mercoledì 18 marzo 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Passa l’eutanasia in Lussemburgo e l’adozione di minori per coppie gay in Danimarca
2) Il Papa porta in Africa la dottrina sociale in piena crisi finanziaria
3) Il caso della bambina brasiliana non si può ridurre alla scomunica
4) Riflessioni sulla «Dignitas personae» - La cura dell'infertilità - di Maria Luisa Di Pietro - Università Cattolica del Sacro Cuore – L’Osservatore Romano, 18 marzo 2009
5) Campagna dei vescovi in Spagna in occasione della Giornata per la vita del 25 marzo - La vera giustizia è proteggere il nascituro – L’Osservatore Romano, 18 marzo 2009
6) 17/03/2009 17:07 - VATICANO-CAMERUN - Papa: in Africa, di fronte al male il cristiano non può rimanere in silenzio
7) USA/ La fede di Obama e il sogno bipartisan - Lorenzo Albacete - mercoledì 18 marzo 2009 – ilsussidiario.net
8) FILOSOFIA/ Horkheimer e Adorno: che cosa “illuminò” l’Illuminismo? - Redazione - mercoledì 18 marzo 2009 – ilsussidiario.net
9) 18/03/2009 10:35 – RUSSIA - La comunità ebraica russa teme per il suo futuro. A rischio la missione degli stranieri Espulsi due rabbini perché svolgevano attività missionaria avendo solo visti turistici. Medvedev afferma di non voler interferire negli affari religiosi. Il ministero della giustizia annuncia una nuova legge per regolamentare l’attività missionaria degli stranieri.
10) IL DESTINO DI ESSERE PRETI - QUEI VOLTI LASCIANO TRASPARIRE UN ALTRO VOLTO - MARINA CORRADI – Avvenire, 18 marzo 2009


Passa l’eutanasia in Lussemburgo e l’adozione di minori per coppie gay in Danimarca
LUSSEMBURGO Neutralizzato il Granduca Henri, la legge che legalizza l’eutanasia è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Lussemburgo. Il Granducato diventa così il terzo paese, dopo Olanda e Belgio, ad avere eliminato le sanzioni penali nei confronti dei medici che aiutano i pazienti che desiderano morire a raggiungere il loro scopo.
DANIMARCA Il parlamento danese ha approvato con uno stretto margine un provvedimento che rende possibile l'adozione alle coppie omosessuali. L' ultimo ostacolo, si è augurato il deputato proponente, sarà rimosso "in un avvenire non lontano", consentendo agli omosessuali di sposarsi in chiesa. La Danimarca è stato il primo Paese del mondo ad adottare, nell'ottobre del 1989, il matrimonio civile fra omosessuali, accordando loro gli stessi diritti dei coniugi eterosessuali, ad eccezione di quello all'inseminazione artificiale - divieto poi tolto nel 2007 - e all'adozione.
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EUTANASIA/
È legge in Lussemburgo, il terzo paese nell’UE

Dopo Belgio e Olanda, anche il Lussemburgo, terzo paese in Ue, ha una legge sull'eutanasia. «Non è sanzionato penalmente e non può dar luogo ad un'azione civile per danni, il fatto che un medico risponda ad una richiesta di eutanasia o di assistenza al suicidio», si legge all'articolo due della normativa pubblicata oggi sulla Gazzetta ufficiale del Granducato. La legalizzazione arriva dopo un lungo percorso che ha condotto il piccolo Paese europeo, dove gli abitanti sono nella maggior parte cattolici, anche a modificare la Costituzione. Padre di cinque figli e marito della cattolicissima Maria-Teresa, il cinquantenne Granduca Henri, che regna dal 2000, pur di non controfirmare la legge sull'eutanasia, ha infatti accettato una sostanziale riduzione dei suoi poteri, sanciti dalla Carta costituzionale. La monarchia lussemburghese, alla stregua di quella dei paesi nordici, è stata così ridotta al solo ruolo protocollare. La normativa, presentata da alcuni parlamentari nel 2001, era stata approvata il 18 dicembre scorso, dalla Camera dei deputati in seconda lettura con 31 voti a favore, 26 contro e tre astenuti, dopo cinque ore di dibattito. A niente era valso anche l'appello preoccupato di Benedetto XVI che, tramite il nuovo ambasciatore presso il Vaticano, si era rivolto ai parlamentari lussemburghesi perché non approvassero la legge «malvagia dal punto di vista morale». A dire sì i deputati socialisti, che fanno parte della maggioranza di governo, quelli liberali e verdi, che sono all'opposizione. Tutti i partiti, tuttavia, compreso i cristiano-sociali, a cui appartiene il premier Jean-Claude Juncker avevano lasciato libertà di coscienza. Era stato lo stesso Juncker, pur contrario personalmente alla depenalizzazione dell'eutanasia, a dire di essere pronto a modificare la Costituzione per evitare una crisi istituzionale, rispettando così l'opinione del Granduca ma anche la decisione del Parlamento. La legge lussemburghese detta regole molto stringenti e si basa sul modello già adottato in Belgio, secondo Paese dell'Ue ad aver legalizzato l'eutanasia, a determinate condizioni, dopo l'Olanda che nel 2002 ha fatto da apripista. Tra i paesi europei, anche in Svizzera è ammessa una forma di suicidio assistito.
Il Sussidiario martedì 17 marzo 2009

Danimarca, le coppie omosessuali potranno adottare
Il provvedimento è stato adottato di stretta misura con il voto determinante di alcuni parlamentari conservatori. Il ministro della Giustizia danese, il conservatore Brian Mikkelsen, ha osservato che al momento si tratta solo di una legge “simbolica”, in quanto nessun Paese di quelli che lavorano con le agenzie di adozione danesi non consentono affidamenti alle coppie gay. La Danimarca è stato il primo Paese del mondo ad adottare, nel 1989, il matrimonio civile fra omosessuali.
Copenhagen, 17 mar. (Ap) - I parlamentari danesi hanno approvato una legge che concede alle coppie omosessuali gli stessi diritti di quelle etero in tema di adozioni.
La Danimarca si unisce così alla lista, per ora breve, di Paesi europei, tra cui Spagna, Olanda, Belgio e Svezia, nei quali le coppie dello stesso sesso potranno adottare un bambino. La legge è passata dopo un voto "sul filo del rasoio", con 62 sì, 53 no e 64 assenti.
La legge è stata presentata da un parlamentare dichiaratamente gay, che ha trovato il sostegno dell'opposizione socialdemocratica e del partito socialista danese. Mentre l'esecutivo di centro-destra si è opposto al progetto, sette esponenti del partito liberale al governo hanno votato a favore. Finora nel paese scandinavo l'adozione era concessa solo a coppie etero o ai single.
notizie.virgilio.it/


