi si vorrebbe introdurre un principio che legittimi questa azione anche quando si tratti di un uomo o di una donna. Ma l’equazione non regge, perché l’animale ha una funzione di utilità, compiuta la quale, la sua esistenza non ha più ragione di essere; l’uomo, invece, è una persona, cioè un assoluto: la sua esistenza non è relativa a nessuno scopo che non sia la propria realizzazione. Non può darsi nessuna condizione nella quale la vita dell’uomo non sia più “utile”, perché essa è solo per se stessa. Il “caso Eluana” costringe, quindi, a interrogarsi sul valore della vita dell’uomo, su ciò in cui consiste la sua realizzazione.
A partire dalla esigenza profondamente inscritta nel cuore di ogni uomo bisogna rispondere che questa realizzazione consiste nella felicità. Ma qui insorge una domanda ancora più grave sulla natura della felicità e la possibilità del suo attuarsi. La felicità dell’uomo è assicurata forse dalla capacità che egli ha di stabilire relazioni e di disporre di se stesso? Ma, allora tutti gli uomini “sani” e liberi dovrebbero essere felici. La verità che, invece, si impone a noi nella sua evidenza è che nessuna cosa al mondo, nessun rapporto umano, è in grado di darci la felicità secondo la misura in cui il nostro cuore la desidera. Tanto meno ci rende felici la possibilità di fare quello che ci pare e piace.
Da qui si sono tratte da sempre due conclusioni. La prima: l’uomo è fatto male, perché è un desiderio irrealizzabile, una “passione inutile” come ha detto Jean-Paul Sartre; ma in questo caso la vita umana non ha più senso, neanche quando gode di ottima salute, e sarebbe sempre ragionevole sopprimerla, come lo stesso Sartre faceva dire ad uno dei suoi personaggi ne “Il Muro”. Ma c’è un’altra conclusione, più ragionevole. Il desiderio naturale non può essere vano e quindi esso è “promessa” di un compimento. L’esigenza più profonda del nostro cuore è esigenza di qualcosa che “ha da esserci”, come diceva il mio conterraneo Luigi Pirandello. Altrimenti “non mi spiegherei quest’ansia che mi tiene, e mi fa sospirar le stelle”. Questa promessa, che costituisce la grandezza della persona umana, esige da parte nostra, in qualunque istante o situazione della vita, uno “stare” davanti alla propria esistenza e a quella degli altri, che ha la Madonna come modello. Maria “stava” presso il suo Figlio Crocifisso come di fronte alla forma misteriosa del compiersi di un destino, che trascende inevitabilmente le possibilità che l’esistenza terrena può offrire e non è legato alle condizioni o “qualità di vita” che ci sono date.
La pietas da sempre è stata intesa dagli uomini come la capacità di stare di fronte a questo mistero, di condividerne il peso e di esplorarne il significato, come ci hanno dimostrato le suore misericordine che da anni accudiscono Eluana e che chiedono adesso che sia loro conservata, perché continui ad essere un forte richiamo al significato e al valore della loro personale esistenza e di quella di ogni uomo. La pietà, invece, come è intesa dalla struttura sanitaria che ha dato la sua disponibilità a uccidere Eluana, non è diversa da quella che uccide il feto malato o l’anziano inabile e insufficiente. Forse vuole essere una pietà verso se stessi, verso la propria incapacità di condivisione del dolore, e quindi la giustificazione della suprema forma del proprio egoismo.
SCUOLA/ Memorandum per il ministro Gelmini: si riforma solo ripartendo dall’educazione - INT. Giorgio Chiosso - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
«Penso che si debba dare atto al ministro Gelmini di aver ripreso un percorso riformista, che era venuto meno con il ministro precedente». Giorgio Chiosso, professore di Storia dell’Educazione all’Università di Torino, riconosce un primo merito al ministro Gelmini: si è tornati quanto meno a parlare di riforma delle superiori, e questo è già un elemento importante. Sul come se ne stia parlando, e sulla sostanza dei primi provvedimenti approvati in Consiglio dei ministri, il giudizio non è però altrettanto positivo.
Professore, prima il positivo: che cosa c’è di buono in quanto emerso dall’ultimo Consiglio dei ministri a proposito del riordino della scuola superiore?
Direi che al di là delle tante critiche che sono emerse in questi mesi, spesso su cose non sostanziali, bisogna riconoscere al ministro che c’è l’intenzione di riprendere il filo di un ripensamento complessivo del sistema scolastico, come già era avvenuto nel quinquennio Moratti. In particolare è poi importante che si torni a parlare di scuola superiore: non bisogna dimenticare che la scuola secondaria superiore è sostanzialmente ferma agli anni Sessanta, fatta eccezione per i progetti Brocca dei primi anni Novanta. In questi decenni non c’è stato altro se non l’esplosione smisurata di sperimentazioni, fino ad arrivare al numero abnorme di maturità che abbiamo in questo momento. Quindi mi pare utile tornare a porre il problema dell’esigenza di un processo di razionalizzazione, che ci allinea agli altri paesi che hanno ripensato la struttura della scuola secondaria.
Se col ministro precedente si era interrotto il discorso riformistico, allora vale la pena, come lei già accennava, riprendere il discorso della riforma Moratti: quanto previsto dalla Gelmini si colloca su quella scia?
Ecco, da questo punto di vista mi pare invece che si debba muovere una critica alla Gelmini. Il ministro sta infatti snaturando la sostanza della riforma Moratti: ha fatto proprie una serie di richieste che si sono snodate in questi due anni con il lavoro di un’apposita commissione sull’istruzione tecnica e professionale (la commissione De Toni) e che ha radicalmente modificato l’impianto della riforma Moratti. Il fatto di ricondurre tutta l’istruzione tecnica e professionale dentro la scuola governata dallo Stato, senza riconoscere invece il ruolo delle Regioni in questo campo (come per altro previsto dal Titolo V della Costituzione) mi sembra essere il segno di un ritorno a un neo-centralismo statalista. Lo dico con molta franchezza: in questo vedo sia un elemento di scarso coraggio, sia il fatto di perdere di vista il valore di un tipo di istruzione e formazione molto legata al territorio e alle esigenze del mondo economico e produttivo. Si ritorna indietro rispetto alla svolta concettuale portata avanti con la riforma Moratti.
Qual era la sostanza di questa svolta concettuale, su cui secondo lei bisognerebbe tornare?
La riforma Moratti si basava sul principio del doppio canale: un canale liceale e poi universitario, e un canale della formazione professionale e dell’istruzione superiore di tipo professionale, in tutto alternativo al precedente, e che doveva svolgersi in maniera compiuta dai 14 ai 22 anni. Questi due canali dovevano acquisire la stessa rilevanza, anche dal punto di vista sociale, superando la visione tipica della struttura scolastica italiana, secondo la quale i licei devono rivestire un ruolo di predominanza e di maggiore validità.
Dunque era una valorizzazione dell’importanza del lavoro, anche manuale.
Il principio fondamentale era proprio questo: sottrarre la formazione professionale a quella visione riduttiva che portava a concepire il lavoro come opzione di riserva, da lasciare ai drop-out, ai ragazzi in difficoltà per vari motivi, agli immigrati, a chi non era in grado di svolgere il percorso scolastico. Era un grande salto culturale: recuperare la piena dignità del lavoro, affiancata alla cultura teorica del liceo. Il tutto tenendo conto della personalizzazione: la scuola e la formazione professionale devono essere al servizio delle inclinazioni, delle caratteristiche dei ragazzi. La vocazione al sapere operativo deve avere un suo proprio riconoscimento, e non bisogna costringere i ragazzi a rimanere prolungatamente nella scuola. Ricondurre tutto alla dimensione “scolastico-centrica” mi sembra dunque un elemento di debolezza culturale.
Per attuare questo, si diceva, è fondamentale il ruolo delle Regioni. Molti sostengono però che alcune Regioni non sarebbero pronte a questa impostazione: come ovviare a questo limite?
Questo è uno degli argomenti che viene portato per giustificare la resistenza del modello centralista. Non nego che l’obiezione sia giustificata; ma nulla vieta che questo processo potesse essere programmato in modo graduale. Lo stesso, ad esempio, avviene per gli ingressi dei vari paesi nell’Unione europea, per cui i paesi entrano nel sistema europeo quando sono pronti; così nulla vietava che le Regioni che sono già pronte potessero da subito acquisire la padronanza complessiva del sistema, mentre altre vi accedessero invece in modo più graduale. A volte però si sostiene categoricamente che alcune Regioni siano incapaci di gestire cose importanti: questo mi rifiuto di crederlo.
Ora abbiamo di fronte un anno, e si è detto che servirà per aprire un "ampio dibattito": quali dovranno esserne gli elementi centrali?
È giusta l’idea di aprire un dibattito, di far capire alle famiglie quali sono le novità, di permettere agli insegnanti di familiarizzare con i nuovi orientamenti dei programmi. Credo che ci sia la necessità di metabolizzare l’idea di cambiamento. Però c’è anche una preoccupazione, e cioè che il dibattito finisca con lo svolgersi solo sul piano tecnico-informativo, oppure secondo una logica di sindacalismo meramente rivendicativo. Non vorrei che si evitasse (ancora una volta) di andare a toccare il cuore del problema: che senso ha la scuola oggi per i ragazzi che hanno tra i 14 e i 19 anni? Che senso ha lavorare con gli adolescenti? Che senso ha oggi mettersi in concorrenza con i grandi produttori di mentalità, di stili di vita dei ragazzi? Gli insegnanti sono solo dei tecnici che impartiscono conoscenze, o hanno una responsabilità più grande?
