sabato 24 gennaio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Il presidente della Pontificia Accademia per la Vita e la svolta di Obama - «È l'arroganza di chi si crede nel giusto» - L'arcivescovo Fisichella: «Se proibisce la tortura non dica no alla vita nascente».
2) 24/01/2009 10:30 – CINA - E' in manicomio Wang Lianxi, dissidente di piazza Tiananmen - Rilasciato nel 2007 dopo 18 anni di carcere, prima delle Olimpiadi di Pechino è stato internato in ospedale ed è tuttora trattenuto, anche se amici dicono che non appare averne bisogno. Gruppo pro-diritti umani chiede sia esaminato da psichiatri indipendenti
3) Mirabilia Dei, vieni e vedi. - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 22 gennaio 2009
4) Libertà a senso unico - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 22 gennaio 2009
5) Il primato della realtà - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - venerdì 23 gennaio 2009
6) UN VENTENNE DI FRONTE ALLA MORTE E QUELLA COSA DELL’ALTRO MONDO CHE SONO…I CRISTIANI 23.01.2009 di Antonio Socci
7) Duecentocinquanta anni fa nasceva il poeta scozzese Robert Burns - Il bardo assetato di bellezza di Paolo Gulisano – L’Osservatore Romano, 24 Gennaio 2009
8) Don Carlo Gnocchi cappellano degli alpini - Una vita per rispondere a una domanda immensa come la Russia - È in libreria il libro di Carlo Gnocchi Cristo con gli alpini (Milano, Mursia, 2008, pagine 125, euro 14). Pubblichiamo la prefazione. - di Armando Torno – L’osservatore Romano, 24 gennaio 2009
9) IMPRESSIONANTE SCHIERAMENTO: R AME, S AVIANO, S OFRI... - «Non riesco a capirli più Un livore li acceca» - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 24 gennaio 2009


Il presidente della Pontificia Accademia per la Vita e la svolta di Obama - «È l'arroganza di chi si crede nel giusto» - L'arcivescovo Fisichella: «Se proibisce la tortura non dica no alla vita nascente».
Secondo la Casa Bianca, il presidente Obama sta per ripristinare i finanziamenti statali Usa alle Organizzazioni internazionali non governative per il controllo delle nascite che che promuovono o effettuano l'aborto. Il provvedimento era stato già preannunciato nel programma di Obama come una delle prime misure ad essere varate.
L'attuale legislazione impedisce che il denaro dei contribuenti americani - di solito attraverso il canale dell'Agenzia per lo Sviluppo internazionale - sia utilizzato a vantaggio di organizzazioni di pianificazione familiare che offrano operazioni di interruzione di gravidanza o facciano opera di informazione, consulenza e indirizzamento a strutture che effettuano gli aborti.
I fondi vennero aboliti dal presidente repubblicano antiaborista Ronald Reagan, nel 1984, dopo la conferenza dell’Onu a Città del Messico, vennero poi ripristinati dal presidente democratico Bill Clinton nel gennaio del 1991, e vennero infine proibiti da George W. Bush nel gennaio del 2001. Il cardinale di Filadelfia, Justin Rigali, nella veste di presidente della commissione per la vita della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, in una nota ha lamentato la decisione. «Un’amministrazione che vuole ridurre gli aborti - ha affermato il cardinale Rigali - non dovrebbe deviare fondi federali verso gruppi che promuovono l’aborto».
Su questa triste decisione riportiamo quanto ha dichiarato in un'intervista mons. Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita.


Intervista a mons. Rino Fisichella
«Apriamo gli occhi, mi sembra ci sia in giro molta polvere di stelle. Sa cos'è?».
No, eccellenza, cos'è?
«Succede quando ci sono tanti problemi urgenti, seri, e insieme delle difficoltà oggettive, mancanza di risorse eccetera. Allora si vanno a prendere altre cose che luccicano e soddisfano forse chi vive di ideologia. Solo che in concreto non portano ad alcun risultato, se non a nascondere i problemi veri». L'arcivescovo Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la vita nonché rettore della Lateranense, considera preoccupato e un po' desolato i primi passi di Obama in tema di aborto. «L'essenziale è saper ascoltare tutte le istanze del Paese, senza rinchiudersi in visioni ideologiche con l'arroganza di chi, avendo il potere, pensa di poter decidere della vita e della morte».

Il presidente Obama ha abolito la legge che vietava di finanziare le organizzazioni internazionali che sostengono, per la pianificazione familiare, anche l'aborto...
«Come dice il proverbio: chi ben comincia è alla metà dell'opera... Se questo è uno dei primi atti del presidente Obama mi sento di dire, con tutto il rispetto possibile, che il passo verso la delusione è assai breve. Anche perché, quando ci si erge giustamente a paladini della dignità della persona, ci si aspetta che tale diritto sia esteso a tutti, senza discriminazioni né contraddizioni profonde».

Parla della chiusura di Guantanamo e del no alle torture?
«Appunto. Nel momento in cui si vuol fare chiarezza su questo — e ripeto: giustamente —, ci si aspetta che tale preoccupazione possa riguardare anche la vita nascente. Il mondo di oggi è più piccolo di quello che crediamo e i temi etici suscitano grande incertezza e magari gravi conflitti nella popolazione. Per questo vanno affrontati con grande prudenza e non con l'arroganza di chi si crede nel giusto, apponendo la firma a un decreto che di fatto è un'ulteriore apertura all'aborto e quindi alla distruzione di esseri umani».

