martedì 11 dicembre 2007

Nella rassegna stampa di oggi:


1) Famiglia umana, comunità di pace” – Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2008
2) SI SOFFOCA IL CIVILE DIBATTITO SE SI CRIMINALIZZANO LE OPINIONI ANZICHÉ LE AZIONI
3) l’intervista Pera: quel testo errato è da non promulgare
4) SOLZENICYN A PUTIN: RUSSIA SENZ’ANIMA
5) Quell'asilo a Belo Horizonte - che cambia faccia alle Favelas, 10.12.2007, Il Riformista
6) I risultati del progetto Ovc-Avsi - Giancarlo Rovati, 10.12.2007, Il Riformista
7) Partire dalla persona, Alberto Piatti, 10.12.2007 Il Riformista
8) Il «vangelo di Giuda»: pieno di falsi


Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2008
“Famiglia umana, comunità di pace”



CITTA' DEL VATICANO, martedì, 11 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il messaggio di Benedetto XVI per la 41a Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il 1° gennaio 2008 sul tema "Famiglia umana, comunità di pace".


* * *
MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2008
FAMIGLIA UMANA, COMUNITÀ DI PACE
1. All'inizio di un nuovo anno desidero far pervenire il mio fervido augurio di pace, insieme con un caloroso messaggio di speranza agli uomini e alle donne di tutto il mondo. Lo faccio proponendo alla riflessione comune il tema con cui ho aperto questo messaggio, e che mi sta particolarmente a cuore: Famiglia umana, comunità di pace. Di fatto, la prima forma di comunione tra persone è quella che l'amore suscita tra un uomo e una donna decisi ad unirsi stabilmente per costruire insieme una nuova famiglia. Ma anche i popoli della terra sono chiamati ad instaurare tra loro rapporti di solidarietà e di collaborazione, quali s'addicono a membri dell'unica famiglia umana: « Tutti i popoli — ha sentenziato il Concilio Vaticano II — formano una sola comunità, hanno un'unica origine, perché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra (cfr At 17,26), ed hanno anche un solo fine ultimo, Dio »(1).
Famiglia, società e pace
2. La famiglia naturale, quale intima comunione di vita e d'amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna(2), costituisce « il luogo primario dell'“umanizzazione” della persona e della società »(3), la « culla della vita e dell'amore »(4). A ragione, pertanto, la famiglia è qualificata come la prima società naturale, « un'istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale »(5).
3. In effetti, in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l'amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell'autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l'aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l'altro e, se necessario, a perdonarlo. Per questo la famiglia è la prima e insostituibile educatrice alla pace. Non meraviglia quindi che la violenza, se perpetrata in famiglia, sia percepita come particolarmente intollerabile. Pertanto, quando si afferma che la famiglia è « la prima e vitale cellula della società »(6), si dice qualcosa di essenziale. La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché permette di fare determinanti esperienze di pace. Ne consegue che la comunità umana non può fare a meno del servizio che la famiglia svolge. Dove mai l'essere umano in formazione potrebbe imparare a gustare il « sapore » genuino della pace meglio che nel « nido » originario che la natura gli prepara? Il lessico familiare è un lessico di pace; lì è necessario attingere sempre per non perdere l'uso del vocabolario della pace. Nell'inflazione dei linguaggi, la società non può perdere il riferimento a quella « grammatica » che ogni bimbo apprende dai gesti e dagli sguardi della mamma e del papà, prima ancora che dalle loro parole.
4. La famiglia, poiché ha il dovere di educare i suoi membri, è titolare di specifici diritti. La stessa Dichiarazione universale dei diritti umani, che costituisce un'acquisizione di civiltà giuridica di valore veramente universale, afferma che « la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato »(7). Da parte sua, la Santa Sede ha voluto riconoscere una speciale dignità giuridica alla famiglia pubblicando la Carta dei diritti della famiglia. Nel Preambolo si legge: « I diritti della persona, anche se espressi come diritti dell'individuo, hanno una fondamentale dimensione sociale, che trova nella famiglia la sua nativa e vitale espressione »(8). I diritti enunciati nella Carta sono espressione ed esplicitazione della legge naturale, iscritta nel cuore dell'essere umano e a lui manifestata dalla ragione. La negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità sull'uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace.
5. Pertanto, chi anche inconsapevolmente osteggia l'istituto familiare rende fragile la pace nell'intera comunità, nazionale e internazionale, perché indebolisce quella che, di fatto, è la principale « agenzia » di pace. È questo un punto meritevole di speciale riflessione: tutto ciò che contribuisce a indebolire la famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, ciò che direttamente o indirettamente ne frena la disponibilità all'accoglienza responsabile di una nuova vita, ciò che ne ostacola il diritto ad essere la prima responsabile dell'educazione dei figli, costituisce un oggettivo impedimento sulla via della pace. La famiglia ha bisogno della casa, del lavoro o del giusto riconoscimento dell'attività domestica dei genitori, della scuola per i figli, dell'assistenza sanitaria di base per tutti. Quando la società e la politica non si impegnano ad aiutare la famiglia in questi campi, si privano di un'essenziale risorsa a servizio della pace. In particolare, i mezzi della comunicazione sociale, per le potenzialità educative di cui dispongono, hanno una speciale responsabilità nel promuovere il rispetto per la famiglia, nell'illustrarne le attese e i diritti, nel metterne in evidenza la bellezza.
L'umanità è una grande famiglia
6. Anche la comunità sociale, per vivere in pace, è chiamata a ispirarsi ai valori su cui si regge la comunità familiare. Questo vale per le comunità locali come per quelle nazionali; vale anzi per la stessa comunità dei popoli, per la famiglia umana che vive in quella casa comune che è la terra. In questa prospettiva, però, non si può dimenticare che la famiglia nasce dal « sì » responsabile e definitivo di un uomo e di una donna e vive del « sì » consapevole dei figli che vengono via via a farne parte. La comunità familiare per prosperare ha bisogno del consenso generoso di tutti i suoi membri. È necessario che questa consapevolezza diventi convinzione condivisa anche di quanti sono chiamati a formare la comune famiglia umana. Occorre saper dire il proprio « sì » a questa vocazione che Dio ha inscritto nella stessa nostra natura. Non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle. È perciò essenziale che ciascuno si impegni a vivere la propria vita in atteggiamento di responsabilità davanti a Dio, riconoscendo in Lui la sorgente originaria della propria, come dell'altrui, esistenza. È risalendo a questo supremo Principio che può essere percepito il valore incondizionato di ogni essere umano, e possono essere poste così le premesse per l'edificazione di un'umanità pacificata. Senza questo Fondamento trascendente, la società è solo un'aggregazione di vicini, non una comunità di fratelli e sorelle, chiamati a formare una grande famiglia.