È il grande tema dell’emergenza educativa…
È proprio questo. Bisognerebbe tornare ad avere un ampio dibattito sulla sostanza: la riforma, infatti, ha senso se noi rilanciamo un grande dibattito sull’idea educativa nella scuola. Altrimenti facciamo un passaggio che si limita a riorganizzare le strutture. Finché poi, a un certo punto, emergono episodi come il bullismo o il disagio dei ragazzi, e improvvisamente ci rendiamo conto che c’è un problema educativo di cui non si era tenuto conto. Dobbiamo porci da subito il problema: c’è una grandissima quantità di studenti che fa fatica ad andare a scuola, che si annoia, che trova più stimoli a navigare in rete o a fare altro. Tutto questo è casuale, o c’è una qualche responsabilità educativa della scuola? Ecco da dove bisogna ripartire.
(Rossano Salini
TENDE AVSI/ Paraguay: La cittadella dell'amore di Padre Trento - Redazione - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
In tutta Asunción è difficile trovare qualcuno che non conosca la parrocchia San Rafael.
Recentemente il parroco, padre Aldo Trento, è stato insignito delle «chiavi della città» con una cerimonia che ha stupito persino la CNN. Ma la fama della parrocchia non si limita alla capitale del Paraguay. A quattrocento chilometri c’è Ciudad del Este, città contrabbandiera e selvaggia per antonomasia. Capita spesso che i giudici del tribunale locale si rifacciano alla legge che concede ai condannati di espiare la pena versando denaro alle iniziative di carità e le opere parrocchiali sono tra le più gettonate.
San Rafael è un posto che vuole assomigliare a una «riduzione», reducción, le comunità degli indios guaraní create nel 1600 dai missionari gesuiti. Il Paraguay è la terra delle reducciones, luogo di vita comunitaria eretto per l’evangelizzazione, la libertà e la difesa degli indios, che vennero però spazzate via a metà del 1700 con la ferocia di un potere invidioso e inumano. Una civiltà sepolta troppo presto e che ai più resta purtroppo sconosciuta.
Padre Aldo viene da Belluno e appartiene alla Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, una delle esperienze più originali nate dal movimento di Comunione e Liberazione. Fu proprio don Giussani a parlare ad Aldo delle reducciones nel momento in cui gli propose di partire nel 1989 per il Paraguay. Questo è un paese pieno di tanti mondi diversi. I pochi ricchissimi e i tanti poveri, gli indios e gli spagnoli, le donne, moltissime senza marito, e gli uomini che una sociologia a buon mercato dipinge come sfaccendati buoni a nulla. Ma soprattutto la città e la campagna. E cioè Asunción, fondata nel Cinquecento dagli spagnoli sulle rive del rio Paraguay, e un paio di altri centri degni di nota, accanto a tutto il resto del paese. Come le altre realtà urbane dell’America Latina anche Asunción si trova a cavallo tra Terzo Mondo e Duemila, ma è più modesta e provinciale delle cugine del Cono Sur.
La vita di San Rafael offre un contrasto spettacolare con i ritmi e le immagini del resto del paese. La gente che popola gli spazi parrocchiali, i volontari, la quantità e varietà di opere di carità, cultura e missione. La scuola, il coro polifonico, la pizzeria, il Centro di aiuto alla vita, la distribuzione di cibo e vestiti e poi il «gioiello» della clinica per malati terminali, lo scrigno che racchiude il cuore di padre Aldo e padre Paolino, che l’hanno voluta sfidando tutto e tutti: la «Casa della Divina Provvidenza» dedicata a San Riccardo Pampuri.
È già stata l’ultima casa per centinaia e centinaia di malati, raccolti dalle strade e dagli altri ospedali che non volevano più tenerli. Un addio alla vita dato tra lenzuola candide e infermiere amorevoli, soccorsi e medicati come in nessun altro luogo, circondati di amore e tenerezza. La clinica, nata nel 2004, col passare degli anni si è allargata più volte. Da allora sono quasi 600 i malati di AIDS (18%), cancro (63%) o altre patologie ospitati dalla clinica, 500 dei quali accompagnati alla morte. Ridare dignità umana a questi poveri abbandonati è una delle sfide principali della clinica.
Ma la San Riccardo non è l’unica opera nata in seno alla parrocchia San Rafael. Da essa si dipana una lunga catena di opere caritatevoli realizzate grazie al contributo privato e personalissimo della gente. La casa di accoglienza Padre Pio raccoglie malati di AIDS emarginati e abbandonati che non hanno un luogo dove vivere. Il policonsultorio Juan Pablo II nato nel 2002, che, con la carità di alcuni amici medici, offre assistenza sanitaria gratuita (14.872 le persone assistite dall’ambulatorio tra il 2003 e l’aprile 2008). Ma la lista di iniziative è difficile da esaurire.
Ultima arrivata è la Casita de Belén, creata per accogliere i bambini a rischio, innanzitutto gli orfani di mamme e papà morti nella Casa della Divina Provvidenza. Fondata l’8 febbraio 2008, la casa ospita 20 bambini tra i 3 e gli 11 anni. Qui hanno trovato nuovi genitori, persone che si occupano della loro salute, dell’alimentazione e del loro sviluppo integrale.
Padre Aldo li saluta tutte le mattine prima di andare a scuola, il cuore giovane della parrocchia, frequentata da duecento bambini di famiglie povere, aiutati dal sostegno a distanza dell’AVSI.
(Tratto dal libro Lo sviluppo ha un volto. Riflessioni su un'esperienza a cura di Roberto Fontolan, con l'introduzione di Alberto Piatti - Edizioni Guerini e Associati)
1) 21/12/2008 16.35.44 – Radio Vaticana – Il Papa all’Angelus riflette sul mistero dell’Annunciazione e rende omaggio all’astronomia, poi invita a gustare la gioia di accogliere Gesù
2) Lettera Apostolica del Papa per il VII centenario della morte del beato Duns Scoto - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 21 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo della Lettera Apostolica che Benedetto XVI ha inviato all'Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Joachim Meisner, e ai partecipanti al Congresso scientifico internazionale in occasione del VII Centenario della morte del beato Giovanni Duns Scoto.
3) Più rispetto e assistenza per i malati mentali - Richiesta di "Cristiani per servire" - di Antonio Gaspari
4) Dannazione e redenzione nel cinema di John Ford - È la polvere la stoffa di cui è fatto il mondo - di Andrea Monda – L’Osservatore Romano, 21 dicembre 2008
5) La via dell'esodo lungo il deserto della Monument Valley - di Luca Miele – L’Osservatore Romano, 21 dicembre 2008
6) EDUCAZIONE/ Il "regalo" di Tatiana - Mario Mauro - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
7) ELUANA/ Ventorino: quando dietro la parola “pietas” si nasconde il proprio egoismo - Don Francesco Ventorino - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
8) SCUOLA/ Memorandum per il ministro Gelmini: si riforma solo ripartendo dall’educazione - INT. Giorgio Chiosso - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
9) TENDE AVSI/ Paraguay: La cittadella dell'amore di Padre Trento - Redazione - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
21/12/2008 16.35.44 – Radio Vaticana – Il Papa all’Angelus riflette sul mistero dell’Annunciazione e rende omaggio all’astronomia, poi invita a gustare la gioia di accogliere Gesù
Le leggi della natura siano di stimolo per contemplare le opere del Signore. Benedetto XVI all’Angelus spiega il ruolo dell’astronomia per scandire i tempi della preghiera ed invita - a pochi giorni dal Natale – a prepararsi per accogliere il Redentore. Il servizio di Roberta Gisotti:http://62.77.60.84/audio/ra/00143075.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00143075.RM
Un’insolita lezione di astronomia del Papa, che è partito nella sua riflessione dal tema dell’Annunciazione - offerto dal Vangelo nella quarta domenica di Avvento - mistero cui ritorniamo ogni giorno recitando l’Angelus, la preghiera che ci fa rivivivere “il momento decisivo in cui Dio bussò al cuore di Maria e, ricevuto il suo sì incomincio a prendere carne in lei e da lei”. A pochi giorni dal Natale il Papa ha quindi invitato “a fissare lo guardo sul mistero ineffabile che Maria ha custodito per nove mesi nel suo grembo verginale:”
“Il mistero di Dio che si fa uomo. E’ questo il primo cardine della redenzione. Il secondo è la morte e risurrezione di Gesù, e questi due cardini inseparabili manifestano un unico disegno divino: salvare l’umanità e la sua storia assumendole fino in fondo col farsi carico interamente di tutto il male che le opprime”.
Mistero di salvezza che “oltre a quella storica, ha una dimensione cosmica”: “Cristo – ha sottolineato il Santo Padre - è il sole di grazia che, con la sua luce, trasfigura ed accende l’universo in attesa”. E la stessa Festa del Natale – ha spiegato il Papa – è legata al solstistizio d’inverno, che segna l’allungarsi delle giornate nell’emisfero boreale, e questo a partire dalle ore 12 del 21 dicembre.
