Nella rassegna stampa di oggi:
1) Maria a Medjugorje: Messaggio del 25 marzo 2009 - Cari figli, in questo tempo di primavera quando tutto si risveglia dal sonno dell’inverno, svegliate anche voi le vostre anime con la preghiera affinchè siano pronte ad accogliere la luce di Gesù risorto. Sia Lui, figlioli, ad avvicinarvi al suo Cuore affinchè siate aperti alla vita eterna. Prego per voi e intercedo presso l’Altissimo per la vostra sincera conversione. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
2) 25/03/2009 14.15.38 . – Un avvenimento umile e nascosto, ma decisivo per l’umanità: l’insegnamento di Benedetto XVI sul Mistero dell'Annunciazione – Radio Vaticana
3) IL PRESERVATIVO CHE NON PRESERVA ANZI CHE UCCIDE - Di sicurezza, il preservativo, ne offre tanta quanta il tamburo di un revolver nella roulette russa, parola di studiosi. Cosa c’è quindi dietro a tutto questo? Enormi interessi economici e l’ideologia antivita…
4) Il profilattico non è stata la soluzione all'Aids in Sudafrica - Un video conferma le parole del Papa - JOHANNESBURG, mercoledì, 25 marzo 2009 (ZENIT.org).- Una nuova pagina web offre documenti audiovisivi in cui si mostra come sia possibile lottare contro l'Aids da una prospettiva cristiana e come, a partire dall'esperienza sudafricana, il profilattico non stia fermando la pandemia.
5) USA/ La politica del capro espiatorio - Lorenzo Albacete - mercoledì 25 marzo 2009 – ilsussidiario.net
6) BIOETICA/ Tutte le bugie che si raccontano sulle staminali embrionali - Augusto Pessina - mercoledì 25 marzo 2009 – ilsussidiario.net
7) TESTIMONIANZA/ Il mio aiuto ai bimbi sieropositivi in Romania - Redazione - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
8) PAPA/ Pansa: onore a un uomo che parla con franchezza, e dà fastidio ai falsi laici - INT. Giampaolo Pansa - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
9) Quella verità che cambia la storia - Roberto Fontolan - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
10) JEAN GUITTON/ L’uomo, quel limite alla perenne ricerca di senso - Michele Lenoci - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
11) A DECIDERE È L’IDEALE DEL CUORE - QUEL CHE CI TIENE INSIEME. IN TEMPO DI CRISI - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 26 marzo 2009
12) L’Aids in Africa: noi, scienziati col Papa - Le «evidenze» che confermano come combattere il virus - DI RICCARDO CASCIOLI – Avvenire, 26 marzo 2009
13) LA DIFESA DELLA VITA - L’Asl assicura: avvieremo un’indagine interna Ciangherotti, presidente di Federvita Liguria: «Ci sono già stati segnalati una decina di casi Presenteremo un esposto alla Procura di Savona» - «Autorizzato l’aborto ma lei non era incinta» - Il Cav di Albenga denuncia: nessuna visita, violata la 194 - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 26 marzo 2009
25/03/2009 14.15.38 . – Un avvenimento umile e nascosto, ma decisivo per l’umanità: l’insegnamento di Benedetto XVI sul Mistero dell'Annunciazione – Radio Vaticana
Ricorre oggi la Solennità dell’Annunciazione della Beata Vergine Maria, “stupendo mistero della fede” al quale Benedetto XVI ha dedicato numerose riflessioni fin dai primi passi del suo Pontificato. Un avvenimento “umile e nascosto”, lo ha definito il Papa, “ma al tempo stesso decisivo per la storia dell’umanità”. In quel sì della Vergine all’annuncio dell’Angelo, sottolinea il Pontefice, incomincia la nuova era della storia sancita poi nella Pasqua come “nuova ed eterna Alleanza”. Il servizio di Alessandro Gisotti
La gioia di un Annuncio che cambia l’umanità per sempre: nella sua prima visita ad una parrocchia romana, il 18 dicembre 2005, Benedetto XVI si sofferma con i fedeli sul Mistero dell’Annunciazione e spiega il significato autentico del saluto che l’Angelo rivolge alla Vergine, Kaire Maria:
“Significa di per sé ‘gioisci’, ‘rallegrati’. Solo con questo dialogo dell’Angelo con Maria comincia realmente il Nuovo Testamento. Così possiamo dire che la prima parola del Nuovo Testamento è ‘gioisci’, ‘rallegrati’, è ‘gioia’”.
L’Angelo, ricorda il Papa, invita Maria a “non temere” e Lei si affida completamente al Signore:
“Maria dice sì alla volontà grande, apparentemente troppo grande, per un uomo. Questo sì che appare talvolta così difficile. Vogliamo preferire la nostra volontà”.
Maria diventa così un esempio per tutti noi. Ci mostra la gioia che deriva dal fare la volontà del Padre:
“Appare inizialmente come un peso quasi insopportabile, un giogo non da portare, ma in realtà non è un peso la volontà di Dio. La volontà di Dio ci dona ali per volare in alto”.
Il 31 maggio dell’anno scorso, a conclusione del Mese mariano, il Papa torna sul Mistero avvenuto nell’umile casa di Nazareth:
“Immaginiamo lo stato d’animo della Vergine dopo l’Annunciazione, quando l’Angelo partì da Lei. Maria si ritrovò con un grande mistero racchiuso nel grembo; sapeva che qualcosa di straordinariamente unico era accaduto; si rendeva conto che era iniziato l’ultimo capitolo della storia della salvezza del mondo”.
Il sì di Maria, è la riflessione del Papa all’Angelus del 25 marzo 2007, è “il riflesso perfetto di quello di Cristo stesso quando entrò nel mondo”:
“L’obbedienza del Figlio si rispecchia nell’obbedienza della Madre e così, per l’incontro di questi due 'sì', Dio ha potuto assumere un volto di uomo. Ecco perché l’Annunciazione è anche una festa cristologica, perché celebra un mistero centrale di Cristo: la sua Incarnazione”.
"Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua Parola", risponde Maria all’Angelo. E il frutto di quella risposta, sottolinea Benedetto XVI, è presente nella vita della Chiesa:
“La risposta di Maria all’Angelo si prolunga nella Chiesa, chiamata a rendere presente Cristo nella storia, offrendo la propria disponibilità perché Dio possa continuare a visitare l’umanità con la sua misericordia”.
IL PRESERVATIVO CHE NON PRESERVA ANZI CHE UCCIDE - Di sicurezza, il preservativo, ne offre tanta quanta il tamburo di un revolver nella roulette russa, parola di studiosi. Cosa c’è quindi dietro a tutto questo? Enormi interessi economici e l’ideologia antivita…
Siamo alle solite.
Appena il Papa apre bocca, si scatena il putiferio. Anche quando dice cose ovvie e semplicissime, come il fatto che il preservativo non serve ad evitare il diffondersi dell’aids.
Naturalmente, c’è chi si è affrettato a dire che il Papa stava solo esponendo, come è logico, la dottrina morale cattolica. Ma Egli parlava soprattutto in difesa della vita di milioni di bambini e adulti.
Per dirla con le parole nude e crude della scienza, uno studio neanche troppo recente (1990) della “JOHN HOPKINS UNIVERSITY”, («Population Reports», vol. XVIII, n. 3, serie H, n. 8), il contatto diretto con sperma infetto è la causa principale della trasmissione per via sessuale del virus dell’Aids. In una eiaculazione vengono emessi circa 3,5 millilitri di sperma, e il liquido seminale di un uomo sieropositivo contiene più o meno 100.000 particelle di virus per microlitro (0,001 millilitri). Una caratteristica dei virus è proprio la loro dimensione incredibilmente ridotta. Al microscopio elettronico si è potuto costatare che il virus Hiv è una pallina del diametro di appena 100 nm (nanometri), cioè 0,1 micron (1 micron = 0,001 mm e 1 nanometro è un miliardesimo di metro). Ciò significa che il diametro della parte più grossa dello spermatozoo, la testa, che è di 3 micron, è trenta volte più grande del virus dell’Hiv. E’ come dire che, se lo spermatozoo ce la fa a oltrepassare la parete del preservativo, il transito è trenta volte più comodo per il virus.
I vari test eseguiti dall’industria della gomma (test di permeabilità sotto pressione, test elettrico, ecc.) dimostrano chiaramente che “Sulla superficie del preservativo la struttura onginale appare al microscopio come un insieme di crateri e pori. I crateri hanno un diametro di circa 15 micron e sono profondi 30 micron. Più importante per la trasmissione dei virus è la scoperta di canali del diametro medio di 5 micron, che trapassano la parete da parte a parte. Ciò significa un collegamento diretto tra l’interno e l’esterno del preservativo attraverso un condotto grande 50 volte il virus” (C.M. ROLAND, The Barrier Performance of Latex Rubber, in «Rubber World», giugno 1993, p. 15).
Ed è noto che il preservativo non è una barriera assoluta contro il concepimento, nonostante che per il concepimento siano necessari milioni di spermatozoi, mentre per l’infezione bastano pochi virus!
L’illusione che fa aumentare il rischio e che uccide!
“Soprattutto per i giovani, che non pare si preoccupino tanto di che cosa ci sia di vero in questa millantata sicurezza, un simile consiglio può essere piuttosto uno stimolo a «provarci» ogni tanto, proprio perché istigati da questa propaganda del preservativo.
Ma uno già positivo Hiv, pur non volendo nuocere ad altri, può essere invogliato a rapporti nell’illusione della barriera.
Un’infezione da Hiv è tuttora una malattia mortale, ma a chi mette in giro questa pubblicità col finanziamento, in questo caso, dai vari ministeri della sanità non pare che importi molto di avere cadaveri sulla coscienza…di sicurezza, il preservativo, ne offre tanta quanta il tamburo di un revolver nella roulette russa” (Joannes P.M. Lelkens, Aids: il preservativo non preserva, 1994).
Cosa c’è quindi dietro a tutto questo?
Enormi interessi economici e l’ideologia antivita.
Giuseppe Garrone
Elena Baldini
http://www.comitatoveritaevita.it/repository/Il_preservativo_che_non_preserva.pdf
Comitato Verità e Vita - 23 Marzo 2009
Il profilattico non è stata la soluzione all'Aids in Sudafrica - Un video conferma le parole del Papa - JOHANNESBURG, mercoledì, 25 marzo 2009 (ZENIT.org).- Una nuova pagina web offre documenti audiovisivi in cui si mostra come sia possibile lottare contro l'Aids da una prospettiva cristiana e come, a partire dall'esperienza sudafricana, il profilattico non stia fermando la pandemia.
L'iniziativa, lanciata recentemente in rete, pubblica i documenti, prodotti da Metanoia Media, "Seminare tra le lacrime", vincitore di vari premi, e "E' arrivato il cambiamento", in cui si presentano immagini e testimonianze inedite degli attivisti cattolici nella lotta all'Aids in Sudafrica e Uganda.
Norman Servais, direttore della compagnia di produzione sudafricana, ha spiegato a ZENIT che il suo Paese, "come si sa, è la capitale mondiale dell'Aids, e per questo possono parlarci di preservativi, se vogliono, ma noi risponderemo che non sono la soluzione".
Il Vescovo Hugh Slattery di Tzaneen (Sudafrica) ha promosso la produzione di questi video come parte di un programma per rispondere all'Aids da un punto di vista cattolico.
In un'intervista a ZENIT, monsignor Slattery spiega che l'obiettivo del secondo documentario è mostrare che "l'astinenza prematrimoniale e la fedeltà nel matrimonio fermeranno rapidamente la diffusione dell'Aids".
Un terzo documentario della serie, "Chiamati a prestare aiuto", affronterà il tema dell'"assistenza ai malati, ai moribondi e agli orfani dell'Aids", ha commentato il produttore.
Il quarto video, che verrà pubblicato alla fine dell'anno, mostrerà "il matrimonio e la famiglia come l'autentica soluzione alla pandemia dell'Aids".
Per ulteriori informazioni, http://www.catholicportal.co.za/AIDS/The_Change_Is_On.htm
USA/ La politica del capro espiatorio - Lorenzo Albacete - mercoledì 25 marzo 2009 – ilsussidiario.net
La settimana scorsa, i notiziari sono stati occupati soprattutto dalla crisi economica e dalle iniziative del presidente Obama in proposito. Talvolta è come se nient’altro stesse accadendo nel mondo. Per l’americano medio è difficile giudicare sia il programma del presidente per la ripresa economica, sia le critiche che gli vengono fatte. Qualsiasi cosa un esperto in economia possa dire, è facile trovarne un altro che dice esattamente l’opposto, ed è esattamente ciò che sta succedendo sui media, specialmente sulle televisioni via cavo dedicate esclusivamente ai notiziari. Tutto questo rende la gente sempre più frustrata e arrabbiata.
Coscienti del montare della rabbia, i politici nel Congresso tendono a riformulare il problema in termini di capro espiatorio contro il quale prendere iniziative. I “cattivi” di questa settimana sono state le società che, ricevuti fondi federali (quindi dei contribuenti), li hanno usati per pagare elevati bonus ai propri dirigenti, sulla base di contratti firmati prima di ricevere soldi dal governo. Per dimostrare la propria comprensione per la rabbia della gente, il Congresso vuole imporre una tassa del 90% su questi bonus. Questa proposta, però, ha allarmato molti osservatori, che temono costituisca un precedente per un dannoso potere eccessivo del Congresso.
Un commentatore l’ha definita la “politica della distrazione”, un tentativo di stornare l’attenzione pubblica verso un facile scontro “cattivi contro buoni”, invece di educare le persone affinché possano giudicare adeguatamente su queste questioni complesse. Il governo e i media sono entrambi avvantaggiati da queste politiche diversive, perché consentono di ridurre le questioni a quelle “battute” su cui prosperano i media.
Sepolte sotto questa valanga di sensazionalismo vi sono notizie di gran lunga più importanti. Una di queste è la decisione del governatore del Nuovo Messico, Bill Richardson, di firmare questa settimana la legge, già approvata dal parlamento statale, che abolisce la pena di morte. Bill Richardson è un latino-americano cattolico e la conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, schierata per l’abolizione della pena capitale, gli ha inviato una lettera di ringraziamento per la sua coraggiosa decisione (la maggioranza degli americani è in favore della pena di morte). Richardson è un Democratico e un deciso sostenitore di Obama, preso in considerazione a suo tempo come possibile candidato alla vicepresidenza.
Il parlamento del Nuovo Messico è dominato dai Democratici, molti dei quali cattolici, ma la legge è passata e Richardson l’ha firmata senza far alcun riferimento di nessun tipo a una posizione pro-life. La ragione è semplice: la gran parte dei politici cattolici che si oppongono alla pena di morte sono, però, a favore del diritto di abortire.
BIOETICA/ Tutte le bugie che si raccontano sulle staminali embrionali - Augusto Pessina - mercoledì 25 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Da un po’ di tempo quando si parla delle frontiere della cosiddetta biomedicina sembra divenuto obbligatorio parlare di cellule staminali. In particolare, il tema è ritornato di interesse a seguito della decisione di Obama di utilizzare fondi federali per la ricerca sulle cosiddette cellule staminali embrionali. Infatti, di questo si tratta (dell’uso dei fondi federali, quindi pubblici) perché negli Usa non è vietato utilizzare embrioni per derivare cellule se ciò avviene con fondi privati.
L’occasione permette di intervenire brevemente per chiarire alcuni aspetti che spesso chi “non è addetto ai lavori” non ha affatto chiari e che alcuni “addetti ai lavori” preferiscono lasciare confusi o addirittura confondere deliberatamente.
La prima questione è che (contrariamente a quanto riportato in molti siti cosiddetti informativi-educational) le cosiddette “cellule staminali embrionali” che vengono coltivate in vitro non sono il risultato di un delicato (per quanto assai pericoloso) prelievo di cellule da un embrione che seguirà il suo iter naturale fino alla nascita. Se così fosse, fatti salvi gli aspetti gravissimi di rischio cui l’embrione verrebbe sottoposto nell’intervento, di certo il problema etico si porrebbe in ben altro modo. Deve essere invece chiaro a tutti che l’embrione viene distrutto per disaggregarne le cellule che sono “tout court” cellule embrionali (e non staminali) e che vengono coltivate in vitro dove poroliferano con caratteristiche di pluripotenza. È evidente a tutti che tale operazione coincide con “l’uccisione” di un essere umano, mentre è nel suo stadio più iniziale, allo scopo di ricavarne cellule da coltivare in una bottiglia.
