venerdì 21 dicembre 2007

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica prossima
2) Il relativismo dominante, Giorgio Vittadini
3) LA FEDE PER LA FELICITÀ DEL POPOLO - LA SVOLTA ATTESA NELLE PAROLE DI M. LE PRESIDENT
4) Accelerare il divorzio fa male ai matrimoni
5) Le radici della Francia sono cristiane




Predicatore del Papa: Dio sorregge “la trama delle nostre speranze”


Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica prossima
ROMA, giovedì, 20 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia –, alla liturgia di domenica prossima, IV Domenica di Avvento.


* * *
IV Domenica di Avvento
Isaia 7, 10-14; Romani 1, 1-7; Matteo 1, 18-24
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo
C'è una cosa che accomuna le tre letture di questa domenica: in ognuna si parla di una nascita: "Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che sarà chiamato Emmanuele, Dio-con-noi" (I lettura); "Gesù Cristo... è nato dalla stirpe di David secondo la carne" (II lettura); "Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo..." (Vangelo). Potremmo chiamarla la "Domenica delle nascite"!
Non possiamo evitare di porci subito la domanda: perché nascono così pochi bambini in Italia e in altri paesi occidentali? Il motivo principale della scarsità delle nascite non è principalmente di tipo economico. Diversamente, le nascite dovrebbero aumentare a mano a mano che si va verso le fasce più alte della società, o a misura che si risale dal Sud al Nord del mondo, mentre sappiamo che è vero esattamente il contrario.
Il motivo è più profondo: è la mancanza di speranza, con quello che essa porta con sé: fiducia nel futuro, slancio vitale, creatività, poesia e gioia di vivere. Se sposarsi è sempre un atto di fede, mettere al mondo un figlio è sempre un atto di speranza. Nulla si fa al mondo senza speranza. Abbiamo bisogno di speranza come dell'ossigeno per respirare. Quando una persona è in procinto di svenire, si grida a chi le sta intorno: "Dategli qualcosa di forte da respirare!" Lo stesso si dovrebbe fare con chi è sul punto di lasciarsi andare, di arrendersi di fronte alla vita: "Dategli un motivo di speranza!". Quando in una situazione umana rinasce la speranza, tutto appare diverso, anche se nulla, di fatto, è cambiato. La speranza è una forza primordiale. Fa letteralmente miracoli.
Il Vangelo ha da offrire una cosa essenziale alla nostra gente, in questo momento della storia: la Speranza con la lettera maiuscola, virtù teologale, cioè che ha per autore e garante Dio stesso. Le speranze terrene (casa, lavoro, salute, riuscita dei figli…), anche realizzate, deludono inesorabilmente, se non c'è qualcosa di più profondo che le sostiene e le rialza. Guardiamo quello che avviene nella ragnatela. La ragnatela è un'opera d'arte. Perfetta nella sua simmetria, elasticità, funzionalità. Ben tesa da tutti i lati da fili che la distendono orizzontalmente. Ma essa è retta al suo centro da un filo dall'alto, il filo che il ragno si è tessuto scendendo. Se uno recide uno dei fili laterali, il ragno sbuca fuori, lo ripara in fretta e tutto torna a posto. Ma se voi troncate quel filo dall'alto, tutto si affloscia. Il ragno sa che non c'è più nulla da fare e si allontana. La Speranza teologale è il filo dall'alto nella nostra vita, quello che sorregge tutta la trama delle nostre speranze.
In questo momento in cui sentiamo così forte il bisogno di speranza, la festa di Natale può rappresentare l'occasione per una inversione di tendenza. Ricordiamo quello che disse un giorno Gesù: "Chi accoglie un bambino nel mio nome, accoglie me". Questo vale per chi accoglie un bambino povero e abbandonato, per chi adotta o nutre un bimbo del terzo mondo; ma vale anzitutto di due genitori cristiani che, amandosi, in fede e speranza, si aprono a una nuova vita. Molte coppie che all'annunciarsi della gravidanza erano state prese da un momento di smarrimento, sono certo che in seguito sentiranno di poter fare proprie le parole dell'oracolo natalizio di Isaia: "Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia, perché un bimbo è nato per noi, ci è stato dato un figlio!"