Barack Obama è per il diritto di scelta ma ha invitato a trovare un «punto d'incontro» e «prevenire le gravidanze non volute, ridurre il ricorso all'aborto »...
«Guardi, sulle questioni etiche non si può giocare con le parole. Dal presidente di un Paese qualsiasi all'ultimo dei parlamentari, andrebbero evitate visioni strabiche, lo scarto tra ciò che soggettivamente uno pensa e ciò che oggettivamente fa. "Sono personalmente contrario all'aborto, però...". Mi sembra che nascondersi dietro i sofismi non sia degno di chi ha delle responsabilità verso i cittadini. La gente vuole chiarezza».

Tra l'altro, torneranno i finanziamenti federali alla ricerca sulle staminali embrionali.
«La mia prima impressione, se lo facesse, sarebbe di un cedimento alla pressione delle grandi multinazionali del settore. In tutto il mondo gli scienziati spiegano che la ricerca sulle staminali adulte funziona mentre quella sulle embrionali non va da nessuna parte. Addirittura, in alcuni settori, gli interventi sulle cellule a livello genetico stanno superando la necessità di lavorare sulle staminali adulte. Insistere sulle embrionali significherebbe imboccare un vicolo cieco indicato dall'ideologia e non da una valutazione scientifica. No, il problema non è scientifico, è ideologico. Ed economico».

La maggioranza dei cattolici ha votato Obama, però.
«Non credo che chi lo ha votato abbia preso in considerazione i temi etici, anche perché vengono astutamente lasciati fuori dal dibattito elettorale. Certo non penso che queste scelte gli porteranno consenso. Il popolo per la vita nasce cattolico ma oggi abbraccia una moltitudine di persone. La maggior parte della popolazione americana non è sulle posizioni del presidente e del suo staff. Dai tempi di Tocqueville sappiamo bene che il popolo americano, e in particolare i cattolici, ha un forte senso civile, di appartenenza e lealtà alle istituzioni, ma con altrettanta forza sostiene la propria libertà di critica e il senso della giustizia e della vita».

«L'Osservatore Romano» scriveva che questo dell'aborto è «uno dei nodi attraverso i quali si qualificheranno i rapporti tra l'amministrazione Usa e le confessioni cristiane del Paese». E adesso?
«Giovedì, a Washington, duecentomila persone hanno marciato a favore della vita. Se la risposta del presidente è di estendere il diritto all'aborto, la profonda contraddizione di cui parlavo prima, con tutta la buona volontà non riesco a capire cosa di nuovo possa proporre. Ma staremo a vedere».

Fino a che punto questa faccenda complicherà i rapporti tra Usa e Vaticano? Benedetto XVI, nel suo telegramma di auguri al presidente Usa, ricordava i diritti di «chi non ha voce» ma anche «i poveri», gli «emarginati», parlava della pace tra le nazioni...
«La Santa Sede, è evidente, coinvolge la conferenza episcopale del Paese. In primo piano ci sono i vescovi statunitensi, ai quali voglio dare la mia più totale solidarietà: sono chiamati a dare ancora più forza alla loro testimonianza su tutto ciò che riguarda la dignità della persona, quindi non solo i temi bioetici ma anche la povertà, la crisi economica...».

Ma con Obama?
«Chiunque abbia delle responsabilità, quando inizia un cammino, dev'essere capace di valutare non solo le esigenze del proprio Paese ma anche le conseguenze che ne derivano altrove. Quanto avviene negli Usa ricade in altre parti del mondo. Per questo si dev'essere capaci di ascolto, di umiltà, e magari di chiedere aiuto agli altri».
Gian Guido Vecchi
Corriere della Sera, 24 gennaio 2009


24/01/2009 10:30 – CINA - E' in manicomio Wang Lianxi, dissidente di piazza Tiananmen - Rilasciato nel 2007 dopo 18 anni di carcere, prima delle Olimpiadi di Pechino è stato internato in ospedale ed è tuttora trattenuto, anche se amici dicono che non appare averne bisogno. Gruppo pro-diritti umani chiede sia esaminato da psichiatri indipendenti.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – E’ incarcerato in un ospedale psichiatrico Wang Lianxi, arrestato nel 1989 durante la dura repressione contro i dimostranti pro-democrazia di piazza Tiananmen, poco dopo il massacro del 4 giugno quando l’esercito ha sparato su studenti e operai uccidendone migliaia.
Condannato a morte insieme ad altri 7 dimostranti accusati di avere incendiato veicoli militari, la pena è stata poi commutata nell’ergastolo perché ritenuto “disabile mentale”. E’ stato rilasciato nel luglio 2007. Tornato a casa, ha trovato che i genitori erano morti e la sua casa a Pechino era stata demolita. Un Comitato di quartiere gli ha trovato dove dormire.
Il gruppo pro-diritti umani Chinese Human Rigths Defenders denuncia che Wang è stato di nuovo arrestato come “indesiderabile” prima delle Olimpiadi di Pechino, nell’ambito della campagna per “allontanare” o controllare chi è stato ritenuto fomentatore di problemi e capace di offuscare l’immagine positiva della Cina. E’ stato portato nell’Ospedale psichiatrico Pingan nel distretto Xizhimenwai a Pechino, dove è ancora trattenuto.
Il suo amico Gao Hongming, che lo ha visitato il 19 gennaio, dice che lo ha trovato lento nei riflessi e non acuto di mente, ma che non mostra segni di seri problemi mentali, necessitanti di un ricovero coatto.
Chrd osserva che le autorità hanno spesso confinato dissidenti e altri cittadini “indesiderabili” in strutture psichiatriche. Anche perché la legge cinese non definisce in modo chiaro le circostanze per sottoporre qualcuno a trattamenti medico-psichiatrici contro la sua volontà. Si ignora se le autorità abbiano il consenso di parenti superstiti di Wang, come pure non sono note le ragioni e le diagnosi mediche per cui è internato da molti mesi.
Il Comitato delle Nazioni Unite contro la Tortura, nelle “Osservazioni Conclusive” del 21 novembre 2008, al paragrafo 26 ha raccomandato alla Cina di “prendere provvedimenti per garantire che nessuno sia internato in strutture psichiatriche contro la sua volontà per ragioni non mediche. Dove l’ospedalizzazione è richiesta da ragioni mediche, lo Stato deve assicurare che sia decisa solo per consiglio di esperti psichiatrici indipendenti e che contro tale decisione sia possibile fare appello”.
Per questo Chrd invita Pechino a sottoporre Wang ad esperti psichiatrici indipendenti.