Benedetto XVI ha ricordato che Piazza San Pietro è una meridiana, laddove il grande obelisco getta la sua ombra – la più lunga dell’anno in questi tempi - lungo una linea che corre sul selciato, verso la fontana sotto la sua finestra. Questo per rimarcare il ruolo dell’astronomia nello scandire i tempi della preghiera, come l’Angelus recitato al mattino, a mezzogiorno e a sera; per cui anticamente con la meridiana si conosceva il ‘mezzogiorno vero’ e si regolavano gli orologi.
Il Papa ha così colto l’occasione per segnalare l’Anno mondiale 2009 dell’Astronomia, indetto nel 4° centenario delle prime osservazioni al telescopio di Galileo Galilei. Diversi furono - ha poi rammentato - i pontefici cultori di questa scienza come “Silvestro II che la insegnò, Gregorio XIII, cui dobbiamo il nostro calendario, e San Pio X che sapeva costruire orologi solari”.
“Se i cieli, secondo le belle parole del salmista, “narrano la gloria di Dio”, anche le leggi della natura, che nel corso dei secoli tanti uomini e donne di scienza ci hanno fatto capire sempre meglio, sono un grande stimolo a contemplare con gratitudine le opere del Signore”.
Tornando al tema del Natale, impariamo - ha concluso Benedetto XVI - da Giuseppe e Maria il segreto del raccoglimento per gustare la gioia di accogliere Gesù:
“Prepariamoci ad accogliere con fede il Redentore che viene a stare con noi, Parola d’amore di Dio per l’umanità di ogni tempo”.
Dopo la recita dell’Angelus, nei saluti ai pellegrini di tutto il mondo, il Papa ha rivolto un indirizzo particolare a 50 novelli sacerdoti dei Legionari di Cristo, ordinati ieri dal cardinale Angelo Sodano nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma, ed ancora all’associazione palermitana “Quelli della Rosa Gialla”, che ha realizzato un’opera teatrale ispirata alla vita di don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia 15 anni fa.
Lettera Apostolica del Papa per il VII centenario della morte del beato Duns Scoto - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 21 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo della Lettera Apostolica che Benedetto XVI ha inviato all'Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Joachim Meisner, e ai partecipanti al Congresso scientifico internazionale in occasione del VII Centenario della morte del beato Giovanni Duns Scoto.
* * *
BENEDETTO XVI
SOMMO PONTEFICE
Lettera Apostolica
al Nostro Venerato Fratello
Joachim Meisner, Cardinale di S.R.C.,
Arcivescovo di Colonia,
e a quanti da ogni parte del mondo partecipano
al Congresso scientifico internazionale
in occasione del VII Centenario della morte
del beato Giovanni Duns Scoto
Rallégrati, città di Colonia, che un giorno hai accolto fra le tue mura Giovanni Duns Scoto, uomo dottissimo e piissimo, il quale l'8 novembre del 1308 passò dalla vita presente alla patria celeste; e tu, con grande ammirazione e venerazione, ne conservi le spoglie.
I Nostri Venerabili Predecessori, Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, lo hanno esaltato con elevate espressioni; anche Noi ora vogliamo circondarlo di meritata lode e invocarne il patrocinio.
Giustamente perciò e meritatamente viene ora celebrato il settimo centenario del suo pio transito. E mentre, per questa felice occasione, in diverse parti del mondo si stanno pubblicando articoli e intere opere in onore del beato Giovanni Duns Scoto e si tengono congressi, tra i quali è ora in preparazione quello solenne di Colonia, che si svolgerà nei giorni 5-9 del prossimo mese di novembre, riteniamo essere dovere del Nostro servizio, in questa circostanza, dire alcune parole su un uomo così esimio, che si è reso tanto benemerito nel contribuire al progresso della dottrina della Chiesa e della scienza umana.
Egli infatti, associando la pietà con la ricerca scientifica, secondo quella sua invocazione: "II primo Principio degli esseri mi conceda di credere, gustare ed esprimere quanto è gradito alla sua maestà e innalza le nostre menti alla sua contemplazione" (1), con il suo raffinato ingegno così profondamente è penetrato nei segreti della verità naturale e rivelata e ne ha ricavato una dottrina tale da essere chiamato "Dottore dell'Ordine", "Dottore Sottile" e "Dottore Mariano", divenendo maestro e guida della Scuola Francescana, luce ed esempio a tutto il popolo cristiano.
Desideriamo pertanto richiamare gli animi degli studiosi e di tutti, credenti e non credenti, all'itinerario e al metodo che Scoto ha seguito per stabilire l'armonia tra fede e ragione, nel definire in tale maniera la natura della teologia da esaltarne costantemente l'azione, l'influsso, la prassi, l'amore, piuttosto che la pura speculazione; nel compiere questo lavoro, egli si fece guidare dal Magistero della Chiesa e da un sano senso critico in merito alla crescita nella conoscenza della verità, ed era persuaso che la scienza ha valore nella misura con cui viene realizzata nella prassi.
Ben saldo nella fede cattolica, egli si è sforzato di comprendere, spiegare e difendere le verità della fede alla luce della ragione umana. Pertanto null'altro si sforzò di fare se non di dimostrare la consonanza di tutte le verità, naturali e soprannaturali, che promanano da un'unica e medesima Fonte.
Accanto alla Sacra Scrittura, divinamente ispirata, si colloca l'autorità della Chiesa. Egli sembra seguire il detto di S. Agostino: "Non crederei al Vangelo, se prima non credessi alla Chiesa" (2). Infatti, il nostro Dottore non di rado pone in speciale risalto la suprema autorità del Successore di Pietro. Secondo il suo dire, "sebbene il Papa non possa dispensare contro il diritto naturale e divino (poiché il suo potere è inferiore ad entrambi), tuttavia, essendo il Successore di Pietro, il Principe degli Apostoli, egli ha la medesima autorità che ebbe Pietro" (3).
Pertanto la Chiesa Cattolica, che ha come Capo invisibile lo stesso Cristo, il quale lasciò i suoi Vicari nella persona del beato Pietro e nei suoi Successori, guidata dallo Spirito di verità, è custode autentica del deposito rivelato e ,regola della fede. La Chiesa è criterio saldo e stabile della canonicità della Sacra Scrittura. Essa infatti "ha stabilito quali sono i libri da ritenersi autentici nel canone della Bibbia" (4).
Altrove afferma che "le Scritture sono state esposte con quel medesimo Spirito col quale furono scritte, e così si deve ritenere che la Chiesa cattolica le abbia presentate con quel medesimo Spirito con cui ci è stata trasmessa la fede, istruita cioè dallo Spirito di verità" (5).
Dopo aver provato con vari argomenti, tratti dalla ragione teologica, il fatto stesso della preservazione della Beata Vergine Maria dal peccato originale, egli era assolutamente pronto anche a rigettare questa persuasione, qualora fosse risultato che essa non fosse in sintonia con l'autorità della Chiesa, dicendo: "Se non contrasta con l'autorità della Chiesa o con l'autorità della Scrittura, sembra probabile doversi attribuire a Maria ciò che è più eccellente" (6).
II primato della volontà mette in luce che Dio è prima di tutto carità. Questa carità, questo amore, Duns Scoto lo tiene presente quando vuole ricondurre la teologia ad un'unica espressione, cioè alla teologia pratica. Secondo il suo pensiero, essendo Dio "formalmente amore e formalmente carità" (7), comunica con grandissima generosità al di fuori di sé i raggi della sua bontà e del suo amore (8). E in realtà, è per amore che Dio "ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (Ef 1, 3-4).
Fedele discepolo di san Francesco d'Assisi, il beato Giovanni contemplò e predicò assiduamente l'incarnazione e la passione salvifica del Figlio di Dio. Ma la carità o l'amore di Cristo si manifesta in modo speciale non soltanto sul Calvario, ma anche nel santissimo sacramento dell'Eucarestia, senza il quale "scomparirebbe ogni pietà nella Chiesa, né si potrebbe - se non attraverso la venerazione del medesimo sacramento - tributare a Dio il culto di latria" (9). Questo sacramento inoltre è sacramento di unità e di amore; per mezzo di esso siamo indotti ad amarci scambievolmente e ad amare Dio come bene comune e da essere coamato dagli altri.
E come quest'amore, questa carità, fu l'inizio di tutto, così anche nell'amore e nella carità soltanto sarà la nostra beatitudine: "Il volere oppure la volontà amorevole è semplicemente la vita eterna, beata e perfetta" (10).
Avendo Noi all'inizio del Nostro ministero innanzitutto predicato la carità, che è lo stesso Dio, vediamo con gioia che la dottrina singolare di questo Beato riserva un luogo particolare a questa verità, che massimamente riteniamo degna di essere indagata ed insegnata nel nostro tempo. Pertanto volentieri venendo incontro alla richiesta del Venerato Fratello Nostro Joachim Meisner, Cardinale di S.R.C., Arcivescovo di Colonia, inviamo questa Lettera Apostolica con la quale desideriamo onorare il beato Giovanni Duns Scoto ed invocare su di Noi la sua celeste intercessione. Infine a coloro che in qualsiasi modo partecipano a questo congresso internazionale ed ad altre iniziative riguardanti questo esimio figlio di San Francesco, impartiamo di cuore la Nostra Benedizione Apostolica.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 28 ottobre 2008, quarto anno del Nostro Pontificato.
BENEDICTUS PP. XVI
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1 DUNS SCOTUS, Tractatus de primo Principio, c. 1 (ed. MULLER M., Friburgi Brisgoviae, 1941, 1).
