Nella rassegna stampa di oggi:
1) I Vescovi Italiani con il Papa “sempre e incondizionamente” - Il Cardinale Angelo Bagnasco respinge le critiche al Pontefice
2) Evitare la deriva nichilista difendendo la vita - Il Cardinale Bagnasco propone la “libertà di vivere” - di Antonio Gaspari
3) Mine vaganti. In Africa il preservativo, in Brasile l'aborto - E nel secondo caso il conflitto non è solo tra la Chiesa e lo stato, ma anche tra le gerarchie. Roma sconfessa un'arcidiocesi brasiliana, e questa risponde accusando il Vaticano di non conoscere i fatti e di mettere in forse la dottrina. I documenti dello scontro - di Sandro Magister
4) Persona umana: quale dignità? - ROMA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo una scheda catechetica scritta da mons. Raffaello Martinelli, Primicerio della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Roma.
5) Il Papa chiede la "giusta realizzazione" delle aspirazioni dei bisognosi - Congedandosi dall'Angola questo lunedì
6) 23/03/2009 14:04 - HONG KONG - Le scuole cattoliche di Hong Kong a rischio - L’Ordinanza sull’educazione prevede ingerenze statali nella gestione delle scuole private. La Chiesa afferma che il provvedimento rischia di snaturare la missione degli istituti legati a congregazioni e ordini religiosi.
7) PAPA/ 1. Il viaggio reale in Africa, oltre le cronache dei media - John L. Allen - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
8) PAPA/ 2. L'Africa e le ossessioni dell'Occidente - John Waters - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
9) USA/ Il piano Geithner e la vittoria di Wall Street su Obama - Gianni Credit - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
10) SCUOLA/ Educazione: che errore dimenticarsene in tempo di crisi - Giovanni Cominelli - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
I Vescovi Italiani con il Papa “sempre e incondizionamente” - Il Cardinale Angelo Bagnasco respinge le critiche al Pontefice
ROMA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- A nome e per conto dei Vescovi italiani, il Cardinale Angelo Bagnasco ha aperto a Roma i lavori del Consiglio Episcopale Permanente sottolineando che “la migliore tradizione del nostro cattolicesimo” è quella di “stare con il Papa, sempre e incondizionatamente”.
Nel corso della prolusione svolta il 23 marzo, il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha precisato che “si è prolungato, oltre ogni buon senso, un pesante lavorio di critica − dall’Italia e soprattutto dall’estero − nei riguardi del nostro amatissimo Papa”.
“Non vogliamo tornare sulle accuse maldestre rivolte con troppa noncuranza al Santo Padre – ha aggiunto -. Merita molto di più invece concentrarci sulla Lettera del 10 marzo 2009, indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica, che come atto autenticamente nuovo, ha subito attirato un vasto consenso”.
Il Presidente della CEI non ha però nascosto “la severità di un giudizio che nella carità va pur dato circa atteggiamenti e parole che hanno portato a una situazione cui non si sarebbe dovuti arrivare, alimentando interpretazioni sistematicamente allarmistiche e comportamenti diffidenti nei riguardi della Gerarchia”.
Per questo l’Arcivescovo di Genova ha espresso “ferma e concreta convinzione” per un “appello alla riconciliazione più genuina e disarmata cui la Lettera papale sollecita l’intera Chiesa”.
Circa le critiche sollevate contro il Pontefice in merito alle sue dichiarazioni sull’uso dei profilattici per limitare la diffusione dell’AIDS, il porporato ha invece posto l’accento sul grande successo del viaggio in Africa del Pontefice, che “fin dall’inizio è stato sovrastato nell’attenzione degli occidentali da una polemica – sui preservativi − che francamente non aveva ragione d’essere”.
“Non a caso – ha fatto notare il Cardinale Bagnasco –, sui media africani non si è riscontrato alcun autonomo interesse, se non fosse stato per l’insistenza pregiudiziale delle agenzie internazionali, e per le dichiarazioni di alcuni esponenti politici europei o di organismi sopranazionali”.
Secondo il Presidente della CEI, nella circostanza, media, governi e istituzioni internazionali non si sono “limitati ad un libero dissenso, ma si è arrivati ad un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici. L’irrisione e la volgarità tuttavia non potranno far mai parte del linguaggio civile, e fatalmente ricadono su chi li pratica”.
Dopo aver ribadito che “la pertinenza delle parole del Papa sull’argomento” è stata ribadita da professionisti, politici e volontari che “operano nel campo della salute e dell’istruzione”, l’Arcivescovo di Genova ha sottolineato la necessità per l’Africa di “un’opera di educazione ad ampio raggio”, che si concretizza in particolare “nella promozione effettiva della donna” alimentando le esperienze di cura e di assistenza e “finanziando la distribuzione di medicinali accessibili a tutti”.
Il Presidente della CEI ha chiesto ai governi di “mantenere i propri impegni, al di là della demagogia e di logiche di controllo neo-colonialista” ricordando che i Vescovi ed i cattolici tutti non accetteranno che “il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso”.
“Per tutti – ha concluso – egli rappresenta un’autorità morale che questo viaggio ha semmai fatto ancor più apprezzare”.
Evitare la deriva nichilista difendendo la vita - Il Cardinale Bagnasco propone la “libertà di vivere” - di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- Aprendo a Roma questo lunedì i lavori del Consiglio Episcopale Permanente, il Cardinale Angelo Bagnasco ha spiegato le due culture che segnano i tempi moderni: una che libera l’uomo nella sua dimensione di persona e l’altra che l’opprime con l’egoismo e il nichilismo.
Nel mondo dell’oggi – ha precisato il porporato – “si fronteggiano sostanzialmente due culture riferibili all’uso della ragione”. Due diverse visioni antropologiche al centro delle quali “c’è una specifica risposta alla domanda sull’uomo”.
“Su un versante – ha spiegato – c’è la cultura che considera l’uomo come una realtà che si differenzia dal resto della natura in forza di qualcosa di irriducibile rispetto alla materia. Qualcosa che è qualitativamente diverso e che costituisce la radice del suo valore e il fondamento della sua dignità”.
“In questa prospettiva - ha aggiunto -, la natura umana, dentro lo scorrere della storia, è un perno fermo e insieme bussola per l’esercizio della libertà personale. Nel gioco stesso dell’uomo, la libertà trova così i riferimenti oggettivi per le scelte e i comportamenti coerenti alla sua autentica umanità”.
Nell’altro versante, invece, si esplica una cultura per la quale “il soggetto umano è un mero prodotto dell’evoluzione del cosmo, ivi inclusa la sua autocoscienza”.
“In quanto risultato di un processo evolutivo mai concluso - ha affermato il Cardinale –, l’uomo sarebbe solamente un segmento di storia, sganciato cioè da qualunque fondamento ontologico permanente e comune a tutti gli uomini, privo quindi di riferimenti etici certi e universali”.
Così, “essendo semplicemente uno sghiribizzo culturale fluttuante nella storia, l’individuo si trova sostanzialmente prigioniero di sé ma anche solo con se stesso”
Secondo il Presidente della CEI è all’interno di queste due concezioni antropologiche che si gioca la libertà umana, e le concezioni conseguenti come la vita, la pace, la giustizia, la solidarietà.
“Per i cattolici – ha sostenuto - la libertà è dono del Signore, e si realizza attraverso l’impegno di farsi carico degli altri, specialmente dei più deboli, dei meno dotati ed efficienti”.
Mentre, nella società secolarizzata “l’individuo, paradossalmente, finisce schiacciato dalla propria libertà, e ritenendo di essere pieno e assoluto padrone di se stesso arriva a disporre di sé a prescindere da ciò che egli è fin dal principio del suo esistere”.
Per l’arcivescovo di Genova “In questa direzione, si scivola inevitabilmente verso un nichilismo di senso e di valori che induce alla disgregazione dell’uomo e ad una società individualista fino all’ingiustizia ed alla violenza”.
“Anzi, verso un nichilismo gaio e trionfante, in quanto illuso di aver liberato la libertà, mentre semplicemente la inganna rispetto ad una necessaria e impegnativa educazione della stessa”.
In questo contesto il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha letto la vicenda di Eluana Englaro, la ragazza lecchese che è stata fatta morire a Udine il 9 febbraio scorso, attraverso una operazione “tesa ad affermare un ‘diritto’ di libertà inedito quanto raccapricciante, il diritto a morire” come se “la vita potesse, in alcuni frangenti − i più critici −, cessare di essere un bene relazionale”.
“E – ha sottolineato il cardinale Bagnasco - non fosse vero piuttosto che, proprio quando è più fragile, l’esistenza di ciascuno di noi diventa allora più moralmente preziosa, nel senso che è più direttamente protesa a cementare il bene comune suscitando in ciascuno e nella società ulteriori energie di altruismo e di dedizione”.
L’Arcivescovo di Genova ha messo in guardia contro il sistema di arrogarsi “il diritto all’eliminazione dei soggetti inabili” ed ha chiesto se non si stia prefigurando “un nuovo tipo di selezione alla vita”.
Il porporato ha ringraziato quella parte del popolo italiano che ha sofferto, pregato, manifestato per salvare Eluana, ed ha chiesto alla politica di “agire nell’approntare e varare, senza lungaggini o strumentali tentennamenti, un inequivoco dispositivo di legge che preservi il Paese da altre analoghe avventure, ponendo attenzione a coordinarlo con l’altro sospirato provvedimento relativo alla cure palliative, e mettendo mano insieme alle Regioni ad un sistema efficace di hospice, che le famiglie attendono non per sgravarsi di un peso ma per essere aiutate a portarlo”.
A questo proposito il Presidente della CEI ha invitato la società civile a “mobilitarsi per acquisire in prima persona una coscienza più matura della posta in gioco in termini antropologici e culturali, così da evitare nel futuro ingorghi concettuali e tentazioni di delega”.
Per questo ha “incoraggiato e sostenuto” l’iniziativa annunciata dai tre organismi di collegamento laicale − Scienza & Vita, il Forum delle Associazioni familiari e RetinOpera – per una mobilitazione delle parrocchie, delle aggregazioni laicali, come degli ambienti e dei mezzi di comunicazione, in favore del manifesto “liberi di vivere”.
Il Cardinale Bagnasco ha rivolto un ringraziamento speciale alle Suore Misericordine della clinica Beato Talamone di Lecco per la “loro splendida, ineffabile testimonianza di carità”.
“Una testimonianza - ha concluso il porporato – che commuove la Chiesa e misteriosamente la edifica nel cuore del mondo. Ma edifica anche l’umanità intera nella sua autentica e intrinseca vocazione a non abbandonare nessuno, ma a farsi prossimo e solidale con tutti e con ciascuno nell’ora della maggiore debolezza”.
Mine vaganti. In Africa il preservativo, in Brasile l'aborto - E nel secondo caso il conflitto non è solo tra la Chiesa e lo stato, ma anche tra le gerarchie. Roma sconfessa un'arcidiocesi brasiliana, e questa risponde accusando il Vaticano di non conoscere i fatti e di mettere in forse la dottrina. I documenti dello scontro - di Sandro Magister
ROMA, 23 marzo 2009 – Sui media d'Europa e d'America, il viaggio di Benedetto XVI in Camerun e in Angola, che si conclude oggi, è stato largamente oscurato dalle polemiche scoppiate per una frase da lui detta in partenza, sull'aereo che lo portava a Yaoundé, in risposta alla domanda di un giornalista:
"Non si può risolvere il flagello dell'AIDS con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema".
Contemporaneamente, una seconda polemica è deflagrata a partire da un altro paese del sud del mondo, il Brasile, a motivo dell'aborto di una giovanissima.
Contraccettivi ed aborto sono due questioni tra le più controverse nel rapporto tra Chiesa e modernità. Sui contraccettivi la Chiesa cattolica si è pronunciata in particolare con l'enciclica "Humanae vitae" di Paolo VI. Sull'aborto con l'enciclica "Evangelium vitae" di Giovanni Paolo II.
Sulla prima questione, la polemica dei giorni scorsi è stata ingigantita soprattutto dalle stizzite reazioni alle parole del papa dei governi di Francia, Germania, Belgio, Spagna, della Commissione Europea, di dirigenti dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e del Fondo Monetario Internazionale.
Nel caso dell'aborto della fanciulla brasiliana, invece, alla polemica tra stato e Chiesa si è sovrapposto un conflitto dentro la stessa gerarchia cattolica, ai livelli più alti.
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A proposito dell'AIDS, l'accusa che è stata lanciata per l'ennesima volta contro la Chiesa è stata quella di favorirne la diffusione, vietando il preservativo.
I fatti dicono però che in Africa quasi un terzo delle iniziative di contrasto al dilagare dell'AIDS sono opera di cattolici. I preservativi sono oggetto di diffusione massiccia da parte di governi, enti internazionali ed ONG, e non risulta che i cattolici ne ostacolino la distribuzione e l'uso, specie tra coniugi uno dei quali sia portatore di contagio. Ma ogni operatore avveduto sa che essi non bastano, come prova la diffusione dell'AIDS nei paesi ricchi del nord dove i preservativi sono a disposizione di tutti. Il giudizio della Chiesa, confermato dall'esperienza sul campo, è che da soli i preservativi non frenano la promiscuità sessuale, vera causa del dilagare del flagello, anzi talora la incoraggiano accendendo una ingannevole sicurezza.
Di conseguenza la Chiesa cattolica, sul fronte dell'AIDS, si prodiga soprattutto in due modi, che Benedetto XVI ha ricordato nella risposta che ha dato esca alla polemica: con una "umanizzazione della sessualità", incoraggiandone l'esercizio solo entro l'amore coniugale fedele, e con la cura dei malati. Le indagini provano che dove all'uso del preservativo si antepongono una guida al controllo della sessualità e cure adeguate e gratuite, i risultati sono confortanti.
Nell'incontrare a Yaoundé degli operatori contro l'AIDS e poi dei malati sottoposti a cura, Benedetto XVI ha paragonato l'azione della Chiesa a quella del Cireneo, il contadino africano che aiutò Gesù a portare la croce.
Questa immagine di prossimità al sofferente porta dritto al secondo conflitto scoppiato nei giorni scorsi, sull'aborto di una fanciulla.
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"Dalla parte della bambina brasiliana": così ha titolato "L'Osservatore Romano" del 15 marzo una nota di prima pagina firmata dall'arcivescovo Rino Fisichella, presidente della pontificia accademia per la vita, oltre che rettore della Pontificia Università Lateranense.
Per il ruolo dell'autore, per la collocazione e più ancora per i contenuti, sicuramente l'articolo era tra quelli controllati e autorizzati dalla segreteria di stato vaticana.
L'articolo partiva dal caso di una bambina brasiliana in età fertile già a nove anni, violentata più volte dal giovane patrigno, rimasta incinta di due gemelli e poi fatta abortire al quarto mese di gestazione.
Il suo caso, scriveva Fisichella, "ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l'arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l'hanno aiutata a interrompere la gravidanza". Quando invece, "prima di pensare alla scomunica", la fanciulla "doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata" con quella "umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri". Ma "così non è stato".
L'attacco all'arcivescovo di Olinda e Recife – la diocesi che fu di Helder Camara – non poteva essere più duro.
In effetti, le dichiarazioni dell'arcivescovo sulla scomunica degli operatori del duplice aborto avevano occasionato l'inasprirsi del conflitto già in corso da tempo in Brasile tra la Chiesa e il governo, la prima impegnata in una grande campagna in difesa della vita nascente, il secondo orientato a liberalizzare l'aborto più di quanto già sia.
Da Roma, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione vaticana per i vescovi, in un'intervista a "La Stampa" aveva preso le difese dell'arcivescovo di Olinda e Recife.
Altrettanto aveva fatto, in Brasile, la conferenza episcopale, con una nota diffusa il 13 marzo e con dichiarazioni del suo presidente, l'arcivescovo Geraldo Lyrio Rocha, e del suo segretario, Dimas Lara.
Anche il nuovo arcivescovo di Rio de Janeiro, Orani João Tempesta, si era espresso nello stesso senso, rimarcando tra l'altro che la madre della fanciulla aveva testimoniato che "l'unico luogo in cui non si era sentita maltrattata ma rispettata era stato l'ufficio della Caritas".
Persino dalla Francia era giunto un autorevole sostegno all'operato della Chiesa brasiliana. Il vescovo di Tolone, Dominique Rey, in visita in quel paese, aveva dichiarato d'aver visto con i suoi occhi "le molteplici testimonianze di misericordia vissute dalle comunità cristiane che avevano avvicinato e accompagnato la fanciulla e sua madre".
La Santa Sede si è però mossa diversamente. Pubblicando l'articolo di Fisichella su "L'Osservatore Romano" ha mostrato di anteporre alla difesa della Chiesa brasiliana e della sua campagna "pro vita" l'obiettivo di appianare il dissidio con l'opinione laica, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva e il suo governo.
Col risultato di portare il conflitto tutto all'interno della gerarchia. Per di più aprendo una controversia sul giudizio da dare all'aborto in casi come quello in oggetto.
L'articolo di Fisichella, infatti, così proseguiva:
"A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie, la vita [della fanciulla] era in serio pericolo per la gravidanza in atto. Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale. Scelte come questa [...] si ripetono quotidianamente [...] e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell'atto di dovere decidere cosa sia meglio fare".
Nel finale dell'articolo Fisichella plaudiva a coloro che alla fanciulla "hanno permesso di vivere".
È vero che, in un altro passaggio, il presidente della pontifica accademia per la vita ribadiva che "l'aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni".
Ma i dubbi prima affacciati restavano. E davano l'impronta all'intero articolo. Dubbi visibilmente in contrasto con la solidità granitica di questo passaggio del paragrafo 62 dell'enciclica di Giovanni Paolo II "Evangelium vitae":
"Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa".
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All'articolo di Fisichella su "L'Osservatore Romano" l'arcidiocesi di Olinda e Recife ha replicato il 16 marzo con delle "Chiarificazioni" ufficiali, pubblicate con grande evidenza sulla home page del suo sito web.
Da parte di Roma nessun cenno di ricevuta. Neppure quando, il 21 marzo, è intervenuto nuovamente sulla vicenda il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Padre Lombardi era quel giorno a Luanda, al seguito del viaggio di Benedetto XVI in Camerun e in Angola.
Il giorno precedente, parlando al corpo diplomatico e facendo riferimento all'articolo 14 del Protocollo di Maputo sulla "salute materna e riproduttiva", il papa aveva polemicamente esclamato:
"Quanto amara è l'ironia di coloro che promuovono l'aborto tra le cure della salute materna! Quanto sconcertante la tesi di coloro secondo i quali la soppressione della vita sarebbe una questione di salute riproduttiva!".
Padre Lombardi, incontrando i giornalisti, ha escluso qualsiasi collegamento tra le parole del papa e la vicenda della fanciulla brasiliana. E ha così proseguito:
"In proposito valgono le considerazioni di monsignor Rino Fisichella, che su 'L'Osservatore Romano' ha lamentato la scomunica dichiarata con troppa fretta dall'arcivescovo di Recife. Nessun caso limite deve oscurare il vero senso del discorso del Santo Padre, che si riferiva a una cosa estremamente diversa. [...] Il papa non ha parlato assolutamente di aborto terapeutico e non ha detto che deve essere sempre rifiutato".
Ha sorpreso che, a distanza di quasi una settimana dalla diffusione delle "Chiarificazioni" dell'arcidiocesi brasiliana, il portavoce ufficiale della Santa Sede abbia mostrato di ignorarle del tutto, sia nella opposta ricostruzione dei fatti, sia nelle obiezioni di carattere dottrinale e morale.
