Nella rassegna stampa di oggi:
1) MA PERCHE’ ODIANO TANTO LA CHIESA ? – Antonio Socci, 19.03.2009
2) Benedetto XVI: Gesù mostra al malato il suo posto nel cuore di Dio
3) Il Lussemburgo legalizza l'eutanasia con l'opposizione del Granduca
4) Giorgio Bocca e i “mostri del Cottolengo” - Autore: Parravicini, Jacopo - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 19 marzo 2009
5) “Dr. House”, parabola del perdono e della ricerca di Dio
6) Con le europee si prepara l’offensiva contro la vita e la famiglia - di Giorgio Salina
7) Ciò che la Chiesa dice e non dice sul preservativo
8) Benedetto XVI: San Giuseppe, modello di amore senza possesso
9) Gay, Obama abbandona la linea Bush. Appoggerà la dichiarazione dell'Onu - Il presidente americano appoggerà il documento contro la criminalizzazione dell'omosessualità
10) Il Giornale 15 Marzo 2009 - di Andrea Tornielli - Le reazioni alla lettera del Papa - SE SI TRASFORMA LA CHIESA IN UN TALK SHOW
11) L’odio contro il Papa e il «fumo di Satana»
12) La primavera di Eliot - Pigi Colognesi - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
13) AFRICA/ 1. Jovine (malata Aids): senza marito e con sei figli ormai orfani, a che mi servono i condom? - INT. Rose Busingye - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
14) AFRICA/ 2. L’abc contro l’Aids? I numeri dicono che funziona - Filippo Ciantia, Pier Alberto Bertazzi - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
15) IL PRESERVATIVO ANZICHÉ LE POLITICHE - IRRESPONSABILE LEGGEREZZA DEI GOVERNANTI EUROPEI - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 20 marzo 2009
MA PERCHE’ ODIANO TANTO LA CHIESA ? – Antonio Socci, 19.03.2009 - Ecco il messaggio della Madonna (affidato a Mirjana) del 18 marzo 2009: “Cari figli ! Oggi vi invito a guardare in modo sincero e a lungo nei vostri cuori. Che cosa vedete in essi ? Dov’è in essi mio Figlio e il desiderio di seguirmi verso Lui ? Figli miei, questo tempo di rinuncia sia un tempo nel quale domandarvi: che cosa vuole Dio da me personalmente ? Che cosa devo fare ? Pregate, digiunate e abbiate il cuore pieno di misericordia. Non dimenticate i vostri pastori. Pregate che non si perdano e che restino in mio Figlio, affinché siano buoni pastori per il loro gregge”. A questo punto la Madonna ha guardato tutti i presenti e ha continuato: “Di nuovo vi dico: se sapeste quanto vi amo, piangereste di gioia. Grazie” In queste straordinarie parole, semplici e luminose, c’è tutto. Il mondo che non conosce l’amore (e spesso vive di odio ideologico) detesta la Chiesa. Continuamente l’attacca. Ogni giorno uno stillicidio di polemiche assurde, soprattutto contro il Papa (talora, tristemente, con la collaborazione di qualche cattolico)
Qua sotto gli episodi più assurdi degli ultimi giorni. Con uno splendido articolo iniziale di Roberto Fontolan uscito sul Sussidiario.net
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PAPA/ Un articolo senza titolo - di Roberto Fontolan - giovedì 19 marzo 2009 – ilsussidiario.it
Possiamo immaginarci la scena. Una redazione qualsiasi. Stanze ex fumose (ora è vietato). Giovanotti trafficano ai computer chiacchierando di quant’era bella la professione e quanto non lo sarà più. Facciamoci due passi fino al bar. Sussurri sulle prossime nomine in Rai che daranno il via alla classica (e sempre attuale) “rumba dei direttori” (un gioco che si svolge a porte chiuse e al quale accedono da sempre gli stessi sette-otto nomi, a proposito di caste).
La tv è accesa, su Sky o Rainews. Giornata media, noia media. Fino a che sui monitor compare un flash d’agenzia, il cui titolo, presumiamo, sarà: “Papa in Africa: no al preservativo”. Ehi, esclama il caposervizio addetto al controllo delle notizie, abbiamo un titolo, finalmente! Già, i titoli. Con il titolo si fa tutto. Si condanna una persona (stupratore, ladro, corrotto, pedofilo, in questo caso viene meglio se prete). Si esaurisce un mondo. Si distrugge un pensiero.
Generalmente parlando i titoli “funzionano” (si dice proprio così) quando sono negativi e devastanti. Ne sa qualcosa lo stesso Papa, da Ratisbona all’affaire lefebvriani si sarà accorto di quanto costa, di quanto pesa un titolo. Ormai pochissimi leggono gli articoli per intero o ascoltano tutto il telegiornale. Bastano i titoli “per far capire”. L’evento, l’uomo, la storia e la filosofia. In tre o quattro parole, una o due righe, ecco fatto. Non serve altro.
Se il giornalismo fosse un mondo onesto e leale li dovrebbe abolire. O obbligarsi a usare solo una parola. L’altro ieri, sulla notizia che ha svegliato il caposervizio di turno in un giorno medio avrebbe dovuto esserci la parola Africa, o Papa, o anche Aids, o persino Preservativo (piuttosto parziale, ma almeno oggettivo). E così sui giornali e telegiornali di ieri. Niente altro, né occhielli, né sommari. Una parola per segnalare e basta, non una mannaia per decapitare. Che bellezza, che liberazione, essere costretti a leggere tutto, ad ascoltare tutto. O a ignorare tutto. Però tutto.
Certo, si può truffare anche scrivendo diecimila caratteri, ma noi lettori-telespettatori-ascoltatori siamo disposti a rischiare. Vogliamo tutto, dateci tutto. Non più giochi di parole, non più buchi della serratura da dove guardare l’immensità del reale, non più tramezzi di cartone dai quali origliare la faticosa esistenza dei vicini, non più strizzatine d’occhio compiaciute e sadiche, non più letture condizionate pregiudicate guidate.
Parlando in aereo con i vaticanisti, Benedetto XVI ha risposto a cinque domande. Nell’ordine: la “solitudine” del Papa, la crisi economica, la prossima enciclica, il cristianesimo e le sette in Africa, la posizione della Chiesa rispetto all’Aids. Ed ecco cosa ha risposto (lo riprendiamo dal Vatican Information Service, attendibile perché ufficiale e letterale): «Penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l'Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti. [...] Direi che non si può superare questo problema dell'Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c'è l'anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l'uno con l'altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto con le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti».
C’è qualcuno che possa dire che il giudizio del Papa non sia vero? Che possa sostenere che si può risolvere il flagello dell’Aids solo con i profilattici? Che non sia necessaria una «umanizzazione della sessualità»? Non desideriamo tutti «un nuovo modo di comportarsi»? E l’amicizia con i sofferenti è forse sbagliata? Anche i più accaniti mangiapreti, se sono uomini, devono essere d’accordo.
Ma poi su queste parole è arrivato il titolo che le ha demolite prima e annichilite poi (come accade ormai per ogni titolo di ogni notizia). Ed è stato il solito teatrino di commenti e notazioni intelligenti, tipo “è la prima volta che il Papa usa la parola profilattico” o “si vorrebbe evitare di cadere nella trappola che quella parola mette sul sentiero di una delle rare occasioni che si hanno in Italia di parlare delle realtà e dei problemi dell’Africa”.
Già, si vorrebbe evitare, ma non si può. La trimurti del giornalismo “moderno”, vouyerismo-cinismo-giustizialismo, lo vieta. In fondo, che ce ne frega dell’Africa?
(PS. Come titolo per questo articolo propongo: “Questo articolo non dovrebbe avere un titolo”. Confido in voi, amici deI Sussidiario)
Da IlSussidiario.net, del 19 marzo
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LA BUFALA DELLA BAMBINA SCOMUNICATA
Il professor Adriano Prosperi ed Ezio Mauro ammetteranno il clamoroso errore? Io penso che, da persone serie, bisogna aspettarselo. Ieri sulla prima pagina di Repubblica infatti è uscito un editoriale dello storico che ha un finale pesantissimo con la Chiesa, ma basato su una notizia letteralmente falsa, smentita dalla stessa cronaca di Repubblica.
Parlando della fanciulla di 9 anni, di Recife in Brasile, che è stata violentata, è rimasta incinta ed è stata fatta abortire, l’editoriale di Prosperi (peraltro letto, quindi amplificato, pure alla rassegna stampa di Radio Radicale), tuonava infatti contro “la durezza atroce, disumana della condanna ecclesiastica che ha colpito con la scomunica la bambina brasiliana e i medici che ne hanno salvato la vita facendola abortire”.
Ora sarebbe bastato che l’autore dell’articolo sfogliasse i giornali, compreso il suo, per accorgersi che la bambina brasiliana non è mai stata scomunicata e anzi, per la Chiesa, è la vittima di una società disumana, da colmare di amore materno. Anche dalla Repubblica risultava infatti che il pronunciamento (sbagliato) del vescovo di Recife non riguardava la fanciulla per la quale il presule ha avuto parole di comprensione. Nell’articolo di Repubblica del 6 marzo, firmato da Orazio La Rocca, si legge: “l’arcivescovo di Recife, nello specificare che il provvedimento non riguarda la bambina, puntualizza che il ‘peccato’ d’aborto ricade esclusivamente sui medici e ‘chi lo ha realizzato - si è augurato il presule spiegando i termini del provvedimento - si spera che, in un momento di riflessione, si penta’ ”.
Non solo. E’ noto che sull’Osservatore romano del 15 marzo è uscito l’autorevole editoriale di monsignor Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la vita, che si intitolava significativamente “Dalla parte della bambina brasiliana” e sconfessava di fatto, anche per quanto riguarda l’anatema sui medici, il vescovo di Recife, per il suo pronunciamento inopportuno e non improntato anzitutto alla misericordia e alla prudenza su un caso tanto delicato.
Fisichella, pur ribadendo le norme del codice di diritto canonico sull’aborto, ha sottolineato che questo caso specifico è molto particolare dal punto di vista della teologia morale, trattandosi della violenza su una bambina la cui vita era messa in pericolo dalla gravidanza stessa, quindi non ci si doveva affrettare a tuonare con quel giudizio che somiglia a una mannaia: “Carmen”, ha scritto Fisichella sull’Osservatore, parlando idealmente alla bambina, “stiamo dalla tua parte. Condividiamo con te la sofferenza che hai provato, vorremmo fare di tutto per restituirti la dignità di cui sei stata privata e l’amore di cui avrai ancora più bisogno. Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere e ti aiuteranno a recuperare la speranza e la fiducia. Nonostante la presenza del male e la cattiveria di molti”.
Di tutto questo non c’è traccia nell’editoriale di Prosperi che ha sentenziato, senza informarsi, parlando di “durezza atroce, disumana della condanna ecclesiastica che ha colpito con la scomunica la bambina”. Sorprende pure lo stato maggiore della Repubblica che ha collocato in prima pagina l’editoriale di Prosperi senza accorgersi che capovolgeva la verità dei fatti che la stessa Repubblica aveva riportato.
A cosa si deve un così clamoroso errore? Non volendo pensare a malafede bisogna attribuirlo a ignoranza o superficialità. Ma Prosperi non è un qualsiasi frettoloso cronista di provincia: è, se non sbaglio, un accademico, un esimio storico, uno di quegli intellettuali togati che fa gli occhi alle pulci e che ben conosce il dovere assoluto di documentarsi prima di scrivere e soprattutto prima di emettere sentenze di condanna di quella gravità.
In questo caso documentarsi era facilissimo perché tutti i giornali hanno riportato la cronaca. Non voglio pensare che anche il professor Prosperi sia così roso da furore anticlericale da ritenere che, quando c’è da bombardare la Chiesa, non sia necessario essere rigorosi, documentarsi e rispettare la verità dei fatti.
Ma il pregiudizio ideologico – che di questi tempi, a Sinistra, rasenta il fanatismo anticlericale – gioca brutti scherzi e, in questo clima avvelenato nel quale si tende quotidianamente al linciaggio morale della Chiesa, anche gli intellettuali più titolati rischiano, per faciloneria o faziosità, di accodarsi alla corrente e trovare qualche buccia di banana.
L’invettiva di Prosperi del resto è andata avanti per molte righe. Accennando vagamente all’articolo di Fisichella l’ha liquidato con una riga: “di fatto non risulta che quella scomunica sia stata cancellata”. Ma se non c’è mai stata alcuna scomunica per la bambina (neanche del vescovo di Recife) come poteva essere cancellata? Oltretutto la scomunica “latae sententiae” non prevede una cancellazione formale, ma semplicemente il confessionale. Ma Prosperi non si attarda a ragionare sui fatti e prosegue la sua invettiva: “Il corpo della donna resta ancora per questa Chiesa un contenitore passivo di seme maschile”.
E qui siamo al problema: Prosperi ha una teoria, sintetizzata da questa terribile frase, e ci teneva a ribadirla. Se i fatti contraddicono la teoria, tanto peggio per i fatti. Basta ignorarli. Questo modo di procedere si chiama ideologia. Nel merito della tesi di Prosperi, fra l’altro, obietterei che è semmai la moderna mentalità laica e libertaria che trasforma la donna in un “contenitore passivo di seme maschile”. Ma Prosperi non sembra sfiorato da dubbi e sbrigativamente mette al rogo la Chiesa, in un processo sommario che condanna la strega cattolica imputandole il falso.
Con la virulenza di un inquisitore laico il professore tira un’ultima legnata tuonando che per questa Chiesa “l’anima di una bambina brasiliana è meno importante di quella di un vescovo antisemita e negazionista”. Il riferimento è a Williamson. A Prosperi non interessa che la bambina mai sia stata scomunicata e anzi sia stata abbracciata dalla Chiesa come Gesù crocifisso, con lo stesso amore materno. A Prosperi non interessa neppure che Williamson sia e resti sospeso a divinis: non ha una funzione canonica e non è abilitato a esercitare legittimamente né l’episcopato né il sacerdozio (inoltre il Vaticano gli ha intimato di rinnegare “in modo assolutamente inequivocabile e pubblico” le sue assurde dichiarazioni sulla Shoah). Questi sono i fatti. Ma chi vive di pregiudizio non ha bisogno dei fatti. Quando i fatti disturbano le opinioni, tanto peggio loro.
Tra i fatti rimossi e ignorati dal pensiero dominante ce ne sono due immensi e tragici: 1) l’enormità, in ogni caso, del fenomeno dell’aborto nel mondo (circa 50 milioni di casi ogni anno) su cui non si può sorvolare con superficialità; 2) quello che la Chiesa ha dovuto subire nell’ultimo secolo: un macello senza eguali, persecuzioni sotto tutti i regimi che hanno fatto decine di milioni di vittime cristiane, accompagnate da massicce campagne di calunnie perpetrate dai totalitarismi del Novecento. Una tragedia per la quale la Chiesa meriterebbe almeno un minimo di rispetto e soprattutto la fine del rancore pregiudiziale che la cultura laica progressista nutre tuttora contro di essa.
Antonio Socci
Da Libero, 19 marzo 2009
DOPO I TRAM DI GENOVA, SI ATTACCANO A TUTTO
Ormai il bombardamento sul Vaticano e sul Papa è diventato il passatempo quotidiano dei giornali. In mancanza di fatti vanno bene pure le opinioni o i gusti soggettivi. Ieri, per esempio, La Stampa ha fatto una paginata – con richiamo in prima – che aveva questo titolo: “Maxi-schermi: piazza San Pietro come lo stadio”. Sottotitolo: “Installati per l’Angelus, restano anche in settimana”.
Di che si tratta? Nell’immensa piazza San Pietro, da tempo, per permettere ai pellegrini di seguire le udienze e gli Angelus del papa sono stati collocati dei cosiddetti maxischermi, che, date le dimensioni colossali della piazza, del colonnato del Bernini e della Basilica vaticana, in realtà appaiono davvero piccoli e (pur rendendo un buon servizio ai pellegrini) nell’insieme si vedono appena perché si confondono con il bianco dei marmi.
Ma c’è chi si è stracciato le vesti e, come certi esponenti Radicali, è arrivato addirittura a evocare la presunta violazione dei Patti Lateranensi da parte della Santa Sede per questa sciocchezza. A loro dire il Vaticano, che pure è uno stato sovrano, sul suo territorio non può neanche collocare qualche pannello (che non copre assolutamente nulla) perché ai Radicali non piace.
Il Papa dovrà forse sottoporre al gradimento di Pannella pure il colore dei suoi paramenti per le liturgie della prossima Pasqua e la collocazione del grande baldacchino davanti al portale, dove si celebra la Messa? O si dovrà chiedere a Emma Bonino di che colore vuole che siano le sedie con cui si allestisce la piazza per la cerimonia di Pasqua? Occorrerà domandare l’autorizzazione a Marco Cappato, d’ora in poi, per calare giù dalla loggia di San Pietro i grandi ritratti dei nuovi canonizzati? E se i Radicali diranno che trovano brutte le transenne che regolano le lunghe file d’ingresso e bloccano l’accesso al colonnato? E se eccepiranno su quei grossi macchinari della polizia (fra le colonne del Bernini) con i quali si controllano i visitatori e i bagagli come all’aeroporto?
Non stiamo esagerando. Non sono domande surreali. Tiriamo solo le somme di quanto asserisce esplicitamente Marco Staderini, della Direzione di Radicali italiani, facendosi addirittura giudice dell’ortodossia del Papa rispetto alla tradizione cattolica: “Questa gerarchia vaticana sembra aver perso le ‘nobili tradizioni artistiche della Chiesa cattolica’ ”. Difficile capire quali titoli possa esibire Staderini per emettere simili sentenze. Ma il politico radicale aggiunge: “In una situazione analoga Antonio Cederna affermò che ‘per il paesaggio urbano non può valere l’assoluta sovranità della Chiesa sui beni culturali all’interno del Vaticano’ ”.
E con ciò tanti saluti non solo alla sovranità dello Stato vaticano, ma pure al principio cavourriano – sbandierato a parole – “libera Chiesa in libero Stato”. Ritengo francamente che dei politici esperti come Pannella e la Bonino si rendano conto dell’assurdità della polemica. Tuttavia Staderini è deciso: “Non è solo questione di gusto” ribadisce “ma anche di rispetto del Trattato lateranense, il Vaticano è infatti obbligato, ai sensi dell’articolo 18 del Trattato, a rendere fruibili tesori d’arte come il colonnato del Bernini, senza nasconderlo con megaschermi da stadio”.
Sorvolando sull’errata (a mio parere) interpretazione di quell’articolo e sul fatto che i Radicali sono da sempre contro i Patti Lateranensi e contro i Concordati, resta il fatto che nulla impedisce la visuale del colonnato. I pannelli non saranno un abbellimento come una statua michelangiolesca, ma non sono neanche uno scempio. Né coprono alcunché. Quindi il problema neanche esiste. Ma figuriamoci se gli indignati speciali si placheranno. Supportati, secondo La Stampa, da Italia Nostra hanno già fatto un’interrogazione al ministro Bondi. Maurizio Turco si aspetta addirittura “che l’ambasciatore vaticano in Italia chiarisca”. Ma perché non investire l’Unione europea o addirittura l’Onu dell’apocalittica questione?
C’è pure una dichiarazione di appoggio raccolta dal giornale torinese, che ha, appunto, toni apocalittici: “E’ uno scempio assurdo che deturpa la piazza”, protesta Giorgio Muratore storico del’architettura, “siamo davanti ad uno spettacolo osceno, un’intrusione di smaccata modernità in un capolavoro senza tempo”.
C’è da chiedersi dove vivano questi critici e se veramente in Italia e nella Roma delle laiche amministrazioni di questi decenni, manchino i veri scempi e le vere oscenità architettoniche cosicché ci si debba indignare per quei banali e transitori schermi. Al giornale torinese, da sempre custode della tradizione risorgimentale, verrebbe pure da chiedere se, per caso, i piemontesi dopo la conquista militare di Roma non combinarono pasticci architettonici e urbanistici che sarebbero molto più adatti a essere analizzati per una discussione critica.
Ma la storia sembra non interessare a nessuno. Così la Chiesa che – accanto alle persecuzioni fisiche e ai massacri degli ultimi 200 anni – ha subìto lo scempio, la profanazione e il saccheggio dei suoi tesori artistici e architettonici con la rivoluzione francese, con l’invasione napoleonica dell’Italia e di Roma (un immenso ladrocinio di opere d’arte), con la conquista militare piemontese e poi – in tutta Europa – con le grandi distruzioni di opere d’arte e chiese da parte dei regimi comunisti, senza che nessuno abbia mai chiesto scusa e senza che nessun intellettuale abbia mai ricostruito l’enormità di questa devastazione, questa Chiesa – dicevo – che per secoli ha fatto fiorire l’arte e ha coperto il nostro Paese di capolavori e di bellezza, si vede puntare il dito accusatore per quei banali schermi di piazza San Pietro. In un Paese, peraltro, dove, da decenni, accade di tutto ai nostri Beni artistici e architettonici.
