sabato 20 dicembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) "Siamo madri di Cristo quando lo portiamo nel cuore" - Terza e ultima predica di Avvento di padre Raniero Cantalamessa
2) L’inverno demografico: più preoccupante del riscaldamento dell’atmosfera - Il Cardinale Antonelli chiede all’Europa di prestare più attenzione a vita e famiglia - di Antonio Gaspari
3) 20/12/2008 09:21 – VIETNAM - Diffamano le suore di Vinh Long per fare del loro orfanotrofio un albergo - di J.B. An Dang - Lettera del vescovo: “com’è triste veder attaccare religiose che per 31 anni hanno servito poveri e malati”. L’edificio era stato requisito per farne un ospedale pediatrico, mai realizzato.
4) «Realismo & coraggio di don Sandro» - Autore: Mons. L. Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Studi cattolici, 574, dicembre 2008 - venerdì 19 dicembre 2008
5) L'appello di Benedetto XVI durante l'udienza all'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica - Solidali con chi non ha lavoro a causa della crisi mondiale - L'attività professionale svolta al servizio della Santa Sede è una vocazione da coltivare con cura e con spirito evangelico. Lo ha detto il Papa rivolgendosi ai membri dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, ricevuti in udienza venerdì mattina 19 dicembre, nella sala dei Papi, a pochi giorni dalla celebrazione del ventesimo anniversario della istituzione da parte di Giovanni Paolo ii. – L’Osservatore Romano, 20 dicembre 2008
6) A proposito della Dichiarazione - Difesa dei diritti e ideologia - L’Osservatore Romano, 20 dicembre 2008
7) Chiesa cattolica e leggi razziali - E Pio XI disse: «Sono veramente amareggiato Come Papa e come italiano» - di Sergio Pagano Vescovo prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano
8) TREPIDAZIONE PER LE DUE SUORE RAPITE - IN SILENZIO. E COLMI DI SPERANZA - ELIO MARAONE – Avvenire, 20 dicembre 2008
9) SENSO CRITICO E SGUARDO PROFONDO, SE NO È POLEMICA DOZZINALE - Se Gad Lerner si procurasse una pupilla meno irritata - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 20 dicembre 2008
10) L’EVIDENZA DELLA REALTÀ HA RIEMPITO LO SCHERMO TV - La mano di Greta sussulta «Vi ho sentito, sono ancora viva» - MARINA CORRADI – Avvenire, 20 dicembre 2008
11) PIANETA EDUCAZIONE - Oltre a questo importante provvedimento sono già stati sbloccati gli stanziamenti del 2008 I deputati del Pdl: ora lavoriamo, governo e parlamento, per una effettiva libertà di scelta - Paritarie, fondi ripristinati Restituiti 120 milioni - DA ROMA PINO CIOCIOLA – Avvenire, 20 dicembre 2008
12) E D I TO R I A L E - CRISTIANI CONTRO: FIRMATO DE FELICE -. ANTONIO AIRÒ – Avvenire, 20 dicembre 2008
13) STORIA. Chiesa cattolica e leggi razziali: la studiosa Grazia Loparco ricostruisce i no della Santa Sede al regime fascista, già documentati - Fra Pio XI e il Duce scontro sugli ebrei - DI PAOLA SPRINGHETTI – Avvenire, 20 dicembre 2008


"Siamo madri di Cristo quando lo portiamo nel cuore" - Terza e ultima predica di Avvento di padre Raniero Cantalamessa
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 19 dicembre 2008 (ZENIT.org).- "Siamo madri di Cristo quando lo portiamo nel cuore": così ha detto questo venerdì padre Raniero Cantalamessa nella terza predica di Avvento, di fronte al Papa e alla Curia romana, riflettendo sul dogma dell’Incarnazione.
Nel discorso tenuto stamani nella Cappella “Redemptoris Mater”, in Vaticano, il Predicatore della Casa Pontificia ha analizzato come in san Paolo “preesistenza e incarnazione” siano delle “verità in gestazione”, perché il centro del suo interesse è tutto focalizzato sul “mistero pasquale”, cioè sull’operato più che sulla persona di Cristo.
Una prospettiva, diversa da quella di san Giovanni che, per esempio, “parte dalla divinità del Verbo per giungere ad affermare la sua umanità, dalla sua esistenza nell’eternità per scendere alla sua esistenza nel tempo”.
“Una pone come cerniera tra le due fasi la risurrezione di Cristo, e l’altra vede il passaggio da uno stato all’altro nell’incarnazione”, ha spiegato.
Per l'Apostolo delle Genti, inoltre, Gesù non è un’apparizione celeste ma è pienamente inserito nell’umanità e nella storia, “in tutto simile agli uomini”.
San Paolo, ha continuato padre Cantalamessa, “avendo detto ‘nato da donna’, ha dato alla sua affermazione una portata universale e immensa. E’ la donna stessa, ogni donna, che è stata elevata, in Maria a tale incredibile altezza”.

“Maria è Madre di Dio non solo perché l’ha portato fisicamente nel grembo ma anche perché l’ha concepito prima nel cuore, con la fede”, ha continuato.

Per questo, ha continuato il religioso cappuccino, l'imitazione di Maria può dare un profondo impulso alla vita di ciascuno, aiutando coloro che, pur avendo la fede, non si attivano nelle opere a superare sul piano spirituale la loro “maternità incompleta”.

Perché, “concepisce Gesù senza partorirlo chi accoglie la Parola, senza metterla in pratica, chi continua a fare un aborto spirituale dietro l’altro, formulando propositi di conversione che vengono poi sistematicamente dimenticati e abbandonati a metà strada”, ha osservato padre Cantalamessa.

Il Predicatore del Papa ha quindi parlato di un'altra maternità incompleta che riguarda coloro che si distinguono per le opere ma non per la fede.

“Partorisce Cristo senza averlo concepito chi fa tante opere, anche buone, ma che non vengono dal cuore, da amore per Dio e da retta intenzione, ma piuttosto dall’abitudine, dall’ipocrisia, dalla ricerca della propria gloria e del proprio interesse, o semplicemente dalla soddisfazione che dà il fare”, ha detto.

Tuttavia – ha sottolineato Cantalamessa richiamando le parole di San Francesco d’Assisi – “siamo madri di Cristo quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza. Lo generiamo attraverso le opere Sante, che devono risplendere agli altri in esempio”.

L’anima concepisce Gesù, ha spiegato padre Cantalamessa riprendendo quindi le parole di San Bonaventura, quando scontenta della vita che conduce "è come fecondata spiritualmente dalla grazia dello Spirito Santo e concepisce il proposito di una vita nuova".
“Se decidi di cambiare stile di vita ed entrare a far parte di quella categoria di poveri ed umili che, come Maria, cercando solo di trovare grazia presso Dio, senza curarsi di piacere gli uomini, allora - scriveva San Bonaventura - devi armarti di coraggio, perché ce ne sarà bisogno”.

Padre Cantalamessa ha infine invitato tutti a mettersi alla scuola di Maria: “Chiediamole che ci ottenga la grazia di dire a Dio un gioioso e rinnovato Sì e così concepire e dare alla luce anche noi, in questo Natale, il Figlio suo Gesù Cristo”.


L’inverno demografico: più preoccupante del riscaldamento dell’atmosfera - Il Cardinale Antonelli chiede all’Europa di prestare più attenzione a vita e famiglia - di Antonio Gaspari
STRASBURGO, venerdì, 19 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Intervenendo nell’emiciclo del Consiglio d’Europa a Strasburgo, il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia, ha invitato i politici e le istituzioni europee ad occuparsi di più delle conseguenze dell’inverno demografico piuttosto che del riscaldamento dell’atmosfera.
In occasione della cerimonia per la consegna alla memoria del prof. Jerome Lejeune del Premio Europeo per la Vita “Madre Teresa di Calcutta”, svoltasi a Strasburgo il 17 dicembre, il Cardinale Antonelli ha spiegato che “l’impegno a favore della vita nascente oggi è richiesto anche da seri motivi di carattere sociale”
Il Presidente del dicastero vaticano ha quindi riportati alcuni dati che caratterizzano “l’inverno demografico” del continente europeo.
In Europa l’indice di fecondità è di 1,56 per donna, nettamente sotto il libello di ricambio generazionale che è di 2,1. Dal 1980 ogni anno nasce in media un milione di bambini in meno.
Ogni anno si consumano 1,2 milioni aborti. l’Unione europea diventa sempre più vecchia: gli anziani oltre 65 anni sono più numerosi dei bambini sotto i 14 anni. Le case sono sempre più vuote: la media dei membri di una famiglia è 2,4. I single sono 54 milioni, un quarto della famiglie.
Secondo il porporato, “alla crisi demografica si aggiunge l’emergenza educativa: molti bambini non hanno la possibilità di crescere in una famiglia unita e stabile”.
“Nascono fuori del matrimonio 1,7 milioni di bambini, un terzo del totale. Negli ultimi dieci anni 15 milioni di bambini hanno fatto la dolorosa esperienza della separazione dei genitori. I divorzi riguardano la metà dei matrimoni”.
Il porporato ha quindi precisato che “le cause di questa triste situazione sono molteplici. In misura rilevante incide la diffusa cultura individualistica, edonista, consumista e utilitaristica”.
“Un utilitarismo miope – ha sottolineato – perché la denatalità comporta gravi rischi economici, sociali, culturali. Si può prevedere che ci sarà carenza di lavoratori, diminuirà la produzione di beni e servizi”.
“Diventeranno insostenibili il pagamento delle pensioni e l’assistenza agli anziani per mancanza di risorse economiche ed umane – ha aggiunto –. L’immigrazione di extracomunitari non sarà sufficiente a riempire a i vuoti e per di più se non ben governata potrebbe compromettere la continuità dei popoli europei e la trasmissione del loro patrimonio culturale”.
“Non per niente – ha sottolineato il Cardinale Antonelli – qualcuno ha detto che l’inverno demografico dovrebbe preoccupare più del riscaldamento dell’atmosfera”.
Nonostante la crescente attenzione verso i beni della vita e della famiglia, secondo il porporato, “l’impegno per la vita e per la famiglia non costituisce ancora un priorità. Nella Unione europea manca un organismo apposito per questi temi. Alla famiglia viene destinato solo il 2,1% del PIL ( in Italia ancora meno 1,2%) una tredicesima parte delle spese sociali”.
Per cercare di indicare una soluzione alla crisi demografica e dare una svolta nelle politiche sociali, il cardinale Antonelli ha affermato che “La migliore garanzia per la natalità e per la sana educazione è la famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna”.
“La famiglia – ha continuato – è un soggetto di interesse pubblico, e deve ricevere adeguato sostegno alla politica. Occorre innanzitutto precisare correttamente l’identità della famiglia senza confonderla ed equipararla ad altre forme di convivenza e di amicizia di carattere privato”.
Tra le linee di impegno il Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia ha chiesto di “fare politica non solo per le famiglie ma con le famiglie dialogando con le associazione che tutelano i diritti della famiglia”.
“Dare sostegno economico e assicurare adeguati servizi perché le coppie possano avere i figli che responsabilmente desiderano”.
“Riconoscere ai genitori il diritto di educare liberamente i figli e di scegliere, senza oneri economici aggiuntivi, la scuola non statale per i loro figli”.
“Conciliare per quanto è possibile i tempi e i luoghi del lavoro con le esigenze della vita familiare”, ha quindi suggerito.
In conclusione, il Cardinale Antonelli ha sottolineato che “impegno per la vita e impegno per la famiglia sono strettamente congiunti” e che “il modo migliore per promuovere i diritti dei minori, a cominciare dal diritto alla vita è sostenere la famiglia perché possa compiere la sua missione”.


