Nella rassegna stampa di oggi:
1) 23/03/2009 10:35 - VATICANO-AFRICA - Papa: la “prima sfida” è la solidarietà, tra generazioni, nazioni e continenti - Al momento del commiato dall’Africa, Benedetto XVI chiede ai leader di tutto il continente di prendersi cura di coloro che “soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali”. “Mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno”.
2) Preghiera di Benedetto XVI a Maria per la pace in Africa
3) AFRICA/ Perché il Papa non sbaglia - Mario Mauro - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
4) CRISTIANESIMO/ Il Curato d’Ars, patrono dei sacerdoti di tutto il mondo - Rino Cammilleri - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
5) TESTIMONIANZA/ Il mio aiuto ai bimbi sieropositivi in Romania - Redazione - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
6) Valutazione bioetica del caso della bambina brasiliana stuprata - di Renzo Puccetti*
7) "Schifidol puzz" l'antidoto alla bellezza - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 22 marzo 2009 – ilsussidiario.net
23/03/2009 10:35 - VATICANO-AFRICA - Papa: la “prima sfida” è la solidarietà, tra generazioni, nazioni e continenti - Al momento del commiato dall’Africa, Benedetto XVI chiede ai leader di tutto il continente di prendersi cura di coloro che “soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali”. “Mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno”.
Luanda (AsiaNews) – E’ la solidarietà la “prima sfida da vincere”, solidarietà fra generazioni, nazioni e continenti che “generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini”. Solidarietà, riconciliazione e pace, con un particolare pensiero ai rifugiati, sono le parole d’ordine che Benedetto XVI lascia all’Angola, all’Africa e al mondo al momento di concludere, questa mattina, il suo primo viaggio nel Continente nero.
Tanta gente, da stamattina presto, davanti alla nunziatura, dove il Papa ha abitato dal 20 marzo, quando è giunto dal Camerun, tanta lungo la strada che va all’aeroporto “4 de Fevereiro” di Luanda, da dove il Papa è ripartito e tanta anche fuori dello scalo aereo.
Da dove Benedetto XVI lancia un “appello finale”. “Vorrei chiedere - dice - che la giusta realizzazione delle fondamentali aspirazioni delle popolazioni più bisognose costituisca la preoccupazione principale di coloro che ricoprono le cariche pubbliche, poiché la loro intenzione - sono certo - è quella di svolgere la missione ricevuta non per se stessi ma in vista del bene comune. Il nostro cuore non può darsi pace finché ci sono fratelli che soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali. Per arrivare a dare una risposta concreta a questi nostri fratelli in umanità, la prima sfida da vincere è quella della solidarietà: solidarietà fra le generazioni, solidarietà fra le Nazioni e tra i Continenti che generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini”.
Sobria la cerimonia di congedo: il Papa passa tra due file di scout, ragazzi e ragazze, schierati lungo il percorso. Quasi un omaggio ai due di loro che venerdì hanno perso la vita allo Stadio dos Coqueiros, schiacciati dalla folla. Li ricorda il presidente della Repubblica, José Eduardo dos Santos, che ringrazia Benedetto XVI anche per la solidarietà data nell’occasione.
Il Papa ringrazia tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita della sua visita, Ringrazia Dio per la vivacità di una Chiesa che “nonostante le difficoltà”, è “piena di entusiasmo, che ha saputo prendere sulle spalle la sua croce e quella altrui, rendendo testimonianza davanti a tutti della forza salvifica del messaggio evangelico. Essa continua ad annunziare che è arrivato il tempo della speranza, impegnandosi nella pacificazione degli animi e invitando all’esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi alla accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e sentimenti di ciascuno”.
“Prego ora Iddio – aggiunge - di fare sentire la sua protezione ed aiuto ai rifugiati ed espatriati senza numero che vagano nella attesa di un ritorno alla propria casa. Il Dio del cielo ripete loro: ‘Anche se la mamma si dimenticasse di te, Io invece non ti dimenticherò mai’ (cfr Is 49, 15). È come figli e figlie che Dio vi ama; Egli veglia sui vostri giorni e sulle vostre notti, sulle vostre fatiche e aspirazioni. Fratelli e amici di Africa, carissimi angolani, coraggio! Non vi stancate di far progredire la pace, compiendo gesti di perdono e lavorando per la riconciliazione nazionale, affinché mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno. E ciò sarà possibile se vi riconoscerete a vicenda quali figli dello stesso e unico Padre del Cielo”.
Per tutti gli africani, l’arrivederci è a Roma, per II assemblea speciale del Sinodo dei vescovi dedicata a questo Continente.
Preghiera di Benedetto XVI a Maria per la pace in Africa
Parole introduttive all'Angelus nella Spianata di Cimangola a Luanda
LUANDA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus pronunciato questa domenica da Benedetto XVI al termine della celebrazione eucaristica nella spianata di Cimangola con i Vescovi dell’Interregional Meeting of Bishops of Southern Africa.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
al termine della nostra Celebrazione eucaristica, mentre la mia Visita pastorale in Africa sta giungendo alla sua conclusione, ci volgiamo ora a Maria, la Madre del Redentore, per implorarne l’amorevole intercessione su di noi, sulle nostre famiglie, e sul nostro mondo.
In questa preghiera dell’Angelus, ricordiamo il "sì" incondizionato di Maria alla volontà di Dio. Attraverso l’obbedienza di fede della Vergine, il Figlio è venuto nel mondo per portarci perdono, salvezza e vita in abbondanza. Facendosi uomo come noi in tutto fuorché nel peccato, Cristo ci ha insegnato la dignità e il valore di ogni membro della famiglia umana. E’ morto per i nostri peccati, per raccoglierci insieme nella famiglia di Dio.
La nostra preghiera sale oggi dall’Angola, dall’Africa, ed abbraccia il mondo intero. A loro volta gli uomini e le donne di ogni parte del mondo che si uniscono alla nostra preghiera, volgano i loro occhi all’Africa, a questo grande Continente così colmo di speranza, ma ancora così assetato di giustizia, di pace, di un sano e integrale sviluppo che possa assicurare al suo popolo un futuro di progresso e di pace.
Oggi io affido alle vostre preghiere il lavoro di preparazione per la prossima Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, la cui celebrazione prevista per la fine di quest’anno. Ispirati dalla fede in Dio e fiduciosi nelle promesse di Cristo, possano i cattolici di questo Continente diventare sempre più pienamente lievito di evangelica speranza per tutte le persone di buona volontà che amano l’Africa, sono dedite al progresso materiale e spirituale dei suoi figli, e alla diffusione della pace, della prosperità, della giustizia e della solidarietà in vista del bene comune.
La Vergine Maria, Regina della Pace, continui a guidare il popolo dell’Angola nel compito della riconciliazione nazionale dopo la devastante e disumana esperienza della guerra civile. Le sue preghiere ottengano per tutti gli Angolani la grazia di un autentico perdono, del rispetto per gli altri, della cooperazione che sola può portare avanti l’immensa opera della ricostruzione. La Santa Madre di Dio, che ci addita il Figlio suo, nostro fratello, ricordi a noi cristiani di ogni luogo il dovere di amare il nostro prossimo, di essere costruttori di pace, di essere i primi a perdonare a chi ha peccato contro di noi, così come noi siamo stati perdonati.
Qui, nell’Africa del Sud, vogliamo pregare Nostra Signora in modo particolare di intercedere per la pace, la conversione dei cuori e per la fine del conflitto nella vicina regione dei Grandi Laghi. Il Figlio suo, Principe della Pace, porti guarigione a chi soffre, conforto a coloro che piangono e forza a tutti coloro che portano avanti il difficile processo del dialogo, del negoziato e della cessazione della violenza.
Con questa fiducia, noi ora ci volgiamo a Maria, nostra Madre, e nel recitare la preghiera dell’Angelus, preghiamo per la pace e la salvezza dell’intera famiglia umana.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
AFRICA/ Perché il Papa non sbaglia - Mario Mauro - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Un viaggio lungo e difficile per portare nel cuore dell’Africa, piegata da povertà, conflitti e malattie, una nuova speranza. Durante la sua undicesima visita pastorale, Papa Benedetto XVI ha fatto ascoltare all’intera comunità internazionale un ragionamento illuminato sull’attuale situazione africana. Un discorso che non ha lasciato in ombra gli aspetti legati alle contraddizioni che ancora affliggono il grande continente, in affanno per le difficoltà sociali, politiche ed economiche, ma soprattutto antropologiche.
Con uno sguardo di vicinanza e di amore nei confronti di chi soffre, con la sua mano tesa verso i poveri e i malati, con un messaggio universale capace di generare un approccio integrale ai problemi del continente africano, il Papa ha gettato le basi perché sia costruito un ponte di riconciliazione tra nord e sud del mondo.
Ha ribadito che le ingiustizie sono inaccettabili, che si dovrà lavorare per uno sviluppo etico delle risorse, facendosi, quindi, portavoce dei poveri che «chiedono una conversione profondamente convinta e durevole dei cuori alla fraternità». Un messaggio di questo tipo poteva essere portato solo da chi per vocazione e per volontà non sta a guardare i problemi, ma è accanto alla popolazione africana, grazie alla dedizione senza riserve di quanti donano la propria vita per il riscatto dei più deboli.
Di fatto pur avendo il Papa toccato nel corso del suo viaggio i temi e le sfide più urgenti per questo continente, i media internazionali hanno insistito quasi unicamente sulla questione del preservativo, banalizzando la stessa piaga dell’Aids, una malattia che in Africa ha ben altre ripercussioni: sanitarie, sociali, economiche, culturali e spirituali.