Un secondo elemento su cui fare chiarezza (solo apparentemente più tecnico) riguarda appunto la natura di queste cellule che non sono quindi cellule “di per sé” staminali.
Le cellule “propriamente” definibili come staminali sono, per fisiologia e scopo, quelle di un organismo adulto del quale hanno proprio il compito di garantirne prima la crescita, poi il rinnovo e la riparazione di organi e tessuti. Lo zigote non è una cellula staminale e l’embrione che ne deriva non è quindi un pool di cellule staminali. Un feto ha già una riserva di cellule staminali fetali, un embrione ha solo cellule embrionali. Il termine “cellula staminale embrionale” è quindi inesatto e comunque ambiguo e contraddittorio innanzitutto per ciò che riguarda la natura propriamente biologica-funzionale di queste cellule. Il termine “embrionale” sembra voler accentuare il grado di plasticità di queste cellule (che nella blastocisti possono essere totipotenti) ma il termine “staminale” è applicabile alle sole cellule ottenute in vitro che sono solo pluripotenti. Non basta che cellule embrionali siano messe in vitro per poterle definire cellule staminali. In questa sede non è possibile riportare e dettagliare la miriade di caratteri per cui una cellula embrionale è completamente diversa da una cellula staminale (tra i quali le modalità della divisione cellulare, l’espressione genetica differenziale,ecc). Le cellule dell’embrione hanno una plasticità, una natura ed una fisiologia cellulare uniche in biologia. Ad esse venne arbitariamente dato il nome di ESC (embryo stem cells della terminologia anglosassone) per alcune ragioni tecniche che non è possibile dettagliare qui.
È tuttavia evidente a tutti che quando l’unità anatomico-funzionale (data dalla struttura embrionale) viene distrutta e le cellule sono coltivate in una bottiglia da laboratorio, esse non possono originare un organismo completo (funzionalmente ed anatomicamente) pur mantenendo la capacità di originare vari tipi di tessuti (da cui la pluripotenza e non la totipotenza).
Quanto sopra descritto non è una banale questione di linguaggio tecnico e dalla confusione di comunicazione su questi aspetti ne derivano storture assai gravi non solo nella percezione della gente ma anche in chi ha il compito di regolare con leggi adeguate l’utilizzo delle staminali in medicina.
Per esempio, nella comunicazione circa l’uso delle cellule staminali si parla spesso dei successi ottenuti in clinica, ma non si precisa a sufficienza che ci si riferisce alle “staminali da adulto” (per esempio alle cellule staminali mesenchimali utilizzate già in clinica in varie situazioni patologiche). Così, viene spesso sottaciuto che le cellule embrionali sono assai difficili da controllare e che in clinica (oltre che nella sperimentazione animale) hanno prodotto tumori come recentemente riportato dalla rivista PlosMedicine. Da ultimo è anche importante ricordare che chi propugna la cosiddetta “clonazione terapeutica” per ottenere “cellule staminali”, intende proporre la produzione di embrioni umani da “sacrificare” per ottenere cellule pluripotenti.
Di fronte a queste cose, da uomini ancor prima che da ricercatori, viene spontaneo chiedersi se possiamo chiamare progresso il dare la vita ad esseri umani per metterli in una bottiglia e farne cellule per il mercato biomedico.
TESTIMONIANZA/ Il mio aiuto ai bimbi sieropositivi in Romania - Redazione - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
A proposito di quello che ha detto il Santo Padre in merito alla lotta contro l’AIDS, sono rimasta profondamente sconcertata per il clamore e le polemiche che ne sono seguite.
Vivo in Romania dove lavoro con giovani sieropositivi, e oltre ad essere profondamente convinta che l’AIDS non si combatte con i preservativi, sostengo che il punto non è questo! Accentuando inutili polemiche continuiamo a non voler guardare la realtà, che è fatta innanzi tutto di persone come me e come te, non di proclami.
Anzi, aggiungo che sono molto preoccupata di quello che potrà accadere e che sta accadendo nel paese in cui vivo, perché tra qualche anno rischiamo di vedere una esplosione del problema dell’AIDS senza che ce ne accorgiamo, nonostante siamo tutti ben bene informati sull’uso del profilattico.
In Romania l’epidemiologia dell’Aids sembra un caso unico: la Romania è il Paese del mondo in cui i casi di Hiv o Aids dovuti a trasmissione orizzontale non sessuale rappresentano ancora oggi, venticinque anni dopo l’inizio della pandemia, la maggior parte di tutti i casi registrati. È l’unico Paese del mondo dove il numero dei bambini morti a causa dell’Aids è superiore a quello degli adulti. Ed è l’unico paese del mondo dove la maggioranza degli infettati in vita è costituita da adolescenti. Le cifre parlano chiaro: fra il dicembre 1985 e il dicembre 2007 (ultimo dato disponibile) in Romania sono stati registrati 15.085 casi cumulativi di Hiv-Aids; di essi 9.737 sono stati diagnosticati a bambini e 5.348 ad adulti (dati della commissione mista multi settoriale per lotta AIDS).
La Fondazione AVSI, con cui io lavoro da 11 anni, ha iniziato a lavorare nel paese nel 1994 costruendo il padiglione pediatrico presso l’ospedale di malattie infettive Victor Babes di Bucarest, dove i bambini malati di Aids vivevano in condizioni decisamente inadeguate all’infanzia. Il nuovo padiglione è stato realizzato seguito il modello di eccellenza del Bambin Gesù, che poi ha anche formato il personale medico e paramedico.
Nessuno si aspettava che cure mediche adeguate avrebbero permesso la sopravvivenza di quei bambini sieropositivi, che hanno provocato una questione sociale, spesso affrontata con l’istituzionalizzazione.
Nel 1996, grazie anche alla collaborazione con una nascente ong locale, Fundatia Dezvoltarea Popoarelor (fondazione per lo sviluppo dei popoli) hanno preso avvio nuovi progetti sociali e di accoglienza.
Nel 1998 ha preso avvio un progetto con il difficile obiettivo di ricerca delle famiglie di origine di bambini sieropositivi abbandonati per una loro reintegrazione in famiglia.
Abbiamo incontrato e cercato di deistituzionalizzare circa 50 bambini abbandonati presso l’ospedale Victor Babes e circa 100 bambini abbandonati nell’istituto di Vidra, un villaggio a circa 20 km da Bucarest. Nello stesso tempo abbiamo sostenuto 50 famiglie per prevenire l’abbandono di altri 50 bambini HIV+ nella propria famiglia naturale.
Tra il 2000 e il 2003 sono state avviate 3 case di tipo famigliare con 21 bambini e 6 famiglie affidatarie che hanno accolto 7 minori sieropositivi dallo stesso istituto.
Quello che è rilevante è che questi bambini che noi abbiamo conosciuto anni fa, che abbiamo accolto, che abbiamo amato e accompagnato nel loro percorso sono ora diventati grandi e iniziano a vivere una nuova fase della loro vita, e come loro anche le altre miglialia di adolescenti sieropositivi della Romania.
Le loro domande si fanno sempre più pressanti: “quanto tempo vivrò?”; “ma potrò avere una famiglia?”; “ma se avrò dei figli saranno sani?”.
I loro desideri non si esauriscono a un “rapporto protetto”, desiderano molto di più. Desiderano un compimento, desiderano una normalità, desiderano, esattamente come me, la felicità. Sono ragazzi che ora cominciano a giocare la propria libertà con percorsi faticosi di autonomia sociale e lavorativa, sono ragazzi che si innamorano, che vanno a lavorare (almeno ci provano) e che vivono spesso una grande rabbia per l’abbandono subito e la malattia, circostanze che non possiamo noi negare e con cui ognuno di loro fa i conti ogni mattina appena sveglio, ammesso, tra l’altro, che desideri ancora svegliarsi.
Come è possibile che ci fermiamo sempre e solo a parlare del preservativo?Come possibile che non ci accorgiamo che il problema è un altro? Perché è cosi difficile guardare la persona nella sua totalità di desideri, di attesa, di bisogno?Personalmente ogni giorno mi rendo conto di correre il rischio di ridurre uno dei “miei” ragazzi a un malato, magari con una preoccupazione anche buona, per una iperprotezione, ma mi accorgo del rischio che corro di guardare ognuno di loro come "sieropositivo" e non come persona unica e irripetibile con un cuore con le stesse domande e esigenze di felicità e di compimento che ha anche il mio cuore. Quando sono più attenta invece e guardo i loro volti vedo che il loro cuore desidera molto di più, anzi grida molto di più!
Non solo quindi la via per sconfiggere l'AIDS è un'altra, ma mi chiedo: non ci rendiamo conto di come, facendo finta di essere buoni, riduciamo la questione? E' possibile che sentir parlare di "umanizzazione della sessualità", di "amicizia" e di "comportamento giusto" ci faccia così arrabbiare? Siamo davvero convinti che il grido del cuore si possa esaurire cosi semplicemente? O non è forse più realistica Rose di Kampala che dice: «il problema è capire se la vita ha un senso. Solo così posso voler bene a me e a chi ho davanti»?
Simona Carobene
AVSI Romania
PAPA/ Pansa: onore a un uomo che parla con franchezza, e dà fastidio ai falsi laici - INT. Giampaolo Pansa - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Un Papa solitario, un Papa anti-moderno, un Papa che non è più seguito nemmeno dai cattolici: più i giorni passano e più i giornali cercano di dipingere e confermare la figura di un Benedetto XVI lontano dal mondo e dalla Chiesa. D’altronde si sa: quando si decide che una persona non è bene accetta nel giro della grande opinione pubblica, per lui non c’è più speranza.
Giampaolo Pansa questo lo sa. Lui che non è certo tacciabile di clericalismo, e che nemmeno condivide molte delle cose che il Papa dice, conosce però alla perfezione questo clima da pubblica accusa nei confronti di chi non si allinea al pensiero generale, alla vulgata dominante intorno a certi argomenti. E non esita a ravvisare, nei confronti di Ratzinger, questo stesso atteggiamento.
Pansa, c’è dunque secondo lei il rischio di un generale diffondersi di un “pensiero unico”, soprattutto nei giornali, corredato da un catalogo precostituito di simpatici e antipatici (tra cui questo Papa)?
Questo rischio c’è sempre, non solo nei confronti del Papa. Se poi parliamo in particolare dei giornali italiani è una cosa che avviene normalmente, perché i nostri quotidiani sono animati da una faziosità che è sempre più stupefacente. E non sto parlando dei giornali di partito, bensì dei giornali che dovrebbero essere di informazione, i quali invece prima del dovere di informare sentono un altro dovere, sbagliato e intossicato, che è quello di esprimere sempre opinioni, dicendo chi è buono e chi è cattivo, chi è bello e chi è brutto.
E sul Papa in particolare che atteggiamento c’è secondo lei?
Per quanto riguarda il Papa naturalmente siamo tutti un po’ influenzati dalle ultime polemiche su quanto egli ha detto in Africa, a proposito della diffusione dell’Aids e dell’utilità o meno dell’uso del preservativo. Io, che pure non ho nessuna esperienza in tema di medicina e di Aids, penso che comunque l’uso del preservativo sia utile. Certo non è la soluzione del problema, e prova ne è il fatto che l’Aids non sia stato sconfitto: non ci sarebbe nulla di più facile che diffondere preservativi in quantità enormi in tutto il mondo, e se bastasse quello l’Aids non ci sarebbe più. Invece questo male c’è ancora, non solo in paesi poveri come quelli africani, ma anche in quelli evoluti come quelli occidentali. Quindi di certo il preservativo non basta.
E Ratzinger, in realtà, non ha detto una cosa molto diversa da questa. Ma allora le chiedo: perché tante reazioni così scomposte nei suoi confronti?
Perché è una persona franca, che parla con chiarezza. Ogni Papa, come anche ogni capo di Stato (anche se qui stiamo parlando di un personaggio che ha molto più peso in quanto capo della Chiesa cattolica, che va oltre le nazioni e in più coinvolge la vita delle persone e le tocca nel profondo, negli atteggiamenti e nei comportamenti) il Papa, dicevo, ha una propria personalità, diversa da quella di tutti gli altri Papi. A me, confesso, la franchezza di Ratzinger piace, seppure spesso io non condivida le sue conclusioni. È meglio avere un pontefice che parla chiaro che uno troppo cauto nel manifestare il proprio pensiero. Proprio per questo motivo, non mi stupisco che poi susciti delle reazioni. E mi sembra anche giusto che succeda; in fondo basta aspettare che passi il momento della polemica più aspra. Anche i cattolici devono evitare di scandalizzarsi, dicendo che il Papa è stato offeso: eviterei di parlare della cosa in questo modo.
Quindi è positivo che nascano polemiche…
Diciamo che il fatto di parlare con chiarezza, e quindi di suscitare polemiche per quello che dice, è una cosa che fa sicuramente onore a Benedetto XVI. Io personalmente sono abituato a suscitare polemiche, con i miei libri. Ma è meglio suscitare polemiche che indifferenza. E questo per chi pensa che il Papa sia una personalità utile al mondo (usiamo pure questi termini pure un po’ banali) dovrebbe essere un fatto positivo.
In realtà l’aggettivo “utile” è molto pertinente: significa che vale la pena per tutti ascoltare quello che dice, anche per i laici?
Certo, e guai se non fosse così. Un vero laico non può che guardare con attenzione quello che dice Benedetto XVI; poi può condividere o non condividere. Ma il laico che si infastidisce perché il Papa esprime la sua posizione, diventa un personaggio ridicolo. Anzi, semplicemente non è più un laico.
Torniamo ai giornali: perché è così difficile parlare di quello che accade, e si punta tutto su opinioni e interpretazioni?
Io penso che i giornalisti dovrebbero innanzitutto raccontare ai loro lettori quello che succede. E poi, se i lettori lo desiderano, fornire un commento. Invece in tante testate italiane si è capovolto questo principio: prima si commenta, e poi, se resta spazio, si dice quello che è successo. È una malattia terribile, anche se una malattia vecchia. Io ho scritto due libri su questo: nel ’77 “Comprati e venduti”, e poi nell’86 “Carte false”: ebbene, da allora ad oggi la situazione è enormemente peggiorata. Poi, più i giornali sono grandi e più si sentono obbligati ad essere i portatori di una bandiera politica. Il caso più evidente è quello di Repubblica.
Che non a caso è il giornale che ha condotto e conduce più di ogni altro la polemica sul Papa…
Ha spiegato bene la cosa, in un editoriale sul Riformista, Andrea Romano, il quale ha parlato della «pedagogia autoritaria» che questo giornale cerca di operare. In fondo è l’unico vero giornale di partito che è rimasto in Italia. Ma forse non si rendono conto che, continuando ad esporre questo “pensiero unico”, poi alla fine i lettori si stancano. Non a caso, come ho visto di recente nelle statistiche per altro pubblicate dall’Unità, Repubblica è il giornale che perde di più, anno dopo anno. I lettori, in fondo, si stancano di vedere la vignetta di Elle Kappa che nei giorni pari è contro Berlusconi, e nei giorni dispari contro il Papa.
Alzano il tono della polemica faziosa per avere più lettori, e invece li perdono?
C’è una cosa anche peggiore di questa, che si vede ancora nelle critiche fatte a Benedetto XVI sulla questione dell’Aids, e cioè che c’è una sorta di concetto superbo del proprio mestiere. Non è solo la ricerca del clamore per attrarre lettori – che poi, appunto, non serve – ma è un’idea sbagliata del proprio mestiere per cui ci si concepisce come i “superman” dell’opinione pubblica italiana. Non per nulla, ora che in particolare l’opinione pubblica di sinistra è molto acciaccata e non sa più come riprendersi, si rifugiano allora nel dire che non esiste più un’opinione pubblica in Italia. Invece non è assolutamente così: una delle cose positive di questo Paese, nonostante tutto, è che ci sono molte opinioni pubbliche. Quindi, in conclusione, io sono per un giornalismo diverso: energico, coraggioso, ma che sappia distinguere le proprie opinioni da quello che accade nella realtà.
(Rossano Salini)
Quella verità che cambia la storia - Roberto Fontolan - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Il caso del film Katyn, dedicato all’eccidio degli ufficiali polacchi ad opera dell’esercito sovietico, ripropone il tema della verità storica e del suo rapporto con il presente. La Russia boicotta il film perché fatica ad ammettere la propria responsabilità negli orrori subiti dalla Polonia.