20/12/2008 09:21 – VIETNAM - Diffamano le suore di Vinh Long per fare del loro orfanotrofio un albergo - di J.B. An Dang - Lettera del vescovo: “com’è triste veder attaccare religiose che per 31 anni hanno servito poveri e malati”. L’edificio era stato requisito per farne un ospedale pediatrico, mai realizzato.
Hanoi (AsiaNews) - Com’è triste vedere suore diffamate per “giustificare” l’appropriazione del loro orfanotrofio, amorevolmente tenuto per 31 anni, e trasformarlo in un luogo di svago. Scrive così il vescovo di Vinh Long, mons. Thomas Nguyen Van Tan in una lettera del 18 dicembre, indirizzata ai sacerdoti, i religiosi e i laici della sua diocesi.
Il vescovo si riferisce a quanto sta accadendo alle Suore dela carità di San Vincenzo de Paoli, congregazione di origine francese, presenti a Vinh Long – 160 chilometri a sud di Ho Chi Minh City - dal 1871. Fino al 1975 le suore hanno mantenuto nella via To Thi Huynh della città un grande complesso usato come convento e come orfanotrofio. Nell’aprile del ’77, per “trasformare la società verso il socialismo”, le autorità hanno varato una politica di requisizione di terre ed edifici. Il 6 settembre 1977 essi hanno requisito il convento e l’orfanotrofio delle suore, mandando via i giovani ospiti e perfino i bambini handicappati. Secondo la risoluzione 1958 del Comitato del popolo di Cuu Long, la provincia in cui si trova Vinh Long, il convento e l’orfanotrofio venivano espropriati per essere usati come “ospedale pediatrico e ospedale per la provincia”. Ciò che non è mai avvenuto.
Le religiose, però, non hanno mai smesso di chiedere la restituzione del loro complesso. Ora, per giustificare la trasformazione dell’ex orfanotrofio in un albergo a quattro stelle, le autorità accusano le suore di “aver educato una generazione di giovani sfortunati ad essere una forza antirivoluzionaria da opporre alla liberazione del Paese”.
“E’ così amareggiante – scrive il vescovo, riferendo l’accusa – per le suore, per voi ed anche per me”. “Come possiamo aiutare a non essere addolorati vedendo le suore cacciate via dal loro monastero a mani vuote dopo 31 anni di servizio ai poveri ed agli sventurati? Com’è triste vedere la rovina del monastero che i nostri fratelli e sorelle per più di cento anni hanno contribuito a costruire con incommensurabili sforzi. E com’è penoso vedere un luogo per adorare Dio, per pregarLo, per la formazione spirituale e per offrire il servizio della carità essere trasformato in un luogo per divertirsi”.
“Forse – scrive ancora il vescovo – la mia voce oggi è solo ‘una voce che grida nel deserto’ (Mt 3:3), quando la voce del potere sembra prevalere su quella della giustizia e della coscienza, specialmente in un tempo nel quale le cose materiali rendono superate la moralità, la carità e la giustizia. Comunque, io debbo alzare la mia voce, così che le generazioni future non ci condannino come coloro che hanno occhi, ma non vedono, orecchie, ma non ascoltano, bocca, ma non osano parlare”.
“Celebrando questo Natale – conclude mons. Nguyen Van Tan – ci sia permesso di implorare il nostro Dio e Salvatore di portare nel mondo la sua vera pace, una pace nella sua pienezza, che è basata sulla gistizia e la moralità”.


«Realismo & coraggio di don Sandro» - Autore: Mons. L. Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Studi cattolici, 574, dicembre 2008 - venerdì 19 dicembre 2008
Mons. Alessandro Maggiolini, vescovo emerito di Como, si è spento serenamente l’11 novembre scorso, dopo una lunga malattia. Affidiamo a mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro – che di «don Sandro» è stato amico e si riconosce discepolo – un ritratto che vale anche il commiato della redazione per questo illustre collaboratore che negli anni ha dato prestigio a Studi cattolici con i suoi interventi e ha anche impreziosito il catalogo delle Edizioni Ares con tre volumi: Il Matrimonio, la Verginità, del 1977; L’obbedienza alla Chiesa, del 1988 e Il cammino educativo, edito nel maggio di quest’anno.
«Don Sandro», come lo chiamavo da quando l’ho conosciuto tanti anni fa, appena uscito dal seminario, era un esemplare uomo di Chiesa. In lui viveva la gloriosa tradizione ambrosiana che aveva imparato alla scuola degli insigni maestri di Venegono; esperienza che poi si era sintetizzata, per lui, nella forte lezione di vita e di cultura dell’altrettanto esemplare cardinale Giovanni Colombo. La tradizione della Chiesa ambrosiana traccia una storia di profondo radicamento popolare; don Sandro era un uomo del popolo, nato in un piccolo paese del magentino, che ha sempre sentito vivo e indistruttibile il legame con la realtà della comunità cristiana, con il respiro delle parrocchie, delle confraternite, con la quotidianità di quel popolo che mangia e beve, veglia e dorme, vive e muore non per sé stesso ma per il Signore. La sua era una cultura stratificata, soprattutto nei campi della teologia e della filosofia, vasta, con sortite di straordinaria acutezza anche negli domini della letteratura. La sua cultura è nata «sul campo», come nasce sempre la vera cultura cattolica in connessione vitale con il popolo per dare ragioni di vita e di speranza al popolo, per illuminare il popolo ma, contemporaneamente, ricevendo dall’esperienza del popolo quel materiale di vita che la cultura deve elaborare e approfondire.

Uomo di cultura, ma uomo di Chiesa, chiamato alle responsabilità dell’insegnamento prima, ineguagliabile insegnante di Introduzione alla Teologia presso l’Università Cattolica e poi brillante direttore di una delle più belle e coraggiose riviste ecclesiali ed ecclesiastiche, La rivista del clero italiano fondato da padre Agostino Gemelli e da mons. Francesco Olgiati, negli anni eroici della cristianità italiana. Chiamato a una responsabilità pastorale nel mondo della cultura nella Diocesi di Milano, divenne poi, per poco tempo, sei anni, vescovo di Carpi e quindi trasferito nell’antichissima e prestigiosa sede di Como. Uomo di Chiesa, forte della responsabilità di difendere la dottrina della Chiesa ovunque, di fronte a tutti, dentro la Chiesa e davanti al mondo, recuperando la grandezza e il realismo del pensare cristiano.

Fede certa, dialogo & missione

Quando leggevo mons. Maggiolini e lo sentivo parlare mi sembrava di incontrare l’antica tradizione dei padri della Chiesa e i grandi teologi della modernità; nulla era scontato, nulla era ovvio, nulla era detto per compiacere qualcuno. Fluiva dalle sue pagine come dalla sua bocca l’ampiezza di quel pensare cristiano che è profondamente realista, connesso all’esperienza concreta della vita e, insieme, aperto a trascendere la concretezza dell’esistenza nella contemplazione del mistero di Cristo presente, fonte della verità, del bene, della bellezza, della giustizia. Credo sia stato uno straordinario metafisico; non un metafisico di mestiere, ma di intuizione e di esperienza culturale; aveva forte il senso di Dio anche nelle vicende quotidiane della vita e aveva forte il senso di Dio che in Gesù Cristo si è incarnato ed è diventato compagnia permanente all’uomo, nella vita della Chiesa. Educato dalla granitica tradizione teologica di Venegono, anche prima del Concilio Vaticano II egli professava la continuità Cristo-Chiesa in quel «Christus totus» agostiniano e che ha trovato la sua più acuta tematizzazione negli scritti del cardinale Giacomo Biffi. Uomo di Chiesa, cioè uomo di dottrina, uomo di Chiesa, cioè uomo del coraggio apostolico missionario, la Chiesa di Maggiolini, sia quella di Carpi che quella di Como è stata una Chiesa coraggiosamente protesa a incontrare l’uomo storico, concreto, reale, nelle sue vicende di ogni giorno, nelle sfide e nelle difficoltà, nelle lacerazioni e nelle gioie, nei suoi intendimenti come nelle sue deduzioni. La Chiesa di Maggiolini è stata una Chiesa missionaria, una missione che è stata vissuta con determinazione, con coraggio e, al tempo stesso, con grande capacità di rispetto, di coinvolgimento anche con chi non era nella stessa posizione religiosa e ideologica. Ha dialogato con tutti, sempre, dotato anche di un’eccezionale capacità comunicativa che tutti noi gli invidiavamo dai giornali quotidiani, alle riviste più o meno specializzate, alle televisioni in cui egli era un maestro, capace di comunicare le verità anche più difficili con tono profondo e, insieme, profondamente mite.

Uomo di Chiesa, di fede, di missione, di grande carità, una carità nascosta come nei grandi uomini di carità, ma che segnava la sua vita puntualmente, giorno dopo giorno, con episodi inediti di apertura, di coinvolgimento con i problemi e le difficoltà del suo popolo praticante del ministero della riconciliazione. Raggiunta la posizione di Vescovo emerito ha continuato a confessare, ci dicevano il giorno del suo funerale, almeno due ore al mattino e due ore al pomeriggio nell’ombra della sua Cattedrale dove sono passati migliaia e migliaia di penitenti.
Io lo ricordo come un grande amico e un grande maestro di fede, di cultura e di vita, come ho detto nel necrologio. Una cosa ho amato in lui più di tutte le altre, il suo coraggio. C’è da chiedersi se valga la pena assumersi posizioni di responsabilità nella vita della Chiesa, in questo momento che è così tragico e insieme esaltante, se non si ha questa virtù del coraggio. Il popolo ha bisogno di Pastori coraggiosi che dicano con fermezza le grandi verità della fede, che abbiano una indubbia e radicale connessione con la vita di questo popolo che, come diceva acutamente il cardinale Godfried Maria Jules Danneels in una sua bellissima intervista con la rivista 30 giorni, «non è ancora morto». Ci vuole il coraggio di guidare oggi questo popolo che non è ancora morto mentre tutti, attorno a noi, o si augurerebbero che morisse o hanno fatto di tutto perché morisse. Penso a quello straordinario potere massmediatico che dileggia quotidianamente la fede e i suoi principi fondamentali davanti agli occhi di milioni e milioni di telespettatori ai quali viene, sostanzialmente, imposta quasi senza colpo ferire una mentalità atea, edonistica, materialista e, quindi, tutto sommato, antiumana. Ma ci vuole coraggio nella Chiesa e di questo coraggio Maggiolini è stato un campione perché non si è mai piegato al politicamente corretto, non si è mai piegato all’ecclesialmente corretto; ha detto le ragioni della fede con forza e verità anche quando, dirle, era impopolare perché la fede vale più della vita e vale più del consenso e vale anche più del consenso ecclesiastico.