I dati confermano che la “cultura del preservativo” non è stata sufficiente da sola a limitare la diffusione dell’Aids: dal 2001 al 2007 si è passati da 29,5 a 33 milioni di malati. I numeri sono significativi in quanto rivelano una mancanza ben più profonda e che può essere colmata solo se si trasmette la cultura del rispetto, dell’amore e della stabilità dei rapporti.
Tuttavia, sebbene sia stata sviata l’attenzione dai problemi reali del continente africano questo viaggio non è stata un’occasione persa. In molti ricorderanno la storia di Rose Busingye che ci ha incantato, durante lo scorso Meeting per l’amicizia e la pace tra i popoli, con il suo racconto fatto di parole piene di tenacia.
Questa donna, che da molti anni in Africa cura 4 mila malati e orfani affetti dal virus dell’Hiv, ci ricorda che la soluzione per porre un argine alla diffusione dell’Aids non è rappresentata dalla distribuzione del preservativo: «Parlare di questo - dice - significa fermarsi alle conseguenze e non andare mai all’origine del problema». La grande emergenza è costituita dalla mancanza di mezzi che consentano a donne coraggiose come Rose di prendersi cura di coloro che hanno già contratto la malattia.
Quello che in molti faticano a capire è che il danno maggiore provocato dalla distribuzione dei profilattici in Africa come mezzo per contrastare l’Hiv è di tipo culturale e il Papa è andato davvero al cuore del problema, valorizzando il ruolo della famiglia, la condizione della donna e ricordando ai giovani l’importanza del celibato e della castità.
La verità è che in termini di implicazioni economiche e politiche è più difficile mettere in crisi le multinazionali del farmaco, pretendere cure gratuite e fare campagne più mirate su educazione e prevenzione, anche se un atteggiamento di questo tipo costituirebbe un valore aggiunto e un’alternativa a una mera profilassi preventiva che non avendo prodotto a oggi risultati soddisfacenti rivela quanto questa debba essere supportata da una base più radicata: educare la persona al rispetto di se stessa e degli altri.
CRISTIANESIMO/ Il Curato d’Ars, patrono dei sacerdoti di tutto il mondo - Rino Cammilleri - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Di s. Jean Vianney, detto il Curato d’Ars, un episodio in particolare mi colpisce: il diavolo una volta gli disse, riferendosi alle sue pratiche ascetiche: «Tu non mangi, neanche io; tu non dormi, neanch’io dormo. Ma c’è una cosa che tu puoi fare e io no: amare Dio».
L’abbé Vianney è stato posto da Benedetto XVI quale patrono dei sacerdoti (prima lo era dei soli parroci) perché sapeva bene quanto un gregge dipenda dal suo pastore. Diceva che un prete santo fa dei fedeli ferventi, un prete solo devoto li fa tutt’al più dignitosi cristiani; uno tiepido finisce per non averli nemmeno cristiani. Già: il discepolo non è mai più del maestro. Per questo il Curato d’Ars lavorò soprattutto su stesso per diventare il Padre Pio della Francia del Secondo Impero. Il pur “laico” Napoleone III dovette insignirlo a furor di popolo della Legion d’Onore. Quando la ricevette, Vianney sorrise: «Eh, me la danno per aver disertato?». Infatti, prima di farsi prete era stato arruolato a forza nell’Armée del Còrso e ne era scappato; nella confusione del dopo-Waterloo nessuno pensò a cercarlo.
Studiò privatamente, perché la Rivoluzione aveva chiuso i seminari. Né lui era granché portato per lo studio. Lo fecero prete quasi solo per la sua cocciuta determinazione, commossi dal suo spirito di preghiera. Preghiera e penitenza: le sue armi. Una volta il vescovo lo costrinse per obbedienza a fare onore al pranzo offertogli: si sentì male, perché il suo stomaco era ormai abituato a solo qualche patata. La notte, anche se avesse voluto dormire non avrebbe potuto: il diavolo glielo impediva. L’intero paesino di Ars sentiva gli scoppi e i rumori infernali provenire nottetempo dalla canonica, roba da far rizzare i capelli in testa.
Ma Ars, anziché spopolarsi, triplicò i suoi abitanti. Per confessarsi dal Curato c’era sempre la fila, una fila di giorni. Venivano da ogni dove a confessarsi da lui, che stava nel bugigattolo di legno anche diciannove ore al giorno. Una volta la ressa fu tale che lo rovesciarono con lui dentro. A leggere certe sue biografie se ne cava di solito l’impressione di un essere eccezionale, inimitabile, da ammirare con stupore da lontano. Invece, a ben scrutare, si vede un uomo normale, un uomo (ed è qui la differenza) che però applicava il Vangelo alla lettera. Per esempio, un giorno venne a cercarlo un contadino che lo riempì di insulti. Il Curato stette ad ascoltarlo senza replicare e, quando quello si decise a togliersi dai piedi, lo accompagnò alla porta sempre sotto la gragnola di invettive. Appena quello se ne fu andato, quasi svenne per lo sforzo prolungato di contenersi. Eh, qualcuno non apprezzava la sua “rigidità” (nulla di nuovo sotto il sole). Un uomo gli chiese consiglio: poteva accompagnare sua figlia al ballo? Risposta: meglio di no. Ma lei guarderebbe soltanto! Replica: sì, ma ballerebbe il suo cuore.
Questo era, anche, il Curato d’Ars, uno che, avendoli debitamente chiesti, aveva avuto da Dio i doni necessari a fare il suo mestiere. Da Dio veniva la sua «formazione», non da quel seminario che mai frequentò.
TESTIMONIANZA/ Il mio aiuto ai bimbi sieropositivi in Romania - Redazione - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
A proposito di quello che ha detto il Santo Padre in merito alla lotta contro l’AIDS, sono rimasta profondamente sconcertata per il clamore e le polemiche che ne sono seguite.
Vivo in Romania dove lavoro con giovani sieropositivi, e oltre ad essere profondamente convinta che l’AIDS non si combatte con i preservativi, sostengo che il punto non è questo! Accentuando inutili polemiche continuiamo a non voler guardare la realtà, che è fatta innanzi tutto di persone come me e come te, non di proclami.
Anzi, aggiungo che sono molto preoccupata di quello che potrà accadere e che sta accadendo nel paese in cui vivo, perché tra qualche anno rischiamo di vedere una esplosione del problema dell’AIDS senza che ce ne accorgiamo, nonostante siamo tutti ben bene informati sull’uso del profilattico.
In Romania l’epidemiologia dell’Aids sembra un caso unico: la Romania è il Paese del mondo in cui i casi di Hiv o Aids dovuti a trasmissione orizzontale non sessuale rappresentano ancora oggi, venticinque anni dopo l’inizio della pandemia, la maggior parte di tutti i casi registrati. È l’unico Paese del mondo dove il numero dei bambini morti a causa dell’Aids è superiore a quello degli adulti. Ed è l’unico paese del mondo dove la maggioranza degli infettati in vita è costituita da adolescenti. Le cifre parlano chiaro: fra il dicembre 1985 e il dicembre 2007 (ultimo dato disponibile) in Romania sono stati registrati 15.085 casi cumulativi di Hiv-Aids; di essi 9.737 sono stati diagnosticati a bambini e 5.348 ad adulti (dati della commissione mista multi settoriale per lotta AIDS).
La Fondazione AVSI, con cui io lavoro da 11 anni, ha iniziato a lavorare nel paese nel 1994 costruendo il padiglione pediatrico presso l’ospedale di malattie infettive Victor Babes di Bucarest, dove i bambini malati di Aids vivevano in condizioni decisamente inadeguate all’infanzia. Il nuovo padiglione è stato realizzato seguito il modello di eccellenza del Bambin Gesù, che poi ha anche formato il personale medico e paramedico.
Nessuno si aspettava che cure mediche adeguate avrebbero permesso la sopravvivenza di quei bambini sieropositivi, che hanno provocato una questione sociale, spesso affrontata con l’istituzionalizzazione.
Nel 1996, grazie anche alla collaborazione con una nascente ong locale, Fundatia Dezvoltarea Popoarelor (fondazione per lo sviluppo dei popoli) hanno preso avvio nuovi progetti sociali e di accoglienza.
Nel 1998 ha preso avvio un progetto con il difficile obiettivo di ricerca delle famiglie di origine di bambini sieropositivi abbandonati per una loro reintegrazione in famiglia.
Abbiamo incontrato e cercato di deistituzionalizzare circa 50 bambini abbandonati presso l’ospedale Victor Babes e circa 100 bambini abbandonati nell’istituto di Vidra, un villaggio a circa 20 km da Bucarest. Nello stesso tempo abbiamo sostenuto 50 famiglie per prevenire l’abbandono di altri 50 bambini HIV+ nella propria famiglia naturale.
Tra il 2000 e il 2003 sono state avviate 3 case di tipo famigliare con 21 bambini e 6 famiglie affidatarie che hanno accolto 7 minori sieropositivi dallo stesso istituto.
Quello che è rilevante è che questi bambini che noi abbiamo conosciuto anni fa, che abbiamo accolto, che abbiamo amato e accompagnato nel loro percorso sono ora diventati grandi e iniziano a vivere una nuova fase della loro vita, e come loro anche le altre miglialia di adolescenti sieropositivi della Romania.
Le loro domande si fanno sempre più pressanti: “quanto tempo vivrò?”; “ma potrò avere una famiglia?”; “ma se avrò dei figli saranno sani?”.