Il Papa porta in Africa la dottrina sociale in piena crisi finanziaria
Rivolge un appello alla solidarietà con il continente

YAOUNDÉ, martedì, 17 marzo 2009 (ZENIT.org).- Nel pieno di una crisi finanziaria che corre il rischio di tagliare fuori l'Africa dai programmi di sviluppo, Benedetto XVI ha spiegato questo martedì ai giornalisti che con il suo viaggio intende promuovere la dottrina sociale, e in particolare la solidarietà.
Il Papa ha risposto a sei domande dei giornalisti in circa mezz’ora a bordo del Boeing 777 dell'Alitalia che lo ha portato da Roma a Yaoundé (Camerun) per iniziare il suo undicesimo viaggio apostolico internazionale, il primo nel continente africano.
In particolare, ha affrontato l'impatto della crisi economica nei Paesi poveri e l’importanza dell’etica per un retto ordine economico mondiale, argomento che sarà sviluppato ulteriormente anche nella prossima Enciclica, rimandata proprio a causa della congiuntura mondiale.
Si è scatenata la tempesta e, di conseguenza, sono state riviste alcune cose alla luce dei nuovi avvenimenti per cercare risposte sempre più confacenti, ha spiegato.
“Spero che l’Enciclica potrà anche essere un elemento, una forza per superare questa crisi”, ha confessato.
Secondo il Papa, la causa della recessione è soprattutto di carattere etico, perché “dove manca l'etica, la morale, non può esserci correttezza nei rapporti”.
Per questo motivo, ha aggiunto, durante il suo viaggio in Camerun e Angola parlerà di Dio e dei grandi valori della vita cristiana, offrendo su questo terreno anche un contributo all'analisi e alla comprensione della crisi economica.
Il Pontefice ha assicurato che farà appello alla comunità internazionale perché sia solidale con l'Africa.
“La solidarietà e la carità fanno parte della cattolicità – ha ricordato –. Dunque, è proprio dai cattolici che mi aspetto qualcosa di più”.
In Africa, ha rilevato, ci sono nuovi Governi e nuove disponibilità nella lotta contro la corruzione, che è uno dei più grandi mali da sconfiggere.
Benedetto XVI ha espresso la sua soddisfazione per la visita nel continente, un progetto che accarezzava fin dall'inizio del suo pontificato.
“Io amo l’Africa, ho tanti amici africani già dai tempi in cui ero professore fino a tutt’oggi. Amo la gioia della fede, questa gioiosa fede che si trova in Africa”.
Con la sua visita, ha commentato, vuole promuovere la fede che caratterizza la Chiesa in Africa. Visto che la Chiesa non è “una società perfetta”, ha riconosciuto, farà appello anche a “una purificazione” non delle strutture, ma del cuore e della coscienza, perché le strutture sono il risultato di ciò che è il cuore.
Il Papa ha anche parlato dell’Aids e della prospettiva cristiana dell’amore e della sessualità, così come dell’impegno efficace e positivo di tante istituzioni cattoliche a vantaggio dei malati e dei sofferenti, un messaggio di speranza per l’Africa e per la Chiesa nel continente.
“Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari”, ha dichiarato, spiegando che la soluzione di questo dramma non può essere meramente economica.
“Non si può superare con la distribuzione di preservativi, che al contrario aumentano il problema. La soluzione può solo essere una umanizzazione della sessualità, un rinnovo spirituale e umano”.
A chi gli ha chiesto un commento sull'immagine di un Pontefice “solo” diffusa in questi giorni dai media dopo il caso Williamson e la revoca delle scomuniche, Benedetto XVI ha risposto sorridendo: “Per dire la verità, viene un po' da ridere del mito della solitudine del Papa. In nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo delle visite dei collaboratori più stretti, incominciando dal segretario di Stato”.
“Sono realmente circondato da amici e in stupenda collaborazione con Vescovi, collaboratori, laici e sono grato per questo”.
Il Papa ha anche parlato delle sette religiose, fenomeno importante in Africa, ricordando che l'annuncio cristiano è un annuncio sereno, perché propone un Dio vicino all'uomo e dà vita a una grande rete di solidarietà.
Le stesse religioni tradizionali si stanno aprendo al messaggio evangelico, ha detto, perché cominciano a vedere che il Dio dei cattolici non è un Dio lontano.
Il Pontefice ha quindi ribadito la sua fiducia nel dialogo interreligioso. Parlando dei rapporti con i musulmani, ha assicurato che sta crescendo il rispetto reciproco nella comune responsabilità etica.


Il caso della bambina brasiliana non si può ridurre alla scomunica
Il presidente dei Vescovi brasiliani critica le tante riduzioni giornalistiche

