mercoledì 12 dicembre 2007

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Caterina, quella santità eccezionalmente normale
2) Il cardinale Dias a Lourdes - Le apparizioni mariane per salvare l'uomo dal peccato
3) IL SEGRETO DI P. PIO - Intervista di P. Livio Fanzaga a Antonio Socci
4) I poveri nel Medioevo





Caterina, quella santità eccezionalmente normale, Luca Doninelli, Il Giornale, 12.12.2007



Il cardinale Dias a Lourdes - Le apparizioni mariane per salvare l'uomo dal peccato

(©L'Osservatore Romano - 11 dicembre 2007)
L'apparizione della Vergine a Lourdes, come le altre apparizioni mariane, "rientra nella lotta permanente, e senza esclusione di colpi, tra le forze del bene e le forze del male, cominciata all'inizio della storia umana e che proseguirà fino alla fine". Lo ha detto il cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, durante la messa celebrata sabato scorso a Lourdes per inaugurare, come inviato speciale del Papa, l'Anno celebrativo del centocinquantesimo anniversario delle apparizioni. Anzi "questa lotta - ha aggiunto il cardinale - è ancora più accanita che ai tempi di Bernadette. Il mondo si trova terribilmente irretito nella spirale di un relativismo che vuole creare una società senza Dio; di un relativismo che erode i valori permanenti e immutabili del Vangelo; e di una indifferenza religiosa che resta imperturbabile di fronte al bene superiore delle cose che riguardano Dio e la Chiesa". E ancora: "Questa battaglia fa innumerevoli vittime nelle nostre famiglie e tra i nostri giovani". Il cardinale ha poi ricordato quanto il cardinale Wojtyla disse pochi mesi prima della sua elezione alla cattedra di Pietro: "Noi siamo oggi di fronte al più grande combattimento che l'umanità abbia mai avuto. Penso che la comunità cristiana non l'abbia ancora compreso del tutto. Noi siamo oggi di fronte alla lotta finale tra la Chiesa e l'anti-chiesa, tra il Vangelo e l'antivangelo". Parole, ha aggiunto il cardinale Dias, che trent'anni dopo risuonano come profetiche, peraltro preannunciate proprio dalle apparizioni mariane "insieme con la rovina spirituale di certi Paesi, l'affievolimento della fede, le difficoltà della Chiesa e l'aumento dell'azione dell'anticristo, con i suoi tentativi di rimpiazzare Dio nella vita degli uomini". Ma proprio per questo "è discesa dal cielo una Madre - ha aggiunto - preoccupata per i suoi figli che vivono nel peccato, lontani da Cristo".
Nella grande basilica sotterranea di San Pio X lo ascoltano migliaia di fedeli provenienti da diversi Paesi del mondo per non mancare al solenne appuntamento con la celebrazione dell'anniversario di "quelle apparizioni - avverte il cardinale Dias - vere e proprie irruzioni mariane nella storia del mondo, che segnano l'entrata decisiva della Vergine nel pieno delle ostilità tra lei e il diavolo, come è descritto nella Genesi e nell'Apocalisse". Per questo motivo il Prefetto ha invitato i fedeli a non abbassare la guardia "qui a Lourdes come in tutto il mondo. La Madonna sta tessendo una rete di suoi figli e figlie spirituali per lanciare una forte offensiva contro le forze del maligno e per preparare la vittoria finale del suo divino figlio Gesù Cristo". Ella dunque "ci chiama anche oggi ad entrare nella sua legione, per combattere contro le forze del male". Le armi da usare in questa lotta dovranno essere "la conversione del cuore, una grande devozione verso la santa Eucaristia, la recita quotidiana del santo Rosario, la preghiera costante e senza ipocrisie, l'accettazione delle sofferenze per la salvezza del mondo". "La vittoria finale - ha concluso il cardinale Dias la sua omelia - sarà di Dio. E Maria combatterà alla testa dell'armata dei suoi figli contro le forze nemiche di Satana, schiacciando il capo del serpente". Terminata la celebrazione della messa il cardinale ha guidato il lungo corteo processionale che, entrando nel santuario dalla porta Saint Michel, ha fisicamente inaugurato la peregrinatio del centocinquantesimo anniversario delle apparizioni.