2 Idem, Ordinatio I d.5 n.26 (ed. Vat. IV 24-25).
3 Idem, Rep. IV d.33 q.2 n. 19 (ed. VIVES XXIV 439 a.)
4 Idem, Ordinatio I d.5 n. 26 (ed. Vat. IV 25).
5 Ibid., IV d.11 q.3 n. 15 (ed. Vat. IX 181).
6 Ibid., III d.3 n. 34 (ed. VIVES XIX 167 b).
7 Ibid., I d.17 n. 173 (ed. Vat. V 221-222).
8 Cfr idem, Tractatus de primo Principio, c.4 (ed. MULLER M., 127).
9 Idem, Rep. IV d.8 q.1 n.3 (ed. VIVES XXIV 9-10).
10 Ibid., IV d.49 q.2 n. 21 (ed VIVES XXIV 630a).
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]
Più rispetto e assistenza per i malati mentali - Richiesta di "Cristiani per servire" - di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 21 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Il 20 dicembre si è celebrata la 38ma "Giornata dei diritti dell'handicappato mentale".
L'evento non ha avuto molto risalto sui mezzi di comunicazione di massa. Per questo motivo, ZENIT ha intervistato Franco Previte, presidente dell'Associazione "Cristiani per servire" (http://digilander.libero.it/cristianiperservire), che da anni si occupa del tema.
Perché questa ricorrenza?
Previte: Si celebra la 38ma "Giornata dei diritti dell'handicappato mentale" voluta dall'ONU per ricordare quanto nella sostanza ha come obiettivo il ribadire "che questo tipo di malato deve godere in tutta la misura possibile degli stessi diritti degli altri esseri umani", così come è stato voluto dall'ONU.
Tra questi diritti, (che condividiamo) :
il diritto alla vita, (no all'eutanasia);
il diritto ad essere riconosciuto come persona (prima che come "categoria");
il diritto ad avere una famiglia (cioè sostenere con i meccanismi della solidarietà sociale);
il diritto ad avere una migliore assistenza possibile (medica, riabilitativa);
il diritto alla scuola, (quando si può);
il diritto al lavoro, (quando è possibile);
il diritto a partecipare alla vita della comunità (religiosa, ricreativa, sociale).
Qual è la situazione in Italia e in Europa per l'assistenza agli affetti da malattie mentali?
Previte: In Italia è in atto un grande disorientamento sia verso i servizi sociali che sono carenti, sia verso le famiglie che sono state abbandonate al loro destino da moltissimo tempo. In Europa vi è una carente Normativa Comunitaria. Come abbiamo sottolineato nel nostro Ricorso n.44330/06 del 13 ottobre 2006 alla "Corte Europea per i Diritti dell'Uomo" di Strasburgo. Comunque in alcuni Stati ogni 3/5 anni viene rivista la legge sulla malattia mentale, cosa che non avviene in Italia.
Per esempio sono in enorme crescita fenomeni come l'anoressia e la bulimia. Due facce della stessa medaglia e consistono nella perdita o nell'eccesso di appetito che colpisce in maniera speciale le ragazze. Questa patologia si potrebbe definire uno stato di ansia che, se esagerato, comporta un rapporto errato con il proprio corpo, un difetto nutrizionale a danno della salute fisica e mentale. Esse sono manifestazioni di un disagio in una varietà di disturbi che interessano la sfera psichica dell'individuo.
L'anoressia e la bulimia sono gravi disturbi sotto il profilo medico-sociale. Nel 9% dei casi colpiscono i giovani fra i 9 e i 15 anni. Malattie come l'anoressia e la bulimia, unitamente ad altri "fenomeni", costituiscono una verità, una fondamentale dimostrazione di quanto sia grave il disagio sociale e di quanto siano urgenti interventi atti a migliorare la qualità dei servizi delle cure e dell'eventuale inserimento sociale dei "soggetti".
E' quindi urgente e necessaria una forte presa di coscienza del Parlamento e del Governo.
Come si può intervenire?
Previte: Come "Cristiani per servire" abbiamo richiesto nelle nostre Petizioni giacenti in Parlamento interventi a livello della prevenzione, della diagnosi, delle terapie, della pedagogia, delle istituzioni di ricovero della famiglia, dell'ambiente sociale, delle relazioni tra persona ed ambiente, dell'economia.
Prevenzione: della medicina prenatale ( esempio assistenza in gravidanza);
Diagnosi: dovere del medico e delle istituzioni sanitarie per la ricerca di deficit genetici;
Terapie: trattamento psico-farmacologico;
Pedagogia: rilevamento dei limiti di funzionamento intellettivo. Fondamentale è la scuola, e l'integrazione scolastica costituisce un obiettivo di grande civiltà.
Istruzioni di ricovero: sarebbero auspicabili piccole strutture di accoglienza con modelli di vita comunitaria che possono facilitare l'inserimento sociale.
Famiglia: essa costituisce l'anello più importante e più delicato nella catena degli interventi (specie verso i bambini), in quanto l'umanizzazione è tanto possibile quanto è maggiore la solidità dell'istituto familiare, esclusi i soggetti schizofrenici.
Ambiente sociale: può contribuire a ridurre il tasso di prevalenza del ritardo mentale.
Relazioni tra persona e ambiente: un ambiente ricco di stimoli, ma non ansiogeno, né coercitivo quale spazio verde, attività verso il mondo agricolo (accudire animali domestici da cortile, cultura fiori ecc.), nonché incontri con animali domestici, come passeggiate a dorso di cavallo, asini, oppure a piedi in compagnia di cani di razza Terranova, adatti per il loro carattere bonaccione, la cosiddetta "pet therapy".
Cosa è necessario in pratica?
Previte: E' essenziale e prioritario quanto abbiamo richiesto nella nostra Petizione n.5 assegnata alla 12ma Commissione Igiene e Sanità e n.6 alla III Commissione Esteri del Senato della Repubblica; e con la petizione n.9 assegnata alla 12ma Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati.
Queste necessità le ho già illustrate il 17 marzo 2005 nella Sala Verde di Palazzo Chigi in occasione della "Giornata di riflessione sulla depressione" e sono condensate in 9 punti essenziali:
1. Eventuale costituzione di un Fondo Speciale Economico (Dopo di noi)
2. Possibile attivazione della ricerca scientifico-farmacologica sulle malattie mentali
3. Aggiornamento assegni di assistenza.
4.Deducibilità dal reddito complessivo agli effetti IRPEF delle spese socio-alberghiere.
5. Riforma Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
6. Proibizione della terapia elettroconvulsionante e braccialetto elettronico
7. Aumento posto letto da 15 a 30 negli Enti Ospedalieri.
8. Riqualificazione Operatori Sanitari ( Medici ed Infermieri).
9. Nelle strutture residenziali esistenti spazio verde.
La cronaca riporta spesso di tristi episodi nei quali sono protagoniste persone psichicamente instabili. Qual è il suo parere in merito?
Previte: Oggi assistiamo all'affermarsi del fenomeno della frammentazione delle "cose" e per questo è difficile e spesso vana la ricerca di un "senso". Scrisse il Santo Padre Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica "Fides et Ratio": Non pochi si chiedono se abbia ancora senso porsi la domanda sul senso".E' una degradazione della ragione senza ricercare la verità, senza ricercare la realtà. Oggi il cittadino che continua nella strada della morale ha il timore di perdere quei diritti che fanno parte dell'etica civile, cioè il rispetto della persona. I psicolabili "violentati" nei loro diritti e le loro famiglie abbandonate da molto tempo reclamano solidarietà e giustizia.
La patologia mentale colpisce a vari livelli, dalla depressione alla schizofrenia, ma continua a gemere sotto la cenere del silenzio e dell'indifferenza delle Istituzioni, mentre è crescente tra persone di ogni età, specie tra i giovani, di circa il 20% della popolazione, il 16% per varie forme di disagio mentale, il 4% per disordini mentali.
Per porre riparo a una situazione così grave non bastano manifestazioni esteriori, come quando accadono casi eclatanti, allora tutti fanno finta di "muoversi", e poi ....il "problema" svanisce nel giro di una notte!
I tempi della politica non tengono conto del dolore e delle difficoltà della gente sofferente!
Non possiamo non ricordare le finalità pastorali etico-sociali nel Messaggio dei Vescovi per la "30ma Giornata per la vita", perché è servire la vita anche "quando è scomoda e dolorosa anche per chi è gravemente ammalato".
La nostra viva riconoscenza, autentica e sincera, è rivolta oltre che al Santo Padre Giovanni Paolo II anche al Pontefice Benedetto XVI per le parole di sostegno, di denuncia e di impegno profuse con coraggio e senza mezzi termini nel Messaggio in occasione della 14ma Giornata Mondiale del Malato "sui problemi connessi col disagio mentale".
Che cosa propone l'Associazione Cristiani per Servire?
Previte: Servizi specifici ed adeguati in uguali strutture, questo abbiamo richiesto al Parlamento italiano e a quello europeo.
Molto importante è il "dopo di noi", cioè cosa accadrà ai malati mentali quando i parenti non ci saranno più. C'è bisogno di un sistema sociale studiato e programmato che si riveli idoneo ai bisogni assistenziali (anche economici) sulla autonomia della persona-malata in grado di garantire il domani.
