lunedì 9 marzo 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Il Papa: preghiera, digiuno e carità, "struttura portante" della vita spirituale - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale
2) La verità tra fede e ragione - di Antonio Gaspari
3) Eretici - di Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Andrea Gemma
4) Toh, adesso il medioevo è un'età luminosa. Lo dice anche Eco - Autore: Zappa, Gianluca Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 5 marzo 2009
5) Le strane scelte di Obama - Mario Mauro - lunedì 9 marzo 2009 – ilsussidiario.net
6) DARWIN/ La Chiesa alla tavola alta dell’evoluzione - Amerigo Barzaghi - lunedì 9 marzo 2009 – ilsussidiario.net


Il Papa: preghiera, digiuno e carità, "struttura portante" della vita spirituale
Invita a riscoprirli in modo particolare nella Quaresima

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 8 marzo 2009 (ZENIT.org).- La preghiera, il digiuno e le opere di misericordia rappresentano la "struttura portante" della vita spirituale del cristiano, ha affermato Benedetto XVI questa domenica rivolgendosi ai fedeli e ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro in Vaticano per la recita dell'Angelus domenicale.
Ricordando che in questa settimana ha svolto insieme alla Curia gli Esercizi Spirituali, guidati dalle meditazioni del Cardinale nigeriano Francis Arinze, il Papa ha osservato che questo periodo "di silenzio e preghiera", "fatte le debite proporzioni, è un po' quello che accadde agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni quando Gesù li portò con sé su un alto monte, in disparte, loro soli, e mentre pregava si 'trasfigurò': il suo volto e la sua persona apparvero luminosi, splendenti".
In questa seconda domenica di Quaresima la liturgia proponeva proprio questo episodio (cfr Mc 9,2-10). "Gesù voleva che i suoi discepoli, in particolare quelli che avrebbero avuto la responsabilità di guidare la Chiesa nascente, facessero un'esperienza diretta della sua gloria divina, per affrontare lo scandalo della croce", ha spiegato il Pontefice.
"In effetti - ha constatato -, quando verrà l'ora del tradimento e Gesù si ritirerà a pregare nel Getsemani, terrà vicini gli stessi Pietro, Giacomo e Giovanni, chiedendo loro di vegliare e pregare con Lui. Essi non ce la faranno, ma la grazia di Cristo li sosterrà e li aiuterà a credere nella Risurrezione".
Nel suo tradizionale intervento domenicale, il Vescovo di Roma ha voluto sottolineare che la Trasfigurazione di Gesù "è stata sostanzialmente un'esperienza di preghiera".
"La preghiera, infatti, raggiunge il suo culmine, e perciò diventa fonte di luce interiore, quando lo spirito dell'uomo aderisce a quello di Dio e le loro volontà si fondono quasi a formare un tutt'uno".
Quando Gesù salì sul monte, ha proseguito, "si immerse nella contemplazione del disegno d'amore del Padre, che l'aveva mandato nel mondo per salvare l'umanità". L'apparire accanto a lui di Elia e Mosé vuole mostrare che "le Sacre Scritture erano concordi nell'annunciare il mistero della sua Pasqua, che cioè il Cristo doveva soffrire e morire per entrare nella sua gloria".
"In quel momento Gesù vide profilarsi davanti a sé la Croce, l'estremo sacrificio necessario per liberare noi dal dominio del peccato e della morte. E nel suo cuore, ancora una volta, ripeté il suo 'Amen'. Disse sì, eccomi, sia fatta, o Padre, la tua volontà d'amore".
"E, come era accaduto dopo il Battesimo nel Giordano, vennero dal Cielo i segni del compiacimento di Dio Padre: la luce, che trasfigurò il Cristo, e la voce che lo proclamò 'il Figlio amato' (Mc 9,7)".
Il Papa ha ricordato che insieme al digiuno e alle opere di misericordia la preghiera forma "la struttura portante della nostra vita spirituale".
Per questo, ha esortato a trovare in questo tempo di Quaresima "prolungati momenti di silenzio, possibilmente di ritiro, per rivedere la propria vita alla luce del disegno d'amore del Padre celeste".
"Lasciatevi guidare in questo più intenso ascolto di Dio dalla Vergine Maria, maestra e modello di preghiera", ha suggerito. "Lei, anche nel buio fitto della passione di Cristo, non perse ma custodì nel suo animo la luce del Figlio divino. Per questo la invochiamo Madre della fiducia e della speranza!".