Famiglia, comunità umana e ambiente
7. La famiglia ha bisogno di una casa, di un ambiente a sua misura in cui intessere le proprie relazioni. Per la famiglia umana questa casa è la terra, l'ambiente che Dio Creatore ci ha dato perché lo abitassimo con creatività e responsabilità. Dobbiamo avere cura dell'ambiente: esso è stato affidato all'uomo, perché lo custodisca e lo coltivi con libertà responsabile, avendo sempre come criterio orientatore il bene di tutti. L'essere umano, ovviamente, ha un primato di valore su tutto il creato. Rispettare l'ambiente non vuol dire considerare la natura materiale o animale più importante dell'uomo. Vuol dire piuttosto non considerarla egoisticamente a completa disposizione dei propri interessi, perché anche le future generazioni hanno il diritto di trarre beneficio dalla creazione, esprimendo in essa la stessa libertà responsabile che rivendichiamo per noi. Né vanno dimenticati i poveri, esclusi in molti casi dalla destinazione universale dei beni del creato. Oggi l'umanità teme per il futuro equilibrio ecologico. È bene che le valutazioni a questo riguardo si facciano con prudenza, nel dialogo tra esperti e saggi, senza accelerazioni ideologiche verso conclusioni affrettate e soprattutto concertando insieme un modello di sviluppo sostenibile, che garantisca il benessere di tutti nel rispetto degli equilibri ecologici. Se la tutela dell'ambiente comporta dei costi, questi devono essere distribuiti con giustizia, tenendo conto delle diversità di sviluppo dei vari Paesi e della solidarietà con le future generazioni. Prudenza non significa non assumersi le proprie responsabilità e rimandare le decisioni; significa piuttosto assumere l'impegno di decidere assieme e dopo aver ponderato responsabilmente la strada da percorrere, con l'obiettivo di rafforzare quell'alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell'amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino.
8. Fondamentale, a questo riguardo, è « sentire » la terra come « nostra casa comune » e scegliere, per una sua gestione a servizio di tutti, la strada del dialogo piuttosto che delle decisioni unilaterali. Si possono aumentare, se necessario, i luoghi istituzionali a livello internazionale, per affrontare insieme il governo di questa nostra « casa »; ciò che più conta, tuttavia, è far maturare nelle coscienze la convinzione della necessità di collaborare responsabilmente. I problemi che si presentano all'orizzonte sono complessi e i tempi stringono. Per far fronte in modo efficace alla situazione, bisogna agire concordi. Un ambito nel quale sarebbe, in particolare, necessario intensificare il dialogo tra le Nazioni è quello della gestione delle risorse energetiche del pianeta. Una duplice urgenza, a questo riguardo, si pone ai Paesi tecnologicamente avanzati: occorre rivedere, da una parte, gli elevati standard di consumo dovuti all'attuale modello di sviluppo, e provvedere, dall'altra, ad adeguati investimenti per la differenziazione delle fonti di energia e per il miglioramento del suo utilizzo. I Paesi emergenti hanno fame di energia, ma talvolta questa fame viene saziata ai danni dei Paesi poveri i quali, per l'insufficienza delle loro infrastrutture, anche tecnologiche, sono costretti a svendere le risorse energetiche in loro possesso. A volte, la loro stessa libertà politica viene messa in discussione con forme di protettorato o comunque di condizionamento, che appaiono chiaramente umilianti.
Famiglia, comunità umana ed economia
9. Condizione essenziale per la pace nelle singole famiglie è che esse poggino sul solido fondamento di valori spirituali ed etici condivisi. Occorre però aggiungere che la famiglia fa un'autentica esperienza di pace quando a nessuno manca il necessario, e il patrimonio familiare — frutto del lavoro di alcuni, del risparmio di altri e della attiva collaborazione di tutti — è bene gestito nella solidarietà, senza eccessi e senza sprechi. Per la pace familiare è dunque necessaria, da una parte, l'apertura ad un patrimonio trascendente di valori, ma al tempo stesso non è priva di importanza, dall'altra, la saggia gestione sia dei beni materiali che delle relazioni tra le persone. Il venir meno di questa componente ha come conseguenza l'incrinarsi della fiducia reciproca a motivo delle incerte prospettive che minacciano il futuro del nucleo familiare.
10. Un discorso simile va fatto per quell'altra grande famiglia che è l'umanità nel suo insieme. Anche la famiglia umana, oggi ulteriormente unificata dal fenomeno della globalizzazione, ha bisogno, oltre che di un fondamento di valori condivisi, di un'economia che risponda veramente alle esigenze di un bene comune a dimensioni planetarie. Il riferimento alla famiglia naturale si rivela, anche da questo punto di vista, singolarmente suggestivo. Occorre promuovere corrette e sincere relazioni tra i singoli esseri umani e tra i popoli, che permettano a tutti di collaborare su un piano di parità e di giustizia. Al tempo stesso, ci si deve adoperare per una saggia utilizzazione delle risorse e per un'equa distribuzione della ricchezza. In particolare, gli aiuti dati ai Paesi poveri devono rispondere a criteri di sana logica economica, evitando sprechi che risultino in definitiva funzionali soprattutto al mantenimento di costosi apparati burocratici. Occorre anche tenere in debito conto l'esigenza morale di far sì che l'organizzazione economica non risponda solo alle crude leggi del guadagno immediato, che possono risultare disumane.
Famiglia, comunità umana e legge morale
11. Una famiglia vive in pace se tutti i suoi componenti si assoggettano ad una norma comune: è questa ad impedire l'individualismo egoistico e a legare insieme i singoli, favorendone la coesistenza armoniosa e l'operosità finalizzata. Il criterio, in sé ovvio, vale anche per le comunità più ampie: da quelle locali, a quelle nazionali, fino alla stessa comunità internazionale. Per avere la pace c'è bisogno di una legge comune, che aiuti la libertà ad essere veramente se stessa, anziché cieco arbitrio, e che protegga il debole dal sopruso del più forte. Nella famiglia dei popoli si verificano molti comportamenti arbitrari, sia all'interno dei singoli Stati sia nelle relazioni degli Stati tra loro. Non mancano poi tante situazioni in cui il debole deve piegare la testa davanti non alle esigenze della giustizia, ma alla nuda forza di chi ha più mezzi di lui. Occorre ribadirlo: la forza va sempre disciplinata dalla legge e ciò deve avvenire anche nei rapporti tra Stati sovrani.