Comprenderne le ragioni riesce difficile perché chi dovrebbe ammettere delle colpe è uno Stato che non c’è più, quello sovietico. E dunque, perché la Russia di oggi dovrebbe ereditare quel passato? Un problema simile c’è con l’Ucraina, relativamente alla grande carestia degli anni Trenta e allo sterminio dei contadini (per farsi un’idea rapida sfogliare qualche pagina dello straordinario Koba il terribile, di Martin Amis). Per gli ucraini è stato un genocidio, cioè l’intenzione di Mosca era di annientarli in quanto popolo, ma i russi respingono duramente l’accusa addebitando, in questo caso sì, la colpa al regime staliniano. Sul caso era intervenuto anche Solzenicyn, poco prima di morire, difendendo le ragioni nazionali.
Queste vicende sono in grado di mettere alla prova, anche dura, le relazioni tra gli Stati moderni: a distanza di decenni Russia e Polonia, Russia e Ucraina, non trovano pace. Armistizio si, ma una pace profonda e radicata no. La storia è sempre lì, in mezzo al campo di gioco. I serbi mantengono un ricordo vivissimo della disfatta subita nel 1389 a Kosovo Polje, quasi fosse accaduto ieri, e la Turchia, dopo quasi un secolo, non ammette il genocidio armeno, anzi, in questo 2009 nelle scuole viene fatto circolare un “documentario” che dovrebbe dimostrare la falsità dell’accusa.
Il “passato che non passa” è una formula coniata a proposito della capacità della Germania di fare o meno i conti con il ventennio nazista. E quando con il passato non si vogliono fare i conti, si cerca di cancellarlo, come dimostra la distruzione davanti agli occhi dell’Europa dell’eccezionale patrimonio architettonico cristiano nel nord di Cipro ad opera degli occupanti turchi. Ma è uno sforzo inutile. Per una parte e per fortuna il passato non passa mai. Torna sempre, magari nella forma di uno splendido film. O delle ricerche storiche, che hanno devastato il mito degli “italiani brava gente” all’opera nelle colonie, dalla Libia all’Etiopia.
E allora la verità della storia è un ostacolo? E che si fa quando le ragioni della verità confliggono con le ragioni della politica? Ad esempio, gli atti del Tribunale internazionale sono oggetto di grandi discussioni. Nessuno dubita che il famigerato Joseph Kony, leader dell’ugandese Lord’s Resistance Army si sia macchiato di gravissimi e innumerevoli crimini contro l’umanità (bambini soldato, schiavitù, tortura, ecc.), ma la decisione del Tribunale di incriminarlo e ricercarlo ha allontanato o avvicinato la possibilità di pacificare quella regione (anche i lunghi negoziati patrocinati da gloriose organizzazioni cattoliche sono falliti)? E come risolvere il recentissimo caso del sudanese Al Bashir, anch’egli incriminato per i massacri nel Darfur?
Sono problemi che potrebbero anche non avere una soluzione. In realtà, il passato non propone mai soluzioni. Israeliani e palestinesi, prigionieri della “guerra dei cento anni” (The Economist), non troveranno mai un accordo, se la piattaforma dell’accordo continua a essere fornita dal passato. Mai potrà essere resa interamente giustizia, mai potrà essere cancellato il fatto di aver subito o inflitto un torto.
Deve accadere qualcosa nel presente perché il passato possa essere accettato, assunto e compreso (esattamente il contrario della pretesa di eliminarlo o del tentativo di falsificarlo). Qualcosa che faccia scattare una mossa umana e quindi politica che sia diversa e che sia adesso. È possibile, come è stato possibile per i nord-irlandesi quindici anni fa, e vediamo ancora oggi quanto non si è mai assicurati del tutto dal male della storia. Ma è di una novità nel presente che hanno necessità le nazioni e i popoli per poter purificare e amare il passato. Del resto accade lo stesso nella vita dei singoli uomini.
STAMINALI/ Angelo Vescovi: ricavare sangue dagli embrioni? Falso e mostruoso
INT. Angelo Vescovi
giovedì 26 marzo 2009
È di pochi giorni fa la notizia, riportata dalla stragrande maggioranza dei nostri giornali, che un gruppo di ricercatori inglesi garantisce in tre anni la produzione di sangue per trasfusioni ottenuto mediante l’utilizzo di cellule staminali embrionali. Al di là che tale dichiarazione sia casualmente o meno di poco successiva alle decisioni prese dal presidente Obama, ci si domanda in virtù di quali dati i ricercatori inglesi possano affermare con certezza il conseguimento di un simile obiettivo e se la strada percorribile sia solamente quella delle cellule embrionali. Abbiamo chiesto al professor Angelo Vescovi di aiutarci a capire il senso di simili annunci, che forse un po’ troppo spesso suonano eccessivamente trionfalistici.
Dottor Vescovi, gli inglesi che hanno annunciato che entro tre anni riusciranno a produrre sangue umano grazie alle cellule staminali embrionali. Che cosa ne pensa?
Fra tre anni farò volare gli elefanti. Sempre che a qualcuno non dispiaccia.
È così alto il livello di improbabilità che le ispira una tale affermazione?
No, non è tanto l’improbabilità, quanto la “scientificità” dell’annuncio. Non riesco, in tutta onestà intellettuale, a capire il senso di una simile dichiarazione. Se è davvero così come dicono, fra tre anni, quando l’avranno fatto, saremo ben lieti di assistere a questo successo. Già il fatto di dichiarare tre anni significa che in mezzo c’è un percorso lungo e complesso: qualcosa potrebbe anche non andare. Non si riesce quindi a capire quale logica segua questo proclama. Ammesso che si tratti di logica umana. Da qui a crearci una notizia passa tutto l’interesse sintetizzato nella parola “pubblicità”.
Crede che quella inglese sia una dichiarazione in linea con la “moda” portata dal presidente Obama in tema di staminali?
Onestamente viene da sospettarlo, ma in tal senso non mi voglio sbilanciare. Certamente una moda c’è, a prescindere da Obama. Anzi si tratta più precisamente di un “riflusso”. Infatti tre anni fa, con la scoperta di Yamanaka, è venuto molto meno tutto l’alone di magia che circondava le macchine per la produzione delle staminali embrionali.
Faccio un passo indietro per spiegarmi meglio.
Nel giugno dell’anno 2006, Shinya Yamanaka, un ricercatore giapponese, portava a termine il cosiddetto sistema delle iPS, ovverosia l’inserimento in cellule adulte di alcuni geni che le fanno regredire allo stadio embrionale. È un meccanismo che in molti, tra i quali anch’io nel mio libro La cura che viene da dentro, avevamo predetto si sarebbe arrivati. Ma Yamanaka bruciò sul tempo le previsioni più azzardate. Con la sua scoperta le cose sono, come si può facilmente intuire, cambiate radicalmente. Da questo cambiamento repentino sono fioriti numerosi gruppi di scienziati che difendono accanitamente il vecchio metodo delle staminali embrionali.
Per quale motivo Yamanaka perseguì uno studio alternativo rispetto al tanto acclamato impiego di cellule staminali embrionali?
Occorre precisare che qui in Italia abbiamo una visione leggermente falsata di come vada il mondo scientifico internazionale. Non è vero, come ci fa passare la maggior parte dei giornali, che nel resto del mondo si possa “fare di tutto” con gli embrioni e che le altre nazioni siano emancipate dai problemi etici. Per ottenere le staminali embrionali bisogna letteralmente fare a pezzi un embrione umano. Ciò detta qualche perplessità perfino ai più inveterati e incalliti scienziati laicisti. Yamanaka ha semplicemente cercato di evitare di coinvolgere gli embrioni e ci è riuscito.
Ovviamente le prime reazioni sono state di scetticismo. La comunità scientifica internazionale considerò per molto tempo quella di questo ricercatore una scoperta fasulla, una bufala per farsi pubblicità. Poi si sollevò l’obiezione, vera in questo caso, che i geni inseriti nelle cellule fossero potenzialmente pericolosi per l’essere umano. Ma sorprendentemente, in tempi che non sono assolutamente soliti alla scienza, questo tipo di problemi venne risolto quasi subito.
La scoperta, com’è intuibile, creò qualche attrito all’interno del giro di affari formatosi intorno alle società di ricerca e sviluppo nell’area delle staminali?
Altroché! Ci si trovò di fronte a uno scenario dove, fino a pochi mesi prima, si utilizzavano gli embrioni per realizzare la famosa “clonazione terapeutica”, che peraltro non è mai riuscita a nessuno, e in cui di colpo si doveva cambiare prospettiva. Lei pensi che cosa può succedere a un settore che per vent’anni ha dominato l’utilizzo degli embrioni per ottenere le embrionali staminali, che per anni ha millantato un credito del tutto infondato, e cioè che la terapia cellulare potesse basarsi solo sulle embrionali staminali (una bugia fatta e finita), e che improvvisamente si trova di fronte le scoperte di Yamanaka. Significa che coloro che hanno ottenuto leggi e brevetti con prospettive economiche allettanti rischiano d’improvviso di veder crollare tutti i loro progetti di guadagno. Per questo prima, alla domanda sul sangue, ho risposto che si tratta di una dichiarazione simile a uno spot pubblicitario. Cercano di accaparrarsi in tempo più finanziamenti possibili.
È davvero così poco conveniente dunque, rispetto al metodo delle iPS, ricorrere alle embrionali?
Le riporto dei dati. Secondo un recentissimo articolo dell’American Journal of Epidemiology un’alta incidenza di tumori deriva dai bombardamenti ormonali cui si sono sottoposte le donne per ottenere gli embrioni da “sacrificare”. A questi si aggiungono forti disfunzioni organiche a molti casi di morte. Stranamente, a parte i giornali scientifici, pochi altri parlano di questi “effetti collaterali”. Eppure non so quanto piacere farebbe alle donne sapere che in questo frangente sono trattate come vere e proprie cavie.
Ma già ai tempi che precedevano la scoperta di Yamanaka noi ci chiedevamo quale razza di tecnica fosse una soluzione che richiedeva circa 200 oociti dalle donne e aveva un’efficacia del 2%. Se la pulsione che dettava questi studi era autenticamente quella di ottenere una cellula accettata per il trapianto, un’intenzione che faceva addirittura inventare un termine come “clonazione terapeutica” (non sono mai riusciti a curare niente, nemmeno un grillo!), allora l’obiettivo è davvero fallito.
È qui che non capisco Obama quando dichiara che sulle staminali embrionali bisogna guardare i fatti. Ma quali fatti sta guardando il presidente degli Stati Uniti?
Non credo che sia ipocrita, ma che sia semplicemente male informato. E questa mala informazione è dettata da molti interessi.
Avverte una radice ideologica in questo tipo di accanimento?
Sì, ma non soltanto. La radice è multiforme e variegata. Sono trent’anni che lavoro nel settore scientifico e direi che in questi casi c’è, in primis, un interesse di tipo professionale nel difendere le proprie convinzioni e ricerche, che magari durano da decenni. Questa posizione è umanamente comprensibile fino al momento in cui non induca a raccontare cose non vere in malafede.
Poi, come ho detto prima, c’è il problema dei brevetti, che dopo l’affermarsi della tecnica delle iPS, quindi fra qualche anno, saranno carta straccia.
In terzo luogo c’è la posizione fanatica laicista. A questo proposito ci tengo a precisare che io sono ateo convinto, non ho alcun tipo di fede religiosa. Ma le mie posizioni in questo frangente coincidono con quelle della Chiesa per un semplice motivo: le posizioni della Chiesa sono scientificamente le più ragionevoli, direi le più ovvie. Non accetto il dogma cocciuto di chi si ostina a dire che la scienza deve percorrere ogni strada. Non è vero. Esiste un’etica naturale che ti urla dentro che fare a pezzi un embrione è uccidere un uomo indifeso. Se non esistesse un’alternativa in questo campo per la ricerca allora forse avrei qualche dubbio in più, ma dal momento che si può fare ricerca sulle cellule col metodo iSP non capisco davvero dove sia il problema.
Molti laicisti vivono nella convinzione che qualunque posizione assuma la Chiesa cattolica sia necessariamente oscurantista. Per difendere una simile idea sono pronti ad abbracciare dogmi di rara assurdità. Come quello che riduce gli embrioni a un “grumo” di cellule. Ma già soltanto questa definizione pecca di un’assenza imperdonabile di scientificità.
Un’ultima domanda. Ferruccio Fazio, sottosegretario al welfare ha dichiarato, stando ai giornali, che grazie alle cellule del cordone ombelicale in Italia si otterranno gli stessi risultati annunciati in Inghilterra senza ricorrere alle staminali embrionali. Cosa ne pensa?
Dubito che Ferruccio Fazio, che è un medico, abbia detto una cosa così superficiale. Chissà che cosa hanno capito i giornali. Ci sono una serie di studi in cui il trapianto autologo di cellule provenienti dal cordone ombelicale dà risultati positivi nei bambini affetti da diabete mellifluo e altre interessanti prospettive, ma da qui a ritenere che questa sia la soluzione ne passa. Forse Fazio si è solo limitato a elencare tutti gli altri sistemi alternativi di cui la scienza dispone.
Il vero problema nel nostro Paese sono invece i finanziamenti per la ricerca. Non ci sono abbastanza soldi. Si consideri che i giapponesi, coi quali la Bayer sta litigando per avere il brevetto dell’iPS, stanno investendo in questo tipo di ricerca una quantità di stanziamenti analoga a quella che utilizzarono nella ricerca sui semiconduttori. Questo dà l’idea della sproporzione fra la nostra situazione e la loro. Speriamo che presto si consideri l’idea di effettuare investimenti strutturali degni di questo nome in tutto questo settore.
JEAN GUITTON/ L’uomo, quel limite alla perenne ricerca di senso - Michele Lenoci - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Dieci anni fa moriva Jean Guitton, l’ultimo grande intellettuale cattolico francese, accademico di Francia e pittore per diletto, amico di letterati e pensatori, come Claudel, Mauriac, Mounier, Blondel, Teilhard de Chardin, di statisti, come De Gaulle, Pompidou, Chirac, Mitterand, di pontefici romani, come Giovanni XXIII e, soprattutto, Paolo VI. Ha partecipato come osservatore al Concilio Vaticano II e, su esplicito invito di Paolo VI, ha rivolto la sua parola ai padri conciliari quando stavano discutendo gli ardui problemi dell’unità dei cristiani. Di formazione era filosofo e la sua preparazione era temprata sugli autori e i temi più classici, quali il rapporto tra tempo ed eternità in Plotino e Agostino, quasi a tracciare il confine tra la declinante grande filosofia greca e il nascente e battagliero pensiero cristiano, che di quella filosofia si impossessava, per trovare soluzioni creative a problemi antichi, i quali trovavano nella Rivelazione una formulazione nuova e inaudita. Ma come era comprensibile, soprattutto in un pensatore francese, Guitton ha anche studiato Cartesio, Leibniz e Pascal, per confrontarsi con quella modernità, che tanta importanza ha avuto negli sviluppi della filosofia d’Oltralpe e nell’evoluzione del pensiero europeo; anche qui, allo scopo di verificare in che misura ragione umana e dato rivelato contribuiscano ad offrire soluzioni originali e persuasive ai problemi esistenziali più urgenti. L’incontro decisivo, dal punto di vista della sua personale riflessione, sarà quello con Bergson, che considererà suo autentico maestro e di cui sarà l’erede spirituale, quando, dopo aver insegnato a Montpellier e Digione, salirà sulla cattedra di Storia della filosofia della Sorbona.
Da un certo punto di vista, Guitton appare un pensatore atipico, più intellettuale e maître à penser che filosofo di professione in senso stretto; si riconosce maggiormente nel filone spiritualista e agostiniano-pascaliano, piuttosto che nel vivace movimento di rinascita e ripresa del tomismo, portato avanti, in quegli anni, da pensatori del calibro di Maritain, Gilson e Sertillanges. Su due punti insiste la sua riflessione filosofica: la ragione e la critica hanno i loro diritti, che vanno affermati in una ricerca rigorosa, consapevole della propria legittima autonomia, ma la condizione umana ha limiti intrinseci, che la speculazione razionale o gli artifici dialettici non riusciranno mai a colmare. Inoltre, anche se la storia ha una sua intelligibilità e una sua logica, non potrà mai essere pienamente spiegata su un piano meramente immanente, neppure ricorrendo a qualche “astuzia della ragione”: la trama del disegno divino può essere solo colta nei suoi contorni più ampi, ma non può essere resa comprensibile nei dettagli minuti attraverso l’esercizio delle nostre argomentazioni.