I loro desideri non si esauriscono a un “rapporto protetto”, desiderano molto di più. Desiderano un compimento, desiderano una normalità, desiderano, esattamente come me, la felicità. Sono ragazzi che ora cominciano a giocare la propria libertà con percorsi faticosi di autonomia sociale e lavorativa, sono ragazzi che si innamorano, che vanno a lavorare (almeno ci provano) e che vivono spesso una grande rabbia per l’abbandono subito e la malattia, circostanze che non possiamo noi negare e con cui ognuno di loro fa i conti ogni mattina appena sveglio, ammesso, tra l’altro, che desideri ancora svegliarsi.
Come è possibile che ci fermiamo sempre e solo a parlare del preservativo?Come possibile che non ci accorgiamo che il problema è un altro? Perché è cosi difficile guardare la persona nella sua totalità di desideri, di attesa, di bisogno?Personalmente ogni giorno mi rendo conto di correre il rischio di ridurre uno dei “miei” ragazzi a un malato, magari con una preoccupazione anche buona, per una iperprotezione, ma mi accorgo del rischio che corro di guardare ognuno di loro come "sieropositivo" e non come persona unica e irripetibile con un cuore con le stesse domande e esigenze di felicità e di compimento che ha anche il mio cuore. Quando sono più attenta invece e guardo i loro volti vedo che il loro cuore desidera molto di più, anzi grida molto di più!
Non solo quindi la via per sconfiggere l'AIDS è un'altra, ma mi chiedo: non ci rendiamo conto di come, facendo finta di essere buoni, riduciamo la questione? E' possibile che sentir parlare di "umanizzazione della sessualità", di "amicizia" e di "comportamento giusto" ci faccia così arrabbiare? Siamo davvero convinti che il grido del cuore si possa esaurire cosi semplicemente? O non è forse più realistica Rose di Kampala che dice: «il problema è capire se la vita ha un senso. Solo così posso voler bene a me e a chi ho davanti»?
Simona Carobene
AVSI Romania
Valutazione bioetica del caso della bambina brasiliana stuprata - di Renzo Puccetti*
ROMA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Il caso della bambina di 9 anni che, rimasta incinta per le ripetute violenze del patrigno, è stata sottoposta ad intervento di interruzione di gravidanza, con le conseguenti reazioni a vari livelli, è occasione per riflettere sulla libertà dell’uomo e come questa possa decidersi per il bene, ma anche per il male. La persona adulta che aveva la custodia della bambina, della sua salute, della sua integrità, che avrebbe dovuto promuoverne tutte le potenzialità, sulla base di pulsioni disumane ha tradito la propria missione genitoriale, non di certo venuta meno per il fatto di non essere il padre biologico. Le profonde lacerazioni nel tessuto di innocenza, gioia, speranza di una bambina difficilmente potranno essere riparate.
La letteratura medico-scientifica mette bene in evidenza come l’abuso sessuale sia fattore di rischio per tutta una serie di patologie dell’età adulta (disturbi alimentari, da abuso di sostanze, della condotta sessuale, depressione, ideazione suicidaria) (1-3). Si tratta di semi di male capaci di incidere non soltanto nella psiche della vittima, ma anche nel fisico nella forma di aumento del rischio cardiovascolare (4), di obesità (5-6); e di malattie infettive (7). A fronte di un incremento di rischio di problemi psichici legati all’aborto (8) non vi sono evidenze scientifiche attestanti alcun effetto terapeutico della pratica abortiva sulla salute psichica delle donne, incluse quelle violentate (9).
Dal punto di vista etico la questione merita una valutazione approfondita. Non sembra ravvisabile che l’intervento abortivo sia stato effettuato in ossequio ad una espressione di auto-determinazione da parte dei soggetti coinvolti direttamente (la bambina violentata, la madre e il padre biologico). La bambina, per la giovanissima età, non può essere ritenuta un soggetto competente (nella legislazione italiana la violenza è sempre presunta per minore di anni 14 nel caso di rapporto con maggiorenne, per minore di anni 13 nel caso di rapporto con minore con differenza di età non superiore di anni 3); se giuridicamente non si ammette la possibilità di consenso per un rapporto sessuale non è neppure invocare il consenso libero per l’intervento abortivo, stante l’immaturità della persona. Anche la madre, che pure ha fornito il consenso per l’aborto, lo avrebbe fatto dietro pressante insistenza da parte dei medici. Siamo quindi in presenza di un aborto effettuato sulla base di ragioni presentate come “umanitarie”. Il giudizio morale deve quindi procedere solo dopo avere preventivamente valutato gli aspetti di ordine medico-sanitario.
A tale proposito è necessario chiarire in via previa che quello dibattuto è un caso particolare, per il combinato della giovanissima età della madre e della gravidanza gemellare. Le valutazioni che seguiranno procederanno per via teorica, dal momento che la pressoché totalità dei dati clinici non è disponibile. Le poche notizie che filtrano parlano di un non meglio specificato rischio di “rottura dell’utero” e di emorragia in una bambina alta 1 metro e 36 centimetri ed un peso di 36 kg (10). Queste ultime informazioni, se corrette, fanno pensare che, se la bambina ha effettivamente 9 anni, il suo peso ed altezza sono sopra la media, tali misure sono infatti più in linea con un’età compresa tra i 10 e gli 11 anni. Se poi fosse iponutrita, allora peso ed altezza sarebbero in accordo con una bambina tra gli 11 e i 12 anni. Queste considerazioni non modificano in alcun modo la gravità del delitto compiuto sulla bambina da parte del patrigno violentatore, ma sono unicamente riportate per inquadrare al meglio la questione dal punto di vista sanitario.
La letteratura è assai divisa sul fatto che la gravidanza negli adolescenti costituisca un fattore di rischio di per sé. La revisione di Lawlor e Shaw indica la presenza di evidenze non univoche. Mentre secondo alcuni lavori la gravidanza adolescenziale costituirebbe un fattore di rischio sia per la madre che per il bambino, altre evidenze non confermano tali conclusioni; vi sono inoltre studi secondo cui le gravidanze nelle adolescenti sarebbero caratterizzate da un più basso rischio (11); in una delle revisioni citate l’aumento di rischio per eventi avversi (anemia, ipertensione gravidica, basso peso alla nascita, prematurità, ritardata crescita intrauterina, mortalità neonatale) sarebbero da attribuire alle condizioni sociali, economiche, comportamentali che hanno favorito la gravidanza adolescenziale (12).
In una vasta e recente analisi retrospettiva condotta su oltre 175.000 gravidanze in bambine di 10-15 anni alcuni eventi, quali parto pretermine, basso peso alla nascita e mortalità neonatale, sono risultati statisticamente più frequenti, anche considerando solo i casi con le migliori condizioni socio-ambientali (13). In uno studio retrospettivo condotto in India sono stati registrati 16 decessi su 2279 parti di adolescenti (0,72%) (14). In un’altra valutazione che ha confrontato 2490 gravidanze di ragazze tailandesi di 13-20 anni con quelle di oltre tremila ragazze di 20-25 anni, le uniche differenze hanno riguardato l’aumento d’incidenza di anemizzazione e di travaglio pretermine (15).
In una valutazione di 4500 gravidanze in ragazze olandesi di età compresa tra 13 e 19 anni è stato evidenziato un incremento del rischio di parto pretermine e di morte intrauterina del feto. Per converso le adolescenti avevano una durata minore del travaglio e con minore frequenza vi era necessità di assistenza al parto (16). La stessa posizione espressa in un documento della Organizzazione Mondiale della Sanità non sembra indicare particolari incrementi del rischio per la vita della madre in caso di prosecuzione della gravidanza (17).
Dal momento che i medici hanno sostenuto l’esistenza di un rischio per la vita della giovanissima madre derivante dalla prosecuzione della gravidanza, riteniamo sarebbe segno di serietà e di trasparenza rendere disponibili per la comunità scientifica i dati clinici a sostegno della loro prognosi, una speranza che, seppure non ancora svanita, purtroppo è prevedibile andrà delusa, stanti i venti di ideologia che soffiano attorno ai protagonisti della vicenda (ad una conferenza sulla salute femminile i medici in questione sarebbero stati accolti con una vera e propria ovazione) (18). Queste considerazioni trovano una conferma indipendente nell’articolo di Massimo Pandolfi dedicato al caso (19).
Sulla base di queste informazioni colui che adotta un criterio teleologico proporzionalistico emetterà il proprio giudizio morale sulla liceità dell’intervento di aborto sulla base della ponderazione delle conseguenze che da esso derivano. Così procedendo, l’attribuzione al concepito di un valore pari a zero (ignorando così quanto meno una mole impressionante di dati scientifici) e i pur minimi rischi sanitari associati alla gravidanza e al parto faranno pendere il giudizio in favore dell’intervento di aborto. Se invece il proporzionalista attribuirà al concepito un valore maggiore di zero egli sarà costretto ad effettuare una complicata ponderazione dei beni in gioco e delle possibili conseguenze il cui risultato sarà aperto a qualsiasi esito, rimanendo comunque legato alla valutazione del valore riconosciuto al concepito e alla stima dei rischi sanitari.