12. Sulla natura e la funzione della legge la Chiesa si è pronunciata molte volte: la norma giuridica che regola i rapporti delle persone tra loro, disciplinando i comportamenti esterni e prevedendo anche sanzioni per i trasgressori, ha come criterio la norma morale basata sulla natura delle cose. La ragione umana, peraltro, è capace di discernerla, almeno nelle sue esigenze fondamentali, risalendo così alla Ragione creatrice di Dio che sta all'origine di tutte le cose. Questa norma morale deve regolare le scelte delle coscienze e guidare tutti i comportamenti degli esseri umani. Esistono norme giuridiche per i rapporti tra le Nazioni che formano la famiglia umana? E se esistono, sono esse operanti? La risposta è: sì, le norme esistono, ma per far sì che siano davvero operanti bisogna risalire alla norma morale naturale come base della norma giuridica, altrimenti questa resta in balia di fragili e provvisori consensi.
13. La conoscenza della norma morale naturale non è preclusa all'uomo che rientra in se stesso e, ponendosi di fronte al proprio destino, si interroga circa la logica interna delle più profonde inclinazioni presenti nel suo essere. Pur con perplessità e incertezze, egli può giungere a scoprire, almeno nelle sue linee essenziali, questa legge morale comune che, al di là delle differenze culturali, permette agli esseri umani di capirsi tra loro circa gli aspetti più importanti del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto. È indispensabile risalire a questa legge fondamentale impegnando in questa ricerca le nostre migliori energie intellettuali, senza lasciarci scoraggiare da equivoci e fraintendimenti. Di fatto, valori radicati nella legge naturale sono presenti, anche se in forma frammentata e non sempre coerente, negli accordi internazionali, nelle forme di autorità universalmente riconosciute, nei principi del diritto umanitario recepito nelle legislazioni dei singoli Stati o negli statuti degli Organismi internazionali. L'umanità non è « senza legge ». È tuttavia urgente proseguire nel dialogo su questi temi, favorendo il convergere anche delle legislazioni dei singoli Stati verso il riconoscimento dei diritti umani fondamentali. La crescita della cultura giuridica nel mondo dipende, tra l'altro, dall'impegno di sostanziare sempre le norme internazionali di contenuto profondamente umano, così da evitare il loro ridursi a procedure facilmente aggirabili per motivi egoistici o ideologici.
Superamento dei conflitti e disarmo
14. L'umanità vive oggi, purtroppo, grandi divisioni e forti conflitti che gettano ombre cupe sul suo futuro. Vaste aree del pianeta sono coinvolte in tensioni crescenti, mentre il pericolo che si moltiplichino i Paesi detentori dell'arma nucleare suscita motivate apprensioni in ogni persona responsabile. Sono ancora in atto molte guerre civili nel Continente africano, sebbene in esso non pochi Paesi abbiano fatto progressi nella libertà e nella democrazia. Il Medio Oriente è tuttora teatro di conflitti e di attentati, che influenzano anche Nazioni e regioni limitrofe, rischiando di coinvolgerle nella spirale della violenza. Su un piano più generale, si deve registrare con rammarico l'aumento del numero di Stati coinvolti nella corsa agli armamenti: persino Nazioni in via di sviluppo destinano una quota importante del loro magro prodotto interno all'acquisto di armi. In questo funesto commercio le responsabilità sono molte: vi sono i Paesi del mondo industrialmente sviluppato che traggono lauti guadagni dalla vendita di armi e vi sono le oligarchie dominanti in tanti Paesi poveri che vogliono rafforzare la loro situazione mediante l'acquisto di armi sempre più sofisticate. È veramente necessaria in tempi tanto difficili la mobilitazione di tutte le persone di buona volontà per trovare concreti accordi in vista di un'efficace smilitarizzazione, soprattutto nel campo delle armi nucleari. In questa fase in cui il processo di non proliferazione nucleare sta segnando il passo, sento il dovere di esortare le Autorità a riprendere con più ferma determinazione le trattative in vista dello smantellamento progressivo e concordato delle armi nucleari esistenti. Nel rinnovare questo appello, so di farmi eco dell'auspicio condiviso da quanti hanno a cuore il futuro dell'umanità.
15. Sessant'anni or sono l'Organizzazione delle Nazioni Unite rendeva pubblica in modo solenne la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948–2008). Con quel documento la famiglia umana reagiva agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, riconoscendo la propria unità basata sulla pari dignità di tutti gli uomini e ponendo al centro della convivenza umana il rispetto dei diritti fondamentali dei singoli e dei popoli: fu quello un passo decisivo nel difficile e impegnativo cammino verso la concordia e la pace. Uno speciale pensiero merita anche la ricorrenza del 25o anniversario dell'adozione da parte della Santa Sede della Carta dei diritti della famiglia (1983–2008), come pure il 40o anniversario della celebrazione della prima Giornata Mondiale della Pace (1968–2008). Frutto di una provvidenziale intuizione di Papa Paolo VI, ripresa con grande convinzione dal mio amato e venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, la celebrazione di questa Giornata ha offerto nel corso degli anni la possibilità di sviluppare, attraverso i Messaggi pubblicati per la circostanza, un'illuminante dottrina da parte della Chiesa a favore di questo fondamentale bene umano. È proprio alla luce di queste significative ricorrenze che invito ogni uomo e ogni donna a prendere più lucida consapevolezza della comune appartenenza all'unica famiglia umana e ad impegnarsi perché la convivenza sulla terra rispecchi sempre di più questa convinzione da cui dipende l'instaurazione di una pace vera e duratura. Invito poi i credenti ad implorare da Dio senza stancarsi il grande dono della pace. I cristiani, per parte loro, sanno di potersi affidare all'intercessione di Colei che, essendo Madre del Figlio di Dio fattosi carne per la salvezza dell'intera umanità, è Madre comune.
A tutti l'augurio di un lieto Anno nuovo!
Dal Vaticano, 8 Dicembre 2007
BENEDICTUS PP. XVI
(1) Dich. Nostra aetate, 1.
(2) Cfr. Conc. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 48.
(3) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 40: AAS 81 (1989) 469.
(4) Ibidem.
(5) Pont. Cons. della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 211.
(6) Conc. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, 11.
(7) Art. 16/3.
(8) Pontificio Consiglio per la Famiglia, Carta dei diritti della famiglia, 24 novembre 1983, Preambolo, A.