Mirabilia Dei, vieni e vedi. - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 22 gennaio 2009
Vi racconto una storia, una storia iniziata molti anni fa, che tra alti e bassi, fatiche e successi sta qui, ferma ritta come un ulivo sulla collina, contorto ma sicuro, a sfidare il vento, a testimoniare che c’è un modo umano, più umano di fare famiglia, di educare e educarsi all’accoglienza.

La storia inizia nel 1991. Lorenzo Crosta non ha in mente di dedicarsi all’accoglienza, né di costruire quello che poi sarebbe nato, semplicemente risponde ad un bisogno. Lui ed un amico hanno una cooperativa dove lavorano dei disabili, alcuni di loro la sera terminato il lavoro non hanno nessuno che li accolga.
Così, Lorenzo con la moglie, la suocera ed i tre figli va a vivere insieme ad un'altra famiglia accogliendo questi amici disabili, è il luglio del 1991, inizia una storia che nessuno poteva immaginare arrivasse a crescere in questo modo e ad essere contagiosa.
Altri vedendo la loro esperienza desiderano vivere la vocazione al matrimonio facendo della loro famiglia un luogo di accoglienza e così oggi ci sono 6 case famiglia, 68 le persone accolte all’interno di case disseminate tra Lombardia e Puglia e altri progetti in costruzione.

Nelle famiglie si accoglie e in luoghi vicini alle case si fa formazione, e avviamento al lavoro, perché chi può essere avviato al lavoro trovi una sua dimensione nel fare e chi non ha capacità sufficienti per lavorare possa impegnare le sue capacità residue in lavori creativi, perché nessuno si senta inutile.
Per conoscere meglio questa esperienza vi consiglio di telefonare a Claudio che nella casa di Triuggio a Mi (Casa TEODORO E MARIAPIA JEMI in Via Leonardo da Vinci, 5 a Triuggio fraz. Canonica -MI- Tel. 0362.919898) organizza vere e proprie cene per gli amici che vogliono conoscere l’esperienza di Mirabilia Dei e contribuire con una donazione al sostentamento della casa.

È un’ottima occasione per pranzi tra amici o per festeggiare delle ricorrenze e per richiamare nel frattempo tutti noi ad una modalità di vita che in questa nostra società può apparire quantomeno eccentrica, ma non può lasciare indifferenti.
in un tempo in cui si lotta per togliere l’alimentazione a chi è in stato vegetativo, si fanno ecografie per scoprire se il figlio che hai in grembo sarà down e poterlo eliminare prima che veda la luce, in un tempo che con il suo fare educa a guardare a chi nasce “imperfetto” come a un pezzo non scartato in tempo, guardare a famiglie, che vivono la quotidianità, il lavoro, le vacanze la bellezza, in una normalità, testimoniando che si, “si può vivere così” ed è l’unico modo UMANO di affrontare la vita.

Perché sbaglia chi crede che il mondo dei disabili sia un viaggio nell'angoscia e nel dolore, spesso è un viaggio nella bellezza e nella semplicità di chi guarda alla vita e alla realtà senza pregiudizio. Diverse sensibilità e diversi talenti, vuol dire cogliere la grandezza e l'enorme possibilità che ogni uomo ha di vivere la realtà.
www.mirabiliadei.it


Libertà a senso unico - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 22 gennaio 2009
Viva la libertà per tutti, come ha promesso Obama, purché non riguardi la Chiesa in Italia
Avendomi detto che avrebbe partecipato Antonio Socci, ieri sera, mercoledì 21 gennaio, ho assistito alla trasmissione “otto e mezzo” che, passando da Ferrara alla Gruber è notevolmente meno interessante. Confesso che Lilly Gruber non gode le mie simpatie né come Conduttrice del TG, né come Eurodeputata, né come Conduttrice di “otto e mezzo”; di seguito sarà chiaro il motivo.

Non mi riferirò ai temi trattati perché l’abilità giornalistica della Conduttrice ne ha fatto una trasmissione agile, veloce, che in soli 40 minuti affronta più argomenti; cioè uno zibaldone di affermazioni non approfondite, quindi immotivate.

Oltre ad un giornalista che affianca la conduttrice, al quale sono state permesse due piccole domandine per giustificarne la presenza, hanno partecipato alla trasmissione l’astronoma Margherita Hack, la Presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso, una giornalista spagnola “zapateriana” e lo scrittore e giornalista Antonio Socci. Si è parlato della pubblicità atea sugli autobus in Spagna, nel Regno Unito ed a Genova, del libro di Socci «Indagine su Gesù», della libertà di espressione della Chiesa nelle società moderne, del caso di Eluana Englaro, del testamento biologico, della possibilità ed opportunità di legiferare sulle questioni etiche; spesso citando la Spagna come Paese faro.

La Gruber ha interrogato gli “ospiti” orientando abilmente la discussione; questo lo si deve riconoscere, abile forse più del Suo collega Michele Santoro, che quanto a faziosità non lascia adito a dubbi.