Ecco qui di seguito, integrale, il documento dell'arcidiocesi brasiliana:
Chiarificazioni dell'arcidiocesi di Olinda e Recife
Riguardo all'articolo "Dalla parte della bambina brasiliana", pubblicato su "L'Osservatore Romano" il giorno 15 marzo, noi sottoscritti dichiariamo:
1. Il fatto dello stupro non è avvenuto a Recife, come dice l'articolo, ma nella città di Alagoinha, diocesi di Pesqueira. Mentre l'aborto è stato praticato a Recife.
2. Tutti noi – a cominciare dal parroco di Alagoinha, che è tra i firmatari – siamo stati vicini alla fanciulla incinta e alla sua famiglia con grande carità e affetto. Il parroco, mettendo in opera la sua sollecitudine pastorale, raggiunto dalla notizia quand'era a casa, si recò immediatamente a casa della famiglia, dove incontrò la fanciulla per darle sostegno e accompagnamento, posta la grave e difficile situazione nella quale la fanciulla si era trovata. Questa attitudine è stata mantenuta in tutti i giorni successivi, ad Alagoinha come a Recife, dove si è avuto il triste finale dell'aborto di due innocenti. Pertanto, fu evidente e inequivocabile che nessuno pensò in primo luogo alla "scomunica". Abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi a nostra disposizione per evitare l'aborto e salvare le tre vite. Il parroco affiancò di persona il Consiglio tutelare della città in tutte le iniziative finalizzate al bene della fanciulla e dei suoi figli. Sia nell'ospedale che nelle visite quotidiane diede prova di un affetto e di un'attenzione che fecero capire, tanto alla fanciulla come a sua madre, che entrambe non erano sole, ma che la Chiesa, lì rappresentata dal parroco del luogo, assicurava loro l'assistenza necessaria e la certezza che tutto si sarebbe fatto per il bene della fanciulla e per salvare i suoi due figli.
3. Dopo che la fanciulla fu trasferita in un ospedale della città di Recife, abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi legali per evitare l'aborto. In nessun momento la Chiesa fu assente dall'ospedale. Il parroco della fanciulla si recava in ospedale ogni giorno, partendo dalla sua città che dista 230 chilometri da Recife, senza risparmiare alcuno sforzo, affinché tanto la fanciulla come sua madre sentissero la presenza di Gesù, il Buon Pastore che va incontro alle pecorelle che hanno più bisogno del suo aiuto. In questo modo la vicenda fu trattata con tutta l'attenzione dovuta da parte della Chiesa e non "sbrigativamente" come dice l'articolo.
4. Non siamo d'accordo con l'affermazione che "la decisione è ardua... per la stessa legge morale". La nostra santa Chiesa non cessa di proclamare che la legge morale è chiarissima: mai è lecito sopprimere la vita di un innocente per salvare un'altra vita. I fatti oggettivi sono questi: vi sono medici che dichiarano esplicitamente di aver praticato e voler continuare a praticare aborti, mentre ve ne sono altri che dichiarano con altrettanta fermezza che un aborto non lo praticheranno mai. Questa è la dichiarazione scritta e firmata di un medico cattolico brasiliano: "Come medico ostetrico da 50 anni, formato alla facoltà nazionale di medicina della Università del Brasile, e come ex primario della clinica ostetrica dell'ospedale di Andarai, nel quale ho operato per 35 anni fino al mio pensionamento, per dedicarmi al diaconato, e avendo praticato 4524 parti, molti in età minorile, mai ho avuto la necessità di ricorrere all'aborto per 'salvare vite', al pari di tutti i miei colleghi retti ed onesti nella loro professione, fedeli al giuramento di Ippocrate".
5. È falsa l'affermazione che il fatto fu divulgato nei giornali solo perché l'arcivescovo di Olinda e Recife si affrettò a dichiarare la scomunica. Basta osservare che il caso divenne di dominio pubblico ad Alagoinha mercoledì 25 febbraio, l'arcivescovo fece le sue dichiarazioni alla stampa il 3 marzo e l'aborto fu effettuato il 4 marzo. Era impensabile che la stampa brasiliana, di fronte a un fatto di tale gravità, lo tenesse sotto silenzio per sei giorni. La realtà dei fatti è che la notizia della fanciulla – "Carmen" – incinta fu divulgata nei giorni precedenti l'attuazione dell'aborto. Solo allora, martedì 3 marzo, interrogato dai giornalisti, l'arcivescovo menzionò il canone 1398 [del codice di diritto canonico]. Siamo convinti che la divulgazione di questa pena medicinale, la scomunica, faccia bene a molti cattolici, per indurli ad evitare questo peccato gravissimo. Il silenzio della Chiesa sarebbe molto equivocato, soprattutto di fronte alla constatazione che nel mondo si compiono cinquanta milioni di aborti ogni anno e solo nel Brasile si sopprimono un milione di vite innocenti. Il silenzio può essere interpretato come connivenza o complicità. Se qualche medico avesse una "coscienza dubbiosa" prima di praticare un aborto (cosa che ci sembra estremamente improbabile), egli, se cattolico e tenuto ad osservare la legge di Dio, dovrebbe consultare un direttore spirituale.
6. In altre parole, l'articolo è un affronto diretto alla difesa della vita delle tre creature, fatta col massimo della forza dall'arcivescovo José Cardoso Sobrinho, e mostra che l'autore non possiede le basi e le informazioni necessarie per parlare della vicenda, a motivo della sua totale ignoranza dei particolari del fatto. L'ospedale che ha effettuato l'aborto sulla fanciulla è uno di quelli che compiono sistematicamente questa pratica nel nostro Stato, sotto il manto della "legalità". I medici che hanno praticato l'aborto dei due gemelli hanno dichiarato e continuano a dichiarare sui media nazionali d'aver compiuto un atto che sono soliti compiere "con molto orgoglio". Uno di essi ha aggiunto: "Già sono stato in passato scomunicato più volte".
7. L'autore si è arrogato il diritto di parlare di ciò che non conosceva, senza fare lo sforzo di conversare previamente in modo fraterno ed evangelico con l'arcivescovo, e per questo atto imprudente sta causando una grande confusione tra i fedeli cattolici del Brasile. Invece di consultare il suo fratello nell'episcopato, ha preferito dar credito alla nostra stampa molto spesso anticlericale.
Recife, 16 marzo 2009
Edvaldo Bezerra da Silva
Vicario generale dell'arcidiocesi di Olinda e Recife
Cicero Ferreira de Paula
Cancelliere dell'arcidiocesi di Olinda e Recife
Moisés Ferreira de Lima
Rettore del seminario arcidiocesano
Márcio Miranda
Avvocato dell'arcidiocesi di Olinda e Recife
Edson Rodrigues
Parroco di Alagoinha, diocesi di Pesqueira
__________
L'articolo uscito su "L'Osservatore Romano" del 15 marzo 2009, oggetto della dichiarazione dell'arcidiocesi di Olinda e Recife:
Dalla parte della bambina brasiliana
di Rino Fisichella
Il dibattito su alcune questioni si fa spesso serrato e le differenti prospettive non sempre permettono di considerare quanto la posta in gioco sia veramente grande. È questo il momento in cui si deve guardare all'essenziale e, per un attimo, lasciare in disparte ciò che non tocca direttamente il problema. Il caso nella sua drammaticità è semplice. C'è una bambina di soli nove anni – la chiameremo Carmen – che dobbiamo guardare fisso negli occhi senza distrarre lo sguardo neppure un attimo, per farle capire quanto le si vuole bene. Carmen, a Recife, in Brasile, viene violentata ripetutamente dal giovane patrigno, rimane incinta di due gemellini e non avrà più una vita facile. La ferita è profonda perché la violenza del tutto gratuita l'ha distrutta dentro e difficilmente le permetterà in futuro di guardare agli altri con amore.
Carmen rappresenta una storia di quotidiana violenza e ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l'arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l'hanno aiutata a interrompere la gravidanza. Una storia di violenza che, purtroppo, sarebbe passata inosservata, tanto si è abituati a subire ogni giorno fatti di una gravità ineguagliabile, se non fosse stato per lo scalpore e le reazioni suscitate dall'intervento del vescovo. La violenza su una donna, già grave di per sé, assume una valenza ancora più deprecabile quando a subirla è una bambina, con l'aggravante della povertà e del degrado sociale in cui vive. Non c'è linguaggio corrispondente per condannare tali episodi, e i sentimenti che ne derivano sono spesso una miscela di rabbia e di rancore che si assopiscono solo quando viene fatta realmente giustizia e la pena inflitta al delinquente di turno ha certezza di essere scontata.
Carmen doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata con dolcezza per farle sentire che eravamo tutti con lei; tutti, senza distinzione alcuna. Prima di pensare alla scomunica era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri. Così non è stato e, purtroppo, ne risente la credibilità del nostro insegnamento che appare agli occhi di tanti come insensibile, incomprensibile e privo di misericordia. È vero, Carmen portava dentro di sé altre vite innocenti come la sua, anche se frutto della violenza, e sono state soppresse; ciò, tuttavia, non basta per dare un giudizio che pesa come una mannaia.
Nel caso di Carmen si sono scontrate la vita e la morte. A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie la sua vita era in serio pericolo per la gravidanza in atto. Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale. Scelte come questa, anche se con una casistica differente, si ripetono quotidianamente nelle sale di rianimazione e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell'atto di dovere decidere cosa sia meglio fare. Nessuno, comunque, arriva a una decisione di questo genere con disinvoltura; è ingiusto e offensivo il solo pensarlo.
Il rispetto dovuto alla professionalità del medico è una regola che deve coinvolgere tutti e non può consentire di giungere a un giudizio negativo senza prima aver considerato il conflitto che si è creato nel suo intimo. Il medico porta con sé la sua storia e la sua esperienza; una scelta come quella di dover salvare una vita, sapendo che ne mette a serio rischio una seconda, non viene mai vissuta con facilità. Certo, alcuni si abituano alle situazioni così da non provare più neppure l'emozione; in questi casi, però, la scelta di essere medico viene degradata a solo mestiere vissuto senza entusiasmo e subito passivamente. Fare di tutta un'erba un fascio, tuttavia, oltre che scorretto sarebbe ingiusto.
Carmen ha riproposto un caso morale tra i più delicati; trattarlo sbrigativamente non renderebbe giustizia né alla sua fragile persona né a quanti sono coinvolti a diverso titolo nella vicenda. Come ogni caso singolo e concreto, comunque, merita di essere analizzato nella sua peculiarità, senza generalizzazioni. La morale cattolica ha principi da cui non può prescindere, anche se lo volesse. La difesa della vita umana fin dal suo concepimento appartiene a uno di questi e si giustifica per la sacralità dell'esistenza. Ogni essere umano, infatti, fin dal primo istante porta impressa in sé l'immagine del Creatore, e per questo siamo convinti che debbano essergli riconosciuti la dignità e i diritti di ogni persona, primo fra tutti quello della sua intangibilità e inviolabilità.
L'aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni fin dai primordi della Chiesa. Il concilio Vaticano II nella "Gaudium et spes" – documento di grande apertura e accortezza in riferimento al mondo contemporaneo – usa in maniera inaspettata parole inequivocabili e durissime contro l'aborto diretto. La stessa collaborazione formale costituisce una colpa grave che, quando è realizzata, porta automaticamente al di fuori della comunità cristiana. Tecnicamente, il codice di diritto canonico usa l'espressione "latae sententiae" per indicare che la scomunica si attua appunto nel momento stesso in cui il fatto avviene.
Non c'era bisogno, riteniamo, di tanta urgenza e pubblicità nel dichiarare un fatto che si attua in maniera automatica. Ciò di cui si sente maggiormente il bisogno in questo momento è il segno di una testimonianza di vicinanza con chi soffre, un atto di misericordia che, pur mantenendo fermo il principio, è capace di guardare oltre la sfera giuridica per raggiungere ciò che il diritto stesso prevede come scopo della sua esistenza: il bene e la salvezza di quanti credono nell'amore del Padre e di quanti accolgono il vangelo di Cristo come i bambini, che Gesù chiamava accanto a sé e stringeva tra le sue braccia dicendo che il regno dei cieli appartiene a chi è come loro.
Carmen, stiamo dalla tua parte. Condividiamo con te la sofferenza che hai provato, vorremmo fare di tutto per restituirti la dignità di cui sei stata privata e l'amore di cui avrai ancora più bisogno. Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere e ti aiuteranno a recuperare la speranza e la fiducia. Nonostante la presenza del male e la cattiveria di molti.
Persona umana: quale dignità? - ROMA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo una scheda catechetica scritta da mons. Raffaello Martinelli, Primicerio della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Roma.
Le schede catechetiche di mons. Martinelli si possono trovare in forma già stampata all’interno della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Via del Corso a Roma.
* * *
Si propone qui una sintesi di alcuni punti importanti dell’Istruzione "Dignitas personae. Su alcune questioni di bioetica" (abbr. Istruz), pubblicata il 12 dicembre 2008 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Tale Istruzione è stata approvata espressamente dal Santo Padre Benedetto XVI. Quindi, appartiene ai documenti che «partecipano al Magistero ordinario del Successore di Pietro» (Istruzione Donum veritatis, n. 18), da accogliere dai fedeli con «l’assenso religioso del loro spirito» (Istruzione Dignitas personae, n. 37).
Perche’ questo documento?
■ Negli ultimi anni le scienze biomediche hanno fatto enormi progressi, che aprono nuove prospettive terapeutiche, ma suscitano anche seri interrogativi.
■ La suddetta Istruzione cerca di:
• proporre risposte ad alcune nuove questioni di bioetica, che provocano attese e perplessità in vasti settori della società.
• «promuovere la formazione delle coscienze» (Istruz, n. 10)
• incoraggiare una ricerca biomedica rispettosa della dignità di ogni essere umano e della procreazione
• dare voce a chi non ha voce, è totalmente indifeso, quale è appunto l’embrione umano.
■ Nel procedere all’esame di tali nuove questioni, «si è inteso sempre tenere presenti gli aspetti scientifici, giovandosi dell’analisi della Pontificia Accademia per la Vita e di un gran numero di esperti, per confrontarli con i principi dell’antropologia cristiana. Le Encicliche Veritatis splendor ed Evangelium vitae di Giovanni Paolo II ed altri interventi del Magistero offrono chiare indicazioni di metodo e di contenuto per l’esame dei problemi considerati» (Istruz, n. 2).
■ Nel proporre principi e valutazioni morali per la ricerca biomedica sulla vita umana, la Chiesa «attinge alla luce sia della ragione sia della fede, contribuendo ad elaborare una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, capace di accogliere tutto ciò che di buono emerge dalle opere degli uomini e dalle varie tradizioni culturali e religiose, che non raramente mostrano una grande riverenza per la vita» (Istruz, n. 3).
Su quale principio fondamentale si basa l’Istruzione?
■ Si basa sulla dignità della persona, che va riconosciuta ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale. Questo principio fondamentale «esprime un grande "sì" alla vita umana», che «deve essere posto al centro della riflessione etica sulla ricerca biomedica» (Istruz, n. 1).
■ In particolare :
• «L’essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita» (Istruz, n. 4).
«È convinzione della Chiesa che ciò che è umano non solamente è accolto e rispettato dalla fede, ma da essa è anche purificato, innalzato e perfezionato» (n. 7). Dio ha creato ogni uomo a sua immagine; nel suo Figlio incarnato ha rivelato pienamente il mistero dell’uomo; il Figlio fa sì che noi possiamo diventare figli di Dio. «A partire dall’insieme di queste due dimensioni, l’umana e la divina, si comprende meglio il perché del valore inviolabile dell’uomo: egli possiede una vocazione eterna ed è chiamato a condividere l’amore trinitario del Dio vivente» (Istruz, n. 8).
• «L’origine della vita umana… ha il suo autentico contesto nel matrimonio e nella famiglia, in cui viene generata attraverso un atto che esprime l’amore reciproco tra l’uomo e la donna. Una procreazione veramente responsabile nei confronti del nascituro deve essere il frutto del matrimonio» (Istruz, n. 6).
«Queste due dimensioni di vita, quella naturale e quella soprannaturale, permettono anche di comprendere meglio in quale senso gli atti che consentono all’essere umano di venire all’esistenza, nei quali l’uomo e la donna si donano mutuamente l’uno all’altra, sono un riflesso dell’amore trinitario. Dio, che è amore e vita, ha inscritto nell’uomo e nella donna la vocazione a una partecipazione speciale al suo mistero di comunione personale e alla sua opera di Creatore e di Padre… Lo Spirito Santo effuso nella celebrazione sacramentale (del matrimonio) offre agli sposi cristiani il dono di una comunione nuova d’amore che è immagine viva e reale di quella singolarissima unità, che fa della Chiesa l’indivisibile Corpo mistico del Signore Gesù» (Istruz, n. 9).
■ Pertanto, il SI’ detto alla dignità dell’essere umano comporta necessariamente dei NO a tutto quanto va contro il rispetto di tale dignità.
Qual è il rapporto tra il Magistero ecclesiastico e l’autonomia della scienza?
«La Chiesa, giudicando della valenza etica di taluni risultati delle recenti ricerche della medicina concernenti l’uomo e le sue origini, non interviene nell’ambito proprio della scienza medica come tale, ma richiama tutti gli interessati alla responsabilità etica e sociale del loro operato. Ricorda loro che il valore etico della scienza biomedica si misura con il riferimento sia al rispetto incondizionato dovuto ad ogni essere umano, in tutti i momenti della sua esistenza, sia alla tutela della specificità degli atti personali che trasmettono la vita» (Istruz, n. 10).
Che cosa dice la Chiesa circa le tecniche di aiuto alla fertilità umana?
■ Circa le tecniche volte a superare l’infertilità, quali:
• «tecniche di fecondazione artificiale eterologa» (Istruz, n. 12): «volte a ottenere artificialmente un concepimento umano a partire da gameti provenienti almeno da un donatore diverso dagli sposi, che sono uniti in matrimonio» (Istruz, nota 22);
• «tecniche di fecondazione artificiale omologa» (Istruz, n. 12): volte a ottenere artificialmente «un concepimento umano a partire dai gameti di due sposi uniti in matrimonio» (Istruz, nota 23);
• «tecniche che si configurano come un aiuto all’atto coniugale e alla sua fecondità» (Istruz, n. 12);
• «interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla fertilità naturale» (Istruz, n. 13);
• «la procedura dell’adozione» (Istruz, n. 13).
la Chiesa afferma che sono lecite tutte le tecniche che rispettano:
• «il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni essere umano»
• «l’unità del matrimonio, che comporta il reciproco rispetto del diritto dei coniugi a diventare padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro»
• «i valori specificamente umani della sessualità, che esigono che la procreazione di una persona umana debba essere perseguita come il frutto dell’atto coniugale specifico dell’amore tra gli sposi» (Istruz, n. 12).
■ Sono quindi «ammissibili le tecniche che si configurano come un aiuto all’atto coniugale e alla sua fecondità… L’intervento medico è in questo ambito rispettoso della dignità delle persone, quando mira ad aiutare l’atto coniugale sia per facilitarne il compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta che sia stato normalmente compiuto» (Istruz, n. 12).
■ Sono «certamente leciti gli interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla fertilità naturale» (Istruz, n. 13).
■ È «auspicabile incoraggiare, promuovere e facilitare… la procedura dell’adozione dei numerosi bambini orfani». È importante incoraggiare «le ricerche e gli investimenti dedicati alla prevenzione della sterilità» (Istruz, n. 13).
Che dire circa la fecondazione in vitro?