Per questo motivo, l’analisi della condizione umana richiede la pazienza rispettosa delle sfumature e il cesello per curare le minuzie, ben sapendo che il quadro complessivo sfuggirà sempre a una presa concettuale che pretenda di essere esauriente. E in questa interpretazione, che è anche lettura delle anime e discernimento degli spiriti, Guitton sarà un vero maestro, così come nei colloqui e negli incontri personali con Paolo VI, testimoniati in ben due volumi, da cui traspare un’amicizia intensa e discreta, ricca di raffinata sensibilità e profonda spiritualità, o quelli con Mitterrand, che hanno accompagnato l’anziano statista fin quasi alla soglia della morte e gli hanno offerto sprazzi decisivi di luce, anche attraverso riflessioni sul senso della vita e sul valore della mistica cristiana; oppure, quando, in visita alla capanna di Heidegger, cerca di rintracciarne il pensiero e le cadenze attraverso i gesti quotidiani, i lineamenti del volto, il mutare degli sguardi, i cenni della mano, o allorché con Heidegger intesse un muto dialogo guardando e sfogliando i libri della sua biblioteca, quasi a ripercorrere le tappe della sua formazione e della sua riflessione. Guitton ha collocato se stesso agli antipodi della posizione sartriana: egli non ha optato per il nulla e non ha inteso la vita come una passione inutile, ma ha scommesso per la speranza e si è affidato al futuro con atteggiamento positivo e costruttivo, mirando all’essenziale e sempre desiderando tornare a esso. Negli ultimi anni ha cercato, anche attraverso il dialogo con due fisici, di indagare il rapporto tra Dio e la scienza, attraverso il confronto con i temi e le difficoltà delle ricerche teoriche più avanzate e delle applicazioni più sconcertanti. La sua curiosità intellettuale si rivela così pari all’apertura del suo animo, nell’affrontare sfide sempre rinnovate, nell’incontrare persone e situazioni, nell’offrire una testimonianza profetica, piena di speranza.
A DECIDERE È L’IDEALE DEL CUORE - QUEL CHE CI TIENE INSIEME. IN TEMPO DI CRISI - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 26 marzo 2009
Hanno fatto il buco per la Tav, e ora i treni ad alta velocità uniscono Milano a Roma in tre ore. Le Italie si avvicinano all’Italia, la nazione insomma a se stessa, Roma non è più 'lontana' da Milano. E intanto, nello stesso giorno, i parlamentari a grande maggioranza votavano un provvedimento di stampo federalista. Un modo per distanziare o per avvicinare le Italie? E mentre il 'piano casa' fa discutere le Italie dei partiti, l’Italia della gente in molti casi tira il fiato coi denti per dar casa ai propri figli. E rimane sgomenta nel vedere le case-loculo ricavate dai cinesi nei sotterranei di Milano. Treni superveloci e uomini come topi. Sono giorni in cui ci troviamo davanti agli occhi, ancora una volta, un Paese che sembra un puzzle di contraddizioni.
Uno spettacolo fantastico e tremendo, tra grandi passi in avanti e sferzate al cuore per i tanti disagi, i ritardi. Italia a varie velocità. Come uno che cammini o corra ma con strani movimenti delle gambe, disarticolandosi, sempre sul punto di cadere, o proprio ruzzolando in molti momenti, ma ancora andando, con molti controtempi. E ora che l’ombra della crisi economica sta allungandosi sulla vita di tanti, e da ombra si sta facendo pugno sui sogni o sulle aspettative e anche sui diritti, cosa terrà insieme l’Italia? Cosa potrà tenere insieme questo strano, magnifico e feritissimo volto che emerge da un puzzle straordinario? Lo sappiamo tutti, e bene: non è detto che le difficoltà producano coesione. Non è per nulla scontato. Non mancano i segnali di dissidio, di insoddisfazione che diventano rivendicazioni contro l’altrui gruppo, o l’altro ceto, o l’altrui colore della pelle. O l’altrui appartenenza religiosa.
In questo senso, oggi è per tutti imperativo concentrarsi su cosa può unire. Su cosa può tenere insieme. Il che non significa rendere tutti identici. Né sminuire le diversità. In questo senso, è a volte un po’ patetico oltre che inutile chiedere che dai politici venga l’esempio dell’unirsi, della coesione. La politica è proposta delle differenze. È drammatizzazione delle differenze. Se non ci fosse 'scontro' in politica – ma con un certo livello di educazione e correttezza – ci sarebbe da preoccuparsi per lo stato della democrazia. No, non dalla politica ci dobbiamo aspettare ciò che unisce. Ma dal cuore. Ovvero dalla sede del desiderio. Dal punto in cui ognuno decide se la vita è la propria corsa individuale e solitaria oppure se è un dono da condividere. Ci sarà chi dirà che sono parole astratte. Che sono fumo. Ma è esattamente il considerare astratto questo livello della questione ciò che favorisce la divisione, e che fa cedere cinicamente alla legge della giungla. Il cuore inteso come sede dell’ideale è la cosa più concreta e decisiva. Se non si prende sul serio questo desiderio di 'vivere con', di realizzarsi in una coesione, e insomma diciamo la parola giusta, in una coesione reciproca, allora la disarticolazione persino violenta avrà il sopravvento. Se non si coltiva con l’azione e con l’esempio in tutti i campi (culturale, familiare, sociale, e sì anche politico pur facendo ognuno la propria parte) questo desiderio ideale, se non si fa vedere che esso funziona, sì, funziona nel campo del lavoro, del sociale ecc, allora non basteranno tutti i tunnel o tutte le federazioni del mondo a impedire che si viva prima o poi come topi impauriti e rabbiosi nel sottosuolo.
Ma chi oggi, mentre quasi tutti si rivolgono al portafoglio o alla voglia di distrarsi o alla mano dotata di matita per il voto, chi oggi si rivolge al cuore degli uomini? Lunedì pomeriggio si è alzata una voce per parlare al cuore degli italiani. Era quella di un vescovo – il cardinale di Genova – mosso da nessun altra ambizione che la carità. Ce ne siamo accorti? Se è no, si tratta di una perdita secca quanto all’ideale da risvegliare. Vediamo di recuperare.
L’Aids in Africa: noi, scienziati col Papa - Le «evidenze» che confermano come combattere il virus - DI RICCARDO CASCIOLI – Avvenire, 26 marzo 2009
I l rischio di contrarre il virus Hiv usando i preservativi durante i rapporti sessuali è nell’ordine del 15%. Questa conclusione è contenuta in uno studio pubblicato dalla nota rivista scientifica britannica The Lancet nel 2000. È una delle conferme scientifiche di quanto affermato da papa Benedetto XVI la settimana scorsa in Africa, ovvero che l’Aids non si sconfigge distribuendo i preservativi, ma attraverso un’educazione alla dignità umana. A sostenere la correttezza scientifica della posizione del Papa non è dunque soltanto Edward Green, il celebre studioso di Harvard le cui posizioni sono state riportate su Avvenire del 21 marzo. Al contrario, sfogliando le riviste scientifiche e mediche di questi vent’anni di lotta all’Aids, troviamo numerose conferme alla fallibilità dei profilattici.
L’effetto «cinture di sicurezza». Riprendendo il citato articolo del Lancet ( John Richens, John Imrie, Andrew Copas, Condoms and seat belts: the parallels and the lessons) si fa un interessante parallelo con le cinture di sicurezza per gli incidenti automobilistici, che (anche loro) non hanno portato i benefici sperati. In pratica, sostengono gli autori dello studio, il senso di sicurezza moltiplica i comportamenti a rischio. È il fenomeno noto come «teoria della compensazione del rischio ». Nel caso dei preservativi la responsabilità è di chi sostiene siano «la» soluzione definitiva del problema, inducendo perciò un senso di falsa sicurezza che moltiplica i rapporti promiscui, principale causa della diffusione della malattia. Ciò è dimostrato dal fatto – sostiene lo studio – che in Africa i Paesi dove il preservativo è più diffuso (Zimbabwe, Botswana, Sudafrica e Kenya) sono anche quelli con i tassi di sieropositività più alti. «L’efficacia del preservativo – concludono i ricercatori – è legata soltanto al reale cambiamento dei comportamenti a rischio».
Preservativo troppo rischioso. Sui tassi di inefficacia del profilattico concordano molti studi scientifici. Secondo una ricerca condotta da S. Weller e K. Davis e pubblicata su Family Planning Perspective (una rivista scientifica dell’Alan Guttmacher Institute, emanazione dell’organizzazione abortista Interna- tional Planned Parenthood Federation), l’efficacia del preservativo nel prevenire la trasmissione dell’Hiv è stimabile intorno all’ 87%, ma può variare dal 60 al 96%. Dati confermati anche dallo studio di J. Trussell e K. Yost e presentati (senza che si levassero voci scandalizzate) alla Conferenza Onu di Rio de Janeiro nel 2005.
Ancora su Family Planning Perspective viene citato uno studio di Margaret Fishel secondo cui in coppie sposate con un partner sieropositivo, l’uso del preservativo come protezione ha prodotto l’infezione dell’altro partner nel giro di un anno e mezzo nel 17% dei casi.
Perché i preservativi non funzionano.
Uno studio presentato nel 1990 sul British Journal of Family Planning mostra che in un test effettuato in Inghilterra nel 52% dei casi, gli utilizzatori del profilattico ne hanno sperimentato la rottura o lo scivolamento. C. M. Roland, scienziato esperto del lattice e direttore di Rubber Chemistry Land Technology, nel 1992 spiegava in una lettera pubblicata dal Washington Times che già nella prevenzione delle gravidanze si registra un 12% di fallibilità malgrado i pori del lattice (5 micron) siano 10 volte più piccoli dello sperma. Una fallibilità che aumenta esponenzialmente nel caso del virus dell’Aids perché questo ha una dimensione di 0,1 micron, ovvero può facilmente trovare un passaggio nel profilattico anche ipotizzando un suo uso ottimale. Questi rischi sono ancora più elevati in Africa perché il caldo e le modalità di conservazione dei profilattici contribuiscono notevolmente a deteriorare il lattice.
Il metodo ABC. Sono ancora gli studi scientifici a dimostrare che l’arma davvero efficace contro il virus dell’Aids – oltre ovviamente ai farmaci antiretrovirali, di cui anche il Papa ha ricordato l’importanza – è l’educazione alla integralità dell’uomo, che in termini di strategie è stata tradotta nell’ABC: (A, astinenza), fedeltà a un unico partner ( B, be faithful)), C ( condom, preservativo), dove l’accento è messo soprattutto sulle prime due strade. È il caso dell’Uganda, l’unico Paese dove si sia riscontrata una diminuzione nel tasso di incidenza dell’epidemia, a dimostrare la bontà di questo approccio, scelto dal presidente Museveni già all’inizio degli anni ’ 90. Secondo un rapporto di UsAid (l’agenzia governativa statunitense che si occupa di aiuti allo sviluppo) in 15 anni c’è stata una riduzione nel tasso di infezioni del 75% nel gruppo di età tra i 15 e i 19 anni, del 60% tra i 20 e i 24 anni, e del 54% nel suo complesso. E questo perché è stato ridotto del 65% il sesso con partner casuali. Questa conclusione viene condivisa dalla rivista Science con un articolo pubblicato già nel 2004 in cui si esclude che l’uso dei profilattici abbia avuto un ruolo significativo nella positiva evoluzione. Dato ulteriormente confermato dalla lunga ricerca condotta sul campo, in Africa, da Helen Epstein, che ha raccolto i dati in un libro pubblicato nel 2007 ( La cura invisibile: l’Africa, l’Occidente e la lotta contro l’Aids), in cui attacca l’Occidente perché si ostina a ignorare che l’unica strategia che funziona contro l’Aids è, appunto, la «cura invisibile » , ovvero l’educazione, il cambiamento dei comportamenti sessuali.
Il senso di sicurezza indotto dall’utilizzo dei condom moltiplica i rapporti promiscui, che sono la principale causa della diffusione della malattia Articoli pubblicati su numerose riviste scientifiche demoliscono la presunta «onnipotenza» del profilattico. E rilanciano la necessità di un lavoro educativo
LA DIFESA DELLA VITA - L’Asl assicura: avvieremo un’indagine interna Ciangherotti, presidente di Federvita Liguria: «Ci sono già stati segnalati una decina di casi Presenteremo un esposto alla Procura di Savona» - «Autorizzato l’aborto ma lei non era incinta» - Il Cav di Albenga denuncia: nessuna visita, violata la 194 - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 26 marzo 2009
A borto facile in Liguria. Addirittura aborto senza feto. È quanto denunciano i volontari del Centro di aiuto alla vita di Albenga (Savona), che presenteranno oggi un esposto alla procura della Repubblica per segnalare una vicenda dai contorni paradossali, che fa sorgere più di un dubbio sulla corretta applicazione della legge 194 da parte di un consultorio pubblico. Anche se la Asl, senza entrare nell’episodio specifico, ribadisce di operare secondo la legge, e assicura l’avvio di un’indagine interna sui fatti segnalati.
Racconta Eraldo Ciangherotti, presidente del Centro di aiuto alla vita (Cav) ingauno e di Federvita Liguria: «Negli ultimi tre anni una decina di donne, che si erano rivolte a noi per un sostegno alla loro gravidanza, ci avevano segnalato che avevano ottenuto dal consultorio il certificato per abortire senza una visita ginecologica né un controllo di esami ematochimici che accertassero la gravidanza». Di recente la decisione di fare una verifica: «Una nostra collaboratrice – continua Ciangherotti – si è presentata al Consultorio familiare Asl di Albenga, dichiarando di essere in ritardo di dieci settimane dall’ultima mestruazione e in condizioni economiche disagiate». In realtà, la donna non era incinta, come dimostrano le analisi delle urine in suo possesso, ma non è stata visitata: «Eppure – continua Ciangherotti – ha ottenuto un certificato attestante l’urgenza dell’intervento di interruzione volontaria di gravidanza». Si legge infatti nel certificato che « accertato lo stato di gravidanza ed espletate le procedure previste dal 2° comma dell’art. 5» della legge 194 e «riscontrata l’esistenza delle condizioni di cui al 3° comma dello stesso articolo », il consultorio «dichiara urgente l’intervento, per cui la richiedente può presentarsi immediatamente in una delle sedi autorizzate». Il tutto firmato da un ginecologo della Asl2 Savonese. L’esposto alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Savona chiederà di verificare se siano ravvisabili estremi di fatti penalmente rilevanti. «I con- sultori pubblici – continua Ciangherotti – di fatto disattendono la legge 194, perché non contribuiscono a far superare le cause che potrebbero indurre le donne all’interruzione della gravidanza». La posizione della Asl è contenuta in un comunicato stampa in cui si ribadisce che «il consultorio familiare, nell’applicazione delle procedure stabilite dalla legge 194/78, assiste la donna in stato di gravidanza operando conformemente alla normativa ». In relazione al caso segnalato, «si ritiene che i contenuti debbano essere sottoposti all’attenzione delle autorità competenti per le azioni del caso, in modo tale che le eventuali inadempienze o responsabilità individuali rilevate vengano accertate. L’azienda si impegna ad avviare indagine interna circa i fatti segnalati nel consultorio di Albenga». Da parte sua, il Cav non manca di ribadire la volontà di collaborare: «Basterebbe poco – continua Ciangherotti – per una reale tutela sociale della maternità, basterebbe già solo un protocollo di intesa tra Asl, Comuni e Centri di aiuto alla vita». Lamenta la vicepresidente del Cav di Albenga, Ginetta Perrone: «Di tutta la provincia di Savona, solo il Comune di Loano ad oggi ha inteso promuovere la maternità disagiata, investendo risorse economiche in sinergia con i volontari del Centro di aiuto alla vita ingauno».