La Stampa ha rubricato quella sua incredibile pagina di ieri sotto la formula “fede e spettacolo”. Vorremmo capire a quale spettacolo si riferiscono questi zelanti puritani subalpini. E comunque, a proposito di spettacolo e opere d’arte, ora ci aspettiamo che insorgano, con pari indignazione, per il consueto megaspettacolo sindacale del 1° maggio, l’assordante e invasivo concerto allestito da anni a ridosso di San Giovanni in Laterano, la più antica basilica della cristianità, un tesoro dell’arte e dell’architettura. Si indigneranno se verrà fatto di nuovo lì? Non ricordo di aver sentito alcuna lagnanza negli anni passati e penso che nemmeno quest’anno ne sentiremo. Sui giornaloni laici sono troppo impegnati a sorvegliare i due piccoli, innocui e marginali pannelli di Piazza San Pietro.
Antonio Socci
Da Libero, 18 marzo 2009
Benedetto XVI: Gesù mostra al malato il suo posto nel cuore di Dio
Incontra i malati al centro “Cardinale Leger” di Yaoundé
YAOUNDÉ, giovedì, 19 marzo 2009 (ZENIT.org).- Gesù Cristo “rivela ai malati e agli infermi il posto che essi hanno nel cuore di Dio e nella società”, ha affermato Benedetto XVI incontrando questo giovedì pomeriggio i malati del Centro “Cardinale Paul Emile Léger” di Yaoundé (Camerun), in questo terzo giorno del suo viaggio apostolico in Africa.
Il Pontefice si è rivolto ai malati e al personale del Centro, una struttura sanitaria destinata alla riabilitazione degli handicappati fondata nel 1972 dal porporato canadese dal quale prende il nome.
In particolare, si è rivolto a “coloro che nella loro carne portano i segni delle violenze e delle guerre”, così come a “tutti i malati, e specialmente qui, in Africa, a quelli che sono vittime di malattie come l’Aids, la malaria e la tubercolosi”.
“So bene come presso di voi la Chiesa cattolica sia fortemente impegnata in una lotta efficace contro questi terribili flagelli, e la incoraggio a proseguire con determinazione questa opera urgente”, ha osservato.
Il Papa ha dedicato il suo discorso a parlare del senso della sofferenza umana: “Davanti alla sofferenza, la malattia e la morte, l’uomo è tentato di gridare sotto l’effetto del dolore”, ha riconosciuto. “Quando la nostra condizione si degrada, l’angoscia aumenta; alcuni sono tentati di dubitare della presenza di Dio nella loro esistenza”.
“In presenza di sofferenze atroci, noi ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste. Davanti ad un fratello o una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso e compassionevole, la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto, uno sguardo, un sorriso, possono fare più che tanti discorsi”.
In questo senso, il Papa ha ricordato la figura di Simone di Cirene, che i Vangeli raccontano fu costretto dai soldati romani a portare la croce di Gesù in cammino verso il Calvario.
Simone di Cirene era africano, ha ricordato il Papa. “Anche se involontariamente, è venuto in aiuto all’Uomo dei dolori, abbandonato da tutti i suoi e consegnato ad una violenza cieca”.
“La storia ricorda dunque che un africano, un figlio del vostro continente, ha partecipato, con la sua stessa sofferenza, alla pena infinita di Colui che ha redento tutti gli uomini compresi i suoi persecutori”, ha dichiarato.
Simone di Cirene “non poteva sapere che egli aveva il suo Salvatore davanti agli occhi”. “Egli è stato 'requisito' per aiutarlo; egli fu costretto, forzato a farlo. E’ difficile accettare di portare la croce di un altro. E’ solo dopo la risurrezione che egli ha potuto comprendere quello che aveva fatto”.
“Così è per ciascuno di noi, fratelli e sorelle: al cuore della disperazione, della rivolta, il Cristo ci propone la Sua presenza amabile anche se noi fatichiamo a comprendere che egli ci è accanto. Solo la vittoria finale del Signore ci svelerà il senso definitivo delle nostre prove”, ha aggiunto il Papa.
“Fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, con fede e coraggio, perché da Lui provengono la Vita, il conforto, le guarigioni. Sappiamo guardare Colui che vuole il nostro bene e sa asciugare le lacrime dei nostri occhi; sappiamo abbandonarci nelle sue braccia come un bambino nelle braccia della mamma”.
Il Papa ha chiesto ai presenti di saper riconoscere in Simone di Cirene “ogni Africano e ogni sofferente” che “aiutano Cristo a portare la sua Croce e salgono con Lui al Golgota per risuscitare un giorno con Lui”.
Il Pontefice si è anche rivolto al personale sanitario del Centro, ricordando a quanti vi lavorano che spetta a loro “mettere in opera tutto quello che è legittimo per sollevare il dolore” ed “essere i difensori della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale”.
“Per ogni uomo, il rispetto della vita è un diritto e nello stesso tempo un dovere, perché ogni vita è un dono di Dio”.
Prima di congedarsi dai presenti, il Papa ha auspicato loro che “ognuno di voi non si senta mai solo. Spetta in effetti ad ogni uomo, creato ad immagine del Cristo, farsi prossimo del suo vicino”.
Il Lussemburgo legalizza l'eutanasia con l'opposizione del Granduca
Il Parlamento ha ridotto il potere del Capo di Stato
LUSSEMBURGO, venerdì, 20 marzo 2009 (ZENIT.org).- Il Lussemburgo ha ufficializzato questo martedì la legalizzazione dell'eutanasia, dopo una lunga battaglia legale che ha comportato per il Granduca Henri, monarca di questo piccolo Stato europeo, una riduzione dei suoi poteri perché si è rifiutato di firmarla.
Il Lussemburgo è diventato così il terzo Stato europeo a depenalizzare il suicidio assistito, dopo l'Olanda e il Belgio.
Il testo finale della legge era stato approvato dal Parlamento il 18 dicembre scorso, ma non aveva potuto essere promulgato visto che il Granduca aveva rifiutato la ratifica perché il testo era contrario alle sue convinzioni di cattolico.
Per portare avanti la legge, il Parlamento ha optato per una riforma della Costituzione e una limitazione dei poteri del Granduca, che da questo momento non ha la capacità di sanzionare le leggi, ma solo di promulgarle.
Ciò è avvenuto nonostante la campagna europea di sostegno alla “testimonianza di difesa della vita” del Granduca Henri, avviata nel dicembre scorso da eurodeputati cattolici.
Anche la Chiesa lussemburghese aveva lanciato una campagna informativa contro l'eutanasia e a favore delle cure palliative, attraverso una raccolta di firme sulla sua pagina web (www.cathol.lu).
Nell'ultimo messaggio alla Nazione sul tema, a dicembre, monsignor Bernard Franck, Arcivescovo di Lussemburgo, aveva avvertito contro “la via intrapresa” con l'eutanasia, chiedendo invece un miglioramento delle cure palliative.
“Gli ultimi mesi hanno rivelato che molti dei nostri contemporanei sono preoccupati per l'ultima fase della loro vita – ha affermato in quell'occasione monsignor Franck –. Spesso gli uomini e le donne chiedono l'eutanasia per non diventare un peso per le loro famiglie in caso di malattia grave o di vecchiaia”.
Ad ogni modo, ha avvertito, la depenalizzazione dell'eutanasia “aumenterà la pressione sui malati gravi o dipendenti. Tutti questi timori sono reali e dobbiamo prenderli sul serio, ma si possono evitare con una buona informazione, la medicina palliativa e, in definitiva, la speranza cristiana”.
“Anni fa, quando sono iniziati i dibattiti sull'eutanasia, la Chiesa cattolica ha preso la parola per mettere in guardia contro la continuazione di questo cammino. Negli ultimi mesi non ho smesso di inviare appelli chiari e urgenti alla popolazione”, ha aggiunto il presule.
L'Arcivescovo di Lussemburgo ha impegnato i cattolici del Granducato in una campagna a favore delle cure palliative.
Giorgio Bocca e i “mostri del Cottolengo” - Autore: Parravicini, Jacopo - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 19 marzo 2009
Mostruosi gli ospiti del Cottolengo? Prima di affermarlo Bocca abbia il coraggio di guardarsi allo specchio, se può avere il coraggio di guardarsi negli occhi una persona che definisce “mostri” dei portatori di handicap!
“È lo stesso culto della vita a ogni costo che lascia perplessi i visitatori della Piccola casa della divina Provvidenza, la pia istituzione del Cottolengo, dove tengono in vita esseri mostruosi e deformi. Gli eccessi della carità fanno il paio con quelli dell'ideologia. I cultori della vita a ogni costo in obbedienza a Dio non si accorgono di volersi sostituire a Dio, massima empietà.” (G. Bocca, L’Espresso, 6/3/2009)
Ciò che ha fatto Bocca è una delle cose più abiette che si possano fare: apostrofare un uomo per il proprio handicap! Rammento che da bambino, fin dall’asilo, mi hanno insegnato che apostrofare un compagno per un suo difetto fisico era una cosa veramente vigliacca, “perché non l’hai scelto tu di nascere in un modo piuttosto che in un altro”.
La domanda che pongo a Bocca è la seguente: si è mai guardato allo specchio? Ma che diritto ha lui di definire “mostri” degli esseri umani? E quale sarebbe l’alternativa, per il bellissimo Bocca – il giovane, alto, biondo, prestante & ariano Giorgio Bocca - al tenere in vita questi “esseri mostruosi” (del tutto diversi da lui, lui che è un perfetto prodotto della razza umana)? Se non si “tengono in vita”, occorrerà provvedere a eliminarli pietosamente, secondo princìpi di squisita umanità e in seguito ad approfondite valutazioni mediche. Perciò, certamente lo splendido Bocca, l’aitante e giovanile Bocca, è d’accordo che venga “affidata la responsabilità di espandere l'autorità dei medici, che devono essere designati per nome, perché ai pazienti considerati incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile del loro stato di salute possa essere concessa una morte pietosa”. Questa mi sembra certamente la miglior procedura per evitare questo scandalo di tenere in vita degli “esseri mostruosi”, che evidentemente non meritano di essere tenuti in vita.
Ricordo al modello Giorgio Bocca che egli, tuttavia, non ha affermato niente di nuovo: sta solo rispolverando vecchie opinioni che qualche decennio fa erano in voga nell’Europa centrale... la citazione che ho riportato viene da una lettera, datata 1939, di un certo signor Adolf Hitler al capo della Cancelleria del Reich Bouhler...
Mostruosi gli ospiti del Cottolengo? Prima di affermarlo Bocca abbia il coraggio di guardarsi allo specchio, se può avere il coraggio di guardarsi negli occhi una persona che definisce “mostri” dei portatori di handicap! Si guardi negli occhi, e magari pensi agli occhi di quell’amico di Marcello Candia, che era lebbroso, che aveva il corpo del tutto marcito in ogni punto, che Candia diceva avere gli occhi più belli che avesse mai visto!
“Dr. House”, parabola del perdono e della ricerca di Dio
ROMA, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- Giovedì prossimo uscirà in libreria il nuovo volume di Carlo Bellieni e Andrea Bechi, dal titolo “House MD: follia e fascino di un cult movie” (Cantagalli Editore).
Il libro prende spunto dalla famosa serie televisiva ambientata in un ospedale statunitense e che ha come protagonista il dr. House. Un telefilm “diabolico” che svela però la sua faccia “buona”. Se poi il telefilm è un boom di ascolti e un cult tra i ragazzi, di solito bersagliati da messaggi “infausti”, la notizia è clamorosa.
Questa notizia è diventata ora un libro, scritto per di più a quattro mani da un medico e da un sacerdote, che hanno analizzato i messaggi talvolta espliciti, talvolta nascosti, della serie televisiva che racconta la storia del medico Gregory House, geniale ma solo, drogato ma bravissimo, cinico ma umano.
Con i suoi aforismi, i suoi apologhi, le sue idiozie e le battute dei colleghi di House, questa serie riafferma dei valori forti e fermi, pur con le sue contraddizioni, col suo cinismo e il suo ateismo urlato (ma solo per darsi un tono, molto probabilmente). Una morale, insomma, che “non fa la morale”.
Attenzione, comunque: House è un “cattivo”, è cinico. Ci è richiesto uno sforzo per superare l’impatto con questi comportamenti negativi, per arrivare a capire il messaggio principale della fiction, per non fermarsi a quello che si vede, ma fissare il punto decisivo: il cambiamento e lo stupore di una mente cinica.
L’idea che le storie di House contengano un messaggio esistenzialmente profondo, viene chiarita dalle parole del suo autore, David Shore: “C’è un sottofondo filosofico nello show, un’opportunità di parlare della vita e di come viverla. Penso che i buoni show debbano trattare di dilemmi etici e di questioni di etica”.
Oltre che vincitore di vari premi Emmie, la serie ha ottenuto il prestigioso premio “Humanitas”, assegnato a storie che “affermano il valore della persona umana, il senso della vita, ed esaltano l’uso della libertà umana. Storie che rivelano la comune umanità, cosicché l’amore possa permeare la famiglia umana ed aiutare a liberare, arricchire e unificare la società”.
E’ stupefacente notare, se si legge con attenzione il telefilm, come emerga un messaggio contro l’aborto, contro l’eutanasia, a favore della vita, del matrimonio, contro la droga proprio attraverso la storia di persone talvolta ciniche, peccatori e atei, ma la cui insoddisfazione per i loro errori è così chiara, che non lasciano dubbi sul senso del messaggio che intelligentemente non è un “no” urlato ciecamente contro gli errori, ma è un “no” che acutamente gli sceneggiatori fanno sorgere dal cuore di chi guarda.
Ma a volte il “no” è esplicito: vi sentiamo frasi del tipo: “Ogni vita ha delle qualità” che cozza contro il dogma postmoderno della qualità della vita, oppure: “Ogni vita è sacra” e anche: “Occorre essere religiosi, per dire che un feto è vita?”; e vediamo immagini meravigliose, come quella del feto che con la manina accarezza il dito di House dall’utero della sua mamma aperto per un intervento chirurgico.
Per leggere bene il telefilm “Dr. House”, si spiega nel libro, bisogna però vincere un pregiudizio, un lavoro personale che è una sorta di ascesi: quello per il quale il cristianesimo è una cosa “per persone buone”.
Nulla di più sbagliato: il cristianesimo è un affare di peccatori, di gente arrovellata e incostante… proprio come House. Ma il cristiano (proprio come House) pur peccando sempre, ne sente la tristezza e cerca perdono.
Eloquente, in queste senso, un dialogo tra un prete e House. Prete: “Ti comporti come se non ti importasse nulla, ma stai qui a salvare vite”. House: “Salvare vite è solo un danno collaterale”. Prete: “Non credo che tu cerchi qualcuno che ti dia ragione. Credo che cerchi qualcuno che ti mostri che ti sbagli, per darti speranza. Tu vuoi credere, vero?”.
In fondo, allora, è facile riconoscere questo messaggio nascosto, ma farlo è una sfida, un lavoro e un invito per tutti.
Con le europee si prepara l’offensiva contro la vita e la famiglia - di Giorgio Salina*
BRUXELLES, giovedì, 19 marzo 2009 (ZENIT.org).- Da oltre vent’anni, per iniziativa del Principe Dr. Otto von Habsburg, allora Eurodeputato, ogni settimana in cui il Parlamento europeo è in seduta plenaria a Strasburgo, il mercoledì mattina si celebra una Messa.
Lo scorso anno la on. Véronique De Keyser, belga, membro del Gruppo socialista, ha ritenuto di riequilibrare la situazione, chiedendo la disponibilità di un’altra sala per “celebrare” in contemporanea una « petit déjeuner de la libre pensée ». La prima in programma aveva questo tema: la parità dei sessi prevale sulla libertà religiosa.
Poiché i miei amici, Deputati e non, ed io non abbiamo partecipato a questa petit déjeuner, ancora oggi non sappiamo perché mai la parità dei sessi debba prevalere sulla libertà religiosa. Pazienza, non si può avere tutto nella vita.
Questo è uno dei tanti episodi ai quali si faceva cenno giovedì scorso in questa stessa rubrica; certo non sempre si concretizzano con questa povertà culturale, ma sono comunque indice di una situazione diffusamente presente nel Parlamento europeo.
Per rispettare anche in questa sede la parità dei generi, possiamo citare l’iniziativa dell’on. Miguel Angel Martínez Martínez, spagnolo, membro del Gruppo socialista, che ha organizzato un seminario su “ragione e politica” in collaborazione con Catholics for free choice (Cattolici per la libera scelta), un’organizzazione originaria degli USA, più volte duramente sconfessata dalla Conferenza Episcopale nord-americana, che continua impunemente a definirsi cattolica.
Non so quanti siano gli aderenti, probabilmente non molti, ma certamente con finanziamenti assai cospiqui; circa un anno fa hanno organizzato un viaggio per una quindicina di Eurodeputati in America latina, per verificare nei diversi Paesi la liberalizzazione dell’aborto, secondo uno slogan spesso citato “aborto libero e assistito”.
Sono stati tra gli organizzatori della fronda che ha portato alla ricusazione di Rocco Buttiglione come Commissario europeo, perché cattolico, a cui hanno collaborato le forze della sinistra europea, incluse, anzi in prima fila, quelle italiane.
Al di là delle polemiche di quei giorni, è assodato che Buttiglione è stato rifiutato in quanto cattolico; un cattolico in quel ruolo non ci poteva stare; da qui l’impegno fattivo di Catholics for free choice.
Ecco la controprova: due mesi dopo il fatto, in Commissione Affari Costituzionali due Deputati inglesi, Andrew Duff, del Liberal Democrat Party, e Richard Corbett, del Labour Party, hanno detto, pressapoco con queste parole: occorre rivedere le procedure di audizione dei Candidati Commissari, perché con Buttiglione abbiamo fatto un grave sbaglio, abbiamo giudicato un uomo per le sue idee e le sue convinzioni, e non per i suoi programmi, e questo è contrario alla Carta dei diritti fondamentali.
Noto per inciso che dopo che la vicenda Buttiglione aveva tenuto le prime pagine per giorni, a mia conoscenza nessun quotidiano europeo, e tanto meno italiano, ha ripreso le dichiarazioni dei due deputati inglesi.
Scusate la digressione, ma mi pare importante, perché illustra chiaramente dove si può arrivare per questa china.
Il seminario su ragione e politica ha fornito la tribuna ad una serie di personaggi tra i quali lo stesso on. Miguel Angel Martínez Martínez e il Presidente europeo di Catholics for free choice, perché dessero questo messaggio: la verità non esiste, vi sono molte opinioni tutte lecite, che hanno diritto di essere rispettate e considerate in ambito sociale, ovviamente escluse quelle cristiane e cattoliche in particolare, perché lungo i secoli hanno già combinato parecchi disastri.
Penso che a questo punto tutti immaginino il repertorio di “dimostrazioni” addotte: le crociate, l’inquisizione, la condanna di Galileo, ecc. Ero presente, e vi prego di credermi, se ad alcuni degli intervenuti si fosse potuto chiedere dove stava l’errore nei fatti citati, non sarebbero stati in grado di spiegarlo. Con molta amarezza però dobbiamo ammettere che anche tra noi cattolici alcuni avrebbero avuto difficoltà a contestare questi esempi.
La seconda parte del messaggio: tutte le Chiese, soprattutto le più organizzate, come quella cattolica, attuano una vera e propria dittatura culturale; vogliono impedire alla gente di ragionare con la propria testa e di fare libere scelte personali. Questo la politica deve impedirlo.
Non stupisca la rozzezza, è esattamente ciò che è stato detto.
Fatti come questi suscitano però alcune domande: fino a che punto il Parlamento europeo è lo specchio fedele della società che lo ha espresso? Cosa producono “spettacoli” come questi sui nostri fratelli dell’Est che ci osservano? Penso in particolare agli ortodossi.
Sono domande complesse che comportano risposte difficili, ma che comunque confermano, se ce ne fosse bisogno, le ripetute indicazioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sulla necessità e urgenza di una nuova evangelizzazione dell’Europa.
Dal 5 al 7 marzo scorso, presso il Parlamento a Bruxelles si è svolto il «World Congress for Freedom of Scientific research» (Congresso Mondiale per la Libertà della ricerca scientifica) organizzato dal Partito radicale non violento, trasnazionale e traspartitico, dall’Associazione Luca Coscioni, dal Gruppo Liberale europeo, dal Gruppo Socialista europeo, ed altri.
Una sessione del Congresso era dedicata ai “Criteri religiosi, bioetici e politici per la libertà della ricerca”. A dibattere un tema così impegnativo, in nome del pluralismo culturale, è stato chiamato un pannel composto da esperti di diverse aree culturali: Marco Pannella; Alex Mauron, professore associato di bioetica alla Facoltà di Medicina dell’Università di Ginevra, che ha parlato sul tema “Relativismo epistemologico e dogma religioso: due alleati contro la libertà della ricerca scientifica”; Pervez Hoodbhoy, Preside della Facoltà di Fisica dell’Università di Quaid-e-Azam, (Pakistan); completava il pannel la sign.a Laurette Onkelinx, Vice Primo Ministro, Ministro degli Affari sociali e della sanità pubblica del Governo belga, socialista, distintasi per la promozione dell’aborto.