IL SEGRETO DI P. PIO
Intervista di P. Livio Fanzaga a Antonio Socci

autore del libro «Il segreto di P. Pio»
dai microfoni di Radio Maria
P. Livio .- Da che cosa è nato in te desiderio di scrivere un libro su P. Pio?
Socci – Così come accadde nella mia vita di conoscere la realtà di Medjugorje e quindi il desiderio di raccontare l’esperienza attraverso un libro, allo stesso modo direi che è lo stesso P. Pio che si è fatto conoscere da me. Quindi corrisponde un po’ a un passo della mia vita. Ho scoperto come P. Pio – come tutti i santi .- ma forse P. Pio in maniera straordinaria, più speciale, non sono lontani nel Cielo ma, per la misericordia di Dio, sono veramente fra noi e continuano a soccorrerci, a stare con noi, ad aiutarci in questa notte del mondo in cui tutti – veramente tutti – brancoliamo, senza la loro luce e il loro aiuto. Ecco, penso che l’aiuto che P. Pio sta ancora dando alla Chiesa, a cominciare dal Papa, per il quale lui – secondo me – ha letteralmente donato la sua vita. E poi a tutti i semplici cristiani che a lui si affidano, a lui si raccomandano andando a San Giovanni Rotondo. Forse dobbiamo ancora scoprirlo. Penso che questa sia la storia che scrive Dio.
Noi pensiamo che la storia la scriviamo noi coi libri di storia e con i giornali, ma in realtà la storia vera è quella che leggeremo un giorno sul libro di Dio… e scopriremo tante cose molto, molto interessanti! E scopriremo quanto poco o nulla siano stati importanti quelle persone che noi chiamiamo «potenti», e quanto grandi e straordinarie siano state persone di cui persino noi ignoriamo l’esistenza e che hanno donato la loro vita nel nascondimento e nella preghiera. Questi sono i veri potenti! Ecco, P. Pio è semplicemente un uomo di Dio che il Signore ha deciso di mettere, come una lampade sul tavolo, perché illumini la vita di tanti. E così è stato anche per me, nella mia vita.
P. Livio – Qui si è verificato ciò che ha detto la Madonna quando ha cantato il Magnificat: «Ha rovesciato i potenti dai troni e ha esaltato gli umili…».
Socci – Guarda, io penso che sia precisamente questo. Penso che a noi cristiani manchi una teologia della storia. In passato ho citato una frase del cardinal Siri e una di P. Pio. Nel senso che spesso nei tempi moderni noi mutuiamo dalla mentalità e dalle ideologie del mondo i criteri di giudizio. Per cui anche noi riteniamo veramente che a condurre la storia siano i governi, il potere politico, il potere dei media, la finanza, ma, quello che è successo il 7 aprile dell’anno 30 a Gerusalemme, ci fa capire che è l’esatto contrario. Insomma, se un analista politico, un editorialista, un giornalista, come noi che facciamo questo mestiere, avesse analizzato i fatti, quello chetava accadendo a Gerusalemme in quei giorni, avrebbe descritto sicuramente la fine di quel giovane di Nazareth, quel sognatore, che era stato spazzato via, che non contava niente, e che il potere romano, Pilato, Caifa e gli altri, erano loro che facevano la storia. Però anche da un semplice sguardo sulla storia, che cosa appare invece? Succede che i succitati personaggi sono stati spazzati via come polvere al vento, mentre quel Uomo apparentemente sconfitto è il Signore della storia! Ha cambiato la storia!
Lo stesso si può dire anche per la figura di Maria che, per il suo si, ha dato inizio alla storia del Dio fatto Uomo. Una ragazzina sedicenne, diciassettenne, alla periferia dell’Impero, che chiunque avrebbe detto che non conta niente /le donne poi per quella cultura non contavano assolutamente niente), ma grazie a Lei la Luce e La Vita sono entrate nel mondo. e grazie a Lei si realizza la profezia che Lei subito, con chiarezza dice: «Dio abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili». Ecco, è questa la cosa straordinaria!
Quando Pio XII diceva che «per noi il rosario è come la fionda di Davide», non è che voleva usare una immagine suggestiva! No, faceva capire che il potere dei senza potere, cioè il potere della preghiera e dell’offerta di sé è immensamente più potente di qualunque gigante o potenza di questo mondo! Io rimango sempre colpito da quella frase riportata dal Vangelo in cui Gesù dice: «Ti ringrazio, Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate agli umili… Ma è una cosa dell’altro mondo, perché ci fa capire come il disegno di Dio non guarda ai sapienti e ai potenti, a quelli che credono di essere qualcosa, ma negli umili, nei più piccoli! Basta vedere quelli che scieglie Maria, l’esercito che mette in campo Maria… A Fatima 3 bambini, a Medjugorje 6 bambini (a Lourdes una bambina)… Tu, padre Livio ce lo insegni tutti i giorni da questi microfoni. L’esercito che la Regina del Cielo e della Terra usa per battere l’impero delle tenebre è fatto di questi piccoli. E dice loro: «Guardate che voi con la preghiera e il sacrificio potete addirittura fermare le guerre mondiali, allontanare le guerre!». Mah, di per sé è una cosa folle! Dal punto di vista dei criteri umani uno dice: «Ma come è possibile?».
Il caso di P. Pio fa capire come l’offerta di sé di un uomo di Dio, questa semplice offerta di un frate sconosciuto a tutti , nel silenzio di un paesino di montagna, Dio entri nel mondo con tutta la sua potenza. In P. Pio si è dispiegata la potenza di Dio in una maniera, in una misura e con dei segni che continuano a sconcertare e a sconvolgere chiunque gli si avvicini.
P. Livio – Senti Antonio, tu hai intitolato il tuo libro «Il segreto di P. Pio». Che cos’è questo segreto?
Socci – Devo dire che mi ha colpito una cosa guardando al processo di beatificazione del padre. Una delle testimonianze principali (il cardinale Sarayva Martins, prefetto della congregazione dei santi la definisce come una delle più importanti), monsignor Pietro Galeone, che è un sacerdote pugliese, che ha conosciuto molto da vicino p. Pio per 21 anni (dal 47 al 68), racconta che una volta il padre gli ha confidato di aver chiesto ed ottenuto da Gesù di poter continuare a offrirsi vittima - anche dopo la morte - per la Chiesa e per il mondo, fino alla fine dei tempi, attraverso i suoi figli spirituali. Questa cosa mi ha colpito moltissimo! Noi di padre pio ricordavamo le parole che ha detto varie volte – non so se lo ricordi -: «Dite a tutti che dopo morto sarò più vivo di prima. E tutti quelli che verranno a chiedere, nulla gli costerà dare. Chi salirà questo monte, nessuno tornerà a mani vuote». Questa confidenza che il Padre fece a monsignor Galeone, e che egli riporta in un libro edito dalle Paoline, dice che è come se squarciasse la scena facendo intuire – e io li ho incontrati, li ho conosciuti – che delle persone semplici, figli spirituali di P. Pio, nel silenzio e nel nascondimento continuano tuttora la sua offerta. Noi sappiamo che fin dal 1918 P. Pio si offrì vittima per la Chiesa, per il Papa e per il mondo. e, attraverso questa offerta, questa preghiera, p. Pio continua la sua missione di propiziazione soprattutto per l’umanità sofferente, l’umanità mendicante – che è la nostra vera natura – e per la Chiesa. E questo è qualcosa di straordinario!
