Nella rassegna stampa di oggi:
1) ROVESCIARE UNA MENTALITÀ - SE ERDOGAN NON PRENDE DI PETTO LA SITUAZIONE
2) Finora nessuna seria inchiesta sulla pillola abortiva Ru486
3) ROCCO MARZO CAPOTURNO DELLA THYSSEN NON CE L’HA FATTA Non doveva essere lì. È morto per «dovere»
4) «Mi ha accoltellato, ma l’ho già perdonato» - Fuori pericolo padre Adriano, aggredito domenica a Smirne da un giovane sconosciuto
5) Vicky, il Natale e la speranza
6) Parità Scolastica - Un regolamento manda all'aria la legge
7) Ru486 Una pessima notizia per le donne
ROVESCIARE UNA MENTALITÀ - SE ERDOGAN NON PRENDE DI PETTO LA SITUAZIONE
Avvenire, 18.12.2007
LUIGI GENINAZZI
È l’ennesimo «caso isolato» d’intolleranza religiosa, come usano dire in Turchia ogni volta che «un pazzo fanatico» attenta alla vita di un missionario straniero. Grazie a Dio questa volta l’attacco furibondo e violento ad un sacerdote cattolico non ha avuto esito mortale. Ma l’accoltellamento di padre Adriano Franchini nella chiesa di Sant’Antonio a Smirne rappresenta la tragica conferma di un odio anti-cristiano che persiste nel Paese della mezzaluna.
Atti di follia? Può darsi, ma vien da chiedersi come mai siano così numerosi e tutti diretti contro gli esponenti delle minoranze religiose. Il 2006 si era aperto con l’assassinio di don Andrea Santoro a Trebisonda ed era continuato con varie aggressioni a preti cattolici. All’inizio del 2007 è stato ucciso in pieno centro ad Istanbul il giornalista armeno Hrant Dink, simbolo di una diversità etnica e religiosa che voleva il dialogo con la nazione di Ataturk e con l’islam. Ad aprile c’è stata la macabra esecuzione a Malatya di tre protestanti evangelici, bendati e sgozzati selvaggiamente all’interno della loro casa editrice. E due giorni fa l’agguato al padre cappuccino, testimone di una presenza che affonda le sue radici nella storia lontana. Senza contare le minacce, le intimidazioni e le violenze che non fanno notizia ma sono parte della piccola cronaca quotidiana.
Occorre guardare in faccia al male per poterlo evitare. C’è qualcosa di torbido che si agita nelle viscere di una nazione con un grande passato ed ancor più grandi ambizioni per il futuro. È qualcosa che spunta fuori periodicamente nel segno del fanatismo e della violenza e contraddice vistosamente i buoni propositi di tolleranza e democrazia dei governanti. Che cosa aspetta Erdogan, il politico aperto ed illuminato che parla di dialogo fra le culture e vuole portare la Turchia in Europa, a prendere di petto questa tragica situazione? Magari accogliendo il suggerimento del vescovo di Smirne, monsignor Franceschini, che nell’intervista al nostro giornale chiede al capo del governo di prendere misure efficaci a protezione dei luoghi di culto e a difesa dell’incolumità dei sacerdoti stranieri.
È così difficile spiegare ai turchi che 100 mila cristiani su una popolazione di quasi 80 milioni di musulmani non rappresentano alcuna minaccia alla sicurezza nazionale? Diciamolo con chiarezza: s’impone un rovesciamento di mentalità. Quella secondo cui l’islam è sotto attacco da parte dell’Occidente, un vittimismo che sfocia nel terrorismo. La vita dei cristiani nei Paesi a maggioranza musulmana è sempre più difficile ma, con una mistificazione colossale, viene diffusa l’immagine opposta. «Sono i cristiani che offendono l’islam, anzi, è lo stesso capo della Chiesa cattolica che ci insulta», sostiene la farneticante propaganda lanciata da al-Zawahiri, numero due di al-Qaeda, proprio ieri, all’indomani dell’accoltellamento di padre Franchini. L’appello del portavoce del terrorismo mondiale nasconde il timore che a vincere saranno i fautori del dialogo, come ha testimoniato recentemente la lettera dei 138 intellettuali islamici e la risposta cordiale di Benedetto XVI. Un dialogo inter- religioso di cui la Turchia vorrebbe essere capofila. Ma non bastano le parole se i fatti vanno in direzione opposta. Erdogan dovrebbe prenderne atto. E agire di conseguenza.
