giovedì 20 dicembre 2007

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: senza un Dio che si è fatto uomo, che senso ha il Natale?
2) Contro la pena di morte, una vittoria “a metà
3) Gioia e riserve della Santa Sede per la moratoria della pena di morte
4) L’ABORTO, DOPO LA PENA DI MORTE - SÌ, PRONTI A SOTTOSCRIVERE LA MORATORIA/2
5) Che cosa c’entra il Natale con un Paese davvero depresso
6) Ferrara: ora moratoria anche per l’aborto
7) la denuncia «In ospedale, lasciati soli contro il dramma»
8) La speranza restaura le rovine moderne


Benedetto XVI: senza un Dio che si è fatto uomo, che senso ha il Natale?
Intervento all'Udienza generale
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 19 novembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale tenutasi nell’Aula Paolo VI.


* * *
Cari fratelli e sorelle!
In questi giorni, via via che ci avviciniamo alla grande festa del Natale, la liturgia ci sprona a intensificare la nostra preparazione, ponendoci a disposizione molti testi biblici dell’Antico e del Nuovo Testamento, che ci stimolano a ben focalizzare il senso e il valore di questa annuale ricorrenza. Se da una parte il Natale ci fa commemorare il prodigio incredibile della nascita del Figlio Unigenito di Dio dalla Vergine Maria nella grotta di Betlemme, dall’altra ci esorta anche ad attendere, vegliando e pregando, lo stesso nostro Redentore, che nell’ultimo giorno "verrà a giudicare i vivi e i morti". Forse noi oggi, anche noi credenti, aspettiamo realmente il Giudice; tutti però aspettiamo giustizia. Vediamo tanta ingiustizia nel mondo, nel nostro piccolo mondo, nella casa, nel quartiere, ma anche nel grande mondo degli Stati, delle società. E aspettiamo che sia fatta giustizia. La giustizia è un concetto astratto: si fa giustizia. Noi aspettiamo che venga in concreto chi può fare giustizia. Ed in questo senso preghiamo: Vieni, Signore, Gesù Cristo come Giudice, vieni secondo il modo tuo.
Il Signore sa come entrare nel mondo e creare giustizia. Preghiamo che il Signore, il Giudice, ci risponda, che realmente crei giustizia nel mondo. Aspettiamo giustizia, ma questo non può essere solo l’espressione di una certa esigenza nei confronti degli altri. Aspettare giustizia nel senso cristiano indica soprattutto che noi stessi cominciamo a vivere sotto gli occhi del Giudice, secondo i criteri del Giudice; che cominciamo a vivere in presenza sua, realizzando la giustizia nella nostra vita. Così, realizzando la giustizia, mettendoci alla presenza del Giudice, aspettiamo nella realtà la giustizia. E questo è il senso dell’Avvento, della vigilanza. Vigilanza dell’Avvento vuol dire vivere sotto gli occhi del Giudice e preparare così noi stessi e il mondo alla giustizia. In questo modo, quindi, vivendo sotto gli occhi del Dio-Giudice, possiamo aprire il mondo alla venuta del suo Figlio, predisporre il cuore ad accogliere "il Signore che viene".
Il Bambino, che circa duemila anni or sono i pastori adorarono in una grotta nella notte di Betlemme, non si stanca di visitarci nella vita quotidiana, mentre come pellegrini siamo incamminati verso il Regno. Nella sua attesa il credente si fa allora interprete delle speranze dell'intera umanità; l’umanità anela alla giustizia e così, benché spesso in modo inconsapevole, aspetta Dio, aspetta la salvezza che solo Dio può donarci. Per noi cristiani questa attesa è segnata dalla preghiera assidua, come ben appare nella serie particolarmente suggestiva di invocazioni che ci vengono proposte, in questi giorni della Novena di Natale, sia nella Messa, nel canto al Vangelo, sia nella celebrazione dei Vespri, prima del cantico del Magnificat.
Ciascuna delle invocazioni, che implorano la venuta della Sapienza, del Sole di giustizia, del Dio-con-noi, contiene una preghiera rivolta all'Atteso delle genti, affinché affretti la sua venuta. Invocare il dono della nascita del Salvatore promesso, significa però anche impegnarsi a prepararne la strada, a predisporne una degna dimora non soltanto nell'ambiente attorno a noi, ma soprattutto nel nostro animo. Lasciandoci guidare dall’evangelista Giovanni, cerchiamo pertanto di volgere in questi giorni la mente e il cuore al Verbo eterno, al Logos, alla Parola che si è fatta carne e dalla cui pienezza abbiamo ricevuto grazia su grazia (cfr 1,14.16). Questa fede nel Logos Creatore, nella Parola che ha creato il mondo, in Colui che è venuto come Bambino, questa fede e la sua grande speranza appaiono oggi purtroppo lontane dalla realtà della vita vissuta ogni giorno, pubblica o privata. Questa verità pare troppo grande. Noi stessi ci arrangiamo secondo le possibilità che troviamo, almeno così sembra. Ma in questo modo il mondo diventa sempre più caotico ed anche violento: lo vediamo ogni giorno. E la luce di Dio, la luce della Verità, si spegne. La vita diventa oscura e senza bussola.
Quanto è allora importante che noi siamo realmente credenti e da credenti riaffermiamo con forza, con la nostra vita, il mistero di salvezza che reca con sé la celebrazione del Natale di Cristo! A Betlemme si è manifestata al mondo la Luce che illumina la nostra vita; ci è stata rivelata la Via che ci conduce alla pienezza della nostra umanità. Se non si riconosce che Dio si è fatto uomo, che senso ha festeggiare il Natale? La celebrazione diventa vuota. Dobbiamo innanzitutto noi cristiani riaffermare con convinzione profonda e sentita la verità del Natale di Cristo, per testimoniare di fronte a tutti la consapevolezza di un dono inaudito che è ricchezza non solo per noi, ma per tutti. Scaturisce di qui il dovere dell’evangelizzazione che è proprio la comunicazione di questo "eu-angelion", di questa "buona notizia". È quanto è stato richiamato di recente dal documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, denominato Nota Dottrinale su alcuni aspetti dell’Evangelizzazione, che desidero consegnare alla vostra riflessione ed al vostro approfondimento personale e comunitario.
Cari amici, in questa ormai immediata preparazione al Natale la preghiera della Chiesa si fa più intensa, affinché si realizzino le speranze di pace, di salvezza, di giustizia di cui ancora oggi il mondo ha urgentemente bisogno. Chiediamo a Dio che la violenza sia vinta dalla forza dell'amore, le contrapposizioni cedano il posto alla riconciliazione, la volontà di sopraffazione si trasformi in desiderio di perdono, di giustizia e di pace. L'augurio di bontà e di amore che ci scambiamo in questi giorni raggiunga tutti gli ambiti del nostro vivere quotidiano. La pace sia nei nostri cuori, perché si aprano all'azione della grazia di Dio. La pace abiti nelle famiglie e possano trascorrere il Natale unite davanti al presepe e all'albero addobbato di luci. Il messaggio di solidarietà e di accoglienza che proviene dal Natale, contribuisca a creare una più profonda sensibilità verso le vecchie e le nuove forme di povertà, verso il bene comune, a cui tutti siamo chiamati a partecipare. Tutti i membri della comunità familiare, soprattutto i bambini, gli anziani, le persone più deboli, possano sentire il calore di questa festa, che si dilati poi per tutti i giorni dell'anno.
Il Natale sia per tutti festa della pace e della gioia: gioia per la nascita del Salvatore, Principe della pace. Come i pastori, affrettiamo fin d’ora il nostro passo verso Betlemme. Nel cuore della Notte Santa anche noi potremo allora contemplare il «Bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia», insieme con Maria e Giuseppe (Lc 2,12.16). Chiediamo al Signore di aprire il nostro animo, perché possiamo entrare nel mistero del suo Natale. Maria, che ha donato il suo grembo verginale al Verbo di Dio, che lo ha contemplato bambino tra le sue braccia materne, e che continua ad offrirlo a tutti quale Redentore del mondo, ci aiuti a fare del prossimo Natale un’occasione di crescita nella conoscenza e nell’amore di Cristo. E' questo l'augurio che formulo con affetto a tutti voi, qui presenti, alle vostre famiglie e a quanti vi sono cari.
Buon Natale a voi tutti!
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, ricordando, in modo speciale, gli esponenti del Movimento dei Focolari, le Suore Francescane Alcantarine, che celebrano il loro Capitolo Generale, i rappresentanti del Volontariato delle Provincie di Latina e Frosinone.
Desidero, poi, salutare i giovani, i malati e gli sposi novelli. A pochi giorni dalla solennità del Natale, possa l’amore, che Dio manifesta all’umanità nella nascita di Cristo, accrescere in voi, cari giovani, il desiderio di servire generosamente i fratelli. Sia per voi, cari malati, fonte di conforto e di serenità, perché il Signore viene a visitarci, recando consolazione e speranza. Ispiri voi, cari sposi novelli, a consolidare la vostra promessa di amore e di reciproca fedeltà.