Insomma uno di quei confronti, come alcuni organizzati al Parlamento europeo (il parallelismo non è casuale), in cui a prima vista si dà spazio a tutte le posizioni culturali, mentre sono sapientemente orchestrate per farne prevalere una. Per parlarci chiaro: il Cattolico se ci va perde, se non ci va… “peccato non ha avuto il coraggio.” Qui si è manifestata la bravura di Socci: idee fresche, originali, non ideologiche, affermazioni chiare, formulate con pacatezza, conoscendolo anche un poco sorprendente, ed a volte immeritata dai Suoi interlocutori, soprattutto da quella accademicamente più titolata. Insomma la visione cattolica dei temi trattati, pur fortemente minoritaria, è stata posta con la nettezza della semplicità, cioè in modo vero.

D’altra parte non credo ci si possa aspettare molto da ex Eurodeputata che con il Suo degno collega Santoro ha orchestrato con l’aiuto di Catholics for a free choice, la bocciatura di Rocco Buttiglione come Commissario europeo, perché cattolico. Sia chiaro, nonostante tutte le altre artificiose argomentazioni, il motivo è questo: perché cattolico. Infatti meno di due mesi dopo, due Loro colleghi (Andrew Duff e Richard Corbett), in Commissione Affari Costituzionali hanno detto che occorreva rivedere le procedure di audizione dei Candidati Commissari, perché nel caso di Buttiglione si era commesso un grave errore giudicando un uomo per le sue idee e non in base ai suoi programmi; ed hanno concluso dicendo che ciò è contrario alla Carta dei diritti fondamentali. Anche alla Gruber e Santoro va riconosciuta la libertà di opinione, ma non quella di impedirla agli altri, come hanno fatto a Bruxelles, e non quella di ammantare di multiculturalità le loro performances televisive; ma questo ormai è risaputo.

Devo dire che ciò che mi ha più sorpreso è statala faziosità, la illiberalità, l’aggressività e la violenza di Margherita Hack. Ha dichiarato di apprezzare molto Obama che promette spazio per tutti, ma Lei in Italia vuole tappare la bocca alla Chiesa perché siamo uno Stato clericale. Anche se così fosse, non ha mai pensato che responsabilità non è della Chiesa che ha tutto il diritto (e il dovere) di parlare.

Credo di avere, come moltissimi, il sacrosanto diritto di dire che non ammetto che questa signora, per altri versi meritevole, si permetta di darmi del barbaro, dell’incivile e del cinico perché non ho la Sua opinione circa il caso di Eluana; argomento sul quale è lecito dissentire ma rispettando gli altri, le motivazioni degli altri, parlandone comunque con molto rispetto e partecipazione per il dramma umano, e non facendone una lotta ideologica.

È pur vero però che sono grato alla Professoressa Hack, la quale, non so perché, mi ha fatto ricordare uno scrittore che mi è caro, Giuseppe Marotta, celebre per i suoi racconti intessuti di umorismo e di fine osservazione, che ci ha lasciato nel 1963.

Imperversava in quegli anni Elsa Maxwell, una giornalista scandalistica americana - oggi si direbbe «gossip columnist» - che sparlava di tutto e di tutti. Dopo una delle sue ennesime gesta, Marotta scrisse che se uno è brutto a vent’anni, non è colpa sua; ma se lo è a settanta è tutta colpa sua. E concludeva dicendo che la Maxwell aveva questa bruttezza.


Il primato della realtà - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - venerdì 23 gennaio 2009
“A volte la vita - a volte / ci guardiamo in silenzio / io e la vita /a volte duole, duole / bianca, / lenta / sprofonda nella carne / come una bottiglia vuota sprofonda nello / stagno /che la sta riempiendo. / a volte, in silenzio, piange / e qualcosa di sacro luccica nel mondo, / in silenzio, riverbera nelle parole” . (Hugo Mujica). Viene da chiedersi perché si faccia così fatica a imparare dalla realtà. Quella vera, dura, che, come dice la poesia, sprofonda nella carne. Prevale l’ideologia, il preconcetto, un sistema di pensiero chiuso. I razionalisti non si accorgono che “ci sono più cose in cielo e in terra di quante non ne sogni la filosofia” (Amleto, Shakespeare). L’operazione ideologica compie un errore fondamentale: riduce la ragione - che è la capacità dell’uomo di aprirsi alla totalità del reale rispettandone tutti i fattori e ammettendo la categoria della possibilità - proprio perché la costringe dentro uno schema fissato a priori, con intenzione programmata. Se a questo si aggiunge un “ingannevole concetto di libertà, in cui il capriccio e gli impulsi soggettivi dell’individuo vengono esaltati al punto da lasciare ognuno rinchiuso nella prigione del proprio io”(Benedetto XVI - incontro mondiale delle famiglie, Città del Messico), il gioco è fatto. La realtà non conta più, resta l’apparenza delle cose. Però in questi tempi di realtà ne abbiamo vista tanta. Da quando la vicenda di Eluana ha riempito le pagine dei giornali, siamo venuti a conoscenza di tante situazioni di disabili gravi che hanno testimoniato il loro amore per la vita; o familiari di persone in stato vegetativo che, raccontando il loro dramma, affermano la dignità della vita umana nella misteriosa condizione di grave limitazione che, con dedizione, servono quotidianamente. Per contro, c’è chi grida, freddamente, il diritto di morire. Più che un diritto la morte è un ineluttabile destino, che ci accumuna e ci aspetta tutti. Nessuno si può negare il “diritto di morire”. Verrà il momento. Nella “Spe salvi” si legge che la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e con il sofferente. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana. (38) C’è un’esperienza bellissima nel milanese che coinvolge una trentina di donne, amiche di Enrica, in stato vegetativo da 17 anni, e parrocchiane che si sono resi disponibili a farle compagnia. Una di loro racconta come questo gesto l’abbia cambiata e obbligata a una serietà sul lavoro, nel rapporto con il marito, con i figli che, pur non andando a trovare Enrica, si organizzano per permettere a lei di andare. Un’altra dice: “a volte arrivo stanca, con mille pensieri. Poi entro, mi siedo e sto lì. In quelle ore capisco che la realtà è più grande di me”. Sì, la realtà come l’ha vissuta Cristo in rapporto continuo con il Padre, commosso per i gigli del campo, per la vedova di Naim cui restituì il figlio. Così noi, in rapporto con Lui, insieme ai testimoni di amore e di speranza che riconoscono nella realtà il volto buono del Mistero. “e qualcosa di sacro luccica nel mondo, / in silenzio, riverbera nelle parole”.