Intervento in occasione dell'Angelus domenicale
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 8 marzo 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l'intervento che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica a mezzogiorno affacciandosi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico vaticano per recitare la preghiera mariana dell'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Nei giorni scorsi, come sapete, ho fatto gli Esercizi spirituali, insieme con i miei collaboratori della Curia Romana. E' stata una settimana di silenzio e di preghiera: la mente e il cuore hanno potuto dedicarsi interamente a Dio, all'ascolto della sua Parola, alla meditazione dei misteri di Cristo. Fatte le debite proporzioni, è un po' quello che accadde agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni quando Gesù li portò con sé su un alto monte, in disparte, loro soli, e mentre pregava si "trasfigurò": il suo volto e la sua persona apparvero luminosi, splendenti. La liturgia ripropone questo celebre episodio proprio oggi, seconda domenica di Quaresima (cfr Mc 9,2-10). Gesù voleva che i suoi discepoli, in particolare quelli che avrebbero avuto la responsabilità di guidare la Chiesa nascente, facessero un'esperienza diretta della sua gloria divina, per affrontare lo scandalo della croce. In effetti, quando verrà l'ora del tradimento e Gesù si ritirerà a pregare nel Getsemani, terrà vicini gli stessi Pietro, Giacomo e Giovanni, chiedendo loro di vegliare e pregare con Lui (cfr Mt 26,38). Essi non ce la faranno, ma la grazia di Cristo li sosterrà e li aiuterà a credere nella Risurrezione.
Mi preme sottolineare che la Trasfigurazione di Gesù è stata sostanzialmente un'esperienza di preghiera (cfr Lc 9,28-29). La preghiera, infatti, raggiunge il suo culmine, e perciò diventa fonte di luce interiore, quando lo spirito dell'uomo aderisce a quello di Dio e le loro volontà si fondono quasi a formare un tutt'uno. Quando Gesù salì sul monte, si immerse nella contemplazione del disegno d'amore del Padre, che l'aveva mandato nel mondo per salvare l'umanità. Accanto a Gesù apparvero Elia e Mosè, a significare che le Sacre Scritture erano concordi nell'annunciare il mistero della sua Pasqua, che cioè il Cristo doveva soffrire e morire per entrare nella sua gloria (cfr Lc 24,26.46). In quel momento Gesù vide profilarsi davanti a sé la Croce, l'estremo sacrificio necessario per liberare noi dal dominio del peccato e della morte. E nel suo cuore, ancora una volta, ripeté il suo "Amen". Disse sì, eccomi, sia fatta, o Padre, la tua volontà d'amore. E, come era accaduto dopo il Battesimo nel Giordano, vennero dal Cielo i segni del compiacimento di Dio Padre: la luce, che trasfigurò il Cristo, e la voce che lo proclamò "il Figlio amato" (Mc 9,7).
Insieme con il digiuno e le opere della misericordia, la preghiera forma la struttura portante della nostra vita spirituale. Cari fratelli e sorelle, vi esorto a trovare in questo tempo di Quaresima prolungati momenti di silenzio, possibilmente di ritiro, per rivedere la propria vita alla luce del disegno d'amore del Padre celeste. Lasciatevi guidare in questo più intenso ascolto di Dio dalla Vergine Maria, maestra e modello di preghiera. Lei, anche nel buio fitto della passione di Cristo, non perse ma custodì nel suo animo la luce del Figlio divino. Per questo la invochiamo Madre della fiducia e della speranza!
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
La data odierna - 8 marzo - ci invita a riflettere sulla condizione della donna e a rinnovare l'impegno, perché sempre e dovunque ogni donna possa vivere e manifestare in pienezza le proprie capacità ottenendo pieno rispetto per la sua dignità. In tal senso si sono espressi il Concilio Vaticano II e il magistero pontificio, in particolare la Lettera apostolica Mulieris dignitatem del servo di Dio Giovanni Paolo II (15 agosto 1988). Più degli stessi documenti, però, valgono le testimonianze dei Santi; e la nostra epoca ha avuto quella di Madre Teresa di Calcutta: umile figlia dell'Albania, diventata, per la grazia di Dio, esempio a tutto il mondo nell'esercizio della carità e nel servizio alla promozione umana. Quante altre donne lavorano ogni giorno, nel nascondimento, per il bene dell'umanità e per il Regno di Dio! Assicuro oggi la mia preghiera per tutte le donne, perché siano sempre più rispettate nella loro dignità e valorizzate nelle loro positive potenzialità.
Cari fratelli e sorelle, nel clima di più intensa preghiera che contraddistingue la Quaresima, affido al vostro ricordo i due viaggi apostolici che, a Dio piacendo, compirò prossimamente. La settimana ventura, dal 17 al 23 marzo, mi recherò in Africa, prima in Camerun e quindi in Angola, per manifestare la concreta vicinanza mia e della Chiesa ai cristiani e alle popolazioni di quel continente che mi è particolarmente caro. Poi, dall'8 al 15 maggio compirò un pellegrinaggio in Terra Santa per domandare al Signore, visitando i luoghi santificati dal suo passaggio terreno, il prezioso dono dell'unità e della pace per il Medio Oriente e per l'intera umanità. Sin d'ora conto sul sostegno spirituale di tutti voi, perché Iddio mi accompagni e ricolmi delle sue grazie quanti incontrerò sui miei passi.
Saluto, infine, con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Riccione, venuti in occasione del centenario della loro parrocchia Mater Admirabilis, e i pellegrini provenienti da Pescara, Miglianico e L'Aquila. Saluto inoltre gli alunni delle scuole "Don Carlo Costamagna" di Busto Arsizio e "Edoardo Agnelli" di Torino, i ragazzi di Mattarello, del vicariato di Casalpusterlengo e dell'oratorio salesiano di Scandicci. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