Diverso l’atteggiamento di chi, volendo seguire il costante insegnamento del Magistero (e ponendosi tra i tanti sulle orme di S. Agostino che nella lettera Contra Mendacium ammoniva a considerare che le più grandi nefandezze avrebbero potuto trovare non solo giustificazione, ma diventare persino degne di premio se la valutazione morale si dovesse basare sulle buone intenzioni) riconoscesse l’esistenza di azioni intrinsecamente malvagie (per se mala), azioni che in ogni caso, a prescindere da tutte le circostanze (semper et pro semper) non possono che essere espressione di un male oggettivo, nei confronti delle quali il rifiuto è obbligatorio. Non è il caso di esaminare le critiche rivolte al proporzionalismo, basti qui ricordare il fermo rigetto di tali teorie morali contenuto nell’enciclica di Papa Giovanni Paolo II Veritatis Splendor. Nella prospettiva degli assoluti morali l’aborto provocato diretto è sempre un delitto perpetrato contro la vita di un essere umano per definizione innocente. Nessuna circostanza, nessuna “buona intenzione” può cambiare questo fatto. La valutazione delle circostanze potrà intervenire solo nella valutazione della colpa.
Questo fatto non è contraddetto, ma è anzi confermato da quei casi in cui, salvando la vita della madre, si subisce la morte del figlio in grembo. Si tratta dei casi che ricadono sotto quella che è conosciuta come “dottrina del duplice effetto”, quando vi sono due doveri e non possono essere entrambi compiuti. Il tipico caso è rappresentato dall’asportazione dell’utero canceroso gravido, intervento ritenuto moralmente ammissibile quando, nella classica formulazione di padre Marcelino Zalba (20) sono soddisfatti quattro requisiti:
1. l’azione è in se stessa buona o almeno indifferente;
2. l’effetto buono NON è ottenuto mediante l’effetto cattivo (non si può fare il male per fare il bene n.d.r.);
3. c’è una proporzione tra effetto buono e cattivo tale da giustificare il male prodotto;
4. la volontà di chi pone l’atto poggia solo sull’effetto buono del caso. Invocare questo principio sembra oltremodo arbitrario, proprio per assenza dei requisiti previsti. Seppure con tutti i distinguo del caso, così come la morale insegnata dalla Chiesa condanna la guerra preventiva, allo stesso modo non può approvare la condotta che sopprime la vita innocente per un possibile futuro pericolo.
Il diritto canonico prevede per il delitto di aborto la scomunica latae sententiae proprio per richiamare le persone alla gravità di tale azione, gravità che circostanze come quella del caso esaminato possono offuscare. Il giudizio sui comportamenti (non sulle persone) è preciso ambito di competenza della riflessione etica e bioetica. È evidente che lo sforzo di proteggere la verità senza ferire le persone è titanico, ma ugualmente è da tenere presente che la fedeltà alla verità è forma eccellente di esercizio della carità.
[*Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno]
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1. Fergusson DM, Boden JM, Horwood LJ. Exposure to childhood sexual and physical abuse and adjustment in early adulthood. Child Abuse Negl. 2008 Jun;32(6):607-19.
2. Simpson TL, Miller WR. Concomitance between childhood sexual and physical abuse and substance use problems. A review. Clin Psychol Rev. 2002 Feb;22(1):27-77.
3. Turner M. Female sexual compulsivity: a new syndrome. Psychiatr Clin North Am. 2008 Dec;31(4):713-27.
4. Batten SV, Aslan M, Maciejewski PK, Mazure CM. Childhood maltreatment as a risk factor for adult cardiovascular disease and depression. J Clin Psychiatry. 2004 Feb;65(2):249-54.
5. Pinhas-Hamiel O, Modan-Moses D, Herman-Raz M, Reichman B. Obesity in girls and penetrative sexual abuse in childhood. Acta Paediatr. 2009 Jan;98(1):144-7.
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19. M. Pandolfi. La verità sulla bimba incinta di nove anni in Brasile. 16-03-2009. http://club.quotidianonet.ilsole24ore.com/pandolfi/la_verita_sulla_bimba_incinta_di_nove_anni_in_brasile.
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"Schifidol puzz" l'antidoto alla bellezza - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 22 marzo 2009 – ilsussidiario.net
La notizia risale alla scorsa settimana, in una scuola elementare di Torino 16 alunni sono stati intossicati, il colpevole? Un album di figurine - lo 'Schifidol Puzz' - lo hanno appurato i funzionari dell'Asl, intervenuti alla scuola europea Altiero Spinelli per accertare le cause del bruciore agli occhi e del mal di gola che aveva colpito gli alunni della 5/a elementare A e la loro insegnante.
Ci pensate? I nostri bambini cresciuti a merendine e cellulare, che inorridiscono ai racconti dei nonni che non avevano il bagno in casa, ma dormivano con il pitale (o vaso da notte) sotto al letto, i nostri pargoli che si schifano davanti all’odore dei cavolfiori, che se transitate in autostrada nei pressi dei campi concimati da poco si lamentano “che schifo”, proprio loro, sembrano impazzire per le figurine puzzolenti che riproducono l’odore di vomito, escrementi e altre cose simili…
Sulle figurine c’è scritto ‘Strofina e svieni’, ma il suo ideatore spiega che si tratta di una trovata pubblicitaria, le figurine sono sicure, prodotte con tutte le certificazioni necessarie, sono realizzate completamente in Italia, insomma sono un prodotto altamente disgustoso, ma non pericoloso per la salute, un prodotto acquistato si stima, da circa 600/700 mila ragazzi.
Caspita, chi l’avrebbe detto, il business del disgusto.
Come sempre, il problema è un problema di adulti.
Noi le acquistiamo per loro, magari lamentandoci, ma le acquistiamo e comperiamo queste schifezze perché non sia mai che il piccolo si senta inferiore di fronte al compagnuccio che ne ha dieci bustine da portare in classe, e come per il cellulare a 6 anni, o il game boy, ci giustifichiamo dicendo “ce l’hanno tutti”, incapaci di essere veri adulti, di giudicare cosa davvero è buono per loro e insegnare loro che c’è un’età in cui c’è bisogno di un adulto, di un maestro che ci aiuti a distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è, perché è falso che non c’è distinzione, che va bene tutto, che quello che per il momento non ammazza non fa male.
Ci lamentiamo delle generazioni di giovani senza gusto, senza amore per le cose buone e belle e ci scordiamo che quei giovani li abbiamo cresciuti noi, siamo noi i loro maestri.
I 7 milioni di figurine puzzolenti le hanno comperate con i nostri soldi, con il nostro permesso, lo stesso permesso o la stessa disattenzione che permette loro di passare ore davanti alla tv a guardare programmi ameni senza un adulto accanto che li aiuti a dare un giudizio, a fare una critica, la stessa distrazione educativa che fa in modo che anziché accompagnarli a guardare le bellezze che li circondano, si tratti di un fiore che sboccia, o di un quadro al museo dietro casa, li scorda davanti alla tv, o li parcheggia ai baby club dove insegnano loro ad imitare gli adulti ballando la macarena.
Chi si rivolge all’infanzia deve avere la coscienza che si sta rivolgendo agli adulti di domani, non ad un segmento di marketing, ad una fascia di consumatori, ma alla pianta fragile e preziosa dell’albero del domani, chi dimentica questo ha una grande responsabilità, sia esso un genitore, un insegnante, un giornalista, un autore o un imprenditore.
Non esistono scuse.
Chi offre ai giovani brutture d’ogni tipo non può autoassolversi, giustificandosi perché in fondo non è l’unico a farlo, c’è già la cattiva televisione, la cattiva pubblicità, la cattiva musica, la cattiva educazione, non sarà certo la cattiva figurina a far la differenza, in fondo se le comperano vuol dire che piacciono.
Ma chiediamoci come potrà amare la musica chi non l’ha mai ascoltata, la storia chi non ha mai incontrato un maestro innamorato della storia che la sappia raccontare, si è tornati ad amare Dante quando Benigni l’ha recitato in tv, e si son riempite le piazze e i teatri per sentire Benigni e i ragazzi dei Cento Canti e il professor Nembrini declamare il canto 33 della Divina Commedia.
Questo vuol dire che il bello piace, ma ci vuole qualcuno che lo sappia indicare.
Quando a scuola si racconta la bellezza della musica, la magia del violino, la poesia del pianoforte, c’è sempre qualcuno a cui vien voglia di suonare.
Se si ricominciasse a trasmettere l’entusiasmo per la matematica, per le scoperte scientifiche, forse non ci sarebbe il calo delle iscrizioni alle facoltà scientifiche universitarie.
Insomma, siamo alle solite, ci lamentiamo delle nuove generazioni che non sanno guardare al futuro e ci scordiamo che siamo noi ad averle cresciute
1) 23/03/2009 10:35 - VATICANO-AFRICA - Papa: la “prima sfida” è la solidarietà, tra generazioni, nazioni e continenti - Al momento del commiato dall’Africa, Benedetto XVI chiede ai leader di tutto il continente di prendersi cura di coloro che “soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali”. “Mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno”.
2) Preghiera di Benedetto XVI a Maria per la pace in Africa
3) AFRICA/ Perché il Papa non sbaglia - Mario Mauro - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
4) CRISTIANESIMO/ Il Curato d’Ars, patrono dei sacerdoti di tutto il mondo - Rino Cammilleri - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
5) TESTIMONIANZA/ Il mio aiuto ai bimbi sieropositivi in Romania - Redazione - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
6) Valutazione bioetica del caso della bambina brasiliana stuprata - di Renzo Puccetti*
7) "Schifidol puzz" l'antidoto alla bellezza - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 22 marzo 2009 – ilsussidiario.net
23/03/2009 10:35 - VATICANO-AFRICA - Papa: la “prima sfida” è la solidarietà, tra generazioni, nazioni e continenti - Al momento del commiato dall’Africa, Benedetto XVI chiede ai leader di tutto il continente di prendersi cura di coloro che “soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali”. “Mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno”.