DISPIACE PER IL «CORRIERE» E GLI ALTRI GIORNALONI
Finora nessuna seria inchiesta sulla pillola abortiva Ru486
Avvenire, 18.12.2007
EUGENIA ROCCELLA
N essuno, tra i grandi giornali italiani, ha mai pubblicato un’inchiesta sulla pillola abortiva Ru486. Anche ai tempi della sperimentazione all’ospedale torinese Sant’Anna, sospesa nel 2006 in seguito a un’indagine della Procura, sulla stampa si potevano leggere le infiammate dichiarazioni dei politici pro o contro l’intervento dell’allora ministro della Salute Storace. Ma sul farmaco, e sull’aborto chimico, l’informazione è sempre stata reticente. Non abbiamo mai letto, in Italia, un servizio su Holly Patterson, diciottenne californiana, la cui tragica morte ha innescato una furibonda polemica sulla Ru486 che ha occupato per mesi le prime pagine dei quotidiani americani. Non abbiamo mai letto le vicende delle 16 donne morte, tirate fuori una a una dal silenzio grazie all’ostinazione disperata dei parenti, alla rabbia di alcune femministe, ai movimenti pro-life, a qualche medico impegnato sul fronte dei diritti umani.
Persino la Fiapac – la Federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione – non ha mai ritenuto necessario rendere pubblica la notizia di una donna morta a Cuba, fornita da un medico all’interno del convegno svolto a Roma l’anno scorso. E se siamo venuti a conoscenza della morte di tre – forse quattro – donne inglesi è solo perché il dato è emerso nel corso di un’indagine del parlamento di Londra; ma di quelle donne non sappiamo tuttora i nomi né le storie. Ci sarebbe dunque ampio spazio per una stimolante inchiesta giornalistica, e molto materiale che aspetta solo di essere pubblicato. Per questo abbiamo letto con grande attenzione le due pagine che ieri il Corriere della Sera ha finalmente dedicato alla pillola abortiva, attualmente sotto esame dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Ma la delusione è stata pesante. Nulla sulle morti, tranne un vago accenno ad «alcuni decessi per setticemia», ma poco anche sul metodo, che viene descritto con un breve accenno al protocollo d’uso in Toscana, mentre le testimonianze riportate sono tutte positive. Non si dice che si tratta di una tecnica che tutti gli studi, e quasi tutte le donne, descrivono come molto dolorosa; non si dice che si perde molto sangue, e che fino al 15° giorno non si può sapere se sarà necessario ricorrere a un raschiamento conclusivo; non si dice che bisogna continuamente controllare l’emorragia, e che oltre la metà delle donne riconosce l’embrione abortito. Per quanto riguarda la registrazione della pillola in Italia, il Corriere la dà per scontata. Secondo l’autrice dell’articolo, poiché la Ru486 è autorizzata in quasi tutti i Paesi europei ed è già stata somministrata a oltre un milione di donne, «in realtà c’è poco da verificare». E aggiunge che «un Paese dell’Unione europea non può respingere un medicinale già commercializzato in un altro Stato comunitario». Ma autorizzare un farmaco è sempre una responsabilità grave, che non si può ridurre a un semplice iter burocratico, soprattutto se su quel farmaco gravano ombre e sospetti dovuti alle infezioni, le emorragie e le varie complicanze che hanno portato alla morte 16 giovani donne. Basterebbe ricordare che l’Aifa ha ritirato dal commercio un noto vaccino trivalente per molto meno – un numero ritenuto troppo alto di reazioni gravi, ma nessuna morte – e che sulla Nimesulide, principio attivo di un diffusissimo antiinfiammatorio, l’atteggiamento è stato diverso sia tra gli Stati europei (alcuni lo commercializzano, altri no) sia tra l’ente farmacologico europeo, che ne ammette l’uso, e quello americano che ha messo al bando la sostanza. L’Aifa non può ignorare che negli ultimi tempi i sospetti sulla Ru486 si sono moltiplicati, e i casi di morte venuti così faticosamente a galla non possono certo essere liquidati con leggerezza. La Francia è il Paese che ha attivato la procedura di 'mutuo riconoscimento', ma è alle autorità sanitarie italiane che è affidata la tutela della nostra salute. E sono loro a dover decidere.
ROCCO MARZO CAPOTURNO DELLA THYSSEN NON CE L’HA FATTA
Non doveva essere lì. È morto per «dovere» Avvenire, 18.12.2007
LUCIA BELLASPIGA
H a ceduto per quinto e sarà sepolto da solo, Rocco Marzo, uno dei sette operai bruciati vivi dalla marea bollente di olio che nella notte del 6 dicembre ha portato la morte alla ThyssenKrupp di Torino. Antonio, Bruno, Roberto e Angelo lo avevano preceduto e insieme se n’erano andati da questo mondo: funerali solenni e amarissimi, l’Italia inorridita.