BRASILIA, martedì, 17 marzo 2009 (ZENIT.org).- Il presidente della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB), monsignor Geraldo Lyrio Rocha, ha affermato che il caso della bambina violentata nello Stato del Pernambuco non si può ridurre alla questione della scomunica.
La piccola, di nove anni, è stata stuprata per lungo tempo dal patrigno nella città di Alagoinha. E' rimasta incinta di due gemelli e ha interrotto la gravidanza.
Secondo quanto reso noto dalla Sala Stampa della CNBB, monsignor Lyrio ha espresso venerdì a Brasilia il suo dolore per l'accaduto. L'organismo episcopale ha anche diffuso una nota sulla questione.
“Penso alla situazione della madre di questa bambina e agli altri familiari. E' una sofferenza enorme, un'umiliazione che una bambina sia sfruttata sessualmente dal patrigno dai sei anni di età”, ha affermato.
“E' una cosa ripugnante e mi lascia perplesso il fatto che questo aspetto così orribile si sia diluito di fronte alla storia della scomunica, che comunque deve essere trattata - ha aggiunto -. Ridurre tuttavia una problematica di questa portata solo all'episodio della storia della scomunica vuol dire svuotare una questione sulla quale la coscienza nazionale deve essere risvegliata”.
Secondo la Sala Stampa della CNBB, monsignor Lyrio ha chiarito che la scomunica non è sinonimo di condanna all'inferno, ma si tratta di un atto disciplinare della Chiesa.
“La scomunica esiste per richiamare l'attenzione sulla gravità dell'atto – ha specificato –. L'aborto comporta questa pena perché si sta diluendo la gravità di questa azione anche tra i cristiani. Chi viola questo, si pone al di fuori della comunione ecclesiale”.
Secondo il presidente della CNBB, lo stupro non è punito con la scomunica perché già tutti sono consapevoli che si tratta di un atto ripugnante.
“Lo stupro è una cosa così ripugnante che la Chiesa non ha bisogno di richiamare l'attenzione su questo, tutti ne sono consapevoli. Per l'aborto è diverso, per questo la scomunica non serve solo a punire, ma fa anche sì che chi ha effettuato l'atto possa percepirne la gravità e cercare la riconciliazione”.
Il segretario generale della CNBB, monsignor Dimas Lara, ha spiegato che l'Arcivescovo di Olinda e Recife, monsignor José Cardoso Sobrinho, “non ha scomunicato nessuno”, limitandosi a ricordare una norma esistente nel Diritto Canonico.
“Questo tipo di pena è previsto in alcuni casi particolari, come la profanazione del Santissimo Sacramento o il caso del sacerdote che rivela un segreto di confessione, in cui la persona, per il semplice fatto di commettere questo tipo di atto, si pone al di fuori della comunione della Chiesa”, ha spiegato. Si chiama scomunica latae sententiae.
Monsignor Lara ha detto che per incorrere nella scomunica la persona deve essere consapevole della gravità dell'atto e deve avere la libertà per porlo in essere.
Secondo la Sala Stampa della CNBB, il segretario generale ha ricordato che la Chiesa considera l'aborto un atto grave, soprattutto per quanti lo praticano coscientemente.
“Quanti effettuano l'aborto con coscienza e le cliniche abortive non sono in comunione con il pensiero cristiano in difesa della vita”, ha affermato.
Il Vescovo ha anche ribadito che la bambina violentata non è incorsa nella scomunica. “Credo che questo valga anche per sua madre perché ha agito sotto pressione”, ha aggiunto.