SI SOFFOCA IL CIVILE DIBATTITO SE SI CRIMINALIZZANO LE OPINIONI ANZICHÉ LE AZIONI
Avvenire, 11.12.2007
FRANCESCO D’AGOSTINO
Il dibattito, al quale ha dato luogo la man­cata votazione da parte della senatrice Binetti di una norma in tema di omofobia, ha un rilievo che va al di là della contin­genza: in esso sono venuti ad intrecciarsi una questione strettamente politico-par­lamentare (quale sia esattamente il grado di 'fedeltà' che un partito può esigere dai propri membri in una votazione di fiducia al governo) e una questione di ben mag­gior calibro, quella del rispetto del princi­pio di 'laicità', che la Binetti avrebbe vio­lato (e che è un principio in cui il Partito democratico non solo si riconosce, ma che considera costitutivo della propria iden­tità).
Il sovrapporsi di queste tematiche ha reso possibile un’obiettiva strumentalizzazio­ne del caso, con effetti nocivi, primo tra tutti quello di una certa disinformazione dell’opinione pubblica, messa non in gra­do di valutare esattamente la portata del­la vicenda.
E valga il vero. In un’intervista all’Unità, del 10 dicembre, il senatore Luigi Zanda, pur dichiarando di rispettare la collega Bi­netti e di «detestare» la sola idea che essa possa abbandonare il Pd, non esita a cri­ticarla, mescolando due argomentazioni molto diverse tra loro. La prima è che la Binetti, non appoggiando una norma con­tro l’omofobia, avrebbe violato il primo dovere di ogni parlamentare, quello di «pensare al bene del Paese». È un argo­mento fragile, perché usato in chiave pa­lesemente retorica: se infatti è evidente che i parlamentari (e non solo loro!) devo­no sempre pensare al bene del Paese, non è affatto evidente che si realizzi davvero il bene del Paese reprimendo penalmente la cosiddetta intolleranza omofobica (quan­do ovviamente non si manifesti come un intenzionale attentato alla dignità di sin­gole persone).
Una cosa infatti è offendere o recare vio­lenza agli omosessuali, ben altra cosa è ri­tenere che gli omosessuali siano inadatti all’adozione o che l’omosessualità sia una patologia. Temo proprio che Zanda non si renda conto che il testo al quale la Binetti ha rifiutato il proprio voto è tale, da far rientrare dalla finestra la categoria dei rea­ti di opinione, che una cultura autentica­mente laica e liberale dovrebbe invece ac­canitamente tenere fuori dalla porta del­l’ordinamento. Quando si criminalizzano le opinioni, anziché le azioni, si produce l’effetto perverso di soffocare il libero di­battito intellettuale, sociale e politico (nel nostro caso sui diritti degli omosessuali, se davvero tali diritti esistano e su come e­ventualmente possano essere tutelati) e si favorisce l’accettazione, passiva e acritica, di idee magari politicamente corrette, ma non per questo tali da doversi ritenere fon­date e quindi riconducibili al 'bene del Paese'.
Di diverso spessore è il secondo rilievo che Zanda muove alla Binetti: quello della ca­renza di laicità riscontrabile nella di lei scelta di mancato appoggio alla normati­va contro l’omofobia. «La laicità – afferma Zanda – non chiede a nessuno di rinun­ciare ai propri valori; chiede a tutti di ave­re per i valori degli altri lo stesso rispetto che si richiede per i propri». Quest’affer­mazione, se non le si vuol dare una valen­za relativistica, vale solo a livello di eti­chetta. Il principio di laicità non ha nulla né di moralistico, né di relativistico: esso si sostanzia nella rinuncia all’uso di argo­mentazioni confessionali nel dibattito po­litico pubblico; tutto ciò che si argomenta e si promuove in nome del bene umano o­biettivo rientra propriamente in un cor­retto atteggiamento 'laico'. Ne segue che il dovere di rispettare i valori altrui, se ha un indubbio valore sul piano psicologico, non ne ha alcuno sul piano argomentati­vo: se i valori altrui sono infondati, e an­cor più se sono eticamente discutibili, si ha il laico, laicissimo dovere di dissentire pub­blicamente da essi ed eventualmente di combatterli, esplicitando naturalmente le ragioni razionali (e non confessionali!) per le quali si assume questo atteggiamento.
È anche attraverso queste preziose forme di dissenso che si opera 'per il bene del Paese': perché il Partito democratico do­vrebbe temerle?