Ora è toccato a Rocco, 54 anni, sui giornali 'il quinto morto': poche righe soltanto. Era lui il capoturno della linea 5, lui l’uomo che addosso portava la radio per dare l’allarme in caso di emergenza, lui il capo che ha sentito la responsabilità del suo ruolo fino al punto di accorrere verso il rogo per aiutare i suoi ragazzi, anziché fuggire lontano. Se lo avesse fatto, nessuno lo avrebbe biasimato. «Ma lui era sempre disponibile, un maestro di vita e di lavoro, per anni ci ha insegnato tutto, generoso come un padre con i figli», così lo descrivono gli operai della ThyssenKrupp e c’è da credergli: in giorni come questi non si ha voglia di fare della retorica. E d’altra parte a parlare sono i fatti: «Rocco non doveva essere lì – sprofonda adesso nel dolore dell’ineluttabile la moglie Rosetta, 30 anni di matrimonio da festeggiare tra pochi giorni – lui stava nel suo ufficio, è accorso per salvare i suoi
ragazzi». Alla pensione mancavano pochi giorni. E allora tornano in mente altri eroi come lui, uomini che 'non dovevano essere lì' ma ci sono andati. Come il ragazzo che otto anni fa si gettò nel tunnel del Monte Bianco, mentre il rogo fondeva anche la roccia, per portare in salvo qualcuno. Di lui non rimase nulla, fuori restò la sua moto. O il giovane che nel 2002 si lanciò nelle acque del Ticino per aiutare una famiglia di albanesi. Li tirò fuori uno a uno, nessuno si ricordò di tirare fuori lui. Si chiamava Paolo Foglia, quel giorno compiva 35 anni e un mese dopo si sarebbe sposato. O come Carlo Urbani, il medico che nel 2003 si trovava in Vietnam quando esplose la Sars: successe in un ospedale privato francese con cui lui non aveva nulla a che fare, ma intuì il pericolo e si gettò. Fermò il contagio per l’umanità ma perse la vita. Tutti uomini che 'non dovevano essere lì' ma che non si sono fatti domande: hanno visto un’umanità in pericolo e hanno teso la mano. In fondo Rocco Marzo ha fatto solo il suo lavoro – si potrebbe obiettare – era caposquadra... È vero, Rocco Marzo ha fatto il suo dovere e lo ha fatto fino in fondo,
senza esitare un istante, ma che cosa significa diventare eroe se non essere tanto coerenti da dare la vita per mantenere un impegno? Chi è l’eroe se non un uomo qualunque, con le sue debolezze e i suoi limiti, che quando è chiamato all’atto sovrumano semplicemente dice sì e va dove non doveva essere? I giornali riportano ora la sua foto, circondato da moglie e due figli della stessa età dei 'suoi ragazzi' della ThyssenKrupp, ed è guardando quel viso onesto e quelle braccia forti con cui circonda le spalle della sua famiglia che capiamo quanto sia eroica la sua coerenza. Lui è il capitano che non ha abbandonato la nave perché questo era il suo dovere.
Negli ultimi istanti Alessandro e Marina si sono gettati sul padre piangendo, lo hanno baciato nonostante le bende che lo avvolgevano, scongiurandolo di non lasciarli: quando l’eroe muore chiede eroismo anche a chi lo ha amato. E questa è la parte più dura.
CRISTIANI NEL MIRINO
«Mi ha accoltellato, ma l’ho già perdonato» - Fuori pericolo padre Adriano, aggredito domenica a Smirne da un giovane sconosciuto
Smentito che il giovane fosse noto in parrocchia
DAL NOSTRO INVIATO A SMIRNE
Avvenire, 18.12.2007
LUIGI GENINAZZI
Non ha perso la serenità francescana padre Adriano Franchini, nonostante la terribile avventura che poteva costargli la vita. «Nulla di grave, sto bene», dice sollevandosi un poco dal lettuccio, al terzo piano dell’ospedale dell’università Egea a Smirne, dove è stato ricoverato subito dopo l’aggressione.