Luanda (AsiaNews) – E’ la solidarietà la “prima sfida da vincere”, solidarietà fra generazioni, nazioni e continenti che “generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini”. Solidarietà, riconciliazione e pace, con un particolare pensiero ai rifugiati, sono le parole d’ordine che Benedetto XVI lascia all’Angola, all’Africa e al mondo al momento di concludere, questa mattina, il suo primo viaggio nel Continente nero.
Tanta gente, da stamattina presto, davanti alla nunziatura, dove il Papa ha abitato dal 20 marzo, quando è giunto dal Camerun, tanta lungo la strada che va all’aeroporto “4 de Fevereiro” di Luanda, da dove il Papa è ripartito e tanta anche fuori dello scalo aereo.
Da dove Benedetto XVI lancia un “appello finale”. “Vorrei chiedere - dice - che la giusta realizzazione delle fondamentali aspirazioni delle popolazioni più bisognose costituisca la preoccupazione principale di coloro che ricoprono le cariche pubbliche, poiché la loro intenzione - sono certo - è quella di svolgere la missione ricevuta non per se stessi ma in vista del bene comune. Il nostro cuore non può darsi pace finché ci sono fratelli che soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali. Per arrivare a dare una risposta concreta a questi nostri fratelli in umanità, la prima sfida da vincere è quella della solidarietà: solidarietà fra le generazioni, solidarietà fra le Nazioni e tra i Continenti che generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini”.
Sobria la cerimonia di congedo: il Papa passa tra due file di scout, ragazzi e ragazze, schierati lungo il percorso. Quasi un omaggio ai due di loro che venerdì hanno perso la vita allo Stadio dos Coqueiros, schiacciati dalla folla. Li ricorda il presidente della Repubblica, José Eduardo dos Santos, che ringrazia Benedetto XVI anche per la solidarietà data nell’occasione.
Il Papa ringrazia tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita della sua visita, Ringrazia Dio per la vivacità di una Chiesa che “nonostante le difficoltà”, è “piena di entusiasmo, che ha saputo prendere sulle spalle la sua croce e quella altrui, rendendo testimonianza davanti a tutti della forza salvifica del messaggio evangelico. Essa continua ad annunziare che è arrivato il tempo della speranza, impegnandosi nella pacificazione degli animi e invitando all’esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi alla accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e sentimenti di ciascuno”.
“Prego ora Iddio – aggiunge - di fare sentire la sua protezione ed aiuto ai rifugiati ed espatriati senza numero che vagano nella attesa di un ritorno alla propria casa. Il Dio del cielo ripete loro: ‘Anche se la mamma si dimenticasse di te, Io invece non ti dimenticherò mai’ (cfr Is 49, 15). È come figli e figlie che Dio vi ama; Egli veglia sui vostri giorni e sulle vostre notti, sulle vostre fatiche e aspirazioni. Fratelli e amici di Africa, carissimi angolani, coraggio! Non vi stancate di far progredire la pace, compiendo gesti di perdono e lavorando per la riconciliazione nazionale, affinché mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno. E ciò sarà possibile se vi riconoscerete a vicenda quali figli dello stesso e unico Padre del Cielo”.
Per tutti gli africani, l’arrivederci è a Roma, per II assemblea speciale del Sinodo dei vescovi dedicata a questo Continente.
Preghiera di Benedetto XVI a Maria per la pace in Africa
Parole introduttive all'Angelus nella Spianata di Cimangola a Luanda
LUANDA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus pronunciato questa domenica da Benedetto XVI al termine della celebrazione eucaristica nella spianata di Cimangola con i Vescovi dell’Interregional Meeting of Bishops of Southern Africa.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
al termine della nostra Celebrazione eucaristica, mentre la mia Visita pastorale in Africa sta giungendo alla sua conclusione, ci volgiamo ora a Maria, la Madre del Redentore, per implorarne l’amorevole intercessione su di noi, sulle nostre famiglie, e sul nostro mondo.
In questa preghiera dell’Angelus, ricordiamo il "sì" incondizionato di Maria alla volontà di Dio. Attraverso l’obbedienza di fede della Vergine, il Figlio è venuto nel mondo per portarci perdono, salvezza e vita in abbondanza. Facendosi uomo come noi in tutto fuorché nel peccato, Cristo ci ha insegnato la dignità e il valore di ogni membro della famiglia umana. E’ morto per i nostri peccati, per raccoglierci insieme nella famiglia di Dio.
La nostra preghiera sale oggi dall’Angola, dall’Africa, ed abbraccia il mondo intero. A loro volta gli uomini e le donne di ogni parte del mondo che si uniscono alla nostra preghiera, volgano i loro occhi all’Africa, a questo grande Continente così colmo di speranza, ma ancora così assetato di giustizia, di pace, di un sano e integrale sviluppo che possa assicurare al suo popolo un futuro di progresso e di pace.
Oggi io affido alle vostre preghiere il lavoro di preparazione per la prossima Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, la cui celebrazione prevista per la fine di quest’anno. Ispirati dalla fede in Dio e fiduciosi nelle promesse di Cristo, possano i cattolici di questo Continente diventare sempre più pienamente lievito di evangelica speranza per tutte le persone di buona volontà che amano l’Africa, sono dedite al progresso materiale e spirituale dei suoi figli, e alla diffusione della pace, della prosperità, della giustizia e della solidarietà in vista del bene comune.
La Vergine Maria, Regina della Pace, continui a guidare il popolo dell’Angola nel compito della riconciliazione nazionale dopo la devastante e disumana esperienza della guerra civile. Le sue preghiere ottengano per tutti gli Angolani la grazia di un autentico perdono, del rispetto per gli altri, della cooperazione che sola può portare avanti l’immensa opera della ricostruzione. La Santa Madre di Dio, che ci addita il Figlio suo, nostro fratello, ricordi a noi cristiani di ogni luogo il dovere di amare il nostro prossimo, di essere costruttori di pace, di essere i primi a perdonare a chi ha peccato contro di noi, così come noi siamo stati perdonati.
Qui, nell’Africa del Sud, vogliamo pregare Nostra Signora in modo particolare di intercedere per la pace, la conversione dei cuori e per la fine del conflitto nella vicina regione dei Grandi Laghi. Il Figlio suo, Principe della Pace, porti guarigione a chi soffre, conforto a coloro che piangono e forza a tutti coloro che portano avanti il difficile processo del dialogo, del negoziato e della cessazione della violenza.
Con questa fiducia, noi ora ci volgiamo a Maria, nostra Madre, e nel recitare la preghiera dell’Angelus, preghiamo per la pace e la salvezza dell’intera famiglia umana.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
AFRICA/ Perché il Papa non sbaglia - Mario Mauro - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Un viaggio lungo e difficile per portare nel cuore dell’Africa, piegata da povertà, conflitti e malattie, una nuova speranza. Durante la sua undicesima visita pastorale, Papa Benedetto XVI ha fatto ascoltare all’intera comunità internazionale un ragionamento illuminato sull’attuale situazione africana. Un discorso che non ha lasciato in ombra gli aspetti legati alle contraddizioni che ancora affliggono il grande continente, in affanno per le difficoltà sociali, politiche ed economiche, ma soprattutto antropologiche.
Con uno sguardo di vicinanza e di amore nei confronti di chi soffre, con la sua mano tesa verso i poveri e i malati, con un messaggio universale capace di generare un approccio integrale ai problemi del continente africano, il Papa ha gettato le basi perché sia costruito un ponte di riconciliazione tra nord e sud del mondo.
Ha ribadito che le ingiustizie sono inaccettabili, che si dovrà lavorare per uno sviluppo etico delle risorse, facendosi, quindi, portavoce dei poveri che «chiedono una conversione profondamente convinta e durevole dei cuori alla fraternità». Un messaggio di questo tipo poteva essere portato solo da chi per vocazione e per volontà non sta a guardare i problemi, ma è accanto alla popolazione africana, grazie alla dedizione senza riserve di quanti donano la propria vita per il riscatto dei più deboli.
Di fatto pur avendo il Papa toccato nel corso del suo viaggio i temi e le sfide più urgenti per questo continente, i media internazionali hanno insistito quasi unicamente sulla questione del preservativo, banalizzando la stessa piaga dell’Aids, una malattia che in Africa ha ben altre ripercussioni: sanitarie, sociali, economiche, culturali e spirituali.
I dati confermano che la “cultura del preservativo” non è stata sufficiente da sola a limitare la diffusione dell’Aids: dal 2001 al 2007 si è passati da 29,5 a 33 milioni di malati. I numeri sono significativi in quanto rivelano una mancanza ben più profonda e che può essere colmata solo se si trasmette la cultura del rispetto, dell’amore e della stabilità dei rapporti.
Tuttavia, sebbene sia stata sviata l’attenzione dai problemi reali del continente africano questo viaggio non è stata un’occasione persa. In molti ricorderanno la storia di Rose Busingye che ci ha incantato, durante lo scorso Meeting per l’amicizia e la pace tra i popoli, con il suo racconto fatto di parole piene di tenacia.
Questa donna, che da molti anni in Africa cura 4 mila malati e orfani affetti dal virus dell’Hiv, ci ricorda che la soluzione per porre un argine alla diffusione dell’Aids non è rappresentata dalla distribuzione del preservativo: «Parlare di questo - dice - significa fermarsi alle conseguenze e non andare mai all’origine del problema». La grande emergenza è costituita dalla mancanza di mezzi che consentano a donne coraggiose come Rose di prendersi cura di coloro che hanno già contratto la malattia.