Riflessioni sulla «Dignitas personae» - La cura dell'infertilità - di Maria Luisa Di Pietro - Università Cattolica del Sacro Cuore – L’Osservatore Romano, 18 marzo 2009
La proposta della fecondazione artificiale nasce come un tentativo di risposta all'infertilità di coppia, una risposta al desiderio di un figlio e alla sofferenza di scoprirsi non fertili. Non poter stringere tra le braccia un figlio, rintracciando nel suo volto una somiglianza e contando sul senso di immortalità legato alla discendenza: chi può negare la sofferenza di non essere genitori? Un desiderio per quanto legittimo giustifica, però, il ricorso a ogni mezzo per essere soddisfatto? Bisogna, innanzitutto, rimuovere i fattori di rischio alla base di alcune situazioni di infertilità: se, però, l'infertilità si è instaurata, tutte le risposte si equivalgono? "Per quanto riguarda la cura dell'infertilità, le nuove tecniche mediche - si legge nella Dignitas personae (Dp) - devono rispettare tre beni fondamentali: a. il diritto alla vita e all'integrità fisica di ogni essere umano dal concepimento fino alla morte naturale; b. l'unità del matrimonio che comporta il reciproco rispetto del diritto dei coniugi a diventare padre e madre solo l'uno attraverso l'altro; c. i valori specificamente umani della sessualità che esigono che la procreazione di una persona umana debba essere perseguita come il frutto dell'atto coniugale specifico dell'amore tra i coniugi" (13). Quali sono le caratteristiche di quell'atto coniugale che si vuole sostituire con la fecondazione artificiale? L'atto coniugale non è un'attività vegetativa né un atto solo biologico. È un atto che, pur muovendo dalla scelta libera e volontaria, non è finalizzato al fare o al trasformare. È un atto che coinvolge nella totalità i coniugi: in questa relazione interpersonale, in questo "abbraccio d'amore", può realizzarsi la chiamata all'esistenza di un figlio. Dal dono delle persone scaturisce il dono della vita: un dono che trascende il fatto biologico, pur presente. "L'atto coniugale con il quale gli sposi si manifestano reciprocamente il dono di sé, esprime simultaneamente l'apertura al dono della vita: è un atto inscindibilmente corporale e spirituale" (Donum vitae, B. 4). Un atto, che chiama in causa la responsabilità di scelte e conseguenze. Può questo atto essere ridotto a un fatto tecnico?
La fecondazione artificiale intra o extra-corporea sostituisce l'atto coniugale nella chiamata all'esistenza: "Alla luce di tale criterio sono da escludere tutte le tecniche di fecondazione artificiale eterologa e le tecniche di fecondazione artificiale omologa che sono sostitutive dell'atto coniugale" (Dp, 12). Esse dividono l'unione interpersonale e la procreazione: da frutto dell'incontro dei coniugi, il figlio diviene il risultato di una tecnica anche corretta ma impersonale. Non sono i genitori che danno la vita ma il medico o il biologo: una presenza non accidentale, ma determinante. Impersonale: l'aggettivo potrebbe sembrare inadeguato se dietro il figlio si cercasse una persona qualsiasi e non i genitori. Si potrebbe, infatti, ribattere: non è un atto impersonale; c'è il medico o il biologo!
Vi sono conseguenze alla spersonalizzazione della procreazione? Si potrebbe rispondere: i coniugi hanno soddisfatto il proprio desiderio, perché dovrebbero esservi problemi? Si può, però, escludere che sostituendo il "dono delle persone" con la tecnica non si incrini, in modo impercettibile, il rapporto di coppia? L'incontro di un uomo e una donna mette in gioco valori personali (affettivi, psicologici, sociali), che hanno un carattere profondamente umano: la fecondazione artificiale altera proprio quel carattere relazionale che ne è l'elemento costitutivo. E il bimbo? Frutto di un atto tecnico, egli verrà privato di quell'atto coniugale da cui ha origine ogni vita umana. Un atto non solo biologico, ma ethos in cui si sperimentano differenza, alterità, amore.
L'artificialità è allora un fatto sempre negativo? Questa domanda viene rivolta a quanti mettono in discussione il ricorso alla fecondazione artificiale. Si aggiunge, poi, che rifiutare l'artificialità vuol dire rifiutare il progresso. Bisogna dunque definire il concetto di artificialità, che significa "produrre qualcosa con artificio, ovvero con espedienti diretti a supplire alle deficienze della natura". In tal senso, ogni intervento sostitutivo di una funzione carente è artificiale, giustificato però da una finalità terapeutica o riabilitativa. Non è così per la fecondazione artificiale, in cui l'artificialità non si limita a supplire la difficoltà di incontro dei gameti bensì stravolge il più personale degli atti umani: l'atto procreativo.
Non condividere la fecondazione artificiale non equivale allora a respingere l'artificialità in toto: sarebbe un controsenso affermare l'inviolabilità della vita umana e rifiutare nel contempo quei mezzi che possono aiutare a sostenerla. Non condividere la fecondazione artificiale significa invece difendere la vita umana da possibili minacce, rifiutando quel riduzionismo biologico che sta trasformando la natura in materiale esposto a ogni manipolazione. Il rifiuto del riduzionismo biologico: un'affermazione che può lasciare perplesso chi dà all'insegnamento del magistero della Chiesa sulla fecondazione artificiale (come sulla contraccezione) un'interpretazione biologista o fissista. Come mai, si chiede, si rifiuta il riduzionismo biologico ma si sostiene che l'atto coniugale va rispettato nelle sue dimensioni unitiva e procreativa che sono biologiche? E - si aggiunge - se ciò che è "naturale" è buono, perché è illecito il ricorso alla fecondazione artificiale? Non è forse frutto della volontà umana?
La natura cui si fa riferimento non è però biologica, bensì ontologica, intesa non come fatti empiricamente dimostrabili quanto piuttosto come caratteristica strutturale per cui ogni essere umano è unione intrinseca di corpo e spirito. Oltre a precisare il significato di natura, è necessario dare anche la giusta lettura dei significati del corpo. Non un corpo da possedere come un oggetto, ma un corpo che acquista dignità e significato in virtù dell'unità dell'essere umano. È a questa unità che si fa riferimento quando si parla di natura umana e su di essa si misura la liceità o l'illiceità di un atto. Perché, se si muovesse dalla visione dualista, si potrebbe correre realmente il rischio di assoggettare l'agire umano alle leggi biologiche. È in questa dimensione terrena, ma nel contempo trascendente di "natura", che l'uomo cerca la via per realizzarsi come uomo e che è carica di quel significato conferito - per chi è credente - dal suo Creatore.
L'uomo esercita la libertà di scelta: l'orizzonte per il suo agire lo ritrova in sé, nell'essere una natura umana. E anche i limiti: artificiale è, allora, non ciò che l'uomo è in grado di produrre, ma ciò che va contro i contenuti e le finalità intrinseche della natura umana.
È questa l'artificialità della fecondazione artificiale. Artificialità non equivale, dunque, a impiego della tecnica: essa può essere utilizzata anche nell'infertilità. Stimolare l'ovulazione, effettuare interventi di microchirurgia tubarica o rimozione di zone di endometriosi: la tecnica si usa per restituire funzionalità a un fattore necessario per la procreazione. "L'intervento medico è in questo ambito rispettoso della dignità delle persone, quando mira ad aiutare l'atto coniugale sia per facilitarne il compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta che sia stato normalmente compiuto" (Dp, 12). L'artificialità assume invece significato negativo se sostituisce la presenza dei coniugi: non si può parlare in questo caso di aiuto all'atto coniugale, di procreazione assistita. E se quest'ultima locuzione viene utilizzata per indicare anche la fecondazione in vitro, l'inseminazione intracitoplasmatica dello spermatozoo o quella con seme prelevato al di fuori dell'atto coniugale, è al solo scopo di ingannare quelle coppie che non sanno che verranno trasformate, di fatto, in impersonali produttori di gameti.
È indubbio che la difficoltà di avere un figlio è motivo di grande sofferenza: il desiderio di genitorialità è legata in modo fisiologico alla coniugalità. Per questo motivo il desiderio di un figlio è da considerare un'esigenza profondamente umana e, se è possibile prevenire o curare l'infertilità, l'impegno deve essere massimo. Quando, però, la coppia non è in grado di realizzare il desiderio di genitorialità, la risposta non può passare attraverso la violazione del diritto alla vita e alla salute del figlio o alla distruzione dei significati del matrimonio e della coniugalità. Si deve, invece, aiutare la coppia a scoprirsi feconda nell'infertilità: la fertilità è un fatto biologico; la fecondità è una predisposizione dello spirito, che supera il biologico.
Maternità e paternità sono situazioni affettivo-dinamiche e comportamentali, ricche di affetti, sogni, pensieri, che trovano realizzazione in diversi contesti e progetti di vita anche al di fuori dell'ambito familiare. Comprendere che la fecondità è una dimensione della natura umana e che può essere vissuta oltre il limite biologico, è una grande ricchezza: "Per venire incontro al desiderio di non poche coppie sterili ad avere un figlio, sarebbe inoltre auspicabile incoraggiare (...) la procedura dell'adozione dei numerosi bambini orfani, che hanno bisogno, per il loro adeguato sviluppo umano, di un focolare domestico" (Dp, 13).
(©L'Osservatore Romano - 18 marzo 2009)


Campagna dei vescovi in Spagna in occasione della Giornata per la vita del 25 marzo - La vera giustizia è proteggere il nascituro – L’Osservatore Romano, 18 marzo 2009
Madrid, 17. Le specie animali minacciate di estinzione hanno maggiore protezione giuridica del nascituro: lo denunciano i vescovi spagnoli che ieri, lunedì, hanno lanciato una campagna di informazione in vista della "Giornata per la vita" che si celebrerà mercoledì 25 marzo. "Se numerose specie animali beneficiano di una vasta protezione, compresa quella penale, perché proteggere di meno la vita degli esseri umani che stanno per nascere?" si è chiesto, nel corso della conferenza stampa di presentazione, il vescovo ausiliare di Madrid, Juan Antonio Martínez Camino, segretario generale e portavoce della Conferenza episcopale spagnola.