Il relativismo dominante
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Giorgio VIttadini, Il Giornale, 20.12.2007



LA FEDE PER LA FELICITÀ DEL POPOLO - LA SVOLTA ATTESA NELLE PAROLE DI M. LE PRESIDENT
Avvenire, 21.12.2007
DAVIDE RONDONI
Il segno è di quelli che restano. Le parole sono di quelle che fanno stringere gli occhi per vedere se si è capito davvero bene. Insomma, il colpo è arrivato, e forte. Monsieur le President era giunto in una soffusa nebulosa di gossip e di mezzi sor­risi. Avrà la testa altrove. Si sa, gli innamorati sono distratti… Nicholas Sarkozy ha dato l’idea invece di essere molto concentrato. E il discorso in San Giovanni in Laterano ha il sapore di svolta epocale. D’ora in poi, la parola laicità prenderà un nuovo significato. Finalmente libero da odiose e gravi contrapposizioni con la parola 'religioso'. D’ora in poi chi userà il termine laicità opposto a religiosità si qualificherà come un appartenente al passato. Ad una archeologia del pensiero, ad una mummificazione. Al museo delle cere. Quello di Sarkozy non è stato il discorso di un filosofo, o di un sociologo. Non ha trattato il tema della laicità come se fosse un tema da dibattito filosofico. Per la sua svolta, non ha inventato nulla. Inventare non è mestiere dei presidenti. Semmai i buoni presidenti ascoltano, osservano quello che si muove nelle pagine dei filosofi e nelle chiacchiere al mercato. Ed egli ha per così dire raccolto le tante rifles­sioni di filosofi, poeti, sociologi, taluni dei quali francesi, che hanno aperto la stra­da. Quello di ieri in San Giovanni è stato un discorso importante proprio perché è il discorso di un capo politico di stampo nuovo. Cioè di uno che legge la realtà sociale nel suo complesso, per interpretarne le forze positive e quelle disgreganti. Ha ripercorso la storia di Francia, il legame «essenziale» con la Chiesa, ha elenca­to i tanti francesi che al cattolicesimo han dato molto. E poi ha letto il presente. Dialogando con la recente enciclica di Papa Benedetto XVI sulla speranza, ha insistito sul fatto che la ricerca di un senso per l’esistenza è una questione presente in tutte le civiltà. E che nessun acquisto sociale, scientifico o morale soddisfa quella sete umana.
La «laicità positiva» di Sarkozy affonda le radici in tale considerazione della natura umana come domanda sul senso dell’esistenza. Perciò la laicità non può più considerare la religiosità come «un pericolo» ma come «un aiuto». Si tratta dunque di «facilitare la vita quotidiana delle grandi correnti spirituali piuttosto che cercare di complicarla». Senza giri di parole, il presidente ha indicato un presente in cui il «deserto spirituale» non ha reso «i francesi più felici». È una evidenza, ha detto Sarkozy. In tale deserto, senza cedere sul rispetto della libertà di credere o no, il presidente riconosce che «un uomo che crede è uno uomo che spera». E di tale speranza la Francia ha drammaticamente bisogno. Le sue banlieues come i suoi cortili signorili. In politica, monsieur Sarkozy non è un avventuriero. Ha indicato anche i metodi e i campi in cui tale «laicità positiva» trova espressione: dalla libertà di educazione ai rapporti istituzionali con le varie confessioni religiose, dal riconoscimento del valore sociale dell’azione caritativa, sino ai problemi della formazione teologica. E con realismo ha fatto menzione delle critiche e delle tensioni che ci sono su queste faccende. Ma le ha considerate come rigidità del passato, mentre ha il sapore del futuro l’appello a che i cattolici del suo Paese siano testimoni della loro speranza.
Al termine il presidente ha ripetuto il concetto a lui caro: la frontiera tra fede e non­credenza non passa in una divisione 'politica' o civile tra coloro che credono e coloro che non credono. Ma fede e interrogazione sull’essenziale sono le esperienze che segnano l’animo di ogni uomo. La «laicità positiva» di Sarkozy non è una formula magica, e non mancheranno reazioni, anche tra i nostri laicisti in servizio permanente effettivo. Ma questo modo di intendere il legame tra stato laico e fenomeno religioso assicura un maggiore spa­zio alla speranza. Maggiore responsabilità in una maggiore allegria.
Era un poeta francese a dire: se volete sapere cosa è un popolo cristiano guardate il suo contrario. E il contrario di un popolo cristiano è un popolo triste.