■ L’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che nel contesto delle tecniche di fecondazione in vitro «il numero di embrioni sacrificati è altissimo» (n. 14): al di sopra dell’80% nei centri più sviluppati (cfr. Istruz, nota 27).
• «Gli embrioni prodotti in vitro che presentano difetti vengono direttamente scartati»;
• molte coppie «ricorrono alle tecniche di procreazione artificiale con l’unico scopo di poter operare una selezione genetica dei loro figli»;
• tra gli embrioni prodotti in vitro «un certo numero è trasferito nel grembo materno, e gli altri vengono congelati»;
• la tecnica del trasferimento multiplo, cioè «di un numero maggiore di embrioni rispetto al figlio desiderato, nella previsione che alcuni vengano perduti…, comporta di fatto un trattamento puramente strumentale degli embrioni» (Istruz, n. 15).
■ «La pacifica accettazione dell’altissimo tasso di abortività delle tecniche di fecondazione in vitro dimostra eloquentemente che la sostituzione dell’atto coniugale con una procedura tecnica… contribuisce ad indebolire la consapevolezza del rispetto dovuto ad ogni essere umano. Il riconoscimento di tale rispetto viene invece favorito dall’intimità degli sposi animata dall’amore coniugale… Di fronte alla strumentalizzazione dell’essere umano allo stadio embrionale, occorre ripetere che l’amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza… Per questo il Magistero della Chiesa ha costantemente proclamato il carattere sacro e inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento sino alla sua fine naturale» (Istruz, n. 16).
Che dire circa:
1) Il congelamento di ovociti?
«Per evitare i gravi problemi etici posti dalla crioconservazione di embrioni, è stata avanzata nell’ambito delle tecniche di fecondazione in vitro la proposta di congelare gli ovociti» (Istruz, n. 20).
Al riguardo, la crioconservazione di ovociti, non di per sé immorale e prospettata anche in altri contesti che qui non vengono considerati, «in ordine al processo di procreazione artificiale è da considerare moralmente inaccettabile» (Istruz, n. 20).
2) La riduzione embrionale?
«Alcune tecniche usate nella procreazione artificiale, soprattutto il trasferimento di più embrioni al grembo materno, hanno dato luogo ad un aumento significativo della percentuale di gravidanze multiple. Perciò si è fatta strada l’idea di procedere alla cosiddetta riduzione embrionale. Essa consiste in un intervento per ridurre il numero di embrioni o feti presenti nel seno materno mediante la loro diretta soppressione» (n. 21). «Dal punto di vista etico, la riduzione embrionale è un aborto intenzionale selettivo. Si tratta, infatti, di eliminazione deliberata e diretta di uno o più esseri umani innocenti nella fase iniziale della loro esistenza, e come tale costituisce sempre un disordine morale grave» (Istruz, n. 21).
3) La diagnosi pre-impiantatoria?
«La diagnosi pre-impiantatoria è una forma di diagnosi prenatale, legata alle tecniche di fecondazione artificiale, che prevede la diagnosi genetica degli embrioni formati in vitro, prima del loro trasferimento nel grembo materno. Essa viene effettuata allo scopo di avere la sicurezza di trasferire nella madre solo embrioni privi di difetti o con un sesso determinato o con certe qualità particolari» (Istruz, n. 22).
«Diversamente da altre forme di diagnosi prenatale…, alla diagnosi pre-impiantatoria segue ordinariamente l’eliminazione dell’embrione designato come "sospetto" di difetti genetici o cromosomici, o portatore di un sesso non voluto o di qualità non desiderate. La diagnosi pre-impiantatoria… è finalizzata di fatto ad una selezione qualitativa con la conseguente distruzione di embrioni, la quale si configura come una pratica abortiva precoce… Trattando l’embrione umano come semplice "materiale di laboratorio", si opera un’alterazione e una discriminazione anche per quanto riguarda il concetto stesso di dignità umana… Tale discriminazione è immorale e perciò dovrebbe essere considerata giuridicamente inaccettabile» (Istruz, n. 22).
4) Nuove forme di intercezione e contragestazione
Esistono mezzi tecnici che agiscono dopo la fecondazione, quando l’embrione è già costituito.
«Queste tecniche sono intercettive, se intercettano l’embrione prima del suo impianto nell’utero materno» (n. 23), ad esempio attraverso «la spirale… e la cosiddetta "pillola del giorno dopo"» (Istruz, nota 42). Esse sono «contragestative, se provocano l’eliminazione dell’embrione appena impiantato» (n. 23), ad esempio attraverso «la pillola RU 486» (Istruz, nota 43).
Sebbene gli intercettivi non provochino un aborto ogni volta che vengono assunti, anche perché non sempre dopo il rapporto sessuale avviene la fecondazione, si deve notare «che in colui che vuol impedire l’impianto di un embrione eventualmente concepito, e pertanto chiede o prescrive tali farmaci, l’intenzionalità abortiva è generalmente presente». Nel caso della contragestazione «si tratta dell’aborto di un embrione appena annidato… L’uso dei mezzi di intercezione e di contragestazione rientra nel peccato di aborto ed è gravemente immorale» (Istruz, n. 23).
Quale il giudizio della Chiesa circa la terapia genica?
■ Per terapia genica si intende «l’applicazione all’uomo delle tecniche di ingegneria genetica con una finalità terapeutica, vale a dire, con lo scopo di curare malattie su base genetica» (n. 25). La terapia genica somatica, dal canto suo, «si propone di eliminare o ridurre difetti genetici presenti a livello delle cellule somatiche» (n. 25). La terapia genica germinale mira «a correggere difetti genetici presenti in cellule della linea germinale, al fine di trasmettere gli effetti terapeutici ottenuti sul soggetto all’eventuale discendenza del medesimo» (Istruz, n. 25).
■ Dal punto di vista etico vale quanto segue:
• Quanto agli interventi di terapia genica somatica, essi «sono in linea di principio moralmente leciti… Dato che la terapia genica può comportare rischi significativi per il paziente, bisogna osservare il principio deontologico generale secondo cui, per attuare un intervento terapeutico, è necessario assicurare previamente che il soggetto trattato non sia esposto a rischi per la sua salute o per l’integrità fisica, che siano eccessivi o sproporzionati rispetto alla gravità della patologia che si vuole curare. È anche richiesto il consenso informato del paziente o di un suo legittimo rappresentante» (Istruz, n. 26).
• Quanto alla terapia genica germinale, «i rischi legati ad ogni manipolazione genetica sono significativi e ancora poco controllabili» e, pertanto, «allo stato attuale della ricerca non è moralmente ammissibile agire in modo che i potenziali danni derivanti si diffondano nella progenie» (Istruz, n. 26).
• Quanto all’ipotesi di applicare l’ingegneria genetica per presunti fini di miglioramento e potenziamento della dotazione genetica, si deve osservare che tali manipolazioni favorirebbero «una mentalità eugenetica» e introdurrebbero «un indiretto stigma sociale nei confronti di coloro che non possiedono particolari doti e enfatizzano doti apprezzate da determinate culture e società, che non costituiscono di per sé lo specifico umano. Ciò contrasterebbe con la verità fondamentale dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, che si traduce nel principio di giustizia, la cui violazione, alla lunga, finirebbe per attentare alla convivenza pacifica tra gli individui… Si deve rilevare infine che nel tentativo di creare un nuovo tipo di uomo si ravvisa una dimensione ideologica, secondo cui l’uomo pretende di sostituirsi al Creatore» (Istruz, n. 27).
E’ accettabile moralmente la clonazione umana?
■ Per clonazione umana si intende «la riproduzione asessuale e agamica dell’intero organismo umano, allo scopo di produrre una o più "copie" dal punto di vista genetico sostanzialmente identiche all’unico progenitore» (Istruz, n. 28). Le tecniche proposte per la clonazione umana sono la fissione gemellare, che consiste «nella separazione artificiale di singole cellule o gruppi di cellule dall’embrione, nelle prime fasi dello sviluppo, e nel successivo trasferimento in utero di queste cellule, allo scopo di ottenere, in modo artificiale, embrioni identici» (Istruz, nota 47), e il trasferimento di nucleo, che consiste «nell’introduzione di un nucleo prelevato da una cellula embrionaria o somatica in un ovocita precedentemente denucleato, seguita dall’attivazione di questo ovocita che, di conseguenza, dovrebbe svilupparsi come embrione» (Istruz, nota 47). La clonazione viene proposta con due scopi: riproduttivo, cioè per ottenere la nascita di un bambino clonato, e terapeutico o di ricerca.
■ La clonazione è «intrinsecamente illecita, in quanto… intende dare origine ad un nuovo essere umano senza connessione con l’atto di reciproca donazione tra due coniugi e, più radicalmente, senza legame alcuno con la sessualità. Tale circostanza dà luogo ad abusi e a manipolazioni gravemente lesive della dignità umana» (Istruz, n. 28).
• Quanto alla clonazione riproduttiva, essa «imporrebbe al soggetto clonato un patrimonio genetico preordinato, sottoponendolo di fatto – come è stato affermato – ad una forma di schiavitù biologica dalla quale difficilmente potrebbe affrancarsi. Il fatto che una persona si arroghi il diritto di determinare arbitrariamente le caratteristiche genetiche di un’altra persona, rappresenta una grave offesa alla dignità di quest’ultima e all’uguaglianza fondamentale tra gli uomini… Ognuno di noi incontra nell’altro un essere umano che deve la propria esistenza e le proprie caratteristiche all’amore di Dio, del quale solo l’amore tra i coniugi costituisce una mediazione conforme al disegno del Creatore e Padre celeste» (Istruz, n. 29).
• Quanto alla clonazione terapeutica, occorre precisare che «creare embrioni con il proposito di distruggerli, anche se con l’intenzione di aiutare i malati, è del tutto incompatibile con la dignità umana, perché fa dell’esistenza di un essere umano, pur allo stadio embrionale, niente di più che uno strumento da usare e distruggere. È gravemente immorale sacrificare una vita umana per una finalità terapeutica» (Istruz, n. 30).
• Come alternativa alla clonazione terapeutica, alcuni hanno proposto nuove tecniche, che sarebbero capaci di produrre cellule staminali di tipo embrionale senza presupporre la distruzione di veri embrioni umani, ad esempio, attraverso il trasferimento di un nucleo alterato (ANT) o la riprogrammazione assistita dell’ovocita (OAR). Al riguardo sono però ancora da chiarire i dubbi «riguardanti soprattutto lo statuto ontologico del "prodotto" così ottenuto» (Istruz, n. 30).
Sono consentiti:
1) l’uso terapeutico delle cellule staminali?
■ «Le cellule staminali sono cellule indifferenziate che possiedono due caratteristiche fondamentali:
a) la capacità prolungata di moltiplicarsi senza differenziarsi;
b) la capacità di dare origine a cellule progenitrici di transito, dalle quali discendono cellule altamente differenziate, per esempio, nervose, muscolari, ematiche. Da quando si è verificato sperimentalmente che le cellule staminali, se trapiantate in un tessuto danneggiato, tendono a favorire la ripopolazione di cellule e la rigenerazione di tale tessuto, si sono aperte nuove prospettive per la medicina rigenerativa, che hanno suscitato grande interesse tra i ricercatori di tutto il mondo» (Istruz, n. 31).
■ Per la valutazione etica occorre considerare soprattutto i metodi impiegati per la raccolta delle cellule staminali.
• «Sono da considerarsi lecite quelle metodiche che non procurano un grave danno al soggetto da cui si estraggono le cellule staminali. Tale condizione si verifica, generalmente, nel caso di prelievo a) dai tessuti di un organismo adulto; b) dal sangue del cordone ombelicale, al momento del parto; c) dai tessuti di feti morti di morte naturale» (Istruz, n. 32).
• «Il prelievo di cellule staminali dall’embrione umano vivente… causa inevitabilmente la sua distruzione, risultando di conseguenza gravemente illecito. In questo caso la ricerca… non si pone veramente a servizio dell’umanità. Passa infatti attraverso la soppressione di vite umane che hanno uguale dignità rispetto agli altri individui umani e agli stessi ricercatori» (Istruz, n. 32).
• «L’utilizzo di cellule staminali embrionali, o cellule differenziate da esse derivate, eventualmente fornite da altri ricercatori, sopprimendo embrioni, o reperibili in commercio, pone seri problemi dal punto di vista della cooperazione al male e dello scandalo» (Istruz, n. 32).
• Si rileva comunque che numerosi studi tendono ad accreditare alle cellule staminali adulte dei risultati più positivi se confrontati con quelle embrionali.
2) i tentativi di ibridazione?
«Recentemente sono stati utilizzati ovociti animali per la riprogrammazione di nuclei di cellule somatiche umane… , al fine di estrarre cellule staminali embrionali dai risultanti embrioni, senza dover ricorrere all’uso di ovociti umani» (n. 33). «Dal punto di vista etico simili procedure rappresentano una offesa alla dignità dell’essere umano, a causa della mescolanza di elementi genetici umani ed animali capaci di turbare l’identità specifica dell’uomo» (Istruz, n. 33).
Il Primicerio
della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Roma
Monsignor Raffaello Martinelli
NB: per approfondire l’argomento si legga:
– l’Istruzione “Dignitas personae. Su alcune questioni di bioetica” (abbr. Istruz), pubblicata il 12 dicembre 2008 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il Papa chiede la "giusta realizzazione" delle aspirazioni dei bisognosi - Congedandosi dall'Angola questo lunedì
LUANDA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- Congedandosi questo lunedì dall'Angola, seconda tappa del viaggio in Africa che lo ha visto visitare anche il Camerun nei giorni scorsi, Benedetto XVI ha chiesto alle autorità locali di avere a cuore gli interessi dei più bisognosi.
"Se mi è permesso rivolgere qui un appello finale - ha detto nel discorso pronunciato all'aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda -, vorrei chiedere che la giusta realizzazione delle fondamentali aspirazioni delle popolazioni più bisognose costituisca la preoccupazione principale di coloro che ricoprono le cariche pubbliche, poiché la loro intenzione - sono certo - è quella di svolgere la missione ricevuta non per se stessi ma in vista del bene comune".
"Il nostro cuore non può darsi pace finché ci sono fratelli che soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali", ha dichiarato.
"Per arrivare a dare una risposta concreta a questi nostri fratelli in umanità", ha aggiunto il Papa, "la prima sfida da vincere è quella della solidarietà: solidarietà fra le generazioni, solidarietà fra le Nazioni e tra i Continenti che generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini".
Il Pontefice ha espresso di fronte alle autorità angolane, tra cui il Presidente della Repubblica Eduardo dos Santos, "apprezzamento" e "gratitudine" per il trattamento che ha ricevuto durante la sua visita nel Paese e "per le disposizioni prese per facilitare lo svolgimento dei diversi incontri che ho avuto la gioia di vivere".
Allo stesso modo, ha ringraziato Dio per "aver trovato una Chiesa viva e, nonostante le difficoltà, piena di entusiasmo, che ha saputo prendere sulle spalle la sua croce e quella altrui, rendendo testimonianza davanti a tutti della forza salvifica del messaggio evangelico".
La Chiesa in Angola, ha constatato, "continua ad annunziare che è arrivato il tempo della speranza, impegnandosi nella pacificazione degli animi e invitando all'esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi alla accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e sentimenti di ciascuno".
Di fronte a questo esempio di realtà ecclesiale, Benedetto XVI ha confessato di ripartire "rattristato per dovervi lasciare, ma contento di aver conosciuto un popolo coraggioso e deciso a rinascere".
"Nonostante le resistenze e gli ostacoli, questo popolo intende edificare il suo futuro camminando per sentieri di perdono, giustizia e solidarietà", ha aggiunto.
"Fratelli e amici di Africa, carissimi angolani, coraggio! - ha esclamato -. Non vi stancate di far progredire la pace, compiendo gesti di perdono e lavorando per la riconciliazione nazionale, affinché mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull'amore fraterno".
Ciò, ha concluso, "sarà possibile se vi riconoscerete a vicenda quali figli dello stesso e unico Padre del Cielo".
23/03/2009 14:04 - HONG KONG - Le scuole cattoliche di Hong Kong a rischio - L’Ordinanza sull’educazione prevede ingerenze statali nella gestione delle scuole private. La Chiesa afferma che il provvedimento rischia di snaturare la missione degli istituti legati a congregazioni e ordini religiosi.
Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) - La diocesi di Hong Kong è in apprensione per il futuro della scuole cattoliche sull’isola. A preoccupare sono le conseguenze dell’Ordinanza sull’educazione varata nel 2004 secondo cui ogni scuola sostenuta economicamente dal governo deve approntare un comitato organizzativo interno (School Management Committee, Smc) con valore legale separato da quello delle istituzioni educative (Sponsoring bodies, Sb).
Il governo sostiene che questo permette una maggiore trasparenza e una migliore democrazia mentre per i responsabili delle scuole private è solo una manovra per intromettersi nella gestione interna degli istituti che finirebbe per snaturarne l’impostazione fino ad estrometterne la componente cattolica.
Il cardinale Zen Ze-kiun, arcivescovo di Hong Kong, ha già espresso a più riprese la sua preoccupazione affermando che il provvedimento del governo non riconosce il contributo alla società dato dalle scuole cattoliche. Ora il Sunday Examiner, settimanale della diocesi, torna a risollevare il problema nel timore che le scuole cattoliche non possano godere dell’esenzione dall’Ordinanza garantita almeno sino al 2012.
Il Sunday Examiner sottolinea che il modello proposto dal governo per migliorare la qualità dell’insegnamento e della gestione di molte scuole rischia di rivelarsi controproducente per gli istituti cattolici il sui valore e prestigio è riconosciuto dalla società di Hong Kong.
Le scuole della diocesi danno particolare importanza alla promozione di valori religiosi, etici e spirituali nella loro proposta educativa. Se gli oltre 200 istituti legati alla Chiesa non avessero la libertà di continuare secondo questa impostazione la loro missione verrebbe stravolta e questo arrecherebbe un danno all’intera società di Hong Kong.
PAPA/ 1. Il viaggio reale in Africa, oltre le cronache dei media - John L. Allen - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Credo di non aver mai seguito una visita del Papa dove la distanza tra le percezioni interne ed esterne sia stata così ampia: è quasi come se il Papa avesse fatto due viaggi separati in Camerun, uno quello riportato a livello internazionale, l’altro quello vissuto realmente dagli africani.
Negli Stati Uniti e in molte altre parti del mondo, la copertura è stata a “tutto preservativo, per tutto il tempo”, innescata dalle osservazioni di Benedetto sull’aereo riguardo al fatto che i preservativi non sono il modo corretto di combattere l’Aids. Invece, in Africa la visita del Papa è stata un successo e una larga folla è accorsa a vedere il Papa. Benedetto stesso sembra essere stato travolto dall’entusiasmo.
Per due volte si è riferito all’Africa come al “continente della speranza” e, a un certo punto, questo raffinato teologo ha perfino riflettuto ad alta voce su una nuova esplosione di energie intellettuali in Africa, che potrebbe portare a una versione del ventunesimo secolo della famosa scuola di Alessandria, che diede personalità alla Chiesa primitiva quali Clemente e Origene.
Per quanto possa sembrare irragionevole agli occidentali, è difficile trovare in Camerun qualcuno che consideri particolarmente importante la questione dei preservativi, a parte giornalisti, missionari o impiegati di Ong stranieri. I locali hanno opinioni ovviamente differenziate sull’efficacia dei preservativi nella lotta all’Aids, ma non considerano questo l’elemento dominante l’avvenimento. Al dunque: vista dall’estero, la visita del Papa è stata centrata sui preservativi, localmente, è stata sentita come una celebrazione del cattolicesimo africano. Di seguito, una esperienza surreale che sottolinea questa divergenza.