l’intervista Pera: quel testo errato è da non promulgare
Avvenire, 11.12.2007
DA ROMA
ROBERTO I. ZANINI
Se l’errore viene corretto la legge deve tornare al Senato, se invece la Camera la approva così com’è, «allora mi riesce diffici­le pensare che il Capo dello Stato la promulghi». La norma sull’omofo­bia inserita nel decreto sulla sicu­rezza con l’errato riferimento al­l’articolo 13 del Trattato europeo di Amsterdam, invece che all’articolo 2, fa ritenere all’ex presidente del Senato Marcello Pera, che è stato il primo a solle­vare il proble­ma, che ci si tro­vi di fronte a un grosso rischio di violazione costi­tuzionale e «se è molto grave quello che è ac­caduto, potreb­be essere addirittura eversivo quel­lo che potrebbe accadere».
Lei ritiene che si sia trattato di una mossa studiata a tavolino?
I casi sono due: sbadataggine o de­liberazione. Io ho motivi di ritene­re che il governo lo sapesse. Quan­do in aula al Senato ho denunciato il problema, nessuno è intervenu­to, anzi si è insistito sull’approva­zione pur sapendo che in questo modo la norma sarebbe inapplica­bile e di fatto non più correggibile.
Si sente di escludere la sbadatag­gine?
Ripeto, dopo il mio richiamo c’era tempo e modo per chiedere la so­spensione, controllare il testo e cer­care di rimediare. Sono andati a­vanti sapendo di sbagliare.
Vuol dire che la sinistra massima­lista sarebbe caduta nell’inganno?
Probabilmente qualcuno di loro sa­peva ma ha pensato che l’errato ri­ferimento al numero dell’articolo potesse essere cambiato in seguito, come una sorta di refuso. È chiaro che ora non può più essere fatto: u­na correzione richiede comunque un ritorno al Senato. A quel punto, svelato l’inganno, non credo ci sa­rebbero i numeri per l’approvazio­ne. C’è la pentola, manca il coper­chio.
Quale sarebbe il fine di tanta astuzia?
Introdurre in maniera surret­tizia una norma che non solo è al di fuori del con­testo del prov­vedimento ma ha tutt’altro sco­po di quel che appare. Con quel ri­ferimento al trattato europeo, in so­stanza, si voleva equiparare l’op­posizione al matrimonio gay a una discriminazione omofobica.
Si approfitta delle legislazioni so­vrannazionali e della confusione che regna in questo campo per in­trodurre norme che il nostro Par­lamento non approverebbe mai?
Non è una novità che i relativisti i­taliani, e non solo, tentino di usare l’Europa, dove il relativismo è do­minante, per raggiungere i loro o­biettivi a livello nazionale. È l’ipo­crisia con la quale molti parlano di Europa.
Così se ne sminuisce il ruolo e si danneggia il concetto stesso di europeismo.
Come la penso non è un mistero. Purtroppo questa Europa è smi­nuita di per sé e da questa Europa si importano i peggiori vizi aggi­rando la sovranità nazionale. A que­sto proposito c’è da sottolineare che per far diventare norma cogente quanto contenuto in un trattato in­ternazionale, occorre approvarlo con un’apposita legge oppure ri­chiamarlo, anche per parti, in leggi non specifiche. Quest’ultima è la strada indiretta, direi nascosta, che si voleva seguire.
Ora cosa accade?
L’unica cosa che non si può fare è far finta che non ci sia un errore e magari considerare implicito il ri­ferimento che si voleva ottenere. Del resto, secondo me, non si può pensare che il Quirinale promulghi una legge siffatta. O si cancella o si corregge. In entrambi i casi si deve tornare al Senato.
Se torna viene bocciata.
Per questo non credo né all’ultima­tum di Mastella né a quello uguale e contrario di Boselli. La approvano così. Sempre che il presidente del­la Camera non sollevi il problema.
Difficile pensare che faccia torto alla sinistra.
Qui si tratta di ruolo istituzionale. Se fosse approvata così, dopo che l’er­rore è emerso al Senato, saremmo all’eversione, allo scardinamento dello Stato di diritto. Questa non è una correzione che si può fare con la scolorina. Non oso pensare cosa sarebbe successo se tutto ciò fosse accaduto nella passata legislatura. Qui, invece, tutti zitti. Ormai la fun­zione di garanzia delle istituzioni è a rischio.
Un modo di legiferare che fa il paio con l’incomprensibilità dei testi normativi.
Ormai la legiferazione è esoterica, misteriosa affinché il cittadino non la comprenda. Spesso è fatta senza che l’opinione pubblica ne sia infor­mata e questa è la dimostrazione della crisi della democrazia in Ita­lia.
Viviana Daloiso