UNA PRATICA DA SBRIGARE IN 6 MESI
Accelerare il divorzio fa male ai matrimoni

Avvenire, 21.12.2007
GIACOMO SAMEK LOODOVICI

La commissione Giustizia ha adottato come testo base un articolato del senatore del Pd, Massimo Brutti, che ha nell’articolo 1 il suo punto saliente: per ottenere il divorzio basta un solo anno (rispetto ai tre attuali) e questo accorciamento vale ugualmente per le coppie con e senza figli.
Brutti ha fatto intendere che si potrebbero anche abbreviare i tempi a soli sei mesi, nel caso in cui non ci siano figli ed entrambi i coniugi vogliano consensualmente prendere ognuno la propria strada.
Lasciando gli aspetti giuridici agli specialisti e soffermandoci invece su quelli etici e sociali, dobbiamo rimarcare che questa proposta di legge é molto grave. Il divorzio, contrariamente a quello che ritiene la maggior parte delle persone, è una pratica moralmente sbagliata (diversamente dalla separazione che, in certi casi, è moralmente lecita) già per la ragione (senza bisogno della fede), cioè dal punto di vista laico. Poiché non abbiamo qui lo spazio per argomentarlo, possiamo almeno sottolineare che un’accelerazione delle procedure di divorzio è gravemente dannosa, sia nel caso che ci vadano di mezzo dei bambini, sia nel caso in cui non ne siano nati.
Quando ci sono dei bambini, essi sono le principali vittime del divorzio. Decine di studi rilevano la sofferenza e, spesso, anche le patologie psichiche provocate nei figli dal divorzio dei loro genitori. È perciò già sconcertante che la proposta di legge non faccia alcuna differenza, nel concedere l’accorciamento dei tempi per il divorzio, tra coniugi che hanno bambini e quelli che non ne hanno.
Inoltre, una norma che abbrevia l’iter del divorzio accorcia proporzionalmente anche i tempi per un ripensamento e per una riconciliazione, che è possibile sia tra coniugi che vivono insieme, sia tra coniugi che vivono già separati. Infatti, anche i separati a volte si riconciliano: è difficile ma non impossibile.
Secondo una ricerca di P. Fagan, negli Stati Uniti sarebbe del 20% la percentuale dei separati che si riappacifica. Quale che sia questa percentuale, resta il dato di fatto: alcuni coniugi riescono a superare le divergenze ed a rilanciare il loro matrimonio, con grande beneficio per i figli.
Se invece non ci sono tempi di ripensamento, i divorzi proliferano. In Spagna, Zapatero ha ridotto i tempi del divorzio a soli tre mesi, cioè ha quasi cancellato i tempi per una riappacificazione. Risultato: nel 2006 i divorzi in Spagna sono aumentati del 74,3% rispetto al 2005. E l’aumento è particolarmente significativo nelle coppie che hanno divorziato prima di un anno di matrimonio, che sono aumentate del 330,6% rispetto al 2005.
Ma siamo decisamente contrari al divorzio rapido anche perché le leggi, non bisognerebbe mai dimenticarlo, non si limitano a fotografare una situazione sociale ed a normarla, bensì hanno un potente impatto pedagogico e creano mentalità e costume. Una legge come quella proposta da Brutti, se verrà approvata, avrà sicuramente l’effetto di indebolire la percezione sociale del valore di un impegno indissolubile, o, per lo meno, a lungo termine, come quello del matrimonio, perciò lo indebolirà. Come si è visto in Spagna, il divorzio rapido rafforza la concezione opposta, quella per cui il matrimonio sarebbe un impegno molto labile.
Con questa legge, come anche coi Pacs-Cus, lo Stato darebbe un pessimo messaggio ai giovani (e ai meno giovani): 'che voi facciate delle scelte impegnative, o che viviate in rapporti a tempo determinato e con «clausola di rescissione», per me è lo stesso'.