Martedì, ho preparato un articolo sull’indiretto, ma evidente, rimprovero al presidente del Camerun, Paul Biva, già seminarista cattolico, che ha tentato ripetutamente di avvolgersi nella bandiera del Papa durante la visita di Benedetto. Manifesti in giro per Yaoundè dichiaravano una “comunione perfetta” tra i due ed erano stati distribuiti camicie e vestiti con le foto di Biva e Benedetto. Biva è, comunque, un tipico uomo forte africano, al potere in Camerun dal 1982 con un misto di repressioni occasionali e di corruzione continua.
Benedetto non ha voluto imbarazzare l’ospite, ma non ha lasciato neppure che foto e manifesti implicassero la sua approvazione. Così, senza citare Biva direttamente, ha detto in modo chiaro che i cristiani devono prendere posizione contro “la corruzione e gli abusi del potere”. Questo è stato sufficiente a creare un’onda d’urto in tutto il Camerun ed è sembrato rinvigorire i leader della Chiesa locale. Il mattino dopo, il Cardinale Christian Tumi, unico Cardinale del Camerun, ha chiesto pubblicamente a Biva di non candidarsi alle elezioni fissate per il 2011, una cosa che prima nessuno avrebbe osato fare.
Stavo descrivendo questo nel mio articolo, quando ho dovuto interrompermi per un’intervista con la CNN International sul primo giorno della visita…. intervista interamente dedicata alla controversia sui preservativi. Sinceramente, mi sono domandato se stavamo parlando dello stesso evento.
Detto questo, vorrei chiarire la questione. Questo distacco di percezione non è esclusivamente, o perfino primariamente, colpa dei media. Il giornalista della Tv francese che in aereo ha posto la domanda sui preservativi era entro i limiti della correttezza: l’Aids è un problema grave ed è corretto interrogare su questo punto il Papa, in occasione della sua prima visita al continente che più è colpito da questo flagello. Una volta posta la domanda, la palla era a Benedetto e buona parte di quello che è successo dopo è derivante dalla sua risposta.
Con questo, non sto prendendo posizione sulla sostanza della risposta del Papa, che ha ripetuto l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione e in accordo con l’opinione di quasi tutti i vescovi africani da me intervistati, secondo i quali il preservativo dà alla loro gente un falso senso di invulnerabilità, spingendoli così a una condotta sessuale più a rischio. Questa opinione può essere discussa, ma non si può accusare il Papa di seguire le indicazioni dei suoi vescovi in loco (tanto più che, normalmente, i Papi vengono accusati proprio di non ascoltare i vescovi locali).
Il punto è se quello era il momento e il luogo giusto di dire queste cose, sapendo che ciò avrebbe messo in ombra il messaggio vero che Benedetto stava portando all’Africa (non è la prima volta: in volo verso il Brasile nel 2007, rispose a una domanda circa la scomunica dei politici che sostengono il diritto all’aborto, compromettendo l’effetto del primo giorno della sua prima visita in America Latina).
Si tratta di un problema ben noto a chi è abituato alle telecamere e che deve vedersela con una domanda che non porta a nulla di buono. Benedetto avrebbe potuto dire qualcosa tipo: “Naturalmente la Chiesa è profondamente coinvolta con il problema Aids, il che spiega perché un quarto di tutti i malati di Aids nel mondo è curato in ospedali e altre strutture cattoliche. Per quanto riguarda i preservativi, il nostro insegnamento è ben conosciuto, ma questo non è il momento per discuterne. Invece, vorrei focalizzarmi sul mio messaggio di speranza per i popoli africani” e così via.
Sarebbe probabilmente finita con: “Benedetto ha ignorato la domanda sui preservativi”, senza sollevare nessun putiferio. Qualcuno, speranzoso, potrebbe dire che la sceneggiata sui preservativi ha almeno attirato l’attenzione del mondo sulla visita in Africa, ma non è così, perché l’Africa è diventata lo sfondo di un altro round della guerra culturale in Occidente.
Rimane comunque il fatto che queste discussioni hanno lasciato un’impressione fortemente distorta degli scopi e dei contenuti della visita del Papa in Camerun. Se la prima regola per valutare un evento è di capire cosa è realmente successo, il trarre conclusioni dal viaggio africano di Benedetto richiede molto di più che non seguire i sussulti del dibattito sui preservativi.
PAPA/ 2. L'Africa e le ossessioni dell'Occidente - John Waters - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Andando in giro per l’Uganda negli ultimi anni, era molto difficile non notare lungo le strade la pubblicità sponsorizzata dal governo. In una vi era una foto con un uomo sorridente, sui sessant’anni, con lo slogan: «Dì di no ai vecchi e ricchi amanti». In un altro manifesto vi era invece la foto di un uomo leggermente più giovane e la scritta: «Vorresti che quest’uomo andasse a letto con tua figlia? E allora perché tu ci vai con la sua?». Questi manifesti facevano parte della lunga campagna di successo dell’Uganda contro l’AIDS ed erano diretti a creare una barriera sessuale fra le generazioni.
Negli anni 1980, l’Uganda era l’epicentro della catastrofe africana dell’AIDS, ma è riuscita a invertire la diffusione della malattia puntando sul cambiamento culturale: astinenza, fedeltà e educazione sull’uso del preservativo. In Europa e America, tuttavia, ogni volta che si citano AIDS e Africa scatta il presupposto che i preservativi siano, fuor di ogni dubbio, l’unica soluzione.
Il Papa non era ancora sceso dall’aereo in Camerun, che i media occidentali avevano già incominciato a pompare la loro propaganda di parte, dicendo che il Papa aveva detto che il problema del’AIDS non poteva essere risolto dai preservativi, «che anzi aggravano i problemi».
Come al solito, si asseriva che la lotta contro l’AIDS in Africa era solo questione di preservativi e che la Chiesa cattolica trattava questo problema con un pericoloso oscurantismo. I portavoce dei governi europei affermavano che l’uso del preservativo era l’elemento vitale nella lotta contro l’AIDS e ci veniva detto che «perfino» alcuni preti e suore impegnate contro l’AIDS pensavano che il Papa avesse torto.
Ma per ognuna di queste voci, c’erano centinaia di preti, suore e altri impegnati contro l’AIDS per i quali l’ossessione occidentale per i preservativi portava fuori strada. Quello che funziona è l’agire per cambiare i comportamenti sessuali e la Chiesa cattolica è da lungo al primo posto nel promuovere queste iniziative.
Al centro del «dai addosso al Papa» c’è una grande assurdità. L’AIDS è stato diffuso in Africa soprattutto dai camionisti che frequentavano le prostitute lungo le arterie stradali che attraversano il continente. Il Papa, oltre ai preservativi, è contrario anche alla prostituzione e al sesso al di fuori del matrimonio, eppure si argomenta che chi ha diffuso l’AIDS con il suo comportamento promiscuo, utilizzerebbe il preservativo se solo il Papa glielo dicesse. Ma il Papa Benedetto non è né un legislatore, né un politico. Egli ha solo il potere di proclamare la verità come l’ha ricevuta, lasciando ad ognuno la libertà di decidere per se stesso.
Che piaccia o meno al libertario Occidente, vi sono molte prove che dimostrano che in Africa l’enfasi sulla monogamia e la continenza sessuale può vincere l’AIDS. L’Uganda già molti anni fa aveva identificato il problema come culturale e il governo aveva varato il programma ABC (astinenza, fedeltà e uso di preservativi), dove però i preservativi non costituivano una parte predominante, soprattutto perché il presidente Yoweri Museveni pensava rappresentassero una falsa speranza senza un cambiamento nelle abitudini sessuali. Sotto la spinta degli occidentali, qualche tempo dopo il Ministero della sanità cominciò a distribuire circa 80 milioni di preservativi gratuiti all’anno, quantità che ora si è di molto ridotta, dopo la scoperta di forniture difettose.
In 25 anni, la partecipazione su larga base e i programmi educativi hanno contribuito a uno spettacoloso declino nel numero delle persone che contraggono HIV e AIDS. La fedeltà ad un singolo partner è stato il principale messaggio delle prime campagne di prevenzione e la First Lady Janet Museveni è stata una decisa sostenitrice dell’astinenza ed è stata per questo ampiamente criticata dagli stessi che attaccano regolarmente il Papa.
Negli ultimi anni c’è stato un leggero arretramento nella situazione ugandese per quanto riguarda l’AIDS . I critici hanno immediatamente accusato le politiche sull’astinenza, ma la situazione non è così netta. Nonostante la propaganda occidentale cerchi di negarlo, vi sono prove che la disponibilità di preservativi possa aver diluito il messaggio iniziale, provocando un ritorno alle vecchie abitudini.
Teoricamente, si potrebbe anche pensare che i programmi di continenza sessuale e le strategie sul sesso sicuro possano essere complementari tra loro, ma in pratica i due approcci sono incompatibili. Una volta che si promuove l’uso del preservativo, allo stesso tempo si accetta che l’astinenza non è più una opzione convincente. E se si argomenta, come fa la Chiesa cattolica, che la promiscuità sessuale favorisce l’AIDS, diventa assurdo raccomandare misure che suggeriscono implicitamente una relativizzazione di questa posizione.
Si tratta di un tema complesso, che certamente non può essere ridotto a una semplice questione di preservativi. Ciò di cui ha bisogno il mondo è una profonda e sincera discussione e non una bigotta propaganda libertaria mascherata da reportage.
USA/ Il piano Geithner e la vittoria di Wall Street su Obama - Gianni Credit - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
I banchieri di Wall Street: a) hanno violato le regole della prudente gestione - e in qualche caso del codice penale - e hanno lasciato milioni di persone senza casa in America e senza risparmi in tutto il mondo; b) hanno intascato nel contempo stipendi e bonus fantamilionari, in qualche caso trasferendoli direttamente dalle tasche altrui.
Gli stessi banchieri pretendono ora: a) di essere salvati grazie alle tasse pagate dei medesimi danneggiati (che quindi beneficeranno di minor spesa sociale e diventeranno cittadini di uno Stato più indebitato); b) di non rispondere né in via finanziaria né tanto meno in via giudiziaria dei danni causati (salvo benefici - rigorosamente fiscali - ad hoc per gli investitori super-Vip dei fondi Madoff); c) di proseguire indisturbati a gestire i mercati senza restrizioni per il futuro: anzitutto - ancora una volta - sui loro bonus.
Se sottoscrivete la sostanza di questo schema interpretativo, c'è il caso che veniate subito catalogati come manichei, demagogici, “giustizialisti” della crisi finanziaria, pericolosi “antimercatisti”. Più oggettivamente è probabile che vi troviate oggi tra coloro che hanno storto la bocca di fronte al “piano Geithner” annunciato ieri sera a Washington come “soluzione finale” della crisi bancaria.
Sareste comunque in buona compagnia: ad esempio con il Nobel per l'Economia 2008 Paul Krugman che sul New York Times ha criticato l'amministrazione Obama per essersi mostrata «troppo dipendente» dall'establishment finanziario. Potreste trovarvi d'accordo anche con gli analisti del Credit Suisse che - un'ora dopo il comunicato del Tesoro Usa - hanno subito mandato in rete tutto il loro “scetticismo” tecnico sull'impatto del piano e hanno ribadito la loro preferenza per la ricapitalizzazione delle banche piuttosto che per la maxi-ripulitura di titoli tossici.
Non vi è spiaciuta, probabilmente, la durezza di un economista italiano di Chicago, come Luigi Zingales, che stamattina sulle colonne de Il Sole 24 Ore ha accusato il nuovo esecutivo democratico di aver partorito nulla più e nulla meno che un “regalo” a Wall Street. Quest'ultima, tuttavia, ieri sera, puntualmente, ha ringraziato: regalando - a sé e a Obama - il primo, vero, convinto rally dopo il cambio alla Casa Bianca. Le Borse mondiali pure e i titoli bancari - anche in Piazza Affari - hanno trainato gli indici.
«La crisi è finita, i mercati hanno sempre ragione, il piano Geithner funziona e sarebbe stato bene far funzionare da subito il piano Paulson, basta con le polemiche e i moralismi sugli aiuti pubblici e gli stipendi dei banchieri». Questo vi sarà presumibilmente obiettato da chi adotta uno schema interpretativo opposto al vostro. Il sistema bancario ha accusato (soltanto) un (grosso) incidente di percorso e non affatto rivelato di essersi trasformato in una bisca fraudolenta.
La responsabilità di chi ha concesso i mutui subprime, li ha poi trasformati in derivati o li ha sottoscritto come gestore di fondo comune o fondo pensione non sono minori di quelle di chi ha chiesto/accettato quel mutuo insostenibile o di chi ha comprato un prodotto finanziario legato a operazioni ad alto rischio. Un risparmiatore che ha perso tutto, almeno in parte, non ha vigilato abbastanza su chi e come gestiva i suoi soldi.
Gli aiuti pubblici? Sono il costo di cui una collettività non può alla fine non caricarsi se non ha investito abbastanza nella vigilanza dei sistemi finanziario: se non ha dato più mezzi a banche centrali e authority, se non ha spinto i propri parlamenti a varare regole di governance societaria e istituzioni di supervisione realmente funzionanti. E sui bonus ai banchieri vi sentirete ripetere: è possibile pagare il capo di un'organizzazione internazionale con decine di migliaia di professionisti come un direttore regionale delle poste?
Attenzione: se tra sei mesi la stabilizzazione del sistema bancario si tradurrà in un ripresa dei mercati azionari, in un allentamento del credit crunch globale, nella diminuzione dei rischi di default di interi Stati e in un'accelerazione complessiva dell'uscita dalla recessione, avranno ragione i fautori della seconda visione e non solo culturalmente. Sarà certificato che i mercati finanziari sono «troppo grandi, troppo importanti per fallire», anzi: possono dettare sempre e comunque le loro regole alla politica e alla società civile. Saremo probabilmente entrati in una forma diversa di democrazia - e forse sarà il caso di discuterne. Ma il fatto storico - l'uscita dalla crisi - non potrà essere negato.
Non è certo che Obama e il suo bistrattato ministro del Tesoro abbiano voluto arrendersi, anzi: sollecitando il settore privato a un sostanziale “contributo di solidarietà” alla gestione della crisi, hanno provato a reggere, sia dal punto finanziario che politico. È chiaro che - dal punto di vista del neo-eletto presidente-democratico-nero - Wall Street non può pensare di salvarsi e di lucrare sul proprio stesso salvataggio per il fatto che l'Azienda America, il suo dollaro, il sistema pensionistico non possono collassare. Però ieri il Tesoro ha messo sul tavolo da 75 a 100 miliardi per mettere in piedi cinque “discariche” (bad bank) per almeno metà dei 2mila miliardi ufficiali di asset tossici e il settore privato si è limitato a festeggiare il rialzo delle Borse.
E si attende ancora che banche, hedge fund e altre istituzioni private investano cifre comparabili in queste maxi-holding che - nelle aspettative - dovrebbero rilevare a costo molto basso i titoli illiquidi e liquidarli poi nel tempo con riprese di valore. Il prezzo di “scarico” sarà ovviamente decisivo nel far pesare il costo sulle banche (sui loro azionisti, creditori e manager) oppure sulla bad bank: e quindi anche sui contribuenti che le finanziano.
Così come resta bollente il nodo dei bonus: le banche (non solo in America) sono state ricapitalizzate e ora vengono anche “ripulite” (e ora si passerà prevedibilmente ai colossi dell'auto). E' giusto che chi ha gestito queste aziende finora rimanga al suo posto o abbia impunità finanziaria e giudiziaria? I casi di Merrill Lynch (8 supermanager auto-premiati prima della fusione in BankAmerica, aiutata da fondi pubblici) e di Aig (l'istituzione più aiutata in assoluto) costituiscono precedenti poco incoraggianti.
Vedremo ora se al G-20 di Londra (prima uscita europea di Obama) i capi di Stato serreranno i ranghi, incuranti delle accuse strumentali di ri-statalizzazioni indebite; o se invece l'apertura del cantiere sul “nuovo ordine finanziario” sancirà i confini di fatto segnati dalla crisi: con i banchieri a sfidare i politici a “venirli a prendere” nei loro bunker.
SCUOLA/ Educazione: che errore dimenticarsene in tempo di crisi - Giovanni Cominelli - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Lanciato da un Appello, sottoscritto il 17 novembre del 2005 da opinion leaders, da opinion makers, da operatori dell’educazione, ripreso nel linguaggio quotidiano della pubblicistica e del dibattito politico, l’allarme per l’emergenza educativa che il Paese attraversa sembra ora svanire lontano, come il suono dell’ambulanza che si perde nei mille rumori del traffico metropolitano. Il boato della crisi finanziaria ed economica globale ha riempito le nostre orecchie di un rumore più lacerante e continuo. Eppure l’Appello era amaramente realistico e profetico: «L’Italia è attraversata da una grande emergenza. Non è innanzitutto quella politica e neppure quella economica… ma qualcosa da cui dipendono anche la politica e l’economia. Si chiama “educazione”… Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli». Esso chiedeva alle famiglie, alla scuola, alla società, alla politica di assumersi, ciascuno, le proprie responsabilità.
Ora, la “Grande crisi” apre prospettive drammatiche di sofferenza, di incertezza, di solitudine per milioni di persone nel nostro Paese. In questo scenario l’Appello esige una verifica e un rilancio. Giacché di tutte le misure urgenti, quelle più urgenti dovrebbero riguardare l’educazione delle giovani generazioni. Viceversa, la reazione prevalente della classe dirigente di questo Paese pare riprodurre antichi riflessi keynesiani da seconda rivoluzione industriale: immettere denaro pubblico nelle banche, nelle imprese, nell’edilizia, nei trasporti, nei ponti ecc…ecc…
E nell’educazione? Il presidente Obama ha stanziato per il sistema educativo americano 115 miliardi di dollari su 700 circa investiti per tamponare la crisi, circa il 16%. Investe 115 miliardi non per finanziare la riproduzione di strutture obsolete e inefficienti, ma per scommettere sulle “charter schools”, scuole pubbliche messe in piedi ad hoc, per un periodo determinato, sottoposte a verifica quinquennale. Soldi e innovazioni, questa sembra essere la filosofia. Dietro sta l’idea che l’educazione è condizione di tenuta antropologica, sociale e di sviluppo economico. Sta la percezione che questa crisi è anche l’ultima del tempo storico della seconda rivoluzione industriale e che occorra attrezzarsi per l’economia della conoscenza, per il Lifelong/Lifewide/Integrated Learning. E forse è salutare.
E qui in Italia? Dopo lo slancio riformistico Berlinguer-Moratti, è stata praticata una filosofia minimalista, fatta di manutenzione dell’esistente e di rinvii al futuro di misure pensate già tempo fa come urgenti. La politica finanziaria dell’istruzione dell’ultimo anno ha potato tutti gli alberi del giardino alla stessa altezza, quelli alti e quelli bassi, quelli ormai secchi e quelli verdeggianti. Ha fatto cassa senza razionalizzare e senza investire. Dal flusso dei miliardi di euro che la crisi ha smosso, il sistema educativo nazionale è stato tagliato fuori, salvo che per pochi spiccioli per l’edilizia…scolastica. Eppure è facile prevedere che reggeranno quei Paesi e quei sistemi, la cui infrastruttura antropologica, sociale, scientifica, conoscitiva sia oggetto di cura privilegiata e di investimenti lungimiranti. Pertanto servono innovazioni e soldi. Risparmiare senza innovare si può fare un anno o due, ma poi le mort saisit le vif. Il vecchio sistema non riformato riprenderà a ingoiare denaro e a sottoprodurre cattiva educazione.