Ti ricordi quella frase che il Papa ha messo nella sua enciclica sulla speranza? La riporto anche nel mio libro: «L’umanità vive grazie a pochi»… Questa è una frase sulla quale vale la pena soffermarsi, perché penso che quando vedremo tutto, quando tutto sarà chiaro, ci renderemo conto di quanto dolore, quanto male sono stati scongiurati grazie alla preghiera e al sacrificio sconosciuto di tanti. Anche attualmente, se il mondo non è stato distrutto, non va in frantumi, è veramente perché questo esercito silenzioso e invisibile, che il Signore raccoglie fra gli umili e i semplici, continua a pregare e a offrirsi, no?
P. Livio – Si, tu insisti molto proprio su questo concetto, di queste anime vittime che partecipano alla croce di Cristo per la salvezza del mondo. Tu collochi P. Pio in questo contesto di corredenzione?
Socci – Io ho un po’ questa sensazione: noi viviamo in un tempo chiaramente molto particolare, molto speciale per la storia cristiana e per la storia della salvezza… Gli ascoltatori di Radio Maria sono più che educati a leggere i segni dei tempi, perché tu sei sempre molto chiaro da questo punto di vista. Io penso che in questo tempo, in cui è stata usata la sofferenza e il dolore – come dice il Papa nella sua enciclica sulla speranza -: «La sofferenza e il dolore sono stati usati come argomento contro Dio, per fare la guerra a Dio». Come se la sofferenza e il dolore fossero uno scandalo in cui Dio deve essere l’imputato. È come se questo mettesse in discussione la bontà di Dio o la sua onnipotenza. La grande obiezione, la bestemmia della modernità contro Dio! A questa bestemmia, che ha portato anche alla grande apostasia, all’abbandono della fede del nostro tempo, Dio non ha risposto con un discorso o con un trattato o con un libro! Ma ha risposto come 2000 anni fa con dei fatto, con dei segni. Così come 2000 anni fa ha risposto venendo Lui, facendosi uomo e prendendosi, Lui, sulle Sue spalle le nostre colpe, il nostro male, la nostra sofferenza, struggendosi di compassione per ogni più piccola sofferenza umana, così in questo tempo ha mandato un segno, che è P. Pio! Egli nella sua carne portava i segni del Crocifisso. Chiunque abbia avvicinato la figura del Padre si rende conto e si commuove per quanto grande era la sua compassione. La cosa che più sconvolgeva chi lo avvicinava con attenzione era il suo desiderio di prendersi lui le sofferenze di coloro che gli si rivolgevano. Figli malati, persone sofferenti, eccetera. Sono molte le testimonianze di coloro che volendo stringergli la mano lo vedevano saltare dal dolore, perché aveva le mani e i piedi bucati!...
P. Livio – Da parte a parte!...
Socci – E il costato aveva una ferita profonda che gettava continuamente sangue, soprattutto nei giorni di venerdì, e poi durante la Settimana Santa e durante la celebrazione della Messa. P. Pio è stato letteralmente crocifisso…
P. Livio – È come se lui avesse sopportato i dolori di Gesù, non per due giorni, ma per 50 anni!...
Socci – Si. E fra l’altro nelle cose che ha detto alla sua figlia spirituale Pia Eunice Mortali, sulla Messa, sulla celebrazione della messa in maniera particolare riviveva tutta la passione di Gesù. Più di uno, durante la celebrazione della messa, ha visto il Padre che celebrava con in capo la corona di spine. Addirittura è capitato a un giovane studente di medicina – del quale riporto nel mio libro la testimonianza – che per due volte di seguito durante la messa l’ha visto in quelle condizioni, e a un certo punto questo giovane scoppia a piangere. A coloro che gli chiedevano perché piangeva diceva che era rimasto commosso dalla serenità con cui il Padre celebrava la Messa nonostante questa corona di spine in testa. P. Pio viveva la Messa per quello che la Messa realmente è, e cioè il rinnovamento del sacrificio di Gesù. E lo riviveva nella sua stesa carne, in questo rivelando qual è l’essenza del sacerdozio. Il sacerdote non è uno che presiede l’assemblea, la cena fra amici, ma colui che consacra il Pane e il Vino in persona Cristi. Ed è qualcosa di impressionante! Sono quelle cose vertiginose che il cristianesimo ha portato e che lasciano senza fiato, senza parole…!
P. Livio – Certo che l’affermazione in cui si dice che è il presidente dell’assemblea mi sembra abbastanza ridicola rispetto all’esperienza fatta da p. Pio… Senti Antonio, devo dire che il tuo libro – che ho letto – mi ha edificato. Però evidentemente anch’io ho colto delle cose che mi hanno colpito, prima di tutto il fatto che il Padre ha cooperato alla salvezza della nostra generazione, in questo secolo infernale, con la sua sofferenza. Però tu citi una frase di P. Pio in cui dici che lui era un uomo che pregava. Cioè, la preghiera era una componente fondamentale della sua vita…
Socci – Beh, guarda, le testimonianze sono tutte concordi. Il frate pregava continuamente. In qualunque momento aveva la corona in mano. Come sapete poi, a chi gli chiese che eredità avrebbe lasciato ai suoi figli, indicava il rosario. Fra l’altro lui pregava notte e giorno. Sappiamo che per anni lui non ha quasi dormito. Durante la notte andava spesso in bilocazione per le sue missioni misteriose… Lui pregava letteralmente notte e giorno. Diceva decine e decine di rosari. Lo raccomandava ai suoi figli e a coloro che da lui mendicavano grazie. Tu sai che coloro che hanno ottenuto grazie da p. Pio sono milioni. Dal 68, anno della sua morte, al 95 sono state raccolte più di 500 mila segnalazioni di grazia. E lui ha sempre detto a coloro che andavano a ringraziarlo: «Non ringraziare me. Non sono io che faccio i miracoli. Io sono un frate che prega». Ma era una preghiera fatta con tutta la sua persona.
P. Livio – Antonio, tu hai parlato molte volte nel tuo libro e anche in altri libri – e d’altro canto è davanti agli occhi di tutti – della crisi che ha investito i sacerdoti… speriamo che Dio ci dia la grazia di superarla. Però io credo che p. Pio, come uomo che celebra la Messa, come uomo che confessa e prega, sia ciò che Gesù ci ha riproposto, a noi sacerdoti, la figura del sacerdote…