(Hugo Mujica, Poesie scelte, Raffaelli editore, 2008; rivista “Tracce”, 1 - 2009)


UN VENTENNE DI FRONTE ALLA MORTE E QUELLA COSA DELL’ALTRO MONDO CHE SONO…I CRISTIANI 23.01.2009 di Antonio Socci
“Le scrivo perché anche oggi entrando a scuola abbiamo respirato un’aria di morte”. Comincia così la lettera che mi ha scritto Marco, 19 anni, di Firenze. “Stanotte una ragazza che frequentava il terzo anno è morta dopo una notte di coma irreversibile. La sera prima stava andando in discoteca, era in macchina con altri ragazzi (…) la macchina si è schiantata contro un albero. La nostra scuola era già stata protagonista di grandi fatti di morte: tre anni fa, una ragazza che frequentava l’ultimo anno si è suicidata gettandosi da una finestra del terzo piano.Può immaginare il clima che abbiamo respirato nei giorni e mesi seguenti... Oggi abbiamo rivissuto quel momento: le facce meste dei professori, i visi persi nel vuoto degli alunni, l’assenza fisica o psicologica dei suoi amici più cari e dei parenti”. Marco è uno studente che frequenta l’ultimo anno di liceo. Fin qui la sua è solo una cronaca consueta, descrive ciò che accade quando la morte visita le nostre giornate e specialmente un luogo di giovinezza come una scuola. Capita che – dopo lo choc di qualche giorno – gli adulti si affrettino a richiudere quella finestra spalancata sull’immenso, sul mistero dell’esistenza, per fingere che la vita sia solo il consueto teatrino in cui ci trasciniamo tristemente a recitare una parte assegnata. Ma i giovani non distolgono facilmente lo sguardo dal Mistero.

Infatti è il seguito di questa lettera che più mi ha colpito e commosso. Marco è un avventuriero, assetato di verità e di una felicità che non svanisce in un istante, dunque continua: “Il Signore sta parlando alla mia generazione e lo sta facendo con forza. Ci sta parlando attraverso la sofferenza più estrema, attraverso la morte. Non molto tempo fa altri ragazzi sono morti o rimasti gravemente feriti a causa di incidenti stradali e la loro storia si è dovuta intrecciare obbligatoriamente con la nostra fede di Cristiani. Sto scoprendo sempre di più che questo mondo non può darci niente. Non può darci amicizie vere perché la parola d’ordine del mondo è ‘essere’ e se non sei nessuno o non appari, rimarrai sempre solo. Non può darti la felicità perché non dura più di 30 secondi. Non può darti la consolazione perché la sera quando arrivi a dormire ti ritrovi solo; solo coi tuoi problemi insormontabili, solo perché i tuoi genitori si stanno separando, solo perché nessuno ti ama. Non pensa anche lei che per noi Cristiani sia pronta una nuova missione, cioè quella di ricominciare una nuova evangelizzazione?”.

Mi ha colpito leggere queste parole nella lettera di un diciannovenne, di un ragazzo normalissimo, ma che non si fa addomesticare dall’industria del rincoglionimento. Evidentemente Marco ha visto e sperimentato qualcosa di così bello e così grande che non si dissolve davanti al soffio di sorella morte. Questa parola, “evangelizzazione”, indica infatti un volto e un nome, Gesù, che stupisce e commuove, che sui giovani specialmente esercita un fascino più potente perfino della desolazione della morte. E parla al loro cuore assetato di vita, di felicità, di amore.

Marco continua: “Tanti Santi hanno viaggiato in tutto il mondo per annunciare Cristo Risorto, ma forse per il nostro tempo è necessario partire, non dall’Africa o dall’Asia, ma da casa nostra, dalla nostra via, dalla nostra parrocchia. E’ necessario far conoscere alla mia generazione che c’è un Dio che li ama, che è arrivato a morire per ognuno di noi, ma che è Risorto e ha distrutto la Morte. Posso assicurarle che queste persone stanno aspettando solo noi. Per grazia divina, i miei genitori sono entrati a far parte del Cammino-Neocatecumenale più di trent’anni fa e questo ha permesso che crescessimo nella fede. Personalmente questo Cammino mi ha permesso di scoprire un Dio che mi ama non per i miei meriti, ma per come sono, soprattutto per i miei peccati, e che vuole solamente curarmi, vuole mostrarmi il suo amore. Nella nostra parrocchia ci siamo ritrovati davanti a tante morti umanamente assurde, ma paradossalmente le famiglie implicate in queste morti hanno risposto con l’Amore… ”.

E a questo punto Marco inizia un resoconto sconvolgente di vita quotidiana. In un mondo disperato, dove i media hanno attenzione solo alle misure delle ospiti del Grande Fratello esistono uomini e donne con una certezza e un amore più forti della morte.