«Lama tagliente di luce di carità»

È passato fra di noi – quando sono entrato a far parte della Conferenza Episcopale italiana era ancora vescovo di Como – come una lama, una lama tagliente di luce di carità e ci ha impedito, almeno a me ha impedito di nascondere la mia vita dentro una truppa. E in questo intendimento e nell’azione pastorale che ne è conseguita mi sono sentito da lui sempre fraternamente sostenuto, nonostante i miei limiti, i difetti.
Don Sandro, che rimarrà nella storia della Chiesa come unico italiano fra i cinque estensori del testo del Catechismo della Chiesa Cattolica, è ora nella pace di Dio come servo buono e fedele; e non è stato fedele nel poco ma nel molto che Dio gli aveva dato, perciò la sua opera certamente va oltre lui, è un fatto di grande ecclesialità e di grande umanità con cui possiamo confrontarci ogni giorno e dal quale possiamo assumere esempio per la nostra vita di oggi. Credo davvero che a uomini come mons. Maggiolini, non soltanto nei primissimi tempi della Chiesa ma, come è accaduto, nel corso della vita della Chiesa, andrebbe bene il titolo di «confessore della fede» e questa impressione e sentimento li ho visti confermati dalla lettura del suo straordinario testamento spirituale fatta dal suo successore mons. Diego Coletti alla fine di quella «lieta» liturgia esequiale. E sottolineo la letizia perché eravamo tutti pervasi dalla consapevolezza che si era chiusa una vicenda terrena ma se ne era aperta una eterna. Il filo conduttore delle due vicende è sempre il filo conduttore della fede, un filo conduttore pieno di letizia e il mio cuore è lieto perché Dio vi è dentro.
+ Luigi Negri


L'appello di Benedetto XVI durante l'udienza all'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica - Solidali con chi non ha lavoro a causa della crisi mondiale - L'attività professionale svolta al servizio della Santa Sede è una vocazione da coltivare con cura e con spirito evangelico. Lo ha detto il Papa rivolgendosi ai membri dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, ricevuti in udienza venerdì mattina 19 dicembre, nella sala dei Papi, a pochi giorni dalla celebrazione del ventesimo anniversario della istituzione da parte di Giovanni Paolo ii. – L’Osservatore Romano, 20 dicembre 2008
Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Sono lieto di dare il mio benvenuto a tutti voi che prendete parte a questo incontro, a pochi giorni dal 20° anniversario dell'istituzione dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica (Ulsa) da parte del mio venerato predecessore Giovanni Paolo ii, con il Motu Proprio "Nel primo anniversario" del 1° gennaio 1989. Saluto il Signor Cardinale Francesco Marchisano, Presidente dell'Ulsa, lo ringrazio per le cordiali parole che mi ha rivolto, e colgo l'occasione per esprimergli viva gratitudine per il lungo servizio che ha reso alla Santa Sede. Saluto il Vice Presidente, il Vescovo Franco Croci, il Direttore, Dottor Massimo Bufacchi, i componenti della Presidenza, del Consiglio, del Collegio di conciliazione e arbitrato insieme agli altri vostri collaboratori.
Nel Motu Proprio istitutivo dell'Ulsa, il Servo di Dio Giovanni Paolo ii, come ha ricordato il vostro Presidente, formulava l'auspicio che "sia fattivamente onorata la dignità di ciascun collaboratore; siano riconosciuti, tutelati e promossi i diritti sociali ed economici di ogni membro; siano sempre più fedelmente adempiuti i rispettivi doveri; sia stimolato un vivo senso di responsabilità; sia reso sempre migliore il servizio". Nel successivo Motu Proprio del 1994 dal titolo "La sollecitudine", con cui egli approvò lo Statuto definitivo dell'Ufficio, volle scrivere: "Desidero ora riaffermare la funzione, attribuita all'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, di Organo della medesima che ha specifica identità istituzionale ed è preposto alla tutela dei legittimi interessi degli appartenenti alla comunità di lavoro della Santa Sede, per assicurare armonia e perequazione, nella pluralità, diversità e specificità delle mansioni, favorendo una corretta applicazione dei principi della giustizia sociale, a garanzia dell'unità di tale comunità e della crescita dei rapporti interpersonali in seno alla medesima".
Si tratta di orientamenti ben chiari, che mi piace ribadire, ponendo in luce il peculiare compito che l'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica è chiamato a svolgere nella formazione del personale, per rendere l'attività della comunità lavorativa della Santa Sede sempre più efficiente e solidale. Altro importante servizio del vostro Ufficio è quello di prevenire ogni eventuale dissidio concernente i lavoratori alle dipendenze della Sede Apostolica, e cercarne, se necessario, il sollecito componimento mediante un dialogo sincero ed oggettivo, ponendo in essere le previste procedure di conciliazione e di arbitrato. Tutto ciò al fine di consolidare detta comunità di lavoro, esplicando opportuni interventi volti al pieno adempimento delle norme poste a salvaguardia della medesima, e componendo eventuali questioni di carattere amministrativo o sociale-economico che si verificassero nei vari organismi della Santa Sede. Proprio così, cooperando alla migliore organizzazione della comunità di lavoro della Sede Apostolica, il vostro Ufficio consegue il raggiungimento dei fini per cui è stato costituito. In questa circostanza, vorrei sottolineare come la comunità di lavoro costituita da quanti operano nei vari uffici ed organismi della Santa Sede, formi una singolare "famiglia", i cui membri sono uniti, oltre che da vincoli funzionali, da una stessa missione, che è quella di aiutare il Successore di Pietro nel suo ministero al servizio della Chiesa universale. L'attività professionale che essi svolgono costituisce pertanto una "vocazione" da coltivare con cura e spirito evangelico, vedendo in essa una concreta via alla santità. Questo domanda che l'amore per Cristo e per i fratelli, insieme a un condiviso senso ecclesiale, animi e vivifichi la competenza e la dedizione, la professionalità, l'impegno onesto e corretto, la responsabilità attenta e matura, rendendo in questo modo preghiera il lavoro stesso, qualunque esso sia. Potremmo qualificare tutto ciò come un permanente compito formativo e spirituale, a cui possono offrire il loro apporto tutti: cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici. Se infatti è importante il rispetto dei principi della giustizia e della solidarietà ben enucleati dalla dottrina sociale della Chiesa, è indispensabile soprattutto il comune sforzo sorretto dalla convinta adesione a Cristo e dall'amore sincero per la sua Chiesa. Ben volentieri, quindi, mentre colgo l'odierna opportunità per ringraziare quanti prestano la loro opera nei vari Dicasteri ed Uffici, formulo l'auspicio che in tutti e ciascuno non venga mai meno la ricerca della giustizia e la costante tensione verso la santità. Auguro al tempo stesso che l'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, per quanto è di sua competenza, contribuisca al conseguimento di tale scopo. Inoltre, l'approssimarsi del Santo Natale porta quasi naturalmente il mio pensiero alla crisi del lavoro che preoccupa oggi l'intera umanità. Chi ha la possibilità di lavorare sia riconoscente al Signore e apra con generosità l'animo a chi invece si trova in difficoltà lavorative ed economiche. Il Bambino Gesù, che nella Notte Santa di Betlemme si è fatto uomo per venire incontro alle nostre difficoltà, guardi con bontà a quanti sono duramente provati da questa crisi mondiale e susciti in tutti sentimenti di autentica solidarietà. Nel messaggio per la prossima Giornata Mondiale della Pace ricordo che "la lotta alla povertà ha bisogno di uomini e donne che vivano in profondità la fraternità e siano capaci di accompagnare persone, famiglie e comunità in percorsi di autentico sviluppo umano" (n. 13).
Formulo volentieri questo auspicio, che pongo nelle mani della Madonna e di san Giuseppe, per il vostro Ufficio, per i dipendenti della Sede Apostolica, allargandolo all'intero mondo del lavoro, e, mentre a tutti auguro un santo e sereno Natale, di cuore vi benedico insieme alle vostre famiglie e alle persone a voi care. Buon Natale!
(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2008)


A proposito della Dichiarazione - Difesa dei diritti e ideologia - L’Osservatore Romano, 20 dicembre 2008
Il documento francese proposto alle Nazioni Unite non è un documento finalizzato, in primis, alla depenalizzazione dell'omosessualità nei Paesi in cui è ancora perseguita, come i media, semplificando, hanno raccontato. Se fosse stato così, non ci sarebbe stato motivo perché l'Osservatore Permanente della Santa Sede a New York criticasse quel documento. La Chiesa Cattolica, del resto, basandosi su una sana laicità dello Stato, ritiene che gli atti sessuali liberi tra persone adulte non debbano essere trattati come delitti da punire dall'Autorità civile. In merito, anche recentemente, il Magistero ecclesiastico ha affermato che la dignità delle persone omosessuali "deve sempre essere rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni" (Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, n. 10) e che a loro riguardo si dovrà evitare "ogni forma di ingiusta discriminazione" (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2358). La posizione della Chiesa su questo tema - è bene ricordarlo - è stata sempre moderata e coerente con la sua morale.
Ma questo documento, in realtà, parla d'altro, e cioè promuove una ideologia, quella dell'"identità di genere" e dell'"orientamento sessuale". Le categorie di "orientamento sessuale" e di "identità di genere", che nel diritto internazionale non trovano alcuna chiara definizione, vengono introdotte come nuove categorie di discriminazione e si cerca di applicarle all'esercizio dei diritti umani. Si tratta, invece, di concetti controversi su base internazionale, e non solo dalla Chiesa, in quanto implicano l'idea che l'identità sessuale sia definita solo dalla cultura, e quindi suscettibile di essere trasformata a piacere, secondo il desiderio individuale o le influenze storiche e sociali. In sostanza, introducendo tali categorie, si nega l'ancoraggio anzitutto biologico della differenziazione sessuale e lo si recepisce soltanto come un limite, piuttosto che come fonte di significato, quale invece è. Si dà impulso al falso convincimento che l'identità sessuale sia il prodotto di scelte individuali, insindacabili e, soprattutto, meritevoli in ogni circostanza di riconoscimento pubblico. Si promuove, di conseguenza, un'idea sbagliata di parità, che intende definire uomini e donne secondo un'idea astratta di individuo.
Non si tratta purtroppo di teorie marginali, se si pensa che le proposte di riconoscimento di diritti di famiglia alle coppie omosessuali - incluse quelle relative all'adozione e alla procreazione assistita - si basano sull'idea che la polarità eterosessuale non sia un elemento fondante della società, ma un arbitrio da cancellare.
Quindi il tentativo di introdurre le citate categorie di discriminazione si salda con quello di ottenere l'equiparazione delle unioni dello stesso sesso al matrimonio e, per le coppie omosessuali, la possibilità di adottare o "procreare" bambini. Bambini che rischierebbero, tra l'altro, di non conoscere mai uno dei due genitori e di non poter vivere con lui o lei.
Ma non è questo il solo pericolo: l'introduzione di tali categorie mette a rischio l'esercizio di altri diritti umani: si pensi alla libertà di espressione, oppure a quella di pensiero, di coscienza e di religione. Le religioni, per esempio, potrebbero vedere limitato il loro diritto di trasmettere il proprio insegnamento, quando ritengono che il libero comportamento omosessuale dei fedeli non sia penalizzabile, tuttavia non lo considerano moralmente accettabile. E verrebbe così intaccato uno dei diritti primari su cui si fonda la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948: quello alla libertà religiosa.
(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2008)