La verità tra fede e ragione - di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 8 marzo 2009 (ZENIT.org).- Intenso e vivace il dibattito scaturito al Congresso sull'Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio nel 10º anniversario della pubblicazione, svoltosi a Roma il 5 e il 6 marzo presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (APRA).
Promosso dalle Facoltà di Filosofia e Teologia e dal Master in Scienza e Fede dell'Ateneo Pontificio, il congresso aveva per tema "Rinnovare la filosofia alla luce della fede".
Aprendo i lavori, monsignor Rino Fisichella, Rettore della Pontificia Università Lateranense (PUL) e Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha spiegato che "rivendicare la scientificità della teologia è un'operazione necessaria per conoscere e fare della fede e dei suoi contenuti un sapere comunicabile".
La ragione, che ha tantissimi meriti, secondo monsignor Fisichella "non può fondare la fede né un sistema filosofico darne certezza". Allo stesso tempo, però, "la ragione è una via che se ben seguita conduce inevitabilmente alla fede e questa permane nel suo fondamento coerente nella misura in cui ritrova come sua compagna di strada la ratio".
"D'altronde - ha aggiunto il Rettore della PUL -, la domanda di senso richiede che alla fine si fondi l'esistenza su qualcosa di certo e non sul contingente".
Il professor Giuseppe D'Acunto, dell'APRA, ha sostenuto che il giusto "pensare filosofico" va inteso come "quella dimensione sorgiva del ‘senso' in cui il primo mette radici e a cui deve sempre tornare ad attingere".
"La questione del ‘senso' è un principio che la Fides et ratio determina, nel segno di quel ‘desiderio di verità' che è una ‘proprietà nativa della ragione'. In questa luce, l'uomo stesso è definito come ‘colui che cerca la verità".
Padre Juan G. Ascencio, LC, della Facoltà di Filosofia dell'Ateneo, ha affrontato il tema del nichilismo da Nietzsche a Vattimo, e ha illustrato come la Fides et ratio risponda al nichilismo ed al relativismo.
Il paragrafo 90 dell'Enciclica mette a nudo la radice di tutta la problematica del nichilismo, indicando "il rifiuto di ogni fondamento e la negazione di ogni verità oggettiva".
La Fides et ratio respinge il nichilismo perché condanna l'uomo "a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso". Nel paragrafo 46, si ricorda il nichilismo come "filosofia del nulla".
Secondo il docente dell'APRA, "l'Enciclica non solo presenta un'attenta diagnosi del nichilismo. Essa mira anche al suo superamento e spiega che il nichilismo tecnico e quello pratico sono divenuti un problema di ordine culturale, non superabile con i soli strumenti della filosofia".
"Per questo motivo - ha rilevato padre Ascencio -, la Fides et ratio merita di essere seguita più nel suo invito alla fides (e alla spes che ne fa seguito), che alla ratio. In un certo senso, la cultura della vita, in quanto cultura umana aperta al Logos, è l'unica risposta adeguata".
In questo contesto, il professor Guido Traversa (APRA) ha ribadito che sussiste un'intima connessione tra la logica, l'ontologia e l'etica, "che consente di non cadere nella forma di un realismo ‘determinista' e ‘scientista', quale quello dominate oggi nelle scienze, umane e naturali", privilegiando "una forma di realismo che si fonda sulla identità del reale e consente di conoscere ed agire nella realtà cogliendone le strutture unitarie, universali, senza cancellarne le differenze, i tratti accidentali ed il divenire delle singole cose e delle persone".
Padre Alfonso Aguilar, L.C. ha sottolineato dal canto suo che la crisi della filosofia odierna va superata portando a compimento le tre esigenze fondamentali e irrinunciabili che Giovanni Paolo II propone nella Fides et ratio (nn. 81-84): appurare la capacità dell'uomo di giungere alla conoscenza della verità per superare la dittatura del relativismo, trascendere i dati empirici per giungere nella ricerca della verità ad un assoluto ultimo e fondante e ritrovare la dimensione sapienziale di ricerca del senso ultimo e globale della vita.
"In questo modo, la filosofia odierna recupererà la sua vocazione originaria per formare il pensiero e la cultura attraverso il richiamo perenne alla ricerca del vero".
Monsignor Giuseppe Lorizio (PUL) ha precisato che "l'Enciclica invita a considerare con adeguata attenzione e vigilante discernimento la postmodernità e le sue correnti di pensiero" (cfr. n. 91).
"Tale invito induce il teologo a misurarsi con le diverse forme di razionalità presenti nell'areopago contemporaneo, da un lato cercando di cogliere le possibilità di apertura all'ulteriorità e alla trascendenza insite nelle varie forme del sapere, dall'altro attivando percorsi tendenti a ricondurre all'orizzonte unitario della ragione tali espressioni, che altrimenti resterebbero condannate alla disperazione epistemologica, nella ricerca del Vero, che resta compito ed impresa autenticamente umana oltre che profondamente cristiana".
Don Mauro Gagliardi ha invece parlato del ruolo del teologo come collaboratore della verità.
Per Gagliardi, il teologo collabora alla Verità, perché "collabora personalmente con Cristo stesso che è la Verità in persona, come dice il Vangelo di Giovanni"
Un secondo livello fa del teologo il collaboratore della verità intesa come "Vangelo della verità" o "sana dottrina", secondo delle espressioni che si trovano nel Nuovo Testamento (in particolare, ma non solo, nelle lettere paoline).
Il sacerdote ha precisato che "il teologo è collaboratore della verità non solo ricevendo dall'alto la verità di Dio attraverso la rivelazione soprannaturale, ma anche andando ad integrare e purificare la pur legittima e doverosa ricerca della verità ‘dal basso', operata dalla filosofia e, per altri ambiti, dalle altre scienze e discipline. Il teologo non può assumere acriticamente ciò che la filosofia e le scienze offrono".
Anche se il contributo di queste ultime "è prezioso, anzi necessario per la teologia", questa "deve operare un discernimento critico, assumendo questi contributi ma anche sapendoli correggere ed integrare alla luce della verità piena offertaci nella persona di Gesù Cristo. Così si eviterà di piegare la teologia (e quindi la fede) alle esigenze o conoscenze del momento, ma al contrario si eleverà l'uomo ed il suo sapere verso vette più alte di verità".
Padre Dominic Farrell, L.C. , Docente di etica generale all'APRA, ha sostenuto che la Fides et ratio "incoraggia lo studio del pensiero di Tommaso d'Aquino, innanzitutto per ciò che concerne la formazione del clero".
Infatti, il numero 58 dell'Enciclica mette in rilievo che sulla scia dell'Æterni Patris molti studiosi avevano manifestato il coraggio di attingere alla tradizione tomista per affrontare i dibattiti filosofici e teologici del novecento.
Padre Farrell ha ricordato che "mentre negli anni anteriori al Concilio la tradizione tomista costituiva la base di gran parte della formazione filosofica e teologica nei centri cattolici, nel post-Concilio si diffuse la tendenza opposta".
Questo abbandono di Tommaso è paradossale perché lo stesso Vaticano II fu in certo senso frutto dell'Æterni Patris e il retroterra del Concilio è in gran parte la riflessione di pensatori cattolici formati nel pensiero di S. Tommaso o ispirati da esso.
"Ciononostante, nel post-Concilio in numerose scuole cattoliche si è verificata una disaffezione e una minor stima per la filosofia e anche per il pensiero di Tommaso, proprio mentre per la prima volta nella storia Tommaso d'Aquino gode di piena cittadinanza nelle facoltà di filosofia delle università laiche", ha sottolineato.
"Conviene quindi considerare e capire le raccomandazioni che la Fides et ratio propone per una filosofia e di una teologia nella tradizione di S. Tommaso", ha concluso.