Contro la pena di morte, una vittoria “a metà”
Iran e Cina hanno continuato oggi ad uccidere condannati a morte, dopo la moratoria votata ieri all’Onu. Il diritto alla vita va affermato per tutti: per il condannato e per il bambino fin dal suo concepimento.
di p. Bernardo Cervellera
Roma (AsiaNews) - A poche ore dall’approvazione della moratoria sulla pena di morte, avvenuta ieri all’Onu, Iran e Cina, fra i massimi sostenitori dell’esecuzione capitale, hanno mostrato il loro dispregio verso le conclusioni delle Nazioni Unite. Stamattina, nella prigione di Evin, 7 uomini e una donna sarebbero stati giustiziati. Lo riporta il blog della giornalista Asieh Amini, impegnata per i diritti delle donne e contro la pena di morte.
In Cina, nel Guizhou, 2 insegnanti sono stati oggi condannati a morte per aver spinto decine di loro allieve a diventare prostitute. Sempre oggi la Cina ha reso noto di aver eseguito ieri un’altra condanna a morte: quella di Li Bin, detto “il re di Shanghai”, colpevole di essere al centro di una banda di spacciatori di droga e di gioco illegale.
Queste notizie mostrano che la vittoria di ieri è solo una vittoria “a metà”. All’Assemblea dell’Onu si è votata una moratoria non vincolante, che invita i Paesi che hanno nei loro ordinamenti la pena capitale a sospendere le esecuzioni. Votata con 104 sì, 29 astenuti e 54 no, la risoluzione segna certo un passo positivo nel rispetto dei diritti umani perché sottintende che lo Stato non è proprietario della vita dell’uomo, nemmeno del peggior criminale.
Per vincere davvero questa battaglia per la dignità umana bisogna continuare a chiedere a tutti questi Paesi favorevoli alla pena capitale e a quelli astenuti di giungere alla piena abolizione di questa punizione tanto crudele, quanto inutile: che essa non sia nemmeno un deterrente al crimine è ormai evidente a tutti.
Ma c’è un altro aspetto che ci spinge a definire questa vittoria “a metà”: questa battaglia a favore della vita del condannato è vera e non ideologica se tutti i loro promotori combattono anche per ogni vita, anche per quella dei bambini non nati.
Molti Stati promotori della pena di morte sono anche violenti propugnatori di campagne di controllo delle nascite, di sterilizzazioni forzate e di aborti fino al nono mese. E anche Stati e organizzazioni “pacifisti” vivono troppo “in pace” questo Olocausto di milioni di bambini.
Una volta Madre Teresa ha detto: “Se una mamma uccide il frutto del suo grembo cosa può impedire agli uomini di uccidersi a vicenda?”.
Se si salva la vita di un criminale (come è giusto) e si condanna alla morte un feto o un embrione che non ha nemmeno la voce per gridare aiuto, pensiamo di aver raggiunto la civiltà?
AsiaNews 19/12/2007