Commenta l’episodio di Albenga anche il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione: «Da tempo in molti erano convinti che molti consultori familiari fossero in realtà dei bancomat per la distribuzione di certificati di autorizzazione all’aborto. Adesso c’è la prova provata. Noi chiediamo di applicare la legge 194 la cui parte a favore della prevenzione dell’aborto è spesso disattesa in modo vergognoso ».
visitata
1) Maria a Medjugorje: Messaggio del 25 marzo 2009 - Cari figli, in questo tempo di primavera quando tutto si risveglia dal sonno dell’inverno, svegliate anche voi le vostre anime con la preghiera affinchè siano pronte ad accogliere la luce di Gesù risorto. Sia Lui, figlioli, ad avvicinarvi al suo Cuore affinchè siate aperti alla vita eterna. Prego per voi e intercedo presso l’Altissimo per la vostra sincera conversione. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
2) 25/03/2009 14.15.38 . – Un avvenimento umile e nascosto, ma decisivo per l’umanità: l’insegnamento di Benedetto XVI sul Mistero dell'Annunciazione – Radio Vaticana
3) IL PRESERVATIVO CHE NON PRESERVA ANZI CHE UCCIDE - Di sicurezza, il preservativo, ne offre tanta quanta il tamburo di un revolver nella roulette russa, parola di studiosi. Cosa c’è quindi dietro a tutto questo? Enormi interessi economici e l’ideologia antivita…
4) Il profilattico non è stata la soluzione all'Aids in Sudafrica - Un video conferma le parole del Papa - JOHANNESBURG, mercoledì, 25 marzo 2009 (ZENIT.org).- Una nuova pagina web offre documenti audiovisivi in cui si mostra come sia possibile lottare contro l'Aids da una prospettiva cristiana e come, a partire dall'esperienza sudafricana, il profilattico non stia fermando la pandemia.
5) USA/ La politica del capro espiatorio - Lorenzo Albacete - mercoledì 25 marzo 2009 – ilsussidiario.net
6) BIOETICA/ Tutte le bugie che si raccontano sulle staminali embrionali - Augusto Pessina - mercoledì 25 marzo 2009 – ilsussidiario.net
7) TESTIMONIANZA/ Il mio aiuto ai bimbi sieropositivi in Romania - Redazione - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
8) PAPA/ Pansa: onore a un uomo che parla con franchezza, e dà fastidio ai falsi laici - INT. Giampaolo Pansa - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
9) Quella verità che cambia la storia - Roberto Fontolan - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
10) JEAN GUITTON/ L’uomo, quel limite alla perenne ricerca di senso - Michele Lenoci - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
11) A DECIDERE È L’IDEALE DEL CUORE - QUEL CHE CI TIENE INSIEME. IN TEMPO DI CRISI - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 26 marzo 2009
12) L’Aids in Africa: noi, scienziati col Papa - Le «evidenze» che confermano come combattere il virus - DI RICCARDO CASCIOLI – Avvenire, 26 marzo 2009
13) LA DIFESA DELLA VITA - L’Asl assicura: avvieremo un’indagine interna Ciangherotti, presidente di Federvita Liguria: «Ci sono già stati segnalati una decina di casi Presenteremo un esposto alla Procura di Savona» - «Autorizzato l’aborto ma lei non era incinta» - Il Cav di Albenga denuncia: nessuna visita, violata la 194 - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 26 marzo 2009
25/03/2009 14.15.38 . – Un avvenimento umile e nascosto, ma decisivo per l’umanità: l’insegnamento di Benedetto XVI sul Mistero dell'Annunciazione – Radio Vaticana
Ricorre oggi la Solennità dell’Annunciazione della Beata Vergine Maria, “stupendo mistero della fede” al quale Benedetto XVI ha dedicato numerose riflessioni fin dai primi passi del suo Pontificato. Un avvenimento “umile e nascosto”, lo ha definito il Papa, “ma al tempo stesso decisivo per la storia dell’umanità”. In quel sì della Vergine all’annuncio dell’Angelo, sottolinea il Pontefice, incomincia la nuova era della storia sancita poi nella Pasqua come “nuova ed eterna Alleanza”. Il servizio di Alessandro Gisotti
La gioia di un Annuncio che cambia l’umanità per sempre: nella sua prima visita ad una parrocchia romana, il 18 dicembre 2005, Benedetto XVI si sofferma con i fedeli sul Mistero dell’Annunciazione e spiega il significato autentico del saluto che l’Angelo rivolge alla Vergine, Kaire Maria:
“Significa di per sé ‘gioisci’, ‘rallegrati’. Solo con questo dialogo dell’Angelo con Maria comincia realmente il Nuovo Testamento. Così possiamo dire che la prima parola del Nuovo Testamento è ‘gioisci’, ‘rallegrati’, è ‘gioia’”.
L’Angelo, ricorda il Papa, invita Maria a “non temere” e Lei si affida completamente al Signore:
“Maria dice sì alla volontà grande, apparentemente troppo grande, per un uomo. Questo sì che appare talvolta così difficile. Vogliamo preferire la nostra volontà”.
Maria diventa così un esempio per tutti noi. Ci mostra la gioia che deriva dal fare la volontà del Padre:
“Appare inizialmente come un peso quasi insopportabile, un giogo non da portare, ma in realtà non è un peso la volontà di Dio. La volontà di Dio ci dona ali per volare in alto”.
Il 31 maggio dell’anno scorso, a conclusione del Mese mariano, il Papa torna sul Mistero avvenuto nell’umile casa di Nazareth:
“Immaginiamo lo stato d’animo della Vergine dopo l’Annunciazione, quando l’Angelo partì da Lei. Maria si ritrovò con un grande mistero racchiuso nel grembo; sapeva che qualcosa di straordinariamente unico era accaduto; si rendeva conto che era iniziato l’ultimo capitolo della storia della salvezza del mondo”.
Il sì di Maria, è la riflessione del Papa all’Angelus del 25 marzo 2007, è “il riflesso perfetto di quello di Cristo stesso quando entrò nel mondo”:
“L’obbedienza del Figlio si rispecchia nell’obbedienza della Madre e così, per l’incontro di questi due 'sì', Dio ha potuto assumere un volto di uomo. Ecco perché l’Annunciazione è anche una festa cristologica, perché celebra un mistero centrale di Cristo: la sua Incarnazione”.
"Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua Parola", risponde Maria all’Angelo. E il frutto di quella risposta, sottolinea Benedetto XVI, è presente nella vita della Chiesa:
“La risposta di Maria all’Angelo si prolunga nella Chiesa, chiamata a rendere presente Cristo nella storia, offrendo la propria disponibilità perché Dio possa continuare a visitare l’umanità con la sua misericordia”.
IL PRESERVATIVO CHE NON PRESERVA ANZI CHE UCCIDE - Di sicurezza, il preservativo, ne offre tanta quanta il tamburo di un revolver nella roulette russa, parola di studiosi. Cosa c’è quindi dietro a tutto questo? Enormi interessi economici e l’ideologia antivita…
Siamo alle solite.
Appena il Papa apre bocca, si scatena il putiferio. Anche quando dice cose ovvie e semplicissime, come il fatto che il preservativo non serve ad evitare il diffondersi dell’aids.
Naturalmente, c’è chi si è affrettato a dire che il Papa stava solo esponendo, come è logico, la dottrina morale cattolica. Ma Egli parlava soprattutto in difesa della vita di milioni di bambini e adulti.
Per dirla con le parole nude e crude della scienza, uno studio neanche troppo recente (1990) della “JOHN HOPKINS UNIVERSITY”, («Population Reports», vol. XVIII, n. 3, serie H, n. 8), il contatto diretto con sperma infetto è la causa principale della trasmissione per via sessuale del virus dell’Aids. In una eiaculazione vengono emessi circa 3,5 millilitri di sperma, e il liquido seminale di un uomo sieropositivo contiene più o meno 100.000 particelle di virus per microlitro (0,001 millilitri). Una caratteristica dei virus è proprio la loro dimensione incredibilmente ridotta. Al microscopio elettronico si è potuto costatare che il virus Hiv è una pallina del diametro di appena 100 nm (nanometri), cioè 0,1 micron (1 micron = 0,001 mm e 1 nanometro è un miliardesimo di metro). Ciò significa che il diametro della parte più grossa dello spermatozoo, la testa, che è di 3 micron, è trenta volte più grande del virus dell’Hiv. E’ come dire che, se lo spermatozoo ce la fa a oltrepassare la parete del preservativo, il transito è trenta volte più comodo per il virus.
I vari test eseguiti dall’industria della gomma (test di permeabilità sotto pressione, test elettrico, ecc.) dimostrano chiaramente che “Sulla superficie del preservativo la struttura onginale appare al microscopio come un insieme di crateri e pori. I crateri hanno un diametro di circa 15 micron e sono profondi 30 micron. Più importante per la trasmissione dei virus è la scoperta di canali del diametro medio di 5 micron, che trapassano la parete da parte a parte. Ciò significa un collegamento diretto tra l’interno e l’esterno del preservativo attraverso un condotto grande 50 volte il virus” (C.M. ROLAND, The Barrier Performance of Latex Rubber, in «Rubber World», giugno 1993, p. 15).
Ed è noto che il preservativo non è una barriera assoluta contro il concepimento, nonostante che per il concepimento siano necessari milioni di spermatozoi, mentre per l’infezione bastano pochi virus!
L’illusione che fa aumentare il rischio e che uccide!
“Soprattutto per i giovani, che non pare si preoccupino tanto di che cosa ci sia di vero in questa millantata sicurezza, un simile consiglio può essere piuttosto uno stimolo a «provarci» ogni tanto, proprio perché istigati da questa propaganda del preservativo.
Ma uno già positivo Hiv, pur non volendo nuocere ad altri, può essere invogliato a rapporti nell’illusione della barriera.
Un’infezione da Hiv è tuttora una malattia mortale, ma a chi mette in giro questa pubblicità col finanziamento, in questo caso, dai vari ministeri della sanità non pare che importi molto di avere cadaveri sulla coscienza…di sicurezza, il preservativo, ne offre tanta quanta il tamburo di un revolver nella roulette russa” (Joannes P.M. Lelkens, Aids: il preservativo non preserva, 1994).
Cosa c’è quindi dietro a tutto questo?
Enormi interessi economici e l’ideologia antivita.
Giuseppe Garrone
Elena Baldini
http://www.comitatoveritaevita.it/repository/Il_preservativo_che_non_preserva.pdf
Comitato Verità e Vita - 23 Marzo 2009
Il profilattico non è stata la soluzione all'Aids in Sudafrica - Un video conferma le parole del Papa - JOHANNESBURG, mercoledì, 25 marzo 2009 (ZENIT.org).- Una nuova pagina web offre documenti audiovisivi in cui si mostra come sia possibile lottare contro l'Aids da una prospettiva cristiana e come, a partire dall'esperienza sudafricana, il profilattico non stia fermando la pandemia.
L'iniziativa, lanciata recentemente in rete, pubblica i documenti, prodotti da Metanoia Media, "Seminare tra le lacrime", vincitore di vari premi, e "E' arrivato il cambiamento", in cui si presentano immagini e testimonianze inedite degli attivisti cattolici nella lotta all'Aids in Sudafrica e Uganda.
Norman Servais, direttore della compagnia di produzione sudafricana, ha spiegato a ZENIT che il suo Paese, "come si sa, è la capitale mondiale dell'Aids, e per questo possono parlarci di preservativi, se vogliono, ma noi risponderemo che non sono la soluzione".
Il Vescovo Hugh Slattery di Tzaneen (Sudafrica) ha promosso la produzione di questi video come parte di un programma per rispondere all'Aids da un punto di vista cattolico.
In un'intervista a ZENIT, monsignor Slattery spiega che l'obiettivo del secondo documentario è mostrare che "l'astinenza prematrimoniale e la fedeltà nel matrimonio fermeranno rapidamente la diffusione dell'Aids".
Un terzo documentario della serie, "Chiamati a prestare aiuto", affronterà il tema dell'"assistenza ai malati, ai moribondi e agli orfani dell'Aids", ha commentato il produttore.
Il quarto video, che verrà pubblicato alla fine dell'anno, mostrerà "il matrimonio e la famiglia come l'autentica soluzione alla pandemia dell'Aids".
Per ulteriori informazioni, http://www.catholicportal.co.za/AIDS/The_Change_Is_On.htm
USA/ La politica del capro espiatorio - Lorenzo Albacete - mercoledì 25 marzo 2009 – ilsussidiario.net
La settimana scorsa, i notiziari sono stati occupati soprattutto dalla crisi economica e dalle iniziative del presidente Obama in proposito. Talvolta è come se nient’altro stesse accadendo nel mondo. Per l’americano medio è difficile giudicare sia il programma del presidente per la ripresa economica, sia le critiche che gli vengono fatte. Qualsiasi cosa un esperto in economia possa dire, è facile trovarne un altro che dice esattamente l’opposto, ed è esattamente ciò che sta succedendo sui media, specialmente sulle televisioni via cavo dedicate esclusivamente ai notiziari. Tutto questo rende la gente sempre più frustrata e arrabbiata.
Coscienti del montare della rabbia, i politici nel Congresso tendono a riformulare il problema in termini di capro espiatorio contro il quale prendere iniziative. I “cattivi” di questa settimana sono state le società che, ricevuti fondi federali (quindi dei contribuenti), li hanno usati per pagare elevati bonus ai propri dirigenti, sulla base di contratti firmati prima di ricevere soldi dal governo. Per dimostrare la propria comprensione per la rabbia della gente, il Congresso vuole imporre una tassa del 90% su questi bonus. Questa proposta, però, ha allarmato molti osservatori, che temono costituisca un precedente per un dannoso potere eccessivo del Congresso.
Un commentatore l’ha definita la “politica della distrazione”, un tentativo di stornare l’attenzione pubblica verso un facile scontro “cattivi contro buoni”, invece di educare le persone affinché possano giudicare adeguatamente su queste questioni complesse. Il governo e i media sono entrambi avvantaggiati da queste politiche diversive, perché consentono di ridurre le questioni a quelle “battute” su cui prosperano i media.
Sepolte sotto questa valanga di sensazionalismo vi sono notizie di gran lunga più importanti. Una di queste è la decisione del governatore del Nuovo Messico, Bill Richardson, di firmare questa settimana la legge, già approvata dal parlamento statale, che abolisce la pena di morte. Bill Richardson è un latino-americano cattolico e la conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, schierata per l’abolizione della pena capitale, gli ha inviato una lettera di ringraziamento per la sua coraggiosa decisione (la maggioranza degli americani è in favore della pena di morte). Richardson è un Democratico e un deciso sostenitore di Obama, preso in considerazione a suo tempo come possibile candidato alla vicepresidenza.
Il parlamento del Nuovo Messico è dominato dai Democratici, molti dei quali cattolici, ma la legge è passata e Richardson l’ha firmata senza far alcun riferimento di nessun tipo a una posizione pro-life. La ragione è semplice: la gran parte dei politici cattolici che si oppongono alla pena di morte sono, però, a favore del diritto di abortire.
BIOETICA/ Tutte le bugie che si raccontano sulle staminali embrionali - Augusto Pessina - mercoledì 25 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Da un po’ di tempo quando si parla delle frontiere della cosiddetta biomedicina sembra divenuto obbligatorio parlare di cellule staminali. In particolare, il tema è ritornato di interesse a seguito della decisione di Obama di utilizzare fondi federali per la ricerca sulle cosiddette cellule staminali embrionali. Infatti, di questo si tratta (dell’uso dei fondi federali, quindi pubblici) perché negli Usa non è vietato utilizzare embrioni per derivare cellule se ciò avviene con fondi privati.
L’occasione permette di intervenire brevemente per chiarire alcuni aspetti che spesso chi “non è addetto ai lavori” non ha affatto chiari e che alcuni “addetti ai lavori” preferiscono lasciare confusi o addirittura confondere deliberatamente.
La prima questione è che (contrariamente a quanto riportato in molti siti cosiddetti informativi-educational) le cosiddette “cellule staminali embrionali” che vengono coltivate in vitro non sono il risultato di un delicato (per quanto assai pericoloso) prelievo di cellule da un embrione che seguirà il suo iter naturale fino alla nascita. Se così fosse, fatti salvi gli aspetti gravissimi di rischio cui l’embrione verrebbe sottoposto nell’intervento, di certo il problema etico si porrebbe in ben altro modo. Deve essere invece chiaro a tutti che l’embrione viene distrutto per disaggregarne le cellule che sono “tout court” cellule embrionali (e non staminali) e che vengono coltivate in vitro dove poroliferano con caratteristiche di pluripotenza. È evidente a tutti che tale operazione coincide con “l’uccisione” di un essere umano, mentre è nel suo stadio più iniziale, allo scopo di ricavarne cellule da coltivare in una bottiglia.