Anche il manifesto dell'iniziativa ricorda questo paradosso. Vi sono raffigurati l'uno accanto all'altro un cucciolo di lince iberica, con il timbro "protetto", e un bimbo che domanda "E io?", sopra lo slogan "Proteggi la mia vita!". Fino al 30 marzo migliaia di questi manifesti verranno esposti sui cartelloni pubblicitari di trentasette città, nelle parrocchie e nei centri cattolici del Paese. Otto milioni i foglietti informativi che saranno distribuiti tra i fedeli.
In Spagna è viva la polemica attorno a una possibile riforma della normativa sull'aborto. Su istanza del Governo spagnolo presieduto dal socialista José Luis Rodríguez Zapatero, un comitato di esperti (che comprendeva anche giuristi e ginecologi) ha lavorato per sei mesi per apportare delle modifiche all'attuale legge, con l'obiettivo di depenalizzare l'interruzione volontaria di gravidanza. La relazione finale propone l'aborto libero nelle prime quattordici settimane e fino alla ventiduesima se è in pericolo la salute della madre o il feto presenza gravi malformazioni. Il testo passa adesso all'esame del Governo per l'elaborazione di un progetto di riforma della legge.
In occasione della "Giornata", i vescovi della sottocommissione per la Famiglia e la Difesa della vita hanno diffuso una nota intitolata La vera giustizia: proteggere la vita di chi sta per nascere e aiutare le madri, nella quale affermano come "nella nostra società va prendendo piede un'enorme deformazione della verità riguardo all'aborto, che è presentato come una scelta giusta della madre volta a risolvere un grave problema che la tocca in maniera drammatica". Arrivando addirittura - aggiungono i presuli - "a includere l'aborto fra i cosiddetti "diritti alla salute riproduttiva"". Tuttavia, "la giustizia autentica passa attraverso la difesa del nascituro e l'aiuto integrale alla donna affinché possa superare le difficoltà e dare alla luce suo figlio". Questa situazione - si legge ancora nella nota - è accompagnata da un evidente paradosso e cioè che "è sempre maggiore la sensibilità nella nostra società sulla necessità di proteggere gli embrioni delle diverse specie animali. Esistono leggi - scrivono i vescovi - che tutelano la vita di queste specie nelle loro prime fasi di sviluppo. Invece la vita della persona umana che sta per nascere è oggetto di una mancanza di protezione sempre maggiore".
Monsignor Martínez Camino ha ricordato che il Codice penale spagnolo prevede pene, incluso il carcere, per coloro che attentano contro la fauna e la flora protetta, aggiungendo che anche l'aborto è un delitto ma "che spetta al giudice, a seconda delle circostanze del caso, decidere la pena corrispondente". In Spagna l'attuale normativa è datata 1985: l'aborto non è considerato reato quando si interrompe la gravidanza nelle prime dodici settimane, nel caso di violenza sessuale, fino alle ventidue settimane se ci sono rischi di malformazione del feto e, sempre, se sussistono pericoli per la salute fisica e psichica della madre.
Accanto alla Chiesa cattolica e contro l'aborto libero, si sono schierati in Spagna più di trecento fra scienziati, docenti e intellettuali impegnati nei campi della bio-medicina, delle scienze umanistiche e delle scienze sociali. Con l'obiettivo di difendere il valore assoluto del diritto alla vita, "che inizia dal momento della fecondazione", hanno firmato un documento - chiamato Manifesto dei 300 o Dichiarazione di Madrid - nel quale ribadiscono che "né l'embrione né il feto fanno parte di un organo della madre", che "un aborto è un atto semplice e crudele di interruzione di una vita umana", che le donne devono conoscere le conseguenze psicologiche della sindrome post aborto e che "lo zigote è la prima realtà corporale dell'essere umano". Nel manifesto si afferma che "una società indifferente al massacro di circa 120.000 bambini all'anno è una società fallita e ammalata" e che consentire a una sedicenne di abortire autonomamente è "un atto di grave irresponsabilità" e "una forma di violenza contro le donne". (giovanni zavatta)
(©L'Osservatore Romano - 18 marzo 2009)


17/03/2009 17:07 - VATICANO-CAMERUN - Papa: in Africa, di fronte al male il cristiano non può rimanere in silenzio
Arrivato in Camerun, prima tappa del suo primo viaggio in Africa, Benedetto XVI parla del messaggio che la Chiesa offre: , “non nuove forme di oppressione economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio”. La difesa della vita e la lotta contro l’Aids, “una tragedia che non si può superare solo con i soldi, non si può superare con la distribuzione di preservativi, che anzi aumentano i problemi”.
Yaoundé (AsiaNews) – “Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio”. E’ un messaggio forte quello che Benedetto XVI ha rivolto oggi pomeriggio, non solo all’Africa, arrivando a Yaoundé, in Camerun, prima tappa del suo primo viaggio nel Continente nero.
In un Paese giovane, che quest’anno festeggia 50 anni di indipendenza, il Papa, accolto dal presidente della Repubblica, Paul Biya, e da autorità civili e religiose - non solo cattoliche – e da una piccola folla festante, rumorosa e colorata, nel suo discorso di saluto si è detto portatore di quella speranza che è impersonata da una giovane africana, Josephine Bakhita, nata schiava e divenuta santa. “Qui – dice - in Africa, come pure in tante altre parti del mondo, innumerevoli uomini e donne anelano ad udire una parola di speranza e di conforto. Conflitti locali lasciano migliaia di senza tetto e di bisognosi, di orfani e di vedove. In un Continente che, nel passato, ha visto tanti suoi abitanti crudelmente rapiti e portati oltremare a lavorare come schiavi, il traffico di esseri umani, specialmente di inermi donne e bambini, è diventato una moderna forma di schiavitù. In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di modelli disturbati di cambiamenti climatici, l’Africa soffre sproporzionatamente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà, della malattia. Essi implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro”.
Ma la Chiesa offre, ha aggiunto, “non nuove forme di oppressione economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio (cfr Rm 8,21). Non l’imposizione di modelli culturali che ignorano il diritto alla vita dei non ancora nati, ma la pura acqua salvifica del Vangelo della vita. Non amare rivalità interetniche o interreligiose, ma la rettitudine, la pace e la gioia del Regno di Dio, descritto in modo così appropriato dal Papa Paolo VI come "civiltà dell’amore" (cfr Messaggio per il Regina caeli, Pentecoste 1970)”.
Il Papa ha così toccato alcuni dei punti sensibili della visita: la mancanza di equità negli scambi economici, lo sfruttamento, la difesa della vita. Temi che compaiono nel dcumento di lavoro, l’Instrumentum laboris, della Seconda assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per l’Africa, che si realizzerà a Roma nel prossimo ottobre, e che Benedetto XVI è venuto a “presentare” al Continente. Temi che, almeno in parte, aveva affrontato già sull’aereo che lo ha portato in Camerun. Rispondendo alle domande dei giornalisti, il Papa ha ricordato che la Chiesa cattolica fa tanto in Africa contro l'Aids. “E' una tragedia che non si può superare solo con i soldi, non si può superare con la distribuzione di preservativi, che anzi aumentano i problemi”. Serve invece, un comportamento umano morale e corretto ed una grande attenzione verso i malati: “soffrire con i sofferenti”. “E’ particolarmente encomiabile – ha detto al suo arrivo - che i malati di Aids siano curati gratuitamente”, in un Paese con “un Governo che parla chiaramente in difesa dei diritti del non nati”.
Alla mancanza di etica, peraltro, il Papa aveva attribuito anche la causa profonda di quella crisi economica che sta colpendo più gravemente i poveri, in Africa come nel resto del mondo. “Questa crisi economica - aveva detto - è il prodotto di un deficit dell'etica”. Benedetto XVI ha anche annunciato che di questo parlerà nella sua prossima enciclica. “Era quasi pronta - ha rivelato - ma poi è intervenuta la recessione globale e abbiamo dovuto rilavorarci proprio per offrire un messaggio all'umanità in questa congiuntura”.
Benedetto XVI ha infine toccato un ultimo tema delicato, lodando ancora una volta il Paese che lo ha accolto: “migliaia di rifugiati dai Paesi della regione devastati dalla guerra hanno ricevuto qui accoglienza. E’ una terra di vita, con un Governo che parla chiaramente in difesa dei diritti del non nati. E’ una terra di pace: risolvendo mediante il dialogo il contenzioso sulla penisola Bakassi, Camerun e Nigeria hanno mostrato al mondo che una paziente diplomazia può di fatto recare frutto”.