Come si vede il pluralismo culturale .... è stato assicurato. « .... S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde» (Dante – Purgatorio VI°: 138). Sorvolando su ciò che è stato detto, in questo periodo si ha il sospetto che iniziative come questa risentano del clima di fine legislatura, e aprano di fatto la campagna elettorale.
Leggendo questi fatti realmente accaduti e molto meno marginali di quanto possa sembrare, si comincia a concretizzare la piattaforma sulla quale impegnare e misurare i candidati, ed in particolare quelli che chiedono voti al cosiddetto mondo cattolico.
Dicano come si comporteranno per il complesso dei problemi sul tappeto, ma senza ignorare questi, perché è una facile profezia affermare che ci troveremo di fronte, sia al Consiglio d’Europa, sia nelle Istituzionui dell’UE, a tre tentativi coordinati:
- In occasione del quindicesimo anniversario dell’Assemblea del Cairo sulla popolazione, il tentavito di rilanciare l’aborto, dichiarandolo diritto umano fondamentale, e rilanciare campagne contraccettive e di sterilizzazione.
- Il tentativo, anche attraverso la giurisprudenza dell’Alta Corte, di imporre il matrimonio omosessuale, riconoscendo a queste coppie il diritto di adozione.
- Un attacco concentrico e coordinato contro il diritto dei sanitari all’obiezionre di coscienza circa l’aborto.
Su questi problemi i candidati di ispirazione cattolica che intenzioni dichiarano?
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*Presidente dell’Associazione Fondazione Europa
Ciò che la Chiesa dice e non dice sul preservativo
Il presidente dei medici cattolici spiega il dibattito
BARCELLONA, giovedì, 19 marzo 2009 (ZENIT.org).- Leggendo i giornali si ha l'impressione che la Chiesa dica che se una persona ha rapporti sessuali con una prostituta non deve usare il preservativo, riconosce il presidente dell'associazione dei medici cattolici del mondo.
José María Simón Castellví illustra con questo esempio la superficialità con cui alcuni mezzi di comunicazione hanno informato sulle parole pronunciate da Benedetto XVI questo martedì a bordo dell'aereo che lo stava portando in Camerun, quando ha spiegato che il preservativo non è la soluzione all'Aids.
“La Chiesa difende la fedeltà, l'astinenza e la monogamia come armi migliori”, indica il presidente della Federazione Internazionale dei Medici Cattolici (FIAMC) in una dichiarazione rilasciata a ZENIT.
I media e anche alcuni rappresentanti politici hanno tuttavia accusato la Chiesa di promuovere l'Aids in Africa. Ovviamente, osserva il medico, la Chiesa non sta dicendo che si possono avere relazioni sessuali promiscue di ogni tipo a patto di non utilizzare il preservativo.
Il dottor Simón spiega che per comprendere ciò che la Chiesa dice sul preservativo bisogna capire cos'è l'amore, come ha spiegato lo stesso Papa ai giornalisti, anche se questo passaggio della conversazione è stato “censurato” dalla maggior parte dei mezzi di comunicazione.
“Il preservativo è una barriera, ma una barriera con limiti che molte volte vengono aggirati. Soprattutto tra i giovani può essere controproducente dal punto di vista della trasmissione del virus”, ha aggiunto.
“Noi medici cattolici siamo a favore della conoscenza scientifica – spiega –. Non diciamo le cose solo per motivi ideologici. Come ammettiamo che un adulterio di pensiero non trasmette alcun virus ma è qualcosa di negativo, dobbiamo dire che i preservativi hanno i loro pericoli. Sono barriere limitate”.
Il medico illustra la posizione della Chiesa citando un caso reale, raccolto dai media informativi.
A Yaoundé, in Camerun, si è celebrata nel 1993 la VII Riunione Internazionale sull'Aids con esperti medici e sanitari. Hanno partecipato circa trecento congressisti e al termine è stato distribuito un questionario perché si indicasse, tra le altre cose, se si aveva avuto rapporti sessuali nei tre giorni in cui era durata la riunione con persone con cui non si facesse coppia fissa.
Degli interpellati, il 28% rispose di sì, e un terzo di questi disse di non aver preso alcuna “precauzione” per evitare contagi.
“Se ciò avviene tra persone 'coscienziose', cosa accadrà tra la gente 'normale'?”, si è chiesto Simón Castellví.
Benedetto XVI: San Giuseppe, modello di amore senza possesso
Per i Vespri nella Basilica “Marie Reine des Apôtres” di Yaoundé
YAOUNDÉ, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- “San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere” e resta il modello per tutti coloro che vogliono “votare la loro esistenza a Cristo”.
E' quanto ha affermato Benedetto XVI questo mercoledì sera, presiedendo nella Basilica Marie Reine des Apôtres di Yaoundé la celebrazione dei primi Vespri della Solennità di San Giuseppe con Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi, diaconi, membri di movimenti ecclesiali e rappresentanti di altre confessioni cristiane del Camerun.
San Giuseppe, ha ricordato, “ha vissuto alla luce del mistero dell'Incarnazione” e “non solo con una prossimità fisica, ma anche con l’attenzione del cuore”.
Per questo, “ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza”.
“In lui non c’è separazione tra fede e azione”, ha riconosciuto il Papa, perché “la sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni”.
“Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un 'uomo giusto' perché la sua esistenza è 'aggiustata' sulla parola di Dio”.
Pur non essendo il padre biologico di Gesù, San Giuseppe esercita “una paternità piena e intera”.
Essere padre, ha spiegato il Pontefice, “è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita”, e in questo senso ha dato prova “di una grande dedizione”.
“Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio”, ha ricordato, sottolineando che “la sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo”.
“Si tratta di non essere un servitore mediocre – ha aggiunto –, ma di essere un servitore 'fedele e saggio'”.
Il Papa ha spiegato che l’abbinamento dei due aggettivi non è casuale, perché “suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida”.
“San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei”.
Gesù Cristo, “radice” del sacerdozio
Benedetto XVI ha invitato i sacerdoti a vivere la paternità espressa da Giuseppe nel loro ministero quotidiano, ribadendo che la “radice” del sacerdozio è Gesù Cristo.
“La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere”, ha affermato.
“Vivendo questa amicizia profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore”.
Il Pontefice ha quindi auspicato che la celebrazione dell'Eucaristia, nella quale Cristo ci viene donato, sia il centro della vita sacerdotale, diventando quindi anche quello della missione ecclesiale.
Accanto a questo, ha invitato i presbiteri a coltivare una “relazione confidente” con i loro Vescovi, esortandoli a “rispondere con fedeltà alla chiamata” del Signore e a non lasciarsi turbare “dalle difficoltà del cammino”.
“Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un 'sì' generoso a Cristo!”, ha esclamato.
San Giuseppe, uomo ecumenico
Benedetto XVI ha quindi ricordato che la vita di San Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, “è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa”.
Il suo esempio, infatti, “sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ‘ecclesia’”.
“Questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande sfida”, ha riconosciuto il Papa parlando ai “cari amici membri delle altre confessioni cristiane”.
Questa sfida “ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre più attirare da Lui. E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno stesso Padre”.
Nell'Anno Paolino, il Pontefice ha quindi invitato a rivolgersi all'“Apostolo delle Nazioni” “per ascoltare e apprendere la fede e la verità nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo”.
Gay, Obama abbandona la linea Bush. Appoggerà la dichiarazione dell'Onu - Il presidente americano appoggerà il documento contro la criminalizzazione dell'omosessualità
WASHINGTON - Sulla omosessualità il presidente americano Barack Obama si appresta a invertire rotta rispetto al suo predecessore George W. Bush: la nuova amministrazione, infatti, ha annunciato ufficialmente il proprio sostegno ad una dichiarazione dell'Onu che chiede la depenalizzazione mondiale dell’omosessualità, mentre l'ex inquilino della Casa Bianca aveva scelto di non firmare il documento.
«NESSUN OBBLIGO LEGALE» - Il portavoce del dipartimento di Stato americano, Robert Wood, annunciando la decisione, ha sottolineato che questo non avrà comunque conseguenze giuridiche per gli Stati Uniti: «Il fatto di sostenere questa dichiarazione non ci dà alcun obbligo legale», ha precisato il portavoce americano. L’amministrazione Obama ha però poi lasciato intendere di volere abrogare la legge, molto controversa, che permette a gay e lesbiche di essere arruolati nelle forze armate a condizione di tenere sotto silenzio il loro orientamento sessuale. Si è palesata inoltre l’opposizione di Obama a un divieto costituzionale federale del matrimonio tra omosessuali, sostenendo d’altra parte il diritto delle coppie omosessuali all’adozione.
AMNESTY INTERNATIONAL - L'organizzazione non governativa per la difesa dei diritti umani ha espresso oggi soddisfazione per la decisione del presidente Barack Obama. «Ogni giorno noi ci battiamo per persone che rischiano la prigione, la tortura e anche la morte per la loro identità sessuale - afferma Amnesty in una dichiarazione -. Firmando la dichiarazione il presidente Obama darà un importante sostegno alla lotta per giungere ad un mondo dove tutte le persone sono trattate egualmente».
IL NO DELLA SANTA SEDE - Lo scorso dicembre, l'amministrazione Bush fu al centro di critiche per aver rifiutato di sottoscrivere il documento, al quale è stato dato l'appoggio tra gli altri dai paesi dell'Ue e da Giappone, Australia e Messico. Al momento sono 66, su 192, i membri dell'Onu che hanno firmato il documento. La Santa Sede ha scelto di non sottoscriverlo.
18 marzo 2009
Il Giornale 15 Marzo 2009 - di Andrea Tornielli - Le reazioni alla lettera del Papa - SE SI TRASFORMA LA CHIESA IN UN TALK SHOW
Molti dei commenti e delle reazioni alla lettera sofferta che Benedetto XVI ha inviato ai vescovi di tutto il mondo per spiegare il vero significato della revoca della scomunica ai lefebvriani e spegnere le polemiche suscitate dall’intervista negazionista di monsignor Williamson, hanno indugiato sulla solitudine del Papa, sui problemi del governo curiale, sull’opposizione da parte degli episcopati progressisti e sulle rigidezze dei tradizionalisti, sugli errori di comunicazione. E si sono concentrati infine sulle fughe di notizie «miserande», secondo la definizione del direttore de L’Osservatore Romano, che con un suo editoriale ha attirato l’attenzione mediatica proprio su questo argomento.
Eppure il cuore dell’inconsueto messaggio papale – una lettera coraggiosa e umile allo stesso tempo, con la quale Benedetto ha preso su di sé le responsabilità della macchina curiale – ha rischiato e rischia di rimanere ancora sotto traccia. È vero: Ratzinger non nasconde, nelle sette pagine inviate ai «confratelli nel ministero episcopale», di essere stato profondamente colpito non dalle polemiche esterne, dalle strumentalizzazioni mediatiche del suo gesto di misericordia e riconciliazione nei confronti dei lefebvriani, quanto piuttosto dall’asprezza e dall’ostilità delle reazioni in campo cattolico, nella Chiesa. Vescovi e cardinali lo hanno attaccato, hanno ritenuto che il Pontefice volesse fare un’inversione di marcia rispetto al Concilio Vaticano II. Una «valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento». Con il suo gesto solitario e sofferto, il Papa ha voluto, ancora una volta, richiamare tutti alla necessità di uno sguardo diverso, lo sguardo della fede: «Sempre e di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore». Non per appiattire il dibattito e il confronto interno alla Chiesa, non per fare tabula rasa delle differenze e delle diversità, che da sempre hanno caratterizzato la «catholica», che si chiama così proprio perché include e non esclude, e al cui interno la stessa fede può essere vissuta secondo esperienze, modalità e sensibilità diversissime tra di loro.
No, l’amarezza del Papa non è stata determinata dal fatto che siano stati espressi giudizi diversi sulla revoca della scomunica. La sofferenza che traspare dalle pagine della lettera è legata al fatto che in quei giudizi, in quelle critiche che gli hanno fatto ricordare la frase paolina sui cristiani che si mordono e divorano a vicenda, non c’era carità. Prevalevano le logiche delle fazioni contrapposte, che finiscono per trasformare anche la Chiesa in un talk show o in un congresso di partito, con tanto di correnti contrapposte e cordate che mirano soltanto alla gestione del potere.
Questo Papa anziano, che all’inizio del suo pontificato disse che il suo compito «è di far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo», chiede ancora una volta alla Chiesa e a tutti i suoi membri, come pure alla sua Curia, un cambiamento di sguardo e di mentalità. Quello sguardo che si può cogliere nel commento pubblicato su L’Osservatore Romano di oggi dal vescovo Rino Fisichella, dedicato al caso della bambina brasiliana stuprata dal patrigno, rimasta incinta di due gemelli e fatta abortire. Una storia tragica, che ha visto il vescovo di Recife salire alla ribalta delle cronache internazionali per aver immediatamente annunciato che i medici che hanno praticato l’aborto sono incorsi nella scomunica. «Prima di pensare alla scomunica – scrive Fisichella – era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri».
Ecco, questo stesso sguardo di misericordia è quello che Benedetto XVI testimonia alla Chiesa. Pensare che il cuore del problema siano solo le poltrone della Segreteria di Stato – dove pure esistono innegabili disfunzioni - o lo studio di più efficaci strategie comunicative, o ancora le divisioni secondo logiche politiche tra conservatori e progressisti, significa, una volta di più, ridurre la profondità dell’insegnamento papale a logiche di potere mondano. Il Papa non ha bisogno di interpreti autorizzati: comunica benissimo e dà il meglio di sé anche quando parla a braccio. In un momento della storia in cui Dio «sparisce dall’orizzonte degli uomini» c’è bisogno di riscoprire che alla Chiesa non si possono applicare le logiche aziendali, né può rimanere ripiegata su se stessa, concentrata sui suoi organigrammi. La Chiesa vive spalancata verso il mondo. Proprio per questo, martedì prossimo, il vescovo di Roma parte per l’Africa, il continente dimenticato.
L’odio contro il Papa e il «fumo di Satana»
Non c'è neanche la possibilità dell'errore di traduzione, perché Benedetto XVI ha scritto di suo pugno la lettera ai vescovi in due versioni: italiano e tedesco. E quindi la parola usata è proprio quella: «Odio».
Papa Ratzinger sente che si è diffuso, tra i membri stessi della Chiesa, questo forte sentimento di rabbiosa avversione e di profondo risentimento proprio nei suoi confronti, nei confronti del Vicario di Cristo e successore dell'apostolo Pietro. Venisse da fuori, da coloro che sono extra ecclesiam, quest'odio non desterebbe scandalo e il pontefice non si sentirebbe tenuto a rispondere con una inconsueta lettera ufficiale. No. L'odio - dice Benedetto XVI - viene da dentro, dalle membra del corpo, che si ribellano alla volontà del capo e covano dentro di sé cupi disegni di rivalsa e di vendetta.
Tornano alla mente le parole dell'allora cardinal Ratzinger alla Via Crucis del 2005: «Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!». Oggi è lo stesso Ratzinger ad annunciare che la sporcizia ha mutato forma ed è degradata in odio. Per essere chiaro e non prestarsi ad equivoci interpretativi, il Papa ricorre a un'immagine usata da San Paolo nella lettera ai Galati: quella del «mordersi e divorarsi» a vicenda come belve feroci. Benedetto afferma che sono state proprio le presenti circostanze a fargli comprendere meglio questo passaggio del testo paolino, da lui finora ritenuto una delle «esagerazioni retoriche» dell'apostolo delle genti. Scrive il Papa: «Purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata».
E il risultato di questo mordersi e divorarsi - ammonisce San Paolo e ricorda Benedetto XVI - è la distruzione. Ergo: l'odio delle membra contro il capo può portare alla consunzione del corpo. E l'odio di vescovi, preti e teologi contro il Papa può portare alla disgregazione della Chiesa. Alla fine è questo ciò che è in ballo in questi mesi e in questi giorni, e forse potremmo dire in questi anni di pontificato ratzingeriano, in ciò paragonabile al drammatico papato di Paolo VI, anch'egli fortemente contestato (e, guarda caso, accusato come Benedetto XVI di «conservatorismo») da ampia parte degli episcopati e dalla casta teologica dominante dopo il Concilio Vaticano II.
E allora torniamo per un attimo proprio a Papa Montini e a quelle parole del novembre 1972 spesso citate, ma che oggi, alla luce della lettera di Papa Ratzinger ai vescovi e alla denuncia in essa contenuta di un odio nei confronti del pontefice radicato e diffuso nella Chiesa stessa, assumono ancor di più un profilo di profetica verità: «Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel Tempio di Dio... Nella Chiesa regna questo stato d'incertezza; si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E' venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio». Queste parole non furono pronunciate da qualche lefebvriano smanioso di gettare fango sul Vaticano II, ma da colui che del Concilio fu uno dei maggiori e più convinti sostenitori (anche qui, come l'allora teologo Ratzinger): per questo sono ancor più autorevoli. E la prova della consapevolezza interiore con cui furono dette è nel dolore, nella sofferenza, nel dramma che consumarono la persona di Papa Montini negli ultimi anni della sua permanenza sul soglio di Pietro, quando egli dovette assistere alla ribellione di vescovi e teologi agli atti papali, allo svuotamento dei seminari, all'indebolirsi della presenza cattolica nella società.
Il riferimento a Satana fatto da Paolo VI è ancora più significativo oggi, nel momento in cui Benedetto XVI subisce una diffusa e pesante contestazione da parte di molti episcopati ed esponenti dell'intellighenzia cattolica, avente ad oggetto ancora una volta, in sostanza, il Concilio Vaticano II, e vede dietro tale contestazione il seme e il movente dell'odio. E l'odio, nei Vangeli, è il sentimento proprio del Maligno. E' la caratteristica del Demonio, la cui opera nella storia punta a dividere il corpo di Cristo, e quindi a distruggerlo per frantumazione. Più nella Chiesa ci si «morde e divora», più il «fumo di Satana» ha campo libero per entrare nel tempio. Per questo la denuncia dell'odio fatta da Papa Ratzinger nella sua lettera ai vescovi, più che lo sfogo personale del pontefice romano, deve essere considerata come un richiamo del Vicario di Cristo a non lasciare che le tenebre, la tempesta e il buio spengano la luce della Verità. Quella Verità affidata a colui al quale duemila anni fa venne detto: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».
di Gianteo Bordero
Ragionpolitica.it 13 marzo 2009
La primavera di Eliot - Pigi Colognesi - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Molti ricorderanno la facile poesiola di Angelo Silvio Novaro che ci facevano studiare in questa stagione alle elementari. Tra l’altro dice: «Passata è l’uggiosa invernata, / passata, passata! / Di fuor dalla nuvola nera, / di fuor dalla nuvola bigia / che in cielo si pigia, /domani uscirà Primavera». Eh sì, domani è primavera.
Ma non sono questi i primi versi che mi sono tornati alla mente constatando l’imprevedibile ma inarrestabile risveglio della natura, il sorprendente rifluire della sua vita. E neppure quelli dell’ottimistico e malinconico umanesimo, tipo: «Ben venga primavera».
Piuttosto ho pensato a Eliot e al folgorante inizio del suo poema La terra desolata: «Aprile è il mese più crudele, genera / lillà da terra morta, confondendo / memoria e desiderio, risvegliando / le radici sopite con la pioggia della primavera».
Con quell’inaspettato aggettivo - «crudele» - appioppato al ritorno della bella stagione, Eliot sorpassa di slancio ogni interpretazione bambinesca, ogni scontatezza gioviale. La primavera è crudele perché risveglia qualcosa che avremmo voluto continuasse a dormire sotto la «terra morta». In fondo una parte di noi preferirebbe continuare un letargo privo di consapevolezza. Prosegue, infatti, Eliot: «L’inverno ci mantenne al caldo, ottuse / con immemore neve la terra, nutrì / con secchi tuberi una vita misera». Senza «memoria» e senza «desiderio» ci si può accontentare della «misera» vita al calduccio delle proprie sicurezze misurate, delle dimensioni anguste, della rinuncia che ha paura di ogni sorpresa.
Ma dal tronco secco di questa rassegnata dimenticanza la primavera fa inaspettatamente sbucare il germoglio del desiderio. Che esige una risposta, un compimento, a cui non basta la tiepidezza della rassegnazione. Non è crudeltà; anzi, si potrebbe dire che questa è proprio la «grazia» della primavera. Essa ci invita a considerare che il tempo non è uno scorrere insignificante di momenti in fondo tutti uguali.
Certo, non viviamo più in un contesto agricolo dove il passaggio dall’inverno alla primavera si mostra con l’imponenza di una colossale trasformazione della natura. Nelle città anche il cambio delle stagioni ha qualcosa di artificiale, di scontato. Possiamo mangiare ciliege e angurie anche d’inverno e dell’arrivo della primavera ci avvediamo quasi solo per la necessità di cambiare abbigliamento e per la possibilità di stare un po’ più all’aperto. Ma lo strano prurito di desiderio che ci troviamo addosso, ci dimostra che il tempo non è uno scivolo monotono. Esso offre continuamente una possibilità ripresa. A patto che il desiderio non sia soffocato.