Eretici - di Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Andrea Gemma
CITTA’ DEL VATICANO - Come molti sanno, il sottoscritto continua ad esercitare quel particolare ministero che per molti sembra essere qualcosa di segreto e misterioso, ossia il ministero di esorcista, strettamente legato all’ordinazione episcopale. Mi si permetta, in parentesi, di annunziare ai molti che me lo richiedono, la prossima uscita della nuova edizione del mio libro: “Io, Vescovo esorcista” (Ed. Villa di Seriane - BG). L’interesse che il mio libro ha suscitato, e non appare affatto in diminuzione, dice una cosa sola, ed è quella che vorrei qui evidenziare: che non sono pochi i fratelli che chiedono, in alcuni casi disperatamente, l’aiuto materno della Chiesa per ottenere sollievo e liberazione. Che questi fratelli siano davvero tanti lo constato, si può dire, ogni giorno, allorché apro le porte della mia dimora, e soprattutto il mio cuore sacerdotale, alle confidenze, in molti casi dolorosissime, di fratelli e sorelle disturbati dal Maligno. Questo essere mostruoso, come fa sapere a noi esorcisti in maniera sarcastica e trionfante, dice di essere, oggi, assai più libero di svolgere la sua azione nefasta proprio perché coloro (i Vescovi diocesani) che dovrebbero contrastarlo, in nome del potere ricevuto da Cristo, restano inerti o, peggio, mostrano chiaramente di non credere all’azione diabolica e al suo impulsore. Quest’ultima constatazione ho colto e continuo a cogliere sulle labbra di molti fratelli sofferenti, i quali si vedono ingiustificatamente negata quell’azione di soccorso che insistentemente richiedono alla Chiesa e ai suoi legittimi Pastori. Poiché non sono pochi coloro che mi contattano di lontano, sempre io chiedo loro di rivolgersi innanzitutto ai Pastori della propria Chiesa locale. Sonno troppi i casi, ahimè, in cui a questa mia ingiunzione mi si risponde: “Non ci sono esorcisti autorizzati”, oppure - ed è un’affermazione purtroppo frequente -: “Non credono al demonio e alla sua azione”. Quest’ultima asserzione è, ovviamente, la più grave. E se rappresentasse una realtà provata e nei soggetti indicati fosse una convinzione ammessa, anche se non proclamata, ci troveremmo di fronte ad una schiera di… eretici. Sì, eretici, perché bisognerà finalmente chiamare le cose con il loro nome. Sono andato a rileggermi la celebre catechesi di Paolo VI del 15 novembre 1972. Eccola: “(Il peccato) è … occasione ed effetto d’un intervento in noi e nel nostro mondo d’un agente oscuro e nemico, il Demonio. Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa. Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni”. Papa Montini adopera una circonlocuzione equivalente “…esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesistico…”. Dice dunque con chiarezza che chi non crede all’esistenza del demonio, è fuori dalla confessione di fede cattolica, ed è quindi “eretico”. A proposito, poi, dell’eresia, il Codice di Diritto Canonico, al canone 751, afferma: “Viene detta eresia, l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa” ; si aggiunge inoltre nel canone 1364 che l’eretico incorre nella scomunica latae sententiae. Naturalmente, noi parliamo in generale e non possiamo entrare nella coscienza soggettiva dei singoli. Ma bisognerà pur dire a questi fratelli che è ora di … convertirsi. Anche perché la loro grave posizione - ripeto, oggettivamente parlando e fatte salve le intenzioni e la responsabilità dei singoli - offre al Maligno e ai suoi emissari un supplemento di forza, incredibilmente ampio e rovinoso, e costituisce per i fratelli che ne sono vittime un aggravio di pena, per non parlare della umiliazione a cui essi sono quasi sempre sottoposti, allorché si rivolgono a questi “eretici” inadempienti e, non di rado, sprezzanti e irridenti. Che cosa possiamo fare?, mi sento ripetere da più parti. Io rispondo immediatamente: “Non perdere la fiducia e pregare, pregare, pregare”. È lo scopo di questo mio intervento, sgorgato da un cuore esacerbato di fronte al grido angosciato di tanti fratelli che sono nella più oscura sofferenza. Chiedo a chi mi legge di formare una crociata di suppliche per implorare da Dio non solo l’attenuazione della sofferenza dei fratelli tanto gravemente tribolati ma anche la riduzione all’impotenza dello strapotere del “principe delle tenebre”, ma soprattutto la conversione di questi “nuovi eretici”, che tradiscono la loro missione e offendono, quindi, la carità fraterna. Questi fratelli - anche ciò va ripetuto con chiarezza - dovrebbero riappropriarsi della conoscenza esatta del Vangelo, dovrebbero ripercorrere senza prevenzione l’agiografia cristiana, dovrebbero non chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Vorrei al riguardo ripetere loro con forza: “Vieni e vedi!”. So bene, tuttavia, che per chi non vuole credere, nessun “segno” è sufficiente, mentre per chi crede con umiltà, nessun segno è necessario.