Gioia e riserve della Santa Sede per la moratoria della pena di morte
Esiste ancora una discriminazione verso i nascituri, sottolinea il Cardinal Martino
Di Mirko Testa
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 20 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Con 104 voti favorevoli, 54 contrari e 29 astenuti, l'Assemblea Generale dell'Onu ha approvato il 18 dicembre una risoluzione di moratoria universale contro la pena di morte.
La risoluzione era stata già approvata lo scorso 15 novembre dalla Terza Commissione dell'Onu, quella competente in materia di diritti umani, con 99 voti favorevoli, 52 contrari e 33 astenuti.
La moratoria è in realtà un provvedimento che ha più un peso politico e un valore simbolico che non una forza vincolante, perché rappresenta un invito da parte dell'Onu a quei Paesi tra i 192 che lo compongono e che ancora hanno nel proprio ordinamento la pena capitale a rispettare alcune convenzioni internazionali e sospendere le esecuzioni.
A guidare i Paesi anti-abolizonisti nei dibattiti al Palazzo di Vetro sono stati Egitto, Singapore, Barbados e Paesi caraibici. Tra gli Stati favorevoli alla pena di morte ci sono anche Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Libia e Iran, sebbene negli ultimi dieci anni ben 50 Paesi hanno rinunciato all’uso della pena capitale come strumento di giustizia.
In alcune dichiarazioni riprese da “L'Osservatore Romano” (20 dicembre 2007), l'Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha salutato la decisione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite come “un premio alla paziente opera diplomatica dell'Italia che ha svolto un ruolo importante con una scelta intelligente, perché è riuscita a coinvolgere tutto il mondo, non soltanto l'Europa”.
Monsignor Migliore ha quindi ribadito la soddisfazione della Santa Sede e ha sottolinea il plauso per l'Italia “riuscita in un impegno su scala globale, fondato su un gioco di squadra e la ricerca di un consenso allargato, che hanno consentito di centrare il risultato sperato, e peraltro con un numero di voti confortante, positivo”.
Ora si può parlare di “una maturazione nel senso dell'importanza del valore della vita”, ha continuato monsignor Migliore, che ha ricordato l'impegno profuso dalla Santa Sede su questo tema “nell'intento di aprire un dibattito più ampio”.
“Noi abbiamo insistito molto e continuiamo a farlo affinché il tema della pena di morte sia inserito in un quadro più ampio, di promozione e difesa della vita in tutte le sue fasi, in tutti i suoi momenti, dal concepimento al suo termine naturale”, ha aggiunto.
“Credo - ha concluso l'Osservatore permanente della Santa Sede - che questa maturazione debba ancora progredire e far dei passi importanti in una visione dell'uomo che ne contempli ogni aspetto, ogni momento”.