Ce la descrive lui stesso, con la tipica verve del suo carattere emiliano. «Quel ragazzo ha tirato fuori il coltello con mossa fulminea ma io sono stato più veloce, ho fatto un balzo all’indietro e così sono stato colpito solo di striscio, qui all’addome», dice indicando la fasciatura all’altezza dell’ombelico. Frate cappuccino, alto e corpulento, originario di Modena, padre Adriano ha 65 anni di cui 26 trascorsi nel Paese della mezzaluna. Attualmente è il superiore della Custodia di Turchia, e presiede alla «Casa della Madre Maria» di Efeso dove un anno fa ha ricevuto Papa Benedetto XVI. Da qualche settimana viene a celebrare la Messa festiva nella chiesa di Sant’Antonio a Smirne, rimasta temporaneamente senza parroco.
«Domenica mattina mi si avvicina un giovane dall’aria misteriosa e circospetta, per me un perfetto sconosciuto – racconta –. Viene da una piccola città, Balikesir se ho capito bene, a duecento chilometri da Smirne. Vuole parlarmi, gli dico che possiamo farlo dopo la Messa. Rimane in chiesa per tutta la funzione. Alla fine lo invito nella saletta dove solitamente prendo il thè chiaccherando con i fedeli ma lui rifiuta, preferisce parlarmi a tu per tu, nel giardino. Usciamo, mi scruta a testa bassa dicendo che vuole ricevere il battesimo. Neanche il tempo di spiegargli che occorre un’adeguata preparazione ed ecco che estrae dalla tasca un coltello menando un fendente improvviso». Padre Adriano s’accascia dolorante, il ragazzo scappa via. «Davvero un tipo strano – commenta –. Più tardi ho saputo che si è recato in una moschea dove si è vantato d’aver accoltellato un prete cattolico. Hai commesso un grave peccato, lo rimprovera il muftì che chiama la polizia per farlo arrestare. Così almeno mi è stato riferito». Come spiega un simile gesto? «Non ho nessuna idea al riguardo, lo considero un brutto episodio che non va enfatizzato – conclude padre Adriano che intende mandare un messaggio tranquillizzante –. Io quel ragazzo l’ho già perdonato, adesso ho solo voglia di riprendere il mio lavoro il più presto possibile». Accanto a lui fratel Paolo Rovatti che l’assiste ininterrottamente fa ampi gesti d’assenso. I medici hanno sciolto la riserva, non sono stati lesi organi vitali, forse padre Adriano potrà essere dimesso dall’ospedale già nella giornata di domani (oggi per chi legge). Cade così la versione diffusa domenica sera dall’agenzia di stampa turca «Anadolu » secondo cui l’aggressore, il diciannovenne Ramazan Bay, era un assiduo frequentatore della chiesa di Sant’Antonio dove avrebbe chiesto più volte il battesimo. Infondata anche la notizia della richiesta di soldi quale compenso per la conversione. Tutte voci riportate ieri dai giornali turchi che alimentano l’idea di missionari cattolici come cacciatori di frodo delle anime, pronti a tutto pur di fare proselitismo. E intanto si moltiplicano i casi di «squilibrati» che attentano alla vita dei sacerdoti e minacciano le comunità cristiane.
Dunque, è successo anche qui a Smirne, la città più laica e cosmopolita dopo Istanbul, la metropoli moderna e progressista che si è candidata ad ospitare l’Expo 20015 in gara con Milano. La chiesa di Sant’Antonio si trova nel quartiere popolare di Bayrakli, in mezzo a viuzze ripide che s’inerpicano sulla montagna punteggiata di minareti, lontano dai viali eleganti della zona costiera. Vi si entra oltrepassando un cancello verde, dietro un muricciolo che nasconde un anonimo edificio marrone (in Turchia i segni religiosi cristiani non possono venir esposti sulla strada). La chiesa è semibuia, la luce filtra da un rosone, non ci sono finestre. Gaslayan, il giovane custode, m’accompagna in giardino dove è avvenuto l’agguato. Mi indica il punto esatto, vicino alla pianta di limoni che sorge vicino ad una fontanella senza acqua. Ha l’aria molto triste Gaslayan, non si dà pace. «Perché qui? Perché attaccare padre Adriano?», ripete scuotendo la testa. Lui quel ragazzo non l’aveva mai visto prima. «Forse dobbiamo fare più attenzione agli estranei » dice con un senso di colpa. Qui i fedeli si conoscono tutti, sono una trentina ed hanno un buon rapporto con gli altri abitanti del quartiere. Sulla bacheca c’è l’avviso di una festa di beneficenza in prossimità del Natale, pacchi dono che vengono distribuiti alle famiglie più povere, musulmane o cristiane non fa alcuna differenza.