Toh, adesso il medioevo è un'età luminosa. Lo dice anche Eco - Autore: Zappa, Gianluca Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 5 marzo 2009
“A chi è venuto nel monastero dalla condizione servile non sia anteposto chi è nato libero”. E’ una delle norme che si trovano nella Regola di San Benedetto. Siamo nella metà del VI secolo dopo Cristo, in pieno Alto Medioevo. Nello stendere le regole per quelle particolari “repubbliche” che erano i suoi monasteri, il grande santo spazzava via ogni differenza di ceto. Varcata la porta, tutti erano uguali e nessuno poteva essere “anteposto” ad un altro. Con più di mille anni di anticipo sull’Illuminismo e la Rivoluzione Francese (che, evidentemente, non hanno inventato niente). Quella di San benedetto fu un’autentica rivoluzione rispetto al mondo antico, dove la schiavitù e la riduzione degli uomini a cose non era solo una pratica comune, ma il sistema stesso su cui si fondavano i regni, le società, le economie.

Basterebbe solo questa citazione per sottolineare come il Medioevo è stato ben altro da quell’età “buia” che la diffamazione illuminista ci ha tramandato. Anzi, per certi versi fu un’età molto avanzata, e certe sue acquisizioni si sono perse in seguito e solo faticosamente sono state riconquistate.

Fa piacere che anche un autentico guru della cultura laica come Umberto Eco abbia deciso di rendere il giusto onore all’età medievale, tanto da giocare il proprio prestigio curando la redazione di un’opera sul Medioevo pubblicata, udite udite, dall’Espresso.

E fa molto piacere che sia proprio lui a fare il panegirico di quell’epoca e che nella sua introduzione elenchi a volo d’uccello una lunga serie di fondamentali creazioni medievali: i mulini ad acqua e a vento; le abbazie romaniche e le cattedrali gotiche; le libertà comunali e un concetto modernissimo di libera partecipazione di tutti i cittadini ai destini della città; l’ università (e qui, da buon laico fazioso, si frega, perché sostiene che essa “si costituisce al di là del controllo sia dello Stato che della Chiesa”, omettendo che fu il Papato a costituirsi, fin dall’inizio, come protettore potente dei diritti delle università, nei confronti tanto del potere secolare quanto di quello vescovile).

Ma non è finita: c’è la nascita della scienza anatomica e della pratica chirurgica (con Mondino de’ Liuzzi, nel 1316); quella della banca, della lettera di credito, dell’assegno e della cambiale; il camino; la carta che sostituisce la pergamena; i numeri arabi adottati in quell’eccezionale opera che è il “Liber Abaci” di Leonardo Fibonacci (sec. XIII); il canto gregoriano e la prima polifonia e Guido d’Arezzo che dà il nome alle note musicali; e poi c’è l’uso di tavola e forchetta, i primi orologi; e gli ospedali e l’assistenza ai pellegrini (comincia il turismo).

E la fondamentale invenzione degli occhiali, che prolungò l’attività degli uomini di studio (“è come se le energie intellettuali di quei secoli si fossero di colpo raddoppiate, se non decuplicate”).

Potremmo aggiungere l’innovativa tecnica della rotazione biennale e triennale dello colture, andrebbe sottolineato che non ci sarebbe stato nessun Umanesimo e Rinascimento se il Medioevo, grazie ai monasteri, non avesse salvato dalla distruzione l’imponente patrimonio culturale dell’età classica.