“Più di otto anni fa il mio amico Niccolò è morto per un tumore al cervelletto. Ha potuto concludere solo le scuole elementari e non ha conosciuto l’età più bella della vita. Nonostante tutte queste assurdità, ciò che mi ha sempre colpito di lui era il sorriso che portava con sé arrivando al catechismo, anche dopo aver fatto la terapia. Dalla sua morte, il nostro gruppo di catechismo ha ricevuto la grazia di restare unito fino ad oggi ed è un vero miracolo, pensando a dove possono essere adesso tanti miei amici. Il suo funerale fu una festa indescrivibile; uno dei suoi fratellini era così eccitato che, quando abbiamo accompagnato il suo corpo al cimitero si è messo a gridare ingenuamente di volerlo raggiungere per poter giocare ancora con lui. Quel funerale colpì tutti i presenti, perché non si era detto Addio a nessuno, si era salutato un fratello che avremmo rivisto. Per la fede dei suoi genitori e per la bellezza e la gioia di quel funerale molte persone si sono interrogate profondamente e forse lo fanno ancora oggi. Quello che colpisce sempre le persone è che i funerali nella mia parrocchia sembrano matrimoni: i canti sono tutti gioiosi e la bara è posta sopra il fonte battesimale, che si trova a terra, perché simboleggia il passaggio dalle acque della morte alla vita nuova. Più recentemente, un ragazzo, Jonatan, è morto cadendo di motorino; una cosa che non posso dimenticare è il volto di sua madre che ci invitava a stare allegri, perché Jonatan era andato in Paradiso. Sul sagrato, un suo amico mi disse che non era meravigliato della risposta di questa madre alla morte del figlio. Mi disse: ‘Loro sono religiosi’. Queste morti sono state per me una dura prova perché mi hanno diviso da tanti affetti, mi hanno messo davanti al fatto che non siamo eterni, che possiamo e dobbiamo morire. Ma ho scoperto che questa morte è stata vinta da Cristo. Egli ha vinto le mie morti. Io sono certo di questo, ma vorrei che questa buona notizia arrivasse a tutti i miei amici, a tutti i miei coetanei che forse non sanno dare un senso alla loro vita; io però sono uno solo e non posso raggiungerli tutti. Chiedo quindi aiuto alla Madre Chiesa, in cui confido perché ho sperimentato che è davvero madre, che mi dona il perdono e che davvero da essa passa la mia salvezza”.

Marco mi scrive il suo accorato appello alle parrocchie della sua città (come rispondono sacerdoti e vescovi?), le invita ad aprirsi ai movimenti “perché so che è difficile vivere da Cristiani senza una piccola comunità che ti aiuta, che ti ascolta, che ti corregge, in cui sperimenti il perdono, in cui c’è Cristo… Esorto tutte le parrocchie fiorentine ad aprire le porte a Cristo in queste nuove forme, perché i giovani sono per strada a drogarsi, a bere, senza genitori, senza Amore. La loro vita non ha un senso e noi che siamo il sale del mondo abbiamo il dovere di annunciare loro che Cristo li ama e che possono cominciare a sorridere, possono smettere di fingere, possono piangere senza paura di essere giudicati ‘deboli’, possono scoprire amicizie vere fondate sull’Amore di Cristo. Questi ragazzi hanno il diritto di sapere che rivedranno i loro amici in Paradiso e che non c’è morte che possa dividerci, c’è solo Cristo che ci unisce all’altro”.

Non è una cosa dell’altro mondo? Don Giussani diceva che il cristianesimo “è letteralmente una cosa dell’altro mondo in questo mondo”. In effetti il Paradiso inizia già qui, come il sorriso che si apre nelle lacrime e alla fine prende il sopravvento. Come il sole quando spalanca le nuvole e illumina le ultime gocce di pioggia portando finalmente l’azzurro.
Antonio Socci
Da “Libero” 21 gennaio 2009


Duecentocinquanta anni fa nasceva il poeta scozzese Robert Burns - Il bardo assetato di bellezza
di Paolo Gulisano – L’Osservatore Romano, 24 Gennaio 2009