SOLZENICYN A PUTIN: RUSSIA SENZ’ANIMA
Avvenire, 11.12.2007
LUIGI GENINAZZI
Nel frastuono che si è levato all’indomani delle elezioni russe la sua è una voce fuori dal coro. Aleksandr Solzenicyn è tornato a parlare in pubblico, rilasciando un’intervista alla tv «Rossia», il secondo canale nazionale del Paese. L’anziano Vate dalla lunga barba, (compie 89 anni proprio oggi, 11 dicembre), benché paralizzato e costretto a trascinarsi su una carrozzella, ha mantenuto lo sguardo lucido e disincantato sulla realtà del suo Paese. «La Russia è tornata grande sul piano internazionale ma sul piano interno la sua condizione morale è ancora molto lontana da quel che vorrebbe e dovrebbe essere», è l’opinione dell’autore di «Arcipelago Gulag», il libro che costò all’Urss più di una guerra persa e che, proprio in questi giorni, viene ristampato da una casa editrice di Mosca.
Solzenicyn non ha mai nascosto la propria soddisfazione per il ritorno della Russia al rango di superpotenza, temuta e rispettata nel mondo. È sempre stato durissimo nei confronti di Eltsin, accusato d’aver distrutto il senso dello Stato e d’aver ridotto il Paese alla rovina. «Con Putin invece abbiamo assistito ad uno sforzo, ragionevole e lungimirante, per uscire da questa penosa situazione», aveva detto l’anno scorso al giornale «Moskovkie Novosti». Sei mesi fa il leader del Cremlino gli aveva conferito la maggior onorificenza nazionale, il 'premio di Stato', doveroso e tardivo riconoscimento a colui che aveva vinto il Nobel per la letteratura nel 1970. A molti sembrò che il grande dissidente, con alle spalle undici anni di gulag staliniano e poi un lungo esilio in Occidente, si fosse rappacificato col potere.
Ma non è così. Il suo giudizio sulla Russia attuale riecheggia il monito evangelico: «A cosa serve guadagnare il mondo se si perde la propria anima?». È una critica neanche tanto implicita all’ideologia nazionalista del presidente russo. Per Solzenicyn la nazione si salva non con le polemiche roboanti contro i nemici esterni ma con «un processo di elevazione spirituale». Niente a che vedere con la politica del petto gonfio e dei muscoli in mostra che va di moda al Cremlino. «La Russia che ho sotto gli occhi è molto lontana da quella che ho sognato – confessa il grande scrittore alla tv –. Sia dal punto di vista della struttura dello Stato, sia dal punto di vista sociale ed economico, è radicalmente diversa da quella che ho in mente». Per lui la democrazia in Russia non ha mai attecchito veramente. E non già per la mancata applicazione dei criteri e degli standard occidentali ma perché non è stata costruita dal basso, dalle autonomie locali, in forza delle radici che hanno caratterizzato le antiche strutture contadine e patriarcali. E’ la visione nostalgica della «obscina» (il comunitarismo della Russia zarista) che Solzenicyn contrappone al comunismo sovietico di ieri ma anche al capitalismo selvaggio di oggi.
Possiamo immaginare in effetti quanto grande sia la delusione dell’incorruttibile pensatore di fronte al neo-edonismo dilagante a Mosca dove trionfano l’esibizione della ricchezza e l’arroganza del potere. La Russia ha venduto l’anima all’Occidente, ma la cosa peggiore è che non vuole ammetterlo. Quello di Putin è un populismo senza popolo, ci fa capire Solzenicyn, voce che grida nel deserto.