1) I Vescovi Italiani con il Papa “sempre e incondizionamente” - Il Cardinale Angelo Bagnasco respinge le critiche al Pontefice
2) Evitare la deriva nichilista difendendo la vita - Il Cardinale Bagnasco propone la “libertà di vivere” - di Antonio Gaspari
3) Mine vaganti. In Africa il preservativo, in Brasile l'aborto - E nel secondo caso il conflitto non è solo tra la Chiesa e lo stato, ma anche tra le gerarchie. Roma sconfessa un'arcidiocesi brasiliana, e questa risponde accusando il Vaticano di non conoscere i fatti e di mettere in forse la dottrina. I documenti dello scontro - di Sandro Magister
4) Persona umana: quale dignità? - ROMA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo una scheda catechetica scritta da mons. Raffaello Martinelli, Primicerio della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Roma.
5) Il Papa chiede la "giusta realizzazione" delle aspirazioni dei bisognosi - Congedandosi dall'Angola questo lunedì
6) 23/03/2009 14:04 - HONG KONG - Le scuole cattoliche di Hong Kong a rischio - L’Ordinanza sull’educazione prevede ingerenze statali nella gestione delle scuole private. La Chiesa afferma che il provvedimento rischia di snaturare la missione degli istituti legati a congregazioni e ordini religiosi.
7) PAPA/ 1. Il viaggio reale in Africa, oltre le cronache dei media - John L. Allen - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
8) PAPA/ 2. L'Africa e le ossessioni dell'Occidente - John Waters - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
9) USA/ Il piano Geithner e la vittoria di Wall Street su Obama - Gianni Credit - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
10) SCUOLA/ Educazione: che errore dimenticarsene in tempo di crisi - Giovanni Cominelli - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
I Vescovi Italiani con il Papa “sempre e incondizionamente” - Il Cardinale Angelo Bagnasco respinge le critiche al Pontefice
ROMA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- A nome e per conto dei Vescovi italiani, il Cardinale Angelo Bagnasco ha aperto a Roma i lavori del Consiglio Episcopale Permanente sottolineando che “la migliore tradizione del nostro cattolicesimo” è quella di “stare con il Papa, sempre e incondizionatamente”.
Nel corso della prolusione svolta il 23 marzo, il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha precisato che “si è prolungato, oltre ogni buon senso, un pesante lavorio di critica − dall’Italia e soprattutto dall’estero − nei riguardi del nostro amatissimo Papa”.
“Non vogliamo tornare sulle accuse maldestre rivolte con troppa noncuranza al Santo Padre – ha aggiunto -. Merita molto di più invece concentrarci sulla Lettera del 10 marzo 2009, indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica, che come atto autenticamente nuovo, ha subito attirato un vasto consenso”.
Il Presidente della CEI non ha però nascosto “la severità di un giudizio che nella carità va pur dato circa atteggiamenti e parole che hanno portato a una situazione cui non si sarebbe dovuti arrivare, alimentando interpretazioni sistematicamente allarmistiche e comportamenti diffidenti nei riguardi della Gerarchia”.
Per questo l’Arcivescovo di Genova ha espresso “ferma e concreta convinzione” per un “appello alla riconciliazione più genuina e disarmata cui la Lettera papale sollecita l’intera Chiesa”.
Circa le critiche sollevate contro il Pontefice in merito alle sue dichiarazioni sull’uso dei profilattici per limitare la diffusione dell’AIDS, il porporato ha invece posto l’accento sul grande successo del viaggio in Africa del Pontefice, che “fin dall’inizio è stato sovrastato nell’attenzione degli occidentali da una polemica – sui preservativi − che francamente non aveva ragione d’essere”.
“Non a caso – ha fatto notare il Cardinale Bagnasco –, sui media africani non si è riscontrato alcun autonomo interesse, se non fosse stato per l’insistenza pregiudiziale delle agenzie internazionali, e per le dichiarazioni di alcuni esponenti politici europei o di organismi sopranazionali”.
Secondo il Presidente della CEI, nella circostanza, media, governi e istituzioni internazionali non si sono “limitati ad un libero dissenso, ma si è arrivati ad un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici. L’irrisione e la volgarità tuttavia non potranno far mai parte del linguaggio civile, e fatalmente ricadono su chi li pratica”.
Dopo aver ribadito che “la pertinenza delle parole del Papa sull’argomento” è stata ribadita da professionisti, politici e volontari che “operano nel campo della salute e dell’istruzione”, l’Arcivescovo di Genova ha sottolineato la necessità per l’Africa di “un’opera di educazione ad ampio raggio”, che si concretizza in particolare “nella promozione effettiva della donna” alimentando le esperienze di cura e di assistenza e “finanziando la distribuzione di medicinali accessibili a tutti”.
Il Presidente della CEI ha chiesto ai governi di “mantenere i propri impegni, al di là della demagogia e di logiche di controllo neo-colonialista” ricordando che i Vescovi ed i cattolici tutti non accetteranno che “il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso”.
“Per tutti – ha concluso – egli rappresenta un’autorità morale che questo viaggio ha semmai fatto ancor più apprezzare”.
Evitare la deriva nichilista difendendo la vita - Il Cardinale Bagnasco propone la “libertà di vivere” - di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- Aprendo a Roma questo lunedì i lavori del Consiglio Episcopale Permanente, il Cardinale Angelo Bagnasco ha spiegato le due culture che segnano i tempi moderni: una che libera l’uomo nella sua dimensione di persona e l’altra che l’opprime con l’egoismo e il nichilismo.
Nel mondo dell’oggi – ha precisato il porporato – “si fronteggiano sostanzialmente due culture riferibili all’uso della ragione”. Due diverse visioni antropologiche al centro delle quali “c’è una specifica risposta alla domanda sull’uomo”.
“Su un versante – ha spiegato – c’è la cultura che considera l’uomo come una realtà che si differenzia dal resto della natura in forza di qualcosa di irriducibile rispetto alla materia. Qualcosa che è qualitativamente diverso e che costituisce la radice del suo valore e il fondamento della sua dignità”.
“In questa prospettiva - ha aggiunto -, la natura umana, dentro lo scorrere della storia, è un perno fermo e insieme bussola per l’esercizio della libertà personale. Nel gioco stesso dell’uomo, la libertà trova così i riferimenti oggettivi per le scelte e i comportamenti coerenti alla sua autentica umanità”.
Nell’altro versante, invece, si esplica una cultura per la quale “il soggetto umano è un mero prodotto dell’evoluzione del cosmo, ivi inclusa la sua autocoscienza”.
“In quanto risultato di un processo evolutivo mai concluso - ha affermato il Cardinale –, l’uomo sarebbe solamente un segmento di storia, sganciato cioè da qualunque fondamento ontologico permanente e comune a tutti gli uomini, privo quindi di riferimenti etici certi e universali”.
Così, “essendo semplicemente uno sghiribizzo culturale fluttuante nella storia, l’individuo si trova sostanzialmente prigioniero di sé ma anche solo con se stesso”
Secondo il Presidente della CEI è all’interno di queste due concezioni antropologiche che si gioca la libertà umana, e le concezioni conseguenti come la vita, la pace, la giustizia, la solidarietà.
“Per i cattolici – ha sostenuto - la libertà è dono del Signore, e si realizza attraverso l’impegno di farsi carico degli altri, specialmente dei più deboli, dei meno dotati ed efficienti”.
Mentre, nella società secolarizzata “l’individuo, paradossalmente, finisce schiacciato dalla propria libertà, e ritenendo di essere pieno e assoluto padrone di se stesso arriva a disporre di sé a prescindere da ciò che egli è fin dal principio del suo esistere”.
Per l’arcivescovo di Genova “In questa direzione, si scivola inevitabilmente verso un nichilismo di senso e di valori che induce alla disgregazione dell’uomo e ad una società individualista fino all’ingiustizia ed alla violenza”.
“Anzi, verso un nichilismo gaio e trionfante, in quanto illuso di aver liberato la libertà, mentre semplicemente la inganna rispetto ad una necessaria e impegnativa educazione della stessa”.
In questo contesto il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha letto la vicenda di Eluana Englaro, la ragazza lecchese che è stata fatta morire a Udine il 9 febbraio scorso, attraverso una operazione “tesa ad affermare un ‘diritto’ di libertà inedito quanto raccapricciante, il diritto a morire” come se “la vita potesse, in alcuni frangenti − i più critici −, cessare di essere un bene relazionale”.
“E – ha sottolineato il cardinale Bagnasco - non fosse vero piuttosto che, proprio quando è più fragile, l’esistenza di ciascuno di noi diventa allora più moralmente preziosa, nel senso che è più direttamente protesa a cementare il bene comune suscitando in ciascuno e nella società ulteriori energie di altruismo e di dedizione”.
L’Arcivescovo di Genova ha messo in guardia contro il sistema di arrogarsi “il diritto all’eliminazione dei soggetti inabili” ed ha chiesto se non si stia prefigurando “un nuovo tipo di selezione alla vita”.
Il porporato ha ringraziato quella parte del popolo italiano che ha sofferto, pregato, manifestato per salvare Eluana, ed ha chiesto alla politica di “agire nell’approntare e varare, senza lungaggini o strumentali tentennamenti, un inequivoco dispositivo di legge che preservi il Paese da altre analoghe avventure, ponendo attenzione a coordinarlo con l’altro sospirato provvedimento relativo alla cure palliative, e mettendo mano insieme alle Regioni ad un sistema efficace di hospice, che le famiglie attendono non per sgravarsi di un peso ma per essere aiutate a portarlo”.
A questo proposito il Presidente della CEI ha invitato la società civile a “mobilitarsi per acquisire in prima persona una coscienza più matura della posta in gioco in termini antropologici e culturali, così da evitare nel futuro ingorghi concettuali e tentazioni di delega”.
Per questo ha “incoraggiato e sostenuto” l’iniziativa annunciata dai tre organismi di collegamento laicale − Scienza & Vita, il Forum delle Associazioni familiari e RetinOpera – per una mobilitazione delle parrocchie, delle aggregazioni laicali, come degli ambienti e dei mezzi di comunicazione, in favore del manifesto “liberi di vivere”.
Il Cardinale Bagnasco ha rivolto un ringraziamento speciale alle Suore Misericordine della clinica Beato Talamone di Lecco per la “loro splendida, ineffabile testimonianza di carità”.
“Una testimonianza - ha concluso il porporato – che commuove la Chiesa e misteriosamente la edifica nel cuore del mondo. Ma edifica anche l’umanità intera nella sua autentica e intrinseca vocazione a non abbandonare nessuno, ma a farsi prossimo e solidale con tutti e con ciascuno nell’ora della maggiore debolezza”.
Mine vaganti. In Africa il preservativo, in Brasile l'aborto - E nel secondo caso il conflitto non è solo tra la Chiesa e lo stato, ma anche tra le gerarchie. Roma sconfessa un'arcidiocesi brasiliana, e questa risponde accusando il Vaticano di non conoscere i fatti e di mettere in forse la dottrina. I documenti dello scontro - di Sandro Magister
ROMA, 23 marzo 2009 – Sui media d'Europa e d'America, il viaggio di Benedetto XVI in Camerun e in Angola, che si conclude oggi, è stato largamente oscurato dalle polemiche scoppiate per una frase da lui detta in partenza, sull'aereo che lo portava a Yaoundé, in risposta alla domanda di un giornalista:
"Non si può risolvere il flagello dell'AIDS con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema".
Contemporaneamente, una seconda polemica è deflagrata a partire da un altro paese del sud del mondo, il Brasile, a motivo dell'aborto di una giovanissima.
Contraccettivi ed aborto sono due questioni tra le più controverse nel rapporto tra Chiesa e modernità. Sui contraccettivi la Chiesa cattolica si è pronunciata in particolare con l'enciclica "Humanae vitae" di Paolo VI. Sull'aborto con l'enciclica "Evangelium vitae" di Giovanni Paolo II.
Sulla prima questione, la polemica dei giorni scorsi è stata ingigantita soprattutto dalle stizzite reazioni alle parole del papa dei governi di Francia, Germania, Belgio, Spagna, della Commissione Europea, di dirigenti dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e del Fondo Monetario Internazionale.
Nel caso dell'aborto della fanciulla brasiliana, invece, alla polemica tra stato e Chiesa si è sovrapposto un conflitto dentro la stessa gerarchia cattolica, ai livelli più alti.
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A proposito dell'AIDS, l'accusa che è stata lanciata per l'ennesima volta contro la Chiesa è stata quella di favorirne la diffusione, vietando il preservativo.
I fatti dicono però che in Africa quasi un terzo delle iniziative di contrasto al dilagare dell'AIDS sono opera di cattolici. I preservativi sono oggetto di diffusione massiccia da parte di governi, enti internazionali ed ONG, e non risulta che i cattolici ne ostacolino la distribuzione e l'uso, specie tra coniugi uno dei quali sia portatore di contagio. Ma ogni operatore avveduto sa che essi non bastano, come prova la diffusione dell'AIDS nei paesi ricchi del nord dove i preservativi sono a disposizione di tutti. Il giudizio della Chiesa, confermato dall'esperienza sul campo, è che da soli i preservativi non frenano la promiscuità sessuale, vera causa del dilagare del flagello, anzi talora la incoraggiano accendendo una ingannevole sicurezza.
Di conseguenza la Chiesa cattolica, sul fronte dell'AIDS, si prodiga soprattutto in due modi, che Benedetto XVI ha ricordato nella risposta che ha dato esca alla polemica: con una "umanizzazione della sessualità", incoraggiandone l'esercizio solo entro l'amore coniugale fedele, e con la cura dei malati. Le indagini provano che dove all'uso del preservativo si antepongono una guida al controllo della sessualità e cure adeguate e gratuite, i risultati sono confortanti.
Nell'incontrare a Yaoundé degli operatori contro l'AIDS e poi dei malati sottoposti a cura, Benedetto XVI ha paragonato l'azione della Chiesa a quella del Cireneo, il contadino africano che aiutò Gesù a portare la croce.
Questa immagine di prossimità al sofferente porta dritto al secondo conflitto scoppiato nei giorni scorsi, sull'aborto di una fanciulla.
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"Dalla parte della bambina brasiliana": così ha titolato "L'Osservatore Romano" del 15 marzo una nota di prima pagina firmata dall'arcivescovo Rino Fisichella, presidente della pontificia accademia per la vita, oltre che rettore della Pontificia Università Lateranense.
Per il ruolo dell'autore, per la collocazione e più ancora per i contenuti, sicuramente l'articolo era tra quelli controllati e autorizzati dalla segreteria di stato vaticana.
L'articolo partiva dal caso di una bambina brasiliana in età fertile già a nove anni, violentata più volte dal giovane patrigno, rimasta incinta di due gemelli e poi fatta abortire al quarto mese di gestazione.
Il suo caso, scriveva Fisichella, "ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l'arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l'hanno aiutata a interrompere la gravidanza". Quando invece, "prima di pensare alla scomunica", la fanciulla "doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata" con quella "umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri". Ma "così non è stato".
L'attacco all'arcivescovo di Olinda e Recife – la diocesi che fu di Helder Camara – non poteva essere più duro.
In effetti, le dichiarazioni dell'arcivescovo sulla scomunica degli operatori del duplice aborto avevano occasionato l'inasprirsi del conflitto già in corso da tempo in Brasile tra la Chiesa e il governo, la prima impegnata in una grande campagna in difesa della vita nascente, il secondo orientato a liberalizzare l'aborto più di quanto già sia.
Da Roma, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione vaticana per i vescovi, in un'intervista a "La Stampa" aveva preso le difese dell'arcivescovo di Olinda e Recife.
Altrettanto aveva fatto, in Brasile, la conferenza episcopale, con una nota diffusa il 13 marzo e con dichiarazioni del suo presidente, l'arcivescovo Geraldo Lyrio Rocha, e del suo segretario, Dimas Lara.
Anche il nuovo arcivescovo di Rio de Janeiro, Orani João Tempesta, si era espresso nello stesso senso, rimarcando tra l'altro che la madre della fanciulla aveva testimoniato che "l'unico luogo in cui non si era sentita maltrattata ma rispettata era stato l'ufficio della Caritas".
Persino dalla Francia era giunto un autorevole sostegno all'operato della Chiesa brasiliana. Il vescovo di Tolone, Dominique Rey, in visita in quel paese, aveva dichiarato d'aver visto con i suoi occhi "le molteplici testimonianze di misericordia vissute dalle comunità cristiane che avevano avvicinato e accompagnato la fanciulla e sua madre".
La Santa Sede si è però mossa diversamente. Pubblicando l'articolo di Fisichella su "L'Osservatore Romano" ha mostrato di anteporre alla difesa della Chiesa brasiliana e della sua campagna "pro vita" l'obiettivo di appianare il dissidio con l'opinione laica, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva e il suo governo.
Col risultato di portare il conflitto tutto all'interno della gerarchia. Per di più aprendo una controversia sul giudizio da dare all'aborto in casi come quello in oggetto.
L'articolo di Fisichella, infatti, così proseguiva:
"A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie, la vita [della fanciulla] era in serio pericolo per la gravidanza in atto. Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale. Scelte come questa [...] si ripetono quotidianamente [...] e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell'atto di dovere decidere cosa sia meglio fare".
Nel finale dell'articolo Fisichella plaudiva a coloro che alla fanciulla "hanno permesso di vivere".
È vero che, in un altro passaggio, il presidente della pontifica accademia per la vita ribadiva che "l'aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni".
Ma i dubbi prima affacciati restavano. E davano l'impronta all'intero articolo. Dubbi visibilmente in contrasto con la solidità granitica di questo passaggio del paragrafo 62 dell'enciclica di Giovanni Paolo II "Evangelium vitae":
"Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa".
***
All'articolo di Fisichella su "L'Osservatore Romano" l'arcidiocesi di Olinda e Recife ha replicato il 16 marzo con delle "Chiarificazioni" ufficiali, pubblicate con grande evidenza sulla home page del suo sito web.
Da parte di Roma nessun cenno di ricevuta. Neppure quando, il 21 marzo, è intervenuto nuovamente sulla vicenda il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Padre Lombardi era quel giorno a Luanda, al seguito del viaggio di Benedetto XVI in Camerun e in Angola.
Il giorno precedente, parlando al corpo diplomatico e facendo riferimento all'articolo 14 del Protocollo di Maputo sulla "salute materna e riproduttiva", il papa aveva polemicamente esclamato:
"Quanto amara è l'ironia di coloro che promuovono l'aborto tra le cure della salute materna! Quanto sconcertante la tesi di coloro secondo i quali la soppressione della vita sarebbe una questione di salute riproduttiva!".
Padre Lombardi, incontrando i giornalisti, ha escluso qualsiasi collegamento tra le parole del papa e la vicenda della fanciulla brasiliana. E ha così proseguito:
"In proposito valgono le considerazioni di monsignor Rino Fisichella, che su 'L'Osservatore Romano' ha lamentato la scomunica dichiarata con troppa fretta dall'arcivescovo di Recife. Nessun caso limite deve oscurare il vero senso del discorso del Santo Padre, che si riferiva a una cosa estremamente diversa. [...] Il papa non ha parlato assolutamente di aborto terapeutico e non ha detto che deve essere sempre rifiutato".
Ha sorpreso che, a distanza di quasi una settimana dalla diffusione delle "Chiarificazioni" dell'arcidiocesi brasiliana, il portavoce ufficiale della Santa Sede abbia mostrato di ignorarle del tutto, sia nella opposta ricostruzione dei fatti, sia nelle obiezioni di carattere dottrinale e morale.