Chiesa cattolica e leggi razziali - E Pio XI disse: «Sono veramente amareggiato Come Papa e come italiano» - di Sergio Pagano Vescovo prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano
Capita non di rado, da un osservatorio storico privilegiato come è quello dell'Archivio Segreto Vaticano, custode dei documenti dei Pontefici e della Chiesa dal XIII secolo a oggi, di leggere o ascoltare dichiarazioni concernenti fatti storici o personaggi in essi implicati che non rispondono affatto nel merito alla documentazione che si possiede, né alle valutazioni che di quei fatti medesimi si sono venute formando nel tempo in sede storiografica accreditata. Ora è stato affermato che di fronte alle leggi razziali promulgate nell'Italia fascista fra settembre e novembre del 1938, "salvo talune luminose eccezioni" non vi furono "manifestazioni particolari di resistenza" nemmeno "da parte della Chiesa cattolica". Al di là delle intenzioni, bisogna rilevare - come pure è stato notato da più parti quasi subito - che per quanto attiene la posizione della Chiesa cattolica e dei Pontefici Pio XI e Pio XII nei confronti delle leggi razziali del 1938 l'affermazione sopra ripresa è certamente errata. Forse, quando si tratta di esprimere giudizi su argomenti tanto complessi e bisognosi del ricorso alla storiografia seria e ben fondata, sarebbe auspicabile maggiore prudenza e circospezione. Infatti quanto alle vicende che riguardarono la Chiesa cattolica e le leggi razziali fasciste consta (e non da oggi) l'esatto contrario di quanto ora affermato. Non è questa la sede per riprendere le diverse panoramiche storiche riservate ai rapporti, dapprima rispettosi ma poi anche tesi, fra un robusto e risoluto Pontefice come Pio XI e Mussolini o il suo Governo; abbiamo del resto saggi storici nei quali appare in tutta evidenza, fra altri aspetti, anche la forte reazione di Papa Ratti e dell'episcopato cattolico di fronte alle leggi razziali, le quali poi - sia pure come conseguenza necessaria, anche se aspetto non primario nella durezza di quei provvedimenti - toccarono pure i matrimoni tra i cosiddetti ariani e persone di razza diversa e quindi il Concordato stesso. Su questi aspetti hanno ultimamente scritto pagine documentate e rilevanti, dopo l'apertura completa dei documenti del pontificato di Papa Ratti nel 2006 Emma Fattorini (Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un Papa, Torino 2007), Alessandro Duce (La Santa Sede e la questione ebraica, 1933-1945, Roma 2007), Paul O'Shea (Politics and the Jews of Europe: 1917-1943, Kenthurst 2008) e il gesuita Giovanni Sale in due articoli apparsi su "La Civiltà Cattolica" e concernenti più da vicino il nostro tema: Il "Manifesto della razza" del 1938 e i cattolici (5 luglio 2008); I primi provvedimenti antiebraici e la dichiarazione del Gran Consiglio del fascismo (20 settembre 2008). La lettura attenta di tali opere e dei documenti vaticani e italiani su cui esse si basano sarebbe da sola bastata a evitare l'errore di cui dicevamo. Nessuno degli storici menzionati ha alcun dubbio sulla risoluta presa di posizione di Pio XI di fronte alle leggi razziali; quanto poi a Pio XII, studiosi seri (come Alessandro Duce) pongono in risalto la continuità di pensiero con il suo predecessore. Se vi fu, come certamente vi fu, mutamento di azione diplomatica o di "tattica" di fronte alla questione razziale da parte di Papa Pacelli rispetto a Pio XI, "è bene non dimenticare il contesto nel quale i due Pontefici si trovano a operare: l'uno a fronte di movimenti emergenti che tendono a travolgere la Chiesa o a relegarla in un ruolo marginale di carattere spirituale, l'altro costretto ad assistere allo scoppio della guerra e al suo progressivo allargamento". Né va dimenticato, per restare a Pio XII, che nell'enciclica Summi Pontificatus (20 ottobre 1939), rifacendosi ai testi poi non pubblicati dell'enciclica di Pio XI Humani generis sulla razza umana, "limata" dal Papa di Desio fino alla sua morte, aveva parole chiare di anti-razzismo, riaffermando l'unicità della razza umana e la condanna dei moderni totalitarismi. Restando però alle prime reazioni di Pio XI di fronte al cosiddetto Manifesto della razza vorremmo carpire i moventi dell'azione del Papa dalle udienze che il fedele e preciso segretario di Stato, cardinale Eugenio Pacelli, registrava nei suoi "Fogli di udienza" (tenuti dal 1930 al febbraio del 1939), la cui edizione è in preparazione a opera dell'Archivio Segreto Vaticano. Ci limiteremo qui a una semplice e scrupolosa ripresa dei testi che riportano, nelle udienze "di tabella" di Pio XI con il suo segretario di Stato, e in sua assenza con il vivacissimo monsignor Domenico Tardini, i moti del suo animo rispetto ai provvedimenti razziali che il Governo fascista cominciò ad adottare dall'estate del 1938. A coronamento di questi preziosi "Fogli di udienza", in grado di farci quasi ascoltare le stesse parole (qualche volta aspre e nervose) di Papa Ratti quando veniva a conoscenza di ciò che accadeva attorno a Mussolini, al suo Governo, in Italia e in Europa riguardo alle leggi razziali, citeremo altri documenti vaticani, in parte editi e in parte inediti, dai quali il lettore facilmente evincerà con quanta poca, anzi nessuna ragione si siano potute fare le affermazioni dalle quali siamo partiti. E anzitutto qualche antefatto. È nota la circolare che la Congregazione dei Seminari e delle Università diramò a tutti i vescovi e ai rettori o superiori di tali istituti il 13 aprile 1938 contro calumnias atque doctrinas perniciosissimas che si stavano spargendo in Germania (ma vi erano fondati timori anche per l'Italia), chiedendo che i docenti, con la forza della filosofia, della biologia, della storia, dell'apologetica confutassero presso i giovani studenti tesi siffatte (ut perabsurda quae sequuntur dogmata valide sciteque refellant); fra le tesi condannate ben cinque su otto riguardavano la razza e le dottrine razziali hitleriane. Prima di osservare il panorama italiano non sarà inutile, tuttavia, fare un inciso sui rapporti personali tra il duce e Pio XI, i quali, come vedremo, hanno avuto la loro rilevanza anche nel merito delle leggi razziali. Mussolini, specie negli anni della Conciliazione, non aveva mancato di dichiararsi credente, e ciò in aperto contrasto con l'atteggiamento del suo futuro alleato, Hitler, apertamente non credente. Per esempio, nell'agosto del 1930, Mussolini aveva dichiarato a monsignor Borgongini-Duca: "Io pure sono credente: altro che! Ma gli uomini mi hanno fatto cattivo" (asv, aes, Italia, Pos. 739 p. o., fasc. 251, f. 76). Questa sua apertura alla fede, rappresentava agli occhi di Pio XI un'opportunità per avere accesso alla stessa coscienza di Mussolini, con il quale sarebbe stato quindi possibile usare anche il tono del dialogo "paterno", a differenza di altri capi di Stato o di Governo, atei o scettici, con i quali il Papa avrebbe potuto usare solo il linguaggio della diplomazia. In definitiva, Pio XI sentiva di poter trattare con Mussolini in maniera più aperta e diretta, instaurando un rapporto simile a quello che Papa Ratti ebbe con un una figura analoga a quella del duce, ovvero il maresciallo polacco Pilsudski. Questa sorta di confidenza, incrinatasi negli anni dei contrasti sull'Azione cattolica e della guerra in Etiopia, tornò utile nel momento della punta massima del conflitto tra la Santa Sede e il regime hitleriano, ovvero quando si decise la promulgazione dell'enciclica Mit brennender Sorge (1937). Mussolini mantenne in quella circostanza un atteggiamento ambiguo, riguardoso nei confronti della Chiesa cattolica ma, al tempo stesso, sempre più vicino alle posizioni dell'alleato tedesco; tale ambiguità emerse palesemente in occasione del viaggio di Mussolini in Germania del settembre 1937 (cfr. asv, aes, Germania, Pos. 724 p. o., fasc. 339). Nel tempo Pio XI ebbe sempre più sentore del doppio linguaggio di Mussolini, tuttavia spererà ancora, e a lungo, nella possibilità di avere una qualche influenza sul duce, e che questa potesse valere a impedirgli di seguire la rotta di Hitler ("Il nunzio riferisce di avere confidenzialmente ripetuto al ministro Ciano una frase del Papa: "Mi rincresce che Hitler abbia chiamato Mussolini il suo più grande amico, perché Hitler è nemico di Dio!". Il Santo Padre scatta: "Ma non è così che ho detto io ! (...) Io ho detto grande amico non il più grande amico. C'è differenza!""; asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 560 p. o., fasc. 592, f. 118). Tornando al nostro tema, noteremo come negli stessi mesi in cui si approntavano le leggi razziali italiane, Pio XI - che si trovava a Castel Gandolfo nella sua deliberata "vacanza" per stare lontano dall'Urbe che accoglieva Hitler - nel giugno del 1938 incaricava il gesuita John La Farge di redigere una bozza di lettera enciclica sull'"unità del genere umano" (che sarà poi la Humani generis unitas); testo assolutamente avverso al razzismo fascista e nazista, la cui pubblicazione non avvenne per la prematura morte del Papa, ma il cui testo ci è noto (Georges Passelecq - Bernard Suchecky, L'Encyclique cachée de Pie xi, Paris 1995; traduzione italiana Milano 1997; Giovanni Miccoli, L'enciclica mancata di Pio XI sul razzismo e l'antisemitismo, in "Passato e presente", 15, 1997, pp. 35-54; Giovanni Sale, "Humani generis unitas". L'enciclica mai pubblicata di Pio XI sul razzismo, in "La Civiltà Cattolica", 2-16 agosto 2008, pp. 213-226).
Il 15 luglio 1938, ricevendo in udienza la suore di Nôtre-Dame du Cénacle (legate a lui dai tempi del suo ministero sacerdotale milanese), Pio XI raccontò di essere venuto a conoscenza proprio in quel giorno di "qualcosa di ben grave" che assumeva i contorni di una "vera apostasia" - è ovvio pensare al Manifesto degli scienziati razzisti che recava la data del giorno precedente) e ribadiva (non certo per le suore presenti, quanto per chi stava a Roma intento ad assecondare i desideri di Hitler) che "cattolico vuol dire universale" e che discriminare gli uomini secondo la nazionalità o la razza "non è più soltanto un'altra idea errata, è tutto lo spirito della dottrina che è contrario alla fede di Cristo" (Fattorini, p. 176: Sale in "La Civiltà Cattolica", 5 luglio 2008, p. 17). È evidente che qui Papa Ratti si riferiva alle serpeggianti tesi razziste. Pochi giorni dopo la pubblicazione del citato Manifesto, ricevendo in udienza il 21 luglio gli assistenti dell'Azione cattolica, Pio XI, ben conscio ormai di quanto stava per succedere, ribadiva: "Cattolico vuol dire universale, non razzistico, nazionalistico, separatistico (...). C'è purtroppo cosa che è assai peggio che una formula o un'altra di razzismo e di nazionalismo, ossia lo spirito che le detta" ("L'Osservatore Romano", n. 169, 23 luglio 1938, p. 1). Il 28 luglio Pio XI si rivolgeva agli alunni di Propaganda Fide con parole che suscitarono poi le ire di Mussolini: "Si dimentica che il genere umano, tutto il genere umano, è una sola, grande, universale razza umana. L'espressione genere umano denota appunto la razza umana (...). Né può tuttavia negarsi che in questa razza universale non vi sia luogo per razze speciali, come per tante diverse variazioni come per molte nazionalità che sono ancora più specializzate. (...) Ci si può chiedere come mai l'Italia abbia avuto bisogno di andare a imitare in Germania (...). Bisogna chiamare le cose con il loro nome se non si vuole incorrere in gravi pericoli, in quello, tra gli altri, di perdere anche proprio il nome, anche la nozione delle cose" ("L'Osservatore Romano", n. 176, 30 luglio 1938, p. 1). Mussolini, che si trovava allora a Forlì, accuserà il colpo e si lamenterà con il ministro Ciano e questi con Borgongini Duca, usando parole irrispettose verso il Pontefice (asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 5, ff. 81-96); al contrario, associazioni di ebrei, come l'Alliance Israélite universelle, ringraziarono Pio XI per il suo coraggioso discorso: Aujourd'hui Rome a parlé, c'est-à-dire la plus haute autorité morale qui soit dans l'univers civilisé. L'Alliance Israelite est heureuse d'adresser son hommage, avec son espérance, à un langage aussi élevé (asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 730, f. 46). E nuovamente, il 12 agosto, "L'Osservatore Romano" ospitava in prima pagina un articolo intitolato "Una citazione berlinese" che smentiva le interpretazioni faziose del discorso pontificio apparse sul giornale tedesco "National Zeitung" e ammoniva gli italiani a informarsi opportunamente sulle direttive pontificie in fatto di razza, così come facevano organi di stampa inglesi, svizzeri e francesi. A Milano intanto vi era chi si occupava di censurare il discorso del Papa, eseguendo certo gli ordini di Mussolini, e Pacelli registra l'udienza con Pio XI del 20 agosto in questi termini: "Scrive P. Gemelli al S. Padre che il Prefetto di Milano (era questi Giuseppe Marzano, che fu Prefetto di Milano dal giugno 1937 ad agosto 1939) ha chiamato il redattore capo delle pubblicazioni dell'Università del S. Cuore e lo ha obbligato a sottoscrivere la dichiarazione che non pubblicherà il discorso del S. Padre sul razzismo del 28 luglio. La cosa è tanto più enorme trattandosi di una Università e di una parola pontificia. Pur troppo fu fatto anche in altri casi, ma questi possono tenersi rappresentati dal caso presente quando si pensi che cosa è l'Università cattolica per il Papa. Quindi o lui provvede, o provvederà il S. Padre parlando e scrivendo come crederà bene. Lo si deve alla Chiesa" (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 430a, fasc. 355, ad diem).
In questo contesto, Pio XI non cessò di far sentire la sua voce. Subito dopo il discorso di luglio era stato preparato un lungo articolo per "L'Osservatore Romano", che avrebbe dovuto spiegare il senso delle sue parole. Il testo, forse per le reazioni che avrebbe potuto suscitare, non venne pubblicato sul quotidiano vaticano, ma Pio XI volle che fosse ripreso all'estero, dove trovò spazio tra le colonne del giornale elvetico "La Liberté" del 6 agosto (cfr. asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 729, ff. 8-13).
Tra settembre e novembre del 1938 vide la luce il gruppo di decreti fascisti inerenti le leggi razziali e il 5 settembre il Governo pubblicava il Provvedimento per la difesa della razza nella scuola fascista (gli ebrei e gli insegnanti ebrei non poterono tornare nelle scuole statali e parastatali alla fine delle vacanze estive). Pio XI il 6 settembre riceve un pellegrinaggio della radio cattolica del Belgio e di getto pronuncia un discorso rimasto celebre: "Ascoltate attentamente. Abramo è definito il nostro patriarca, il nostro avo (...). L'antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare (...). L'antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti" (Miccoli, p. 309; Fattorini, p. 181). Tre giorni dopo, nel verbale di udienza del 9 settembre con Papa Ratti, Pacelli registrava: "Il P. Tacchi Venturi dica a Mussolini: che il S. Padre come italiano si contrista veramente di vedere dimenticata tutta una storia di buon senso italiano per aprire la porta o la finestra a un'ondata di antisemitismo tedesco. Vi è un tesoro altissimo e verissimo del quale la Chiesa in un documento più sacro e solenne ci dice: tutti quanti nel seno di Abramo, e Abramo patriarca nostro, di tutti quanti. Qui filii sunt promissionis aestimantur in semine (Romani, 9, 8); Patriarchae nostri Abrahae (Canon Missae)" (asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 727).
Ricevendo in udienza di tabella monsignor Tardini il 16 ottobre - il cardinale Pacelli si trovava allora in Svizzera, come sua abitudine, per le sempre operose vacanze estive - accennando al "razzismo italiano", Pio XI disse "l'Italia e gli italiani sono un branco di pecore! Di questo non dobbiamo proprio esser grati a Mussolini" (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 560 p. o., fasc. 592, Appunti di Tardini, p. 15). È ancora Tardini che registra, nell'udienza del 19 ottobre, una ferma reazione di Papa Ratti che ci interessa: "Leggo al Santo Padre un rapporto del Nunzio [Borgongini-Duca, nunzio in Italia] circa un reclamo del Governo italiano per alcune frasi che sarebbero state dette in un congresso eucaristico a Chiari (Brescia) contro il razzismo. Ascoltando le frasi incriminate Sua Santità commenta: Benissimo! Giustissimo! Queste cose bisognerà pur che qualcuno le dica" (ibid., p. 23). Le due frasi pronunciate dai cattolici al congresso di Chiari erano le seguenti: "Oggi si vuole la robustezza fisica come quella dei tori e degli allevamenti nelle stalle, mentre la nostra educazione deve mirare allo spirito", "Iddio certamente punirà il popolo tedesco e tutti coloro che si mettono per la sua strada" (colloquio del nunzio Borgongini-Duca con il ministro Ciano del 6 ottobre 1938 in asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 14, ff. 160-163). Sempre sotto la data del 19 ottobre abbiamo nei verbali di udienza di Tardini: "Per la questione del matrimonio degli ebrei Sua Santità ordina di fare presto un promemoria ufficiale, perché gli scritti e le trattative del P. Tacchi Venturi sono piuttosto cose private" (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 560 p. o., fasc. 592, Appunti di Tardini, p. 22); sempre Tardini ricorda: "Il 20 ottobre vedo di nuovo S. E. Mons. Borgongini, il quale si è assunto l'incarico di preparare due promemoria per il Governo italiano: uno circa il matrimonio, l'altro circa la questione degli ebrei. Sua Santità, infatti, ha ieri deciso che si prepari subito un documento ufficiale perché rimanga dimostrato che la S. Sede ha prevenuto il Governo italiano circa le dolorose conseguenze delle sue nuove leggi" (ibidem, p. 25).
Circa l'udienza accordata al padre Tacchi Venturi dal Papa il 23 ottobre seguente, monsignor Tardini annota: "Padre Tacchi Venturi ripete al Santo Padre che il Governo intende punire coloro che - contro le sue leggi - celebreranno il matrimonio religioso. Sulla questione razzista c'è assoluta intransigenza da parte del Governo. A questo punto io faccio notare che il Ministero della Cultura Popolare ha proibito a tutti i giornali, periodici e riviste di riprendere dall'Osservatore Romano articoli contro il razzismo e di pubblicare anche altri articoli di propria iniziativa, sia pure contro il razzismo tedesco. Il Santo Padre scatta e dice al Padre Tacchi Venturi: Ma questo è enorme! Ma io mi vergogno... mi vergogno di essere italiano. E lei, Padre, lo dica pure a Mussolini! Io, non come Papa, ma come italiano mi vergogno! Il popolo italiano è diventato un branco di pecore stupide. Io parlerò, non avrà paura. Mi preme il Concordato, ma più mi preme la coscienza. Non avrò paura! Preferisco andare a chiedere l'elemosina. Neppure chiedo a Mussolini che difenda il Vaticano. Anche se la piazza sarà piena di popolo, non avrò paura! Qui sono diventati tutti come tanti Farinacci. Sono veramente amareggiato, come Papa e come italiano!" (ibidem, pp. 37-38; Fattorini, pp. 183-184). E ognuno sa quante difficoltà creò poi Mussolini, furibondo per l'atteggiamento di Pio XI, alla Santa Sede riguardo ai matrimoni misti e come il cardinale Pacelli fosse costretto a protestare ufficialmente con l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede Bonifacio Pignatti Morano di Custoza nel 1938 e nel 1939 (asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 5, ff. 143-189).
La posizione di risoluto rigetto delle leggi razziali fu ribadita da Pio XI nell'udienza di tabella del 30 ottobre, questa volta registrata dal cardinale Pacelli, rientrato a Roma: "Sulla legge del matrimonio circa la razza. Istruzione al P. Tacchi Venturi. Non essendosi data nessuna risposta alla domanda di far conoscere alla S. Sede il testo della nuova legge nella parte concernente il matrimonio fra persone di diversa razza, la S. Sede viene a trovarsi nella impossibilità di prendere una risoluzione qualsiasi circa un testo ad essa ignoto. Parlando il P. Tacchi Venturi potrebbe dire: se voi proprio volete pubblicare la vostra legge, la S. Sede e l'Episcopato si troveranno nelle necessità di fare quello che il dovere del loro ministero esigerà" (asv, aes, Italia, Pos. 1063, fasc. 755, f. 127).
A questo punto si consuma la rottura personale fra Mussolini e il Papa, che ormai trova sordo il suo interlocutore, definito infine come "scortese e fedifrago"; sarà proprio la questione dei matrimoni "misti", vietati con inusitata severità dalle leggi italiane, che diverrà il centro della protesta di Pio XI, il quale dai toni sfumati passerà alle vie della diplomazia per ventilare l'ipotesi di un vulnus perpetrato da quelle leggi al Concordato e si arriverà così alla celebre allocuzione concistoriale che avrebbe dovuto aver luogo l'11 febbraio 1939; in essa il Papa avrebbe protestato contro il clima apertamente contrario alla Chiesa che ormai si respirava in Italia. Infine, come ulteriore atto pubblico che manifestò la contrarietà della Chiesa cattolica alle leggi razziali (s'intende prima della mancata allocuzione concistoriale del febbraio 1939), si deve annoverare la risposta data alla lettera del cardinale Arthur Hinsley, arcivescovo di Westminster. Il 26 novembre del 1938 il porporato aveva scritto a Pacelli comunicando che "il 9 dicembre ci sarà una riunione pubblica a Londra allo scopo di chiedere aiuto e assistenza per tutti coloro che soffrono della persecuzione per motivi di razza o di religione", e chiedeva "una parola autentica del Santo Padre dichiarando il principio che in Cristo non esiste discriminazione di razza e che la grande famiglia umana deve essere unita in pace per mezzo di rispetto della personalità dell'individuo" (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 575 p. o., fasc. 606bis, ff. 3-4). Nell'udienza del 3 dicembre concessa al cardinale Pacelli, Pio XI decideva che: "Se la cosa fosse di carattere sostanzialmente privato, sarebbe più facile. D'altra parte, occorre togliere l'apparenza di aver paura di ciò che non si deve temere. Si potrebbe incaricare il cardinale Hinsley a parlare e, dicendosi sicuro di interpretare il pensiero del Sommo Pontefice, dicendo che la cosa coglie il Papa in un momento di tanta preoccupazione, non soltanto per la sua salute, ma anche per la quantità di cose. (...) Egli, cardinale di Santa Romana Chiesa, però dica di interpretarne il pensiero, che vede con occhio umano e cristiano ogni assistenza a quanti (sono) infelici e ingiustamente sofferenti" (ibidem, f. 8). Lo stesso 3 dicembre, queste parole del Papa vennero comunicate per telegrafo a Hinsley, perché se ne facesse portavoce in quell'assemblea (ibidem, f. 9). Ci si può chiedere, di fronte a così chiare espressioni di riprovazione, se Pio XI fosse sorretto dalla sua curia e dall'episcopato cattolico oppure, come qualcuno ha scritto, fosse lasciato solo nella lotta contro le ideologie totalitarie. Certo vi furono uomini di Chiesa meno coraggiosi e meno "profeti" di Papa Ratti (fra questi bisogna ascrivere, almeno per alcuni periodi e per limitati aspetti, lo stesso nunzio in Italia Borgongini-Duca, il padre Gemelli e il gesuita Tacchi Venturi o taluni scrittori de "La Civiltà Cattolica"); questi degni ecclesiastici e religiosi, pur mossi dall'intento di ammorbidire i toni di uno scontro a volte aspro fra Pio XI e il Governo fascista e quindi di raggiungere, per quella strada, una auspicata modifica delle posizioni razziali fasciste, non videro - come invece aveva visto Papa Ratti - le pericolose premesse e le scontate funeste conseguenze della dottrina fascista sulla razza, che finì per preparare il terreno alle deportazioni naziste degli ebrei, tristemente note. Altri prelati però, nell'epifania del 1939, si pronunciavano apertamente contro la discriminazione degli ebrei in ragione della loro razza; si ricordano l'arcivescovo di Bologna Giovanni Battista Nasalli Rocca, l'arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster e l'allora delegato apostolico in Turchia Angelo Giuseppe Roncalli, che aveva parole chiarissime contro il razzismo nell'omelia tenuta nella chiesa francese dello Spirito Santo a Istanbul (Fattorini, p. 203). Queste prese di posizione non sembrano dovute a una semplice coincidenza di tempo e di argomento, quanto piuttosto una direttiva che per le solite vie riservate e allusive della diplomazia vaticana si era rivolta ai presuli. Né questi furono soli, perché proteste contro le leggi razziali vennero anche da diversi pastori, come il vescovo di Trieste, Antonio Santin, o dal cardinale arcivescovo di Torino Maurilio Fossati (asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 5, ff. 97-106), per tacere di altri. Vanno ricordate poi anche le accoglienze riservate dai presuli italiani alla circolare della Congregazione degli Studi contro le degenerazioni della dottrina della razza; circolare ripubblicata in lingua italiana in numerosissimi bollettini diocesani con commenti degli stessi vescovi o di ecclesiastici in piena sintonia con le direttive di Pio XI. In taluni casi fu necessario combattere contro la censura che il fascismo voleva imporre anche ai bollettini diocesani sull'argomento della razza e sui discorsi del Papa, come fu il caso di Padova, con le proteste del vescovo Carlo Agostini, o di Brescia, come scriveva il vescovo Giacinto Tredici al segretario di Stato il 19 agosto, di Nicosia, con rimostranze del vescovo Agostino Addeo, o ancora di Cremona, con la lettera del vescovo, Giovanni Cazzani, a Farinacci dell'8 agosto 1938 ("Questa parola ebbe corso e senso dal culto esagerato, pagano, anticristiano e antiromano della razza - scriveva il presule - professato e attuato in provvedimenti legislativi nella Germania di Hitler"); persino alcuni fascisti cattolici di Reggio Calabria inviarono a monsignor Tardini una "lettera aperta" a Mussolini molto critica sul contegno del duce verso il Papa e anche verso le leggi razziali (asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 730, ff. 10-28). Il consenso con le prese di posizione anti-razziste di Papa Ratti giungeva a Roma da varie nazioni del mondo: "Impressione in Costarica circa razzismo è generalmente sfavorevole Governo Italiano e di simpatia verso Santo Padre", telegrafava da San José di Costarica il nunzio Chiarlo in data 9 agosto 1938 (asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 730, f. 4); stesso atteggiamento abbiamo da parte di cattolici in Inghilterra, Austria, Belgio, Francia, Stati Uniti, Brasile, Argentina, Ungheria e da diverse altre nazioni. Persino dalla Polonia un certo Maurycy Widerszal il 13 agosto 1938 scriveva a Pio XI (tradotto in italiano in Segreteria di Stato): "Santità, chi scrive è un ebreo di nascita, ma di anima, di cuore e di sangue il cento per cento polacco, amante la propria patria, dove morirono i suoi antenati. Ringrazio Vostra Santità perché ha voluto coraggiosamente ammonire i potenti, perché ha avuto parole di conforto per gli oppressi" (ibid., ff. 59-61). Un gruppo di ebrei di Roma presentò al Papa i propri auguri per le feste natalizie del 1938 con queste parole: "Nella imminenza del Santo Natale, Beatissimo Padre, vogliate renderVi interprete di tutti i cuori che soffrono e di tutte le anime che trepidano, indirizzando a tutti, popoli e reggitori, l'autorevole parola di una Vostra Enciclica per ricordare l'amore, la carità, la fratellanza cristiana, il disarmo spirituale nell'angelicato saluto natalizio: Gloria a Dio nel più altro dei Cieli, pace in terra agli uomini di buona volontà. E questo saluto, questa invocazione, questa preghiera sia la migliore strenna natalizia del 1938 per la Umanità tutta che in Voi si affida, Padre Santo. Prostrati ai Vostri piedi, questi voti umiliano i Figli Vostri d'Israele" (ibid., f. 72). Già da diversi mesi Papa Ratti, quasi presagendo istanze consimili, aveva dato ordine che si lavorasse a preparare appunto una enciclica - poi ripresa dalla Summi pontificatus - che servisse a unire, non a dividere le razze, a cementare la concordia, non la divisione settaria, a esaltare la Croce di Cristo, non la croce uncinata tedesca verso la quale Mussolini e l'Italia fascista si erano pericolosamente incamminati.
(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2008)