In sede europea, con la Petizione n.146/99 inoltrata dalla nostra Associazione (la prima Associazione ad introdurre questa "problematica" in Europa), la UE ha riconosciuto primaria l'importanza della promozione della salute. Con un'altra Petizione del 21 dicembre 2004 si è voluto porre in evidenza l'inadeguata attenzione della Costituzione Europea sull'handicap mentale richiedendo un provvedimento legislativo, Risoluzione o Direttiva Comunitaria sui portatori di disagio psichico, soprattutto per una libera circolazione delle persone in sicurezza, già prevista dal Trattato di Schengen, a fronte dei gravi rischi per la diversificazione dei provvedimenti vigenti in ciascun Stato.
Respinta la Petizione per "incompetenza dell'Unione Europea nel settore della sanità pubblica compresa quella relativa alla malattia mentale", ho fatto ricorso alla "Corte Europea per i diritti dell'Uomo" di Strasburgo (rubricato al n.44330/06), con il quale si ritiene una violazione dei diritti inerenti il comparto socio-sanitario dal quale non è possibile non considerare la patologia mentale da parte della Costituzione Europea che ha disatteso, confuso, unificato il disagio psichico col patogeno fisico ritenuto uguale nel mondo della sofferenza e del dolore, come ha compiuto la "Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità" dell'ONU, ancora da ratificare da parte del Governo Italiano, richiesta fortemente voluta con le citate nostre Petizioni.
Attendiamo gli sviluppi formali del Ricorso alla Corte Europea, con la speranza che si addivenga ad una Sentenza definitiva di riconoscimento e di stimolo al Parlamento Europeo per una Direttiva Comunitaria uguale e con la stessa valenza in tutti gli Stati della Unione Europea.
Mentre il Governo italiano ha presentato un disegno di legge iniziante la ratifica della "Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità" che dovrà essere approvato dal Parlamento, noi abbiamo presentato un appello al Governo Berlusconi ed al Consesso Parlamentare, per sollecitare alcuni punti ritenuti prioritari ed indilazionabili, e cioè:
a.) ai sensi dell'art.43 la ratifica come consenso vincolante e nel rispetto delle dignità umana precise riserve ai sensi dell'art.47 e tali da escludere ogni possibile riferimento all'aborto, ad ogni metodo o modalità della salute riproduttiva;
b.) emendamento per riconoscere il termine giuridico di handicappato mentale ai sensi dell'art.47 da parte dell'Italia onde apportare, come recita l'art. 4 della "Convenzione", norme migliorative in sostituzione delle leggi 180 e 833 del 1978 in conformità con la legge n.104/1992;
c.) richiesta all'ONU di indizione di una " Giornata Mondiale sulla salute mentale" ;
d.) che il Parlamento adotti una legge-quadro di riordino dell'assistenza psichiatrica.
Dannazione e redenzione nel cinema di John Ford - È la polvere la stoffa di cui è fatto il mondo - di Andrea Monda – L’Osservatore Romano, 21 dicembre 2008
"Il mio nome è John Ford. Faccio western". Questa forse è la battuta più celebre di Sean Aloysious O'Feeney, nato alla fine dell'Ottocento da emigranti irlandesi e diventato famoso per le decine di film che hanno raccontato l'ultima grande epica della storia moderna, quella del Far West e della violenta e avventurosa nascita degli Stati Uniti d'America. Come osservava Ludovico Alessandrini, compianto e illuminato dirigente della Rai, se si mettessero insieme tutti i migliori film western di Ford se ne ricaverebbe una sorta di poema epico, degno di Omero, capace di raccontare attraverso i diversi "canti" - il primo film di Ford è del 1917, l'ultimo del 1966 - la nascita di una nazione sorta da quel continuo affrontare e superare la frontiera, il mondo selvaggio, l'ignoto, la sfida dell'integrazione e del melting pot. Con il solito acume il poeta argentino Jorge Luis Borges ha riassunto molto bene la questione affermando che: "Seppure per motivi commerciali, Hollywood ha salvato l'epica", e a John Ford spetta senz'altro il ruolo maggiore in questo lavoro di salvataggio. Ma per una volta proviamo a porre l'accento non su John, ma su Sean, cioè sul "lato oscuro" della sua filmografia, sulle opere non-western, quelle che rischiano di essere sbilanciate dal peso imponente delle pellicole con il cowboy come protagonista. Dare un'occhiata all'altro piatto della bilancia vuol dire imbattersi in altri film straordinari - e anche pluripremiati, tra l'altro Ford, con i quattro premi Oscar vinti come regista detiene ancora un record insuperato - da Il traditore a Furore, da Un uomo tranquillo a Com'era verde la mia valle, da La croce di fuoco a L'ultimo hurrah. Sono film dove è forte la presenza della città, come ne Il traditore o ne L'ultimo hurrah; o altri dove invece prevale il paesaggio rurale, a metà strada tra la natura selvaggia e la presenza dell'uomo: un paesaggio quasi sospeso, una dimensione da "soglia" - come nel Messico de La croce di fuoco, l'Irlanda di Un uomo tranquillo e il Galles di Com'era verde la mia valle. La realtà è che Ford è Ford sia negli scenari infiniti della Monument Valley, sia tra i vicoli notturni e nebbiosi di Dublino, in quelli corrotti dei bassifondi messicani o in quelli, non meno opachi, della città del New England, teatro delle sfide elettorali de L'ultimo hurrah. Un regista che "sa di che cosa è fatto il mondo", diceva Orson Welles, suo grande estimatore e imitatore; sarà lo stesso autore di Quarto Potere a riconoscere, un giorno, l'influenza, anche tecnica, ricevuta da film come Ombre rosse. Ford sa di cosa è fatto l'uomo, e sa che la vita di ogni uomo assomiglia all'attraversamento di un deserto. Questa immagine egli ripropone anche quando non si tratta del deserto dell'Arizona: la vita umana è sempre contesa tra i due poli della dannazione e della redenzione. In questo senso sono assimilabili due film, Il traditore e La croce di fuoco, che il regista americano ricava da due intensi romanzi: quello di Liam O'Flaherty e Il potere e la gloria di Graham Greene. I due protagonisti, Gypo Nolan, il membro dell'Ira irlandese che ha tradito il suo amico, e l'anonimo prete vigliacco inseguito dalla polizia messicana, compiono un'odissea estrema e dolorosa che li porterà, anche contro la loro immediata volontà, a una sorta di riscatto finale. Sono due fuggitivi - The fugitive è il titolo originale, migliore di quello italiano, del film tratto da Greene - che scappano da loro stessi, dal peso della responsabilità che li schiaccia inesorabilmente e la fotografia, cupa, asfissiante, delle due pellicole rende in modo quasi tangibile il senso della notte dell'angoscia che i due personaggi stanno vivendo. Emerge prepotentemente in questi due film la dimensione religiosa e il peso, anche "iconografico" della fede cattolica del regista d'origine irlandese. Se il finale di In nome di Dio con quel camminare, anzi lo strisciare per terra, di John Wayne l'unico cowboy superstite che arranca con in braccio il bambino salvato nel deserto, è evidentemente figura del mistero del Natale di Cristo, il finale de Il traditore con Victor MacLaglen nei panni del "giuda" Gypo Nolan, anch'egli strisciante, ma tra le panche della chiesa dublinese, mendicando il perdono per il tradimento, rinvia esplicitamente al mistero della croce, così come l'ultima scena di The Fugitive, con la luce che fende l'oscurità e il ritorno del sacerdote, rappresenta un richiamo forte e chiaro alla risurrezione di Cristo e, con lui, del suo popolo. Il cinema di Ford ha la forza dell'essere popolare, nel senso concreto, incarnato; un cinema che riesce a parlare un linguaggio forte e chiaro, fatto di passioni estreme e sanguigne, ma che non riduce mai la complessità dell'esistenza umana che rispetta sempre quel mistero che è l'uomo. Così un film all'apparenza solare e lieve, come Un uomo tranquillo, che sembra solo una scanzonata celebrazione della terra e dello spirito irlandese, rivela al suo interno molto di più: una zona d'ombra e di "forza" che striscia latente in tutti i film di Ford e permette un godimento del suo cinema che non diminuisce nel tempo. È forse questa "custodia della complessità" a spiegare come mai sia stato Ford a realizzare uno dei film migliori sul tema, così difficile e scivoloso, della politica. L'ultimo hurrah è uno degli ultimi film del regista americano, uscito cinquant'anni fa negli Usa e ispirato dal romanzo omonimo di Edwyn O'Connor, un film crepuscolare, dolente e struggente, grazie anche a una intensa interpretazione di Spencer Tracy. A distanza di mezzo secolo la storia non ha perso il suo smalto rivelandosi uno dei pochi film nell'intera storia del cinema che parla di politica senza cadere nel rischio, molto diffuso non solo nel nostro Paese, del moralismo ipocrita e del manicheismo. Da questo punto di vista il film di Ford rinvia non solo al romanzo di Edwyn O'Connor, ma anche ai romanzi di Flannery O'Connor - anche lei di origine irlandese come rivela il cognome - una scrittrice cattolica allergica a ogni forma di moralismo e di manicheismo. Per la O'Connor ogni racconto è la descrizione dell'opera della Grazia nei territori del diavolo; e quindi è difficile trovare nelle sue narrazioni storielle a lieto fine: il suo scrivere "da cattolica", non vuol dire costruire trame edificanti, ma approfondire il mistero della realtà, penetrarla attraverso una discesa ad inferos. Questa è la lezione della O'Connor che ha compreso bene come rischi, per l'uomo contemporaneo, siano lo spiritualismo, il moralismo e il sentimentalismo - e forse sta qui, nel sentimentalismo, la ragione della strana assenza di buoni film sulla politica. È quanto mai attuale la lezione della O'Connor, specie nella sua critica al manicheismo che, per la scrittrice americana, non è solo cattiva teologia, ma anche pessima letteratura: "La narrativa riguarda tutto ciò che è umano e noi siamo polvere, dunque se disdegnate di impolverarvi, non dovreste tentare di scrivere narrativa". È la stessa lezione di John Ford, "esperto di umanità", che ha raccontato la polvere, cioè la stoffa di cui è fatto il mondo, anche quando, a mostrarlo, non siano direttamente le nuvole di polvere desertica della Monument Valley.