Un secondo elemento su cui fare chiarezza (solo apparentemente più tecnico) riguarda appunto la natura di queste cellule che non sono quindi cellule “di per sé” staminali.
Le cellule “propriamente” definibili come staminali sono, per fisiologia e scopo, quelle di un organismo adulto del quale hanno proprio il compito di garantirne prima la crescita, poi il rinnovo e la riparazione di organi e tessuti. Lo zigote non è una cellula staminale e l’embrione che ne deriva non è quindi un pool di cellule staminali. Un feto ha già una riserva di cellule staminali fetali, un embrione ha solo cellule embrionali. Il termine “cellula staminale embrionale” è quindi inesatto e comunque ambiguo e contraddittorio innanzitutto per ciò che riguarda la natura propriamente biologica-funzionale di queste cellule. Il termine “embrionale” sembra voler accentuare il grado di plasticità di queste cellule (che nella blastocisti possono essere totipotenti) ma il termine “staminale” è applicabile alle sole cellule ottenute in vitro che sono solo pluripotenti. Non basta che cellule embrionali siano messe in vitro per poterle definire cellule staminali. In questa sede non è possibile riportare e dettagliare la miriade di caratteri per cui una cellula embrionale è completamente diversa da una cellula staminale (tra i quali le modalità della divisione cellulare, l’espressione genetica differenziale,ecc). Le cellule dell’embrione hanno una plasticità, una natura ed una fisiologia cellulare uniche in biologia. Ad esse venne arbitariamente dato il nome di ESC (embryo stem cells della terminologia anglosassone) per alcune ragioni tecniche che non è possibile dettagliare qui.
È tuttavia evidente a tutti che quando l’unità anatomico-funzionale (data dalla struttura embrionale) viene distrutta e le cellule sono coltivate in una bottiglia da laboratorio, esse non possono originare un organismo completo (funzionalmente ed anatomicamente) pur mantenendo la capacità di originare vari tipi di tessuti (da cui la pluripotenza e non la totipotenza).
Quanto sopra descritto non è una banale questione di linguaggio tecnico e dalla confusione di comunicazione su questi aspetti ne derivano storture assai gravi non solo nella percezione della gente ma anche in chi ha il compito di regolare con leggi adeguate l’utilizzo delle staminali in medicina.
Per esempio, nella comunicazione circa l’uso delle cellule staminali si parla spesso dei successi ottenuti in clinica, ma non si precisa a sufficienza che ci si riferisce alle “staminali da adulto” (per esempio alle cellule staminali mesenchimali utilizzate già in clinica in varie situazioni patologiche). Così, viene spesso sottaciuto che le cellule embrionali sono assai difficili da controllare e che in clinica (oltre che nella sperimentazione animale) hanno prodotto tumori come recentemente riportato dalla rivista PlosMedicine. Da ultimo è anche importante ricordare che chi propugna la cosiddetta “clonazione terapeutica” per ottenere “cellule staminali”, intende proporre la produzione di embrioni umani da “sacrificare” per ottenere cellule pluripotenti.
Di fronte a queste cose, da uomini ancor prima che da ricercatori, viene spontaneo chiedersi se possiamo chiamare progresso il dare la vita ad esseri umani per metterli in una bottiglia e farne cellule per il mercato biomedico.
TESTIMONIANZA/ Il mio aiuto ai bimbi sieropositivi in Romania - Redazione - lunedì 23 marzo 2009 – ilsussidiario.net
A proposito di quello che ha detto il Santo Padre in merito alla lotta contro l’AIDS, sono rimasta profondamente sconcertata per il clamore e le polemiche che ne sono seguite.
Vivo in Romania dove lavoro con giovani sieropositivi, e oltre ad essere profondamente convinta che l’AIDS non si combatte con i preservativi, sostengo che il punto non è questo! Accentuando inutili polemiche continuiamo a non voler guardare la realtà, che è fatta innanzi tutto di persone come me e come te, non di proclami.
Anzi, aggiungo che sono molto preoccupata di quello che potrà accadere e che sta accadendo nel paese in cui vivo, perché tra qualche anno rischiamo di vedere una esplosione del problema dell’AIDS senza che ce ne accorgiamo, nonostante siamo tutti ben bene informati sull’uso del profilattico.
In Romania l’epidemiologia dell’Aids sembra un caso unico: la Romania è il Paese del mondo in cui i casi di Hiv o Aids dovuti a trasmissione orizzontale non sessuale rappresentano ancora oggi, venticinque anni dopo l’inizio della pandemia, la maggior parte di tutti i casi registrati. È l’unico Paese del mondo dove il numero dei bambini morti a causa dell’Aids è superiore a quello degli adulti. Ed è l’unico paese del mondo dove la maggioranza degli infettati in vita è costituita da adolescenti. Le cifre parlano chiaro: fra il dicembre 1985 e il dicembre 2007 (ultimo dato disponibile) in Romania sono stati registrati 15.085 casi cumulativi di Hiv-Aids; di essi 9.737 sono stati diagnosticati a bambini e 5.348 ad adulti (dati della commissione mista multi settoriale per lotta AIDS).
La Fondazione AVSI, con cui io lavoro da 11 anni, ha iniziato a lavorare nel paese nel 1994 costruendo il padiglione pediatrico presso l’ospedale di malattie infettive Victor Babes di Bucarest, dove i bambini malati di Aids vivevano in condizioni decisamente inadeguate all’infanzia. Il nuovo padiglione è stato realizzato seguito il modello di eccellenza del Bambin Gesù, che poi ha anche formato il personale medico e paramedico.
Nessuno si aspettava che cure mediche adeguate avrebbero permesso la sopravvivenza di quei bambini sieropositivi, che hanno provocato una questione sociale, spesso affrontata con l’istituzionalizzazione.
Nel 1996, grazie anche alla collaborazione con una nascente ong locale, Fundatia Dezvoltarea Popoarelor (fondazione per lo sviluppo dei popoli) hanno preso avvio nuovi progetti sociali e di accoglienza.
Nel 1998 ha preso avvio un progetto con il difficile obiettivo di ricerca delle famiglie di origine di bambini sieropositivi abbandonati per una loro reintegrazione in famiglia.
Abbiamo incontrato e cercato di deistituzionalizzare circa 50 bambini abbandonati presso l’ospedale Victor Babes e circa 100 bambini abbandonati nell’istituto di Vidra, un villaggio a circa 20 km da Bucarest. Nello stesso tempo abbiamo sostenuto 50 famiglie per prevenire l’abbandono di altri 50 bambini HIV+ nella propria famiglia naturale.
Tra il 2000 e il 2003 sono state avviate 3 case di tipo famigliare con 21 bambini e 6 famiglie affidatarie che hanno accolto 7 minori sieropositivi dallo stesso istituto.
Quello che è rilevante è che questi bambini che noi abbiamo conosciuto anni fa, che abbiamo accolto, che abbiamo amato e accompagnato nel loro percorso sono ora diventati grandi e iniziano a vivere una nuova fase della loro vita, e come loro anche le altre miglialia di adolescenti sieropositivi della Romania.
Le loro domande si fanno sempre più pressanti: “quanto tempo vivrò?”; “ma potrò avere una famiglia?”; “ma se avrò dei figli saranno sani?”.
I loro desideri non si esauriscono a un “rapporto protetto”, desiderano molto di più. Desiderano un compimento, desiderano una normalità, desiderano, esattamente come me, la felicità. Sono ragazzi che ora cominciano a giocare la propria libertà con percorsi faticosi di autonomia sociale e lavorativa, sono ragazzi che si innamorano, che vanno a lavorare (almeno ci provano) e che vivono spesso una grande rabbia per l’abbandono subito e la malattia, circostanze che non possiamo noi negare e con cui ognuno di loro fa i conti ogni mattina appena sveglio, ammesso, tra l’altro, che desideri ancora svegliarsi.
Come è possibile che ci fermiamo sempre e solo a parlare del preservativo?Come possibile che non ci accorgiamo che il problema è un altro? Perché è cosi difficile guardare la persona nella sua totalità di desideri, di attesa, di bisogno?Personalmente ogni giorno mi rendo conto di correre il rischio di ridurre uno dei “miei” ragazzi a un malato, magari con una preoccupazione anche buona, per una iperprotezione, ma mi accorgo del rischio che corro di guardare ognuno di loro come "sieropositivo" e non come persona unica e irripetibile con un cuore con le stesse domande e esigenze di felicità e di compimento che ha anche il mio cuore. Quando sono più attenta invece e guardo i loro volti vedo che il loro cuore desidera molto di più, anzi grida molto di più!
Non solo quindi la via per sconfiggere l'AIDS è un'altra, ma mi chiedo: non ci rendiamo conto di come, facendo finta di essere buoni, riduciamo la questione? E' possibile che sentir parlare di "umanizzazione della sessualità", di "amicizia" e di "comportamento giusto" ci faccia così arrabbiare? Siamo davvero convinti che il grido del cuore si possa esaurire cosi semplicemente? O non è forse più realistica Rose di Kampala che dice: «il problema è capire se la vita ha un senso. Solo così posso voler bene a me e a chi ho davanti»?
Simona Carobene
AVSI Romania
PAPA/ Pansa: onore a un uomo che parla con franchezza, e dà fastidio ai falsi laici - INT. Giampaolo Pansa - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Un Papa solitario, un Papa anti-moderno, un Papa che non è più seguito nemmeno dai cattolici: più i giorni passano e più i giornali cercano di dipingere e confermare la figura di un Benedetto XVI lontano dal mondo e dalla Chiesa. D’altronde si sa: quando si decide che una persona non è bene accetta nel giro della grande opinione pubblica, per lui non c’è più speranza.
Giampaolo Pansa questo lo sa. Lui che non è certo tacciabile di clericalismo, e che nemmeno condivide molte delle cose che il Papa dice, conosce però alla perfezione questo clima da pubblica accusa nei confronti di chi non si allinea al pensiero generale, alla vulgata dominante intorno a certi argomenti. E non esita a ravvisare, nei confronti di Ratzinger, questo stesso atteggiamento.
Pansa, c’è dunque secondo lei il rischio di un generale diffondersi di un “pensiero unico”, soprattutto nei giornali, corredato da un catalogo precostituito di simpatici e antipatici (tra cui questo Papa)?
Questo rischio c’è sempre, non solo nei confronti del Papa. Se poi parliamo in particolare dei giornali italiani è una cosa che avviene normalmente, perché i nostri quotidiani sono animati da una faziosità che è sempre più stupefacente. E non sto parlando dei giornali di partito, bensì dei giornali che dovrebbero essere di informazione, i quali invece prima del dovere di informare sentono un altro dovere, sbagliato e intossicato, che è quello di esprimere sempre opinioni, dicendo chi è buono e chi è cattivo, chi è bello e chi è brutto.
E sul Papa in particolare che atteggiamento c’è secondo lei?
Per quanto riguarda il Papa naturalmente siamo tutti un po’ influenzati dalle ultime polemiche su quanto egli ha detto in Africa, a proposito della diffusione dell’Aids e dell’utilità o meno dell’uso del preservativo. Io, che pure non ho nessuna esperienza in tema di medicina e di Aids, penso che comunque l’uso del preservativo sia utile. Certo non è la soluzione del problema, e prova ne è il fatto che l’Aids non sia stato sconfitto: non ci sarebbe nulla di più facile che diffondere preservativi in quantità enormi in tutto il mondo, e se bastasse quello l’Aids non ci sarebbe più. Invece questo male c’è ancora, non solo in paesi poveri come quelli africani, ma anche in quelli evoluti come quelli occidentali. Quindi di certo il preservativo non basta.
E Ratzinger, in realtà, non ha detto una cosa molto diversa da questa. Ma allora le chiedo: perché tante reazioni così scomposte nei suoi confronti?
Perché è una persona franca, che parla con chiarezza. Ogni Papa, come anche ogni capo di Stato (anche se qui stiamo parlando di un personaggio che ha molto più peso in quanto capo della Chiesa cattolica, che va oltre le nazioni e in più coinvolge la vita delle persone e le tocca nel profondo, negli atteggiamenti e nei comportamenti) il Papa, dicevo, ha una propria personalità, diversa da quella di tutti gli altri Papi. A me, confesso, la franchezza di Ratzinger piace, seppure spesso io non condivida le sue conclusioni. È meglio avere un pontefice che parla chiaro che uno troppo cauto nel manifestare il proprio pensiero. Proprio per questo motivo, non mi stupisco che poi susciti delle reazioni. E mi sembra anche giusto che succeda; in fondo basta aspettare che passi il momento della polemica più aspra. Anche i cattolici devono evitare di scandalizzarsi, dicendo che il Papa è stato offeso: eviterei di parlare della cosa in questo modo.
Quindi è positivo che nascano polemiche…
Diciamo che il fatto di parlare con chiarezza, e quindi di suscitare polemiche per quello che dice, è una cosa che fa sicuramente onore a Benedetto XVI. Io personalmente sono abituato a suscitare polemiche, con i miei libri. Ma è meglio suscitare polemiche che indifferenza. E questo per chi pensa che il Papa sia una personalità utile al mondo (usiamo pure questi termini pure un po’ banali) dovrebbe essere un fatto positivo.
In realtà l’aggettivo “utile” è molto pertinente: significa che vale la pena per tutti ascoltare quello che dice, anche per i laici?
Certo, e guai se non fosse così. Un vero laico non può che guardare con attenzione quello che dice Benedetto XVI; poi può condividere o non condividere. Ma il laico che si infastidisce perché il Papa esprime la sua posizione, diventa un personaggio ridicolo. Anzi, semplicemente non è più un laico.
Torniamo ai giornali: perché è così difficile parlare di quello che accade, e si punta tutto su opinioni e interpretazioni?
Io penso che i giornalisti dovrebbero innanzitutto raccontare ai loro lettori quello che succede. E poi, se i lettori lo desiderano, fornire un commento. Invece in tante testate italiane si è capovolto questo principio: prima si commenta, e poi, se resta spazio, si dice quello che è successo. È una malattia terribile, anche se una malattia vecchia. Io ho scritto due libri su questo: nel ’77 “Comprati e venduti”, e poi nell’86 “Carte false”: ebbene, da allora ad oggi la situazione è enormemente peggiorata. Poi, più i giornali sono grandi e più si sentono obbligati ad essere i portatori di una bandiera politica. Il caso più evidente è quello di Repubblica.
Che non a caso è il giornale che ha condotto e conduce più di ogni altro la polemica sul Papa…
Ha spiegato bene la cosa, in un editoriale sul Riformista, Andrea Romano, il quale ha parlato della «pedagogia autoritaria» che questo giornale cerca di operare. In fondo è l’unico vero giornale di partito che è rimasto in Italia. Ma forse non si rendono conto che, continuando ad esporre questo “pensiero unico”, poi alla fine i lettori si stancano. Non a caso, come ho visto di recente nelle statistiche per altro pubblicate dall’Unità, Repubblica è il giornale che perde di più, anno dopo anno. I lettori, in fondo, si stancano di vedere la vignetta di Elle Kappa che nei giorni pari è contro Berlusconi, e nei giorni dispari contro il Papa.
Alzano il tono della polemica faziosa per avere più lettori, e invece li perdono?
C’è una cosa anche peggiore di questa, che si vede ancora nelle critiche fatte a Benedetto XVI sulla questione dell’Aids, e cioè che c’è una sorta di concetto superbo del proprio mestiere. Non è solo la ricerca del clamore per attrarre lettori – che poi, appunto, non serve – ma è un’idea sbagliata del proprio mestiere per cui ci si concepisce come i “superman” dell’opinione pubblica italiana. Non per nulla, ora che in particolare l’opinione pubblica di sinistra è molto acciaccata e non sa più come riprendersi, si rifugiano allora nel dire che non esiste più un’opinione pubblica in Italia. Invece non è assolutamente così: una delle cose positive di questo Paese, nonostante tutto, è che ci sono molte opinioni pubbliche. Quindi, in conclusione, io sono per un giornalismo diverso: energico, coraggioso, ma che sappia distinguere le proprie opinioni da quello che accade nella realtà.
(Rossano Salini)
Quella verità che cambia la storia - Roberto Fontolan - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Il caso del film Katyn, dedicato all’eccidio degli ufficiali polacchi ad opera dell’esercito sovietico, ripropone il tema della verità storica e del suo rapporto con il presente. La Russia boicotta il film perché fatica ad ammettere la propria responsabilità negli orrori subiti dalla Polonia.