Socci – Se. E questa è la cosa più impressionante, perché quando si pensa che la vita di P. Pio si è svolta in pochi metri quadrati, dalla sua cella al confessionale all’altare. Lui non ha chiamato nessuno a San Giovanni Rotondo!... È un po’ come quando Gesù dice: «Quando sarò innalzato da terra attrarrò tutti a me». Anche in questo caso tutti sono stati attratti. Lui che cosa faceva? Confessava e celebrava la Santa Messa! Per questo si rimane sconvolti dal capire la portata e la potenza della celebrazione della Messa.
Ho riportato alcune meditazioni del cardinale Siri, che secondo me è stato quello che più intensamente ha capito la portata teologica e la profondità della figura di P. Pio e del dono che egli è stato per la Chiesa. Ma realmente la Messa è il dono più grande per noi cristiani. Ma anche veramente per quelle cose umane e terrene che tutti abbiamo a cuore, come la pace, la giustizia… Noi pensiamo sempre che dobbiamo fare manifestazioni, marce, convegni, attività… per carità, anche queste sono meritorie, ma spesso no ci rendiamo conto che l’arma più efficace e più straordinaria, il più grande esorcismo sul mondo, che sconfigge veramente il signore del male «il principe delle tenebre» che impazza per il mondo, è stato fatto da Gesù Cristo 2000 anni fa! È stato dato all’uomo il potere di riviverlo ogni giorno, ed è il sacrificio della messa. Non c’è nulla di più potente che gli uomini possano fare per la giustizia, per la pace, per la vita dell’uomo, per tutte le sofferenze umane, che la Messa! E in P. Pio questa cosa è straordinaria! La mia impressione è che noi non ci facciamo caso, non ce ne rendiamo conto!
P. Livio – Senti Antonio, tu hai portato anche le cifre delle folle che ha mosso P. Pio, che sono impressionanti. Io credo che sia impressionante anche il fatto che a San Giovanni Rotondo, che poi è abbastanza fuori mano, si rechino ogni anno 7 milioni di persone, quando a Lourdes, che è il più grande santuario mariano, se ne recano 5 milioni. Folle enormi. E le lettere che scrivono a P. Pio sono centinaia di migliaia. Un fenomeno del genere non si è mai verificato… Che una persona cheè sempre rimastale muovesse così tanta gente non sembra si sia mai verificato. Secondo te, perché la gente si muoveva in questo modo verso p. Pio? Una folla così enorme ha dell’incredibile!
Socci – Ma guarda, io penso davvero i santi li fa Dio, e quando Dio manda un santo a un certo tempo, in un certo momento della storia dell’umanità è perché Lui sa che deve parlare al cuore di quella generazione. Lì si rende evidente che non è la sapienza umana, la potenza umana, o quello che i mezzi che noi escogitiamo – come diceva una volta il cardinale Ratzinger prendendo un po’ in gira l’affannarsi burocratico - i tanti progetti pastorali, ma è la potenza di Dio che converte. Io penso che tutti gli uomini si rendono conto, in certi momenti della vita - quando la vita li mette con le spalle al muro – che noi siamo veramente dei poveracci. Siamo mendicanti! Abbiamo bisogno di tutto. Ci diamo tante arie, facciamo i gradassi, ma poi basta un nonnulla, basta un dolorino per metterci ko. E ci rendiamo conto che noi non abbiamo assolutamente niente, a cominciare dalla vita, e che possiamo soltanto stendere la mano.
Secondo me, sia dalla persone semplici e umili a quelle più «importanti», hanno visto in lui Dio che si prende curategli esseri umani. Hanno capito che lassù potevano stendere la mano. Perché il vedere in un santo, che è l’icona di Cristo, che Dio davvero si prende cura di te, che ti soccorre, che ti aiuta e ti sostiene, è quello che scioglie il cuore! Pensa anche soltanto a una caratteristica di P. Pio che è testimoniata da decine e decine di persone sconosciute che si recavano da lui accostandosi al confessionale e che si sentivano raccontare da lui la loro vita… Un po’ come quello che accadeva a Gesù 2000 anni fa, no? L’episodio della Samaritana, di Natanaele, eccetera… Il potere dei cuori. Quale altro potere manifesta di più la potenza di Dio di trovarsi davanti a un altro essere umano che ti legge nel cuore? Che ti dice che sei tu, più di quanto tu sappia. È il sentirsi proprio creature finite e bisognose di tutto, e dall’altra parte vedere un così grande potere «buono!» – secondo me – che ha attratto così tante persone. Un segno della presenza fra noi di quel Gesù che ferma le tempeste, che risuscita la bambina morta, che legge nei cuori, però il Signore buono, che ha compassione di tutti gli esseri umani e che si piega su di loro e si prende ogni essere umano sulle spalle, e paga per loro!
P. Livio – Certo, come tu hai scritto, il segreto di P. Pio è che infiammava i cuori col suo amore a Gesù. Infatti Gesù rivive la sua vita nei santi, ma anche in noi cristiani dovrebbe rivivere in un certo senso.
Socci – Infatti Don Giussani diceva che il santo non è un uomo superiore, un uomo eccezionale: il santo è un uomo vero! Rappresenta la nostra vera vocazione. Se noi cristiani conoscessimo davvero chi siamo, di che cosa abbiamo ricevuto col battesimo e dai sacramenti, penso che…
P. Livio – Io ammiro certamente i «poteri» di P. Pio, ma personalmente mi attira di più la sua esperienza interiore. A questo riguardo mi ha molto colpito quello che ha detto il cardinale Siri parlando degli aspetti mistici del Padre, e parlava di una che forse è la più alta esperienza mistica a cui si può arrivare e che è la «fusione dei cuori». Dicci anche qualcosa dell’esperienza mistica di P. Pio. Che tipo di mistica è?
Socci – C’è un aspetto impressionante che mi ha molto colpito leggendo nel grande epistolario. Le lettere che vanno dalla sua ordinazione sacerdotale, nel 1910, dove già allora si offrì vittima. E non a caso un mese dopo l’ordinazione sacerdotale lui ebbe le stimmate. Egli pregò che rimanessero invisibili. Restarono invisibili infatti fino al 1918. Bene, sono rimasto molto colpito dalla lettura delle lettere ai suoi padri spirituali, p. Agostino e p. Benedetto, quando, col dono delle stimmate visibili il caso p. Pio diventò un segno pubblico. Lui, giovane frate, ventenne, trentenne, nel nascondimento di un piccolo villaggio di campagna, offrendo se stesso, in quegli anni con prove molto pesanti, questo totale amore a Gesù. C’è una lettera in cui dice: «Accetto tutte le sofferenze pur di non essere allontanato dal Suo amore! E di poter continuare a vedere la dolcezza che piove dai Tuoi occhi».In quegli anni lui si consuma nella contemplazione di Cristo, nell’amore a Cristo e nella preghiera di poter soffrire con Lui e portare con Lui il peso e la sofferenza del mondo. Da queste lettere appare in maniera assolutamente commovente e straordinaria il suo amore per Dio e la Santa Vergine.