(©L'Osservatore Romano - 21 dicembre 2008)
La via dell'esodo lungo il deserto della Monument Valley -
di Luca Miele – L’Osservatore Romano, 21 dicembre 2008
Solo cowboy, duelli all'Ok Corral, scazzottate e bevute? A distanza di più di trenta anni dalla morte, la produzione cinematografica di John Ford appare ancora troppo schiacciata sull'iconografia western. Negli anni - complice una certa opacità della critica - si è sedimentata una lettura semplicistica di Ford e della sua opera, solo recentemente ribaltata. A riguardarli, i film del regista americano di origini irlandesi conservano intatti forza e fascino. Da dove nasce tale fascino? Ha scritto bene Fabio Troncarelli: esso si sprigiona dalla "sottile trama di enigmi che accompagnano come un ricamo misterioso le opere fordiane". Le immagini di Ford "hanno un senso segreto, una iridescente varietà di significati". Più che la semplicità o l'univocità o, ancora, la perentorietà di certi "messaggi", è la ricchezza e l'abbondanza dei punti di vista, dei piani narrativi e dei simboli - polisemia - la chiave per accostarsi all'opera del regista americano. Ford si muove dentro la costellazione di opposizioni binarie tipiche del genere western; e che la sua stessa opera ha contribuito a codificare: il deserto e il giardino; il matrimonio e il celibato; il maschile e il femminile; il bianco e l'indiano; la legge e la sua violazione. Ma - come già notava Franco Ferrini - tra poli opposti il regista instaura una serie di connivenze segrete, di transiti, di scambi. Queste ambivalenze trovano espressione a livello iconografico. Basti pensare all'immagine del portico - ricorrente, da Sentieri Selvaggi a Sfida infernale - spazio di ibridazione tra il "dentro" e il "fuori", di esitazione tra gli spazi immensi della wilderness e quelli privati della famiglia, tra la natura e la civiltà. L'immagine dunque di Ford, regista un poco sempliciotto che amava riprendere cazzotti e bevute, dalla filmografia volta esclusivamente a nutrire il mito western, è da archiviare. La stessa ricchezza delle fonti visive, confluite nella sua composizione - la pittura di Frederic Remington e di Winslow Homer, ma anche la fotografia di Timothy O' Sullivan - è una controprova della complessità e del genio del regista. Nel cuore dell'ispirazione fordiana si staglia prepotente la componente religiosa. Come ha scritto Franco Ferrini, nella sua ormai classica monografia dedicata al regista, "l'iconografia cattolica presiede in larghissima parte allo statuto dell'iconografia fordiana". In un film del 1948, questa ispirazione è quanto mai trasparente. In Three Godfathers (In nome di Dio) tre "dannati" raccolgono nel deserto un bimbo appena nato, ormai orfano. I tre partono di notte seguendo una stella. Un versetto della Bibbia li guida verso una città chiamata Nuova Gerusalemme. Due dei tre protagonisti muoiono durante il tragitto, lasciando il terzo da solo a badare al bambino. L'uomo stremato troverà un'asina con la quale portare il piccolo nella città, proprio alla vigilia di Natale. Nel film Ford non solo mette in scena una Natività, ma struttura la sua storia - come ha sottolineato Janey Ann Place - sulla parabola del figlio prodigo. L' "eroe", attraverso il sacrificio personale, riscatta un passato di dannazione. L'urgenza che accomuna molti degli eroi fordiani è infatti la redenzione, la loro condizione l'essere sospesi tra l'inevitabilità della caduta e l'anelito al riscatto. Nei three bad men viene rievocato, attraverso continui effetti visivi, il modello trinitario. "Nella chiusa del film - ha notato Ferrini - si vedono le silhouette dei tre cavalcare e sparire all'orizzonte mentre protendono le braccia in una raffigurazione stilizzata della crocifissione". Ma la "polisemia", come cifra della regia di Ford, è rintracciabile soprattutto nel motivo del deserto che, nella trama dei film del regista americano, costituisce un elemento essenziale: in particolare con la Monument Valley e le sue cattedrali solitarie che suggeriscono, con il loro stesso manifestarsi, la vertigine del sacro. Il cinema di Ford è "un cinema di attraversamenti" (Francesco Ballo) e il luogo privilegiato di questo peregrinare è proprio il deserto. Attraversamenti solitari come quelli di Ethan Edwards di Sentieri Selvaggi o di gruppo - La Carovana dei Mormoni, Furore, La pattuglia sperduta, Il grande sentiero - come atto costitutivo della nazione americana che si struttura sull'esodo biblico. È possibile istituire un parallelismo tra il deserto fordiano e quello biblico? Quali risonanze rimbalzano da uno all'altro? È possibile comprendere il deserto di Ford senza rintracciarne l'origine nel testo biblico? "Il deserto - ha scritto Bruno Forte - è metafora dell'intera esperienza umana davanti all'Eterno". Esso "è il luogo - ha notato Lisa Cremaschi - in cui appare con più forza la simultaneità tra grazia e tentazione; è il luogo in cui Dio ha sigillato l'alleanza con il suo popolo, il luogo dell'intimità con Dio; ma è anche il luogo della ribellione, il deserto inospitale in cui deve morire la generazione infedele e ribelle, in cui viene cacciato il capro espiatorio che porta con sé il peso dei peccati del popolo". Se il deserto è polvere che cancella ogni traccia di chi lo attraversa, il protagonista di Sentieri Selvaggi, Ethan Edwards lotta contro questa dissolvenza: le orme che lo conducono sulle tracce della nipote - rapita ancora bambina dagli indiani - si dissolvono, l'uomo lotta contro l'evanescenza del passaggio dell'uomo sulla terra. Un paesaggio - il deserto - che può nullificare l'uomo e travolgere le sue strutture simboliche, come in Furore nel quale la siccità spinge all'esodo e provoca la dissoluzione della famiglia Joad. Il deserto è il luogo della solitudine estrema, solitudine nella quale attecchisce la tentazione. Per Ethan Edwards essa si manifesta nell'azzardo di farsi legge a se stesso, a idolatrare l'odio e la vendetta. Ma il grumo di violenza che tiranneggia il protagonista di Sentieri Selvaggi, finisce per sciogliersi nell'atto del perdono. Il deserto è anche il luogo in cui si manifesta la Grazia; il che, nel cinema fordiano, accade spesso con il motivo della nascita. Nascita che è una vera e propria Natività in Three Godfathers, ma la nascita di un bambino compare anche in Ombre rosse. Il deserto infine come luogo dell'intimità con Dio: è ancora in Three Godfathers un versetto della Bibbia - la memoria e il riattualizzarsi di questa intimità - a indicare la via da percorrere.
(©L'Osservatore Romano - 21 dicembre 2008)
EDUCAZIONE/ Il "regalo" di Tatiana - Mario Mauro - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
Muammar Gheddafi è uno dei più grandi donatori esistenti per una scuola cattolica. È un paradosso ma è la verità.
Il 21 dicembre del 1988 un Boeing PanAm esplose in volo e precipitò sul piccolo villaggio scozzese di Lockerbie, uccidendo in tutto 270 persone. Da quel giorno, Cia, Fbi, Scotland Yard e servizi segreti britannici misero in piedi una colossale caccia all'uomo, un'indagine che si è conclusa il 14 novembre 1991, quando contemporaneamente i giudici scozzesi e quelli americani hanno annunciato i loro mandati di cattura, puntando l'indice sui due libici, Abdel Basset Al Megrahi, 39 anni, sospettato di essere il capo dei servizi segreti nelle linee aeree libiche, e Amin Khalifa Fhimah, 35 anni, agente segreto che ha lavorato negli uffici della Libyan Airlines a Malta.
Dopo 15 anni in cui Stati Uniti e nazioni Unite hanno pesantemente sanzionato il governo libico che non voleva riconoscere la propria responsabilità. Nel 2003 è stato trovato un accordo e Gheddafi ha accettato di pagare 10 milioni di dollari per ciascuna delle 270 vittime della strage. Fin qui sembrerebbe una “normalissima” storia di terrorismo internazionale e risarcimenti per poter rientrare nella comunità internazionale, fatto che conviene molto a Gheddafi che non può rimanere isolato soprattutto dal punto di vista economico.
Il fatto eclatante e incredibile è che il destino ha voluto che quasi due milioni e mezzo di dollari del risarcimento per una delle vittime andassero nelle casse di una scuola cattolica americana. Tatiana, la madre di Andre Guervorguian, prima di morire nel 1999, ha infatti devoluto tutti i soldi del risarcimento alla scuola cattolica De la Salle nell’Upper West side di New York, fondata dal figlio nel 1984. Nei giorni scorsi è arrivata l’ultima rata dei pagamenti, che ammontava a 491.000 dollari.