Ecco qui di seguito, integrale, il documento dell'arcidiocesi brasiliana:
Chiarificazioni dell'arcidiocesi di Olinda e Recife
Riguardo all'articolo "Dalla parte della bambina brasiliana", pubblicato su "L'Osservatore Romano" il giorno 15 marzo, noi sottoscritti dichiariamo:
1. Il fatto dello stupro non è avvenuto a Recife, come dice l'articolo, ma nella città di Alagoinha, diocesi di Pesqueira. Mentre l'aborto è stato praticato a Recife.
2. Tutti noi – a cominciare dal parroco di Alagoinha, che è tra i firmatari – siamo stati vicini alla fanciulla incinta e alla sua famiglia con grande carità e affetto. Il parroco, mettendo in opera la sua sollecitudine pastorale, raggiunto dalla notizia quand'era a casa, si recò immediatamente a casa della famiglia, dove incontrò la fanciulla per darle sostegno e accompagnamento, posta la grave e difficile situazione nella quale la fanciulla si era trovata. Questa attitudine è stata mantenuta in tutti i giorni successivi, ad Alagoinha come a Recife, dove si è avuto il triste finale dell'aborto di due innocenti. Pertanto, fu evidente e inequivocabile che nessuno pensò in primo luogo alla "scomunica". Abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi a nostra disposizione per evitare l'aborto e salvare le tre vite. Il parroco affiancò di persona il Consiglio tutelare della città in tutte le iniziative finalizzate al bene della fanciulla e dei suoi figli. Sia nell'ospedale che nelle visite quotidiane diede prova di un affetto e di un'attenzione che fecero capire, tanto alla fanciulla come a sua madre, che entrambe non erano sole, ma che la Chiesa, lì rappresentata dal parroco del luogo, assicurava loro l'assistenza necessaria e la certezza che tutto si sarebbe fatto per il bene della fanciulla e per salvare i suoi due figli.
3. Dopo che la fanciulla fu trasferita in un ospedale della città di Recife, abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi legali per evitare l'aborto. In nessun momento la Chiesa fu assente dall'ospedale. Il parroco della fanciulla si recava in ospedale ogni giorno, partendo dalla sua città che dista 230 chilometri da Recife, senza risparmiare alcuno sforzo, affinché tanto la fanciulla come sua madre sentissero la presenza di Gesù, il Buon Pastore che va incontro alle pecorelle che hanno più bisogno del suo aiuto. In questo modo la vicenda fu trattata con tutta l'attenzione dovuta da parte della Chiesa e non "sbrigativamente" come dice l'articolo.
4. Non siamo d'accordo con l'affermazione che "la decisione è ardua... per la stessa legge morale". La nostra santa Chiesa non cessa di proclamare che la legge morale è chiarissima: mai è lecito sopprimere la vita di un innocente per salvare un'altra vita. I fatti oggettivi sono questi: vi sono medici che dichiarano esplicitamente di aver praticato e voler continuare a praticare aborti, mentre ve ne sono altri che dichiarano con altrettanta fermezza che un aborto non lo praticheranno mai. Questa è la dichiarazione scritta e firmata di un medico cattolico brasiliano: "Come medico ostetrico da 50 anni, formato alla facoltà nazionale di medicina della Università del Brasile, e come ex primario della clinica ostetrica dell'ospedale di Andarai, nel quale ho operato per 35 anni fino al mio pensionamento, per dedicarmi al diaconato, e avendo praticato 4524 parti, molti in età minorile, mai ho avuto la necessità di ricorrere all'aborto per 'salvare vite', al pari di tutti i miei colleghi retti ed onesti nella loro professione, fedeli al giuramento di Ippocrate".
5. È falsa l'affermazione che il fatto fu divulgato nei giornali solo perché l'arcivescovo di Olinda e Recife si affrettò a dichiarare la scomunica. Basta osservare che il caso divenne di dominio pubblico ad Alagoinha mercoledì 25 febbraio, l'arcivescovo fece le sue dichiarazioni alla stampa il 3 marzo e l'aborto fu effettuato il 4 marzo. Era impensabile che la stampa brasiliana, di fronte a un fatto di tale gravità, lo tenesse sotto silenzio per sei giorni. La realtà dei fatti è che la notizia della fanciulla – "Carmen" – incinta fu divulgata nei giorni precedenti l'attuazione dell'aborto. Solo allora, martedì 3 marzo, interrogato dai giornalisti, l'arcivescovo menzionò il canone 1398 [del codice di diritto canonico]. Siamo convinti che la divulgazione di questa pena medicinale, la scomunica, faccia bene a molti cattolici, per indurli ad evitare questo peccato gravissimo. Il silenzio della Chiesa sarebbe molto equivocato, soprattutto di fronte alla constatazione che nel mondo si compiono cinquanta milioni di aborti ogni anno e solo nel Brasile si sopprimono un milione di vite innocenti. Il silenzio può essere interpretato come connivenza o complicità. Se qualche medico avesse una "coscienza dubbiosa" prima di praticare un aborto (cosa che ci sembra estremamente improbabile), egli, se cattolico e tenuto ad osservare la legge di Dio, dovrebbe consultare un direttore spirituale.
6. In altre parole, l'articolo è un affronto diretto alla difesa della vita delle tre creature, fatta col massimo della forza dall'arcivescovo José Cardoso Sobrinho, e mostra che l'autore non possiede le basi e le informazioni necessarie per parlare della vicenda, a motivo della sua totale ignoranza dei particolari del fatto. L'ospedale che ha effettuato l'aborto sulla fanciulla è uno di quelli che compiono sistematicamente questa pratica nel nostro Stato, sotto il manto della "legalità". I medici che hanno praticato l'aborto dei due gemelli hanno dichiarato e continuano a dichiarare sui media nazionali d'aver compiuto un atto che sono soliti compiere "con molto orgoglio". Uno di essi ha aggiunto: "Già sono stato in passato scomunicato più volte".
7. L'autore si è arrogato il diritto di parlare di ciò che non conosceva, senza fare lo sforzo di conversare previamente in modo fraterno ed evangelico con l'arcivescovo, e per questo atto imprudente sta causando una grande confusione tra i fedeli cattolici del Brasile. Invece di consultare il suo fratello nell'episcopato, ha preferito dar credito alla nostra stampa molto spesso anticlericale.
Recife, 16 marzo 2009
Edvaldo Bezerra da Silva
Vicario generale dell'arcidiocesi di Olinda e Recife
Cicero Ferreira de Paula
Cancelliere dell'arcidiocesi di Olinda e Recife
Moisés Ferreira de Lima
Rettore del seminario arcidiocesano
Márcio Miranda
Avvocato dell'arcidiocesi di Olinda e Recife
Edson Rodrigues
Parroco di Alagoinha, diocesi di Pesqueira
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L'articolo uscito su "L'Osservatore Romano" del 15 marzo 2009, oggetto della dichiarazione dell'arcidiocesi di Olinda e Recife:
Dalla parte della bambina brasiliana
di Rino Fisichella
Il dibattito su alcune questioni si fa spesso serrato e le differenti prospettive non sempre permettono di considerare quanto la posta in gioco sia veramente grande. È questo il momento in cui si deve guardare all'essenziale e, per un attimo, lasciare in disparte ciò che non tocca direttamente il problema. Il caso nella sua drammaticità è semplice. C'è una bambina di soli nove anni – la chiameremo Carmen – che dobbiamo guardare fisso negli occhi senza distrarre lo sguardo neppure un attimo, per farle capire quanto le si vuole bene. Carmen, a Recife, in Brasile, viene violentata ripetutamente dal giovane patrigno, rimane incinta di due gemellini e non avrà più una vita facile. La ferita è profonda perché la violenza del tutto gratuita l'ha distrutta dentro e difficilmente le permetterà in futuro di guardare agli altri con amore.
Carmen rappresenta una storia di quotidiana violenza e ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l'arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l'hanno aiutata a interrompere la gravidanza. Una storia di violenza che, purtroppo, sarebbe passata inosservata, tanto si è abituati a subire ogni giorno fatti di una gravità ineguagliabile, se non fosse stato per lo scalpore e le reazioni suscitate dall'intervento del vescovo. La violenza su una donna, già grave di per sé, assume una valenza ancora più deprecabile quando a subirla è una bambina, con l'aggravante della povertà e del degrado sociale in cui vive. Non c'è linguaggio corrispondente per condannare tali episodi, e i sentimenti che ne derivano sono spesso una miscela di rabbia e di rancore che si assopiscono solo quando viene fatta realmente giustizia e la pena inflitta al delinquente di turno ha certezza di essere scontata.
Carmen doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata con dolcezza per farle sentire che eravamo tutti con lei; tutti, senza distinzione alcuna. Prima di pensare alla scomunica era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri. Così non è stato e, purtroppo, ne risente la credibilità del nostro insegnamento che appare agli occhi di tanti come insensibile, incomprensibile e privo di misericordia. È vero, Carmen portava dentro di sé altre vite innocenti come la sua, anche se frutto della violenza, e sono state soppresse; ciò, tuttavia, non basta per dare un giudizio che pesa come una mannaia.
Nel caso di Carmen si sono scontrate la vita e la morte. A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie la sua vita era in serio pericolo per la gravidanza in atto. Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale. Scelte come questa, anche se con una casistica differente, si ripetono quotidianamente nelle sale di rianimazione e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell'atto di dovere decidere cosa sia meglio fare. Nessuno, comunque, arriva a una decisione di questo genere con disinvoltura; è ingiusto e offensivo il solo pensarlo.
Il rispetto dovuto alla professionalità del medico è una regola che deve coinvolgere tutti e non può consentire di giungere a un giudizio negativo senza prima aver considerato il conflitto che si è creato nel suo intimo. Il medico porta con sé la sua storia e la sua esperienza; una scelta come quella di dover salvare una vita, sapendo che ne mette a serio rischio una seconda, non viene mai vissuta con facilità. Certo, alcuni si abituano alle situazioni così da non provare più neppure l'emozione; in questi casi, però, la scelta di essere medico viene degradata a solo mestiere vissuto senza entusiasmo e subito passivamente. Fare di tutta un'erba un fascio, tuttavia, oltre che scorretto sarebbe ingiusto.
Carmen ha riproposto un caso morale tra i più delicati; trattarlo sbrigativamente non renderebbe giustizia né alla sua fragile persona né a quanti sono coinvolti a diverso titolo nella vicenda. Come ogni caso singolo e concreto, comunque, merita di essere analizzato nella sua peculiarità, senza generalizzazioni. La morale cattolica ha principi da cui non può prescindere, anche se lo volesse. La difesa della vita umana fin dal suo concepimento appartiene a uno di questi e si giustifica per la sacralità dell'esistenza. Ogni essere umano, infatti, fin dal primo istante porta impressa in sé l'immagine del Creatore, e per questo siamo convinti che debbano essergli riconosciuti la dignità e i diritti di ogni persona, primo fra tutti quello della sua intangibilità e inviolabilità.
L'aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni fin dai primordi della Chiesa. Il concilio Vaticano II nella "Gaudium et spes" – documento di grande apertura e accortezza in riferimento al mondo contemporaneo – usa in maniera inaspettata parole inequivocabili e durissime contro l'aborto diretto. La stessa collaborazione formale costituisce una colpa grave che, quando è realizzata, porta automaticamente al di fuori della comunità cristiana. Tecnicamente, il codice di diritto canonico usa l'espressione "latae sententiae" per indicare che la scomunica si attua appunto nel momento stesso in cui il fatto avviene.
Non c'era bisogno, riteniamo, di tanta urgenza e pubblicità nel dichiarare un fatto che si attua in maniera automatica. Ciò di cui si sente maggiormente il bisogno in questo momento è il segno di una testimonianza di vicinanza con chi soffre, un atto di misericordia che, pur mantenendo fermo il principio, è capace di guardare oltre la sfera giuridica per raggiungere ciò che il diritto stesso prevede come scopo della sua esistenza: il bene e la salvezza di quanti credono nell'amore del Padre e di quanti accolgono il vangelo di Cristo come i bambini, che Gesù chiamava accanto a sé e stringeva tra le sue braccia dicendo che il regno dei cieli appartiene a chi è come loro.
Carmen, stiamo dalla tua parte. Condividiamo con te la sofferenza che hai provato, vorremmo fare di tutto per restituirti la dignità di cui sei stata privata e l'amore di cui avrai ancora più bisogno. Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere e ti aiuteranno a recuperare la speranza e la fiducia. Nonostante la presenza del male e la cattiveria di molti.
Persona umana: quale dignità? - ROMA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo una scheda catechetica scritta da mons. Raffaello Martinelli, Primicerio della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Roma.
Le schede catechetiche di mons. Martinelli si possono trovare in forma già stampata all’interno della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Via del Corso a Roma.
* * *
Si propone qui una sintesi di alcuni punti importanti dell’Istruzione "Dignitas personae. Su alcune questioni di bioetica" (abbr. Istruz), pubblicata il 12 dicembre 2008 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Tale Istruzione è stata approvata espressamente dal Santo Padre Benedetto XVI. Quindi, appartiene ai documenti che «partecipano al Magistero ordinario del Successore di Pietro» (Istruzione Donum veritatis, n. 18), da accogliere dai fedeli con «l’assenso religioso del loro spirito» (Istruzione Dignitas personae, n. 37).
Perche’ questo documento?
■ Negli ultimi anni le scienze biomediche hanno fatto enormi progressi, che aprono nuove prospettive terapeutiche, ma suscitano anche seri interrogativi.
■ La suddetta Istruzione cerca di:
• proporre risposte ad alcune nuove questioni di bioetica, che provocano attese e perplessità in vasti settori della società.
• «promuovere la formazione delle coscienze» (Istruz, n. 10)
• incoraggiare una ricerca biomedica rispettosa della dignità di ogni essere umano e della procreazione
• dare voce a chi non ha voce, è totalmente indifeso, quale è appunto l’embrione umano.
■ Nel procedere all’esame di tali nuove questioni, «si è inteso sempre tenere presenti gli aspetti scientifici, giovandosi dell’analisi della Pontificia Accademia per la Vita e di un gran numero di esperti, per confrontarli con i principi dell’antropologia cristiana. Le Encicliche Veritatis splendor ed Evangelium vitae di Giovanni Paolo II ed altri interventi del Magistero offrono chiare indicazioni di metodo e di contenuto per l’esame dei problemi considerati» (Istruz, n. 2).
■ Nel proporre principi e valutazioni morali per la ricerca biomedica sulla vita umana, la Chiesa «attinge alla luce sia della ragione sia della fede, contribuendo ad elaborare una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, capace di accogliere tutto ciò che di buono emerge dalle opere degli uomini e dalle varie tradizioni culturali e religiose, che non raramente mostrano una grande riverenza per la vita» (Istruz, n. 3).
Su quale principio fondamentale si basa l’Istruzione?
■ Si basa sulla dignità della persona, che va riconosciuta ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale. Questo principio fondamentale «esprime un grande "sì" alla vita umana», che «deve essere posto al centro della riflessione etica sulla ricerca biomedica» (Istruz, n. 1).
■ In particolare :
• «L’essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita» (Istruz, n. 4).
«È convinzione della Chiesa che ciò che è umano non solamente è accolto e rispettato dalla fede, ma da essa è anche purificato, innalzato e perfezionato» (n. 7). Dio ha creato ogni uomo a sua immagine; nel suo Figlio incarnato ha rivelato pienamente il mistero dell’uomo; il Figlio fa sì che noi possiamo diventare figli di Dio. «A partire dall’insieme di queste due dimensioni, l’umana e la divina, si comprende meglio il perché del valore inviolabile dell’uomo: egli possiede una vocazione eterna ed è chiamato a condividere l’amore trinitario del Dio vivente» (Istruz, n. 8).
• «L’origine della vita umana… ha il suo autentico contesto nel matrimonio e nella famiglia, in cui viene generata attraverso un atto che esprime l’amore reciproco tra l’uomo e la donna. Una procreazione veramente responsabile nei confronti del nascituro deve essere il frutto del matrimonio» (Istruz, n. 6).
«Queste due dimensioni di vita, quella naturale e quella soprannaturale, permettono anche di comprendere meglio in quale senso gli atti che consentono all’essere umano di venire all’esistenza, nei quali l’uomo e la donna si donano mutuamente l’uno all’altra, sono un riflesso dell’amore trinitario. Dio, che è amore e vita, ha inscritto nell’uomo e nella donna la vocazione a una partecipazione speciale al suo mistero di comunione personale e alla sua opera di Creatore e di Padre… Lo Spirito Santo effuso nella celebrazione sacramentale (del matrimonio) offre agli sposi cristiani il dono di una comunione nuova d’amore che è immagine viva e reale di quella singolarissima unità, che fa della Chiesa l’indivisibile Corpo mistico del Signore Gesù» (Istruz, n. 9).
■ Pertanto, il SI’ detto alla dignità dell’essere umano comporta necessariamente dei NO a tutto quanto va contro il rispetto di tale dignità.
Qual è il rapporto tra il Magistero ecclesiastico e l’autonomia della scienza?
«La Chiesa, giudicando della valenza etica di taluni risultati delle recenti ricerche della medicina concernenti l’uomo e le sue origini, non interviene nell’ambito proprio della scienza medica come tale, ma richiama tutti gli interessati alla responsabilità etica e sociale del loro operato. Ricorda loro che il valore etico della scienza biomedica si misura con il riferimento sia al rispetto incondizionato dovuto ad ogni essere umano, in tutti i momenti della sua esistenza, sia alla tutela della specificità degli atti personali che trasmettono la vita» (Istruz, n. 10).
Che cosa dice la Chiesa circa le tecniche di aiuto alla fertilità umana?
■ Circa le tecniche volte a superare l’infertilità, quali:
• «tecniche di fecondazione artificiale eterologa» (Istruz, n. 12): «volte a ottenere artificialmente un concepimento umano a partire da gameti provenienti almeno da un donatore diverso dagli sposi, che sono uniti in matrimonio» (Istruz, nota 22);
• «tecniche di fecondazione artificiale omologa» (Istruz, n. 12): volte a ottenere artificialmente «un concepimento umano a partire dai gameti di due sposi uniti in matrimonio» (Istruz, nota 23);
• «tecniche che si configurano come un aiuto all’atto coniugale e alla sua fecondità» (Istruz, n. 12);
• «interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla fertilità naturale» (Istruz, n. 13);
• «la procedura dell’adozione» (Istruz, n. 13).
la Chiesa afferma che sono lecite tutte le tecniche che rispettano:
• «il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni essere umano»
• «l’unità del matrimonio, che comporta il reciproco rispetto del diritto dei coniugi a diventare padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro»
• «i valori specificamente umani della sessualità, che esigono che la procreazione di una persona umana debba essere perseguita come il frutto dell’atto coniugale specifico dell’amore tra gli sposi» (Istruz, n. 12).
■ Sono quindi «ammissibili le tecniche che si configurano come un aiuto all’atto coniugale e alla sua fecondità… L’intervento medico è in questo ambito rispettoso della dignità delle persone, quando mira ad aiutare l’atto coniugale sia per facilitarne il compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta che sia stato normalmente compiuto» (Istruz, n. 12).
■ Sono «certamente leciti gli interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla fertilità naturale» (Istruz, n. 13).
■ È «auspicabile incoraggiare, promuovere e facilitare… la procedura dell’adozione dei numerosi bambini orfani». È importante incoraggiare «le ricerche e gli investimenti dedicati alla prevenzione della sterilità» (Istruz, n. 13).
Che dire circa la fecondazione in vitro?