Quell'asilo a Belo Horizonte - che cambia faccia alle Favelas,
10.12.2007, Il Riformista


I risultati del progetto Ovc-Avsi
- Giancarlo Rovati, 10.12.2007, Il Riformista



Partire dalla persona, Alberto Piatti, 10.12.2007 Il Riformista



Il «vangelo di Giuda»: pieno di falsi
Ricordate il vangelo di Giuda? Uno studioso serio, April D. DeConick, docente di Studi Biblici alla Rice University, ha esaminato a fondo il testo e ci ha scritto un volume per smentire la grancassa mediatica rivelando false traduzioni ed altri trucchi usati dai banditori della «nuova verità»… Intanto in Inghilterra viene messo all'asta un libro rilegato con la pelle di un gesuita del XVII secolo…


Ricordate il vangelo di Giuda?
Quel testo copto che la (massonica) National Geographic Society ha preteso di aver scoperto, che ha diffuso con spese enormi ed enorme grancassa pubblicitaria, ripresa dai «grandi media» come la verità ultima e nascosta su Gesù?
In questo testo, ci dicevano, Giuda appare nella sua vera luce: non è il traditore ma il vero salvatore, avendo compiuto la volontà di Cristo fino in fondo.
Adesso uno studioso serio, April D. DeConick, docente di Studi Biblici alla Rice University, ha esaminato a fondo il testo e ci ha scritto un volume per smentire la grancassa mediatica.
«The Thirteenth Apostle: What the Gospel of Judas Really Says».
Rivelando false traduzioni ed altri trucchi usati dai banditori della «nuova verità».
Lo studioso ha scritto anche un fondo per il New York Times (1). Eccolo:
«Con molta pubblicità, l'anno scorso, il National Geographic ha annunciato che era stato trovato un testo perduto del terzo secolo, il Vangelo di Giuda Iscariota.
Fatto impressionante: Giuda non aveva tradito Gesù.
Anzi Gesù aveva chiesto a Giuda, il suo più fido e amato discepolo, di consegnarlo per farlo uccidere.
Il premio per Giuda: l'ascensione al cielo e la sua esaltazione al disopra degli altri discepoli. Una grande storia. Peccato che, dopo aver ri-tradotto la trascrizione del testo copto presentata dalla National Geographic Society, io ho trovato che il significato reale del testo è molto diverso». «La traduzione del National Geographic sosteneva l'interpretazione provocatoria di Giuda come eroe; una lettura più attenta chiarisce che Giuda non solo non è un eroe, ma (per il testo) un demone.
La traduzione della Società e dei suoi esperti si distacca in più punti dal senso e dai metodi comunemente accettati nel nostro campo di studi.
Per esempio, la trascrizione della National Society, nel punto in cui Giuda è chiamato un 'daimon', traduce la parola con 'spirito'.
Di fatto, il termine universalmente accettato per 'spirito' è 'pneuma'; nella letteratura gnostica, 'daimon' è sempre usato nel senso di 'demonio'.
Altro punto: Giuda non è preservato 'per' la santa generazione, come dicono i traduttori del National Geographic, ma separato 'da' essa.
Egli non riceve i misteri del regno perché 'è possibile per lui entrarci'.
Li riceve perché Gesù sostiene che egli non potrà entrare, e Gesù non vuole che Giuda lo tradisca per ignoranza: vuole che sia informato, in modo che il demonico Giuda soffra tutto quanto merita». «Ma il più grosso errore che ho trovato è stato forse una alterazione del testo originale copto. Secondo la tradizione del National Geographic, l'ascensione di Giuda alla santa generazione sarebbe stata maledetta.
Invece è chiaro dalla trascrizione che gli esperti del National hanno alterato l'originale copto, eliminando una particella negativa dalla frase originale.
Devo dire che la Società ha riconosciuto questo errore, ma veramente molto tardi per cambiare la sbagliata concezione del pubblico».
«Cosa dice dunque in realtà il vangelo di Giuda?
Dice che Giuda è un demonio specifico, chiamato 'il Tredicesimo'.
In certi testi gnostici, questo è il nome per il re dei demoni, una entità nota come 'laldabaoth' che vive nel tredicesimo piano sopra la terra.
Giuda è l'alter ego umano di questo demone, il suo agente infiltrato nel mondo.
Questi gnostici identificavano 'laldabaoth' con l'ebraico Yahweh, che accusavano d'essere una divinità gelosa e vendicativa, avversa al Dio supremo che Gesù era venuto sulla terra a rivelare. Chi ha scritto il vangelo di Giuda era un aspro critico del cristianesimo dominante e dei suoi riti. Siccome Giuda è un demone che lavora per 'laldabaoth', così sostiene l'autore, quando Giuda sacrifica Gesù, lo sacrifica ai demoni, non al Dio supremo.
Con ciò, vuol prendersi gioco della fede cristiana nel valore salvifico della morte di Gesù e dell'efficacia della Eucarestia».
«Com'è possibile che siano stati fatti errori così gravi [dal National Geographic]? Sono stati proprio errori, o qualcosa di consapevolmente deliberato?
Questa è la domanda che si pone, e non ho una risposta soddisfacente.
D'accordo, la Società aveva un compito difficile, restaurare un vecchio vangelo che stava da secoli in una cassa ridotto in briciole.
Era stato trafugato da una tomba egizia negli anni '70 e ha languito per decenni nel mercato antiquario clandestino, e ha persino passato del tempo nel freezer di qualcuno.
Per cui è davvero incredibile che la Società ne abbia recuperato anche solo una parte, anzi è riuscita a ricomporlo all'85%.
Detto questo, il problema grosso è che la Società voleva un'esclusiva.