P. Livio – Lo sai che io sono colpito spesso dalle date particolari. P. Pio è nato il 25 maggio. 25, giorno dei messaggi di Medjugorje, maggio…Approfondisci allora anche la devozione mariana di P. Pio.
Socci – Guarda, c’è un libro scritto da Don Nello Castello, che tratta proprio della devozione mariana di P. Pio, e che è assolutamente straordinaria! Il suo rapporto con la Santa Vergine è strettissimo, perché la sua identificazione con Gesù arriva anche attraverso la sua intimità con la Madre di Gesù, che per lui è la sua stessa madre. Non a caso la sua preghiera prediletta è appunto il Rosario. Lui ha vissuto pienamente ciò che il Monfort dice, e cioè che «La via più diretta per arrivare al cuore di Cristo è il cuore di Maria. Devi sapere che nel 1918 durante la Guerra mondiale – che è questo evento che in qualche modo scoperchia il vaso di pandora da cui si scatenano i demoni (perché da essa iniziano poi i grandi totalitarismi e la grande barbarie del XX secolo), un evento apocalittico al quale, non a caso la Chiesa si oppose con tutte le sue forze. Per scongiurare il quale il Papa San Pio X offrì letteralmente la sua vita – ecco, durante questo luttuoso evento p. Pio disse che il Papa offriva la sua vita per quella che poi Benedetto XV chiamò l’ «inutile strage», probabilmente intuendo che cosa sarebbe venuto da lì. Ed è impressionante che Dio risponde a questo scatenarsi dei demoni, innanzitutto con Fatima, che p. Pio conosce in diretta, ma mi ha colpito questo, che nel 1917 Papa Benedetto XV, il 4 o 5 maggio in un motu proprio chiede alla cristianità una preghiera speciale per far finire la guerra, appellandosi in maniera particolare all’aiuto della Vergine, perché dice: «Senza l’aiuto della Vergine, senza l’aiuto di Maria, l’umanità è perdute!». Meno di 10 giorni dopo iniziano le apparizioni di Fatima, come una risposta diretta all’appello di Pietro, del Vicario di Cristo. L’anno dopo, sempre nel mese di maggio, mi pare il 9 maggio, il Papa chiama tutta la cristianità ad una offerta particolare in vista della festa dei santi Pietro e Paolo, per la pace nel mondo e per la Chiesa.
Padre Pio, che come era abituato a fare da sempre, prende molto sul serio questo appello del Papa, e si offre definitivamente vittima per la Chiesa e per l’umanità in quello stesso maggio. E da lì iniziano quei fenomeni che faranno di p. Pio un segno pubblico, perché durante la festa del Corpus Domini lui ha questa esperienza straordinaria del «sentirsi rinchiudere in carcere». E la giornata che ricorda il martirio dei santi Pietro e Paolo è quella che connota la missione del Vicario di Cristo. E questa serie di segni soprannaturali arriva poi al 20 settembre 1918, giorno in cui riceve le stimmate. L’offerta della sua vita è come se venisse accettata dal Cielo, e questa offerta durerà 50 anni. Per 50 anni è richiesto a P. Pio di portare la croce. Esattamente 50 anni dopo, nel 1968 accade questa cosa strana. Il 18 settembre, per la festa del Santissimo Nome di Maria, p. Pio scrive una lettera – che era così inusuale per lui (una lettera a Papa Paolo VI che ha appena firmato l’ Humanae vitae, ed è uno dei momenti più drammatici del suo papato, perché Paolo VI si trova praticamente isolato. È un momento di turbolenza della storia della Chiesa in cui vi fu una ribellione come probabilmente se ne sono viste mai nella storia della Chiesa), e P. Pio sente il bisogno di dire al Papa che egli si offre per lui e che inviterà tutto l’ordine cappuccino a stare vicino al Papa. E di lì a poco, dopo aver avuto le stimmate per 50 anni, accade il segno prodigioso della sparizione delle stimmate, senza lasciare alcuna cicatrice. Una cosa, dal punto di vista della medicina, totalmente inspiegabile. Bene, lui di nuovo si offre vittima, fra l’altro mandando una rosa al santuario di Pompei, una rosa che credo sia tuttora conservata, e che tornerà bocciolo al momento della morte di P. Pio, il 23 settembre. Secondo me in questa traiettoria c’è il segno che la vita di P. Pio è stata offerta per il Papa, per la chiesa e per l’umanità. Un’offerta durata 50 anni. Credo che questa vita e questa morte abbia propiziato molte grazie alla Chiesa.
P. Livio – Tu scrivi nel tuo libro che p. Pio e Pio X sono la risposta di dio al secolo infernale, il secolo scorso, che tu definisci come uno dei secoli più tremendi della storia. C’è stato anche l’incontro di Papa Wojtyla con P. Pio. Ecco, non credi che questa luce e questa grazia sul momento storico che viviamo, oltre che ai legami con i papi dell’inizio del secolo scorso, ci siano anche quelli con Giovanni Paolo II?
Socci – Sicuramente, si. La mia impressione – ripeto, è soltanto una ipotesi – è che una delle grandi grazie che la morte di P. Pio ha propiziato è il pontificato di Giovanni Paolo II. Che infatti viene dopo il pontificato di Paolo VI, che si chiude nella drammaticità e nella sofferenza. Nella solitudine del Papa e in una situazione, che noi ricordiamo bene. Il grande smarrimento della cristianità! E la risposta del Cielo è arrivata in quell’ottobre in cui quel giovane cardinale polacco, appena eletto papa, si è affacciato dal balcone di San Pietro dicendo: «Sia lodato Gesù Cristo!». E lì,, dalla forza di quell’annuncio si è capito che Dio aveva soccorso la sua Chiesa e la cristianità.
E c’è un legame straordinario fra Karol Wojtyla e P. Pio che vorrei ricordare in alcuni aspetti. Lui si reca, da giovane sacerdote, nel 1948, a San Giovanni Rotondo. Lì accade una serie di cose abbastanza particolari. Una è la confidenza che p. Pio fa a lui, della piaga sulla spalla, che è una cosa insolita perché padre Pio non parlava mai con nessuno, neanche con i frati con cui viveva, della stimmate. A lui rivela questa croce che lui portava, legata al pontificato. Poi c’è tutta una serie di testimonianze che fanno pensare seriamente al fatto che a lui sia stato predetto il pontificato e anche l’attentato. Poi c’è nel 62 un evento assolutamente straordinario, della guarigione di Wanda Boltaska, questa amica di infanzia del Papa, che era stata detenuta in un campo di concentramento nazista e che aveva 4 figli…
P. Livio – Io l’ho conosciuta molto bene. Ho anche litigato con lei, ma tremendamente, eh? Perché lei era un po’ incredula su Medjugorje. (Risatina).