In realtà non si tratta di cose molto nuove. La novità è che le dica con tale entusiasmo un Umberto Eco e che l’Espresso faccia uscire una collana sul Medioevo.

Ma se volete delle riflessioni veramente nuove, allora leggetevi il volume dell’americano Rodney Stark dal titolo “La vittoria della ragione” (Lindau editrice). Qui troverete le invenzioni e le novità che dobbiamo all’età medievale, ma anche e soprattutto una verità già annunciata dal sottotitolo dell’opera, e cioè che fu il Cristianesimo, di cui quell’età era letteralmente impregnata, a consentire quello straordinario progresso, quelle libertà, quella ricchezza.

Se ad un certo punto l’Occidente recupera il gap iniziale che aveva nei confronti di Cina, India e mondo islamico e raggiunge un livello di sviluppo enormemente superiore, è proprio grazie alla sua religione di riferimento. In quelle altre società le religioni innalzarono delle vere e proprie barriere che impedirono lo sviluppo e il progresso, mentre “il successo dell’Occidente, inclusa la nascita della scienza, si appoggiò interamente su fondamenta religiose e venne determinato da devoti cristiani”. Fu la “vittoria della ragione”, perché il Cristianesimo (checché se ne dica) non si è mai costruito contro la ragione umana. E Stark cita Tertulliano, Clemente di Alessandria, Agostino, Tommaso, i filosofi scolastici che “nutrivano molta più fiducia nella ragione dei filosofi contemporanei”.

E’ solo in Europa che l’alchimia si evolvette in chimica, che l’astrologia condusse all’astronomia, che il sapere pratico divenne scienza. Perché? Lo spiegò ad Harvard nel 1925 il filosofo e matematico Alfred North Whitehead: “Il grande contributo del Medioevo alla formazione del movimento scientifico fu la fede inespugnabile che v’è un segreto, e questo segreto può essere svelato”. Dante, nella Divina Commedia, dice che la ragione umana lo può giugner. Questa convinzione, proseguiva Whitehead, “non può provenire che dalla concezione medievale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale veniva attribuita l’energia personale di Yahweh e la razionalità di un filosofo greco”.

Aspettarsi che anche Eco lo riconosca è forse chiedergli troppo.

Per ora godiamoci il suo entusiastico elogio del Medioevo. E’ già molto.


Le strane scelte di Obama - Mario Mauro - lunedì 9 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Era nella lista delle decisioni che il mondo attendeva dal nuovo inquilino della Casa Bianca. Obama non si è lasciato sfuggire l’occasione e, appena ha potuto, ha messo in atto ciò che da tempo aveva promesso. È di pochi giorni fa la notizia della rimozione del veto ai finanziamenti federali per la ricerca sulle staminali embrionali, che George W. Bush aveva posto nel 2001.
Il presidente americano, dunque, secondo le fonti dell’amministrazione Usa dovrebbe firmare oggi un ordine esecutivo per eliminare le restrizioni ai finanziamenti. Le fonti assicurano che il presidente Obama annuncerà ufficialmente la sua decisione.
Già nelle scorse settimane la Fda, Food and drug administration - l’autorità americana che vigila sui farmaci - dava il via libera ai primi test clinici su un farmaco a base di staminali embrionali. Si tratta di una terapia per la cura delle lesioni del midollo portata avanti dall’azienda biotech californiana Geron, cioè una delle principali società americane attive nella ricerca sulle staminali embrionali - un ramo di attività che entro il 2012 potrebbe generare un mercato globale da 32,3 miliardi di dollari - che aveva presentato la richiesta la scorsa primavera e attendeva il responso fin da settembre. Intanto, i benefici borsistici di Geron hanno iniziato a farsi sentire, riflettendosi anche sulle altre società del settore.
Le direttive fissate dall'amministrazione repubblicana di George W. Bush stabilivano che i fondi pubblici potessero andare solo ai ricercatori che trattassero di cellule staminali embrionali create prima del 9 agosto 2001, cioè su una sessantina di “linee” di staminali embrionali già esistenti. Per due volte durante la presidenza, Bush ha posto il veto per bloccare iniziative del Congresso che miravano a cancellare i limiti.
Obama, che già in campagna elettorale aveva promesso di rimuovere le limitazioni dell'amministrazione del suo predecessore, in più interviste televisive, aveva detto di preferire che sul tema della ricerca sulle staminali embrionali si pronunciasse il Congresso con un'apposita legge. Ma il presidente sembra adesso aver rotto gli indugi, scegliendo la strada dell'ordine esecutivo.
In un clima crisi economica, vengono stravolte le agende degli interventi prioritari. Obama, il presidente degli Stati Uniti d’America che definisce incredibili le cifre della disoccupazione nel suo Paese, dovrebbe intervenire con misure efficaci e optare per altre misure. Infatti, quel che è certo, è che tra i primi beneficiari degli interventi del Presidente ci sono e ci saranno in futuro le aziende specializzate nel settore delle embrionali. Quindi, non solo Geron, quotata a Wall Street, ma anche i principali finanziatori della corsa di Obama alla Casa Bianca. La società ha un’infinità di brevetti e una tecnologia avanzatissima e può darsi che il farmaco sperimentato debba andare sul mercato. Così, è evidente che tutte queste aziende incrementerebbero di molto il loro fatturato.
È chiaro che non si è tenuto conto delle nuove frontiere che si sono venute a delineare negli ultimi anni. Come la scoperta da parte di Shinya Yamanaka di un giacimento infinito di staminali, le cellule adulte riprogrammate o Ips, simili per prestazioni alle embrionali, che ha indotto il mondo scientifico a valutare la possibilità di cambiare direzione. La loro efficacia è dimostrata, non solo dai primi risultati ottenuti nella cura di malattie degenerative, ma anche dalle “conversioni” eccellenti. Non è un caso che il gruppo di scienziati guidati dal padre della pecora clonata Dolly, Ian Wilmut, nei laboratori del Centre for Regenerative Medicine dell’Università di Edimburgo, abbia definitivamente archiviato il metodo della clonazione per dedicarsi a tempo pieno alla riprogrammazione cellulare.
È proprio di questi ultimi giorni la notizia della possibilità di estrarre cellule staminali dall’epitelio ed evitare la manipolazione sugli embrioni. Ma i due scienziati Keisuke Kaji e Andrai Nagy non hanno ancora ricevuto incentivi per questa loro nuova scoperta. E non ne riceveranno in tempi brevi, perché Obama pare non sentire ragioni. Il presidente resta sordo di fronte a tutti questi passi in avanti compiuti in questi anni nel settore della ricerca che mirano a una maggiore efficacia nella cura delle malattie, salvaguardando però il diritto alla vita.