USA/ La fede di Obama e il sogno bipartisan - Lorenzo Albacete - mercoledì 18 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Dopo le ripetute sconfitte dei loro candidati alle elezioni presidenziali, i leader del Partito Democratico hanno dovuto riconoscere che una delle ragioni era la incapacità di collegarsi alla religiosità del popolo americano. Per il normale elettore americano, i candidati democratici alla presidenza sembravano a disagio nel parlare della propria personale fede religiosa. Per questo motivo, da candidato Barack Obama ha cercato di mostrare agli elettori la centralità della sua fede religiosa nella sua concezione della vita. Da presidente, Obama ha continuato a parlare spesso della sua fede cristiana.
Come per molti afroamericani, le sue convinzioni religiose derivano dalla tradizione della Chiesa battista del sud. La sua base politica, però, non era nel sud ma a Chicago, per cui Obama entrò in una comunità religiosa guidata dal Pastore Jeremiah Wright, che seguiva la tradizione della “liberazione nera”, popolare tra le comunità urbane afroamericane. Estranei ai toni e allo spirito della teologia della liberazione dei neri, molti americani si scandalizzarono per quella che sembrava una rivoluzionaria retorica antiamericana del Pastore Wright e, alla fine, Obama fu costretto a staccarsi pubblicamente dalle posizioni di Wright e a rompere con la sua comunità.
Da presidente, in attesa di trovare una Chiesa che rifletta il suo modo di affrontare la religione e che risponda alle esigenze della sua nuova posizione, Obama si è circondato di cinque leader evangelici senza particolari affiliazioni politiche, con i quali parla e prega regolarmente (soprattutto per telefono).
Questi pastori sono uomini: due sono bianchi e tre neri. Due di loro sono stati occasionalmente consiglieri di George W. Bush e le loro posizioni vengono definite dottrinalmente conservatrici (contrarie all’aborto e al matrimonio omosessuale), ma progressiste per quanto riguarda la giustizia sociale. Uno è un veterano della lotta per i diritti civili e seguace della eredità di Martin Luther King Jr. In linea generale, questi consiglieri promuovono il tradizionale “vangelo della azione sociale” basato sulla fede, senza identificarsi con un determinato programma politico o partito.
È opinione diffusa che la fede sia veramente importante per il presidente Obama e che non si tratti semplicemente di un atteggiamento politico. Si dice che egli abbia realmente un bisogno personale di passare del tempo a parlare e pregare con questi consiglieri. Forse in loro vede il modo perché la sua fede lo possa aiutare a superare lo scontro tra la destra religiosa e la sinistra. In effetti, un numero crescente di leader evangelici prevede la fine del movimento evangelico conservatore a causa della sua quasi totale identificazione con le posizioni del conservatorismo politico (uno dei consiglieri di Obama è stato licenziato dalla sua parrocchia per aver sostenuto gli sforzi per fronteggiare il riscaldamento globale).
Da questo quadro manca la Chiesa cattolica. Obama è circondato da cattolici nell’Amministrazione e nel Congresso, incluso il vicepresidente, che sono però incapaci di aiutarlo a comprendere le posizioni cattoliche sulla fede e la politica, dato che rifiutano l’insegnamento della Chiesa sull’aborto, l’omosessualità e in materia di bioetica. Come risultato, Obama ignora del tutto il ruolo cruciale che la ragione gioca nella visione cattolica. Proprio per questa ragione, gli sforzi del presidente di superare la guerra tra sinistra e destra religiosa non possono avere successo, non essendo in grado di sfuggire allo scontro tra fideismo e razionalismo.