Vale la pena dare ascolto a questo bisogno di rinascita a questa percezione di un tempo che si rinnova. Anche perché la vita dell’uomo, come dice la poesia dei Salmi, di primavere ne ha solo «settanta, ottanta per i più robusti». Qualsiasi sia il numero di questa che incomincia, la primavera ha in sé per ciascuno di noi la promessa di una rinascita, di una novità. Di una pasqua.
AFRICA/ 1. Jovine (malata Aids): senza marito e con sei figli ormai orfani, a che mi servono i condom? - INT. Rose Busingye - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Discutere del problema dell’Aids dalle redazioni dei giornali o dagli uffici politici delle varie istituzioni europee è una cosa; parlarne avendo negli occhi la situazione di decine di donne sieropositive, e dei loro figli che hanno preso il contagio, è tutt’altro affare. Rose Busingye dirige il Meeting Point di Kampala, un luogo di rinascita per 4 mila persone, tra malati e orfani, altrimenti condannate a vivere nel silenzio e nell’abbandono il loro destino di marchiate dall’Hiv.
In questo luogo di intensa umanità, le polemiche sull’uso del preservativo per abbattere il flagello dell’Aids giungono come un’eco lontana.
Rose, che effetto le fa sentire tante voci polemiche intorno a un problema col quale lei lotta ogni giorno?
Chi alimenta la polemica intorno alle dichiarazioni del Papa deve in realtà capire che il vero problema della diffusione dell’Aids non è il preservativo; parlare di questo significa fermarsi alle conseguenze e non andare mai all’origine del problema. Alla radice della diffusione dell’Hiv c’è un comportamento, c’è un modo di essere. E poi non dimentichiamo che la grande emergenza è prendersi cura delle tante persone che hanno già contratto la malattia, e per quelle il preservativo non serve.
Però resta il fatto che comunque si può fare qualcosa per evitare che il contagio si diffonda ulteriormente: in questo caso la prevenzione non è uno strumento utile?
Riporto un esempio, per far capire come veramente a volte non ci si rende conto della situazione in cui viviamo qui in Africa. Un po’ di tempo fa erano venuti alcuni giornalisti per fare un reportage sull’attività del Meeting Point: videro la condizione delle donne sieropositive che sono qui, e rimasero commossi. Decisero allora di rendersi utili, facendo un piccolo gesto per loro: regalarono alcune scatole di preservativi. Vedendo questo, una delle nostre donne, Jovine, li guardò e disse: «Mio marito sta morendo, e ho sei figli che tra poco saranno orfani: a cosa mi servono queste scatole che voi mi date?». L’emergenza di quella donna, e di tantissime altre come lei, è avere qualcuno che la guardi e le dica: «donna, non piangere!». È assurdo pensare di rispondere al suo bisogno con una scatola di preservativi, e l’assurdità è nel non vedere che l’uomo è amore, è affettività.
E per quanto riguarda invece le persone che possono avere rapporti con altre e diffondere il contagio?
Anche lì vale lo stesso discorso: bisogna innanzitutto guardare la loro umanità. Una volta stavamo parlando ai nostri ragazzi dell’importanza di proteggere gli altri, di evitare il contagio; uno di loro si mise a ridere, dicendo: «ma cosa me ne importa, chi sono gli altri? Chi sono le donne con cui vado?». E un altro diceva: «anch’io sono stato infettato, e allora?». L’Aids è un problema come tutti i problemi della vita, che non si può ridurre a un particolare. Bisogna innanzitutto partire dal fatto che bisogna essere educati, anche nel vivere la sessualità. Ma l’educazione riguarda innanzitutto la scoperta di sé stessi: la persona che è cosciente di sé, sa che ha un valore che è più grande di tutto. Senza la scoperta di questo valore – di sé e degli altri – non c’è nulla che tenga. Anche il preservativo, alla fine, può essere usato bene solo da una persona che abbia scoperto qual è il valore dell’umano, se ama veramente, e se è amato. Si pensa forse che dove il preservativo viene distribuito non prosegua il contagio dell’Aids? E poi in certi casi il discorso del preservativo, nelle condizioni in cui ci troviamo, può sembrare a tratti anche ridicolo.
In che senso?
Pochi giorni fa, ad esempio, abbiamo fatto vedere alle nostro donne che cos’è il preservativo, spiegando anche le istruzioni per l’uso: prima di usarlo bisogna lavarsi le mani, non ci deve essere polvere, deve essere conservato a una certa temperatura. Sono state loro stesse a interrompermi: lavarsi le mani, quando per avere un po’ d’acqua dobbiamo fare venti chilometri a piedi? E poi la polvere: anche qualche granello può essere pericoloso e rischiare di strappare il preservativo. Ma queste donne spaccano le pietre dalla mattina alla sera, e hanno la pelle delle mani screpolata e dura come la roccia! Per questo dico che si parla senza minimamente conoscere il problema e la condizione in cui ci troviamo.
Alla luce di questa diffusa ignoranza riguardo ai problemi reali della gente che vive in Africa, che effetto le fanno le polemiche contro il Papa?
Il Papa non fa altro che difendere e sostenere proprio quello che serve per aiutare questa gente: affermare il significato della vita e la dignità dell’essere umano. Quelli che lo attaccano hanno interessi da difendere, mentre il Papa di interessi non ne ha: ci vuole bene, e vuole il bene dell’Africa. Da lui non arrivano le mine che fanno saltare per aria i nostri ragazzi, i nostri bambini che fanno i soldati, che si trovano amputati, senza orecchie, senza bocca, incapaci di deglutire la saliva: e a loro cosa diamo, i preservativi?
In effetti l’Aids non è certo l’unico problema che attanaglia l’Africa.
Ci sono moltissimi altri problemi e situazioni tragiche su cui c’è totale indifferenza. Quando qualche anno fa c’è stato il genocidio del Ruanda tutti stavano a guardare. Qui vicino c’è un paese piccolissimo, che poteva essere protetto, e non si è fatto nulla: lì c’erano i miei parenti, e sono morti tutti in modo disumano. Non si è mosso nessuno, e adesso vengono qui con i preservativi. Ma anche a livello di malattie vale lo stesso discorso: perché non ci portano le aspirine, o le medicine anti-malaria? La malaria è una malattia che qui miete più vittime rispetto all’Aids.
Qual è la situazione ora in Uganda riguardo alla diffusione dell’Aids?
In Uganda si stanno facendo grandi progressi, e il nostro presidente sta operando benissimo e ottenendo ottimi risultati. E il suo metodo non è puntare sulla diffusione dei preservativi, ma sull’educazione: ha istituito un ministero per questo, e ha mandato la gente in giro, nei villaggi di analfabeti per educarli a un cambiamento della vita. La moglie del presidente è stata qui da noi poco tempo fa, e ha detto con forza che il vero punto che può far cambiare la situazione è smettere di vivere come i cani o i gatti, che devono sempre soddisfare i loro istinti; e ha parlato del fatto che l’uomo è dotato di ragione, che lo rende responsabile di quello che fa. Se l’uomo rimane legato all’istinto come un animale, dargli un preservativo non serve a nulla. Questo è il metodo che sta dando risultati, e ha portato la diffusione dell’Aids in Uganda dal 18% della popolazione al 3%. Il metodo funziona, e il cuore del metodo è fare in modo che la gente si senta voluta bene. Lo vediamo qui al Meeting Point: quando le persone arrivano qua, non vogliono più andare via.
AFRICA/ 2. L’abc contro l’Aids? I numeri dicono che funziona - Filippo Ciantia, Pier Alberto Bertazzi - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
All’inizio del suo viaggio in Africa, Benedetto XVI è stato sommerso da critiche di ogni provenienza, comprese numerose cancellerie di paesi occidentali, per aver affermato, facendosi interprete delle speranze e delle aspettative del continente, che non sarà l’utilizzo del preservativo a risolvere il problema dell’Aids. Così, mentre Zapatero si è affrettato a promettere l’invio di un milione di preservativi per contribuire alla lotta all’Aids, Bernard Kouchner, ministro degli Esteri di Parigi, ha dichiarato che la posizione del Papa «rivela poca comprensione della reale situazione dell’Africa». Sarà davvero così?
Innanzitutto, il cenno all’Aids e alla reali possibilità di contenere il flagello fa parte di una preoccupazione di ordine più generale, centrata sull’evangelizzazione e sul senso profondo del messaggio cristiano. Ma se è così, ogni accenno - quelli fatti finora, ma anche quelli che dovrebbero seguire - alla salute e alla malattia non potrà che collocarsi sullo sfondo di una più profonda preoccupazione per il bene dell’uomo e per il suo sviluppo. Quello sviluppo che, seguendo la Gaudium et Spes, non può limitarsi alla moltiplicazione dei beni e dei servizi, cioè a ciò che si possiede, ma deve contribuire alla pienezza dell’essere dell’uomo. Lo stesso Benedetto XVI nell’udienza generale del 16 agosto 2006 spiegava: «Il progresso può essere progresso vero solo se serve alla persona umana e se la persona umana stessa cresce; se non cresce solo il suo potere tecnico, ma cresce anche la sua capacità morale».
Mancanza di salute e crescita: il caso Aids
Il panorama sub-sahariano è impressionante. In questo 10% della popolazione mondiale si concentra il 66% dei casi di infezione da Hiv. La proporzione di popolazione infetta supera spesso il 5% ed in alcuni casi il 20%. Il trattamento dell’infezione è costoso, ma efficace. Programmi internazionali hanno cercato di garantire nei Paesi più poveri la terapia anti-retrovirale (Art) ad almeno il 50% di quanti ne necessitano entro il 2005, ma solo il 20% è stato raggiunto; importanti progressi, invece, sono stati compiuti nella prevenzione e profilassi della trasmissione materno-fetale. Negli ultimi anni, in alcuni di questi Paesi sub-sahariani è stato notato un declino, per molti inatteso, della frequenza di Hiv negli adulti. È il caso dell’Uganda che, secondo dati Onu, ha avuto ultimamente uno sviluppo notevole anche se fragile e ineguale. Il suo punteggio Hdi (Human development index) si è incrementato, al pari di Cina e Bangladesh, di circa il 20% a partire dal 1990. Questo dato di sviluppo potrebbe di per sé spiegare l’andamento migliorativo della epidemia di Hiv/Aids.
Ma c’è un altro dato di rilievo, comune ad altri Paesi quali Zambia, Senegal, Kenya, Zimbabwe, Giamaica, Thailandia e Repubblica Dominicana, che ugualmente hanno mostrato segni di declino dell’epidemia, ed è il tipo di politica adottata per la lotta a Hiv/Aids. Come ha spiegato Edward Green, dell’Harvard Center for Population and Development Studies, i più rilevanti risultati in tema di prevenzione dell’Aids sono stati ottenuti nei Paesi che hanno puntato non solo sulla diffusione di preservativi, ma anche su programmi di Primary Behavior Change, attraverso formazione ed educazione. Il primo tipo di approccio si è dimostrato efficace nei gruppi ad alto rischio nei Paesi occidentali, ma non nei Paesi dove il rischio è diffuso nell’intera popolazione.
Una lezione dai Paesi in via di sviluppo
In quei Paesi si è dimostrato vincente il modello di prevenzione originalmente sviluppato in Africa. È basato su tre principi, indicati dalle lettere A, B e C. A, ovvero Abstain, astieniti da rapporti sessuali in età molto giovane, non iniziare un’attività sessuale precocemente; B, come Be faithful, ovvero sii fedele, non cambiare continuamente partner; C, ovvero usa il Condom in modo corretto e continuo. Nel 1991 durante la conferenza internazionale sull’Aids a Firenze il presidente ugandese Museveni spiegava così la scelta politica del suo Paese: «Credo che la migliore risposta alla minaccia posta dall’Aids sia riaffermare pubblicamente e con forza la stima e il rispetto che ogni persona deve al suo prossimo. I giovani devono imparare le virtù del controllo di sé, della non immediatezza del piacere e talora del sacrificio». E in Uganda la frequenza di infezioni Hiv nella popolazione è scesa dal 15% nel 1991 al 5% nel 2001, mentre nell’intera Africa sub-sahariana, secondo Unaids, la frequenza media di infezione Hiv nella popolazione si va riducendo: da 7,5% nel 2003 a 7,2% nel 2005.
L’approccio ABC è stato considerato con interesse negli ultimi anni e discusso su riviste internazionali autorevoli, incluse The Lancet, Science, British Medical Journal. In questa discussione è stata messa in luce l’importanza di tutti e tre gli aspetti, nel loro insieme, ma anche la loro diversa rilevanza ed efficacia a seconda dei diversi segmenti o tipi di popolazione: tenendo conto dei risultati raggiunti, per i giovani la misura più rilevante sembra la A, per gli adulti la B, mentre la C ha la maggior rilevanza nei gruppi ad alto rischio, data la loro avvertenza e coscienza del problema, o comunque nei Paesi con epidemie concentrate e non diffuse all’intera popolazione (per esempio Cambogia e Thailandia).
L’«impegno» dell’Occidente
L’impatto del programma di prevenzione ABC risente naturalmente di molte condizioni di contesto quali povertà, mancanza di educazione, instabilità residenziale, migrazione forzata, ineguaglianza di diritti tra uomini e donne, etc. Molti Paesi in Africa soffrono di tali condizioni, e ciò rende ancora più importante non coltivare l’illusione che la questione si risolva soltanto con una distribuzione capillare di preservativi: il loro uso corretto e continuo ha ben poche applicazioni in situazioni di tale drammaticità. In ogni caso, i 700 milioni di abitanti dell’Africa sub-sahariana stanno ricevendo annualmente oltre 700 milioni di preservativi, ma la curva epidemica dell’infezione ha cominciato a subire un calo solo quando si è messo in atto un programma centrato sulla responsabilità della persona, sulla sua capacità di riconoscere il bene, sulla leale e simpatetica considerazione delle condizioni particolari nelle quali il programma andava applicato.
L’Occidente si sta impegnando a fornire all’Africa farmaci e condom. È questo il segno di un impegno concreto o di un disimpegno? È il modo efficace di aiutare la soluzione del loro problema o di un nostro problema? È sufficiente occuparsi del virus e non delle condizioni sociali, culturali, economiche, di vita quotidiana, nelle quali il virus prospera? L’esperienza, anche scientifica, sembra dire di no.
A quali condizioni lo sviluppo produce salute
L’esperienza dell’Aids nei Paesi del Terzo mondo mostra in primo luogo che lo sviluppo produce salute non quando riversa sul pubblico i suoi prodotti tecnico-scientifici, per quanto avanzati, ma quando quello sviluppo ha un popolo, e non una casta (sia essa scientifica, economica o politica), come protagonista. Un popolo, cioè persone portatrici di una storia e di un ideale di bene. Le “moltitudini” sono artificiali, i popoli sono reali. C’è, a questo proposito, una recente tagliente affermazione del pur controverso presidente del Sud Africa, Thabo Mbeki: «È ovvio che, qualunque sia la lezione che dovremmo o potremmo trarre dall’Occidente a proposito della grave questione dell’Aids, la sua semplice imposizione al mondo africano sarebbe assurda e illogica».
La seconda lezione è che ci si deve basare sull’evidenza, e non solo sull’applicazione di principi ritenuti a priori efficaci. Di ciò che è successo in Africa con il programma ABC ben poco si è detto e tantissimo si è taciuto. È comprensibile: i punti A e B hanno ben pochi vantaggi economici da portare alle grandi corporate. Ma c’è dell’altro. Ed è l’atteggiamento di esclusione dalle dinamiche dello sviluppo di fattori e protagonisti non “abilitati”. Cosa può venire di realmente utile in campo medico-sociale da Paesi ancora in via di sviluppo, da culture “popolari”, non ossequienti alla vulgata dominante? Come può essere credibile un approccio basato su qualcosa di diverso da condom e farmaci? Eppure, dovremmo essere in tempi di evidence-based medicine, cioè di sviluppo e diffusione di pratiche e di misure di prevenzione e terapia sulla base dell’evidenza della loro efficacia non a priori, ma in specifici contesti.
La terza caratteristica da considerare con attenzione è che si è trattato di un approccio rivolto alla persona e alla sua responsabilità, non alle masse. Un approccio che della persona coltiva e valorizza la capacità di riconoscere il bene, per sé anzitutto e per la società in cui vive, e di agire e costruire coerentemente a esso. Sfortunatamente, invece, il giudizio più diffuso è che l’Aids trovi facile terreno nel fatalismo endemico degli africani, e che perciò la lotta alla malattia sia essenzialmente un dovere morale dei governi occidentali. Questo atteggiamento è non soltanto odioso, ma anche inefficace, come il programma ABC ha messo in luce. L’efficacia è inscindibilmente connessa alla valorizzazione della responsabilità, cioè alla capacità di diventare protagonisti della ricerca e della realizzazione, anche in campo sociale, di quel bene che urge nel profondo di ciascuno.
Il programma ABC ha avuto inaspettatamente (per molti) successo proprio perché legato alla vita dei popoli dove si è svolto, sostenuto dalle loro risorse (una concezione del vivere, anzitutto), adeguato al contesto di applicazione e capace di rispettare i diritti umani nel senso più profondo: le attese e i desideri presenti nei loro cuori.
IL PRESERVATIVO ANZICHÉ LE POLITICHE - IRRESPONSABILE LEGGEREZZA DEI GOVERNANTI EUROPEI - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 20 marzo 2009
U n milione di preservativi gratis. Come coriandoli sulla festa di ipocrisia di Zapatero e soci sulla faccenda che il Papa ha sollevato. Che diamine, grazie al Papa si può tornare a parlare (seriamente) di sesso e invece no, questi vogliono subito chiudere il discorso, accusandolo di ogni nefandezza. E paracadutando sull’Africa un milione di preservativi. Come in tempo di guerra si buttavano i volantini alla popolazione. E come se il nemico loro fosse il Papa più che l’Aids. Invece di guardare i dati – come fanno ad esempio il medico da tanti anni in Africa, Filippo Ciantia, intervistato ieri su queste colonne, circa l’esperienza ugandese di educazione e sviluppo che ha fatto diminuire l’Aids, e Paola Germano, oggi, sulla sintonia di Benedetto XVI con la comunità scientifica più avvertita nel chiedere cure gratuite per tutti – festeggiano la normale irresponsabilità dei loro governi verso l’Africa con eccezionali botti contro il Papa e lanci di coriandoli che servono solo a lasciare le cose come stanno. Troppo comodo distribuire preservativi gratis invece di mettere in crisi le multinazionali del farmaco chiedendo gratis i medicinali o fare campagne più mirate su educazione e prevenzione. Comodo agitare lo slogan della libertà (vero e proprio spettro affamato come un ragazzino Somalo ormai) per lavarsi la coscienza. Comodo parlare da palazzi presidenziali e da colonne di giornali di 'realismo' del preservativo contro chi, come i cattolici, sono da decenni tra i pochi 'realmente' vicini alle popolazioni africane. La ideologia che azzanna ancora una volta rabbiosamente il tentativo di ragionare del Papa, sembra improntata a una strana idea di libertà. Gli africani siano liberi di accoppiarsi a casaccio, a rischio, e si spaccino preservativi in luoghi dove non ci sono medicine e non c’è nemmeno l’acqua corrente, senza introdurre logiche di rispetto per la donna, di stabilità nelle relazioni e di sviluppo sociale. Lasciamoli liberi (cioè derelitti ma preservativizzati).
Se la prendono con il Papa come se la Chiesa fosse un poliziotto che gira tra villaggi sperduti a impedire al povero africano che probabilmente manco sa chi è il Papa di usare il preservativo (oggetto pure questo un po’ esotico per costui). Fanno finta, questi allegri lanciatori di coriandoli sulla propria irresponsabilità. Fingono di non sapere che il problema è trattare seriamente il sesso e la libertà. Fanno finta di non sapere che il problema sta in politiche di sostegno che si limitano a distribuire preservativi dove andrebbe invece distribuita istruzione e insegnato il rispetto. Fanno finta e lanciano coriandoli e offese contro chi indica di fronte ai problemi non le scorciatoie ma un metodo che ha bisogno di tempi più lunghi e di scelte più forti.
Sembra che abbiano fastidio se la Chiesa dà il suo contributo a un problema generale. Addirittura, un noto intellettuale italiano, condannato dai tribunali come mandante di un assassino politico, sulle prime pagine del quotidiano che lo ospita come penna di punta dà con nonchalance del 'leggermente folle' al Papa. Il quale non è un provocatore; ma ormai dinanzi a una platea formata in parte da governanti illuministici e intellettuali di questo genere, ebbri di ideologia e di livore verso tutto ciò che mette in questione la loro presunta buona coscienza, anche dire che l’acqua bagna – se lo dice la Chiesa – suona come provocazione.
Beh, allora ben vengano queste provocazioni a pensare. E anche se il tema è solo un particolare nel grande viaggio di annuncio di speranza cristiana che Benedetto sta compiendo nel posto più difficile del mondo, sia utile a guardare la realtà con l’uso della regione. Si guardi all’Africa con l’occhio meno velato da ideologie e con meno spocchia, si guardino i dati. Chi lo deve, faccia seriamente il governante e non il demagogo. E già che ci siamo, si parli finalmente, seriamente, non banalmente di sesso. E lo si faccia grazie, strano a dirsi?, al Papa.