Quello che in molti faticano a capire è che il danno maggiore provocato dalla distribuzione dei profilattici in Africa come mezzo per contrastare l’Hiv è di tipo culturale e il Papa è andato davvero al cuore del problema, valorizzando il ruolo della famiglia, la condizione della donna e ricordando ai giovani l’importanza del celibato e della castità.
La verità è che in termini di implicazioni economiche e politiche è più difficile mettere in crisi le multinazionali del farmaco, pretendere cure gratuite e fare campagne più mirate su educazione e prevenzione, anche se un atteggiamento di questo tipo costituirebbe un valore aggiunto e un’alternativa a una mera profilassi preventiva che non avendo prodotto a oggi risultati soddisfacenti rivela quanto questa debba essere supportata da una base più radicata: educare la persona al rispetto di se stessa e degli altri.
CRISTIANESIMO/ Il Curato d’Ars, patrono dei sacerdoti di tutto il mondo - Rino Cammilleri - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Di s. Jean Vianney, detto il Curato d’Ars, un episodio in particolare mi colpisce: il diavolo una volta gli disse, riferendosi alle sue pratiche ascetiche: «Tu non mangi, neanche io; tu non dormi, neanch’io dormo. Ma c’è una cosa che tu puoi fare e io no: amare Dio».
L’abbé Vianney è stato posto da Benedetto XVI quale patrono dei sacerdoti (prima lo era dei soli parroci) perché sapeva bene quanto un gregge dipenda dal suo pastore. Diceva che un prete santo fa dei fedeli ferventi, un prete solo devoto li fa tutt’al più dignitosi cristiani; uno tiepido finisce per non averli nemmeno cristiani. Già: il discepolo non è mai più del maestro. Per questo il Curato d’Ars lavorò soprattutto su stesso per diventare il Padre Pio della Francia del Secondo Impero. Il pur “laico” Napoleone III dovette insignirlo a furor di popolo della Legion d’Onore. Quando la ricevette, Vianney sorrise: «Eh, me la danno per aver disertato?». Infatti, prima di farsi prete era stato arruolato a forza nell’Armée del Còrso e ne era scappato; nella confusione del dopo-Waterloo nessuno pensò a cercarlo.
Studiò privatamente, perché la Rivoluzione aveva chiuso i seminari. Né lui era granché portato per lo studio. Lo fecero prete quasi solo per la sua cocciuta determinazione, commossi dal suo spirito di preghiera. Preghiera e penitenza: le sue armi. Una volta il vescovo lo costrinse per obbedienza a fare onore al pranzo offertogli: si sentì male, perché il suo stomaco era ormai abituato a solo qualche patata. La notte, anche se avesse voluto dormire non avrebbe potuto: il diavolo glielo impediva. L’intero paesino di Ars sentiva gli scoppi e i rumori infernali provenire nottetempo dalla canonica, roba da far rizzare i capelli in testa.
Ma Ars, anziché spopolarsi, triplicò i suoi abitanti. Per confessarsi dal Curato c’era sempre la fila, una fila di giorni. Venivano da ogni dove a confessarsi da lui, che stava nel bugigattolo di legno anche diciannove ore al giorno. Una volta la ressa fu tale che lo rovesciarono con lui dentro. A leggere certe sue biografie se ne cava di solito l’impressione di un essere eccezionale, inimitabile, da ammirare con stupore da lontano. Invece, a ben scrutare, si vede un uomo normale, un uomo (ed è qui la differenza) che però applicava il Vangelo alla lettera. Per esempio, un giorno venne a cercarlo un contadino che lo riempì di insulti. Il Curato stette ad ascoltarlo senza replicare e, quando quello si decise a togliersi dai piedi, lo accompagnò alla porta sempre sotto la gragnola di invettive. Appena quello se ne fu andato, quasi svenne per lo sforzo prolungato di contenersi. Eh, qualcuno non apprezzava la sua “rigidità” (nulla di nuovo sotto il sole). Un uomo gli chiese consiglio: poteva accompagnare sua figlia al ballo? Risposta: meglio di no. Ma lei guarderebbe soltanto! Replica: sì, ma ballerebbe il suo cuore.
Questo era, anche, il Curato d’Ars, uno che, avendoli debitamente chiesti, aveva avuto da Dio i doni necessari a fare il suo mestiere. Da Dio veniva la sua «formazione», non da quel seminario che mai frequentò.
TESTIMONIANZA/ Il mio aiuto ai bimbi sieropositivi in Romania - Redazione - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
A proposito di quello che ha detto il Santo Padre in merito alla lotta contro l’AIDS, sono rimasta profondamente sconcertata per il clamore e le polemiche che ne sono seguite.
Vivo in Romania dove lavoro con giovani sieropositivi, e oltre ad essere profondamente convinta che l’AIDS non si combatte con i preservativi, sostengo che il punto non è questo! Accentuando inutili polemiche continuiamo a non voler guardare la realtà, che è fatta innanzi tutto di persone come me e come te, non di proclami.
Anzi, aggiungo che sono molto preoccupata di quello che potrà accadere e che sta accadendo nel paese in cui vivo, perché tra qualche anno rischiamo di vedere una esplosione del problema dell’AIDS senza che ce ne accorgiamo, nonostante siamo tutti ben bene informati sull’uso del profilattico.
In Romania l’epidemiologia dell’Aids sembra un caso unico: la Romania è il Paese del mondo in cui i casi di Hiv o Aids dovuti a trasmissione orizzontale non sessuale rappresentano ancora oggi, venticinque anni dopo l’inizio della pandemia, la maggior parte di tutti i casi registrati. È l’unico Paese del mondo dove il numero dei bambini morti a causa dell’Aids è superiore a quello degli adulti. Ed è l’unico paese del mondo dove la maggioranza degli infettati in vita è costituita da adolescenti. Le cifre parlano chiaro: fra il dicembre 1985 e il dicembre 2007 (ultimo dato disponibile) in Romania sono stati registrati 15.085 casi cumulativi di Hiv-Aids; di essi 9.737 sono stati diagnosticati a bambini e 5.348 ad adulti (dati della commissione mista multi settoriale per lotta AIDS).
La Fondazione AVSI, con cui io lavoro da 11 anni, ha iniziato a lavorare nel paese nel 1994 costruendo il padiglione pediatrico presso l’ospedale di malattie infettive Victor Babes di Bucarest, dove i bambini malati di Aids vivevano in condizioni decisamente inadeguate all’infanzia. Il nuovo padiglione è stato realizzato seguito il modello di eccellenza del Bambin Gesù, che poi ha anche formato il personale medico e paramedico.
Nessuno si aspettava che cure mediche adeguate avrebbero permesso la sopravvivenza di quei bambini sieropositivi, che hanno provocato una questione sociale, spesso affrontata con l’istituzionalizzazione.
Nel 1996, grazie anche alla collaborazione con una nascente ong locale, Fundatia Dezvoltarea Popoarelor (fondazione per lo sviluppo dei popoli) hanno preso avvio nuovi progetti sociali e di accoglienza.
Nel 1998 ha preso avvio un progetto con il difficile obiettivo di ricerca delle famiglie di origine di bambini sieropositivi abbandonati per una loro reintegrazione in famiglia.
Abbiamo incontrato e cercato di deistituzionalizzare circa 50 bambini abbandonati presso l’ospedale Victor Babes e circa 100 bambini abbandonati nell’istituto di Vidra, un villaggio a circa 20 km da Bucarest. Nello stesso tempo abbiamo sostenuto 50 famiglie per prevenire l’abbandono di altri 50 bambini HIV+ nella propria famiglia naturale.
Tra il 2000 e il 2003 sono state avviate 3 case di tipo famigliare con 21 bambini e 6 famiglie affidatarie che hanno accolto 7 minori sieropositivi dallo stesso istituto.
Quello che è rilevante è che questi bambini che noi abbiamo conosciuto anni fa, che abbiamo accolto, che abbiamo amato e accompagnato nel loro percorso sono ora diventati grandi e iniziano a vivere una nuova fase della loro vita, e come loro anche le altre miglialia di adolescenti sieropositivi della Romania.
Le loro domande si fanno sempre più pressanti: “quanto tempo vivrò?”; “ma potrò avere una famiglia?”; “ma se avrò dei figli saranno sani?”.
I loro desideri non si esauriscono a un “rapporto protetto”, desiderano molto di più. Desiderano un compimento, desiderano una normalità, desiderano, esattamente come me, la felicità. Sono ragazzi che ora cominciano a giocare la propria libertà con percorsi faticosi di autonomia sociale e lavorativa, sono ragazzi che si innamorano, che vanno a lavorare (almeno ci provano) e che vivono spesso una grande rabbia per l’abbandono subito e la malattia, circostanze che non possiamo noi negare e con cui ognuno di loro fa i conti ogni mattina appena sveglio, ammesso, tra l’altro, che desideri ancora svegliarsi.
Come è possibile che ci fermiamo sempre e solo a parlare del preservativo?Come possibile che non ci accorgiamo che il problema è un altro? Perché è cosi difficile guardare la persona nella sua totalità di desideri, di attesa, di bisogno?Personalmente ogni giorno mi rendo conto di correre il rischio di ridurre uno dei “miei” ragazzi a un malato, magari con una preoccupazione anche buona, per una iperprotezione, ma mi accorgo del rischio che corro di guardare ognuno di loro come "sieropositivo" e non come persona unica e irripetibile con un cuore con le stesse domande e esigenze di felicità e di compimento che ha anche il mio cuore. Quando sono più attenta invece e guardo i loro volti vedo che il loro cuore desidera molto di più, anzi grida molto di più!