Socci – Eh, ma lei era incredula anche sul fatto che fosse stato p. Pio ad ottenerle la guarigione. Quando poi il Papa tornò a Cracovia e le fece capire ciò che era successo… (lei, che era medico, diceva: «Mah, secondo me non è così. Forse hanno sbagliato la diagnosi…». A lei era stato diagnosticato un tumore e doveva essere operata. Se nonché prima di operarla si accorsero che il tumore era sparito. Quando lei venne in Italia nel 67 fu invitata dal cardinale Wojtyla ad andare da P. Pio, almeno a conoscerlo, perché lui diceva: «Guarda che è per sua intercessione che sei stata guarita!». Lei racconta che in maniera molto incredula andò a San Giovanni Rotondo. Prima di tutto fu molto colpita dalla celebrazione della Messa perché essendo medico si rendeva conto delle sofferenze che stava patendo P. Pio. Alla fine della messa, in una chiesa stracolma di fedeli, lei vede questo frate che stava guardando. Sembrava che stesse cercando qualcuno. A un certo punto il padre si fermò davanti a lei, le sorrise, le fece una carezza su una guancia e le disse: «Adesso va bene?». E poi lei disse: «Soltanto in quel momento capii che ero stata miracolata veramente per intercessione di p. Pio». Insomma, lei ebbe bisogno di un segno ulteriore.
L’altra cosa straordinaria è che il cardinal Wojtyla, alla fine di ottobre, per il 28° anniversario della sua ordinazione ed era in Italia per il sinodo (Lui era stato ordinato il 1° di novembre), nel giorno di Tutti i Santi egli avrebbe dovuto tornare in Polonia per celebrare questo suo anniversario, decise di restare in Italia e di celebrarlo, non in tanti luoghi, per esempio a Roma, ma a San Giovanni Rotondo, assieme ad altri amici, fra i quali il cardinale Descour. Vi rimase addirittura tre giorni e questo è abbastanza strano e insolito perché P. Pio a quel tempo non era ancora stato dichiarato beato, che un cardinale decida di celebrare l’anniversario del suo sacerdozio (di Wojtyla) a San Giovanni Rotondo, anziché tornare in Polonia, significa che c’è un legame intimo molto particolare. Sappiamo che poi fu il Papa che ha deciso l’apertura del processo di beatificazione e poi di canonizzazione e che si è recato a San Giovanni Rotondo. E abbiamo una testimonianza pubblicata da Stefano Campanella, anche questa abbastanza misteriosa in cui il Papa ricorda la sua prima visita a P. Pio. Ciò fa pensare che vi siano stati anche altri contatti. Io penso che ci sia anche una mano di P. Pio nella vicenda dell’attentato.
P. Livio – Si, ho letto il primo capitolo. È molto interessante. Ci sarebbero due suore, una è quella che ha bloccato Ali Acka e una, ammalata, che avrebbe deviato la pallottola…
Socci – Ma guarda, io sono stato colpito da questo fatto. Il giudice Ilario Martella, che è iol giudice che ha condotto l’inchiesta per l’attentato al Papa, durante una audizione in una commissione parlamentare riporta queste testuali parole di Ali Acka, pronunciate durante un interrogatorio per l’attentato. Disse: «Era mio preciso intendimento uccidere il Papa. Questo era il mandato che mi era stato affidato. Tant’è che ho sparato solo due colpi, perché accanto a me c’era una suora che a un certo momento mi ha preso il braccio destro, per cui non ho potuto continuare a sparare, altrimenti io avrei ucciso il Papa». Ora, che avrebbe ucciso il Papa è sicuro, perché era a due metri, e a un killer professionista bastava un altro colpo…
P. Livio – ed erano anche pallottole avvelenate…
Socci – Non solo, ma poi già il colpo che lo aveva centrato al ventre era di tale precisione che solo un miracolo poteva salvarlo. Infatti il professor Crucitti raccontò che quella pallottola praticamente fece uno slalom fra tanti organi vitali. Ma la cosa strana e misteriosa è, chi è questa suora che si è aggrappata al braccio dell’attentatore? Perché finora la suora di cui tutti abbiamo sempre parlato, e che era stata anche interrogata dagli inquirenti, eccetera, è quella famosa suor Lucia, che fermò Acka, ma che però era – come lei racconta – era 10 metri dietro ad Acka. Questa suora, che vive tuttora, ha testimoniato che lei fermò Acka quando Acka si voltò e cominciò a correre verso il colonnato del Bernini. Allora non si è mai capito chi era questa suora. Adesso la cosa strana, straordinaria, e che un sacerdote che opera nel santuario della Madonna della Stella, in Umbria, ed e stato p. Franco Danastasio, che è stato per anni rettore del santuario S. Gabriele dell’Addolorata, ha raccontato che, essendo il confessore di una suora morta in fama di santità, una agostiniana morta a Santa Croce sull’Arno nel 1992. una figlia spirituale di P. Pio che aveva tanti doni carismatici, compresa la bilocazione, ha raccontato di aver ricevuto da lei questa confidenza. Lei ha detto di essere stata presente in bilocazione in piazza san Pietro quel giorno. E disse: «Con la Madonna abbiamo impedito all’attentatore di uccidere il Papa. Il sacerdote aveva il permesso di dire questa confidenza solo dopo la morte della suora. E fra l’altro p. Franco Danastasio è stato chiamato dal cardinale Jiwosh a fare una testimonianza giurata a Cracovia al processo di beatificazione di Karol Wpjtyla, che da una parte è una straordinaria conferma mistica di quello che il Papa ha sempre detto. Il Papa ha sempre detto: «Io sono stato salvato dalla Madonna. È la Madonna che ha impedito che mi uccidessero». E dall’altra è una spiegazione di quella deposizione che ha fatto l’attentatore dicendo che una suora gli aveva impedito di sparare, attaccandosi al suo braccio…
P. Livio – Scusa, Antonio, noi sappiamo che nel «segreto di Fatima» si parla di un uomo vestito di bianco che cade morto, non sarebbe per caso a causa dell’intercessione di questa figlia spirituale di P. Pio che ha ottenuto che la pallottola fosse deviata?
Socci – eh, guarda, il grande punto interrogativo è questo. Lei, seguendo la spiritualità di P. Pio, diceva che si offriva vittima di espiazione, e ha detto testualmente «Quanto ci è costata la salvezza del Papa!». È evidente che questa è una prerogativa degli esseri umani che sono ancora qui sulla terra. P. Pio diceva: «Gli angeli questo solo ci invidiano, il poter offrire le sofferenze a Dio». Suor Rita Montella, figlia spirituale di P. Pio viveva esattamente così questo mistero di espiazione. Io penso che – pur avventurandomi nell’ordine soprannaturale dove il mistero è fitto – pero io credo che non è peregrino pensare che la salvezza del Papa sia passata attraverso l’intervento di Maria e anche attraverso la propiziazione di chi per il Papa aveva tanto sofferto.