Una prima bozza della risoluzione fu battuta per soli otto voti già nel 1994, mentre nel 1999 una risoluzione firmata dall'Unione Europea (UE) venne in seguito ritirata per le opposizioni di alcuni Paesi.
Nel luglio del 2006 la Camera dei Deputati italiana ha quindi impegnato il governo a presentare al Palazzo di Vetro una nuova risoluzione a favore della moratoria. Impegno sostenuto anche da una nuova risoluzione del Parlamento europeo votata nell'aprile del 2007. A maggio l'Italia ha quindi formalmente ricevuto dalla Ue il compito di redigere il testo della risoluzione in collaborazione con i Paesi favorevoli.
Secondo il Cardinale Renato Raffaele Martino, che si è battuto a lungo sulla questione avendo ricoperto per 16 anni l'incarico di rappresentante per la Santa Sede alle Nazioni Unite, si tratta di "una tappa certo significativa, ma non conclusiva di quella che è comunque una battaglia di civiltà".
“Dobbiamo vedere se quelli che hanno votato contro si asterranno dal praticare l'esecuzione capitale, cosa sulla quale ho molti timori”, ha poi aggiunto in una intervista a "L'Osservatore Romano" il Presidente dei Pontifici Consigli della Giustizia e della Pace e della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.
“Inoltre – ha fatto osservare –, si sono astenuti 29 Paesi, per considerazioni a mio avviso più di geopolitica e di alleanze che di merito sulla questione”.
“Non solo, quindi, non c'è un consenso generale, ma come spesso accade interessi specifici e contingenti minacciano di prevalere su visioni ideali, politiche di corto respiro possono imporsi su politiche 'alte', politiche nel senso proprio e nobile del termine”, ha dichiarato.
Il porporato ha quindi evidenziato l'impegno della Chiesa in questa direzione e soprattutto l'opera di sensibilizzazione a livello internazionale della Comunità di Sant'Egidio, così come la “costante azione educativa, di assistenza e di testimonianza” delle tante altre realtà cattoliche che si battono continuamente per “servire l'uomo” e “tutelare i diritti umani, a partire dal primo di essi, quello alla vita”.

A questo proposito ha detto che nel mondo vi sono ancora “tanti Paesi che si definiscono Stati di diritto”, ma che “poi nelle loro legislazioni discriminano pesantemente proprio la categoria più debole e senza difesa: il nascituro”.
“È da sottolineare che c'è una sorta di schizofrenia in quanti al nascituro riconoscono specifici diritti - ad esempio in materia ereditaria, ma ce ne sono altri - e poi gli negano il diritto principale, quello di vivere”, ha concluso.
Nei prossimi mesi spetterà al Segretario generale dell'ONU, Ban Ki moon, a redigere un rapporto ad hoc sul rispetto della moratoria da consegnare nel 2008 all’Assemblea Generale.


L’ABORTO, DOPO LA PENA DI MORTE - SÌ, PRONTI A SOTTOSCRIVERE LA MORATORIA/2
Avvenire, 20.12.2007
MARINA CORRADI
Una moratoria anche per l’aborto. Dalle colonne del 'Foglio' Giuliano Ferrara lan­cia un sasso nello stagno dei rallegramenti, pu­re doverosi e sacrosanti, per il voto dell’Onu. E ricorda che oltre alle sedie elettriche e alle for­che che ci indignano, ogni anno al mondo si fanno milioni di aborti. Si abortiscono i figli non voluti ma anche quelli che non si hanno i soldi per mantenere, le femmine ritenute di troppo dalle politiche demografiche delle tigri asiatiche, e quelli imperfetti, o come tali iden­tificati, con interventi singolarmente chiama­ti 'aborti terapeutici' – dove la terapia del ma­lato è la morte. 45 milioni di aborti all’anno nel mondo, 130 mila in Italia, e, ci dicono, è un soddisfacente risultato. Se un bambino muo­re l’Italia si commuove, ma quei centomila non esistono, e non interessano. Invisibili. Ci fa pia­cere che sia un laico a lanciare il sasso, perchè, l’avesse fatto un cattoli­co, non gli avrebbe ba­dato nessuno: i soliti cattolici, fissati con «gli embrioni e quella roba lì», come ha detto Eu­genio Scalfari l’altra se­ra a 'La7', intervistato proprio da Ferrara.
Ma, dunque, una mora­toria sull’aborto. In che senso, in che modo in I­talia si può parlare di questa 'moratoria', che naturalmente i cattolici sottoscrivono, senza fa­re dell’utopia? È di que­sti giorni, a Milano, la notizia delle dimissioni della storica presidente del centro di aiuto alla vita della Clinica Man­giagalli. Paola Bonzi, la donna che nel 1984 fondò nella maggiore Maternità milanese un luogo per aiutare le donne disposte a discu­tere la decisione di a­bortire, getta la spugna per protesta: non ha più fondi per andare avanti. Cosa è successo? Due anni fa l’allora primario Giorgio Pardi – ai tempi, autore del primo a­borto legale a Milano – si rese conto di come il target delle donne che abortiscono fosse cambiato, da quel lontano 1978. Negli anni Settanta, femministe e borghesi; oggi, all’80% extracomunitarie che rinunciano al figlio per non perdere un lavoro in nero. Pardi si spese – prima di morire all’improvviso, pochi mesi fa – perché tutte le donne che andavano a a­bortire in via Commenda venissero a cono­scenza del Cav. Così in due anni l’utenza è au­mentata dell’83%. Solo nel 2006, 833 bambi­ni sono nati grazie all’aiuto del centro. Alle lo­ro madri sono stati distribuiti 604 mila euro per sostenerle nei mesi della gravidanza.
Bene, ma: troppe madri e troppi bambini, o­ra i soldi sono finiti. In Comune, An vorrebbe stanziare 200mila euro per il Cav, ma i radi­cali sono andati su tutte le furie. Soldi a un Centro di aiuto alla vita? Mai.
E tutto questo per dire che la moratoria sull’a­borto deve cominciare dalla applicazione pie­na della 194. Il Cav della Mangiagalli è un «con­sultorio familiare accreditato», di quelli cui l’ar­ticolo 5 della legge assegna il compito di «ri­muovere le cause» che portano la donna al­l’interruzione della gravidanza, «di promuo­vere ogni intervento atto a sostenerla» ,«sia du­rante la gravidanza che dopo il parto». Questa è, semplicemente, la legge. I fondi per queste attività non sono elemosine da domandare, devono essere garantiti, se la legge li prevede. Una moratoria per l’aborto, bellissimo. Forse meno politically correct che contro la pena di morte, non piacerà ai radical chic, nei quar­tieri alti, alle femministe invecchiate che non si riconoscono in quelle poveracce romene che se appena hanno i soldi per mangiare, il bambino se lo tengono.
Ma che questa 'moratoria' sia una cosa con­creta. Che i consultori propongano davvero un’alternativa. Che ci si domandi che segno è, quest’impennata di domande di aiuto nel­la prima Maternità del Nord – e se davvero non fare un figlio è ancora e sempre una scel­ta. E quanti figli si salvano, se tra tante porte chiuse se ne trova almeno una aperta.