Duecentocinquanta anni fa, il 25 gennaio 1759, nasceva nell'antica terra di Scozia Robert Burns, una delle più grandi voci poetiche dell'Europa degli ultimi secoli. Primo di sette figli di una famiglia contadina, nonostante l'indigenza il padre fece di tutto per fornirgli un'educazione. Ben presto manifestò un talento naturale per la poesia, rivelando fin dai primi versi composti un grande senso del ritmo nella scrittura. A seguito alla morte del padre, Robert dovette occuparsi della fattoria assieme ai fratelli, ma la vita rurale regolata dalle severe leggi della religione calvinista - era nato in una pia famiglia presbiteriana - non faceva per lui. Il suo spirito ribelle lo allontanò dalle severe pratiche puritane. Si proclamò libero pensatore, e per far rabbia agli inglesi e ai conservatori si vantava, dopo la Bastiglia, di essere giacobino. Divenne il poeta dell'anticonformismo, il dissacratore del puritanesimo ipocrita, lo sbeffeggiatore delle convenzioni borghesi, amante dell'alcool, delle donne e delle feste. Pronto per fuggire nelle Indie Orientali, a salvarlo dall'immigrazione nelle americhe fu la pubblicazione nell'aprile del 1786 di Poems. Chiefly in the Scottish Dialect, raccolta di poesie a tema satirico e amoroso, che ebbero un notevole successo nella sua regione e gli valsero l'attenzione di diversi ricchi nobili della zona, che divennero suoi mecenati. Tra questi c'era anche la facoltosa Miss Dunlop, discendente di William Wallace, il più grande eroe della storia scozzese, il Cuore impavido cui Burns avrebbe dedicato una delle sue più commoventi liriche. Grazie a questo suo successo nelle lettere e a questi atti di mecenatismo il poeta poté rimanere in Scozia.
La sua fama crebbe rapidamente: poco dopo la prima pubblicazione delle sue opere si trasferì a Edimburgo, dove entrò in contatto con i letterati dell'epoca. Il quindicenne Walter Scott, rimase ammirato dal suo genio. Sebbene si fosse dichiarato un libero pensatore e avesse abbandonato le pratiche della religione calvinista - preponderante in Scozia dopo che il cattolicesimo era stato messo fuori legge e duramente perseguitato - il suo spirito dissacratore risparmiò solo due cose: la Chiesa cattolica e le Highlands - le Terre Alte del nord del Paese - con la loro storia gloriosa e infelice. Non solo la Chiesa romana venne "risparmiata", ma Burns divenne anche amico di un vescovo cattolico, monsignor Geddes, che svolgeva la sua missione quasi nella clandestinità. Originario della contea di Banff e appartenente al clan Gordon, Geddes fu vescovo valente e carismatico la cui fede indomita era ben segnalata dal motto episcopale che si era scelto: Ambula coram Deo et esto perfectus. Quest'uomo che camminava al cospetto di Dio cercando la perfezione suscitò l'interesse e il rispetto di Burns, il quale si era a lungo divertito a dileggiare il "lugubre e triste presbiterianesimo", ma che avendo a che fare con l'esponente di una Chiesa messa al bando e tacciata di ogni accusa, gli si rivolgeva col titolo di "venerabile padre". Della Chiesa cattolica, e in particolare di Geddes di cui divenne amico, anche se le biografie "ufficiali" trascurano questo particolare, lo colpiva la capacità di essere accanto alla gente, di giudicare senza condannare, di vivere la carità nella verità, e di non piegarsi alla volontà dei più forti.
In secondo luogo Burns amò sempre le Highlands, anche se egli era uno scozzese del sud e aveva solo sentito raccontare le gesta degli eroi con la coccarda bianca, il simbolo dei sostenitori della dinastia cattolica degli Stuart, i cui ultimi esponenti sono sepolti nelle Grotte vaticane, accanto alle tombe dei Papi. Il poeta subì senz'altro il fascino di quelle terre, e ancor più della loro gente, che si era battuta per l'indipendenza della Scozia e per difendere la fede dei padri. Alle Highlands, al tramonto della loro civiltà, dedicò una poesia della quale riportiamo i versi più significativi: My heart's in the Highlands, my heart is not here; / My heart's in the Highlands, a-chasing the deer; / A-chasing the wild deer, and following the roe / My heart's in the Highlands, wherever I go. Farewell to the Highlands, farewell to the North / The birthplace of valour, the Country of worth / Wherever I wander, wherever I rove, / The hills of the Highlands forever I love ("Il mio cuore è nelle Highlands, il mio cuore non è qui: il mio cuore è nelle Highlands a caccia del cervo; cacciando il cervo e inseguendo il daino il mio cuore è nelle Highlands, ovunque io vada. Addio alle Highlands, addio al Nord, la culla del valore, il Paese dell'onore. Dovunque io vaghi e vada errando, per sempre"). Gli effetti di una malattia cardiaca lo condussero alla morte a soli trentasette anni, lo stesso giorno in cui la moglie diede alla luce il suo ultimo figlio, Maxwell. Oltre diecimila persone parteciparono al funerale del più grande bardo della Scozia moderna.
(©L'Osservatore Romano - 24 gennaio 2009)