IL RACCONTO DELL'ANTICRISTO (1900) - Vladimir Sergeevic SOLOVIEV Da "Il Sabato" n.14 - 2 aprile 1988 - Il breve racconto dell'Anticristo è tratto da: "I tre dialoghi" di Vladimir Soloviev, edizione Marietti 1975.




I poveri nel Medioevo
di Mario Arturo Iannaccone
Parrocchie, re, principi, papi e vescovi: tutti esercitavano l’elemosina, offrendo soccorsi in denaro o in natura. Alla devozione si univa la carità verso poveri e ammalati. I meriti della Chiesa.

[Da «il Timone», n. 50, febbraio 2006]

Del Medioevo viene spesso trasmessa un’idea sbagliata anche per quanto riguarda il problema della povertà. Studi recenti stanno smentendo l’immagine di un Medioevo gravato dalla miseria e da una fame diffusa e invincibile. Come sempre, la realtà è più sfumata e sembra proprio che la fame più atroce sia iniziata con l’età moderna. Anche se non va idealizzato, il lunghissimo periodo medievale è, per molti versi, simile alla nostra epoca per quanto riguarda l’intensità della felicità e dell’infelicità, della miseria e della ricchezza. Ciò che è profondamente cambiato è la mentalità nostra che ci fa apparire intollerabile o miserabile ciò che un tempo era accettato. Purtroppo non abbiamo la controprova, e non potremo mai sapere cosa avrebbe pensato un uomo medievale degli stili di vita moderni. Probabilmente li avrebbe considerati intollerabili e disperati.

Nel Medioevo, lo stato di bisogno era causato principalmente dalle guerre, dalle epidemie, dal tempo inclemente e dalla malattia. Artigiani a contadini che dipendevano dal lavoro delle proprie braccia cadevano velocemente nella povertà se impossibilitati a lavorare per cattiva salute. Non a caso, le parole “povero”, “indigente” (il povero che non ha da mangiare e vive solo di assistenza) e “ammalato” divennero quasi sinonimi. Anche la contrazione di debiti, soprattutto con gli usurai, facevano precipitare in una povertà dalla quale era difficile risollevarsi. Altre categorie di persone esposte alla fame erano le vedove, gli orfani, i prigionieri di guerra, i ciechi.

Come fu affrontata la piaga della povertà in quei secoli? Con la carità, l’estremo rimedio, necessario vista l’impossibilità, purtroppo, di creare una condizione di vita equa per tutti. Un rimedio estremo, è vero, ma allora parte di un quotidiano esercizio della misericordia, profondamente sentito. Si percepiva di far parte di un’unica comunità nella quale tutti dipendevano da tutti gli altri. Pur tra mille contraddizioni, l’atteggiamento verso i bisognosi era ispirato dall’amore che è parte integrante del messaggio cristiano. Gesù aveva detto «Date da bere agli assetati, date da mangiare agli affamati», ricordando che chiunque avesse aiutato gli ultimi avrebbe aiutato Lui.

Col crollo dell’impero romano era scomparsa anche l’organizzazione civile che aveva consentito, per secoli, la sopravvivenza del più sfortunati. Fu allora che le istituzioni della Chiesa, come i vescovati, si presero in carico questo delicato aspetto della vita sociale. Nel VI secolo, san Benedetto creò il monachesimo che per secoli sarebbe stato un sicuro rifugio per i bisognosi. I monasteri infatti non erano soltanto isole di preghiera e di cultura ma attivissimi centri economici, che trasformavano il territorio in cui s’installavano. E san Benedetto nella sua “Regola”, guida di tutti i benedettini, aveva prescritto che l’eccesso della produzione alimentare derivante dal lavoro del monaci fosse donato ai poveri e agli indigenti. Era previsto anche che un terzo di quanto i monaci ricevevano, in dono o eredità, fosse speso allo stesso modo. Alle porte dei monasteri, dunque, i poveri avevano la certezza di trovare sempre da mangiare e anche un ricovero per i periodi più freddi. A partire dall’anno Mille furono creati gli ostelli (“hospitales”), ricoveri organizzati per aiutare i poveri, gli ammalati e i pellegrini.

Alla fine del XII secolo si verificarono ripetute, gravi crisi alimentari, che aumentarono ovunque la massa del poveri, e in alcune zone il pauperismo divenne un grave problema. Nelle città, sempre più grandi, si formarono masse di mendicanti. Fu allora che san Francesco creò un nuovo tipo di vita religiosa, quello degli Ordini Mendicanti, i cui frati si facevano poveri tra i poveri dandosi come scopo, oltre alla predicazione, anche l’aiuto ai bisognosi e agli ammalati. Non a caso, i conventi venivano costruiti all’interno della città, a differenza del monasteri che sorgevano per lo più in luoghi isolati. Fu anche grazie all’opera dei frati e al loro influsso sui ricchi, i potenti, i nobili se il secolo XIII è ricordato come un’oasi di relativa tranquillità per i poveri anche se nemmeno allora mancarono gravi crisi. La situazione peggiorò nuovamente nella prima metà del XIV secolo, a causa di una serie di disastri meteorologici e d’inverni freddi. Alla metà del secolo si ebbe un nuovo alleviamento della povertà, ma soltanto perché la Peste Nera aveva ucciso un terzo degli europei, liberando molte risorse per quelli che erano sopravvissuti.

Ma lo sforzo di alleviare le condizioni degli affamati investiva tutta la società cristiana dell’epoca. Le parrocchie, i re, i principi, i papi e i vescovi esercitavano tutti l’elemosina con modalità diverse, offrendo soccorsi in denaro o in natura (pane, lardo, abiti). In quasi tutti i centri abitati, piccoli e grandi, si formarono confraternite religiose composte da laici e religiosi che avevano lo scopo di regolare la devozione ma anche di aiutare i poveri e gli ammalati. Le confraternite (che assumevano nomi e caratteristiche differenti nelle diverse nazioni) erano legate al clero diocesano, al vescovo, alle chiese e ai santuari. Il loro ruolo è stato importantissimo per alleviare le condizioni di chi aveva fame o non aveva una casa. Esse offrivano sicurezza anche ai loro associati. In caso di malattia o bisogno, i confratelli erano obbligati all’aiuto: pagavano i debiti, i conti del medico, provvedevano al sostentamento della famiglia caduta in miseria. In molti casi, organizzarono dei veri e propri ostelli, e non era infrequente che poveri aiutati in questo modo riuscissero a risollevarsi dal loro stato.