Comprenderne le ragioni riesce difficile perché chi dovrebbe ammettere delle colpe è uno Stato che non c’è più, quello sovietico. E dunque, perché la Russia di oggi dovrebbe ereditare quel passato? Un problema simile c’è con l’Ucraina, relativamente alla grande carestia degli anni Trenta e allo sterminio dei contadini (per farsi un’idea rapida sfogliare qualche pagina dello straordinario Koba il terribile, di Martin Amis). Per gli ucraini è stato un genocidio, cioè l’intenzione di Mosca era di annientarli in quanto popolo, ma i russi respingono duramente l’accusa addebitando, in questo caso sì, la colpa al regime staliniano. Sul caso era intervenuto anche Solzenicyn, poco prima di morire, difendendo le ragioni nazionali.
Queste vicende sono in grado di mettere alla prova, anche dura, le relazioni tra gli Stati moderni: a distanza di decenni Russia e Polonia, Russia e Ucraina, non trovano pace. Armistizio si, ma una pace profonda e radicata no. La storia è sempre lì, in mezzo al campo di gioco. I serbi mantengono un ricordo vivissimo della disfatta subita nel 1389 a Kosovo Polje, quasi fosse accaduto ieri, e la Turchia, dopo quasi un secolo, non ammette il genocidio armeno, anzi, in questo 2009 nelle scuole viene fatto circolare un “documentario” che dovrebbe dimostrare la falsità dell’accusa.
Il “passato che non passa” è una formula coniata a proposito della capacità della Germania di fare o meno i conti con il ventennio nazista. E quando con il passato non si vogliono fare i conti, si cerca di cancellarlo, come dimostra la distruzione davanti agli occhi dell’Europa dell’eccezionale patrimonio architettonico cristiano nel nord di Cipro ad opera degli occupanti turchi. Ma è uno sforzo inutile. Per una parte e per fortuna il passato non passa mai. Torna sempre, magari nella forma di uno splendido film. O delle ricerche storiche, che hanno devastato il mito degli “italiani brava gente” all’opera nelle colonie, dalla Libia all’Etiopia.
E allora la verità della storia è un ostacolo? E che si fa quando le ragioni della verità confliggono con le ragioni della politica? Ad esempio, gli atti del Tribunale internazionale sono oggetto di grandi discussioni. Nessuno dubita che il famigerato Joseph Kony, leader dell’ugandese Lord’s Resistance Army si sia macchiato di gravissimi e innumerevoli crimini contro l’umanità (bambini soldato, schiavitù, tortura, ecc.), ma la decisione del Tribunale di incriminarlo e ricercarlo ha allontanato o avvicinato la possibilità di pacificare quella regione (anche i lunghi negoziati patrocinati da gloriose organizzazioni cattoliche sono falliti)? E come risolvere il recentissimo caso del sudanese Al Bashir, anch’egli incriminato per i massacri nel Darfur?
Sono problemi che potrebbero anche non avere una soluzione. In realtà, il passato non propone mai soluzioni. Israeliani e palestinesi, prigionieri della “guerra dei cento anni” (The Economist), non troveranno mai un accordo, se la piattaforma dell’accordo continua a essere fornita dal passato. Mai potrà essere resa interamente giustizia, mai potrà essere cancellato il fatto di aver subito o inflitto un torto.
Deve accadere qualcosa nel presente perché il passato possa essere accettato, assunto e compreso (esattamente il contrario della pretesa di eliminarlo o del tentativo di falsificarlo). Qualcosa che faccia scattare una mossa umana e quindi politica che sia diversa e che sia adesso. È possibile, come è stato possibile per i nord-irlandesi quindici anni fa, e vediamo ancora oggi quanto non si è mai assicurati del tutto dal male della storia. Ma è di una novità nel presente che hanno necessità le nazioni e i popoli per poter purificare e amare il passato. Del resto accade lo stesso nella vita dei singoli uomini.
STAMINALI/ Angelo Vescovi: ricavare sangue dagli embrioni? Falso e mostruoso
INT. Angelo Vescovi
giovedì 26 marzo 2009
È di pochi giorni fa la notizia, riportata dalla stragrande maggioranza dei nostri giornali, che un gruppo di ricercatori inglesi garantisce in tre anni la produzione di sangue per trasfusioni ottenuto mediante l’utilizzo di cellule staminali embrionali. Al di là che tale dichiarazione sia casualmente o meno di poco successiva alle decisioni prese dal presidente Obama, ci si domanda in virtù di quali dati i ricercatori inglesi possano affermare con certezza il conseguimento di un simile obiettivo e se la strada percorribile sia solamente quella delle cellule embrionali. Abbiamo chiesto al professor Angelo Vescovi di aiutarci a capire il senso di simili annunci, che forse un po’ troppo spesso suonano eccessivamente trionfalistici.
Dottor Vescovi, gli inglesi che hanno annunciato che entro tre anni riusciranno a produrre sangue umano grazie alle cellule staminali embrionali. Che cosa ne pensa?
Fra tre anni farò volare gli elefanti. Sempre che a qualcuno non dispiaccia.
È così alto il livello di improbabilità che le ispira una tale affermazione?
No, non è tanto l’improbabilità, quanto la “scientificità” dell’annuncio. Non riesco, in tutta onestà intellettuale, a capire il senso di una simile dichiarazione. Se è davvero così come dicono, fra tre anni, quando l’avranno fatto, saremo ben lieti di assistere a questo successo. Già il fatto di dichiarare tre anni significa che in mezzo c’è un percorso lungo e complesso: qualcosa potrebbe anche non andare. Non si riesce quindi a capire quale logica segua questo proclama. Ammesso che si tratti di logica umana. Da qui a crearci una notizia passa tutto l’interesse sintetizzato nella parola “pubblicità”.
Crede che quella inglese sia una dichiarazione in linea con la “moda” portata dal presidente Obama in tema di staminali?
Onestamente viene da sospettarlo, ma in tal senso non mi voglio sbilanciare. Certamente una moda c’è, a prescindere da Obama. Anzi si tratta più precisamente di un “riflusso”. Infatti tre anni fa, con la scoperta di Yamanaka, è venuto molto meno tutto l’alone di magia che circondava le macchine per la produzione delle staminali embrionali.
Faccio un passo indietro per spiegarmi meglio.
Nel giugno dell’anno 2006, Shinya Yamanaka, un ricercatore giapponese, portava a termine il cosiddetto sistema delle iPS, ovverosia l’inserimento in cellule adulte di alcuni geni che le fanno regredire allo stadio embrionale. È un meccanismo che in molti, tra i quali anch’io nel mio libro La cura che viene da dentro, avevamo predetto si sarebbe arrivati. Ma Yamanaka bruciò sul tempo le previsioni più azzardate. Con la sua scoperta le cose sono, come si può facilmente intuire, cambiate radicalmente. Da questo cambiamento repentino sono fioriti numerosi gruppi di scienziati che difendono accanitamente il vecchio metodo delle staminali embrionali.
Per quale motivo Yamanaka perseguì uno studio alternativo rispetto al tanto acclamato impiego di cellule staminali embrionali?
Occorre precisare che qui in Italia abbiamo una visione leggermente falsata di come vada il mondo scientifico internazionale. Non è vero, come ci fa passare la maggior parte dei giornali, che nel resto del mondo si possa “fare di tutto” con gli embrioni e che le altre nazioni siano emancipate dai problemi etici. Per ottenere le staminali embrionali bisogna letteralmente fare a pezzi un embrione umano. Ciò detta qualche perplessità perfino ai più inveterati e incalliti scienziati laicisti. Yamanaka ha semplicemente cercato di evitare di coinvolgere gli embrioni e ci è riuscito.
Ovviamente le prime reazioni sono state di scetticismo. La comunità scientifica internazionale considerò per molto tempo quella di questo ricercatore una scoperta fasulla, una bufala per farsi pubblicità. Poi si sollevò l’obiezione, vera in questo caso, che i geni inseriti nelle cellule fossero potenzialmente pericolosi per l’essere umano. Ma sorprendentemente, in tempi che non sono assolutamente soliti alla scienza, questo tipo di problemi venne risolto quasi subito.
La scoperta, com’è intuibile, creò qualche attrito all’interno del giro di affari formatosi intorno alle società di ricerca e sviluppo nell’area delle staminali?
Altroché! Ci si trovò di fronte a uno scenario dove, fino a pochi mesi prima, si utilizzavano gli embrioni per realizzare la famosa “clonazione terapeutica”, che peraltro non è mai riuscita a nessuno, e in cui di colpo si doveva cambiare prospettiva. Lei pensi che cosa può succedere a un settore che per vent’anni ha dominato l’utilizzo degli embrioni per ottenere le embrionali staminali, che per anni ha millantato un credito del tutto infondato, e cioè che la terapia cellulare potesse basarsi solo sulle embrionali staminali (una bugia fatta e finita), e che improvvisamente si trova di fronte le scoperte di Yamanaka. Significa che coloro che hanno ottenuto leggi e brevetti con prospettive economiche allettanti rischiano d’improvviso di veder crollare tutti i loro progetti di guadagno. Per questo prima, alla domanda sul sangue, ho risposto che si tratta di una dichiarazione simile a uno spot pubblicitario. Cercano di accaparrarsi in tempo più finanziamenti possibili.
È davvero così poco conveniente dunque, rispetto al metodo delle iPS, ricorrere alle embrionali?
Le riporto dei dati. Secondo un recentissimo articolo dell’American Journal of Epidemiology un’alta incidenza di tumori deriva dai bombardamenti ormonali cui si sono sottoposte le donne per ottenere gli embrioni da “sacrificare”. A questi si aggiungono forti disfunzioni organiche a molti casi di morte. Stranamente, a parte i giornali scientifici, pochi altri parlano di questi “effetti collaterali”. Eppure non so quanto piacere farebbe alle donne sapere che in questo frangente sono trattate come vere e proprie cavie.
Ma già ai tempi che precedevano la scoperta di Yamanaka noi ci chiedevamo quale razza di tecnica fosse una soluzione che richiedeva circa 200 oociti dalle donne e aveva un’efficacia del 2%. Se la pulsione che dettava questi studi era autenticamente quella di ottenere una cellula accettata per il trapianto, un’intenzione che faceva addirittura inventare un termine come “clonazione terapeutica” (non sono mai riusciti a curare niente, nemmeno un grillo!), allora l’obiettivo è davvero fallito.
È qui che non capisco Obama quando dichiara che sulle staminali embrionali bisogna guardare i fatti. Ma quali fatti sta guardando il presidente degli Stati Uniti?
Non credo che sia ipocrita, ma che sia semplicemente male informato. E questa mala informazione è dettata da molti interessi.
Avverte una radice ideologica in questo tipo di accanimento?
Sì, ma non soltanto. La radice è multiforme e variegata. Sono trent’anni che lavoro nel settore scientifico e direi che in questi casi c’è, in primis, un interesse di tipo professionale nel difendere le proprie convinzioni e ricerche, che magari durano da decenni. Questa posizione è umanamente comprensibile fino al momento in cui non induca a raccontare cose non vere in malafede.
Poi, come ho detto prima, c’è il problema dei brevetti, che dopo l’affermarsi della tecnica delle iPS, quindi fra qualche anno, saranno carta straccia.
In terzo luogo c’è la posizione fanatica laicista. A questo proposito ci tengo a precisare che io sono ateo convinto, non ho alcun tipo di fede religiosa. Ma le mie posizioni in questo frangente coincidono con quelle della Chiesa per un semplice motivo: le posizioni della Chiesa sono scientificamente le più ragionevoli, direi le più ovvie. Non accetto il dogma cocciuto di chi si ostina a dire che la scienza deve percorrere ogni strada. Non è vero. Esiste un’etica naturale che ti urla dentro che fare a pezzi un embrione è uccidere un uomo indifeso. Se non esistesse un’alternativa in questo campo per la ricerca allora forse avrei qualche dubbio in più, ma dal momento che si può fare ricerca sulle cellule col metodo iSP non capisco davvero dove sia il problema.
Molti laicisti vivono nella convinzione che qualunque posizione assuma la Chiesa cattolica sia necessariamente oscurantista. Per difendere una simile idea sono pronti ad abbracciare dogmi di rara assurdità. Come quello che riduce gli embrioni a un “grumo” di cellule. Ma già soltanto questa definizione pecca di un’assenza imperdonabile di scientificità.
Un’ultima domanda. Ferruccio Fazio, sottosegretario al welfare ha dichiarato, stando ai giornali, che grazie alle cellule del cordone ombelicale in Italia si otterranno gli stessi risultati annunciati in Inghilterra senza ricorrere alle staminali embrionali. Cosa ne pensa?
Dubito che Ferruccio Fazio, che è un medico, abbia detto una cosa così superficiale. Chissà che cosa hanno capito i giornali. Ci sono una serie di studi in cui il trapianto autologo di cellule provenienti dal cordone ombelicale dà risultati positivi nei bambini affetti da diabete mellifluo e altre interessanti prospettive, ma da qui a ritenere che questa sia la soluzione ne passa. Forse Fazio si è solo limitato a elencare tutti gli altri sistemi alternativi di cui la scienza dispone.
Il vero problema nel nostro Paese sono invece i finanziamenti per la ricerca. Non ci sono abbastanza soldi. Si consideri che i giapponesi, coi quali la Bayer sta litigando per avere il brevetto dell’iPS, stanno investendo in questo tipo di ricerca una quantità di stanziamenti analoga a quella che utilizzarono nella ricerca sui semiconduttori. Questo dà l’idea della sproporzione fra la nostra situazione e la loro. Speriamo che presto si consideri l’idea di effettuare investimenti strutturali degni di questo nome in tutto questo settore.
JEAN GUITTON/ L’uomo, quel limite alla perenne ricerca di senso - Michele Lenoci - giovedì 26 marzo 2009 – ilsussidiario.net
Dieci anni fa moriva Jean Guitton, l’ultimo grande intellettuale cattolico francese, accademico di Francia e pittore per diletto, amico di letterati e pensatori, come Claudel, Mauriac, Mounier, Blondel, Teilhard de Chardin, di statisti, come De Gaulle, Pompidou, Chirac, Mitterand, di pontefici romani, come Giovanni XXIII e, soprattutto, Paolo VI. Ha partecipato come osservatore al Concilio Vaticano II e, su esplicito invito di Paolo VI, ha rivolto la sua parola ai padri conciliari quando stavano discutendo gli ardui problemi dell’unità dei cristiani. Di formazione era filosofo e la sua preparazione era temprata sugli autori e i temi più classici, quali il rapporto tra tempo ed eternità in Plotino e Agostino, quasi a tracciare il confine tra la declinante grande filosofia greca e il nascente e battagliero pensiero cristiano, che di quella filosofia si impossessava, per trovare soluzioni creative a problemi antichi, i quali trovavano nella Rivelazione una formulazione nuova e inaudita. Ma come era comprensibile, soprattutto in un pensatore francese, Guitton ha anche studiato Cartesio, Leibniz e Pascal, per confrontarsi con quella modernità, che tanta importanza ha avuto negli sviluppi della filosofia d’Oltralpe e nell’evoluzione del pensiero europeo; anche qui, allo scopo di verificare in che misura ragione umana e dato rivelato contribuiscano ad offrire soluzioni originali e persuasive ai problemi esistenziali più urgenti. L’incontro decisivo, dal punto di vista della sua personale riflessione, sarà quello con Bergson, che considererà suo autentico maestro e di cui sarà l’erede spirituale, quando, dopo aver insegnato a Montpellier e Digione, salirà sulla cattedra di Storia della filosofia della Sorbona.
Da un certo punto di vista, Guitton appare un pensatore atipico, più intellettuale e maître à penser che filosofo di professione in senso stretto; si riconosce maggiormente nel filone spiritualista e agostiniano-pascaliano, piuttosto che nel vivace movimento di rinascita e ripresa del tomismo, portato avanti, in quegli anni, da pensatori del calibro di Maritain, Gilson e Sertillanges. Su due punti insiste la sua riflessione filosofica: la ragione e la critica hanno i loro diritti, che vanno affermati in una ricerca rigorosa, consapevole della propria legittima autonomia, ma la condizione umana ha limiti intrinseci, che la speculazione razionale o gli artifici dialettici non riusciranno mai a colmare. Inoltre, anche se la storia ha una sua intelligibilità e una sua logica, non potrà mai essere pienamente spiegata su un piano meramente immanente, neppure ricorrendo a qualche “astuzia della ragione”: la trama del disegno divino può essere solo colta nei suoi contorni più ampi, ma non può essere resa comprensibile nei dettagli minuti attraverso l’esercizio delle nostre argomentazioni.