■ L’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che nel contesto delle tecniche di fecondazione in vitro «il numero di embrioni sacrificati è altissimo» (n. 14): al di sopra dell’80% nei centri più sviluppati (cfr. Istruz, nota 27).
• «Gli embrioni prodotti in vitro che presentano difetti vengono direttamente scartati»;
• molte coppie «ricorrono alle tecniche di procreazione artificiale con l’unico scopo di poter operare una selezione genetica dei loro figli»;
• tra gli embrioni prodotti in vitro «un certo numero è trasferito nel grembo materno, e gli altri vengono congelati»;
• la tecnica del trasferimento multiplo, cioè «di un numero maggiore di embrioni rispetto al figlio desiderato, nella previsione che alcuni vengano perduti…, comporta di fatto un trattamento puramente strumentale degli embrioni» (Istruz, n. 15).
■ «La pacifica accettazione dell’altissimo tasso di abortività delle tecniche di fecondazione in vitro dimostra eloquentemente che la sostituzione dell’atto coniugale con una procedura tecnica… contribuisce ad indebolire la consapevolezza del rispetto dovuto ad ogni essere umano. Il riconoscimento di tale rispetto viene invece favorito dall’intimità degli sposi animata dall’amore coniugale… Di fronte alla strumentalizzazione dell’essere umano allo stadio embrionale, occorre ripetere che l’amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza… Per questo il Magistero della Chiesa ha costantemente proclamato il carattere sacro e inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento sino alla sua fine naturale» (Istruz, n. 16).
Che dire circa:
1) Il congelamento di ovociti?
«Per evitare i gravi problemi etici posti dalla crioconservazione di embrioni, è stata avanzata nell’ambito delle tecniche di fecondazione in vitro la proposta di congelare gli ovociti» (Istruz, n. 20).
Al riguardo, la crioconservazione di ovociti, non di per sé immorale e prospettata anche in altri contesti che qui non vengono considerati, «in ordine al processo di procreazione artificiale è da considerare moralmente inaccettabile» (Istruz, n. 20).
2) La riduzione embrionale?
«Alcune tecniche usate nella procreazione artificiale, soprattutto il trasferimento di più embrioni al grembo materno, hanno dato luogo ad un aumento significativo della percentuale di gravidanze multiple. Perciò si è fatta strada l’idea di procedere alla cosiddetta riduzione embrionale. Essa consiste in un intervento per ridurre il numero di embrioni o feti presenti nel seno materno mediante la loro diretta soppressione» (n. 21). «Dal punto di vista etico, la riduzione embrionale è un aborto intenzionale selettivo. Si tratta, infatti, di eliminazione deliberata e diretta di uno o più esseri umani innocenti nella fase iniziale della loro esistenza, e come tale costituisce sempre un disordine morale grave» (Istruz, n. 21).
3) La diagnosi pre-impiantatoria?
«La diagnosi pre-impiantatoria è una forma di diagnosi prenatale, legata alle tecniche di fecondazione artificiale, che prevede la diagnosi genetica degli embrioni formati in vitro, prima del loro trasferimento nel grembo materno. Essa viene effettuata allo scopo di avere la sicurezza di trasferire nella madre solo embrioni privi di difetti o con un sesso determinato o con certe qualità particolari» (Istruz, n. 22).
«Diversamente da altre forme di diagnosi prenatale…, alla diagnosi pre-impiantatoria segue ordinariamente l’eliminazione dell’embrione designato come "sospetto" di difetti genetici o cromosomici, o portatore di un sesso non voluto o di qualità non desiderate. La diagnosi pre-impiantatoria… è finalizzata di fatto ad una selezione qualitativa con la conseguente distruzione di embrioni, la quale si configura come una pratica abortiva precoce… Trattando l’embrione umano come semplice "materiale di laboratorio", si opera un’alterazione e una discriminazione anche per quanto riguarda il concetto stesso di dignità umana… Tale discriminazione è immorale e perciò dovrebbe essere considerata giuridicamente inaccettabile» (Istruz, n. 22).
4) Nuove forme di intercezione e contragestazione
Esistono mezzi tecnici che agiscono dopo la fecondazione, quando l’embrione è già costituito.
«Queste tecniche sono intercettive, se intercettano l’embrione prima del suo impianto nell’utero materno» (n. 23), ad esempio attraverso «la spirale… e la cosiddetta "pillola del giorno dopo"» (Istruz, nota 42). Esse sono «contragestative, se provocano l’eliminazione dell’embrione appena impiantato» (n. 23), ad esempio attraverso «la pillola RU 486» (Istruz, nota 43).
Sebbene gli intercettivi non provochino un aborto ogni volta che vengono assunti, anche perché non sempre dopo il rapporto sessuale avviene la fecondazione, si deve notare «che in colui che vuol impedire l’impianto di un embrione eventualmente concepito, e pertanto chiede o prescrive tali farmaci, l’intenzionalità abortiva è generalmente presente». Nel caso della contragestazione «si tratta dell’aborto di un embrione appena annidato… L’uso dei mezzi di intercezione e di contragestazione rientra nel peccato di aborto ed è gravemente immorale» (Istruz, n. 23).
Quale il giudizio della Chiesa circa la terapia genica?
■ Per terapia genica si intende «l’applicazione all’uomo delle tecniche di ingegneria genetica con una finalità terapeutica, vale a dire, con lo scopo di curare malattie su base genetica» (n. 25). La terapia genica somatica, dal canto suo, «si propone di eliminare o ridurre difetti genetici presenti a livello delle cellule somatiche» (n. 25). La terapia genica germinale mira «a correggere difetti genetici presenti in cellule della linea germinale, al fine di trasmettere gli effetti terapeutici ottenuti sul soggetto all’eventuale discendenza del medesimo» (Istruz, n. 25).
■ Dal punto di vista etico vale quanto segue:
• Quanto agli interventi di terapia genica somatica, essi «sono in linea di principio moralmente leciti… Dato che la terapia genica può comportare rischi significativi per il paziente, bisogna osservare il principio deontologico generale secondo cui, per attuare un intervento terapeutico, è necessario assicurare previamente che il soggetto trattato non sia esposto a rischi per la sua salute o per l’integrità fisica, che siano eccessivi o sproporzionati rispetto alla gravità della patologia che si vuole curare. È anche richiesto il consenso informato del paziente o di un suo legittimo rappresentante» (Istruz, n. 26).
• Quanto alla terapia genica germinale, «i rischi legati ad ogni manipolazione genetica sono significativi e ancora poco controllabili» e, pertanto, «allo stato attuale della ricerca non è moralmente ammissibile agire in modo che i potenziali danni derivanti si diffondano nella progenie» (Istruz, n. 26).
• Quanto all’ipotesi di applicare l’ingegneria genetica per presunti fini di miglioramento e potenziamento della dotazione genetica, si deve osservare che tali manipolazioni favorirebbero «una mentalità eugenetica» e introdurrebbero «un indiretto stigma sociale nei confronti di coloro che non possiedono particolari doti e enfatizzano doti apprezzate da determinate culture e società, che non costituiscono di per sé lo specifico umano. Ciò contrasterebbe con la verità fondamentale dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, che si traduce nel principio di giustizia, la cui violazione, alla lunga, finirebbe per attentare alla convivenza pacifica tra gli individui… Si deve rilevare infine che nel tentativo di creare un nuovo tipo di uomo si ravvisa una dimensione ideologica, secondo cui l’uomo pretende di sostituirsi al Creatore» (Istruz, n. 27).
E’ accettabile moralmente la clonazione umana?
■ Per clonazione umana si intende «la riproduzione asessuale e agamica dell’intero organismo umano, allo scopo di produrre una o più "copie" dal punto di vista genetico sostanzialmente identiche all’unico progenitore» (Istruz, n. 28). Le tecniche proposte per la clonazione umana sono la fissione gemellare, che consiste «nella separazione artificiale di singole cellule o gruppi di cellule dall’embrione, nelle prime fasi dello sviluppo, e nel successivo trasferimento in utero di queste cellule, allo scopo di ottenere, in modo artificiale, embrioni identici» (Istruz, nota 47), e il trasferimento di nucleo, che consiste «nell’introduzione di un nucleo prelevato da una cellula embrionaria o somatica in un ovocita precedentemente denucleato, seguita dall’attivazione di questo ovocita che, di conseguenza, dovrebbe svilupparsi come embrione» (Istruz, nota 47). La clonazione viene proposta con due scopi: riproduttivo, cioè per ottenere la nascita di un bambino clonato, e terapeutico o di ricerca.
■ La clonazione è «intrinsecamente illecita, in quanto… intende dare origine ad un nuovo essere umano senza connessione con l’atto di reciproca donazione tra due coniugi e, più radicalmente, senza legame alcuno con la sessualità. Tale circostanza dà luogo ad abusi e a manipolazioni gravemente lesive della dignità umana» (Istruz, n. 28).
• Quanto alla clonazione riproduttiva, essa «imporrebbe al soggetto clonato un patrimonio genetico preordinato, sottoponendolo di fatto – come è stato affermato – ad una forma di schiavitù biologica dalla quale difficilmente potrebbe affrancarsi. Il fatto che una persona si arroghi il diritto di determinare arbitrariamente le caratteristiche genetiche di un’altra persona, rappresenta una grave offesa alla dignità di quest’ultima e all’uguaglianza fondamentale tra gli uomini… Ognuno di noi incontra nell’altro un essere umano che deve la propria esistenza e le proprie caratteristiche all’amore di Dio, del quale solo l’amore tra i coniugi costituisce una mediazione conforme al disegno del Creatore e Padre celeste» (Istruz, n. 29).
• Quanto alla clonazione terapeutica, occorre precisare che «creare embrioni con il proposito di distruggerli, anche se con l’intenzione di aiutare i malati, è del tutto incompatibile con la dignità umana, perché fa dell’esistenza di un essere umano, pur allo stadio embrionale, niente di più che uno strumento da usare e distruggere. È gravemente immorale sacrificare una vita umana per una finalità terapeutica» (Istruz, n. 30).
• Come alternativa alla clonazione terapeutica, alcuni hanno proposto nuove tecniche, che sarebbero capaci di produrre cellule staminali di tipo embrionale senza presupporre la distruzione di veri embrioni umani, ad esempio, attraverso il trasferimento di un nucleo alterato (ANT) o la riprogrammazione assistita dell’ovocita (OAR). Al riguardo sono però ancora da chiarire i dubbi «riguardanti soprattutto lo statuto ontologico del "prodotto" così ottenuto» (Istruz, n. 30).
Sono consentiti:
1) l’uso terapeutico delle cellule staminali?
■ «Le cellule staminali sono cellule indifferenziate che possiedono due caratteristiche fondamentali:
a) la capacità prolungata di moltiplicarsi senza differenziarsi;
b) la capacità di dare origine a cellule progenitrici di transito, dalle quali discendono cellule altamente differenziate, per esempio, nervose, muscolari, ematiche. Da quando si è verificato sperimentalmente che le cellule staminali, se trapiantate in un tessuto danneggiato, tendono a favorire la ripopolazione di cellule e la rigenerazione di tale tessuto, si sono aperte nuove prospettive per la medicina rigenerativa, che hanno suscitato grande interesse tra i ricercatori di tutto il mondo» (Istruz, n. 31).
■ Per la valutazione etica occorre considerare soprattutto i metodi impiegati per la raccolta delle cellule staminali.
• «Sono da considerarsi lecite quelle metodiche che non procurano un grave danno al soggetto da cui si estraggono le cellule staminali. Tale condizione si verifica, generalmente, nel caso di prelievo a) dai tessuti di un organismo adulto; b) dal sangue del cordone ombelicale, al momento del parto; c) dai tessuti di feti morti di morte naturale» (Istruz, n. 32).
• «Il prelievo di cellule staminali dall’embrione umano vivente… causa inevitabilmente la sua distruzione, risultando di conseguenza gravemente illecito. In questo caso la ricerca… non si pone veramente a servizio dell’umanità. Passa infatti attraverso la soppressione di vite umane che hanno uguale dignità rispetto agli altri individui umani e agli stessi ricercatori» (Istruz, n. 32).
• «L’utilizzo di cellule staminali embrionali, o cellule differenziate da esse derivate, eventualmente fornite da altri ricercatori, sopprimendo embrioni, o reperibili in commercio, pone seri problemi dal punto di vista della cooperazione al male e dello scandalo» (Istruz, n. 32).
• Si rileva comunque che numerosi studi tendono ad accreditare alle cellule staminali adulte dei risultati più positivi se confrontati con quelle embrionali.
2) i tentativi di ibridazione?
«Recentemente sono stati utilizzati ovociti animali per la riprogrammazione di nuclei di cellule somatiche umane… , al fine di estrarre cellule staminali embrionali dai risultanti embrioni, senza dover ricorrere all’uso di ovociti umani» (n. 33). «Dal punto di vista etico simili procedure rappresentano una offesa alla dignità dell’essere umano, a causa della mescolanza di elementi genetici umani ed animali capaci di turbare l’identità specifica dell’uomo» (Istruz, n. 33).
Il Primicerio
della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Roma
Monsignor Raffaello Martinelli
NB: per approfondire l’argomento si legga:
– l’Istruzione “Dignitas personae. Su alcune questioni di bioetica” (abbr. Istruz), pubblicata il 12 dicembre 2008 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il Papa chiede la "giusta realizzazione" delle aspirazioni dei bisognosi - Congedandosi dall'Angola questo lunedì
LUANDA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- Congedandosi questo lunedì dall'Angola, seconda tappa del viaggio in Africa che lo ha visto visitare anche il Camerun nei giorni scorsi, Benedetto XVI ha chiesto alle autorità locali di avere a cuore gli interessi dei più bisognosi.
"Se mi è permesso rivolgere qui un appello finale - ha detto nel discorso pronunciato all'aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda -, vorrei chiedere che la giusta realizzazione delle fondamentali aspirazioni delle popolazioni più bisognose costituisca la preoccupazione principale di coloro che ricoprono le cariche pubbliche, poiché la loro intenzione - sono certo - è quella di svolgere la missione ricevuta non per se stessi ma in vista del bene comune".
"Il nostro cuore non può darsi pace finché ci sono fratelli che soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali", ha dichiarato.
"Per arrivare a dare una risposta concreta a questi nostri fratelli in umanità", ha aggiunto il Papa, "la prima sfida da vincere è quella della solidarietà: solidarietà fra le generazioni, solidarietà fra le Nazioni e tra i Continenti che generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini".
Il Pontefice ha espresso di fronte alle autorità angolane, tra cui il Presidente della Repubblica Eduardo dos Santos, "apprezzamento" e "gratitudine" per il trattamento che ha ricevuto durante la sua visita nel Paese e "per le disposizioni prese per facilitare lo svolgimento dei diversi incontri che ho avuto la gioia di vivere".
Allo stesso modo, ha ringraziato Dio per "aver trovato una Chiesa viva e, nonostante le difficoltà, piena di entusiasmo, che ha saputo prendere sulle spalle la sua croce e quella altrui, rendendo testimonianza davanti a tutti della forza salvifica del messaggio evangelico".
La Chiesa in Angola, ha constatato, "continua ad annunziare che è arrivato il tempo della speranza, impegnandosi nella pacificazione degli animi e invitando all'esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi alla accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e sentimenti di ciascuno".
Di fronte a questo esempio di realtà ecclesiale, Benedetto XVI ha confessato di ripartire "rattristato per dovervi lasciare, ma contento di aver conosciuto un popolo coraggioso e deciso a rinascere".
"Nonostante le resistenze e gli ostacoli, questo popolo intende edificare il suo futuro camminando per sentieri di perdono, giustizia e solidarietà", ha aggiunto.
"Fratelli e amici di Africa, carissimi angolani, coraggio! - ha esclamato -. Non vi stancate di far progredire la pace, compiendo gesti di perdono e lavorando per la riconciliazione nazionale, affinché mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull'amore fraterno".
Ciò, ha concluso, "sarà possibile se vi riconoscerete a vicenda quali figli dello stesso e unico Padre del Cielo".
23/03/2009 14:04 - HONG KONG - Le scuole cattoliche di Hong Kong a rischio - L’Ordinanza sull’educazione prevede ingerenze statali nella gestione delle scuole private. La Chiesa afferma che il provvedimento rischia di snaturare la missione degli istituti legati a congregazioni e ordini religiosi.
Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) - La diocesi di Hong Kong è in apprensione per il futuro della scuole cattoliche sull’isola. A preoccupare sono le conseguenze dell’Ordinanza sull’educazione varata nel 2004 secondo cui ogni scuola sostenuta economicamente dal governo deve approntare un comitato organizzativo interno (School Management Committee, Smc) con valore legale separato da quello delle istituzioni educative (Sponsoring bodies, Sb).
Il governo sostiene che questo permette una maggiore trasparenza e una migliore democrazia mentre per i responsabili delle scuole private è solo una manovra per intromettersi nella gestione interna degli istituti che finirebbe per snaturarne l’impostazione fino ad estrometterne la componente cattolica.
Il cardinale Zen Ze-kiun, arcivescovo di Hong Kong, ha già espresso a più riprese la sua preoccupazione affermando che il provvedimento del governo non riconosce il contributo alla società dato dalle scuole cattoliche. Ora il Sunday Examiner, settimanale della diocesi, torna a risollevare il problema nel timore che le scuole cattoliche non possano godere dell’esenzione dall’Ordinanza garantita almeno sino al 2012.
Il Sunday Examiner sottolinea che il modello proposto dal governo per migliorare la qualità dell’insegnamento e della gestione di molte scuole rischia di rivelarsi controproducente per gli istituti cattolici il sui valore e prestigio è riconosciuto dalla società di Hong Kong.
Le scuole della diocesi danno particolare importanza alla promozione di valori religiosi, etici e spirituali nella loro proposta educativa. Se gli oltre 200 istituti legati alla Chiesa non avessero la libertà di continuare secondo questa impostazione la loro missione verrebbe stravolta e questo arrecherebbe un danno all’intera società di Hong Kong.
PAPA/ 1. Il viaggio reale in Africa, oltre le cronache dei media - John L. Allen - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Credo di non aver mai seguito una visita del Papa dove la distanza tra le percezioni interne ed esterne sia stata così ampia: è quasi come se il Papa avesse fatto due viaggi separati in Camerun, uno quello riportato a livello internazionale, l’altro quello vissuto realmente dagli africani.
Negli Stati Uniti e in molte altre parti del mondo, la copertura è stata a “tutto preservativo, per tutto il tempo”, innescata dalle osservazioni di Benedetto sull’aereo riguardo al fatto che i preservativi non sono il modo corretto di combattere l’Aids. Invece, in Africa la visita del Papa è stata un successo e una larga folla è accorsa a vedere il Papa. Benedetto stesso sembra essere stato travolto dall’entusiasmo.
Per due volte si è riferito all’Africa come al “continente della speranza” e, a un certo punto, questo raffinato teologo ha perfino riflettuto ad alta voce su una nuova esplosione di energie intellettuali in Africa, che potrebbe portare a una versione del ventunesimo secolo della famosa scuola di Alessandria, che diede personalità alla Chiesa primitiva quali Clemente e Origene.
Per quanto possa sembrare irragionevole agli occidentali, è difficile trovare in Camerun qualcuno che consideri particolarmente importante la questione dei preservativi, a parte giornalisti, missionari o impiegati di Ong stranieri. I locali hanno opinioni ovviamente differenziate sull’efficacia dei preservativi nella lotta all’Aids, ma non considerano questo l’elemento dominante l’avvenimento. Al dunque: vista dall’estero, la visita del Papa è stata centrata sui preservativi, localmente, è stata sentita come una celebrazione del cattolicesimo africano. Di seguito, una esperienza surreale che sottolinea questa divergenza.