Tauran: «Sarkozy, laicità dialogante» - l’intervista
Avvenire, 21.12.2007
Il cardinale dopo il discorso del presidente al Laterano: «Raramente un capo di Stato francese ha fatto propria in modo così chiaro l’eredità spirituale del Paese»
DA ROMA GIANNI CARDINALE
«Il discorso del presidente è stato di grande levatura, di profondo contenuto spirituale, molto sostanzioso. Raramente nel passato c’è stato un capo di Stato francese che ha fatto propria l’eredità spirituale del Paese in modo così chiaro ed esplicito ». Il cardinale francese Jean­Louis Tauran, presidente del pontificio Consiglio per il dialo­go inter-religioso, confida ad Av­venire di essere rimasto partico­larmente colpito, in positivo, da quanto detto ieri da Nicolas Sarkozy nell’attesa conferenza tenuta dopo aver preso posses- so del titolo di primo canonico onorario del capitolo della Basi­lica papale di San Giovanni in La­terano, la cattedrale del vescovo di Roma.
Eminenza, cosa le è rimasto im­presso in particolare del discor­so di Sarkozy?
Si è trattato di una conferenza ricca di spunti e giudizi interes­santi. Intanto ha ricordato le sof­ferenze patite dai cattolici fran­cesi in seguito alla legge di sepa­razione del 1905. Si tratta di un ri­conoscimento doveroso visto che ci furono episodi violenti. E poi non ha avuto paura di parla­re delle radici cristiane della Francia e allo stesso tempo ha parlato di laicità positiva che non considera la religione come un pericolo ma come una risorsa. Mi sembra che siamo passati da una laicità da combattimento ( laicitè de combat) a una laicità da dibattito ( laicitè de debat) o, come ha detto Regis Debray, a u­na laicità intelligente.
Qual è secondo lei il valore del discorso pronunciato ieri da Sarkozy?
Dimostra molto bene che nella Francia plurireligiosa il cattoli­cesimo ha un posto dovuto alla storia, ma anche le altre religio­ni hanno il loro posto. E che lo Stato rimane il garante della li­bertà religiosa. Più che separa­zione è bene parlare quindi di di­stinzione tra Chiesa e Stato.
Come è stato accolto il discorso dall’uditorio?
Ho notato con piacere che è sta­to ricevuto molto bene. Grandi applausi e grande attenzione. I giovani semina­risti presenti mi sono sembrati particolarmen­te toccati quan­do il presidente ha detto che la Francia conta molto su di loro, quando ha par­lato della loro vocazione, e quando ha det­to che la Francia ha bisogno di cattolici convinti. O come quando ha detto che la penuria di preti non ha reso i francesi più felici.
Pensa che ci saranno conse­guenze concrete in Francia a questo discorso?
Non so. Certo però è interessan­te che il presidente abbia rico­nosciuto che ci sono ancora del­le cose che non vanno: come il fatto che la Repubblica mantie­ne ancora le congregazioni reli­giose sotto tutela, e che non ri­conosce alcun valore ai diplomi di teologia. Il presidente ha ag­giunto: «Penso che questa situa­zione è dannosa per il nostro Paese». Speriamo che riuscirà a cambiare queste situazioni.
Sarkozy ha anche citato il Pa­pa…
In effetti ha cita­to l’ultima enci­clica del Santo Padre. E ha det­to che la speran­za è una delle questioni più importanti del nostro tempo. Sono rimasto molto colpito che dopo aver citato il Pontefi­ce, Sarkozy ab­bia riconosciuto che «il fatto spi­rituale è la tendenza naturale di tutti gli uomini a ricercare una trascendenza» e che «il fatto re­ligioso è la risposta delle religio­ni a questa aspirazione fonda­mentale ». Dopodiché Sarkozy ha aggiunto: «Ora, per lungo tempo la repubblica laica ha sottosti­mato l’importanza dell’aspira­zione spirituale». Mi sembra una considerazione nuova e signifi­cativa in bocca ad un capo di Sta­to francese.
Il presidente ha anche fatto cen­no ad una certa sintonia tra la Francia e la Santa Sede riguardo alcuni temi di politica estera che riguardano il Mediterraneo.
Mi sembra che in effetti che il co­municato stampa rilasciato dal­la Santa Sede dopo le udienze di Sarkozy in Vaticano col Papa e con i vertici della Segreteria di Stato vada in questo senso.
Ha avuto modo di salutare per­sonalmente il presidente?
Sì, mi sono congratulato e ci sia­mo ricordati del nostro primo in­contro quando abbiamo com­mentato la frase di Alexis de Toc­queville che si trova nel fronte­spizio del suo libro: «È il dispoti­smo che può fare a meno della fede, non la libertà». Ci siamo tro­vati d’accordo nel sostenete che si tratta di una frase vera che va­le anche per la Francia e il mon­do di oggi.
Cosa può dire degli articoli che hanno accompagnato la venuta del presidente in Italia riguardo ai suoi più recenti legami affettivi.
Semplicemente che non mi oc­cupo di gossip. Mi interessa mol­to di più quello che il presidente dice piuttosto che queste storie che fanno la gioia dei mass media.