Non solo quindi la via per sconfiggere l'AIDS è un'altra, ma mi chiedo: non ci rendiamo conto di come, facendo finta di essere buoni, riduciamo la questione? E' possibile che sentir parlare di "umanizzazione della sessualità", di "amicizia" e di "comportamento giusto" ci faccia così arrabbiare? Siamo davvero convinti che il grido del cuore si possa esaurire cosi semplicemente? O non è forse più realistica Rose di Kampala che dice: «il problema è capire se la vita ha un senso. Solo così posso voler bene a me e a chi ho davanti»?
Simona Carobene
AVSI Romania
Valutazione bioetica del caso della bambina brasiliana stuprata - di Renzo Puccetti*
ROMA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Il caso della bambina di 9 anni che, rimasta incinta per le ripetute violenze del patrigno, è stata sottoposta ad intervento di interruzione di gravidanza, con le conseguenti reazioni a vari livelli, è occasione per riflettere sulla libertà dell’uomo e come questa possa decidersi per il bene, ma anche per il male. La persona adulta che aveva la custodia della bambina, della sua salute, della sua integrità, che avrebbe dovuto promuoverne tutte le potenzialità, sulla base di pulsioni disumane ha tradito la propria missione genitoriale, non di certo venuta meno per il fatto di non essere il padre biologico. Le profonde lacerazioni nel tessuto di innocenza, gioia, speranza di una bambina difficilmente potranno essere riparate.
La letteratura medico-scientifica mette bene in evidenza come l’abuso sessuale sia fattore di rischio per tutta una serie di patologie dell’età adulta (disturbi alimentari, da abuso di sostanze, della condotta sessuale, depressione, ideazione suicidaria) (1-3). Si tratta di semi di male capaci di incidere non soltanto nella psiche della vittima, ma anche nel fisico nella forma di aumento del rischio cardiovascolare (4), di obesità (5-6); e di malattie infettive (7). A fronte di un incremento di rischio di problemi psichici legati all’aborto (8) non vi sono evidenze scientifiche attestanti alcun effetto terapeutico della pratica abortiva sulla salute psichica delle donne, incluse quelle violentate (9).
Dal punto di vista etico la questione merita una valutazione approfondita. Non sembra ravvisabile che l’intervento abortivo sia stato effettuato in ossequio ad una espressione di auto-determinazione da parte dei soggetti coinvolti direttamente (la bambina violentata, la madre e il padre biologico). La bambina, per la giovanissima età, non può essere ritenuta un soggetto competente (nella legislazione italiana la violenza è sempre presunta per minore di anni 14 nel caso di rapporto con maggiorenne, per minore di anni 13 nel caso di rapporto con minore con differenza di età non superiore di anni 3); se giuridicamente non si ammette la possibilità di consenso per un rapporto sessuale non è neppure invocare il consenso libero per l’intervento abortivo, stante l’immaturità della persona. Anche la madre, che pure ha fornito il consenso per l’aborto, lo avrebbe fatto dietro pressante insistenza da parte dei medici. Siamo quindi in presenza di un aborto effettuato sulla base di ragioni presentate come “umanitarie”. Il giudizio morale deve quindi procedere solo dopo avere preventivamente valutato gli aspetti di ordine medico-sanitario.
A tale proposito è necessario chiarire in via previa che quello dibattuto è un caso particolare, per il combinato della giovanissima età della madre e della gravidanza gemellare. Le valutazioni che seguiranno procederanno per via teorica, dal momento che la pressoché totalità dei dati clinici non è disponibile. Le poche notizie che filtrano parlano di un non meglio specificato rischio di “rottura dell’utero” e di emorragia in una bambina alta 1 metro e 36 centimetri ed un peso di 36 kg (10). Queste ultime informazioni, se corrette, fanno pensare che, se la bambina ha effettivamente 9 anni, il suo peso ed altezza sono sopra la media, tali misure sono infatti più in linea con un’età compresa tra i 10 e gli 11 anni. Se poi fosse iponutrita, allora peso ed altezza sarebbero in accordo con una bambina tra gli 11 e i 12 anni. Queste considerazioni non modificano in alcun modo la gravità del delitto compiuto sulla bambina da parte del patrigno violentatore, ma sono unicamente riportate per inquadrare al meglio la questione dal punto di vista sanitario.
La letteratura è assai divisa sul fatto che la gravidanza negli adolescenti costituisca un fattore di rischio di per sé. La revisione di Lawlor e Shaw indica la presenza di evidenze non univoche. Mentre secondo alcuni lavori la gravidanza adolescenziale costituirebbe un fattore di rischio sia per la madre che per il bambino, altre evidenze non confermano tali conclusioni; vi sono inoltre studi secondo cui le gravidanze nelle adolescenti sarebbero caratterizzate da un più basso rischio (11); in una delle revisioni citate l’aumento di rischio per eventi avversi (anemia, ipertensione gravidica, basso peso alla nascita, prematurità, ritardata crescita intrauterina, mortalità neonatale) sarebbero da attribuire alle condizioni sociali, economiche, comportamentali che hanno favorito la gravidanza adolescenziale (12).
In una vasta e recente analisi retrospettiva condotta su oltre 175.000 gravidanze in bambine di 10-15 anni alcuni eventi, quali parto pretermine, basso peso alla nascita e mortalità neonatale, sono risultati statisticamente più frequenti, anche considerando solo i casi con le migliori condizioni socio-ambientali (13). In uno studio retrospettivo condotto in India sono stati registrati 16 decessi su 2279 parti di adolescenti (0,72%) (14). In un’altra valutazione che ha confrontato 2490 gravidanze di ragazze tailandesi di 13-20 anni con quelle di oltre tremila ragazze di 20-25 anni, le uniche differenze hanno riguardato l’aumento d’incidenza di anemizzazione e di travaglio pretermine (15).
In una valutazione di 4500 gravidanze in ragazze olandesi di età compresa tra 13 e 19 anni è stato evidenziato un incremento del rischio di parto pretermine e di morte intrauterina del feto. Per converso le adolescenti avevano una durata minore del travaglio e con minore frequenza vi era necessità di assistenza al parto (16). La stessa posizione espressa in un documento della Organizzazione Mondiale della Sanità non sembra indicare particolari incrementi del rischio per la vita della madre in caso di prosecuzione della gravidanza (17).
Dal momento che i medici hanno sostenuto l’esistenza di un rischio per la vita della giovanissima madre derivante dalla prosecuzione della gravidanza, riteniamo sarebbe segno di serietà e di trasparenza rendere disponibili per la comunità scientifica i dati clinici a sostegno della loro prognosi, una speranza che, seppure non ancora svanita, purtroppo è prevedibile andrà delusa, stanti i venti di ideologia che soffiano attorno ai protagonisti della vicenda (ad una conferenza sulla salute femminile i medici in questione sarebbero stati accolti con una vera e propria ovazione) (18). Queste considerazioni trovano una conferma indipendente nell’articolo di Massimo Pandolfi dedicato al caso (19).
Sulla base di queste informazioni colui che adotta un criterio teleologico proporzionalistico emetterà il proprio giudizio morale sulla liceità dell’intervento di aborto sulla base della ponderazione delle conseguenze che da esso derivano. Così procedendo, l’attribuzione al concepito di un valore pari a zero (ignorando così quanto meno una mole impressionante di dati scientifici) e i pur minimi rischi sanitari associati alla gravidanza e al parto faranno pendere il giudizio in favore dell’intervento di aborto. Se invece il proporzionalista attribuirà al concepito un valore maggiore di zero egli sarà costretto ad effettuare una complicata ponderazione dei beni in gioco e delle possibili conseguenze il cui risultato sarà aperto a qualsiasi esito, rimanendo comunque legato alla valutazione del valore riconosciuto al concepito e alla stima dei rischi sanitari.
Diverso l’atteggiamento di chi, volendo seguire il costante insegnamento del Magistero (e ponendosi tra i tanti sulle orme di S. Agostino che nella lettera Contra Mendacium ammoniva a considerare che le più grandi nefandezze avrebbero potuto trovare non solo giustificazione, ma diventare persino degne di premio se la valutazione morale si dovesse basare sulle buone intenzioni) riconoscesse l’esistenza di azioni intrinsecamente malvagie (per se mala), azioni che in ogni caso, a prescindere da tutte le circostanze (semper et pro semper) non possono che essere espressione di un male oggettivo, nei confronti delle quali il rifiuto è obbligatorio. Non è il caso di esaminare le critiche rivolte al proporzionalismo, basti qui ricordare il fermo rigetto di tali teorie morali contenuto nell’enciclica di Papa Giovanni Paolo II Veritatis Splendor. Nella prospettiva degli assoluti morali l’aborto provocato diretto è sempre un delitto perpetrato contro la vita di un essere umano per definizione innocente. Nessuna circostanza, nessuna “buona intenzione” può cambiare questo fatto. La valutazione delle circostanze potrà intervenire solo nella valutazione della colpa.
Questo fatto non è contraddetto, ma è anzi confermato da quei casi in cui, salvando la vita della madre, si subisce la morte del figlio in grembo. Si tratta dei casi che ricadono sotto quella che è conosciuta come “dottrina del duplice effetto”, quando vi sono due doveri e non possono essere entrambi compiuti. Il tipico caso è rappresentato dall’asportazione dell’utero canceroso gravido, intervento ritenuto moralmente ammissibile quando, nella classica formulazione di padre Marcelino Zalba (20) sono soddisfatti quattro requisiti:
1. l’azione è in se stessa buona o almeno indifferente;
2. l’effetto buono NON è ottenuto mediante l’effetto cattivo (non si può fare il male per fare il bene n.d.r.);
3. c’è una proporzione tra effetto buono e cattivo tale da giustificare il male prodotto;
4. la volontà di chi pone l’atto poggia solo sull’effetto buono del caso. Invocare questo principio sembra oltremodo arbitrario, proprio per assenza dei requisiti previsti. Seppure con tutti i distinguo del caso, così come la morale insegnata dalla Chiesa condanna la guerra preventiva, allo stesso modo non può approvare la condotta che sopprime la vita innocente per un possibile futuro pericolo.