FILOSOFIA/ Horkheimer e Adorno: che cosa “illuminò” l’Illuminismo? - Redazione - mercoledì 18 marzo 2009 – ilsussidiario.net
In una scena terribile e famosa del film 2001: odissea nello spazio Hal, il computer di bordo di un’astronave in viaggio verso Giove, “decide” di sopprimere alcuni astronauti che erano stati posti in stato di ibernazione. La telecamera ci mostra questi uomini, apparentemente addormentati, che trapassano insensibilmente dal letargo dell’ibernazione alla morte, senza che su di essi traspaia il benchè minimo cenno di questa transizione fatale. L’unico segno del cessare della loro vita è dato dal rallentare ed infine dall’interrompersi della pulsazione cardiaca e delle altre funzioni biologiche, che gli strumenti di bordo registrano.
Due cose ci sconvolgono quando assistiamo a questa scena. In primo luogo, che sia una macchina a decidere la morte di alcune persone. In secondo luogo, la quasi impossibilità di partecipare emotivamente al momento drammatico della loro morte, perché l’assenza in loro di qualsiasi espressione o reazione – sofferenza, ribellione o rassegnazione – ci rende difficilissimo immedesimarci in loro, e ci fa sembrare la loro morte una non-morte. Ci sembra inconcepibile che una morte possa accadere così, inosservata davanti ai nostri stessi occhi.
Queste due inquietanti prospettive – il rischio che l’uomo diventi vittima del suo stesso potere tecnologico, la possibilità del venire meno dei legami di empatia fra gli uomini – e gli interrogativi che essi comportano, sono certamente di estrema, crescente attualità. Basti pensare al recente caso Englaro. Il futuro preconizzato da 2001: odissea nello spazio, sembra, dunque, avverarsi con sorprendente precisione.
Il genio precorritore di Stanley Kubrick aveva avuto, in ciò, degli illustri predecessori. Nel 1944 due pensatori, ebrei tedeschi di formazione marxista, avevano già individuato il germe di tali due possibili traiettorie di disumanizzazione della cultura occidentale, ed esposto i risultati della loro riflessione in uno studio che fece scalpore. Si tratta di Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, autori di Dialettica dell’illuminismo. Cosa ha reso possibile, in loro, uno sguardo così anticipatore, e in cosa consiste la loro diagnosi?
Uno sguardo alle date è significativo, anche se non dice tutto. Nel 1944 Adorno e Horkheimer assistono alle ultime fasi della catastrofe che fu la Seconda Guerra Mondiale, dopo aver già assistito all’imporsi, nel loro stesso Paese, dell’ideologia nazionalsocialista. Lo spettacolo di un’umanità alle soglie della propria autodistruzione è uno shock per moltissimi intellettuali, che sono costretti a chiedersi le ragioni di un tale tracollo della civiltà. Basti pensare, in Germania, al capolavoro di Thomas Mann Il dottor Faustus, o, in Unione Sovietica, allo straordinario Vita e destino di Vassilij Grossmann.
Ma la diagnosi formulata da Adorno e Horkheimer è inedita, folgorante e suona come un paradosso. Cosa ha reso possibile il dilagare della violenza, la distruzione, la barbarie, l’odio, l’ignoranza, lo sterminio? La risposta dei due filosofi tedeschi è: l’illuminismo. «L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura».
Con il termine illuminismo Adorno ed Hokheimer identificano una tendenza del pensiero occidentale che ha concepito il rapporto tra uomo e natura in termini di assoggettamento e dominio. Così facendo, tuttavia, l’uomo ha dovuto contrastare il fatto di essere egli stesso natura, cioè un fascio di istinti, desideri e domande da cui è costituito. Il “borghese” (con lessico marxista) è il prototipo di tale uomo che ha imparato a “frenare il cuore” e diventare, così, padrone di se stesso: «il Sé che si domina continuamente, e perde così la vita che salva».
Il meccanismo di liberazione si rivolge allora – così argomentano Adorno e Horkheimer- inesorabilmente nel suo opposto, e noi assistiamo ai suoi effetti: ecco perché il titolo Dialettica dell’illuminismo. La tecnica abilita al dominio sulla natura, ma l’uomo è egli stesso natura, e il “tutto è possibile all’uomo” si trasforma in “tutto è possibile sull’uomo”: ecco la prospettiva dell’uomo dominato dalle macchine. L’uomo può diventare padrone della natura, ma a patto di liquidare ciò che in lui è natura, cioè ogni moto del cuore, ogni desiderio, passione o compassione: ecco il venir meno dell’empatia tra uomini.
In uno dei tanti frammenti che compongono Dialettica dell’illuminismo questi due esiti di disumanizzazione emergono con particolare stringenza, e ci riconducono di schianto all’oggi. È citata la lettera in cui un celebre fisiologo ottocentesco, Flourens, avanza la preoccupante ipotesi che il cloroformio, usato come anestetico, non impedisca al paziente operato di sentire dolore, ma soltanto di ricordarsene una volta sveglio. Commentano Adorno e Horkheimer: «Potrebbe nascere il sospetto che noi ci si comporti, verso gli altri uomini […] in modo non diverso da quello in cui [se è vera l’ipotesi di Flourens] ci comportiamo verso noi stessi a operazione sostenuta: ciechi verso la pena».
L’intuizione chiave - sorprendentemente elementare, radicale e attuale - dei due filosofi tedeschi è questa, ed è il motivo per cui vale la pena di rileggere oggi Dialettica dell’illuminismo: se di fronte a ciò che accade agli altri uomini (il dolore, la nascita, la morte) non prevalgono in noi gli affetti naturali di pietà e compartecipazione, bensì le parole d’ordine del progresso che ci impongono di narcotizzarli, l’esito inevitabile è, prima o poi, la violenza verso noi stessi e verso gli altri.
Se dovesse essere così, nel futuro ci attende Hal 9001. Ma speriamo di no.
(Michele Barbalace)


18/03/2009 10:35 – RUSSIA - La comunità ebraica russa teme per il suo futuro. A rischio la missione degli stranieri
Espulsi due rabbini perché svolgevano attività missionaria avendo solo visti turistici. Medvedev afferma di non voler interferire negli affari religiosi. Il ministero della giustizia annuncia una nuova legge per regolamentare l’attività missionaria degli stranieri.