Per questo motivo, l’analisi della condizione umana richiede la pazienza rispettosa delle sfumature e il cesello per curare le minuzie, ben sapendo che il quadro complessivo sfuggirà sempre a una presa concettuale che pretenda di essere esauriente. E in questa interpretazione, che è anche lettura delle anime e discernimento degli spiriti, Guitton sarà un vero maestro, così come nei colloqui e negli incontri personali con Paolo VI, testimoniati in ben due volumi, da cui traspare un’amicizia intensa e discreta, ricca di raffinata sensibilità e profonda spiritualità, o quelli con Mitterrand, che hanno accompagnato l’anziano statista fin quasi alla soglia della morte e gli hanno offerto sprazzi decisivi di luce, anche attraverso riflessioni sul senso della vita e sul valore della mistica cristiana; oppure, quando, in visita alla capanna di Heidegger, cerca di rintracciarne il pensiero e le cadenze attraverso i gesti quotidiani, i lineamenti del volto, il mutare degli sguardi, i cenni della mano, o allorché con Heidegger intesse un muto dialogo guardando e sfogliando i libri della sua biblioteca, quasi a ripercorrere le tappe della sua formazione e della sua riflessione. Guitton ha collocato se stesso agli antipodi della posizione sartriana: egli non ha optato per il nulla e non ha inteso la vita come una passione inutile, ma ha scommesso per la speranza e si è affidato al futuro con atteggiamento positivo e costruttivo, mirando all’essenziale e sempre desiderando tornare a esso. Negli ultimi anni ha cercato, anche attraverso il dialogo con due fisici, di indagare il rapporto tra Dio e la scienza, attraverso il confronto con i temi e le difficoltà delle ricerche teoriche più avanzate e delle applicazioni più sconcertanti. La sua curiosità intellettuale si rivela così pari all’apertura del suo animo, nell’affrontare sfide sempre rinnovate, nell’incontrare persone e situazioni, nell’offrire una testimonianza profetica, piena di speranza.
A DECIDERE È L’IDEALE DEL CUORE - QUEL CHE CI TIENE INSIEME. IN TEMPO DI CRISI - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 26 marzo 2009
Hanno fatto il buco per la Tav, e ora i treni ad alta velocità uniscono Milano a Roma in tre ore. Le Italie si avvicinano all’Italia, la nazione insomma a se stessa, Roma non è più 'lontana' da Milano. E intanto, nello stesso giorno, i parlamentari a grande maggioranza votavano un provvedimento di stampo federalista. Un modo per distanziare o per avvicinare le Italie? E mentre il 'piano casa' fa discutere le Italie dei partiti, l’Italia della gente in molti casi tira il fiato coi denti per dar casa ai propri figli. E rimane sgomenta nel vedere le case-loculo ricavate dai cinesi nei sotterranei di Milano. Treni superveloci e uomini come topi. Sono giorni in cui ci troviamo davanti agli occhi, ancora una volta, un Paese che sembra un puzzle di contraddizioni.
Uno spettacolo fantastico e tremendo, tra grandi passi in avanti e sferzate al cuore per i tanti disagi, i ritardi. Italia a varie velocità. Come uno che cammini o corra ma con strani movimenti delle gambe, disarticolandosi, sempre sul punto di cadere, o proprio ruzzolando in molti momenti, ma ancora andando, con molti controtempi. E ora che l’ombra della crisi economica sta allungandosi sulla vita di tanti, e da ombra si sta facendo pugno sui sogni o sulle aspettative e anche sui diritti, cosa terrà insieme l’Italia? Cosa potrà tenere insieme questo strano, magnifico e feritissimo volto che emerge da un puzzle straordinario? Lo sappiamo tutti, e bene: non è detto che le difficoltà producano coesione. Non è per nulla scontato. Non mancano i segnali di dissidio, di insoddisfazione che diventano rivendicazioni contro l’altrui gruppo, o l’altro ceto, o l’altrui colore della pelle. O l’altrui appartenenza religiosa.
In questo senso, oggi è per tutti imperativo concentrarsi su cosa può unire. Su cosa può tenere insieme. Il che non significa rendere tutti identici. Né sminuire le diversità. In questo senso, è a volte un po’ patetico oltre che inutile chiedere che dai politici venga l’esempio dell’unirsi, della coesione. La politica è proposta delle differenze. È drammatizzazione delle differenze. Se non ci fosse 'scontro' in politica – ma con un certo livello di educazione e correttezza – ci sarebbe da preoccuparsi per lo stato della democrazia. No, non dalla politica ci dobbiamo aspettare ciò che unisce. Ma dal cuore. Ovvero dalla sede del desiderio. Dal punto in cui ognuno decide se la vita è la propria corsa individuale e solitaria oppure se è un dono da condividere. Ci sarà chi dirà che sono parole astratte. Che sono fumo. Ma è esattamente il considerare astratto questo livello della questione ciò che favorisce la divisione, e che fa cedere cinicamente alla legge della giungla. Il cuore inteso come sede dell’ideale è la cosa più concreta e decisiva. Se non si prende sul serio questo desiderio di 'vivere con', di realizzarsi in una coesione, e insomma diciamo la parola giusta, in una coesione reciproca, allora la disarticolazione persino violenta avrà il sopravvento. Se non si coltiva con l’azione e con l’esempio in tutti i campi (culturale, familiare, sociale, e sì anche politico pur facendo ognuno la propria parte) questo desiderio ideale, se non si fa vedere che esso funziona, sì, funziona nel campo del lavoro, del sociale ecc, allora non basteranno tutti i tunnel o tutte le federazioni del mondo a impedire che si viva prima o poi come topi impauriti e rabbiosi nel sottosuolo.
Ma chi oggi, mentre quasi tutti si rivolgono al portafoglio o alla voglia di distrarsi o alla mano dotata di matita per il voto, chi oggi si rivolge al cuore degli uomini? Lunedì pomeriggio si è alzata una voce per parlare al cuore degli italiani. Era quella di un vescovo – il cardinale di Genova – mosso da nessun altra ambizione che la carità. Ce ne siamo accorti? Se è no, si tratta di una perdita secca quanto all’ideale da risvegliare. Vediamo di recuperare.
L’Aids in Africa: noi, scienziati col Papa - Le «evidenze» che confermano come combattere il virus - DI RICCARDO CASCIOLI – Avvenire, 26 marzo 2009
I l rischio di contrarre il virus Hiv usando i preservativi durante i rapporti sessuali è nell’ordine del 15%. Questa conclusione è contenuta in uno studio pubblicato dalla nota rivista scientifica britannica The Lancet nel 2000. È una delle conferme scientifiche di quanto affermato da papa Benedetto XVI la settimana scorsa in Africa, ovvero che l’Aids non si sconfigge distribuendo i preservativi, ma attraverso un’educazione alla dignità umana. A sostenere la correttezza scientifica della posizione del Papa non è dunque soltanto Edward Green, il celebre studioso di Harvard le cui posizioni sono state riportate su Avvenire del 21 marzo. Al contrario, sfogliando le riviste scientifiche e mediche di questi vent’anni di lotta all’Aids, troviamo numerose conferme alla fallibilità dei profilattici.
L’effetto «cinture di sicurezza». Riprendendo il citato articolo del Lancet ( John Richens, John Imrie, Andrew Copas, Condoms and seat belts: the parallels and the lessons) si fa un interessante parallelo con le cinture di sicurezza per gli incidenti automobilistici, che (anche loro) non hanno portato i benefici sperati. In pratica, sostengono gli autori dello studio, il senso di sicurezza moltiplica i comportamenti a rischio. È il fenomeno noto come «teoria della compensazione del rischio ». Nel caso dei preservativi la responsabilità è di chi sostiene siano «la» soluzione definitiva del problema, inducendo perciò un senso di falsa sicurezza che moltiplica i rapporti promiscui, principale causa della diffusione della malattia. Ciò è dimostrato dal fatto – sostiene lo studio – che in Africa i Paesi dove il preservativo è più diffuso (Zimbabwe, Botswana, Sudafrica e Kenya) sono anche quelli con i tassi di sieropositività più alti. «L’efficacia del preservativo – concludono i ricercatori – è legata soltanto al reale cambiamento dei comportamenti a rischio».
Preservativo troppo rischioso. Sui tassi di inefficacia del profilattico concordano molti studi scientifici. Secondo una ricerca condotta da S. Weller e K. Davis e pubblicata su Family Planning Perspective (una rivista scientifica dell’Alan Guttmacher Institute, emanazione dell’organizzazione abortista Interna- tional Planned Parenthood Federation), l’efficacia del preservativo nel prevenire la trasmissione dell’Hiv è stimabile intorno all’ 87%, ma può variare dal 60 al 96%. Dati confermati anche dallo studio di J. Trussell e K. Yost e presentati (senza che si levassero voci scandalizzate) alla Conferenza Onu di Rio de Janeiro nel 2005.
Ancora su Family Planning Perspective viene citato uno studio di Margaret Fishel secondo cui in coppie sposate con un partner sieropositivo, l’uso del preservativo come protezione ha prodotto l’infezione dell’altro partner nel giro di un anno e mezzo nel 17% dei casi.
Perché i preservativi non funzionano.
Uno studio presentato nel 1990 sul British Journal of Family Planning mostra che in un test effettuato in Inghilterra nel 52% dei casi, gli utilizzatori del profilattico ne hanno sperimentato la rottura o lo scivolamento. C. M. Roland, scienziato esperto del lattice e direttore di Rubber Chemistry Land Technology, nel 1992 spiegava in una lettera pubblicata dal Washington Times che già nella prevenzione delle gravidanze si registra un 12% di fallibilità malgrado i pori del lattice (5 micron) siano 10 volte più piccoli dello sperma. Una fallibilità che aumenta esponenzialmente nel caso del virus dell’Aids perché questo ha una dimensione di 0,1 micron, ovvero può facilmente trovare un passaggio nel profilattico anche ipotizzando un suo uso ottimale. Questi rischi sono ancora più elevati in Africa perché il caldo e le modalità di conservazione dei profilattici contribuiscono notevolmente a deteriorare il lattice.
Il metodo ABC. Sono ancora gli studi scientifici a dimostrare che l’arma davvero efficace contro il virus dell’Aids – oltre ovviamente ai farmaci antiretrovirali, di cui anche il Papa ha ricordato l’importanza – è l’educazione alla integralità dell’uomo, che in termini di strategie è stata tradotta nell’ABC: (A, astinenza), fedeltà a un unico partner ( B, be faithful)), C ( condom, preservativo), dove l’accento è messo soprattutto sulle prime due strade. È il caso dell’Uganda, l’unico Paese dove si sia riscontrata una diminuzione nel tasso di incidenza dell’epidemia, a dimostrare la bontà di questo approccio, scelto dal presidente Museveni già all’inizio degli anni ’ 90. Secondo un rapporto di UsAid (l’agenzia governativa statunitense che si occupa di aiuti allo sviluppo) in 15 anni c’è stata una riduzione nel tasso di infezioni del 75% nel gruppo di età tra i 15 e i 19 anni, del 60% tra i 20 e i 24 anni, e del 54% nel suo complesso. E questo perché è stato ridotto del 65% il sesso con partner casuali. Questa conclusione viene condivisa dalla rivista Science con un articolo pubblicato già nel 2004 in cui si esclude che l’uso dei profilattici abbia avuto un ruolo significativo nella positiva evoluzione. Dato ulteriormente confermato dalla lunga ricerca condotta sul campo, in Africa, da Helen Epstein, che ha raccolto i dati in un libro pubblicato nel 2007 ( La cura invisibile: l’Africa, l’Occidente e la lotta contro l’Aids), in cui attacca l’Occidente perché si ostina a ignorare che l’unica strategia che funziona contro l’Aids è, appunto, la «cura invisibile » , ovvero l’educazione, il cambiamento dei comportamenti sessuali.
Il senso di sicurezza indotto dall’utilizzo dei condom moltiplica i rapporti promiscui, che sono la principale causa della diffusione della malattia Articoli pubblicati su numerose riviste scientifiche demoliscono la presunta «onnipotenza» del profilattico. E rilanciano la necessità di un lavoro educativo
LA DIFESA DELLA VITA - L’Asl assicura: avvieremo un’indagine interna Ciangherotti, presidente di Federvita Liguria: «Ci sono già stati segnalati una decina di casi Presenteremo un esposto alla Procura di Savona» - «Autorizzato l’aborto ma lei non era incinta» - Il Cav di Albenga denuncia: nessuna visita, violata la 194 - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 26 marzo 2009
A borto facile in Liguria. Addirittura aborto senza feto. È quanto denunciano i volontari del Centro di aiuto alla vita di Albenga (Savona), che presenteranno oggi un esposto alla procura della Repubblica per segnalare una vicenda dai contorni paradossali, che fa sorgere più di un dubbio sulla corretta applicazione della legge 194 da parte di un consultorio pubblico. Anche se la Asl, senza entrare nell’episodio specifico, ribadisce di operare secondo la legge, e assicura l’avvio di un’indagine interna sui fatti segnalati.
Racconta Eraldo Ciangherotti, presidente del Centro di aiuto alla vita (Cav) ingauno e di Federvita Liguria: «Negli ultimi tre anni una decina di donne, che si erano rivolte a noi per un sostegno alla loro gravidanza, ci avevano segnalato che avevano ottenuto dal consultorio il certificato per abortire senza una visita ginecologica né un controllo di esami ematochimici che accertassero la gravidanza». Di recente la decisione di fare una verifica: «Una nostra collaboratrice – continua Ciangherotti – si è presentata al Consultorio familiare Asl di Albenga, dichiarando di essere in ritardo di dieci settimane dall’ultima mestruazione e in condizioni economiche disagiate». In realtà, la donna non era incinta, come dimostrano le analisi delle urine in suo possesso, ma non è stata visitata: «Eppure – continua Ciangherotti – ha ottenuto un certificato attestante l’urgenza dell’intervento di interruzione volontaria di gravidanza». Si legge infatti nel certificato che « accertato lo stato di gravidanza ed espletate le procedure previste dal 2° comma dell’art. 5» della legge 194 e «riscontrata l’esistenza delle condizioni di cui al 3° comma dello stesso articolo », il consultorio «dichiara urgente l’intervento, per cui la richiedente può presentarsi immediatamente in una delle sedi autorizzate». Il tutto firmato da un ginecologo della Asl2 Savonese. L’esposto alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Savona chiederà di verificare se siano ravvisabili estremi di fatti penalmente rilevanti. «I con- sultori pubblici – continua Ciangherotti – di fatto disattendono la legge 194, perché non contribuiscono a far superare le cause che potrebbero indurre le donne all’interruzione della gravidanza». La posizione della Asl è contenuta in un comunicato stampa in cui si ribadisce che «il consultorio familiare, nell’applicazione delle procedure stabilite dalla legge 194/78, assiste la donna in stato di gravidanza operando conformemente alla normativa ». In relazione al caso segnalato, «si ritiene che i contenuti debbano essere sottoposti all’attenzione delle autorità competenti per le azioni del caso, in modo tale che le eventuali inadempienze o responsabilità individuali rilevate vengano accertate. L’azienda si impegna ad avviare indagine interna circa i fatti segnalati nel consultorio di Albenga». Da parte sua, il Cav non manca di ribadire la volontà di collaborare: «Basterebbe poco – continua Ciangherotti – per una reale tutela sociale della maternità, basterebbe già solo un protocollo di intesa tra Asl, Comuni e Centri di aiuto alla vita». Lamenta la vicepresidente del Cav di Albenga, Ginetta Perrone: «Di tutta la provincia di Savona, solo il Comune di Loano ad oggi ha inteso promuovere la maternità disagiata, investendo risorse economiche in sinergia con i volontari del Centro di aiuto alla vita ingauno».
Commenta l’episodio di Albenga anche il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione: «Da tempo in molti erano convinti che molti consultori familiari fossero in realtà dei bancomat per la distribuzione di certificati di autorizzazione all’aborto. Adesso c’è la prova provata. Noi chiediamo di applicare la legge 194 la cui parte a favore della prevenzione dell’aborto è spesso disattesa in modo vergognoso ».
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