Il diritto canonico prevede per il delitto di aborto la scomunica latae sententiae proprio per richiamare le persone alla gravità di tale azione, gravità che circostanze come quella del caso esaminato possono offuscare. Il giudizio sui comportamenti (non sulle persone) è preciso ambito di competenza della riflessione etica e bioetica. È evidente che lo sforzo di proteggere la verità senza ferire le persone è titanico, ma ugualmente è da tenere presente che la fedeltà alla verità è forma eccellente di esercizio della carità.
[*Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno]
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1. Fergusson DM, Boden JM, Horwood LJ. Exposure to childhood sexual and physical abuse and adjustment in early adulthood. Child Abuse Negl. 2008 Jun;32(6):607-19.
2. Simpson TL, Miller WR. Concomitance between childhood sexual and physical abuse and substance use problems. A review. Clin Psychol Rev. 2002 Feb;22(1):27-77.
3. Turner M. Female sexual compulsivity: a new syndrome. Psychiatr Clin North Am. 2008 Dec;31(4):713-27.
4. Batten SV, Aslan M, Maciejewski PK, Mazure CM. Childhood maltreatment as a risk factor for adult cardiovascular disease and depression. J Clin Psychiatry. 2004 Feb;65(2):249-54.
5. Pinhas-Hamiel O, Modan-Moses D, Herman-Raz M, Reichman B. Obesity in girls and penetrative sexual abuse in childhood. Acta Paediatr. 2009 Jan;98(1):144-7.
6. Rohde P, Ichikawa L, Simon GE, Ludman EJ, Linde JA, Jeffery RW, Operskalski BH. Associations of child sexual and physical abuse with obesity and depression in middle-aged women. Child Abuse Negl. 2008 Sep;32(9):878-87.
7. Arreola S, Neilands T, Pollack L, Paul J, Catania J. Childhood sexual experiences and adult health sequelae among gay and bisexual men: defining childhood sexual abuse. J Sex Res. 2008 Jul-Sep;45(3):246-52.
8. Fergusson DM, Horwood LJ, Boden JM. Abortion and mental health disorders: evidence from a 30-year longitudinal study. Br J Psychiatry. 2008 Dec;193(6):444-51.
9. Puccetti R. Abortion and mental health: who has the burden of proof? The Lancet.com, comment, 03 September 2008 [letter].
10. ANSA, 7 Marzo 2009; h 14,48.
11. Lawlor DA, Shaw M. Too much too young? Teenage pregnancy is not a public health problem. International Journal of Epidemiology 2002; 31: 552-554.
12. Cunnington A. What’s so bad about teenage pregnancy? The Journal of Family Planning and Reproductive Health Care 2001; 27: 36-41.
13. Chen XK, Wen SW, Fleming N, Demissie K, Rhoads GG, Walker M. Teenage pregnancy and adverse birth outcomes: a large population based retrospective cohort study. Int J Epidemiol. 2007 Apr;36(2):368-73.
14. Anandalakshmy PN, Buckshee K. Teenage pregnancy and its effect on maternal and child health--a hospital experience. Indian J Med Sci. 1993 Jan;47(1):8-11.
15. Watcharaseranee N, Pinchantra P, Piyaman S. The incidence and complications of teenage pregnancy at Chonburi Hospital. J Med Assoc Thai. 2006 Oct;89 Suppl 4:S118-23.
16. Buitendijk SE, van Enk A, Oosterhout R, Ris M. Obstetrical outcome in teenage pregnancies in The Netherlands. Ned Tijdschr Geneeskd. 1993 Dec 4;137(49):2536-40.
17. WHO - Department of Child and Adolescent Health and Development. Adolescent Pregnancy: Issues in Adolescent Health and Development. 2004.
18. AGInews, 11 marzo. http://www.agi.it/estero/notizie/200903111107-est-rt11058-art.html.
19. M. Pandolfi. La verità sulla bimba incinta di nove anni in Brasile. 16-03-2009. http://club.quotidianonet.ilsole24ore.com/pandolfi/la_verita_sulla_bimba_incinta_di_nove_anni_in_brasile.
20. M. Zalba. Theologiae Moralis Summa, I, n. 340. in L. Melina. Morale: tra crisi e rinnovamento. Gli assoluti morali, l'opzione fondamentale, la formazione della coscienza. Ares, 1993. p. 47.
"Schifidol puzz" l'antidoto alla bellezza - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 22 marzo 2009 – ilsussidiario.net
La notizia risale alla scorsa settimana, in una scuola elementare di Torino 16 alunni sono stati intossicati, il colpevole? Un album di figurine - lo 'Schifidol Puzz' - lo hanno appurato i funzionari dell'Asl, intervenuti alla scuola europea Altiero Spinelli per accertare le cause del bruciore agli occhi e del mal di gola che aveva colpito gli alunni della 5/a elementare A e la loro insegnante.
Ci pensate? I nostri bambini cresciuti a merendine e cellulare, che inorridiscono ai racconti dei nonni che non avevano il bagno in casa, ma dormivano con il pitale (o vaso da notte) sotto al letto, i nostri pargoli che si schifano davanti all’odore dei cavolfiori, che se transitate in autostrada nei pressi dei campi concimati da poco si lamentano “che schifo”, proprio loro, sembrano impazzire per le figurine puzzolenti che riproducono l’odore di vomito, escrementi e altre cose simili…
Sulle figurine c’è scritto ‘Strofina e svieni’, ma il suo ideatore spiega che si tratta di una trovata pubblicitaria, le figurine sono sicure, prodotte con tutte le certificazioni necessarie, sono realizzate completamente in Italia, insomma sono un prodotto altamente disgustoso, ma non pericoloso per la salute, un prodotto acquistato si stima, da circa 600/700 mila ragazzi.
Caspita, chi l’avrebbe detto, il business del disgusto.
Come sempre, il problema è un problema di adulti.
Noi le acquistiamo per loro, magari lamentandoci, ma le acquistiamo e comperiamo queste schifezze perché non sia mai che il piccolo si senta inferiore di fronte al compagnuccio che ne ha dieci bustine da portare in classe, e come per il cellulare a 6 anni, o il game boy, ci giustifichiamo dicendo “ce l’hanno tutti”, incapaci di essere veri adulti, di giudicare cosa davvero è buono per loro e insegnare loro che c’è un’età in cui c’è bisogno di un adulto, di un maestro che ci aiuti a distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è, perché è falso che non c’è distinzione, che va bene tutto, che quello che per il momento non ammazza non fa male.
Ci lamentiamo delle generazioni di giovani senza gusto, senza amore per le cose buone e belle e ci scordiamo che quei giovani li abbiamo cresciuti noi, siamo noi i loro maestri.
I 7 milioni di figurine puzzolenti le hanno comperate con i nostri soldi, con il nostro permesso, lo stesso permesso o la stessa disattenzione che permette loro di passare ore davanti alla tv a guardare programmi ameni senza un adulto accanto che li aiuti a dare un giudizio, a fare una critica, la stessa distrazione educativa che fa in modo che anziché accompagnarli a guardare le bellezze che li circondano, si tratti di un fiore che sboccia, o di un quadro al museo dietro casa, li scorda davanti alla tv, o li parcheggia ai baby club dove insegnano loro ad imitare gli adulti ballando la macarena.
Chi si rivolge all’infanzia deve avere la coscienza che si sta rivolgendo agli adulti di domani, non ad un segmento di marketing, ad una fascia di consumatori, ma alla pianta fragile e preziosa dell’albero del domani, chi dimentica questo ha una grande responsabilità, sia esso un genitore, un insegnante, un giornalista, un autore o un imprenditore.
Non esistono scuse.
Chi offre ai giovani brutture d’ogni tipo non può autoassolversi, giustificandosi perché in fondo non è l’unico a farlo, c’è già la cattiva televisione, la cattiva pubblicità, la cattiva musica, la cattiva educazione, non sarà certo la cattiva figurina a far la differenza, in fondo se le comperano vuol dire che piacciono.
Ma chiediamoci come potrà amare la musica chi non l’ha mai ascoltata, la storia chi non ha mai incontrato un maestro innamorato della storia che la sappia raccontare, si è tornati ad amare Dante quando Benigni l’ha recitato in tv, e si son riempite le piazze e i teatri per sentire Benigni e i ragazzi dei Cento Canti e il professor Nembrini declamare il canto 33 della Divina Commedia.
Questo vuol dire che il bello piace, ma ci vuole qualcuno che lo sappia indicare.
Quando a scuola si racconta la bellezza della musica, la magia del violino, la poesia del pianoforte, c’è sempre qualcuno a cui vien voglia di suonare.
Se si ricominciasse a trasmettere l’entusiasmo per la matematica, per le scoperte scientifiche, forse non ci sarebbe il calo delle iscrizioni alle facoltà scientifiche universitarie.
Insomma, siamo alle solite, ci lamentiamo delle nuove generazioni che non sanno guardare al futuro e ci scordiamo che siamo noi ad averle cresciute