1) MA PERCHE’ ODIANO TANTO LA CHIESA ? – Antonio Socci, 19.03.2009
2) Benedetto XVI: Gesù mostra al malato il suo posto nel cuore di Dio
3) Il Lussemburgo legalizza l'eutanasia con l'opposizione del Granduca
4) Giorgio Bocca e i “mostri del Cottolengo” - Autore: Parravicini, Jacopo - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 19 marzo 2009
5) “Dr. House”, parabola del perdono e della ricerca di Dio
6) Con le europee si prepara l’offensiva contro la vita e la famiglia - di Giorgio Salina
7) Ciò che la Chiesa dice e non dice sul preservativo
8) Benedetto XVI: San Giuseppe, modello di amore senza possesso
9) Gay, Obama abbandona la linea Bush. Appoggerà la dichiarazione dell'Onu - Il presidente americano appoggerà il documento contro la criminalizzazione dell'omosessualità
10) Il Giornale 15 Marzo 2009 - di Andrea Tornielli - Le reazioni alla lettera del Papa - SE SI TRASFORMA LA CHIESA IN UN TALK SHOW
11) L’odio contro il Papa e il «fumo di Satana»
12) La primavera di Eliot - Pigi Colognesi - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
13) AFRICA/ 1. Jovine (malata Aids): senza marito e con sei figli ormai orfani, a che mi servono i condom? - INT. Rose Busingye - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
14) AFRICA/ 2. L’abc contro l’Aids? I numeri dicono che funziona - Filippo Ciantia, Pier Alberto Bertazzi - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
15) IL PRESERVATIVO ANZICHÉ LE POLITICHE - IRRESPONSABILE LEGGEREZZA DEI GOVERNANTI EUROPEI - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 20 marzo 2009
MA PERCHE’ ODIANO TANTO LA CHIESA ? – Antonio Socci, 19.03.2009 - Ecco il messaggio della Madonna (affidato a Mirjana) del 18 marzo 2009: “Cari figli ! Oggi vi invito a guardare in modo sincero e a lungo nei vostri cuori. Che cosa vedete in essi ? Dov’è in essi mio Figlio e il desiderio di seguirmi verso Lui ? Figli miei, questo tempo di rinuncia sia un tempo nel quale domandarvi: che cosa vuole Dio da me personalmente ? Che cosa devo fare ? Pregate, digiunate e abbiate il cuore pieno di misericordia. Non dimenticate i vostri pastori. Pregate che non si perdano e che restino in mio Figlio, affinché siano buoni pastori per il loro gregge”. A questo punto la Madonna ha guardato tutti i presenti e ha continuato: “Di nuovo vi dico: se sapeste quanto vi amo, piangereste di gioia. Grazie” In queste straordinarie parole, semplici e luminose, c’è tutto. Il mondo che non conosce l’amore (e spesso vive di odio ideologico) detesta la Chiesa. Continuamente l’attacca. Ogni giorno uno stillicidio di polemiche assurde, soprattutto contro il Papa (talora, tristemente, con la collaborazione di qualche cattolico)
Qua sotto gli episodi più assurdi degli ultimi giorni. Con uno splendido articolo iniziale di Roberto Fontolan uscito sul Sussidiario.net
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PAPA/ Un articolo senza titolo - di Roberto Fontolan - giovedì 19 marzo 2009 – ilsussidiario.it
Possiamo immaginarci la scena. Una redazione qualsiasi. Stanze ex fumose (ora è vietato). Giovanotti trafficano ai computer chiacchierando di quant’era bella la professione e quanto non lo sarà più. Facciamoci due passi fino al bar. Sussurri sulle prossime nomine in Rai che daranno il via alla classica (e sempre attuale) “rumba dei direttori” (un gioco che si svolge a porte chiuse e al quale accedono da sempre gli stessi sette-otto nomi, a proposito di caste).
La tv è accesa, su Sky o Rainews. Giornata media, noia media. Fino a che sui monitor compare un flash d’agenzia, il cui titolo, presumiamo, sarà: “Papa in Africa: no al preservativo”. Ehi, esclama il caposervizio addetto al controllo delle notizie, abbiamo un titolo, finalmente! Già, i titoli. Con il titolo si fa tutto. Si condanna una persona (stupratore, ladro, corrotto, pedofilo, in questo caso viene meglio se prete). Si esaurisce un mondo. Si distrugge un pensiero.
Generalmente parlando i titoli “funzionano” (si dice proprio così) quando sono negativi e devastanti. Ne sa qualcosa lo stesso Papa, da Ratisbona all’affaire lefebvriani si sarà accorto di quanto costa, di quanto pesa un titolo. Ormai pochissimi leggono gli articoli per intero o ascoltano tutto il telegiornale. Bastano i titoli “per far capire”. L’evento, l’uomo, la storia e la filosofia. In tre o quattro parole, una o due righe, ecco fatto. Non serve altro.
Se il giornalismo fosse un mondo onesto e leale li dovrebbe abolire. O obbligarsi a usare solo una parola. L’altro ieri, sulla notizia che ha svegliato il caposervizio di turno in un giorno medio avrebbe dovuto esserci la parola Africa, o Papa, o anche Aids, o persino Preservativo (piuttosto parziale, ma almeno oggettivo). E così sui giornali e telegiornali di ieri. Niente altro, né occhielli, né sommari. Una parola per segnalare e basta, non una mannaia per decapitare. Che bellezza, che liberazione, essere costretti a leggere tutto, ad ascoltare tutto. O a ignorare tutto. Però tutto.
Certo, si può truffare anche scrivendo diecimila caratteri, ma noi lettori-telespettatori-ascoltatori siamo disposti a rischiare. Vogliamo tutto, dateci tutto. Non più giochi di parole, non più buchi della serratura da dove guardare l’immensità del reale, non più tramezzi di cartone dai quali origliare la faticosa esistenza dei vicini, non più strizzatine d’occhio compiaciute e sadiche, non più letture condizionate pregiudicate guidate.
Parlando in aereo con i vaticanisti, Benedetto XVI ha risposto a cinque domande. Nell’ordine: la “solitudine” del Papa, la crisi economica, la prossima enciclica, il cristianesimo e le sette in Africa, la posizione della Chiesa rispetto all’Aids. Ed ecco cosa ha risposto (lo riprendiamo dal Vatican Information Service, attendibile perché ufficiale e letterale): «Penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l'Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti. [...] Direi che non si può superare questo problema dell'Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c'è l'anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l'uno con l'altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto con le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti».
C’è qualcuno che possa dire che il giudizio del Papa non sia vero? Che possa sostenere che si può risolvere il flagello dell’Aids solo con i profilattici? Che non sia necessaria una «umanizzazione della sessualità»? Non desideriamo tutti «un nuovo modo di comportarsi»? E l’amicizia con i sofferenti è forse sbagliata? Anche i più accaniti mangiapreti, se sono uomini, devono essere d’accordo.
Ma poi su queste parole è arrivato il titolo che le ha demolite prima e annichilite poi (come accade ormai per ogni titolo di ogni notizia). Ed è stato il solito teatrino di commenti e notazioni intelligenti, tipo “è la prima volta che il Papa usa la parola profilattico” o “si vorrebbe evitare di cadere nella trappola che quella parola mette sul sentiero di una delle rare occasioni che si hanno in Italia di parlare delle realtà e dei problemi dell’Africa”.
Già, si vorrebbe evitare, ma non si può. La trimurti del giornalismo “moderno”, vouyerismo-cinismo-giustizialismo, lo vieta. In fondo, che ce ne frega dell’Africa?
(PS. Come titolo per questo articolo propongo: “Questo articolo non dovrebbe avere un titolo”. Confido in voi, amici deI Sussidiario)
Da IlSussidiario.net, del 19 marzo
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LA BUFALA DELLA BAMBINA SCOMUNICATA
Il professor Adriano Prosperi ed Ezio Mauro ammetteranno il clamoroso errore? Io penso che, da persone serie, bisogna aspettarselo. Ieri sulla prima pagina di Repubblica infatti è uscito un editoriale dello storico che ha un finale pesantissimo con la Chiesa, ma basato su una notizia letteralmente falsa, smentita dalla stessa cronaca di Repubblica.
Parlando della fanciulla di 9 anni, di Recife in Brasile, che è stata violentata, è rimasta incinta ed è stata fatta abortire, l’editoriale di Prosperi (peraltro letto, quindi amplificato, pure alla rassegna stampa di Radio Radicale), tuonava infatti contro “la durezza atroce, disumana della condanna ecclesiastica che ha colpito con la scomunica la bambina brasiliana e i medici che ne hanno salvato la vita facendola abortire”.
Ora sarebbe bastato che l’autore dell’articolo sfogliasse i giornali, compreso il suo, per accorgersi che la bambina brasiliana non è mai stata scomunicata e anzi, per la Chiesa, è la vittima di una società disumana, da colmare di amore materno. Anche dalla Repubblica risultava infatti che il pronunciamento (sbagliato) del vescovo di Recife non riguardava la fanciulla per la quale il presule ha avuto parole di comprensione. Nell’articolo di Repubblica del 6 marzo, firmato da Orazio La Rocca, si legge: “l’arcivescovo di Recife, nello specificare che il provvedimento non riguarda la bambina, puntualizza che il ‘peccato’ d’aborto ricade esclusivamente sui medici e ‘chi lo ha realizzato - si è augurato il presule spiegando i termini del provvedimento - si spera che, in un momento di riflessione, si penta’ ”.
Non solo. E’ noto che sull’Osservatore romano del 15 marzo è uscito l’autorevole editoriale di monsignor Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la vita, che si intitolava significativamente “Dalla parte della bambina brasiliana” e sconfessava di fatto, anche per quanto riguarda l’anatema sui medici, il vescovo di Recife, per il suo pronunciamento inopportuno e non improntato anzitutto alla misericordia e alla prudenza su un caso tanto delicato.
Fisichella, pur ribadendo le norme del codice di diritto canonico sull’aborto, ha sottolineato che questo caso specifico è molto particolare dal punto di vista della teologia morale, trattandosi della violenza su una bambina la cui vita era messa in pericolo dalla gravidanza stessa, quindi non ci si doveva affrettare a tuonare con quel giudizio che somiglia a una mannaia: “Carmen”, ha scritto Fisichella sull’Osservatore, parlando idealmente alla bambina, “stiamo dalla tua parte. Condividiamo con te la sofferenza che hai provato, vorremmo fare di tutto per restituirti la dignità di cui sei stata privata e l’amore di cui avrai ancora più bisogno. Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere e ti aiuteranno a recuperare la speranza e la fiducia. Nonostante la presenza del male e la cattiveria di molti”.
Di tutto questo non c’è traccia nell’editoriale di Prosperi che ha sentenziato, senza informarsi, parlando di “durezza atroce, disumana della condanna ecclesiastica che ha colpito con la scomunica la bambina”. Sorprende pure lo stato maggiore della Repubblica che ha collocato in prima pagina l’editoriale di Prosperi senza accorgersi che capovolgeva la verità dei fatti che la stessa Repubblica aveva riportato.
A cosa si deve un così clamoroso errore? Non volendo pensare a malafede bisogna attribuirlo a ignoranza o superficialità. Ma Prosperi non è un qualsiasi frettoloso cronista di provincia: è, se non sbaglio, un accademico, un esimio storico, uno di quegli intellettuali togati che fa gli occhi alle pulci e che ben conosce il dovere assoluto di documentarsi prima di scrivere e soprattutto prima di emettere sentenze di condanna di quella gravità.
In questo caso documentarsi era facilissimo perché tutti i giornali hanno riportato la cronaca. Non voglio pensare che anche il professor Prosperi sia così roso da furore anticlericale da ritenere che, quando c’è da bombardare la Chiesa, non sia necessario essere rigorosi, documentarsi e rispettare la verità dei fatti.
Ma il pregiudizio ideologico – che di questi tempi, a Sinistra, rasenta il fanatismo anticlericale – gioca brutti scherzi e, in questo clima avvelenato nel quale si tende quotidianamente al linciaggio morale della Chiesa, anche gli intellettuali più titolati rischiano, per faciloneria o faziosità, di accodarsi alla corrente e trovare qualche buccia di banana.
L’invettiva di Prosperi del resto è andata avanti per molte righe. Accennando vagamente all’articolo di Fisichella l’ha liquidato con una riga: “di fatto non risulta che quella scomunica sia stata cancellata”. Ma se non c’è mai stata alcuna scomunica per la bambina (neanche del vescovo di Recife) come poteva essere cancellata? Oltretutto la scomunica “latae sententiae” non prevede una cancellazione formale, ma semplicemente il confessionale. Ma Prosperi non si attarda a ragionare sui fatti e prosegue la sua invettiva: “Il corpo della donna resta ancora per questa Chiesa un contenitore passivo di seme maschile”.
E qui siamo al problema: Prosperi ha una teoria, sintetizzata da questa terribile frase, e ci teneva a ribadirla. Se i fatti contraddicono la teoria, tanto peggio per i fatti. Basta ignorarli. Questo modo di procedere si chiama ideologia. Nel merito della tesi di Prosperi, fra l’altro, obietterei che è semmai la moderna mentalità laica e libertaria che trasforma la donna in un “contenitore passivo di seme maschile”. Ma Prosperi non sembra sfiorato da dubbi e sbrigativamente mette al rogo la Chiesa, in un processo sommario che condanna la strega cattolica imputandole il falso.
Con la virulenza di un inquisitore laico il professore tira un’ultima legnata tuonando che per questa Chiesa “l’anima di una bambina brasiliana è meno importante di quella di un vescovo antisemita e negazionista”. Il riferimento è a Williamson. A Prosperi non interessa che la bambina mai sia stata scomunicata e anzi sia stata abbracciata dalla Chiesa come Gesù crocifisso, con lo stesso amore materno. A Prosperi non interessa neppure che Williamson sia e resti sospeso a divinis: non ha una funzione canonica e non è abilitato a esercitare legittimamente né l’episcopato né il sacerdozio (inoltre il Vaticano gli ha intimato di rinnegare “in modo assolutamente inequivocabile e pubblico” le sue assurde dichiarazioni sulla Shoah). Questi sono i fatti. Ma chi vive di pregiudizio non ha bisogno dei fatti. Quando i fatti disturbano le opinioni, tanto peggio loro.
Tra i fatti rimossi e ignorati dal pensiero dominante ce ne sono due immensi e tragici: 1) l’enormità, in ogni caso, del fenomeno dell’aborto nel mondo (circa 50 milioni di casi ogni anno) su cui non si può sorvolare con superficialità; 2) quello che la Chiesa ha dovuto subire nell’ultimo secolo: un macello senza eguali, persecuzioni sotto tutti i regimi che hanno fatto decine di milioni di vittime cristiane, accompagnate da massicce campagne di calunnie perpetrate dai totalitarismi del Novecento. Una tragedia per la quale la Chiesa meriterebbe almeno un minimo di rispetto e soprattutto la fine del rancore pregiudiziale che la cultura laica progressista nutre tuttora contro di essa.
Antonio Socci
Da Libero, 19 marzo 2009
DOPO I TRAM DI GENOVA, SI ATTACCANO A TUTTO
Ormai il bombardamento sul Vaticano e sul Papa è diventato il passatempo quotidiano dei giornali. In mancanza di fatti vanno bene pure le opinioni o i gusti soggettivi. Ieri, per esempio, La Stampa ha fatto una paginata – con richiamo in prima – che aveva questo titolo: “Maxi-schermi: piazza San Pietro come lo stadio”. Sottotitolo: “Installati per l’Angelus, restano anche in settimana”.
Di che si tratta? Nell’immensa piazza San Pietro, da tempo, per permettere ai pellegrini di seguire le udienze e gli Angelus del papa sono stati collocati dei cosiddetti maxischermi, che, date le dimensioni colossali della piazza, del colonnato del Bernini e della Basilica vaticana, in realtà appaiono davvero piccoli e (pur rendendo un buon servizio ai pellegrini) nell’insieme si vedono appena perché si confondono con il bianco dei marmi.
Ma c’è chi si è stracciato le vesti e, come certi esponenti Radicali, è arrivato addirittura a evocare la presunta violazione dei Patti Lateranensi da parte della Santa Sede per questa sciocchezza. A loro dire il Vaticano, che pure è uno stato sovrano, sul suo territorio non può neanche collocare qualche pannello (che non copre assolutamente nulla) perché ai Radicali non piace.
Il Papa dovrà forse sottoporre al gradimento di Pannella pure il colore dei suoi paramenti per le liturgie della prossima Pasqua e la collocazione del grande baldacchino davanti al portale, dove si celebra la Messa? O si dovrà chiedere a Emma Bonino di che colore vuole che siano le sedie con cui si allestisce la piazza per la cerimonia di Pasqua? Occorrerà domandare l’autorizzazione a Marco Cappato, d’ora in poi, per calare giù dalla loggia di San Pietro i grandi ritratti dei nuovi canonizzati? E se i Radicali diranno che trovano brutte le transenne che regolano le lunghe file d’ingresso e bloccano l’accesso al colonnato? E se eccepiranno su quei grossi macchinari della polizia (fra le colonne del Bernini) con i quali si controllano i visitatori e i bagagli come all’aeroporto?
Non stiamo esagerando. Non sono domande surreali. Tiriamo solo le somme di quanto asserisce esplicitamente Marco Staderini, della Direzione di Radicali italiani, facendosi addirittura giudice dell’ortodossia del Papa rispetto alla tradizione cattolica: “Questa gerarchia vaticana sembra aver perso le ‘nobili tradizioni artistiche della Chiesa cattolica’ ”. Difficile capire quali titoli possa esibire Staderini per emettere simili sentenze. Ma il politico radicale aggiunge: “In una situazione analoga Antonio Cederna affermò che ‘per il paesaggio urbano non può valere l’assoluta sovranità della Chiesa sui beni culturali all’interno del Vaticano’ ”.
E con ciò tanti saluti non solo alla sovranità dello Stato vaticano, ma pure al principio cavourriano – sbandierato a parole – “libera Chiesa in libero Stato”. Ritengo francamente che dei politici esperti come Pannella e la Bonino si rendano conto dell’assurdità della polemica. Tuttavia Staderini è deciso: “Non è solo questione di gusto” ribadisce “ma anche di rispetto del Trattato lateranense, il Vaticano è infatti obbligato, ai sensi dell’articolo 18 del Trattato, a rendere fruibili tesori d’arte come il colonnato del Bernini, senza nasconderlo con megaschermi da stadio”.
Sorvolando sull’errata (a mio parere) interpretazione di quell’articolo e sul fatto che i Radicali sono da sempre contro i Patti Lateranensi e contro i Concordati, resta il fatto che nulla impedisce la visuale del colonnato. I pannelli non saranno un abbellimento come una statua michelangiolesca, ma non sono neanche uno scempio. Né coprono alcunché. Quindi il problema neanche esiste. Ma figuriamoci se gli indignati speciali si placheranno. Supportati, secondo La Stampa, da Italia Nostra hanno già fatto un’interrogazione al ministro Bondi. Maurizio Turco si aspetta addirittura “che l’ambasciatore vaticano in Italia chiarisca”. Ma perché non investire l’Unione europea o addirittura l’Onu dell’apocalittica questione?
C’è pure una dichiarazione di appoggio raccolta dal giornale torinese, che ha, appunto, toni apocalittici: “E’ uno scempio assurdo che deturpa la piazza”, protesta Giorgio Muratore storico del’architettura, “siamo davanti ad uno spettacolo osceno, un’intrusione di smaccata modernità in un capolavoro senza tempo”.
C’è da chiedersi dove vivano questi critici e se veramente in Italia e nella Roma delle laiche amministrazioni di questi decenni, manchino i veri scempi e le vere oscenità architettoniche cosicché ci si debba indignare per quei banali e transitori schermi. Al giornale torinese, da sempre custode della tradizione risorgimentale, verrebbe pure da chiedere se, per caso, i piemontesi dopo la conquista militare di Roma non combinarono pasticci architettonici e urbanistici che sarebbero molto più adatti a essere analizzati per una discussione critica.
Ma la storia sembra non interessare a nessuno. Così la Chiesa che – accanto alle persecuzioni fisiche e ai massacri degli ultimi 200 anni – ha subìto lo scempio, la profanazione e il saccheggio dei suoi tesori artistici e architettonici con la rivoluzione francese, con l’invasione napoleonica dell’Italia e di Roma (un immenso ladrocinio di opere d’arte), con la conquista militare piemontese e poi – in tutta Europa – con le grandi distruzioni di opere d’arte e chiese da parte dei regimi comunisti, senza che nessuno abbia mai chiesto scusa e senza che nessun intellettuale abbia mai ricostruito l’enormità di questa devastazione, questa Chiesa – dicevo – che per secoli ha fatto fiorire l’arte e ha coperto il nostro Paese di capolavori e di bellezza, si vede puntare il dito accusatore per quei banali schermi di piazza San Pietro. In un Paese, peraltro, dove, da decenni, accade di tutto ai nostri Beni artistici e architettonici.