Per questo ha voluto che i suoi traduttori esperti firmassero un impegno al segreto, e a non discutere il testo con altri competenti prima della pubblicazione.
Il miglior lavoro scientifico si riesce a fare quando, di un nuovo manoscritto, vengono pubblicate foto di ogni pagina in grandezza naturale 'prima' di fornire una traduzione, in modo che i competenti del ramo, in tutto il mondo, possano scambiarsi le informazioni mentre lavorano indipendentemente sul testo».
«Un'altra difficoltà è che quando il National Geographic ha pubblicato la trascrizione, il fac-simile del manoscritto originale che ha reso pubblico era ridotto in dimensioni del 56%, ciò che lo rende inutilizzabile per un lavoro scientifico.
Senza copie in grandezza naturale, siamo come il cieco che conduce altri ciechi.
La situazione mi ricorda molto il blocco che tenne lontano gli studiosi dai Rotoli del Mar Morto decenni orsono.
Quando i manoscritti sono accaparrati dai pochi, ne nascono errori e un 'monopolio dell'interpretazione' che è molto difficile rovesciare, anche quando l'interpretazione è dimostrata falsa».
«Per evitare questo tipo di situazioni la Society of Biblical Literature ha varato nel 1991 una risoluzione per cui, se l'accesso ad un manoscritto è riservato a pochi a causa delle condizioni del manoscritto stesso, allora è obbligatorio diffondere prima di tutto una copia fotografica di esso. E' una vergogna che il National Geographic, e il suo gruppo di esperti, non abbiano obbedito a questa molto sensata disposizione.
Mi domando perché tanti esperti del mestiere e tanti scrittori abbiano tratto ispirazione dalla versione del vangelo di Giuda fatta dal National Geographic.
Magari ciò deriva da un comprensibile desiderio di cambiare la relazione tra ebrei e cristiani. Giuda è un personaggio spaventoso: per i cristiani, è colui che aveva avuto tutto il bene e ha tradito Dio per una manciata di monete.
Per gli ebrei, egli è il personaggio la cui vicenda è stata usata dai cristiani per perseguitarli nei secoli.
Sono d'accordo sul fatto che dobbiamo continuare verso la riconciliazione di questo antico scisma; ma fare di Giuda un eroe non mi pare la soluzione giusta».
Così termina DeConick, lo studioso di copto e di vangeli gnostici.
Possiamo fare una scommessa: benchè la sua autorevole asserzione sia apparsa sull'autorevolissimo New York Times, essa non sarà ripresa da nessuno dei «grandi» media, specialmente non da quelli italioti.
E già che ci siamo, vi diamo un'altra notizia a sfondo religioso che sarà sicuramente censurata.
Questa, che è stata diramata dal Catholic News Service: «Un libro rilegato con la pelle di un gesuita sta per essere messo all'asta in Inghilterra» (2).
Avete capito bene.
Il gesuita trasformato in rilegatura si chiamava padre Henry Garnet, ed era forse il generale dell'ordine nell'Inghilterra del 1605, all'epoca del «Complotto delle Polveri», lo storico e falso attentato alla vita del re Giacomo I di cui i protestanti approfittarono per massacrare i «papisti»: almeno 70 mila cattolici furono sterminati.
L'accusa era di aver cercato di far saltare in Parlamento britannico con 36 barili di polvere da sparo, scoperta in tempo, per vendetta contro Giacomo I che aveva promesso di porre fine alla persecuzione dei cattolici e non aveva mantenuto la promessa.
Secondo la versione oggi ammessa, Giacomo meditava lui stesso di tornare, e far tornare la Corona, sotto la Chiesa, e ne fu impedito dalla «scoperta dell'attentato» contro di lui (un altro antecedente dell'11 settembre).
Fatto sta che padre Garnet, che era confessore di alcuni dei congiurati ma negò la sua partecipazione al complotto, fu condannato ad essere impiccato, «tratto» (ossia trascinato da cavalli) e «squartato» (due tiri di cavalli avrebbero dovuto smembrarne il corpo, tirando da una parte e dall'altra).
L'esecuzione del martire ebbe luogo il 3 maggio 1606 davanti alla cattedrale di San Paolo a Londra. Dalla folla, diverse persone impedirono al boia di squartarlo da vivo; alcuni si appesero alle sue gambe per affrettarne la morte da impiccagione, onde preservarlo dagli orrori dello squartamento. Forse erano cripto-cattolici che si fecero coraggio, in quella che fu una delle pagine peggiori, quasi staliniane, della storia inglese.
La sua pelle fu conciata e servì a rilegare il libro oggi messo all'asta dalla Casa d'Aste Wilkinson nel Doncaster.
Stampato da Robert Barker, lo stampatore reale, il libro racconta il processo e l'esecuzione del gesuita, come spiega il titolo: «A True and Perfect Relation of the Whole Proceedings Against the Late Most Barbarous Traitors, Garnet a Jesuit and His Confederates».
Sid Wilkinson, il banditore della casa d'aste, ha spiegato come appare il volume: «La copertina è un po' sinistra, perché la pelle vi appare con molte pieghe e macchie, e si capisce che viene da una testa barbuta».
Ha aggiunto che era frequente, all'epoca, rilegare gli atti dei processi con la pelle dei condannati liquidati.
«Cose del genere si trovano nei musei».
Cominciava la civiltà occidentale sotto egemonia anglosassone.
Ma i media non ve ne parleranno.
Parleranno invece dei crimini dell'Inquisizione.

Note
1) April DeConick, «Gospel's Truth», New York Times, 1 dicembre 2007.
2) Simon Caldwell, «Book bound in skin of executed Jesuit to be auctioned in England», Catholic News Service, 28 novembre 2007.

di Maurizio Blondet
EFFEDIEFFE 02/12/2007