TREPIDAZIONE PER LE DUE SUORE RAPITE - IN SILENZIO. E COLMI DI SPERANZA - ELIO MARAONE – Avvenire, 20 dicembre 2008
È da più di cinque settimane che coltiviamo, fra trepidazione e speranza, l’attesa della buona notizia della liberazione di suor Maria Teresa Olivero e suor Caterina («Rinuccia») Gi­raudo, le due sorelle appartenenti al movimen­to missionario «Charles de Foucauld» rapite in Kenya e portate in Somalia, dove tuttora si tro­verebbero. La trepidazione per la loro sorte è scontata. Ma inevitabile, vorremmo dire tassa­tiva in questo tempo d’Avvento che vuol dire ve­nuta e attesa fidente di quella venuta, è la spe­ranza. Nel caso nostro una speranza straordi­naria, addirittura contraria al costume giorna­listico, la speranza cioè che quanto andiamo scrivendo sia adesso, (vogliamo dire «questa mattina» per chi legge), superato dai fatti: ossia che le due missionarie non siano più prigionie­re di ignoti carcerieri (anche se sulla loro iden­tità si possono avanzare ragionevoli ipotesi), ma finalmente libere, restituite all’affetto dei loro cari in Italia e forse soprattutto (così, crediamo, probabilmente pensano loro) all’affetto trama­to di ammirazione e di gratitudine degli abitan­ti dell’africano El-wak, il villaggio al confine del­la Somalia dove lavorano da trenta e più anni.
Entrambe lavorano – ma diciamo meglio: si sa­crificano, si spendono gratuitamente – tra bam­bini denutriti, tubercolo­tici, oppure colpiti da quelle patologie neurolo­giche, quale l’epilessia, che molti laggiù ancora ri­tengono il segno di una superiore maledizione. In questo si sono consuma­te, per questo sono ama­te da una popolazione che pur non essendo cri­stiana sa ben riconoscere i figli dell’unico Dio «dal­le loro opere».
Non conosciamo con cer­tezza tutti i motivi del rapimento di suor Maria Teresa e suor Caterina, non possiamo dire che cosa si aspettino i sequestratori, è purtroppo fa­cile, però, immaginare il contesto, fatto di po­vertà e diffusi disagi, di conflitti etnici e di av­versione all’'uomo bianco', di sedicenti rivolu­zionari e di delinquenza comune, alla quale ap­partengono i pirati diventati famosi di questi tempi. Le due suore conoscevano bene queste e altre miserie, le hanno viste crescere e, ne sia­mo sicuri, patite personalmente, tra l’indiffe­renza o l’ignavia o la viltà non soltanto dell’Oc­cidente ma anche, e in primo luogo, dei rap­presentanti politici regionali.
Sapevano bene, le due suore, dove vivevano, a quali rischi (compreso, pensiamo, anche quel­lo del sequestro) andavano incontro, ma non se ne sono andate, sono rimaste laggiù, in un an­golo sperduto, a curare e difendere i loro figli a­dottivi, con l’amore di madri vere. Tutto questo, naturalmente, in silenzio, perché silenzioso, ri­servato è lo stile di chi lavora per il prossimo ai margini della geografia e della storia, silenziosi e riservati sono i missionari che dedicano la pro­pria vita ai più bisognosi, agli abbandonati dal mondo che non si cura della povertà estrema, della fame e della sete insaziate, della mancan­za di cure sanitarie, dell’assenza dei tetti perché i tetti sono stati bruciati o non sono mai esisti­ti, della fatica senza premio e senza fine, dei pro­fughi in movimento perenne, dei pianti dei bam­bini.
Tutto in silenzio, dicevamo, oggi come ai tempi di Charles de Foucauld, il «fratello di Gesù» con il cuore e la croce impressi sul petto, il promo­tore e il testimone dell’amore reciproco tra gli uomini anche quando questo amore, per un francese tra i Tuareg, sembrava impossibile. Col­mi di speranza, rientriamo anche noi nel silen­zio, Aspettiamo, per romperlo, la buona notizia.