Il giovane attentatore ha ammesso il suo crimine, secondo fonti della polizia che, dopo l’arresto di Ramazan Bay, ha proceduto a vari fermi di persone sospettate d’aver avuto un ruolo nell’ispirare l’agguato.
Ieri mattina però sono state tutte rilasciate. L’accoltellatore ha spiegato il suo gesto perché «infuriato» per alcune parole che il religioso avrebbe pronunciato durante l’omelia, senza tuttavia precisare quali. Ma il coltello in tasca ce l’aveva già. L’idea, a quanto pare, gli è venuta dalla serie televisiva «La valle dei lupi» che irride al comportamento dei missionari stranieri in Turchia, dipinti come lupi famelici di giovani. Un incitamento all’odio che Ramazan si è deciso a mettere in pratica.
Vicky, il Natale e la speranza
Autore: Leonardi, Enrico
Fonte: CulturaCattolica.it
lunedì 17 dicembre 2007
La lettera di Vicky, donna ugandese malata di AIDS, sta facendo il giro del mondo. In essa, collocata come editoriale del Periodico AVSI “Buone notizie” per le Tende di Natale, si racconta un miracoloso cambiamento, legato sì ad un miglioramento straordinario delle condizioni di salute, ma originato da una radice completamente diversa. Infatti Vicky, abbandonata dal marito, sieropositiva e con tre figli di cui uno malato a sua volta, era ormai alla deriva, senza speranza. Anche la fede la stava abbandonando. Poi un giorno qualcuno la indirizza al Meeting Point di Kampala, una grande opera che accoglie oltre 2000 adulti, quasi tutte donne malate di AIDS, e più di 2000 bambini quasi tutti orfani. Lì Vicky si sente guardata come mai prima: “Una cosa importante, che non ho mai dimenticato, è il giorno in cui qualcuno mi ha guardato con uno sguardo che aveva in sé i raggi della speranza e dell’amore. In tutto questo tempo io ero costretta a letto, e tutti i miei amici, i parenti, persino i vicini guardavano con rifiuto e disprezzo me e i miei bambini. Con questo sguardo di amore e speranza che qualcuno mi ha rivolto, mi ha mostrato qualcosa che ha portato la vita nel mio spirito e nel mio corpo a pezzi. Mi ha detto: «Vicky! Tu hai un valore, e il tuo valore è più grande del peso della tua malattia e della morte»”.
Come è potuto accadere questo? Lo ha spiegato Rose Busingye, la direttrice del Meeting Point, in una commovente testimonianza svoltasi a Brugherio ai primi di dicembre:
“Ciò di cui l’Africa, ma anche tutto il mondo ha bisogno, è che le persone sappiano chi sono, ma soprattutto DI CHI sono, a chi appartengono: senza questo non ci può essere dignità, stabilità e responsabilità verso sé stessi. Appartenere a qualcuno: il pianto di un bambino orfano e di un bambino con la mamma sono completamente diversi: il primo è un urlo di disperazione, il secondo è un grido di aiuto rivolto a qualcuno. Quando dici sì a Cristo per appartenergli non sai come Cristo userà questo sì: proprio come la Madonna, ha detto sì e poi il suo lavoro era far crescere quel Bambino, dargli da mangiare...
E’ la coscienza di ciò che ti sta generando in questo istante che cambia il mondo, quello che cambia gli altri è proprio Gesù quando gli hai detto sì, e così abbracci come abbraccia Lui, respiri come Lui; Lui non ha paura del nostro niente, quando dici sì viene davvero e cambia Lui. Al Meeting Point io faccio quello che devo fare: do le medicine ai malati, gli parlo... dico: “Il valore di ciò che sei è più grande di ciò che puoi immaginare, e tu stesso sei responsabile”. Il mio lavoro è dire a chi incontro: “Tu sei grande, tu hai un valore infinito”. Ho scoperto questo da quando io stessa ho detto sì, con totalità, con gratuità”. Ecco l’impossibile che diventa realtà quotidiana: il Natale è questa compagnia straordinaria di un Dio che non ha paura del nostro niente. Così nasce nel mondo un uomo nuovo, diverso, capace di miracoli. Vicky e Rose sono miracoli viventi, fatti di speranza generati dal Natale di Cristo. “Sul mondo sfinito rinasce/ il Fiore della speranza” (liturgia ambrosiana).
18 Dicembre 2007 – ItaliaOggi Parità Scolastica - Un regolamento manda all'aria la legge
18 Dicembre 2007 – Foglio, Ru486 Una pessima notizia per le donne