Le radici della Francia sono cristiane
Una svolta storica per il leader della nazione che, con Giscard d’Estaing, più si è opposta al riferimento alle radici cristiane nel preambolo della Carta Ue. È proprio sul dialogo con la fede e sul contributo che questa può dare alla società che Sarkozy ha giocato la sua giornata tra il Vaticano e il Laterano…
1) E al Papa dice: «Intervenite di più» di Andrea Tornielli
2) “Le radici della Francia sono cristiane” di Giacomo Galeazzi


1) E al Papa dice: «Intervenite di più»
di Andrea Tornielli
È arrivato con qualche minuto di ritardo e durante i colloqui con Benedetto XVI e poi con il cardinale segretario di Stato ha detto ad entrambi che la Chiesa in Francia deve «essere più coraggiosa» nell’intervenire pubblicamente.
Nicolas Sarkozy è apparso sicuro di se stesso e per nulla emozionato varcando il portone – a lui già noto – del palazzo apostolico. L’udienza con Ratzinger, e il successivo incontro con il suo «primo ministro» Bertone, sono andati decisamente bene.
Con il Papa, Sarko è rimasto a tu per tu, senza interpreti, per venticinque minuti. «Signor presidente, è il benvenuto» ha detto il Pontefice accogliendo il capo di Stato francese nella Sala del Tronetto, prima di introdurlo nella Biblioteca. «Grazie di ricevermi», ha risposto il presidente. «È facile, il francese è simile all’italiano» ha esordito Ratzinger, riscuotendo i complimenti dell’interlocutore: «Parla un francese ammirevole. È molto commovente essere ricevuto da lei».
Sarko si è presentato come il paladino delle religioni, ha ribadito l’importanza del ruolo pubblico della fede, si è mostrato portatore di un concetto diverso di laicità rispetto a quello del predecessore. «I cordiali colloqui – recita il comunicato diramato ieri dalla sala stampa della Santa Sede – hanno permesso di passare in rassegna alcuni temi di comune interesse riguardanti l’attuale situazione del Paese, evocando i buoni rapporti esistenti tra la Chiesa cattolica e la Repubblica francese, nonché il ruolo delle religioni, in specie della Chiesa cattolica, nel mondo. Particolare attenzione è stata dedicata alla situazione internazionale, con riferimento al futuro dell’Europa, i conflitti in Medio Oriente, i problemi sociali e politici di alcuni Paesi africani e il dramma degli ostaggi».
Sul ruolo della Chiesa in Francia e in Europa, la Santa Sede ha ribadito l’interesse a far crescere il proprio contributo nel dibattito sui valori etici e sull’identità del Vecchio Continente. Sarkozy, ha detto sia al Papa che a Bertone che la Chiesa d’Oltralpe dovrebbe essere più coraggiosa e intervenire di più. Si è dunque presentato molto determinato nel riconoscere il ruolo anche pubblico della fede religiosa in una società come quella francese che vive una crisi di valori.
Si è parlato del futuro dell’Europa dopo il trattato di Lisbona ed è stata apprezzata l’opera che Sarko sta facendo per ricucire il rapporto con gli Stati Uniti. Per quanto riguarda il Medio Oriente, è stata in particolare toccata nel colloquio la situazione del Libano e la necessità di arrivare quanto prima a celebrare le elezioni presidenziali, continuamente rinviate anche a causa del crescente clima di terrore e di attentati.
«Il colloquio con il Papa è stato molto importante per me, abbiamo parlato della situazione internazionale e della vocazione del Pontefice come portatore di pace e riconciliazione. La questione spirituale del senso della vita mi interessa molto – ha poi dichiarato l’inquilino dell’Eliseo conversando con i giornalisti – amo parlare di queste cose con uomini di grande fede, di qualsiasi religione. Io mi sento della famiglia cattolica». Sarko ha spiegato di aver accettato il titolo di canonico onorario del Laterano perché vuole «interpretare la modernità della Francia attraverso la tradizione, e questa del canonicato è una tradizione antica e forte».
Il Giornale, 21 dicembre 2007