La Stampa ha rubricato quella sua incredibile pagina di ieri sotto la formula “fede e spettacolo”. Vorremmo capire a quale spettacolo si riferiscono questi zelanti puritani subalpini. E comunque, a proposito di spettacolo e opere d’arte, ora ci aspettiamo che insorgano, con pari indignazione, per il consueto megaspettacolo sindacale del 1° maggio, l’assordante e invasivo concerto allestito da anni a ridosso di San Giovanni in Laterano, la più antica basilica della cristianità, un tesoro dell’arte e dell’architettura. Si indigneranno se verrà fatto di nuovo lì? Non ricordo di aver sentito alcuna lagnanza negli anni passati e penso che nemmeno quest’anno ne sentiremo. Sui giornaloni laici sono troppo impegnati a sorvegliare i due piccoli, innocui e marginali pannelli di Piazza San Pietro.
Antonio Socci
Da Libero, 18 marzo 2009
Benedetto XVI: Gesù mostra al malato il suo posto nel cuore di Dio
Incontra i malati al centro “Cardinale Leger” di Yaoundé
YAOUNDÉ, giovedì, 19 marzo 2009 (ZENIT.org).- Gesù Cristo “rivela ai malati e agli infermi il posto che essi hanno nel cuore di Dio e nella società”, ha affermato Benedetto XVI incontrando questo giovedì pomeriggio i malati del Centro “Cardinale Paul Emile Léger” di Yaoundé (Camerun), in questo terzo giorno del suo viaggio apostolico in Africa.
Il Pontefice si è rivolto ai malati e al personale del Centro, una struttura sanitaria destinata alla riabilitazione degli handicappati fondata nel 1972 dal porporato canadese dal quale prende il nome.
In particolare, si è rivolto a “coloro che nella loro carne portano i segni delle violenze e delle guerre”, così come a “tutti i malati, e specialmente qui, in Africa, a quelli che sono vittime di malattie come l’Aids, la malaria e la tubercolosi”.
“So bene come presso di voi la Chiesa cattolica sia fortemente impegnata in una lotta efficace contro questi terribili flagelli, e la incoraggio a proseguire con determinazione questa opera urgente”, ha osservato.
Il Papa ha dedicato il suo discorso a parlare del senso della sofferenza umana: “Davanti alla sofferenza, la malattia e la morte, l’uomo è tentato di gridare sotto l’effetto del dolore”, ha riconosciuto. “Quando la nostra condizione si degrada, l’angoscia aumenta; alcuni sono tentati di dubitare della presenza di Dio nella loro esistenza”.
“In presenza di sofferenze atroci, noi ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste. Davanti ad un fratello o una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso e compassionevole, la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto, uno sguardo, un sorriso, possono fare più che tanti discorsi”.
In questo senso, il Papa ha ricordato la figura di Simone di Cirene, che i Vangeli raccontano fu costretto dai soldati romani a portare la croce di Gesù in cammino verso il Calvario.
Simone di Cirene era africano, ha ricordato il Papa. “Anche se involontariamente, è venuto in aiuto all’Uomo dei dolori, abbandonato da tutti i suoi e consegnato ad una violenza cieca”.
“La storia ricorda dunque che un africano, un figlio del vostro continente, ha partecipato, con la sua stessa sofferenza, alla pena infinita di Colui che ha redento tutti gli uomini compresi i suoi persecutori”, ha dichiarato.
Simone di Cirene “non poteva sapere che egli aveva il suo Salvatore davanti agli occhi”. “Egli è stato 'requisito' per aiutarlo; egli fu costretto, forzato a farlo. E’ difficile accettare di portare la croce di un altro. E’ solo dopo la risurrezione che egli ha potuto comprendere quello che aveva fatto”.
“Così è per ciascuno di noi, fratelli e sorelle: al cuore della disperazione, della rivolta, il Cristo ci propone la Sua presenza amabile anche se noi fatichiamo a comprendere che egli ci è accanto. Solo la vittoria finale del Signore ci svelerà il senso definitivo delle nostre prove”, ha aggiunto il Papa.
“Fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, con fede e coraggio, perché da Lui provengono la Vita, il conforto, le guarigioni. Sappiamo guardare Colui che vuole il nostro bene e sa asciugare le lacrime dei nostri occhi; sappiamo abbandonarci nelle sue braccia come un bambino nelle braccia della mamma”.
Il Papa ha chiesto ai presenti di saper riconoscere in Simone di Cirene “ogni Africano e ogni sofferente” che “aiutano Cristo a portare la sua Croce e salgono con Lui al Golgota per risuscitare un giorno con Lui”.
Il Pontefice si è anche rivolto al personale sanitario del Centro, ricordando a quanti vi lavorano che spetta a loro “mettere in opera tutto quello che è legittimo per sollevare il dolore” ed “essere i difensori della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale”.
“Per ogni uomo, il rispetto della vita è un diritto e nello stesso tempo un dovere, perché ogni vita è un dono di Dio”.
Prima di congedarsi dai presenti, il Papa ha auspicato loro che “ognuno di voi non si senta mai solo. Spetta in effetti ad ogni uomo, creato ad immagine del Cristo, farsi prossimo del suo vicino”.
Il Lussemburgo legalizza l'eutanasia con l'opposizione del Granduca
Il Parlamento ha ridotto il potere del Capo di Stato
LUSSEMBURGO, venerdì, 20 marzo 2009 (ZENIT.org).- Il Lussemburgo ha ufficializzato questo martedì la legalizzazione dell'eutanasia, dopo una lunga battaglia legale che ha comportato per il Granduca Henri, monarca di questo piccolo Stato europeo, una riduzione dei suoi poteri perché si è rifiutato di firmarla.
Il Lussemburgo è diventato così il terzo Stato europeo a depenalizzare il suicidio assistito, dopo l'Olanda e il Belgio.
Il testo finale della legge era stato approvato dal Parlamento il 18 dicembre scorso, ma non aveva potuto essere promulgato visto che il Granduca aveva rifiutato la ratifica perché il testo era contrario alle sue convinzioni di cattolico.
Per portare avanti la legge, il Parlamento ha optato per una riforma della Costituzione e una limitazione dei poteri del Granduca, che da questo momento non ha la capacità di sanzionare le leggi, ma solo di promulgarle.
Ciò è avvenuto nonostante la campagna europea di sostegno alla “testimonianza di difesa della vita” del Granduca Henri, avviata nel dicembre scorso da eurodeputati cattolici.
Anche la Chiesa lussemburghese aveva lanciato una campagna informativa contro l'eutanasia e a favore delle cure palliative, attraverso una raccolta di firme sulla sua pagina web (www.cathol.lu).
Nell'ultimo messaggio alla Nazione sul tema, a dicembre, monsignor Bernard Franck, Arcivescovo di Lussemburgo, aveva avvertito contro “la via intrapresa” con l'eutanasia, chiedendo invece un miglioramento delle cure palliative.
“Gli ultimi mesi hanno rivelato che molti dei nostri contemporanei sono preoccupati per l'ultima fase della loro vita – ha affermato in quell'occasione monsignor Franck –. Spesso gli uomini e le donne chiedono l'eutanasia per non diventare un peso per le loro famiglie in caso di malattia grave o di vecchiaia”.
Ad ogni modo, ha avvertito, la depenalizzazione dell'eutanasia “aumenterà la pressione sui malati gravi o dipendenti. Tutti questi timori sono reali e dobbiamo prenderli sul serio, ma si possono evitare con una buona informazione, la medicina palliativa e, in definitiva, la speranza cristiana”.
“Anni fa, quando sono iniziati i dibattiti sull'eutanasia, la Chiesa cattolica ha preso la parola per mettere in guardia contro la continuazione di questo cammino. Negli ultimi mesi non ho smesso di inviare appelli chiari e urgenti alla popolazione”, ha aggiunto il presule.
L'Arcivescovo di Lussemburgo ha impegnato i cattolici del Granducato in una campagna a favore delle cure palliative.
Giorgio Bocca e i “mostri del Cottolengo” - Autore: Parravicini, Jacopo - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 19 marzo 2009
Mostruosi gli ospiti del Cottolengo? Prima di affermarlo Bocca abbia il coraggio di guardarsi allo specchio, se può avere il coraggio di guardarsi negli occhi una persona che definisce “mostri” dei portatori di handicap!
“È lo stesso culto della vita a ogni costo che lascia perplessi i visitatori della Piccola casa della divina Provvidenza, la pia istituzione del Cottolengo, dove tengono in vita esseri mostruosi e deformi. Gli eccessi della carità fanno il paio con quelli dell'ideologia. I cultori della vita a ogni costo in obbedienza a Dio non si accorgono di volersi sostituire a Dio, massima empietà.” (G. Bocca, L’Espresso, 6/3/2009)
Ciò che ha fatto Bocca è una delle cose più abiette che si possano fare: apostrofare un uomo per il proprio handicap! Rammento che da bambino, fin dall’asilo, mi hanno insegnato che apostrofare un compagno per un suo difetto fisico era una cosa veramente vigliacca, “perché non l’hai scelto tu di nascere in un modo piuttosto che in un altro”.
La domanda che pongo a Bocca è la seguente: si è mai guardato allo specchio? Ma che diritto ha lui di definire “mostri” degli esseri umani? E quale sarebbe l’alternativa, per il bellissimo Bocca – il giovane, alto, biondo, prestante & ariano Giorgio Bocca - al tenere in vita questi “esseri mostruosi” (del tutto diversi da lui, lui che è un perfetto prodotto della razza umana)? Se non si “tengono in vita”, occorrerà provvedere a eliminarli pietosamente, secondo princìpi di squisita umanità e in seguito ad approfondite valutazioni mediche. Perciò, certamente lo splendido Bocca, l’aitante e giovanile Bocca, è d’accordo che venga “affidata la responsabilità di espandere l'autorità dei medici, che devono essere designati per nome, perché ai pazienti considerati incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile del loro stato di salute possa essere concessa una morte pietosa”. Questa mi sembra certamente la miglior procedura per evitare questo scandalo di tenere in vita degli “esseri mostruosi”, che evidentemente non meritano di essere tenuti in vita.
Ricordo al modello Giorgio Bocca che egli, tuttavia, non ha affermato niente di nuovo: sta solo rispolverando vecchie opinioni che qualche decennio fa erano in voga nell’Europa centrale... la citazione che ho riportato viene da una lettera, datata 1939, di un certo signor Adolf Hitler al capo della Cancelleria del Reich Bouhler...
Mostruosi gli ospiti del Cottolengo? Prima di affermarlo Bocca abbia il coraggio di guardarsi allo specchio, se può avere il coraggio di guardarsi negli occhi una persona che definisce “mostri” dei portatori di handicap! Si guardi negli occhi, e magari pensi agli occhi di quell’amico di Marcello Candia, che era lebbroso, che aveva il corpo del tutto marcito in ogni punto, che Candia diceva avere gli occhi più belli che avesse mai visto!
“Dr. House”, parabola del perdono e della ricerca di Dio
ROMA, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- Giovedì prossimo uscirà in libreria il nuovo volume di Carlo Bellieni e Andrea Bechi, dal titolo “House MD: follia e fascino di un cult movie” (Cantagalli Editore).
Il libro prende spunto dalla famosa serie televisiva ambientata in un ospedale statunitense e che ha come protagonista il dr. House. Un telefilm “diabolico” che svela però la sua faccia “buona”. Se poi il telefilm è un boom di ascolti e un cult tra i ragazzi, di solito bersagliati da messaggi “infausti”, la notizia è clamorosa.
Questa notizia è diventata ora un libro, scritto per di più a quattro mani da un medico e da un sacerdote, che hanno analizzato i messaggi talvolta espliciti, talvolta nascosti, della serie televisiva che racconta la storia del medico Gregory House, geniale ma solo, drogato ma bravissimo, cinico ma umano.
Con i suoi aforismi, i suoi apologhi, le sue idiozie e le battute dei colleghi di House, questa serie riafferma dei valori forti e fermi, pur con le sue contraddizioni, col suo cinismo e il suo ateismo urlato (ma solo per darsi un tono, molto probabilmente). Una morale, insomma, che “non fa la morale”.
Attenzione, comunque: House è un “cattivo”, è cinico. Ci è richiesto uno sforzo per superare l’impatto con questi comportamenti negativi, per arrivare a capire il messaggio principale della fiction, per non fermarsi a quello che si vede, ma fissare il punto decisivo: il cambiamento e lo stupore di una mente cinica.
L’idea che le storie di House contengano un messaggio esistenzialmente profondo, viene chiarita dalle parole del suo autore, David Shore: “C’è un sottofondo filosofico nello show, un’opportunità di parlare della vita e di come viverla. Penso che i buoni show debbano trattare di dilemmi etici e di questioni di etica”.
Oltre che vincitore di vari premi Emmie, la serie ha ottenuto il prestigioso premio “Humanitas”, assegnato a storie che “affermano il valore della persona umana, il senso della vita, ed esaltano l’uso della libertà umana. Storie che rivelano la comune umanità, cosicché l’amore possa permeare la famiglia umana ed aiutare a liberare, arricchire e unificare la società”.
E’ stupefacente notare, se si legge con attenzione il telefilm, come emerga un messaggio contro l’aborto, contro l’eutanasia, a favore della vita, del matrimonio, contro la droga proprio attraverso la storia di persone talvolta ciniche, peccatori e atei, ma la cui insoddisfazione per i loro errori è così chiara, che non lasciano dubbi sul senso del messaggio che intelligentemente non è un “no” urlato ciecamente contro gli errori, ma è un “no” che acutamente gli sceneggiatori fanno sorgere dal cuore di chi guarda.
Ma a volte il “no” è esplicito: vi sentiamo frasi del tipo: “Ogni vita ha delle qualità” che cozza contro il dogma postmoderno della qualità della vita, oppure: “Ogni vita è sacra” e anche: “Occorre essere religiosi, per dire che un feto è vita?”; e vediamo immagini meravigliose, come quella del feto che con la manina accarezza il dito di House dall’utero della sua mamma aperto per un intervento chirurgico.
Per leggere bene il telefilm “Dr. House”, si spiega nel libro, bisogna però vincere un pregiudizio, un lavoro personale che è una sorta di ascesi: quello per il quale il cristianesimo è una cosa “per persone buone”.
Nulla di più sbagliato: il cristianesimo è un affare di peccatori, di gente arrovellata e incostante… proprio come House. Ma il cristiano (proprio come House) pur peccando sempre, ne sente la tristezza e cerca perdono.
Eloquente, in queste senso, un dialogo tra un prete e House. Prete: “Ti comporti come se non ti importasse nulla, ma stai qui a salvare vite”. House: “Salvare vite è solo un danno collaterale”. Prete: “Non credo che tu cerchi qualcuno che ti dia ragione. Credo che cerchi qualcuno che ti mostri che ti sbagli, per darti speranza. Tu vuoi credere, vero?”.
In fondo, allora, è facile riconoscere questo messaggio nascosto, ma farlo è una sfida, un lavoro e un invito per tutti.
Con le europee si prepara l’offensiva contro la vita e la famiglia - di Giorgio Salina*
BRUXELLES, giovedì, 19 marzo 2009 (ZENIT.org).- Da oltre vent’anni, per iniziativa del Principe Dr. Otto von Habsburg, allora Eurodeputato, ogni settimana in cui il Parlamento europeo è in seduta plenaria a Strasburgo, il mercoledì mattina si celebra una Messa.
Lo scorso anno la on. Véronique De Keyser, belga, membro del Gruppo socialista, ha ritenuto di riequilibrare la situazione, chiedendo la disponibilità di un’altra sala per “celebrare” in contemporanea una « petit déjeuner de la libre pensée ». La prima in programma aveva questo tema: la parità dei sessi prevale sulla libertà religiosa.
Poiché i miei amici, Deputati e non, ed io non abbiamo partecipato a questa petit déjeuner, ancora oggi non sappiamo perché mai la parità dei sessi debba prevalere sulla libertà religiosa. Pazienza, non si può avere tutto nella vita.
Questo è uno dei tanti episodi ai quali si faceva cenno giovedì scorso in questa stessa rubrica; certo non sempre si concretizzano con questa povertà culturale, ma sono comunque indice di una situazione diffusamente presente nel Parlamento europeo.
Per rispettare anche in questa sede la parità dei generi, possiamo citare l’iniziativa dell’on. Miguel Angel Martínez Martínez, spagnolo, membro del Gruppo socialista, che ha organizzato un seminario su “ragione e politica” in collaborazione con Catholics for free choice (Cattolici per la libera scelta), un’organizzazione originaria degli USA, più volte duramente sconfessata dalla Conferenza Episcopale nord-americana, che continua impunemente a definirsi cattolica.
Non so quanti siano gli aderenti, probabilmente non molti, ma certamente con finanziamenti assai cospiqui; circa un anno fa hanno organizzato un viaggio per una quindicina di Eurodeputati in America latina, per verificare nei diversi Paesi la liberalizzazione dell’aborto, secondo uno slogan spesso citato “aborto libero e assistito”.
Sono stati tra gli organizzatori della fronda che ha portato alla ricusazione di Rocco Buttiglione come Commissario europeo, perché cattolico, a cui hanno collaborato le forze della sinistra europea, incluse, anzi in prima fila, quelle italiane.
Al di là delle polemiche di quei giorni, è assodato che Buttiglione è stato rifiutato in quanto cattolico; un cattolico in quel ruolo non ci poteva stare; da qui l’impegno fattivo di Catholics for free choice.
Ecco la controprova: due mesi dopo il fatto, in Commissione Affari Costituzionali due Deputati inglesi, Andrew Duff, del Liberal Democrat Party, e Richard Corbett, del Labour Party, hanno detto, pressapoco con queste parole: occorre rivedere le procedure di audizione dei Candidati Commissari, perché con Buttiglione abbiamo fatto un grave sbaglio, abbiamo giudicato un uomo per le sue idee e le sue convinzioni, e non per i suoi programmi, e questo è contrario alla Carta dei diritti fondamentali.
Noto per inciso che dopo che la vicenda Buttiglione aveva tenuto le prime pagine per giorni, a mia conoscenza nessun quotidiano europeo, e tanto meno italiano, ha ripreso le dichiarazioni dei due deputati inglesi.
Scusate la digressione, ma mi pare importante, perché illustra chiaramente dove si può arrivare per questa china.
Il seminario su ragione e politica ha fornito la tribuna ad una serie di personaggi tra i quali lo stesso on. Miguel Angel Martínez Martínez e il Presidente europeo di Catholics for free choice, perché dessero questo messaggio: la verità non esiste, vi sono molte opinioni tutte lecite, che hanno diritto di essere rispettate e considerate in ambito sociale, ovviamente escluse quelle cristiane e cattoliche in particolare, perché lungo i secoli hanno già combinato parecchi disastri.
Penso che a questo punto tutti immaginino il repertorio di “dimostrazioni” addotte: le crociate, l’inquisizione, la condanna di Galileo, ecc. Ero presente, e vi prego di credermi, se ad alcuni degli intervenuti si fosse potuto chiedere dove stava l’errore nei fatti citati, non sarebbero stati in grado di spiegarlo. Con molta amarezza però dobbiamo ammettere che anche tra noi cattolici alcuni avrebbero avuto difficoltà a contestare questi esempi.
La seconda parte del messaggio: tutte le Chiese, soprattutto le più organizzate, come quella cattolica, attuano una vera e propria dittatura culturale; vogliono impedire alla gente di ragionare con la propria testa e di fare libere scelte personali. Questo la politica deve impedirlo.
Non stupisca la rozzezza, è esattamente ciò che è stato detto.
Fatti come questi suscitano però alcune domande: fino a che punto il Parlamento europeo è lo specchio fedele della società che lo ha espresso? Cosa producono “spettacoli” come questi sui nostri fratelli dell’Est che ci osservano? Penso in particolare agli ortodossi.
Sono domande complesse che comportano risposte difficili, ma che comunque confermano, se ce ne fosse bisogno, le ripetute indicazioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sulla necessità e urgenza di una nuova evangelizzazione dell’Europa.
Dal 5 al 7 marzo scorso, presso il Parlamento a Bruxelles si è svolto il «World Congress for Freedom of Scientific research» (Congresso Mondiale per la Libertà della ricerca scientifica) organizzato dal Partito radicale non violento, trasnazionale e traspartitico, dall’Associazione Luca Coscioni, dal Gruppo Liberale europeo, dal Gruppo Socialista europeo, ed altri.
Una sessione del Congresso era dedicata ai “Criteri religiosi, bioetici e politici per la libertà della ricerca”. A dibattere un tema così impegnativo, in nome del pluralismo culturale, è stato chiamato un pannel composto da esperti di diverse aree culturali: Marco Pannella; Alex Mauron, professore associato di bioetica alla Facoltà di Medicina dell’Università di Ginevra, che ha parlato sul tema “Relativismo epistemologico e dogma religioso: due alleati contro la libertà della ricerca scientifica”; Pervez Hoodbhoy, Preside della Facoltà di Fisica dell’Università di Quaid-e-Azam, (Pakistan); completava il pannel la sign.a Laurette Onkelinx, Vice Primo Ministro, Ministro degli Affari sociali e della sanità pubblica del Governo belga, socialista, distintasi per la promozione dell’aborto.