SENSO CRITICO E SGUARDO PROFONDO, SE NO È POLEMICA DOZZINALE - Se Gad Lerner si procurasse una pupilla meno irritata - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 20 dicembre 2008
G ad Lerner è una persona intelligente e, dietro un tratto a volte spigoloso, è uomo capace di finezza e affabilità.
Lo so per esperienza personale. E dunque so di rivolgermi a un interlocutore che può comprendere le mie ragioni squisitamente laiche nel manifestare un poco di disagio di fronte al suo lungo e astioso pezzo di ieri su La Repubblica contro il Papa e la Chiesa cattolica. Per quanto, infatti, io comprenda che su certi giornali il 'tiro' contro la Chiesa può far parte di una specie di strategia di vendita o forse di resistenza sul mercato, da talune firme mi aspetterei più rispetto, o almeno meno livore. Arthur Rimbaud, con grande ironia, chiedeva al demonio stesso una 'pupilla meno irritata' e meno rancore.
Credo, più modestamente, di poterlo chiedere anche 'all’infedele' Gad.
Prendendo spunto da molti ed eterogenei fatti, Lerner tratteggia quella che chiama una 'offensiva neodogmatica'. D’accordo, laica attenzione ai termini e al loro significato imporrebbe intender bene cosa sono i dogmi e quanto c’entrano o meno con ciò di cui si parla, ma la verve giornalistica e la propensione agli slogan la posso comprendere. Meno posso, da parte di un giornalista di lungo corso e di grandi responsabilità, comprendere la tendenza ad ammucchiare fatti, citazioni a effetto, e situazioni disparate per costruire un ritratto della Chiesa a tinte così fosche. Un esercizio che all’improvviso, nelle ultime settimane, sembra essere diventato quasi uno sport un po’ troppo praticato.
Inanellando fatti che vanno dalle polemiche in Spagna contro l’indottrinamento di Stato, sul cui pericolo è in atto un dibattito intellettuale interessante, a scritti del Papa, fino alle recente reazioni alle dichiarazioni di Fini, Lerner accusa il 'tono violento' della Chiesa e di Benedetto XVI. Sul tono 'violento' di Benedetto XVI verrebbe quasi da ridere. O viene il sospetto che il Papa è 'violento' se non è d’accordo con Lerner. Inoltre, i lettori di Avvenire e di altri giornali possono aver visto come le reazioni di storici ed esperti alla grossolana affermazione di Fini circa la Chiesa e le leggi razziali fossero pacate ma ferme nel richiamare il valore dei documenti, e tutt’altro che violente. Si tratta di un dibattito storico ricco e complesso, dove nessuno né i cattolici né gli ebrei, è esente dalle luci e dalle ombre della storia, ma a cui certo né le battute stravaganti di politici né le citazioni estrapolate portano gran contributo. Difendersi da un’accusa che si ritiene ingiusta ed enormemente amplificata dai media, come hanno fatto studiosi di storia della Chiesa non è 'un’offensiva' ma contribuire a stabilire la verità.
A riguardo delle polemiche spagnole su varie e ripetute discutibili iniziative del governo laicista (dalla cancellazione dei nomi 'padre e madre' alle abolizioni di ricorrenze e feste tradizionali fino al permesso di adozioni a coppie gay) credo che la discussione su queste iniziative dello Stato da parte di organismi sociali (e la Chiesa è anche questo) sia da vedere come un contributo alla democrazia. Se nessuno discute su quanto fa uno Stato in campi rilevanti della vita delle persone, significa che si è in una forma, per quanto subdola, di totalitarismo.
Vale per la Russia di Putin come per l’America che fu di Bush, come per l’Italia o la Spagna. Comprendo il disagio che la puntualità e l’assenza di complessi di inferiorità da parte della Chiesa può far insorgere in chi vede la presenza stessa della Chiesa come uno strano inganno. Non così la vedono milioni di cittadini in Italia. Ed è anche per rispetto a loro che quando si affrontano certi temi sulla pubblica piazza dei media, gli slogans e la ricerca dell’effetto devono lasciare il posto a un più largo e profondo ragionare.
Slogans e la ricerca dell’effetto devono lasciare il posto a un ragionare profondo