DARWIN/ La Chiesa alla tavola alta dell’evoluzione - Amerigo Barzaghi - lunedì 9 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Per riassumere sinteticamente la settimana di lavori appena conclusasi presso la Pontificia Università Gregoriana potremmo partire dal sottotitolo di un famoso libro di Niels Eldredge (Ripensare Darwin. Il dibattito alla tavola alta dell’evoluzione). Riteniamo che sia infatti il modo più efficace per descrivere il bellissimo e densissimo convegno svoltosi dal 3 al 7 marzo a Roma, un appuntamento fortemente voluto dal Pontificio Consiglio per la Cultura. Il Biological Evolution. Facts and Theories, terza conferenza internazionale del Progetto STOQ (Science, Theology and the Ontological Quest) ha radunato professori da tutto il mondo per discutere di evoluzione, di evoluzionismi, di biologia, di antropologia, di filosofia e di teologia. È stata un’occasione privilegiata per impostare un dialogo interdisciplinare serio ed aperto, durante il quale sono stati fissati nuovi paletti per una reciproca comprensione tra la cultura scientifica e quella umanistica. Gli esperti intervenuti sono di altissimo livello. Solo per citarne alcuni: Francisco Ayala, Douglas J. Futuyma, Stuart Kauffman, Simon Conway Morris, Scott Gilbert, Lynn Margulis per l’area strettamente biologico-evolutiva. Yves Coppens, Fiorenzo Facchini, David S. Wilson per quella antropologica. E poi i filosofi ed i teologi: Jürgen Mittlestrass, il Cardinal Georges Cottier, Jean-Michel Maldamé, Vittorio Hösle, solo per citarne alcuni. La risposta da parte del pubblico è stata entusiastica: per cinque giorni l’Alula Magna adibita al congresso è stata puntualmente riempita da professori universitari, studiosi, ricercatori di tutto il mondo o semplici interessati che hanno animato il dibattito – sempre vivissimo – tra una presentazione e l’altra. Lo scopo dell’appuntamento era quello di permettere agli esperti delle diverse aree di interesse di “incrociare gli sguardi”, di confrontarsi e dibattere a viso aperto su una tematica, quella dell’evoluzione, che nell’anno darwiniano è quanto mai ancora attuale, e gravida di interpretazioni che oltrepassano i confini della disciplina biologica. Le questioni di portata filosofica e teologica che la “rivoluzione di Darwin” ha acceso sono di tutto interesse, e riguardano il ruolo ed il significato dell’uomo all’interno della nostra biosfera e del cosmo. Possiamo usare a buon diritto la metafora dell’accesso alla “tavola alta” perché questo evento ha sottolineato ancora una volta la posizione di apertura ad un dialogo fecondo da parte della Chiesa Cattolica: a questa proposta, la rappresentanza scientifica interpellata ha risposto onestamente, ed ha dimostrato un eguale interesse per tutto ciò che esula dal campo dell’empirico. Nessun tentativo, quindi, di “intrusioni teologiche” ingiustificate nella scienza sperimentale: quello dell’evoluzione è un fatto ormai ampiamente accettato. La posizione della Chiesa è molto distante da quelle correnti tipicamente americane contro cui gli evoluzionisti combattono in modo convinto: niente fondamentalismi biblici, e niente Intelligent Design. Di entrambi gli argomenti si è parlato, senza però condividerne i concetti cardine ed anzi criticandoli fermamente: un’invasione teologica in ambito biologico non è utile né ad una scienza che voglia definirsi veramente tale né ad una seria riflessione teologica, che si avvale di altre metodologie per la sua indagine. Ed è mancata anche quella attitudine di un certo tipo di scientismo, non infrequente tra alcuni scienziati, che usa i risultati della scienza a sproposito per sostenere weldtanschauugen filosofiche ateistiche e materialistiche, totalizzanti ed onnicomprensive È da questo spirito di profondo rispetto reciproco e di onestà intellettuale che sono emerse alcune indicazioni utili. Gli argomenti trattati sono moltissimi: sono state spese circa quaranta ore in presentazioni, escludendo tutti i momenti dedicati alla libera discussione. Affrontarli tutti è quindi impossibile, e ci limiteremo ad estrapolare alcune linee guida. La biologia evoluzionistica ci offre oggi una mole impressionante di dati a suo favore. La cornice classica, la famosa Sintesi Moderna, è quindi ancora il punto di riferimento per un’indagine seria, ma con alcune novità di tutto interesse: l’affascinante disciplina dell’Evo-Devo innanzitutto (in questa occasione presentataci dal brillante e simpaticissimo Scott Gilbert), che ci insegna come il processo dello sviluppo embrionale sia importante anche per l’insorgenza di novità potenzialmente significative in termini evolutivi; in questo ambito rientrano pure le recentissime scoperte legate alla cosiddetta “eredità epigenetica”. Ma si è parlato anche di fisica, o meglio di biofisica: i processi di auto-organizzazione e di “criticità dinamica” della materia vivente sono importantissimi e da affiancare alla selezione naturale – che agisce sulle variazioni casuali che insorgono a livello del DNA – ed al già citato momento dello sviluppo embrionale.