Come si vede il pluralismo culturale .... è stato assicurato. « .... S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde» (Dante – Purgatorio VI°: 138). Sorvolando su ciò che è stato detto, in questo periodo si ha il sospetto che iniziative come questa risentano del clima di fine legislatura, e aprano di fatto la campagna elettorale.
Leggendo questi fatti realmente accaduti e molto meno marginali di quanto possa sembrare, si comincia a concretizzare la piattaforma sulla quale impegnare e misurare i candidati, ed in particolare quelli che chiedono voti al cosiddetto mondo cattolico.
Dicano come si comporteranno per il complesso dei problemi sul tappeto, ma senza ignorare questi, perché è una facile profezia affermare che ci troveremo di fronte, sia al Consiglio d’Europa, sia nelle Istituzionui dell’UE, a tre tentativi coordinati:
- In occasione del quindicesimo anniversario dell’Assemblea del Cairo sulla popolazione, il tentavito di rilanciare l’aborto, dichiarandolo diritto umano fondamentale, e rilanciare campagne contraccettive e di sterilizzazione.
- Il tentativo, anche attraverso la giurisprudenza dell’Alta Corte, di imporre il matrimonio omosessuale, riconoscendo a queste coppie il diritto di adozione.
- Un attacco concentrico e coordinato contro il diritto dei sanitari all’obiezionre di coscienza circa l’aborto.
Su questi problemi i candidati di ispirazione cattolica che intenzioni dichiarano?
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*Presidente dell’Associazione Fondazione Europa
Ciò che la Chiesa dice e non dice sul preservativo
Il presidente dei medici cattolici spiega il dibattito
BARCELLONA, giovedì, 19 marzo 2009 (ZENIT.org).- Leggendo i giornali si ha l'impressione che la Chiesa dica che se una persona ha rapporti sessuali con una prostituta non deve usare il preservativo, riconosce il presidente dell'associazione dei medici cattolici del mondo.
José María Simón Castellví illustra con questo esempio la superficialità con cui alcuni mezzi di comunicazione hanno informato sulle parole pronunciate da Benedetto XVI questo martedì a bordo dell'aereo che lo stava portando in Camerun, quando ha spiegato che il preservativo non è la soluzione all'Aids.
“La Chiesa difende la fedeltà, l'astinenza e la monogamia come armi migliori”, indica il presidente della Federazione Internazionale dei Medici Cattolici (FIAMC) in una dichiarazione rilasciata a ZENIT.
I media e anche alcuni rappresentanti politici hanno tuttavia accusato la Chiesa di promuovere l'Aids in Africa. Ovviamente, osserva il medico, la Chiesa non sta dicendo che si possono avere relazioni sessuali promiscue di ogni tipo a patto di non utilizzare il preservativo.
Il dottor Simón spiega che per comprendere ciò che la Chiesa dice sul preservativo bisogna capire cos'è l'amore, come ha spiegato lo stesso Papa ai giornalisti, anche se questo passaggio della conversazione è stato “censurato” dalla maggior parte dei mezzi di comunicazione.
“Il preservativo è una barriera, ma una barriera con limiti che molte volte vengono aggirati. Soprattutto tra i giovani può essere controproducente dal punto di vista della trasmissione del virus”, ha aggiunto.
“Noi medici cattolici siamo a favore della conoscenza scientifica – spiega –. Non diciamo le cose solo per motivi ideologici. Come ammettiamo che un adulterio di pensiero non trasmette alcun virus ma è qualcosa di negativo, dobbiamo dire che i preservativi hanno i loro pericoli. Sono barriere limitate”.
Il medico illustra la posizione della Chiesa citando un caso reale, raccolto dai media informativi.
A Yaoundé, in Camerun, si è celebrata nel 1993 la VII Riunione Internazionale sull'Aids con esperti medici e sanitari. Hanno partecipato circa trecento congressisti e al termine è stato distribuito un questionario perché si indicasse, tra le altre cose, se si aveva avuto rapporti sessuali nei tre giorni in cui era durata la riunione con persone con cui non si facesse coppia fissa.
Degli interpellati, il 28% rispose di sì, e un terzo di questi disse di non aver preso alcuna “precauzione” per evitare contagi.
“Se ciò avviene tra persone 'coscienziose', cosa accadrà tra la gente 'normale'?”, si è chiesto Simón Castellví.
Benedetto XVI: San Giuseppe, modello di amore senza possesso
Per i Vespri nella Basilica “Marie Reine des Apôtres” di Yaoundé
YAOUNDÉ, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- “San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere” e resta il modello per tutti coloro che vogliono “votare la loro esistenza a Cristo”.
E' quanto ha affermato Benedetto XVI questo mercoledì sera, presiedendo nella Basilica Marie Reine des Apôtres di Yaoundé la celebrazione dei primi Vespri della Solennità di San Giuseppe con Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi, diaconi, membri di movimenti ecclesiali e rappresentanti di altre confessioni cristiane del Camerun.
San Giuseppe, ha ricordato, “ha vissuto alla luce del mistero dell'Incarnazione” e “non solo con una prossimità fisica, ma anche con l’attenzione del cuore”.
Per questo, “ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza”.
“In lui non c’è separazione tra fede e azione”, ha riconosciuto il Papa, perché “la sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni”.
“Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un 'uomo giusto' perché la sua esistenza è 'aggiustata' sulla parola di Dio”.
Pur non essendo il padre biologico di Gesù, San Giuseppe esercita “una paternità piena e intera”.
Essere padre, ha spiegato il Pontefice, “è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita”, e in questo senso ha dato prova “di una grande dedizione”.
“Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio”, ha ricordato, sottolineando che “la sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo”.
“Si tratta di non essere un servitore mediocre – ha aggiunto –, ma di essere un servitore 'fedele e saggio'”.
Il Papa ha spiegato che l’abbinamento dei due aggettivi non è casuale, perché “suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida”.
“San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei”.
Gesù Cristo, “radice” del sacerdozio
Benedetto XVI ha invitato i sacerdoti a vivere la paternità espressa da Giuseppe nel loro ministero quotidiano, ribadendo che la “radice” del sacerdozio è Gesù Cristo.
“La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere”, ha affermato.
“Vivendo questa amicizia profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore”.
Il Pontefice ha quindi auspicato che la celebrazione dell'Eucaristia, nella quale Cristo ci viene donato, sia il centro della vita sacerdotale, diventando quindi anche quello della missione ecclesiale.
Accanto a questo, ha invitato i presbiteri a coltivare una “relazione confidente” con i loro Vescovi, esortandoli a “rispondere con fedeltà alla chiamata” del Signore e a non lasciarsi turbare “dalle difficoltà del cammino”.
“Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un 'sì' generoso a Cristo!”, ha esclamato.
San Giuseppe, uomo ecumenico
Benedetto XVI ha quindi ricordato che la vita di San Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, “è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa”.
Il suo esempio, infatti, “sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ‘ecclesia’”.
“Questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande sfida”, ha riconosciuto il Papa parlando ai “cari amici membri delle altre confessioni cristiane”.
Questa sfida “ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre più attirare da Lui. E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno stesso Padre”.
Nell'Anno Paolino, il Pontefice ha quindi invitato a rivolgersi all'“Apostolo delle Nazioni” “per ascoltare e apprendere la fede e la verità nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo”.
Gay, Obama abbandona la linea Bush. Appoggerà la dichiarazione dell'Onu - Il presidente americano appoggerà il documento contro la criminalizzazione dell'omosessualità
WASHINGTON - Sulla omosessualità il presidente americano Barack Obama si appresta a invertire rotta rispetto al suo predecessore George W. Bush: la nuova amministrazione, infatti, ha annunciato ufficialmente il proprio sostegno ad una dichiarazione dell'Onu che chiede la depenalizzazione mondiale dell’omosessualità, mentre l'ex inquilino della Casa Bianca aveva scelto di non firmare il documento.
«NESSUN OBBLIGO LEGALE» - Il portavoce del dipartimento di Stato americano, Robert Wood, annunciando la decisione, ha sottolineato che questo non avrà comunque conseguenze giuridiche per gli Stati Uniti: «Il fatto di sostenere questa dichiarazione non ci dà alcun obbligo legale», ha precisato il portavoce americano. L’amministrazione Obama ha però poi lasciato intendere di volere abrogare la legge, molto controversa, che permette a gay e lesbiche di essere arruolati nelle forze armate a condizione di tenere sotto silenzio il loro orientamento sessuale. Si è palesata inoltre l’opposizione di Obama a un divieto costituzionale federale del matrimonio tra omosessuali, sostenendo d’altra parte il diritto delle coppie omosessuali all’adozione.
AMNESTY INTERNATIONAL - L'organizzazione non governativa per la difesa dei diritti umani ha espresso oggi soddisfazione per la decisione del presidente Barack Obama. «Ogni giorno noi ci battiamo per persone che rischiano la prigione, la tortura e anche la morte per la loro identità sessuale - afferma Amnesty in una dichiarazione -. Firmando la dichiarazione il presidente Obama darà un importante sostegno alla lotta per giungere ad un mondo dove tutte le persone sono trattate egualmente».
IL NO DELLA SANTA SEDE - Lo scorso dicembre, l'amministrazione Bush fu al centro di critiche per aver rifiutato di sottoscrivere il documento, al quale è stato dato l'appoggio tra gli altri dai paesi dell'Ue e da Giappone, Australia e Messico. Al momento sono 66, su 192, i membri dell'Onu che hanno firmato il documento. La Santa Sede ha scelto di non sottoscriverlo.
18 marzo 2009
Il Giornale 15 Marzo 2009 - di Andrea Tornielli - Le reazioni alla lettera del Papa - SE SI TRASFORMA LA CHIESA IN UN TALK SHOW
Molti dei commenti e delle reazioni alla lettera sofferta che Benedetto XVI ha inviato ai vescovi di tutto il mondo per spiegare il vero significato della revoca della scomunica ai lefebvriani e spegnere le polemiche suscitate dall’intervista negazionista di monsignor Williamson, hanno indugiato sulla solitudine del Papa, sui problemi del governo curiale, sull’opposizione da parte degli episcopati progressisti e sulle rigidezze dei tradizionalisti, sugli errori di comunicazione. E si sono concentrati infine sulle fughe di notizie «miserande», secondo la definizione del direttore de L’Osservatore Romano, che con un suo editoriale ha attirato l’attenzione mediatica proprio su questo argomento.
Eppure il cuore dell’inconsueto messaggio papale – una lettera coraggiosa e umile allo stesso tempo, con la quale Benedetto ha preso su di sé le responsabilità della macchina curiale – ha rischiato e rischia di rimanere ancora sotto traccia. È vero: Ratzinger non nasconde, nelle sette pagine inviate ai «confratelli nel ministero episcopale», di essere stato profondamente colpito non dalle polemiche esterne, dalle strumentalizzazioni mediatiche del suo gesto di misericordia e riconciliazione nei confronti dei lefebvriani, quanto piuttosto dall’asprezza e dall’ostilità delle reazioni in campo cattolico, nella Chiesa. Vescovi e cardinali lo hanno attaccato, hanno ritenuto che il Pontefice volesse fare un’inversione di marcia rispetto al Concilio Vaticano II. Una «valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento». Con il suo gesto solitario e sofferto, il Papa ha voluto, ancora una volta, richiamare tutti alla necessità di uno sguardo diverso, lo sguardo della fede: «Sempre e di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore». Non per appiattire il dibattito e il confronto interno alla Chiesa, non per fare tabula rasa delle differenze e delle diversità, che da sempre hanno caratterizzato la «catholica», che si chiama così proprio perché include e non esclude, e al cui interno la stessa fede può essere vissuta secondo esperienze, modalità e sensibilità diversissime tra di loro.
No, l’amarezza del Papa non è stata determinata dal fatto che siano stati espressi giudizi diversi sulla revoca della scomunica. La sofferenza che traspare dalle pagine della lettera è legata al fatto che in quei giudizi, in quelle critiche che gli hanno fatto ricordare la frase paolina sui cristiani che si mordono e divorano a vicenda, non c’era carità. Prevalevano le logiche delle fazioni contrapposte, che finiscono per trasformare anche la Chiesa in un talk show o in un congresso di partito, con tanto di correnti contrapposte e cordate che mirano soltanto alla gestione del potere.
Questo Papa anziano, che all’inizio del suo pontificato disse che il suo compito «è di far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo», chiede ancora una volta alla Chiesa e a tutti i suoi membri, come pure alla sua Curia, un cambiamento di sguardo e di mentalità. Quello sguardo che si può cogliere nel commento pubblicato su L’Osservatore Romano di oggi dal vescovo Rino Fisichella, dedicato al caso della bambina brasiliana stuprata dal patrigno, rimasta incinta di due gemelli e fatta abortire. Una storia tragica, che ha visto il vescovo di Recife salire alla ribalta delle cronache internazionali per aver immediatamente annunciato che i medici che hanno praticato l’aborto sono incorsi nella scomunica. «Prima di pensare alla scomunica – scrive Fisichella – era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri».
Ecco, questo stesso sguardo di misericordia è quello che Benedetto XVI testimonia alla Chiesa. Pensare che il cuore del problema siano solo le poltrone della Segreteria di Stato – dove pure esistono innegabili disfunzioni - o lo studio di più efficaci strategie comunicative, o ancora le divisioni secondo logiche politiche tra conservatori e progressisti, significa, una volta di più, ridurre la profondità dell’insegnamento papale a logiche di potere mondano. Il Papa non ha bisogno di interpreti autorizzati: comunica benissimo e dà il meglio di sé anche quando parla a braccio. In un momento della storia in cui Dio «sparisce dall’orizzonte degli uomini» c’è bisogno di riscoprire che alla Chiesa non si possono applicare le logiche aziendali, né può rimanere ripiegata su se stessa, concentrata sui suoi organigrammi. La Chiesa vive spalancata verso il mondo. Proprio per questo, martedì prossimo, il vescovo di Roma parte per l’Africa, il continente dimenticato.
L’odio contro il Papa e il «fumo di Satana»
Non c'è neanche la possibilità dell'errore di traduzione, perché Benedetto XVI ha scritto di suo pugno la lettera ai vescovi in due versioni: italiano e tedesco. E quindi la parola usata è proprio quella: «Odio».
Papa Ratzinger sente che si è diffuso, tra i membri stessi della Chiesa, questo forte sentimento di rabbiosa avversione e di profondo risentimento proprio nei suoi confronti, nei confronti del Vicario di Cristo e successore dell'apostolo Pietro. Venisse da fuori, da coloro che sono extra ecclesiam, quest'odio non desterebbe scandalo e il pontefice non si sentirebbe tenuto a rispondere con una inconsueta lettera ufficiale. No. L'odio - dice Benedetto XVI - viene da dentro, dalle membra del corpo, che si ribellano alla volontà del capo e covano dentro di sé cupi disegni di rivalsa e di vendetta.
Tornano alla mente le parole dell'allora cardinal Ratzinger alla Via Crucis del 2005: «Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!». Oggi è lo stesso Ratzinger ad annunciare che la sporcizia ha mutato forma ed è degradata in odio. Per essere chiaro e non prestarsi ad equivoci interpretativi, il Papa ricorre a un'immagine usata da San Paolo nella lettera ai Galati: quella del «mordersi e divorarsi» a vicenda come belve feroci. Benedetto afferma che sono state proprio le presenti circostanze a fargli comprendere meglio questo passaggio del testo paolino, da lui finora ritenuto una delle «esagerazioni retoriche» dell'apostolo delle genti. Scrive il Papa: «Purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata».
E il risultato di questo mordersi e divorarsi - ammonisce San Paolo e ricorda Benedetto XVI - è la distruzione. Ergo: l'odio delle membra contro il capo può portare alla consunzione del corpo. E l'odio di vescovi, preti e teologi contro il Papa può portare alla disgregazione della Chiesa. Alla fine è questo ciò che è in ballo in questi mesi e in questi giorni, e forse potremmo dire in questi anni di pontificato ratzingeriano, in ciò paragonabile al drammatico papato di Paolo VI, anch'egli fortemente contestato (e, guarda caso, accusato come Benedetto XVI di «conservatorismo») da ampia parte degli episcopati e dalla casta teologica dominante dopo il Concilio Vaticano II.
E allora torniamo per un attimo proprio a Papa Montini e a quelle parole del novembre 1972 spesso citate, ma che oggi, alla luce della lettera di Papa Ratzinger ai vescovi e alla denuncia in essa contenuta di un odio nei confronti del pontefice radicato e diffuso nella Chiesa stessa, assumono ancor di più un profilo di profetica verità: «Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel Tempio di Dio... Nella Chiesa regna questo stato d'incertezza; si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E' venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio». Queste parole non furono pronunciate da qualche lefebvriano smanioso di gettare fango sul Vaticano II, ma da colui che del Concilio fu uno dei maggiori e più convinti sostenitori (anche qui, come l'allora teologo Ratzinger): per questo sono ancor più autorevoli. E la prova della consapevolezza interiore con cui furono dette è nel dolore, nella sofferenza, nel dramma che consumarono la persona di Papa Montini negli ultimi anni della sua permanenza sul soglio di Pietro, quando egli dovette assistere alla ribellione di vescovi e teologi agli atti papali, allo svuotamento dei seminari, all'indebolirsi della presenza cattolica nella società.
Il riferimento a Satana fatto da Paolo VI è ancora più significativo oggi, nel momento in cui Benedetto XVI subisce una diffusa e pesante contestazione da parte di molti episcopati ed esponenti dell'intellighenzia cattolica, avente ad oggetto ancora una volta, in sostanza, il Concilio Vaticano II, e vede dietro tale contestazione il seme e il movente dell'odio. E l'odio, nei Vangeli, è il sentimento proprio del Maligno. E' la caratteristica del Demonio, la cui opera nella storia punta a dividere il corpo di Cristo, e quindi a distruggerlo per frantumazione. Più nella Chiesa ci si «morde e divora», più il «fumo di Satana» ha campo libero per entrare nel tempio. Per questo la denuncia dell'odio fatta da Papa Ratzinger nella sua lettera ai vescovi, più che lo sfogo personale del pontefice romano, deve essere considerata come un richiamo del Vicario di Cristo a non lasciare che le tenebre, la tempesta e il buio spengano la luce della Verità. Quella Verità affidata a colui al quale duemila anni fa venne detto: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».
di Gianteo Bordero
Ragionpolitica.it 13 marzo 2009
La primavera di Eliot - Pigi Colognesi - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Molti ricorderanno la facile poesiola di Angelo Silvio Novaro che ci facevano studiare in questa stagione alle elementari. Tra l’altro dice: «Passata è l’uggiosa invernata, / passata, passata! / Di fuor dalla nuvola nera, / di fuor dalla nuvola bigia / che in cielo si pigia, /domani uscirà Primavera». Eh sì, domani è primavera.
Ma non sono questi i primi versi che mi sono tornati alla mente constatando l’imprevedibile ma inarrestabile risveglio della natura, il sorprendente rifluire della sua vita. E neppure quelli dell’ottimistico e malinconico umanesimo, tipo: «Ben venga primavera».
Piuttosto ho pensato a Eliot e al folgorante inizio del suo poema La terra desolata: «Aprile è il mese più crudele, genera / lillà da terra morta, confondendo / memoria e desiderio, risvegliando / le radici sopite con la pioggia della primavera».
Con quell’inaspettato aggettivo - «crudele» - appioppato al ritorno della bella stagione, Eliot sorpassa di slancio ogni interpretazione bambinesca, ogni scontatezza gioviale. La primavera è crudele perché risveglia qualcosa che avremmo voluto continuasse a dormire sotto la «terra morta». In fondo una parte di noi preferirebbe continuare un letargo privo di consapevolezza. Prosegue, infatti, Eliot: «L’inverno ci mantenne al caldo, ottuse / con immemore neve la terra, nutrì / con secchi tuberi una vita misera». Senza «memoria» e senza «desiderio» ci si può accontentare della «misera» vita al calduccio delle proprie sicurezze misurate, delle dimensioni anguste, della rinuncia che ha paura di ogni sorpresa.
Ma dal tronco secco di questa rassegnata dimenticanza la primavera fa inaspettatamente sbucare il germoglio del desiderio. Che esige una risposta, un compimento, a cui non basta la tiepidezza della rassegnazione. Non è crudeltà; anzi, si potrebbe dire che questa è proprio la «grazia» della primavera. Essa ci invita a considerare che il tempo non è uno scorrere insignificante di momenti in fondo tutti uguali.
Certo, non viviamo più in un contesto agricolo dove il passaggio dall’inverno alla primavera si mostra con l’imponenza di una colossale trasformazione della natura. Nelle città anche il cambio delle stagioni ha qualcosa di artificiale, di scontato. Possiamo mangiare ciliege e angurie anche d’inverno e dell’arrivo della primavera ci avvediamo quasi solo per la necessità di cambiare abbigliamento e per la possibilità di stare un po’ più all’aperto. Ma lo strano prurito di desiderio che ci troviamo addosso, ci dimostra che il tempo non è uno scivolo monotono. Esso offre continuamente una possibilità ripresa. A patto che il desiderio non sia soffocato.