L’EVIDENZA DELLA REALTÀ HA RIEMPITO LO SCHERMO TV - La mano di Greta sussulta «Vi ho sentito, sono ancora viva» - MARINA CORRADI – Avvenire, 20 dicembre 2008
L’altra sera, al tg. La mano magra di una ragazza di vent’anni, da tre in stato vegetativo, sottoposta a Torino a un nuovo intervento di stimolazione corticale, che al comando di muovere un braccio come compiendo un immane sforzo si alza di poco, e subito ricade inerte sulle lenzuola.
Ma l’arco di pochi centimetri percorsi dalla mano pallida, nella immagine un po’ sfocata, è un urto al cuore e alla ragione di chi guarda. Non era, Greta Vannucci, andata troppo lontana da noi, persa in un limbo che ancora non è morte, ma sembra altettettanto inviolabile?
Eppure finalmente all’ordine forse tante volte vanamente impartito la ragazza risponde. È un istante. La mano che si stacca dal letto sembra dover trovare le forze per reagire a una potenza contraria e immane; come se la schiacciasse una massa di pietra, e quel gesto da nulla fosse in realtà inaudita fatica. E insieme uno struggente sforzo di risposta: vi ho sentito, sono ancora viva.
Quando un terremoto rovinoso abbatte una città, e i soccorritori dopo molti giorni vanno ancora cercando coi cani, con le sonde fra le macerie qualche traccia di vita, accade a volte che ai richiami ormai scoraggiati dei vivi da sotto le rovine venga una flebile eco: è un gemito, un rantolo, o solo un franare di terra? Si bloccano le ruspe, abbaiano i cani. Davvero era una voce? Dubbiosi ma spinti da una bruciante speranza si riprende freneticamente a scavare.
Ecco, la mano che sussulta, si alza, ricade, somiglia a questa scena su delle rovine. Dove non si è del tutto certi che ciò che si è udito sia risposta di un uomo, oppure un fruscio fra macerie di morte. Ma atroce sarebbe ignorare quel sussulto, che forse è una domanda: sono qui, sono viva.
E i combattenti ideologicamente schierati, i militanti della ' buona morte' ansiosi di togliere l’acqua e il cibo alle Terry Schiavo e alle Englaro diranno che chissà, mah, forse, oppure sosterranno: quella mano mossa è un caso, e comunque non basta per parlare di alcun risveglio.
Certo, è solo un tornare indietro, dal buio, a un minimo stato di coscienza. La mano alzata di Greta è un gesto piccolo, e però straordinario – come il passaggio dallo zero all’uno.
C’è un fronte ampio di gente in buona fede, che obbediente alla equivoca pietà che ci viene tenacemente inculcata vorrebbe che Eluana morisse. Ci chiediamo quanti di loro, se hanno visto in tv il sussulto di un’altra malata in stato vegetativo, sono stati attraversati da un momento di dubbio. Forse a qualcuno è accaduto, l’altra sera, di oscillare nella acquisita certezza che una vita assente è da sopprimere.
L’evidenza della realtà, più forte di ogni parola, ha riempito lo schermo nella mano della fanciulla inerte che con arduo sforzo obbedisce. A noi è venuto in mente un Caravaggio: quello che coglie l’istante in cui Lazzaro, chiamato da Cristo, si riscuote dalla morte. Si percepisce fisicamente nel quadro la immane fatica di quel tornare indietro - gli occhi di Lazzaro, ormai abituati alle tenebre, feriti dalla luce. La mano di Greta come eco dell’istante in cui Cristo ordina di tornare fra i vivi, e Lazzaro, già irrigidito, faticosamente obbedisce. Nel minimo alzarsi di una mano la evidenza che la vita di ogni uomo è un mistero, più grande di ogni positivistico teorema, e di quello – ben poco – che sappiamo.


PIANETA EDUCAZIONE - Oltre a questo importante provvedimento sono già stati sbloccati gli stanziamenti del 2008 I deputati del Pdl: ora lavoriamo, governo e parlamento, per una effettiva libertà di scelta - Paritarie, fondi ripristinati Restituiti 120 milioni - DA ROMA PINO CIOCIOLA – Avvenire, 20 dicembre 2008
A lla fine la sforbiciata ai fondi per le scuole paritarie per il 2009 sarà solo di 13 milioni e mezzo d’euro: non cer­to bruscolini, ma pur sempre molto, molto meno dei 133 che sembravano esser già stati tagliati. La notizia arriva ieri poco dopo l’ora di pranzo: «Berlusconi ha mantenuto, come sempre, la sua parola. Sono stati reintegrati i fondi per il 2009 e garantiti i fondi del 2008. O­ra lavoriamo, governo e parlamento, per una effettiva libertà di scelta», fanno sapere i de­putati Pdl Toccafondi, Lupi, Aprea, Farina, Pal­mieri, Vignali, Centemero. «Adesso – aggiungono – ci sono più certezze per gli istituti non statali», dopo che «con un ordi­ne del giorno alla legge finanziaria e di bilan­cio i 120 milioni in più indirizzati al ministero dell’Istruzione, sono stati destinati al reintegro del fondo alle scuole non statali». Oltre a que­sto, «i fondi del 2008 sono già stati sbloccati o stanno per esserlo». È infatti accaduto che per questioni di procedura legislativa quei 120 mi­lioni non potevano direttamente allocarsi nel­la finanziaria alle scuole paritarie: allora a far­lo ci ha pensato il 'dibattito parlamentare'.
Un passo indietro: il taglio sarebbe dovuto es­sere di 133 milioni e mezzo sui 530 comples- sivi di stanziamento. Così ieri, attraverso un ordine del giorno «chiaro ed esplicito – spiega Maurizio Lupi – e col parere favorevole del go­verno, quei 120 milioni vengono destinati al­le paritarie». Domanda scontata a questo punto: ma basta un ordine del giorno per far sì che i soldi fini­scano laddove sono stati destinati? Le garan­zie in questo senso sembrano solide. Perché la procedura è stata di fatto concordata col mi­nistro Maria Stella Gelmini. Negli atti parlamentari infatti è scritto palese­mente che quei 120 milioni dovranno essere riservati alle scuole paritarie. E perché poi ma­terialmente questo avvenga, servirà un decre­to proprio del ministro Gelmini (d’intesa col ministero dell’Economia). Decreto che prece­dentemente dovrà obbligatoriamente avere un parere della Conferenza Stato-Regioni. Ma essendo questo parere solo consultivo e non vincolante, se pure fosse negativo il ministro Gelmini, 'supportata' dall’ordine del giorno votato ieri, potrà allocare quei 120 milioni al­le scuole paritarie. Ed è andata in questo modo poiché, non po­tendosi più avanzare emendamenti, il gover­no aveva in sostanza 'suggerito' di non pre­sentare quest’indicazione a favore della rein­tegrazione di quei fondi alle paritarie come u­na raccomandazione (che sarebbe stata assai più 'blanda'), ma come ordine del giorno. Nei confronti del quale, appunto, l’esecutivo stes­so ha fornito parere favorevole.
Morale? «Parliamo di una riduzione del due e mezzo per cento rispetto ai 530 milioni di stan­ziamento complessivo– spiega ancora Lupi – . Che è certamente un dato negativo ma, te­nendo conto che il taglio per ridurre le spese della pubblica amministrazione è media­mente del venti per cento, si deve notare che – grazie all’impegno di tutti e alla sensibilità del governo – si è andato a tagliare laddove ci so­no sprechi e inefficienze e non il contrario, ri­conoscendo quindi il valore delle scuole pari­tarie e il servizio pubblico che svolgono».
Restava il problema della cifra necessaria per completare il finanziamento 2008: «Anche per questa c’è un atto amministrativo che ha rein­tegrato i fondi – aggiunge Lupi – e quindi an­che qui è stato tutto risolto». Soddisfatti, dunque: «Adesso - – dice un altro deputato Pdl, Gabriele Toccafondi – dopo l’am­pio dibattito sul tema della parità scolastica avvenuto in aula, che ha visto tutti i gruppi concordi nel difendere la libertà di scelta, è giunto il momento di arrivare alla piena e to­tale libertà di educazione con una apposita legge».