2) “Le radici della Francia sono cristiane”
Nessun leader della République laica aveva usato espressioni così calorose
di Giacomo Galeazzi
«La Repubblica laica ha sottostimato l’importanza dell’aspirazione spirituale. Io e il Papa abbiamo la stessa vocazione. La Chiesa è necessaria al nostro futuro». Nicolas Sarkozy fa breccia in Vaticano rievocando «le radici della Francia essenzialmente cristiane» e il «legame indefettibile che dai tempi di Carlo Magno unisce la Francia alla Città Eterna».
E poiché «non basta rendere omaggio al passato, per quanto prestigioso esso sia», la sua «missione» a Roma è un «passo che testimonia la fedeltà della Francia alla sua storia e a una delle fonti maggiori della sua civilizzazione». Il manifesto per la «laicità nuova e matura» di Sarkozy conquista la Santa Sede. Nella sua prima visita ufficiale a Benedetto XVI, nel «faccia a faccia» più politico con il segretario di Stato Tarcisio Bertone e nel discorso alla Basilica di San Giovanni in Laterano di cui da ieri è «canonico onorario», il presidente francese scalda i cuori della Curia esaltando i sacerdoti d’Oltralpe che hanno «disarmato l’anticlericalismo» e facendo «mea culpa» per le «sofferenze» vissute dai cattolici in Francia «prima e dopo la legge del 1905» sulla separazione della Chiesa dallo Stato.
Una svolta storica per il leader della nazione che, con Giscard d’Estaing, più si è opposta al riferimento alle radici cristiane nel preambolo della Carta Ue. È proprio sul dialogo con la fede e sul contributo che questa può dare alla società che Sarkozy ha giocato la sua giornata tra il Vaticano e il Laterano: «Voglio interpretare la modernità della Francia attraverso la tradizione». Rilancia la «laicità positiva», definizione cara a Ratzinger. Il comunicato della Santa Sede pone l’accento sulle tematiche internazionali, come, del resto, fa l’Osservatore romano, titolando «Uno sguardo comune sulla situazione internazionale», ma la sua mezz’ora di colloquio privato e senza interprete con il Pontefice, Sarkozy la sintetizza all’uscita dal Palazzo Apostolico in una battuta che fa pensare a contenuti più intimi e spunti di confronto personale: «Amo parlare del senso della vita con persone di grande fede». Un Sarkozy esuberante che ha travolto il cerimoniale facendo attendere il Papa per 18 minuti, che prima di entrare nelle stanze vaticane si è tolto il cappotto, lo ha gettato in auto e si è presentato in giacca e cravatta soltanto.
Nel pomeriggio, ricevuto nella cattedrale di Roma dal cardinale vicario Camillo Ruini, Sarkozy proclama la «libertà di credere o di non credere, di praticare una religione e di cambiarla, di non essere urtato nella propria coscienza da pratiche ostentatorie, libertà per i genitori di far dare ai loro figli un’educazione conforme alle loro convinzioni, libertà di non essere discriminati dall’amministrazione in ragione della propria fede». Parole anticipate in mattinata nel «vis-à-vis» con il Pontefice (il cui viaggio in Francia è stato confermato per il secondo semestre del 2008) e nel colloquio con Bertone, incentrato sulla legislazione francese e sull’omissione dell’eredità del cristianesimo nella Costituzione europea. Nel seguito presidenziale, lo storico Max Gallo e l’attore Jean-Marie Bigard.
Rilevando che la Francia tiene ancora sotto tutela le congregazioni religiose, non riconosce un carattere di culto alle attività caritative della Chiesa, né riconosce il valore dei diplomi rilanciati dagli istituti cattolici, Sarkozy ammette che «questa situazione è dannosa per il nostro paese», in quanto è «evidente come la disaffezione progressiva delle parrocchie rurali, il deserto spirituale delle banlieues non abbiano reso i francesi più felici».
E la laicità non deve essere «negazione del passato» e «non ha il potere di tagliare la Francia dalle sue radici cristiane», sottolinea. Per questo è necessario «tenere insieme i due estremi della catena: assumere le radici cristiane della Francia, e anche valorizzarle, difendendo al tempo stesso la laicità divenuta matura». Anzi, «le diverse religioni e in primo luogo il messaggio cristiano possono «contribuire a illuminare le nostre scelte e costruire il nostro futuro».
La Stampa 21 dicembre 2007