IL NOSTRO PROBLEMA È LA MANCANZA DI SPERANZA
Che cosa c’entra il Natale con un Paese davvero depresso

Avvenire, 20.12.2007
DAVIDE RONDONI
Dieci per cento in meno di spese per Natale. Meno panettone.
Meno viaggi sulla neve o al caldo. Così dicono i sondaggi, pubblicati da esercenti che di certo erano interessati a evitare quel calo.
Colpa dell’euro, colpa del governo, colpa dei cattivi negozianti, dei produttori di materie prime, o dei mercati internazionali. Colpa di su e colpa di giù. Dovremo dedurre anche da questi dati che l’italiano, come han detto i giornali americani accogliendo il presidente Napolitano, sta un poco depresso? In che cosa consiste la 'depressione' italiana bisogna comprenderlo bene.
Gli indicatori, dallo stato di scuola e università al recente sorpasso ad opera della Spagna, sono chiari. Esportiamo allenatori in Inghilterra, ex modelle in Francia, ma questa etichetta di depressi che gli americani ci hanno affibbiati senza tante cortesie brucia di un bruciore salutare. E’ legittimo esaltarsi per il successo internazionale della nostra diplomazia nella moratoria per la pena di morte, sperando che non sia una sola operazione di facciata e monca dal punto di vista dei diritti.
Ma è altrettanto urgente vedere se il Natale che viene può servire a qualcosa a riguardo di questa depressione.
Insomma, si può parlar del Natale non solo come occasione buona in cui misurare attraverso consumi, mode o addirittura manie, il polso di una nazione? Come se un’idea della salute del Paese la dessero la quantità di tortellini o di cappone ingurgitati durante le feste. Non ne posso più di sentir parlare del Natale come una sorta di momento magico per addetti ai sondaggi, alle misure, per i preparatori di schede sociologiche, di carte statistiche. Se era per le previsioni di sociologi, statistici, di maghi e sapienti dell’epoca, il Natale manco ci sarebbe stato.
Quella nascita è stato il Grande Imprevisto. Era un evento atteso, ma da pochi nel mondo, e i loro sociologi e gli statisti di allora non lo prevedevano davvero così. E ora invece si gettano addosso al Natale come se fosse una festa dell’analista dei consumi, un festival dello statistico dei costumi.
Mestieri nobili, se usati nobilmente. Ma guai alla nazione che si fa misurare la pressione o la depressione solo sulla base dei consumi. Il Natale, dunque, può servire a qualcosa ad un paese depresso, o sarà solo un’occasione in più per guardarsi allo specchio e compiangersi ancora un po’ - visto che il lamento è uno degli sport nazionali preferiti? La questione è seria. Masticheremo un po’ più lentamente il bollito, perché il suo gusto duri più a lungo, come consolazione alla demoralizzazione che ci attanaglia? Rimpiangendo l’Italia che sempre ieri era migliore? Oppure ci faremo colpire in petto dalla novità del Natale? Ricordo un ragazzo della Sierra Leone. Era un ex soldatino. Aveva molti motivi per essere depresso. Ma disse che l’aver scoperto Gesù gli aveva fatto venir voglia di fare l’elettricista. Voglia di lavorare. Lo dicevano anche le ragazze tirate via dalla strada da don Benzi.
Ecco cosa c’entra il Natale con il rischio di un paese depresso. Non si tratta di una bella favola religiosa, beato chi ci crede e chi s’è visto s’è visto. Il Natale, se riconosciuto per quel che è, può essere una vera benzina nel motore dell’Italia. Una speranza nei cuori, un rinnovato amore per il destino e per il particolare. Il contrario della depressione non è galvanizzare i consumi. Si chiama speranza. Una virtù architettonica, costruttiva. In Italia ce ne sono mille e mille esempi. Statisticamente è difficile misurare la speranza. Ma quando incontri un imprenditore, un professore, una madre che ne hanno, li riconosci nel mucchio dei depressi e dei lamentosi. Ora che ci han dato dei depressi capiamo meglio perché nella grande notte di Natale ad un certo punto si parla di uomini e donne di 'buona volontà'. Non si tratta di gente che ha buone intenzioni - di quelle ci si lastricano le strade dell’inferno. Ma è gente che ogni giorno viene mossa al proprio compito con passione da una speranza certa, da un annuncio di bene. Un annuncio che è ben strano. Non è una buona idea, nemmeno un richiamo morale. Natale è una parola ormai strana, suona quasi come un periodo, che so Capodanno, Ferragosto… Invece è diversa, perché indica un fatto e un volto preciso. Vuol dire: quella nascita.
Dovremmo cambiare parola. Non più natale, ma nascita. Si capirebbe meglio. Da festeggiare con gli amici e i cari con tutto il cappone possibile. Ma se anche è un po’ meno - e se anche se ce ne togliamo ancora un po’ da condividere con chi è più povero - non significa affatto che si è depressi, anzi. Il problema del Paese non sono le tavole meno imbandite, ma le orbite di speranza vuote.