È la fine paradossale della storia del rapporto tra una madre, immigrata dalla Russia e vedova da quando il figlio era bambino, e appunto Andre, il figlio affidato a un’educazione cattolica a scuola e in parrocchia. Una storia bellissima non perché la madre ha scelto la scuola cattolica invece di altre scuole, ma perché il figlio e la sua educazione sono sempre stati la ricchezza più grande per lei, la sola e più importante ragione di vita. Ha capito che tutto passa attraverso l’educazione e la scelta di affidare questo figlio a Fratel Brian della parrocchia di Amsterdam Avenue è stato l’incontro decisivo per la vita di suo figlio e per la sua.
Questa storia, il paradosso di Gheddafi, è uno spunto per ribadire la battaglia sulla scuola e sulla libertà di educazione, la battaglia per la libertà di scelta, il ruolo stesso della famiglia all’interno dell’esperienza educativa. Queste espressioni infatti che abbiamo visto a volte compresse in un dibattito fuori dalla logica, come quello che si è consumato in Italia per oltre cinquant’anni, sono in realtà attori di un dibattito molto più vasto, che oggi ci pone radicalmente di fronte a grandi responsabilità.
Quanto queste siano urgenti la dice lunga su quale sia l’importanza di quello che ognuno di noi, nel suo piccolo porta avanti con dedizione e con generosità; e dice anche quanto sia irresponsabile sottrarsi a tali responsabilità con dei gesti che hanno una valenza politica enorme, quale quello di rimettere continuamente in discussione la riforma dei processi educativi.
Quando discutiamo di educazione e cerchiamo un ruolo per la famiglia, scopriamo che il ruolo lo dobbiamo cercare per la scuola perché la famiglia ha per sua natura il ruolo di autorità; la famiglia è per sua natura depositaria di questo dialogo perché la Provvidenza stessa gliel’ha affidato per poter concorrere a compiere il destino dei figli che ha generato.
Educare, a mio modo di vedere, significa aiutare a trasmettere il significato della vita e delle cose e favorire così l’esperienza, l'avventura della conoscenza.
Per sua natura quindi educare è possibile solo nella libertà. Quando sviluppiamo l'organizzazione di un sistema educativo senza rispettare questa condizione noi neghiamo lo scopo di quel sistema, lo usiamo male.
L’educazione nasce dall’incontro di due libertà: la libertà di chi viene educato e la libertà di colui che educa: ora, la messa in moto di questo processo richiede la libertà di chi è stato provocato o risvegliato, che potrebbe scegliere di non rispondere alla sfida, e di rimanere nel suo torpore. Dall’altro lato il rischio riguarda colui che educa, chiamato a mettersi in gioco in prima persona, a stimolare l’altro senza imporsi e ad essere disposto a cambiare a cambiare egli stesso.
Mamma Tatiana ha lasciato milioni di dollari per la scuola fondata dal figlio perché ha capito che questo è ciò che salva il Mondo, solo l’educazione permette alla persona di diventare consapevole del valore della sua esistenza e dei bisogni più profondi che definiscono la sua umanità: il bisogno di significato, di bellezza, di verità, di giustizia, di felicità.
ELUANA/ Ventorino: quando dietro la parola “pietas” si nasconde il proprio egoismo - Don Francesco Ventorino - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
La Casa di cura “Città” di Udine ha confermato la disponibilità ad assistere Eluana Englaro nei suoi ultimi giorni di vita, «a patto però che la Regione Friuli Venezia Giulia si prenda la responsabilità di condividere questo percorso di pietas». È quanto ha dichiarato il dottor Claudio Riccobon, amministratore delegato della struttura sanitaria.
Gli animali si uccidono per pietà, per non farli soffrire quando la loro vita è definitivamente compromessa. Oggi si vorrebbe introdurre un principio che legittimi questa azione anche quando si tratti di un uomo o di una donna. Ma l’equazione non regge, perché l’animale ha una funzione di utilità, compiuta la quale, la sua esistenza non ha più ragione di essere; l’uomo, invece, è una persona, cioè un assoluto: la sua esistenza non è relativa a nessuno scopo che non sia la propria realizzazione. Non può darsi nessuna condizione nella quale la vita dell’uomo non sia più “utile”, perché essa è solo per se stessa. Il “caso Eluana” costringe, quindi, a interrogarsi sul valore della vita dell’uomo, su ciò in cui consiste la sua realizzazione.
A partire dalla esigenza profondamente inscritta nel cuore di ogni uomo bisogna rispondere che questa realizzazione consiste nella felicità. Ma qui insorge una domanda ancora più grave sulla natura della felicità e la possibilità del suo attuarsi. La felicità dell’uomo è assicurata forse dalla capacità che egli ha di stabilire relazioni e di disporre di se stesso? Ma, allora tutti gli uomini “sani” e liberi dovrebbero essere felici. La verità che, invece, si impone a noi nella sua evidenza è che nessuna cosa al mondo, nessun rapporto umano, è in grado di darci la felicità secondo la misura in cui il nostro cuore la desidera. Tanto meno ci rende felici la possibilità di fare quello che ci pare e piace.
Da qui si sono tratte da sempre due conclusioni. La prima: l’uomo è fatto male, perché è un desiderio irrealizzabile, una “passione inutile” come ha detto Jean-Paul Sartre; ma in questo caso la vita umana non ha più senso, neanche quando gode di ottima salute, e sarebbe sempre ragionevole sopprimerla, come lo stesso Sartre faceva dire ad uno dei suoi personaggi ne “Il Muro”. Ma c’è un’altra conclusione, più ragionevole. Il desiderio naturale non può essere vano e quindi esso è “promessa” di un compimento. L’esigenza più profonda del nostro cuore è esigenza di qualcosa che “ha da esserci”, come diceva il mio conterraneo Luigi Pirandello. Altrimenti “non mi spiegherei quest’ansia che mi tiene, e mi fa sospirar le stelle”. Questa promessa, che costituisce la grandezza della persona umana, esige da parte nostra, in qualunque istante o situazione della vita, uno “stare” davanti alla propria esistenza e a quella degli altri, che ha la Madonna come modello. Maria “stava” presso il suo Figlio Crocifisso come di fronte alla forma misteriosa del compiersi di un destino, che trascende inevitabilmente le possibilità che l’esistenza terrena può offrire e non è legato alle condizioni o “qualità di vita” che ci sono date.
La pietas da sempre è stata intesa dagli uomini come la capacità di stare di fronte a questo mistero, di condividerne il peso e di esplorarne il significato, come ci hanno dimostrato le suore misericordine che da anni accudiscono Eluana e che chiedono adesso che sia loro conservata, perché continui ad essere un forte richiamo al significato e al valore della loro personale esistenza e di quella di ogni uomo. La pietà, invece, come è intesa dalla struttura sanitaria che ha dato la sua disponibilità a uccidere Eluana, non è diversa da quella che uccide il feto malato o l’anziano inabile e insufficiente. Forse vuole essere una pietà verso se stessi, verso la propria incapacità di condivisione del dolore, e quindi la giustificazione della suprema forma del proprio egoismo.
SCUOLA/ Memorandum per il ministro Gelmini: si riforma solo ripartendo dall’educazione - INT. Giorgio Chiosso - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
«Penso che si debba dare atto al ministro Gelmini di aver ripreso un percorso riformista, che era venuto meno con il ministro precedente». Giorgio Chiosso, professore di Storia dell’Educazione all’Università di Torino, riconosce un primo merito al ministro Gelmini: si è tornati quanto meno a parlare di riforma delle superiori, e questo è già un elemento importante. Sul come se ne stia parlando, e sulla sostanza dei primi provvedimenti approvati in Consiglio dei ministri, il giudizio non è però altrettanto positivo.
Professore, prima il positivo: che cosa c’è di buono in quanto emerso dall’ultimo Consiglio dei ministri a proposito del riordino della scuola superiore?
Direi che al di là delle tante critiche che sono emerse in questi mesi, spesso su cose non sostanziali, bisogna riconoscere al ministro che c’è l’intenzione di riprendere il filo di un ripensamento complessivo del sistema scolastico, come già era avvenuto nel quinquennio Moratti. In particolare è poi importante che si torni a parlare di scuola superiore: non bisogna dimenticare che la scuola secondaria superiore è sostanzialmente ferma agli anni Sessanta, fatta eccezione per i progetti Brocca dei primi anni Novanta. In questi decenni non c’è stato altro se non l’esplosione smisurata di sperimentazioni, fino ad arrivare al numero abnorme di maturità che abbiamo in questo momento. Quindi mi pare utile tornare a porre il problema dell’esigenza di un processo di razionalizzazione, che ci allinea agli altri paesi che hanno ripensato la struttura della scuola secondaria.
Se col ministro precedente si era interrotto il discorso riformistico, allora vale la pena, come lei già accennava, riprendere il discorso della riforma Moratti: quanto previsto dalla Gelmini si colloca su quella scia?
Ecco, da questo punto di vista mi pare invece che si debba muovere una critica alla Gelmini. Il ministro sta infatti snaturando la sostanza della riforma Moratti: ha fatto proprie una serie di richieste che si sono snodate in questi due anni con il lavoro di un’apposita commissione sull’istruzione tecnica e professionale (la commissione De Toni) e che ha radicalmente modificato l’impianto della riforma Moratti. Il fatto di ricondurre tutta l’istruzione tecnica e professionale dentro la scuola governata dallo Stato, senza riconoscere invece il ruolo delle Regioni in questo campo (come per altro previsto dal Titolo V della Costituzione) mi sembra essere il segno di un ritorno a un neo-centralismo statalista. Lo dico con molta franchezza: in questo vedo sia un elemento di scarso coraggio, sia il fatto di perdere di vista il valore di un tipo di istruzione e formazione molto legata al territorio e alle esigenze del mondo economico e produttivo. Si ritorna indietro rispetto alla svolta concettuale portata avanti con la riforma Moratti.