Insomma, a fronte di una situazione tanto grave e dolorosa si cercava di porre un rimedio vedendo negli altri il “prossimo”. La carità comunque era un dovere del cristiano, continuamente ricordato dal predicatore e dal confessore. Il nobile, il ricco, il mercante di successo si consideravano in obbligo verso la Provvidenza e l’avaro, che non faceva elemosina, era circondato dal disprezzo. Pur non esistendo un’organizzazione statale cosi come la conosciamo oggi, grazie al sentimento religioso, alla carità che si faceva misericordia, fu creata una rete di aiuto fondata sul dovere cristiano del soccorso al più debole e sul sincero desiderio di aiutare i fratelli in Cristo.

Secondo gli storici, il periodo peggiore per i poveri giunge all’inizio dell’età moderna nel secolo XVI. La Riforma protestante non attribuirà alcun valore meritorio alle opere di carità e di conseguenza saranno soprattutto i poveri degli Stati protestanti a trovarsi più esposti alle ricorrenti carestie, alla fame, alla solitudine della miseria, privi ormai della protezione accordata da monasteri, conventi, parrocchie e confraternite. I poveri furono colpevolizzati, e la povertà fu giudicata un segno della mancanza della grazia di Dio. Di una cosa possiamo essere certi: gli indigenti c’erano nel Medioevo ma esistono anche ai nostri giorni. Siamo sicuri che i nostri progenitori abbiano affrontato lo scandalo della miseria peggio di noi oggi?

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«Facciamo fatica oggi a immaginare una società senza ospedali, senza ospizi, senza assistenza pubblica e, genericamente, senza quel che si è deciso dl chiamare, ai giorni nostri, la sicurezza sociale. E tuttavia, senza la presenza e l’azione caritatevole della Chiesa e, più in particolare, degli ordini religiosi, la società medievale sarebbe stata proprio così».
(Leo Moulin in La civiltà del monasteri, Jaca Book, Milano 1998).



Bibliografia

M. Mollat, I poveri nel Medioevo, Laterza, 2001.
V. Paglia, Storia dei poveri in Occidente. Indigenza e carità, Rizzoli, 2003.

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PROSPETTIVE PER IL 1° GENNAIO - IL NOSTRO MICROCOSMO APRIPISTA DEL MONDO INTERO
Avvenire, 12.12.2007
ANDREA LAVAZZA
C’entra con la pace nel mondo la fa­miglia naturale fondata sul matri­monio, «culla della vita e dell’amore»? No, se l’idea è limitata a un idilliaco quadret­to in cui bravi genitori cercano di dare ai figli un’educazione che li tenga lontani dall’odio. Nessun buonismo di questo ti­po ha evitato gli spaventosi conflitti del­la Storia. Per nulla, nel caso la famiglia sia il luogo privato dei diritti senza doveri, delle libertà senza responsabilità, slega­to, si pensa, dalle altre questioni sociali e politiche. Sì, invece, se lo sguardo è più profondo e lungimirante, va alla radice della legge morale che ogni uomo può scoprire ed è chiamato a vivere nelle re­lazioni con il prossimo.
Il messaggio di Benedetto XVI per la Gior­nata mondiale della Pace 2008 non teme di sfidare l’incomprensione di coloro che hanno una prospettiva miope; con deci­sione afferma che «chi anche inconsape­volmente osteggia l’istituto familiare ren­de fragile la pace nell’intera comunità, nazionale e internazionale, perché inde­bolisce quella che, di fatto, è la principa­le 'agenzia' di pace».
E non si tratta solo di un’analogia perché, come ha ricordato l’agenzia «AsiaNews», in Cina (oltre un sesto della popolazione mondiale) i programmi coercitivi di con­trollo demografico e la proibizione del­l’educazione religiosa ai figli fino al di­ciottesimo anno di età violano i diritti fon­damentali della persona e minano la con­vivenza, facendo crescere il disagio e la devianza, fino ai gravi problemi di crimi­nalità minorile, infine riconosciuti dallo stesso governo di Pechino. Ecco allora che dalla famiglia, «nucleo naturale e fonda­mentale della società» secondo la stessa Dichiarazione universale dei diritti del­l’uomo, diventa possibile svolgere un di­scorso che riguarda tutta l’umanità e il suo anelito alla pace.
«La famiglia ha bisogno di una casa, di un ambiente a sua misura in cui intessere le proprie relazioni. Per la famiglia umana questa casa è la Terra». E di essa dobbia­mo avere cura, esorta il Papa, «senza ac­celerazioni ideologiche», ma «concertan­do insieme un modello di sviluppo so­stenibile che garantisca il benessere a tut­ti nel rispetto degli equilibri ecologici». «Prudenza non significa» però «non as­sumersi le proprie responsabilità e ri­mandare le decisioni».
Se siamo famiglia, non c’è spazio per «de­cisioni unilaterali» da parte di nessuno. E un fronte sul quale bisogna quindi «in­tensificare il dialogo tra le Nazioni è quel­lo della gestione delle risorse energetiche del Pianeta». Più moderazione nei con­sumi da parte dei Paesi ricchi significa an­che meno sfruttamento di quelli poveri. Questi ultimi hanno diritto a un’equa di­stribuzione della ricchezza all’interno di un’economia che vada incontro alle esi­genze del bene comune globale; tuttavia, sono chiamati a un efficiente utilizzo de­gli aiuti, evitando sprechi in burocrazia.
Una famiglia risulta poi ordinata e giusta se tutti i suoi componenti si assoggetta­no a una norma comune, una legge che protegga i deboli dall’arbitrio. Tali norme giuridiche per i rapporti tra le Nazioni, scrive Benedetto XVI, «esistono, ma per far sì che siano davvero operanti bisogna risalire alla norma morale naturale», al­trimenti la norma giuridica «resta in ba­lia di fragili e provvisori consensi».
Soltanto dopo aver svolto queste consi­derazioni, e indicato l’ideale cammino della famiglia umana, il Papa rivolge l’ap­pello accorato per trattative in vista del­lo smantellamento progressivo degli ar­senali nucleari. Ma prima ancora va rico­nosciuta in Dio «la sorgente originaria della propria, come dell’altrui, esistenza». Soltanto così «può essere percepito il va­lore incondizionato di ogni essere uma­no ». Senza questo fondamento trascen­dente, «la società è solo un’aggregazione di vicini». E la pace resta lontana o prov­visoria.
Di fronte a coloro che combattono la re­ligione come fonte dei conflitti, Benedet­to XVI riafferma, al contrario, che è Dio, nella fede rettamente intesa, la radice del­la vera pace.