LA DIFESA DELLA VITA
Ferrara: ora moratoria anche per l’aborto

Avvenire, 20.12.2007
DI PAOLO VIANA
Il barrito dell’elefantino spezza i peana degli abolizionisti a senso unico: il giorno dopo la 'storica vittoria', il direttore del Foglio rilancia. «Quella decisa dall’Onu contro la pena di morte è una Piccola Moratoria - sentenzia Giuliano Ferrara - che contiene in premessa le ragioni di una Grande Moratoria che invece passa sotto silenzio». Quale sia l’ha scritto in prima pagina ieri mattina, firmando con il suo logo, appunto l’elefantino dei repubblicani statunitensi, un appello-editoriale che non dà spazio ad equivoci: «Ora la moratoria per l’aborto».
Ferrara, prima di tutto, cosa pensa della moratoria sulla pena di morte?
Sono contrario alla pena di morte. Ma sono un abolizionista che ragiona e mi chiedo se questo rallegrarsi nazionale non nasconda ipocrisia o facile umanitarismo. La giornata di martedì è stata storica perché la tesi abolizionista, attraverso la decisione delle Nazioni Unite, ha fatto un salto di qualità.
Non è più la scelta di un popolo ma una teoria dei diritti umani universali. Per questo ci rallegriamo, ma per lo stesso motivo non possiamo far finta di nulla se per ogni pena capitale legalmente comminata a un essere umano vivente e dotato di certificato anagrafico ci sono migliaia, milioni di pene capitali comminate, altrettanto legalmente, a esseri umani sprovvisti di quel certificato eppure altrettanto viventi, concepiti nell’amore e nel piacere e lasciati uccidere.
Considera l’aborto un omicidio di Stato?
L’aborto è una pratica legale che porta a sopprimere un concepito attraverso la chirurgia, oppure attraverso la pillola Ru486, che avrà sempre maggior diffusione. Quel concepito, che con il passare del tempo chiamiamo feto, è un essere umano: non lo è per l’anagrafe ma lo è per struttura cromosomica, perché ha un corpo, perché prova dolore, perché talvolta viene abortito vivo, com’è avvenuto a Firenze. Si chiamava Paolo e l’hanno battezzato prima di seppellirlo.
Perché il voto dell’Onu dovrebbe essere la premessa di una moratoria mondiale sugli aborti?
L’Onu ha deciso di considerare la pena di morte un male in sé, sia che derivi da un giusto processo, sia che derivi dalla sharia o da un sistema autoritario e totalitario. In entrambi i casi si uccide un uomo ma le premesse sono diverse. Se oggi ci rallegriamo è perché tanti paesi si sono trovati d’accordo sul fatto che non importa il modo dell’omicidio ma la sostanza. Il mio appello alle 'buone coscienze' è che la smettano di chiudere gli occhi di fronte a quella dell’aborto, esecuzione legale di un essere umano che ha l’unica 'colpa', rispetto ai condannati a morte che non saranno uccisi in virtù di questa moratoria, di essere sprovvisto di certificato anagrafico. Una questione di 'forma' che permette tra l’altro di usare l’aborto come pratica anticoncezionale, chiaramente razzista, eugenetica e sessista in taluni paesi.
Si potrebbe dire lo stesso dello sfruttamento degli embrioni?
È una diversa dimensione del medesimo problema. E allo stesso titolo l’appello di Avvenire per una moratoria non verrà sommerso dagli applausi dei laici, anche se devo ammettere che la verità sta liberando molte menti.
Quanto peso ha in questa ritrosia quella che chiama 'schizofrenica e grottesca ideologia della salute della Donna'?
C’è chi si scandalizza che le verità laiche e religiose possano incontrarsi, e chi mi accuserà di considerare le donne delle assassine. Potrei replicare che il Concilio Vaticano II ha distinto perfettamente tra errore ed errante. Mi limiterò a ricordare invece che la società descrive l’aborto come un’extrema ratio ma si volta dall’altra parte quando viene praticato come semplice scelta relativista. Clinton, che è un progressista, ha detto chiaramente che l’aborto deve essere sempre più raro. La Chiesa e il Movimento per la vita, intelligentemente, non sono immediatamente abrogazionisti, ma chiedono che la legge 194 venga applicata realmente, restringendo in modo drastico, molto drastico e severo, i casi di praticabilità dell’aborto a tutela della salute femminile, perché i termini legali di quest’omicidio e la sostanza morale del suo peso nella nostra vita si riducano sempre di più. Nel mondo perfetto non ci dovrebbero essere aborti; anche in quello di un laico che ha a cuore la salute della donna.
Questa società dominata dal desiderio è pronta ad accogliere un simile appello?
L’aborto è la sentenza di morte di una creatura creata e distrutta dal potere del desiderio: quello di avere dei figli e non averli, di amare e di odiare se stessi e l’umanità che è in se stessi al punto di amputarsi del frutto di quell’amore. È lo scandalo supremo che ci rattrista tutti.
L’unico grande pensatore laico del nostro tempo, Benedetto XVI, ci ha indicato però una strada per cogliere l’evidenza della verità. Da illuminista cristiano ha parlato di un uomo che può avere o no la fede dei cristiani o altre fedi religiose, ma che riconosce dentro e fuori di sé i dati della ragione e con essi si entra in contatto al cospetto della realtà. È quello che chiedo di fare con il mio appello.
E la politica italiana è in grado di discuterne pacatamente?
Malgrado tutto, c’è un leader di partito come Veltroni che riconosce il diritto di chi ha la fede di portarla nell’attività politica e un ministro come il comunista riformato Ferrero che cita il Vangelo di Matteo come un testo che lo definisce, senza vergognarsene. Un buon segno, la stupidità laicista mi pare per lo meno in ribasso.
«La Chiesa e il Movimento per la vita non sono immediatamente abrogazionisti, ma chiedono ­intelligentemente - che la 194 venga applicata realmente, restringendo i casi di praticabilità dell’interruzione di gravidanza per tutelare la salute della madre. Nel mondo politico si muove qualcosa: penso a Veltroni e a Ferrero»