Qual era la sostanza di questa svolta concettuale, su cui secondo lei bisognerebbe tornare?
La riforma Moratti si basava sul principio del doppio canale: un canale liceale e poi universitario, e un canale della formazione professionale e dell’istruzione superiore di tipo professionale, in tutto alternativo al precedente, e che doveva svolgersi in maniera compiuta dai 14 ai 22 anni. Questi due canali dovevano acquisire la stessa rilevanza, anche dal punto di vista sociale, superando la visione tipica della struttura scolastica italiana, secondo la quale i licei devono rivestire un ruolo di predominanza e di maggiore validità.
Dunque era una valorizzazione dell’importanza del lavoro, anche manuale.
Il principio fondamentale era proprio questo: sottrarre la formazione professionale a quella visione riduttiva che portava a concepire il lavoro come opzione di riserva, da lasciare ai drop-out, ai ragazzi in difficoltà per vari motivi, agli immigrati, a chi non era in grado di svolgere il percorso scolastico. Era un grande salto culturale: recuperare la piena dignità del lavoro, affiancata alla cultura teorica del liceo. Il tutto tenendo conto della personalizzazione: la scuola e la formazione professionale devono essere al servizio delle inclinazioni, delle caratteristiche dei ragazzi. La vocazione al sapere operativo deve avere un suo proprio riconoscimento, e non bisogna costringere i ragazzi a rimanere prolungatamente nella scuola. Ricondurre tutto alla dimensione “scolastico-centrica” mi sembra dunque un elemento di debolezza culturale.
Per attuare questo, si diceva, è fondamentale il ruolo delle Regioni. Molti sostengono però che alcune Regioni non sarebbero pronte a questa impostazione: come ovviare a questo limite?
Questo è uno degli argomenti che viene portato per giustificare la resistenza del modello centralista. Non nego che l’obiezione sia giustificata; ma nulla vieta che questo processo potesse essere programmato in modo graduale. Lo stesso, ad esempio, avviene per gli ingressi dei vari paesi nell’Unione europea, per cui i paesi entrano nel sistema europeo quando sono pronti; così nulla vietava che le Regioni che sono già pronte potessero da subito acquisire la padronanza complessiva del sistema, mentre altre vi accedessero invece in modo più graduale. A volte però si sostiene categoricamente che alcune Regioni siano incapaci di gestire cose importanti: questo mi rifiuto di crederlo.
Ora abbiamo di fronte un anno, e si è detto che servirà per aprire un "ampio dibattito": quali dovranno esserne gli elementi centrali?
È giusta l’idea di aprire un dibattito, di far capire alle famiglie quali sono le novità, di permettere agli insegnanti di familiarizzare con i nuovi orientamenti dei programmi. Credo che ci sia la necessità di metabolizzare l’idea di cambiamento. Però c’è anche una preoccupazione, e cioè che il dibattito finisca con lo svolgersi solo sul piano tecnico-informativo, oppure secondo una logica di sindacalismo meramente rivendicativo. Non vorrei che si evitasse (ancora una volta) di andare a toccare il cuore del problema: che senso ha la scuola oggi per i ragazzi che hanno tra i 14 e i 19 anni? Che senso ha lavorare con gli adolescenti? Che senso ha oggi mettersi in concorrenza con i grandi produttori di mentalità, di stili di vita dei ragazzi? Gli insegnanti sono solo dei tecnici che impartiscono conoscenze, o hanno una responsabilità più grande?
È il grande tema dell’emergenza educativa…
È proprio questo. Bisognerebbe tornare ad avere un ampio dibattito sulla sostanza: la riforma, infatti, ha senso se noi rilanciamo un grande dibattito sull’idea educativa nella scuola. Altrimenti facciamo un passaggio che si limita a riorganizzare le strutture. Finché poi, a un certo punto, emergono episodi come il bullismo o il disagio dei ragazzi, e improvvisamente ci rendiamo conto che c’è un problema educativo di cui non si era tenuto conto. Dobbiamo porci da subito il problema: c’è una grandissima quantità di studenti che fa fatica ad andare a scuola, che si annoia, che trova più stimoli a navigare in rete o a fare altro. Tutto questo è casuale, o c’è una qualche responsabilità educativa della scuola? Ecco da dove bisogna ripartire.
(Rossano Salini
TENDE AVSI/ Paraguay: La cittadella dell'amore di Padre Trento - Redazione - lunedì 22 dicembre 2008 – IlSussidiario.net
In tutta Asunción è difficile trovare qualcuno che non conosca la parrocchia San Rafael.
Recentemente il parroco, padre Aldo Trento, è stato insignito delle «chiavi della città» con una cerimonia che ha stupito persino la CNN. Ma la fama della parrocchia non si limita alla capitale del Paraguay. A quattrocento chilometri c’è Ciudad del Este, città contrabbandiera e selvaggia per antonomasia. Capita spesso che i giudici del tribunale locale si rifacciano alla legge che concede ai condannati di espiare la pena versando denaro alle iniziative di carità e le opere parrocchiali sono tra le più gettonate.
San Rafael è un posto che vuole assomigliare a una «riduzione», reducción, le comunità degli indios guaraní create nel 1600 dai missionari gesuiti. Il Paraguay è la terra delle reducciones, luogo di vita comunitaria eretto per l’evangelizzazione, la libertà e la difesa degli indios, che vennero però spazzate via a metà del 1700 con la ferocia di un potere invidioso e inumano. Una civiltà sepolta troppo presto e che ai più resta purtroppo sconosciuta.
Padre Aldo viene da Belluno e appartiene alla Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, una delle esperienze più originali nate dal movimento di Comunione e Liberazione. Fu proprio don Giussani a parlare ad Aldo delle reducciones nel momento in cui gli propose di partire nel 1989 per il Paraguay. Questo è un paese pieno di tanti mondi diversi. I pochi ricchissimi e i tanti poveri, gli indios e gli spagnoli, le donne, moltissime senza marito, e gli uomini che una sociologia a buon mercato dipinge come sfaccendati buoni a nulla. Ma soprattutto la città e la campagna. E cioè Asunción, fondata nel Cinquecento dagli spagnoli sulle rive del rio Paraguay, e un paio di altri centri degni di nota, accanto a tutto il resto del paese. Come le altre realtà urbane dell’America Latina anche Asunción si trova a cavallo tra Terzo Mondo e Duemila, ma è più modesta e provinciale delle cugine del Cono Sur.
La vita di San Rafael offre un contrasto spettacolare con i ritmi e le immagini del resto del paese. La gente che popola gli spazi parrocchiali, i volontari, la quantità e varietà di opere di carità, cultura e missione. La scuola, il coro polifonico, la pizzeria, il Centro di aiuto alla vita, la distribuzione di cibo e vestiti e poi il «gioiello» della clinica per malati terminali, lo scrigno che racchiude il cuore di padre Aldo e padre Paolino, che l’hanno voluta sfidando tutto e tutti: la «Casa della Divina Provvidenza» dedicata a San Riccardo Pampuri.
È già stata l’ultima casa per centinaia e centinaia di malati, raccolti dalle strade e dagli altri ospedali che non volevano più tenerli. Un addio alla vita dato tra lenzuola candide e infermiere amorevoli, soccorsi e medicati come in nessun altro luogo, circondati di amore e tenerezza. La clinica, nata nel 2004, col passare degli anni si è allargata più volte. Da allora sono quasi 600 i malati di AIDS (18%), cancro (63%) o altre patologie ospitati dalla clinica, 500 dei quali accompagnati alla morte. Ridare dignità umana a questi poveri abbandonati è una delle sfide principali della clinica.
Ma la San Riccardo non è l’unica opera nata in seno alla parrocchia San Rafael. Da essa si dipana una lunga catena di opere caritatevoli realizzate grazie al contributo privato e personalissimo della gente. La casa di accoglienza Padre Pio raccoglie malati di AIDS emarginati e abbandonati che non hanno un luogo dove vivere. Il policonsultorio Juan Pablo II nato nel 2002, che, con la carità di alcuni amici medici, offre assistenza sanitaria gratuita (14.872 le persone assistite dall’ambulatorio tra il 2003 e l’aprile 2008). Ma la lista di iniziative è difficile da esaurire.
Ultima arrivata è la Casita de Belén, creata per accogliere i bambini a rischio, innanzitutto gli orfani di mamme e papà morti nella Casa della Divina Provvidenza. Fondata l’8 febbraio 2008, la casa ospita 20 bambini tra i 3 e gli 11 anni. Qui hanno trovato nuovi genitori, persone che si occupano della loro salute, dell’alimentazione e del loro sviluppo integrale.
Padre Aldo li saluta tutte le mattine prima di andare a scuola, il cuore giovane della parrocchia, frequentata da duecento bambini di famiglie povere, aiutati dal sostegno a distanza dell’AVSI.
(Tratto dal libro Lo sviluppo ha un volto. Riflessioni su un'esperienza a cura di Roberto Fontolan, con l'introduzione di Alberto Piatti - Edizioni Guerini e Associati)