Vale la pena dare ascolto a questo bisogno di rinascita a questa percezione di un tempo che si rinnova. Anche perché la vita dell’uomo, come dice la poesia dei Salmi, di primavere ne ha solo «settanta, ottanta per i più robusti». Qualsiasi sia il numero di questa che incomincia, la primavera ha in sé per ciascuno di noi la promessa di una rinascita, di una novità. Di una pasqua.
AFRICA/ 1. Jovine (malata Aids): senza marito e con sei figli ormai orfani, a che mi servono i condom? - INT. Rose Busingye - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Discutere del problema dell’Aids dalle redazioni dei giornali o dagli uffici politici delle varie istituzioni europee è una cosa; parlarne avendo negli occhi la situazione di decine di donne sieropositive, e dei loro figli che hanno preso il contagio, è tutt’altro affare. Rose Busingye dirige il Meeting Point di Kampala, un luogo di rinascita per 4 mila persone, tra malati e orfani, altrimenti condannate a vivere nel silenzio e nell’abbandono il loro destino di marchiate dall’Hiv.
In questo luogo di intensa umanità, le polemiche sull’uso del preservativo per abbattere il flagello dell’Aids giungono come un’eco lontana.
Rose, che effetto le fa sentire tante voci polemiche intorno a un problema col quale lei lotta ogni giorno?
Chi alimenta la polemica intorno alle dichiarazioni del Papa deve in realtà capire che il vero problema della diffusione dell’Aids non è il preservativo; parlare di questo significa fermarsi alle conseguenze e non andare mai all’origine del problema. Alla radice della diffusione dell’Hiv c’è un comportamento, c’è un modo di essere. E poi non dimentichiamo che la grande emergenza è prendersi cura delle tante persone che hanno già contratto la malattia, e per quelle il preservativo non serve.
Però resta il fatto che comunque si può fare qualcosa per evitare che il contagio si diffonda ulteriormente: in questo caso la prevenzione non è uno strumento utile?
Riporto un esempio, per far capire come veramente a volte non ci si rende conto della situazione in cui viviamo qui in Africa. Un po’ di tempo fa erano venuti alcuni giornalisti per fare un reportage sull’attività del Meeting Point: videro la condizione delle donne sieropositive che sono qui, e rimasero commossi. Decisero allora di rendersi utili, facendo un piccolo gesto per loro: regalarono alcune scatole di preservativi. Vedendo questo, una delle nostre donne, Jovine, li guardò e disse: «Mio marito sta morendo, e ho sei figli che tra poco saranno orfani: a cosa mi servono queste scatole che voi mi date?». L’emergenza di quella donna, e di tantissime altre come lei, è avere qualcuno che la guardi e le dica: «donna, non piangere!». È assurdo pensare di rispondere al suo bisogno con una scatola di preservativi, e l’assurdità è nel non vedere che l’uomo è amore, è affettività.
E per quanto riguarda invece le persone che possono avere rapporti con altre e diffondere il contagio?
Anche lì vale lo stesso discorso: bisogna innanzitutto guardare la loro umanità. Una volta stavamo parlando ai nostri ragazzi dell’importanza di proteggere gli altri, di evitare il contagio; uno di loro si mise a ridere, dicendo: «ma cosa me ne importa, chi sono gli altri? Chi sono le donne con cui vado?». E un altro diceva: «anch’io sono stato infettato, e allora?». L’Aids è un problema come tutti i problemi della vita, che non si può ridurre a un particolare. Bisogna innanzitutto partire dal fatto che bisogna essere educati, anche nel vivere la sessualità. Ma l’educazione riguarda innanzitutto la scoperta di sé stessi: la persona che è cosciente di sé, sa che ha un valore che è più grande di tutto. Senza la scoperta di questo valore – di sé e degli altri – non c’è nulla che tenga. Anche il preservativo, alla fine, può essere usato bene solo da una persona che abbia scoperto qual è il valore dell’umano, se ama veramente, e se è amato. Si pensa forse che dove il preservativo viene distribuito non prosegua il contagio dell’Aids? E poi in certi casi il discorso del preservativo, nelle condizioni in cui ci troviamo, può sembrare a tratti anche ridicolo.
In che senso?
Pochi giorni fa, ad esempio, abbiamo fatto vedere alle nostro donne che cos’è il preservativo, spiegando anche le istruzioni per l’uso: prima di usarlo bisogna lavarsi le mani, non ci deve essere polvere, deve essere conservato a una certa temperatura. Sono state loro stesse a interrompermi: lavarsi le mani, quando per avere un po’ d’acqua dobbiamo fare venti chilometri a piedi? E poi la polvere: anche qualche granello può essere pericoloso e rischiare di strappare il preservativo. Ma queste donne spaccano le pietre dalla mattina alla sera, e hanno la pelle delle mani screpolata e dura come la roccia! Per questo dico che si parla senza minimamente conoscere il problema e la condizione in cui ci troviamo.
Alla luce di questa diffusa ignoranza riguardo ai problemi reali della gente che vive in Africa, che effetto le fanno le polemiche contro il Papa?
Il Papa non fa altro che difendere e sostenere proprio quello che serve per aiutare questa gente: affermare il significato della vita e la dignità dell’essere umano. Quelli che lo attaccano hanno interessi da difendere, mentre il Papa di interessi non ne ha: ci vuole bene, e vuole il bene dell’Africa. Da lui non arrivano le mine che fanno saltare per aria i nostri ragazzi, i nostri bambini che fanno i soldati, che si trovano amputati, senza orecchie, senza bocca, incapaci di deglutire la saliva: e a loro cosa diamo, i preservativi?
In effetti l’Aids non è certo l’unico problema che attanaglia l’Africa.
Ci sono moltissimi altri problemi e situazioni tragiche su cui c’è totale indifferenza. Quando qualche anno fa c’è stato il genocidio del Ruanda tutti stavano a guardare. Qui vicino c’è un paese piccolissimo, che poteva essere protetto, e non si è fatto nulla: lì c’erano i miei parenti, e sono morti tutti in modo disumano. Non si è mosso nessuno, e adesso vengono qui con i preservativi. Ma anche a livello di malattie vale lo stesso discorso: perché non ci portano le aspirine, o le medicine anti-malaria? La malaria è una malattia che qui miete più vittime rispetto all’Aids.
Qual è la situazione ora in Uganda riguardo alla diffusione dell’Aids?
In Uganda si stanno facendo grandi progressi, e il nostro presidente sta operando benissimo e ottenendo ottimi risultati. E il suo metodo non è puntare sulla diffusione dei preservativi, ma sull’educazione: ha istituito un ministero per questo, e ha mandato la gente in giro, nei villaggi di analfabeti per educarli a un cambiamento della vita. La moglie del presidente è stata qui da noi poco tempo fa, e ha detto con forza che il vero punto che può far cambiare la situazione è smettere di vivere come i cani o i gatti, che devono sempre soddisfare i loro istinti; e ha parlato del fatto che l’uomo è dotato di ragione, che lo rende responsabile di quello che fa. Se l’uomo rimane legato all’istinto come un animale, dargli un preservativo non serve a nulla. Questo è il metodo che sta dando risultati, e ha portato la diffusione dell’Aids in Uganda dal 18% della popolazione al 3%. Il metodo funziona, e il cuore del metodo è fare in modo che la gente si senta voluta bene. Lo vediamo qui al Meeting Point: quando le persone arrivano qua, non vogliono più andare via.
AFRICA/ 2. L’abc contro l’Aids? I numeri dicono che funziona - Filippo Ciantia, Pier Alberto Bertazzi - venerdì 20 marzo 2009 – ilsussidiario.net
All’inizio del suo viaggio in Africa, Benedetto XVI è stato sommerso da critiche di ogni provenienza, comprese numerose cancellerie di paesi occidentali, per aver affermato, facendosi interprete delle speranze e delle aspettative del continente, che non sarà l’utilizzo del preservativo a risolvere il problema dell’Aids. Così, mentre Zapatero si è affrettato a promettere l’invio di un milione di preservativi per contribuire alla lotta all’Aids, Bernard Kouchner, ministro degli Esteri di Parigi, ha dichiarato che la posizione del Papa «rivela poca comprensione della reale situazione dell’Africa». Sarà davvero così?
Innanzitutto, il cenno all’Aids e alla reali possibilità di contenere il flagello fa parte di una preoccupazione di ordine più generale, centrata sull’evangelizzazione e sul senso profondo del messaggio cristiano. Ma se è così, ogni accenno - quelli fatti finora, ma anche quelli che dovrebbero seguire - alla salute e alla malattia non potrà che collocarsi sullo sfondo di una più profonda preoccupazione per il bene dell’uomo e per il suo sviluppo. Quello sviluppo che, seguendo la Gaudium et Spes, non può limitarsi alla moltiplicazione dei beni e dei servizi, cioè a ciò che si possiede, ma deve contribuire alla pienezza dell’essere dell’uomo. Lo stesso Benedetto XVI nell’udienza generale del 16 agosto 2006 spiegava: «Il progresso può essere progresso vero solo se serve alla persona umana e se la persona umana stessa cresce; se non cresce solo il suo potere tecnico, ma cresce anche la sua capacità morale».
Mancanza di salute e crescita: il caso Aids
Il panorama sub-sahariano è impressionante. In questo 10% della popolazione mondiale si concentra il 66% dei casi di infezione da Hiv. La proporzione di popolazione infetta supera spesso il 5% ed in alcuni casi il 20%. Il trattamento dell’infezione è costoso, ma efficace. Programmi internazionali hanno cercato di garantire nei Paesi più poveri la terapia anti-retrovirale (Art) ad almeno il 50% di quanti ne necessitano entro il 2005, ma solo il 20% è stato raggiunto; importanti progressi, invece, sono stati compiuti nella prevenzione e profilassi della trasmissione materno-fetale. Negli ultimi anni, in alcuni di questi Paesi sub-sahariani è stato notato un declino, per molti inatteso, della frequenza di Hiv negli adulti. È il caso dell’Uganda che, secondo dati Onu, ha avuto ultimamente uno sviluppo notevole anche se fragile e ineguale. Il suo punteggio Hdi (Human development index) si è incrementato, al pari di Cina e Bangladesh, di circa il 20% a partire dal 1990. Questo dato di sviluppo potrebbe di per sé spiegare l’andamento migliorativo della epidemia di Hiv/Aids.
Ma c’è un altro dato di rilievo, comune ad altri Paesi quali Zambia, Senegal, Kenya, Zimbabwe, Giamaica, Thailandia e Repubblica Dominicana, che ugualmente hanno mostrato segni di declino dell’epidemia, ed è il tipo di politica adottata per la lotta a Hiv/Aids. Come ha spiegato Edward Green, dell’Harvard Center for Population and Development Studies, i più rilevanti risultati in tema di prevenzione dell’Aids sono stati ottenuti nei Paesi che hanno puntato non solo sulla diffusione di preservativi, ma anche su programmi di Primary Behavior Change, attraverso formazione ed educazione. Il primo tipo di approccio si è dimostrato efficace nei gruppi ad alto rischio nei Paesi occidentali, ma non nei Paesi dove il rischio è diffuso nell’intera popolazione.
Una lezione dai Paesi in via di sviluppo
In quei Paesi si è dimostrato vincente il modello di prevenzione originalmente sviluppato in Africa. È basato su tre principi, indicati dalle lettere A, B e C. A, ovvero Abstain, astieniti da rapporti sessuali in età molto giovane, non iniziare un’attività sessuale precocemente; B, come Be faithful, ovvero sii fedele, non cambiare continuamente partner; C, ovvero usa il Condom in modo corretto e continuo. Nel 1991 durante la conferenza internazionale sull’Aids a Firenze il presidente ugandese Museveni spiegava così la scelta politica del suo Paese: «Credo che la migliore risposta alla minaccia posta dall’Aids sia riaffermare pubblicamente e con forza la stima e il rispetto che ogni persona deve al suo prossimo. I giovani devono imparare le virtù del controllo di sé, della non immediatezza del piacere e talora del sacrificio». E in Uganda la frequenza di infezioni Hiv nella popolazione è scesa dal 15% nel 1991 al 5% nel 2001, mentre nell’intera Africa sub-sahariana, secondo Unaids, la frequenza media di infezione Hiv nella popolazione si va riducendo: da 7,5% nel 2003 a 7,2% nel 2005.
L’approccio ABC è stato considerato con interesse negli ultimi anni e discusso su riviste internazionali autorevoli, incluse The Lancet, Science, British Medical Journal. In questa discussione è stata messa in luce l’importanza di tutti e tre gli aspetti, nel loro insieme, ma anche la loro diversa rilevanza ed efficacia a seconda dei diversi segmenti o tipi di popolazione: tenendo conto dei risultati raggiunti, per i giovani la misura più rilevante sembra la A, per gli adulti la B, mentre la C ha la maggior rilevanza nei gruppi ad alto rischio, data la loro avvertenza e coscienza del problema, o comunque nei Paesi con epidemie concentrate e non diffuse all’intera popolazione (per esempio Cambogia e Thailandia).
L’«impegno» dell’Occidente
L’impatto del programma di prevenzione ABC risente naturalmente di molte condizioni di contesto quali povertà, mancanza di educazione, instabilità residenziale, migrazione forzata, ineguaglianza di diritti tra uomini e donne, etc. Molti Paesi in Africa soffrono di tali condizioni, e ciò rende ancora più importante non coltivare l’illusione che la questione si risolva soltanto con una distribuzione capillare di preservativi: il loro uso corretto e continuo ha ben poche applicazioni in situazioni di tale drammaticità. In ogni caso, i 700 milioni di abitanti dell’Africa sub-sahariana stanno ricevendo annualmente oltre 700 milioni di preservativi, ma la curva epidemica dell’infezione ha cominciato a subire un calo solo quando si è messo in atto un programma centrato sulla responsabilità della persona, sulla sua capacità di riconoscere il bene, sulla leale e simpatetica considerazione delle condizioni particolari nelle quali il programma andava applicato.
L’Occidente si sta impegnando a fornire all’Africa farmaci e condom. È questo il segno di un impegno concreto o di un disimpegno? È il modo efficace di aiutare la soluzione del loro problema o di un nostro problema? È sufficiente occuparsi del virus e non delle condizioni sociali, culturali, economiche, di vita quotidiana, nelle quali il virus prospera? L’esperienza, anche scientifica, sembra dire di no.
A quali condizioni lo sviluppo produce salute
L’esperienza dell’Aids nei Paesi del Terzo mondo mostra in primo luogo che lo sviluppo produce salute non quando riversa sul pubblico i suoi prodotti tecnico-scientifici, per quanto avanzati, ma quando quello sviluppo ha un popolo, e non una casta (sia essa scientifica, economica o politica), come protagonista. Un popolo, cioè persone portatrici di una storia e di un ideale di bene. Le “moltitudini” sono artificiali, i popoli sono reali. C’è, a questo proposito, una recente tagliente affermazione del pur controverso presidente del Sud Africa, Thabo Mbeki: «È ovvio che, qualunque sia la lezione che dovremmo o potremmo trarre dall’Occidente a proposito della grave questione dell’Aids, la sua semplice imposizione al mondo africano sarebbe assurda e illogica».
La seconda lezione è che ci si deve basare sull’evidenza, e non solo sull’applicazione di principi ritenuti a priori efficaci. Di ciò che è successo in Africa con il programma ABC ben poco si è detto e tantissimo si è taciuto. È comprensibile: i punti A e B hanno ben pochi vantaggi economici da portare alle grandi corporate. Ma c’è dell’altro. Ed è l’atteggiamento di esclusione dalle dinamiche dello sviluppo di fattori e protagonisti non “abilitati”. Cosa può venire di realmente utile in campo medico-sociale da Paesi ancora in via di sviluppo, da culture “popolari”, non ossequienti alla vulgata dominante? Come può essere credibile un approccio basato su qualcosa di diverso da condom e farmaci? Eppure, dovremmo essere in tempi di evidence-based medicine, cioè di sviluppo e diffusione di pratiche e di misure di prevenzione e terapia sulla base dell’evidenza della loro efficacia non a priori, ma in specifici contesti.
La terza caratteristica da considerare con attenzione è che si è trattato di un approccio rivolto alla persona e alla sua responsabilità, non alle masse. Un approccio che della persona coltiva e valorizza la capacità di riconoscere il bene, per sé anzitutto e per la società in cui vive, e di agire e costruire coerentemente a esso. Sfortunatamente, invece, il giudizio più diffuso è che l’Aids trovi facile terreno nel fatalismo endemico degli africani, e che perciò la lotta alla malattia sia essenzialmente un dovere morale dei governi occidentali. Questo atteggiamento è non soltanto odioso, ma anche inefficace, come il programma ABC ha messo in luce. L’efficacia è inscindibilmente connessa alla valorizzazione della responsabilità, cioè alla capacità di diventare protagonisti della ricerca e della realizzazione, anche in campo sociale, di quel bene che urge nel profondo di ciascuno.
Il programma ABC ha avuto inaspettatamente (per molti) successo proprio perché legato alla vita dei popoli dove si è svolto, sostenuto dalle loro risorse (una concezione del vivere, anzitutto), adeguato al contesto di applicazione e capace di rispettare i diritti umani nel senso più profondo: le attese e i desideri presenti nei loro cuori.
IL PRESERVATIVO ANZICHÉ LE POLITICHE - IRRESPONSABILE LEGGEREZZA DEI GOVERNANTI EUROPEI - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 20 marzo 2009
U n milione di preservativi gratis. Come coriandoli sulla festa di ipocrisia di Zapatero e soci sulla faccenda che il Papa ha sollevato. Che diamine, grazie al Papa si può tornare a parlare (seriamente) di sesso e invece no, questi vogliono subito chiudere il discorso, accusandolo di ogni nefandezza. E paracadutando sull’Africa un milione di preservativi. Come in tempo di guerra si buttavano i volantini alla popolazione. E come se il nemico loro fosse il Papa più che l’Aids. Invece di guardare i dati – come fanno ad esempio il medico da tanti anni in Africa, Filippo Ciantia, intervistato ieri su queste colonne, circa l’esperienza ugandese di educazione e sviluppo che ha fatto diminuire l’Aids, e Paola Germano, oggi, sulla sintonia di Benedetto XVI con la comunità scientifica più avvertita nel chiedere cure gratuite per tutti – festeggiano la normale irresponsabilità dei loro governi verso l’Africa con eccezionali botti contro il Papa e lanci di coriandoli che servono solo a lasciare le cose come stanno. Troppo comodo distribuire preservativi gratis invece di mettere in crisi le multinazionali del farmaco chiedendo gratis i medicinali o fare campagne più mirate su educazione e prevenzione. Comodo agitare lo slogan della libertà (vero e proprio spettro affamato come un ragazzino Somalo ormai) per lavarsi la coscienza. Comodo parlare da palazzi presidenziali e da colonne di giornali di 'realismo' del preservativo contro chi, come i cattolici, sono da decenni tra i pochi 'realmente' vicini alle popolazioni africane. La ideologia che azzanna ancora una volta rabbiosamente il tentativo di ragionare del Papa, sembra improntata a una strana idea di libertà. Gli africani siano liberi di accoppiarsi a casaccio, a rischio, e si spaccino preservativi in luoghi dove non ci sono medicine e non c’è nemmeno l’acqua corrente, senza introdurre logiche di rispetto per la donna, di stabilità nelle relazioni e di sviluppo sociale. Lasciamoli liberi (cioè derelitti ma preservativizzati).
Se la prendono con il Papa come se la Chiesa fosse un poliziotto che gira tra villaggi sperduti a impedire al povero africano che probabilmente manco sa chi è il Papa di usare il preservativo (oggetto pure questo un po’ esotico per costui). Fanno finta, questi allegri lanciatori di coriandoli sulla propria irresponsabilità. Fingono di non sapere che il problema è trattare seriamente il sesso e la libertà. Fanno finta di non sapere che il problema sta in politiche di sostegno che si limitano a distribuire preservativi dove andrebbe invece distribuita istruzione e insegnato il rispetto. Fanno finta e lanciano coriandoli e offese contro chi indica di fronte ai problemi non le scorciatoie ma un metodo che ha bisogno di tempi più lunghi e di scelte più forti.
Sembra che abbiano fastidio se la Chiesa dà il suo contributo a un problema generale. Addirittura, un noto intellettuale italiano, condannato dai tribunali come mandante di un assassino politico, sulle prime pagine del quotidiano che lo ospita come penna di punta dà con nonchalance del 'leggermente folle' al Papa. Il quale non è un provocatore; ma ormai dinanzi a una platea formata in parte da governanti illuministici e intellettuali di questo genere, ebbri di ideologia e di livore verso tutto ciò che mette in questione la loro presunta buona coscienza, anche dire che l’acqua bagna – se lo dice la Chiesa – suona come provocazione.
Beh, allora ben vengano queste provocazioni a pensare. E anche se il tema è solo un particolare nel grande viaggio di annuncio di speranza cristiana che Benedetto sta compiendo nel posto più difficile del mondo, sia utile a guardare la realtà con l’uso della regione. Si guardi all’Africa con l’occhio meno velato da ideologie e con meno spocchia, si guardino i dati. Chi lo deve, faccia seriamente il governante e non il demagogo. E già che ci siamo, si parli finalmente, seriamente, non banalmente di sesso. E lo si faccia grazie, strano a dirsi?, al Papa.