E D I TO R I A L E - CRISTIANI CONTRO: FIRMATO DE FELICE -. ANTONIO AIRÒ – Avvenire, 20 dicembre 2008
Un infortunio di metodo e di merito quello del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Non solo per aver messo sullo stesso piano la condanna delle leggi razziali di Mussolini e il silenzio della Chiesa, eliminando torti e ragioni, ma soprattutto perché, se c’è un anno nel quale in più occasioni Pio XI e anche non pochi vescovi, anche se i toni furono diversi, fecero sentire la loro voce questo fu proprio il 1938. Fu invece costretta a tacere la stampa cattolica invitata perentoriamente dai prefetti, per ordine del ministro Alfieri, ad evitare ogni eventuale commento sul problema della razza con in più il divieto di riprendere anche il discorso del Papa del 28 luglio. Quello agli alunni del collegio di 'Propaganda fide' nel quale il pontefice si chiese - con una distinzione significativa ­come mai l’Italia volesse «disgraziatamente» imitare il Reich perché «il genere umano è una sola grande universale razza umana».
Nell’ottobre del 1938, monsignor Ernesto Pasini, direttore di una pubblicazione bresciana, veniva diffidato «dal riprodurre sull’Osservatore romano o dal pubblicare articoli contro il razzismo, anche se tale opposizione sia soltanto contro il razzismo tedesco». Quale sia stata la posizione di Pio XI, che stava lavorando ad una apposita enciclica contro il razzismo, è ormai nota. Come nota è anche quella del cardinal Schuster, espressa nel novembre 1938 nel Duomo di Milano nell’omelia 'Un’eresia antiromana' nella quale il razzismo veniva definito «un pericolo internazionale non minore di quello dello stesso bolscevismo».
Certo gli interventi del Papa e dei vescovi avevano dovuto tener conto del ruolo svolto dalla diplomazia vaticana per non arrivare ad uno scontro aperto con il fascismo e non mancarono varie voci del mondo cattolico vicine al regime (ma un universitario reggiano, Pasquale Marconi, avrebbe criticato duramente padre Gemelli). Ma alcuni diari o lettere private venuti alla luce recentemente indicano un disagio crescente, se non una opposizione vera e proprio, verso le leggi razziali. Lo aveva rilevato già Renzo De Felice riprendendo alcune informative della polizia politica.
«Negli ambienti cattolici si biasima apertamente tutta la politica antiebraica e questo biasimo, risaputo dalla popolazione, provoca una solidarietà verso gli ebrei che si manifesta in tutte le occasione possibili». Il giudizio non riguarda solo Torino ma anche buona parte dell’Italia. Da Bozzolo, don Primo Mazzolari, scrivendo al suo amico, don Guido Astori, osservava che la campagna contro gli ebrei «continua in modo indegno e rivoltante». E il sacerdote decideva di cambiare la tradizionale preghiera del Venerdì santo «pro perfidis judaeis» in quella «pro tribulatis judaeis». Ha torto Fini. La Chiesa non ha taciuto.
E non per quieto vivere!


STORIA. Chiesa cattolica e leggi razziali: la studiosa Grazia Loparco ricostruisce i no della Santa Sede al regime fascista, già documentati - Fra Pio XI e il Duce scontro sugli ebrei - DI PAOLA SPRINGHETTI – Avvenire, 20 dicembre 2008
A Papa Pio XI le leggi razziali non piacevano proprio. E per questo prese posizioni chiare e attivò varie iniziative per cercare di cambiarle. «All’epoca della promulgazione delle leggi razziali, tra il luglio e il settembre del ’38, il Papa ha parlato più volte, condannandole. Nel IV volume della sua Storia della Chiesa,
Giacomo Martina ricorda che ripeté le condanne al nazionalismo esagerato e all’esaltazione della razza (parola che il Papa aborriva, preferendo piuttosto 'stirpe'), davanti alle suore del Cenacolo riunite nel capitolo e provenienti da varie nazioni, davanti agli alunni di Propaganda Fide e davanti agli assistenti dell’Azione Cattolica. E dopo il discorso del 6 settembre ai pellegrini belgi, nella consueta allocuzione concistoriale di fine anno, deplorò la lesione del Concordato avvenuta con le disposizioni che proibivano il matrimonio misto e 'la recente apoteosi, in questa stessa Roma, preparata ad una croce nemica della Croce di Cristo'».
A rievocare gli studi di Giacomo Martina è Grazia Loparco, docente alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium, di Roma, cui si deve un’importante ricerca sugli ebrei salvati nei conventi dell’Urbe. «Il Papa era contrario alle leggi razziali, ed è intervenuto anche per via diplomatica: tramite Padre Tacchi Venturi tentò di ottenere modifiche, scrivendo sia a Mussolini sia al re. A queste prese di posizione Mussolini replicò in vari discorsi, in sfoghi personali e minacciando una lotta a fondo contro la Chiesa».
Perché queste prese di posizione non hanno avuto la risonanza dovuta?
«Oggi interventi di questo genere avrebbero una risonanza enorme.
Ma si era in un regime totalitario, e non c’erano i mezzi di comunicazione che ci sono oggi.
Soprattutto non li aveva il Papa».
Perché si rimette continuamente in discussione l’atteggiamento verso il nazismo e il fascismo di Pio XI e Pio XII?
«Ci troviamo davanti ad un anacronismo difficile da superare.
Cerchiamo risposte che sembrino adeguate a noi, oggi, usando i nostri parametri, che non sono applicabili al momento storico di sessanta anni fa».
Lei ha studiato questi temi. A che conclusioni è arrivata?
«Ho fatto queste ricerche seguendo un interesse di tipo documentario, perché - soprattutto nei confronti di Pio XII - credo che non sia ancora venuto il momento di dare un giudizio storico. Siamo troppo segnati dal pregiudizio: o polemico o apologetico. Non c’è la serenità intellettuale per giudicare e non ne sappiamo abbastanza. Ad esempio Andrea Riccardi, nel suo recente e libro, ha indagato gli aspetti diplomatici, ed è stato certamente importante, ma c’è ancora molto da studiare e ricostruire».
Papa Pio XI ha preso con molta chiarezza alcune posizioni, ad esempio definendo il fascismo 'una vera e propria statolatria pagana' con l’enciclica 'Non abbiamo bisogno', scritta per difendere l’Azione Cattolica dal regime fascista, o, più tardi, pronunciandosi contro la guerra incombente. C’è continuità con Pio XII?
«C’è stata continuità sostanziale, anche se con un atteggiamento diverso. Certamente era più diretto quello di Pio XI. Che nel ’37 ha scritto, usando eccezionalmente il tedesco e non il latino, l’enciclica
Mit brennender Sorge ('Con viva preoccupazione'), rivolta all’episcopato tedesco, in cui denunciava tra l’altro l’anticristianesimo presente nel nazionalsocialismo. E con la stessa nettezza nel ’38 si è pronunciato nei confronti della legge razziale che vietava i matrimoni misti. Ma in pochi anni la situazione è radicalmente cambiata: Pio XI ha vissuto la fase montante del nazionalsocialismo e la minaccia di guerra, ma Pio XII si è trovato a tenere saldo il timone della Chiesa durante il boom del nazismo e nel pieno della guerra: erano anni in cui sempre meno si poteva ottenere qualcosa a livello diplomatico. La storia non si fa con i se: non possiamo sapere cosa sarebbe capitato se Pio XII avesse fatto scelte diverse. Ma sappiamo cosa era capitato in Olanda, dove la presa di posizione forte dei vescovi aveva scatenato una reazione durissima.
Bisogna avere una visione internazionale per cogliere la complessità del momento».
Resta il fatto che ormai, grazie alle testimonianze raccolte soprattutto negli ultimi anni, si accetta l’idea che la Chiesa nel suo complesso si sia impegnata per salvare molti ebrei, ma si continua - da più parti ­a contestare i Papi per l’eccessiva prudenza sul piano ufficiale, istituzionale.
«Il problema è ricostruire non solo che cosa è stato fatto, ma per quali ragioni. Il silenzio di Pio XII era per salvare se stesso o per salvare gli altri? In realtà Pio XII ha usato gli strumenti diplomatici che aveva a disposizione, forte anche della sua precedente esperienza in Germania, ma ha dato la priorità alla salvezza delle persone. Ora noi vorremmo risposte politiche, ma in un regime totalitario probabilmente non sarebbero servite se non a inasprire il clima. Quello che poteva fare era salvare le persone, e quello ha fatto. Proprio una decina di giorni fa ho parlato nuovamente con le suore del monastero dei Ss.
Quattro Coronati, qui a Roma, e ho chiesto se sarebbe stato possibile per loro aprire il convento a chi cercava rifugio, in mancanza di una dispensa dall’alto. Essendo un monastero di clausura, non sarebbe stato possibile. L’hanno potuto fare perché c’è stato l’ordine del Papa, come ci sono state molte altre sue iniziative. Il silenzio 'ufficiale' è stata una scelta molto meditata, per noi oggi difficile da capire, ma non è il tempo per giudicare».
«Il Pontefice parlò più volte e intervenne per via diplomatica, facendo arrabbiare non poco Mussolini. E anni dopo Pio XII diede ordine ai conventi di ospitare gli ebrei»