la denuncia - «In ospedale, lasciati soli contro il dramma» Avvenire, 20.12.2007
DA MILANO
FRANCESCA LOZITO
Parla Paola Bonzi, «anima» del Cav alla Mangiagalli di Milano «Mi sono dimessa quindici giorni fa: siamo senza fondi di fronte all’emergenza, ora che fine faremo?»

« Non ce la fac­cio più: non è possibile guardare negli occhi una donna che sta per abortire e doverle dire che non sono in grado di aiutarla». È un grido di allarme fermo e de­ciso quello di Paola Bonzi, l’anima del Cav della Man­giagalli di Milano. Il centro di aiuto alla vita dell’ospe­dale milanese si trova in u­na situazione di crisi profonda ed è dimenticato quasi da tutti, dalle istitu­zioni, come dalla struttura ospedaliera stessa, nono- stante qualche tempo fa l’o­spedale sembrasse inten­zionato ad affidare proprio agli operatori del Cav il col­loquio previsto dalla legge 194 per le donne che deci­dono di abortire. Un collo­quio preliminare che è fon­damentale per capire la si­tuazione di chi decide di compiere un gesto così drammatico come l’aborto. «Quindici giorni fa mi sono dimessa – continua la Bon­zi – c’era bisogno di un ge­sto forte ed io l’ho fatto. Non potevamo andare a­vanti così, da aprile non sia­mo più in grado farci cari­co di nuove persone a cui assegnare il sussidio di aiu­to alla maternità». E il ser­vizio offerto dal Cav che è collocato – unico caso in tutta la città – all’interno di una struttura ospedaliera, a contatto quindi diretto con quelle che sono le urgenze e le necessità di chi si trova a dover scegliere se portare avanti o meno una gravidanza, è importante a partire dai numeri: solo lo scorso anno sono nati 841 bambini con il loro sup­porto. Una struttura che conta 114 soci, 4 dipen­denti, 20 collaboratori e 36 volontari. E che è attiva da più di vent’anni. «Eppure – commenta amaramente l’ex direttrice – se sinora ab­biamo accolto una madre, perché 'nascesse' assieme al figlio, oggi potremmo non farlo più».
Il primo appello, dunque, è rivolto alla struttura ospedaliera milanese in cui il Cav si trova: «All’Ospedale – dice la Bonzi – chiediamo che ci riconosca a tutti gli effetti con una sede ade­guata, vicina alla segreteria della 194, perché noi siamo in grado di offrire uno spa­zio di riflessione che è do­vuto secondo la legge a queste donne, è un loro di­ritto sapere e essere infor­mate ». Il Centro di ascolto sarebbe dovuto partire nel settembre del 2006 per vo­lontà precisa della struttu­ra sanitaria che aveva deci­so di affidare questo com­pito al Cav riconoscendo­ne la professionalità acqui­sita sul campo. «Nel primo trimestre del 2007 – affer­ma la direttrice dimissio­naria – le donne che si so­no rivolte a noi sono au­mentate dell’83%. All’inter­no dell’ospedale c’è chi af­ferma che l’anticamera del­la zona dove le donne van­no ad abortire è una valle di lacrime, qualcosa vorrà pur dire, no?» Sono immigrate, ma non solo, le madri di cui il Cav della Mangiagalli diventa u­na sorta di «angelo custo­de ». Le storie che si posso­no ascoltare sono le più in­credibili, sono soprattutto storie dimenticate e rimos­se dalla coscienza collettiva che non vuole vedere e far­si carico della scelta che qualcuno, a dispetto della povertà e della miseria in cui vive, sceglie di portare avanti: dare spazio alla vita che porta in grembo, assu­mendosi grande responsa­bilità e facendo un immen­so gesto d’amore. Ma Pao­la Bonzi lancia un appello prima di tutto alle istituzio­ni comunali: «Dovè finita la Milano col cuore in mano? Da lì fino ad ora per noi c’è stato solo silenzio».