Mosca (AsiaNews/Agenzie) - La comunità ebraica russa teme per il suo futuro nella Federazione. Il rabbino capo di Russia, Berel Lazar afferma che le recenti espulsioni di due rabbini stranieri sono “un segnale molto deprimente” e che “per la prima volta in molti anni” la comunità ebraica è preoccupata per il suo avvenire nel Paese.
Lazar (nella foto col presidente russo Medevedev) ha manifestato la sua preoccupazione in seguito alle espulsioni dei rabbini Zvi Hershcovich di Stavropol e Yisroel Silberstein di Primorye. Cittadini statunitensi entrati in Russia con visto turistico, i rabbini svolgevano attività missionaria senza l’adeguato permesso di residenza concesso a chi entra nella Federazione con scopi religiosi.
I rabbini si sono difesi affermando che, senza di loro, le comunità ebraiche sarebbero rimaste senza guida. La Federal Jewish National and Cultural Authority ha sottolineato che la presenza di religiosi stranieri sul territorio della Federazione “è complicata dal fatto che la lista delle professioni per ricevere un visto di lavoro non contempla il clero”. L’organizzazione ebraica cita i casi di oltre 30 persone, rabbini e sacerdoti cattolici e protestanti, che dal 1998 al 2003 sono stati espulsi dalla Russia. Il tema dei visti per i religiosi è un problema annoso al centro di ripetute polemiche. Con Putin al Cremlino e Alessio II alla guida della Chiesa ortodossa il mancato rinnovo dei permessi di soggiorno è stata l’arma con cui le autorità russe hanno espulso dalla Federazione missionari di diverse confessioni. L’annus horribilis è stato il 2002, in cui anche diversi sacerdoti cattolici hanno dovuto lasciare il Paese per la generica accusa di proselitismo. Tra questi i parroci di Vladimir, padre Stefano Caprio, Jaroslavl', padre Stanislaw Krajnjak, e Rostov sul Don, padre Eduard Mackewicz, oltre al vescovo ordinario della diocesi siberiana di San Giuseppe a Irkutsk, monsignor Jerzy Mazur.
Nonostante il presidente Medvedev ripeta di non voler interferire negli affari religiosi, la sua decisioni di accentuare il legame del Cremlino con la Chiesa ortodossa e alcune azioni del ministero della giustizia nei confronti di religioni e confessioni cristiane minoritarie, fanno temere il ritorno ai tempi del 2002. Il rischio è quella di azioni dimostrative che ribadiscano il pur legittimo primato dell’ortodossia mettendo in atto una stretta sulla libertà religiosa delle altre comunità di credenti.
Il 12 marzo, a pochi giorni dalle espulsioni di Zilbershtein e Hershcovich, il Ministero della giustizia russo ha annunciato un progetto di legge per regolamentare l’attività missionaria. Sergej Miluškin, capo dipartimento delle relazioni con le organizzazioni non commerciali presso il Ministero della Giustizia, ha affermato: “Anzitutto, vogliamo precisare il concetto stesso di attività missionaria inoltre, verranno poste le condizioni della sua realizzazione, e i parametri della responsabilità amministrativa per la missionarietà illegale”.
Il progetto di legge sarà presentato al governo entro la fine dell’anno e riguarderà soprattutto i predicatori stranieri. Il funzionario del ministero della giustizia ha anticipato che la nuova normativa contemplerà anche casi come quello di Zilbershtein e Hershcovich. “Gli stranieri che predicano in Russia con un visto turistico in tasca - ha affermato Miluškin - devono aspettarsi l’estradizione dal Paese per violazione della legislazione sui migranti, come pure una bella multa”.


IL DESTINO DI ESSERE PRETI - QUEI VOLTI LASCIANO TRASPARIRE UN ALTRO VOLTO - MARINA CORRADI – Avvenire, 18 marzo 2009
«Dio è la sola ricchezza che, in defi­nitiva, gli uomini desiderano tro­vare in un sacerdote». Nelle parole con cui il Papa ha annunciato alla Congregazione per il Clero l’ « anno sacerdotale » che ini­zierà a giugno, c’è questo passaggio pe­rentorio. Quasi un «memento» ai suoi, con l’autorevolezza del successore di Pietro: Dio, è la sola ricchezza che gli uomini cer­cano in voi. Non sapienza o raffinata dot­trina e nemmeno solo opere di carità, o u­mana compagnia: ciò che davvero gli uo­mini, anche oggi, cercano in un prete, è Dio. Monito forte, e radicalmente esigen­te. Ma quasi, si direbbe, angolato nella pro­spettiva dei fedeli, immedesimato nell’a­nimo di chi entra, o vorrebbe entrare, in u­na chiesa, o si inginocchia in un confes­sionale: ricordatevi, dice il Papa, che in voi cercano Dio – nulla di meno. Non a caso quest’anno sacerdotale nasce nella me­moria del curato d’Ars, uno che nella cura dei fedeli si sfiniva: dieci, quindici ore al giorno in confessionale, conscio che la sua gente domandava a lui, povero prete cre­sciuto in campagna, il segno di un’altra mi­sericordia.
La forte sottolineatura dell’essenza del sa­cerdozio si ripercuote in una seconda e­sortazione: a essere, i sacerdoti, 'presenti, identificabili e riconoscibili' sia per il giu­dizio di fede che per l’abito. Identificabili e riconoscibili: un sacerdozio che non si confonda con i giudizi e i modi del mondo, quasi a mi­metizzarsi, ma che nell’essere, nel dire, nel mostrarsi si di­chiari per ciò che è: figura di Cristo. È netta la parola di Be­nedetto XVI ai suoi preti, ma sembra ri­flettere anche qui la domanda dei comu­ni fedeli – del popo­lo cristiano navigante nella modernità, ai suoi sacerdoti: portateci Cristo, portatece­lo in modo chiaro, riconoscibile, audace. Portatecene il volto misericordioso, perché la più perfetta giustizia non guarisce gli uo­mini: ne occorre una più grande, che li fac­cia rinascere. Dai giorni degli apostoli, gli uomini hanno bisogno, per credere, di altri uomini. Di fac­ce che portino e incarnino, nelle loro gior­nate di fatica oscure o banale, Cristo («Nel fatto che Dio si è fatto uomo sta sia il con­tenuto che il metodo dell’annuncio cri­stiano », ha detto Benedetto XVI). Dunque, Dio ha bisogno di uomini per farsi presen­te tra loro, e gli uomini hanno bisogno di sacerdoti, in cui trovare il volto e la mise­ricordia di Dio. «Senza il sacerdozio mini­steriale non ci sarebbe né l’Eucarestia né, tanto meno, la missione e la stessa Chiesa», ammonisce il Papa. Senza il sacerdote, non ci sarebbe Chiesa. Solo lui può spezzare il pane e versare il vino; solo lui può dire 'Io ti assolvo', dove quel perdono è di Cristo. Quasi il parlare, quello del Papa, di un con­dottiero ai suoi uomini, mentre la batta­glia si fa aspra e dura; come un ricordare loro cosa hanno scelto, chi sono, e cosa cer­cano in loro milioni di persone – che ma­gari non entrano in una chiesa, e però sen­za ammetterlo vorrebbero incontrare, nel­la faccia di un uomo, Dio. La storia antica del curato d’Ars, è emblematica. Il ragaz­zo nato alla vigilia della Rivoluzione, che ri­cevette la Comunione in un granaio, in clandestinità, è il testimone di tempi per la Chiesa drammatici.
Nella Francia delle chiese spogliate Gio­vanni Maria Vianney fu mandato in un vil­laggio dove, a detta del suo vescovo, a Dio si pensava ben poco. Eppure, quel paese di 230 anime si trovò come travolto da un turbine di decine di migliaia di pellegrini l’anno. Dall’una di notte si mettevano in coda, aspettando. Non era stato un semi­narista brillante, faticava, l’ex contadino, col latino. Ma ripeteva, a messa, additan­do il tabernacolo: 'Lui è qui'. E ne era co­sì visibilmente certo, e raggiante, che la gente non chiedeva altro. Bastava. Era, dav­vero, la sola ricchezza che cercavano, in un povero prete.