Martedì, ho preparato un articolo sull’indiretto, ma evidente, rimprovero al presidente del Camerun, Paul Biva, già seminarista cattolico, che ha tentato ripetutamente di avvolgersi nella bandiera del Papa durante la visita di Benedetto. Manifesti in giro per Yaoundè dichiaravano una “comunione perfetta” tra i due ed erano stati distribuiti camicie e vestiti con le foto di Biva e Benedetto. Biva è, comunque, un tipico uomo forte africano, al potere in Camerun dal 1982 con un misto di repressioni occasionali e di corruzione continua.
Benedetto non ha voluto imbarazzare l’ospite, ma non ha lasciato neppure che foto e manifesti implicassero la sua approvazione. Così, senza citare Biva direttamente, ha detto in modo chiaro che i cristiani devono prendere posizione contro “la corruzione e gli abusi del potere”. Questo è stato sufficiente a creare un’onda d’urto in tutto il Camerun ed è sembrato rinvigorire i leader della Chiesa locale. Il mattino dopo, il Cardinale Christian Tumi, unico Cardinale del Camerun, ha chiesto pubblicamente a Biva di non candidarsi alle elezioni fissate per il 2011, una cosa che prima nessuno avrebbe osato fare.
Stavo descrivendo questo nel mio articolo, quando ho dovuto interrompermi per un’intervista con la CNN International sul primo giorno della visita…. intervista interamente dedicata alla controversia sui preservativi. Sinceramente, mi sono domandato se stavamo parlando dello stesso evento.
Detto questo, vorrei chiarire la questione. Questo distacco di percezione non è esclusivamente, o perfino primariamente, colpa dei media. Il giornalista della Tv francese che in aereo ha posto la domanda sui preservativi era entro i limiti della correttezza: l’Aids è un problema grave ed è corretto interrogare su questo punto il Papa, in occasione della sua prima visita al continente che più è colpito da questo flagello. Una volta posta la domanda, la palla era a Benedetto e buona parte di quello che è successo dopo è derivante dalla sua risposta.
Con questo, non sto prendendo posizione sulla sostanza della risposta del Papa, che ha ripetuto l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione e in accordo con l’opinione di quasi tutti i vescovi africani da me intervistati, secondo i quali il preservativo dà alla loro gente un falso senso di invulnerabilità, spingendoli così a una condotta sessuale più a rischio. Questa opinione può essere discussa, ma non si può accusare il Papa di seguire le indicazioni dei suoi vescovi in loco (tanto più che, normalmente, i Papi vengono accusati proprio di non ascoltare i vescovi locali).
Il punto è se quello era il momento e il luogo giusto di dire queste cose, sapendo che ciò avrebbe messo in ombra il messaggio vero che Benedetto stava portando all’Africa (non è la prima volta: in volo verso il Brasile nel 2007, rispose a una domanda circa la scomunica dei politici che sostengono il diritto all’aborto, compromettendo l’effetto del primo giorno della sua prima visita in America Latina).
Si tratta di un problema ben noto a chi è abituato alle telecamere e che deve vedersela con una domanda che non porta a nulla di buono. Benedetto avrebbe potuto dire qualcosa tipo: “Naturalmente la Chiesa è profondamente coinvolta con il problema Aids, il che spiega perché un quarto di tutti i malati di Aids nel mondo è curato in ospedali e altre strutture cattoliche. Per quanto riguarda i preservativi, il nostro insegnamento è ben conosciuto, ma questo non è il momento per discuterne. Invece, vorrei focalizzarmi sul mio messaggio di speranza per i popoli africani” e così via.
Sarebbe probabilmente finita con: “Benedetto ha ignorato la domanda sui preservativi”, senza sollevare nessun putiferio. Qualcuno, speranzoso, potrebbe dire che la sceneggiata sui preservativi ha almeno attirato l’attenzione del mondo sulla visita in Africa, ma non è così, perché l’Africa è diventata lo sfondo di un altro round della guerra culturale in Occidente.
Rimane comunque il fatto che queste discussioni hanno lasciato un’impressione fortemente distorta degli scopi e dei contenuti della visita del Papa in Camerun. Se la prima regola per valutare un evento è di capire cosa è realmente successo, il trarre conclusioni dal viaggio africano di Benedetto richiede molto di più che non seguire i sussulti del dibattito sui preservativi.
PAPA/ 2. L'Africa e le ossessioni dell'Occidente - John Waters - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Andando in giro per l’Uganda negli ultimi anni, era molto difficile non notare lungo le strade la pubblicità sponsorizzata dal governo. In una vi era una foto con un uomo sorridente, sui sessant’anni, con lo slogan: «Dì di no ai vecchi e ricchi amanti». In un altro manifesto vi era invece la foto di un uomo leggermente più giovane e la scritta: «Vorresti che quest’uomo andasse a letto con tua figlia? E allora perché tu ci vai con la sua?». Questi manifesti facevano parte della lunga campagna di successo dell’Uganda contro l’AIDS ed erano diretti a creare una barriera sessuale fra le generazioni.
Negli anni 1980, l’Uganda era l’epicentro della catastrofe africana dell’AIDS, ma è riuscita a invertire la diffusione della malattia puntando sul cambiamento culturale: astinenza, fedeltà e educazione sull’uso del preservativo. In Europa e America, tuttavia, ogni volta che si citano AIDS e Africa scatta il presupposto che i preservativi siano, fuor di ogni dubbio, l’unica soluzione.
Il Papa non era ancora sceso dall’aereo in Camerun, che i media occidentali avevano già incominciato a pompare la loro propaganda di parte, dicendo che il Papa aveva detto che il problema del’AIDS non poteva essere risolto dai preservativi, «che anzi aggravano i problemi».
Come al solito, si asseriva che la lotta contro l’AIDS in Africa era solo questione di preservativi e che la Chiesa cattolica trattava questo problema con un pericoloso oscurantismo. I portavoce dei governi europei affermavano che l’uso del preservativo era l’elemento vitale nella lotta contro l’AIDS e ci veniva detto che «perfino» alcuni preti e suore impegnate contro l’AIDS pensavano che il Papa avesse torto.
Ma per ognuna di queste voci, c’erano centinaia di preti, suore e altri impegnati contro l’AIDS per i quali l’ossessione occidentale per i preservativi portava fuori strada. Quello che funziona è l’agire per cambiare i comportamenti sessuali e la Chiesa cattolica è da lungo al primo posto nel promuovere queste iniziative.
Al centro del «dai addosso al Papa» c’è una grande assurdità. L’AIDS è stato diffuso in Africa soprattutto dai camionisti che frequentavano le prostitute lungo le arterie stradali che attraversano il continente. Il Papa, oltre ai preservativi, è contrario anche alla prostituzione e al sesso al di fuori del matrimonio, eppure si argomenta che chi ha diffuso l’AIDS con il suo comportamento promiscuo, utilizzerebbe il preservativo se solo il Papa glielo dicesse. Ma il Papa Benedetto non è né un legislatore, né un politico. Egli ha solo il potere di proclamare la verità come l’ha ricevuta, lasciando ad ognuno la libertà di decidere per se stesso.
Che piaccia o meno al libertario Occidente, vi sono molte prove che dimostrano che in Africa l’enfasi sulla monogamia e la continenza sessuale può vincere l’AIDS. L’Uganda già molti anni fa aveva identificato il problema come culturale e il governo aveva varato il programma ABC (astinenza, fedeltà e uso di preservativi), dove però i preservativi non costituivano una parte predominante, soprattutto perché il presidente Yoweri Museveni pensava rappresentassero una falsa speranza senza un cambiamento nelle abitudini sessuali. Sotto la spinta degli occidentali, qualche tempo dopo il Ministero della sanità cominciò a distribuire circa 80 milioni di preservativi gratuiti all’anno, quantità che ora si è di molto ridotta, dopo la scoperta di forniture difettose.
In 25 anni, la partecipazione su larga base e i programmi educativi hanno contribuito a uno spettacoloso declino nel numero delle persone che contraggono HIV e AIDS. La fedeltà ad un singolo partner è stato il principale messaggio delle prime campagne di prevenzione e la First Lady Janet Museveni è stata una decisa sostenitrice dell’astinenza ed è stata per questo ampiamente criticata dagli stessi che attaccano regolarmente il Papa.
Negli ultimi anni c’è stato un leggero arretramento nella situazione ugandese per quanto riguarda l’AIDS . I critici hanno immediatamente accusato le politiche sull’astinenza, ma la situazione non è così netta. Nonostante la propaganda occidentale cerchi di negarlo, vi sono prove che la disponibilità di preservativi possa aver diluito il messaggio iniziale, provocando un ritorno alle vecchie abitudini.
Teoricamente, si potrebbe anche pensare che i programmi di continenza sessuale e le strategie sul sesso sicuro possano essere complementari tra loro, ma in pratica i due approcci sono incompatibili. Una volta che si promuove l’uso del preservativo, allo stesso tempo si accetta che l’astinenza non è più una opzione convincente. E se si argomenta, come fa la Chiesa cattolica, che la promiscuità sessuale favorisce l’AIDS, diventa assurdo raccomandare misure che suggeriscono implicitamente una relativizzazione di questa posizione.
Si tratta di un tema complesso, che certamente non può essere ridotto a una semplice questione di preservativi. Ciò di cui ha bisogno il mondo è una profonda e sincera discussione e non una bigotta propaganda libertaria mascherata da reportage.
USA/ Il piano Geithner e la vittoria di Wall Street su Obama - Gianni Credit - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
I banchieri di Wall Street: a) hanno violato le regole della prudente gestione - e in qualche caso del codice penale - e hanno lasciato milioni di persone senza casa in America e senza risparmi in tutto il mondo; b) hanno intascato nel contempo stipendi e bonus fantamilionari, in qualche caso trasferendoli direttamente dalle tasche altrui.
Gli stessi banchieri pretendono ora: a) di essere salvati grazie alle tasse pagate dei medesimi danneggiati (che quindi beneficeranno di minor spesa sociale e diventeranno cittadini di uno Stato più indebitato); b) di non rispondere né in via finanziaria né tanto meno in via giudiziaria dei danni causati (salvo benefici - rigorosamente fiscali - ad hoc per gli investitori super-Vip dei fondi Madoff); c) di proseguire indisturbati a gestire i mercati senza restrizioni per il futuro: anzitutto - ancora una volta - sui loro bonus.
Se sottoscrivete la sostanza di questo schema interpretativo, c'è il caso che veniate subito catalogati come manichei, demagogici, “giustizialisti” della crisi finanziaria, pericolosi “antimercatisti”. Più oggettivamente è probabile che vi troviate oggi tra coloro che hanno storto la bocca di fronte al “piano Geithner” annunciato ieri sera a Washington come “soluzione finale” della crisi bancaria.
Sareste comunque in buona compagnia: ad esempio con il Nobel per l'Economia 2008 Paul Krugman che sul New York Times ha criticato l'amministrazione Obama per essersi mostrata «troppo dipendente» dall'establishment finanziario. Potreste trovarvi d'accordo anche con gli analisti del Credit Suisse che - un'ora dopo il comunicato del Tesoro Usa - hanno subito mandato in rete tutto il loro “scetticismo” tecnico sull'impatto del piano e hanno ribadito la loro preferenza per la ricapitalizzazione delle banche piuttosto che per la maxi-ripulitura di titoli tossici.
Non vi è spiaciuta, probabilmente, la durezza di un economista italiano di Chicago, come Luigi Zingales, che stamattina sulle colonne de Il Sole 24 Ore ha accusato il nuovo esecutivo democratico di aver partorito nulla più e nulla meno che un “regalo” a Wall Street. Quest'ultima, tuttavia, ieri sera, puntualmente, ha ringraziato: regalando - a sé e a Obama - il primo, vero, convinto rally dopo il cambio alla Casa Bianca. Le Borse mondiali pure e i titoli bancari - anche in Piazza Affari - hanno trainato gli indici.
«La crisi è finita, i mercati hanno sempre ragione, il piano Geithner funziona e sarebbe stato bene far funzionare da subito il piano Paulson, basta con le polemiche e i moralismi sugli aiuti pubblici e gli stipendi dei banchieri». Questo vi sarà presumibilmente obiettato da chi adotta uno schema interpretativo opposto al vostro. Il sistema bancario ha accusato (soltanto) un (grosso) incidente di percorso e non affatto rivelato di essersi trasformato in una bisca fraudolenta.
La responsabilità di chi ha concesso i mutui subprime, li ha poi trasformati in derivati o li ha sottoscritto come gestore di fondo comune o fondo pensione non sono minori di quelle di chi ha chiesto/accettato quel mutuo insostenibile o di chi ha comprato un prodotto finanziario legato a operazioni ad alto rischio. Un risparmiatore che ha perso tutto, almeno in parte, non ha vigilato abbastanza su chi e come gestiva i suoi soldi.
Gli aiuti pubblici? Sono il costo di cui una collettività non può alla fine non caricarsi se non ha investito abbastanza nella vigilanza dei sistemi finanziario: se non ha dato più mezzi a banche centrali e authority, se non ha spinto i propri parlamenti a varare regole di governance societaria e istituzioni di supervisione realmente funzionanti. E sui bonus ai banchieri vi sentirete ripetere: è possibile pagare il capo di un'organizzazione internazionale con decine di migliaia di professionisti come un direttore regionale delle poste?
Attenzione: se tra sei mesi la stabilizzazione del sistema bancario si tradurrà in un ripresa dei mercati azionari, in un allentamento del credit crunch globale, nella diminuzione dei rischi di default di interi Stati e in un'accelerazione complessiva dell'uscita dalla recessione, avranno ragione i fautori della seconda visione e non solo culturalmente. Sarà certificato che i mercati finanziari sono «troppo grandi, troppo importanti per fallire», anzi: possono dettare sempre e comunque le loro regole alla politica e alla società civile. Saremo probabilmente entrati in una forma diversa di democrazia - e forse sarà il caso di discuterne. Ma il fatto storico - l'uscita dalla crisi - non potrà essere negato.
Non è certo che Obama e il suo bistrattato ministro del Tesoro abbiano voluto arrendersi, anzi: sollecitando il settore privato a un sostanziale “contributo di solidarietà” alla gestione della crisi, hanno provato a reggere, sia dal punto finanziario che politico. È chiaro che - dal punto di vista del neo-eletto presidente-democratico-nero - Wall Street non può pensare di salvarsi e di lucrare sul proprio stesso salvataggio per il fatto che l'Azienda America, il suo dollaro, il sistema pensionistico non possono collassare. Però ieri il Tesoro ha messo sul tavolo da 75 a 100 miliardi per mettere in piedi cinque “discariche” (bad bank) per almeno metà dei 2mila miliardi ufficiali di asset tossici e il settore privato si è limitato a festeggiare il rialzo delle Borse.
E si attende ancora che banche, hedge fund e altre istituzioni private investano cifre comparabili in queste maxi-holding che - nelle aspettative - dovrebbero rilevare a costo molto basso i titoli illiquidi e liquidarli poi nel tempo con riprese di valore. Il prezzo di “scarico” sarà ovviamente decisivo nel far pesare il costo sulle banche (sui loro azionisti, creditori e manager) oppure sulla bad bank: e quindi anche sui contribuenti che le finanziano.
Così come resta bollente il nodo dei bonus: le banche (non solo in America) sono state ricapitalizzate e ora vengono anche “ripulite” (e ora si passerà prevedibilmente ai colossi dell'auto). E' giusto che chi ha gestito queste aziende finora rimanga al suo posto o abbia impunità finanziaria e giudiziaria? I casi di Merrill Lynch (8 supermanager auto-premiati prima della fusione in BankAmerica, aiutata da fondi pubblici) e di Aig (l'istituzione più aiutata in assoluto) costituiscono precedenti poco incoraggianti.
Vedremo ora se al G-20 di Londra (prima uscita europea di Obama) i capi di Stato serreranno i ranghi, incuranti delle accuse strumentali di ri-statalizzazioni indebite; o se invece l'apertura del cantiere sul “nuovo ordine finanziario” sancirà i confini di fatto segnati dalla crisi: con i banchieri a sfidare i politici a “venirli a prendere” nei loro bunker.
SCUOLA/ Educazione: che errore dimenticarsene in tempo di crisi - Giovanni Cominelli - martedì 24 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Lanciato da un Appello, sottoscritto il 17 novembre del 2005 da opinion leaders, da opinion makers, da operatori dell’educazione, ripreso nel linguaggio quotidiano della pubblicistica e del dibattito politico, l’allarme per l’emergenza educativa che il Paese attraversa sembra ora svanire lontano, come il suono dell’ambulanza che si perde nei mille rumori del traffico metropolitano. Il boato della crisi finanziaria ed economica globale ha riempito le nostre orecchie di un rumore più lacerante e continuo. Eppure l’Appello era amaramente realistico e profetico: «L’Italia è attraversata da una grande emergenza. Non è innanzitutto quella politica e neppure quella economica… ma qualcosa da cui dipendono anche la politica e l’economia. Si chiama “educazione”… Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli». Esso chiedeva alle famiglie, alla scuola, alla società, alla politica di assumersi, ciascuno, le proprie responsabilità.
Ora, la “Grande crisi” apre prospettive drammatiche di sofferenza, di incertezza, di solitudine per milioni di persone nel nostro Paese. In questo scenario l’Appello esige una verifica e un rilancio. Giacché di tutte le misure urgenti, quelle più urgenti dovrebbero riguardare l’educazione delle giovani generazioni. Viceversa, la reazione prevalente della classe dirigente di questo Paese pare riprodurre antichi riflessi keynesiani da seconda rivoluzione industriale: immettere denaro pubblico nelle banche, nelle imprese, nell’edilizia, nei trasporti, nei ponti ecc…ecc…
E nell’educazione? Il presidente Obama ha stanziato per il sistema educativo americano 115 miliardi di dollari su 700 circa investiti per tamponare la crisi, circa il 16%. Investe 115 miliardi non per finanziare la riproduzione di strutture obsolete e inefficienti, ma per scommettere sulle “charter schools”, scuole pubbliche messe in piedi ad hoc, per un periodo determinato, sottoposte a verifica quinquennale. Soldi e innovazioni, questa sembra essere la filosofia. Dietro sta l’idea che l’educazione è condizione di tenuta antropologica, sociale e di sviluppo economico. Sta la percezione che questa crisi è anche l’ultima del tempo storico della seconda rivoluzione industriale e che occorra attrezzarsi per l’economia della conoscenza, per il Lifelong/Lifewide/Integrated Learning. E forse è salutare.
E qui in Italia? Dopo lo slancio riformistico Berlinguer-Moratti, è stata praticata una filosofia minimalista, fatta di manutenzione dell’esistente e di rinvii al futuro di misure pensate già tempo fa come urgenti. La politica finanziaria dell’istruzione dell’ultimo anno ha potato tutti gli alberi del giardino alla stessa altezza, quelli alti e quelli bassi, quelli ormai secchi e quelli verdeggianti. Ha fatto cassa senza razionalizzare e senza investire. Dal flusso dei miliardi di euro che la crisi ha smosso, il sistema educativo nazionale è stato tagliato fuori, salvo che per pochi spiccioli per l’edilizia…scolastica. Eppure è facile prevedere che reggeranno quei Paesi e quei sistemi, la cui infrastruttura antropologica, sociale, scientifica, conoscitiva sia oggetto di cura privilegiata e di investimenti lungimiranti. Pertanto servono innovazioni e soldi. Risparmiare senza innovare si può fare un anno o due, ma poi le mort saisit le vif. Il vecchio sistema non riformato riprenderà a ingoiare denaro e a sottoprodurre cattiva educazione.