Della parte filosofica invece ricordiamo l’importantissima distinzione tra naturalismo metodologico e naturalismo ontologico. Il primo è l’approccio che una qualunque scienza empirica deve adottare: per la sua indagine sulla natura, lo scienziato deve andare a caccia esclusivamente delle cause naturali soggiacenti ai fenomeni di interesse. Il secondo invece rappresenta una vera e propria interpretazione filosofica del mondo, che reputa vera solo quella parte della realtà che è indagabile empiricamente, ed attribuisce un valore ontologico solo a questa. La scienza deve adottare quindi un naturalismo metodologico, ma una posizione filosofica come quella del naturalismo ontologico non è argomentabile tramite la scienza empirica. L’eliminazione della metafisica (e quindi della filosofia e della teologia) non è giustificabile scientificamente sulla base dei dati che ci confermano la realtà del processo evolutivo. La teoria evolutiva non può dunque avere la pretesa di delegittimare le indagini di tipo filosofico e teologico. Inoltre, la concezione di teleonomia risulta essere preferibile, all’interno delle scienze naturali, rispetto a quella di teleologia: mentre la prima sottolinea bene la tendenza interna di tutti gli organismi a rimanere in vita ed a propagarsi, la seconda pertiene agli ambiti filosofici e teologici, che possono legittimamente interrogarsi sulle direzionalità della storia, comprese quelle escatologiche tipiche della tradizione cattolica.
La riflessione teologica del congresso si è invece concentrata sulla valorizzazione del fattore antropologico inserito nello scenario evolutivo di una storia in continuo divenire; e, grazie anche alle argomentazioni filosofiche, è stato ricordato come siano da distinguere le cause seconde dalle cause prime. L’indagine del mondo naturale ci permette l’accesso alle cause seconde. L’indagine sulle cause prime è però di pertinenza filosofica e teologica. In questo senso, è possibile accettare unitamente il concetto di creazione della realtà da parte di un Essere superiore e quello dell’evoluzione, intesa come il dispiegarsi delle cause seconde a partire dall’atto di creazione originario da parte della causa prima. I concetti di creazione e di evoluzione non sono quindi mutuamente esclusivi. Possono coesistere, e sono conoscibili tramite due approcci alla realtà diversi: il mondo è conoscibile tramite la scienza empirica; ma la ragione umana possiede anche una potenzialità autoriflessiva e di indagine speculativa che, unitamente all’esperienza religiosa elementare che lo caratterizza, gli permette anche di interrogarsi sulla causa prima. L’importanza dell’ “animale uomo” è quindi salvaguardata.
L’approccio interdisciplinare che ha caratterizzato questa settimana di lavori ha voluto quindi valorizzare tutti questi aspetti della conoscenza umana. Le discipline scientifiche e quelle umanistiche illuminano da posizioni diverse e con metodi propri una medesima realtà. D’altronde, quella dell’universalità è sempre stata la vocazione primaria delle università. Ma come possono aiutarsi a vicenda questi due campi del sapere? La scienza – è stato ricordato – può evitare alla religione di ridursi a semplice superstizione; teologia e filosofia, dal canto loro, possono evitare alla scienza di diventare scientismo, cioè un falso idolo che si autoadora.
Un’importante nota finale: la trama di rapporti umani che è nata durante questi giorni, le lunghe ed appassionanti discussioni durante i dibattiti, gli scambi di opinione e di indirizzi mail durante i coffe breaks sono a nostro avviso una caparra importantissima sul successo futuro di questo tipo di iniziative. In un clima cordiale ed addirittura amichevole, il confronto è avvenuto spontaneamente. Nel reciproco rispetto, mantenendo tutte le diversità costitutive, quelle della provenienza geografica, quelle legate alla diversa area di interesse, quelle legate alle credenze personali. Il grande fattore unificante è stato, a nostro avviso, una comune posizione di stupore curioso di fronte alla realtà: questo atteggiamento è il motore propulsivo più efficace per un’indagine appassionata alla bellezza intelligibile che ci è accessibile, in un modo misterioso e commuovente.