La speranza restaura le rovine moderne
Avvenire, 20.12.2007
DI LORENZO FAZZINI
«Un tentativo particolarmente importante e onesto di presentare alcuni degli insegnamenti più difficili e al tempo stesso più importanti della Chiesa». È un giudizio 'esterno' e per questo ancor più autorevole quello che il filosofo inglese Roger Scruton conferisce all’enciclica Spe salvi di Benedetto XVI. Scruton offre un’analisi 'non confessionale' che si dipana sul filo della riflessione prettamente filosofica con la quale il pensatore britannico – già autore degli apprezzati L’Occidente e gli altri ( Vita & Pensiero) e del più recente Manifesto dei conservatori (Cortina) – sviscera gli aspetti a suo giudizio più interessanti dell’ultimo testo del pontefice tedesco. Nel quale Scruton vede soprattutto un’avvincente critica su Marx e marxismo identificati come i primi 'nichilisti' della modernità: «Hanno solo distrutto, senza costruire niente in termini positivi».
Nella sua pars destruens, da buon filosofo, Scruton chiosa un solo appunto a Benedetto: «Sono solo sorpreso – dice – per il fatto che il Papa prenda così sul serio Adorno e Horkheimer, ma penso che ciò faccia parte dell’orientamento germanico» è la sua annotazione velata da un filo di ironia british. Sul versante costruens, invece, il docente dell’Institute for the Psychological Sciences a Washington e Oxford rimarca la sfida positiva che il pensiero di Benedetto XVI lancia sia al marxismo che all’illuminismo, nelle loro versioni passate e presenti.
Professor Scruton, come valuta complessivamente questo testo di Benedetto XVI?
«Il Papa è molto persuasivo. Prova rispetto per la tradizione protestante della sua Germania e manifesta anche una buona conoscenza di quanto è stato significativo nei dibattiti culturali 'laici'.
Penso che questa enciclica segua la strada tracciata da Giovanni Paolo II nel riconoscere che, nell’epoca della democrazia, alla Chiesa è chiesto un nuovo tono nella propria comunicazione».
Al numero 16 della 'Spe salvi' il Papa – sotto il titolo 'la trasformazione della fede-speranza cristiana nel tempo moderno' – afferma che la Rivoluzione francese fu il tentativo di «instaurare il dominio della ragione e della libertà anche in modo politicamente reale». Come valuta questa affermazione?
«La Rivoluzione francese fu ispirata dalle idee dell’Illuminismo ma essa rappresentò anche un tradimento nei confronti di quest’ultimo. Il Papa ha sicuramente ragione nel pensare che il tipo di speranza, che potremmo chiamare 'redentrice', e che è parte della fede, deve essere diretta oltre questo mondo, verso un’altra vita e un altro modo di essere, e che il tentativo di portarla a compimento qui e ora porta inevitabilmente a manifestare intolleranza verso le imperfezioni dell’uomo e dell’umanità stessa, insieme ad un impaziente desiderio di sbarazzarsi di tutti gli ostacoli che si frappongono a questo obiettivo».
Quando parla di Marx, Benedetto XVI sottolinea che «con vigore di linguaggio e di pensiero cercò di avviare questo nuovo passo grande», cioè «il salto rivoluzionario».
Ma l’autore de «Il Manifesto» fece anche, secondo Ratzinger, un «errore fondamentale»: «dimenticare l’uomo e la sua libertà». È d’accordo?
«Il Papa ha pienamente ragione sul fatto che Marx non tenne conto della libertà umana, e anche nel segnalarne l’errore: Marx credeva che distruggendo le vecchie strutture della società umana si potessero creare le condizioni per farne una nuova. Ma facendo a pezzi un ordine sociale si fa esattamente questo: distruggere una certa società, non se ne costruisce un’altra. Io andrei anche oltre, identificando in Marx e nei marxisti un particolare tipo di visione negativa, ovvero un desiderio di distruzione che non possiede un desiderio di creare, di amare o di perdonare che possa compensare a tale principio distruttivo».
Pensa che questo errore – di non considerare il peso della libertà umana – sia anche quello dei postmoderni di oggi?
«Non ne sono sicuro, so solo che questi sono solo gruppo di ciarlatani che si sono auto-intossicati, di cui non ci dovremmo neppure interessare».
Al punto 43 dell’enciclica Benedetto XVI scrive: «Io sono convinto che la questione della giustizia costituisce l’argomento essenziale, ma in ogni caso l’argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna». Come giudica questa posizione del pontefice?
«L’idea del Papa consiste precisamente nel fatto che, senza una vita eterna, la sofferenza di questo mondo resta senza quella compensazione che sarebbe necessaria. Ecco allora che la giustizia richiede la vita eterna. Kant pensava che il dovere avesse bisogno della vita eterna e anche della fede nel mondo a venire. Questa idea di Benedetto è simile a quella di Kant».
«Il Papa ha ragione quando sostiene che senza la vita eterna il dolore umano e il bisogno di giustizia sarebbero privi di senso.
In questo è vicino a Kant»