Don Carlo Gnocchi cappellano degli alpini - Una vita per rispondere a una domanda immensa come la Russia - È in libreria il libro di Carlo Gnocchi Cristo con gli alpini (Milano, Mursia, 2008, pagine 125, euro 14). Pubblichiamo la prefazione. - di Armando Torno – L’osservatore Romano, 24 gennaio 2009
La Russia è immensa. Immensa significa, solo in questo caso, che non accetta il nostro sguardo e la conoscenza che esso reca. La Russia si può guardare, ma non capire: non ha confini, non ha dimensioni a misura d'uomo, non conosce i limiti. Si direbbe che la natura abbia voluto questa terra per mettere alla prova i santi che cercavano di percorrerla o, più semplicemente, per mostrare ai sensi un frammento di eternità. La Russia è madre perché in essa ti perdi nell'abbraccio degli elementi. Ed è incomprensibile perché è impossibile misurarla, catalogarla, ridurla in un catasto. Gli eserciti non riescono a vincere la Russia. Entrano trionfanti, possono anche illudersi come Napoleone di averla conquistata, ma poi si arrendono. I nostri alpini se ne accorsero durante la seconda guerra mondiale: erano gli elementi e lo spazio l'armata imbattibile che li stava ostacolando. Uno di essi, un cappellano dal cuore immen- so ha scritto: "Chi non è mai stato in Russia, come chi non è mai stato in alto mare, non sa cosa significhi la rotondità della Terra e la pienezza completa di un emisfero celeste". Si chiamava don Carlo Gnocchi. La frase è in questo libro che viene riproposto. Cristo con gli alpini non è un'opera qualunque. Non è, insomma, un diario, un resoconto, una cronaca, una confessione, ma è un atto di fede gettato nella follia della guerra, un gesto di speranza dedicato a coloro che ormai non ripetevano più questa parola, uno slancio d'amore che replica ai colpi della violenza. Per questo don Carlo porta Cristo al fronte, o meglio lo conduce nella disperazione degli accerchiamenti dove si consumavano le ultime forze. Prosa semplice, piccoli esempi e un cuore immenso fanno di questo libro un documento prezioso. Le pagine dedicate a Giorgio, il bambino che ha perso tutto e poi muore, sono più eloquenti di tutte le analisi degli storici. Leggendole si capisce perché "tocca alla morte rivelare profonde e arcane somiglianze"; perché nei loro corpicini senza vita era racchiusa la vera condanna della guerra, il prezzo "per le colpe di tutti". Con un incedere commovente, don Carlo Gnocchi vedendo il piccolo corpo di Giorgio lascia sulle pagine queste frasi piene di verità che mancano ai trattati: "Quante volte l'avevo già incontrato nella mia vita di guerra! Nella ferale teoria dei fanciulli in attesa degli avanzi del rancio o randagi a cercarlo fra le immondizie; nei bambini febbricitanti e morenti sui miserabili giacigli delle isbe russe o dei tuguri albanesi; nei cadaveri stecchiti dei bimbi morti di fame o di pestilenza, sulle strade della Russia, della Croazia o della Grecia". Giorgio era diventato uguale a tutte quelle vittime innocenti travolte dalla guerra, che continuarono la loro agonia quando le armi tacquero e gli eserciti si allontanarono.
Lo sguardo di don Carlo è dedicato ai suoi alpini, alla popolazione incontrata, ma si carica di commozione con questi bambini. I soldati cercano di rompere l'accerchiamento, le loro canzoni alleviano le immense solitudini della disperazione, ma i bambini mutilati non gli concedono pace. Il suo spirito e il suo cuore ritornano in quella infelicità concreta dei loro corpicini mutilati. Mezzo secolo prima, nella medesima terra che a un certo punto don Carlo chiama per disperazione "lurida", uno scrittore tra i più grandi, Fëdor Dostoevskij, chiese direttamente a Dio: "Signore, perché i bambini muoiono?". Non ebbe risposta. Rifece la domanda, più volte. Don Carlo ritraduce il quesito con il piccolo Bruno. Si chiede, gli chiede: "Ora, piccolo Bruno, come farai?". E due righe più avanti: "Come potrai fare senza manine?".
Il libro si chiude con questa domanda che, anche in tal caso, non è seguita da una risposta. Tuttavia noi la conosciamo: è il resto della vita di don Carlo a fornircela. Insomma, tornato dalla Russia, accomiatatosi dai suoi alpini, diede vita a quell'opera che continua ancora oggi sorretta dal miracolo del suo amore. Dedicò se stesso ai mutilatini e ai piccoli invalidi di guerra, fondando per essi una vastissima rete di collegi. All'infanzia derelitta e minorata rispose agendo, facendo, cercando di alleviarne i problemi. Per molti aspetti la sua vita spiega quelle domande che si pose al tempo di guerra. Come dire: partì con gli alpini, riuscì a fare il sacerdote in Russia, conobbe gli orrori dei massacri, si pose domande alle quali non c'erano risposte e poi mise tutto nelle mani di Cristo.
Noi crediamo che le soluzioni ai grandi quesiti debbano osservare le leggi della logica. Ma questo vale nei manuali o per gli esercizi; in realtà le risposte non seguono - quando riguardano le massime questioni - nessuna regola. Nelle scienze, di solito, occorrono delle scoperte per soddisfarle; nella sofferenza e nel dolore esse sono, quasi sempre, recate dalla fede. Don Carlo portò Cristo con gli alpini e tornò aiutando i bambini colpiti. Dostoevskij si era chiesto perché coloro che non hanno peccati debbano sentire il dolore e il male, e un cappellano militare mezzo secolo e qualche anno dopo rispose costruendo qualcosa per aiutare chi soffriva. C'è da smarrirsi, ma non esiste un'altra spiegazione possibile.
Riproporre Cristo con gli alpini significa conoscere un po' di più la guerra e la Russia; soprattutto queste pagine spiegano l'inizio di un miracolo. Ha scritto don Carlo, tra l'altro: "Ogni opera dell'uomo naufraga silenziosamente in questa uguaglianza monotona e sterminata". Di chi stava parlando? Certo, della Russia, ma forse anche di lui stesso. Nella ritirata, dove i soldati erano "mucchi di stracci che si trascinavano", "larve inebetite dal freddo e dalla fame", quegli spazi infiniti hanno acceso in un cappellano un'idea d'amore. Non è il caso di spiegare ulteriormente perché, come sempre, essa si vede ma non si dimostra, si tocca ma non si afferra.
(©L'Osservatore Romano - 24 gennaio 2009)


IMPRESSIONANTE SCHIERAMENTO: R AME, S AVIANO, S OFRI... - «Non riesco a capirli più Un livore li acceca» - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 24 gennaio 2009
Eccoli schierati, tutti arruolati, pronti al comando, da Franca Rame a Roberto Saviano, da Adriano Sofri a Corrado Augias, su
Repubblica
e l’Unità, e via via tanti giornalisti, mezzi scrittori, attori, opinionisti. Truppe (o truppette) di intellettuali prontissimi a intrupparsi. La chiamata alle armi, finalmente, avran pensato, nel leggero torpore determinato dal successo. L’ha squillata la comandante Bresso, che ha usato la parolina magica: fermate gli ayatollah. Finalmente qualcuno che soffia nel piffero, avran gongolato. E allora fiato alle trombe e anche alle trombette e tutti dietro al flauto del politico di turno.
Perché finalmente si potesse subissare di violenza ideologica e verbale un uomo, il cardinal Poletto, che chiunque farebbe fatica a immaginare nei panni persino del più scalcagnato degli ayatollah. Il fatto è, diciamolo subito, che mentre migliaia di medici stanno esprimendo il loro dissenso a svolgere un’azione che riconoscono contraria all’etica e alle conoscenze scientifiche, ecco decine di intellettuali politicizzati, di giornalisti, di opinionisti aizzare la peggiore canaglia per chiedere la morte di una donna. Il che, ha ricordato laicamente e cristianamente il cardinale Poletto, è contro le legge di Dio e contro la Costituzione. Di fronte a tale schieramento di livore, è quasi inutile ricordare gli argomenti che Sofri, Saviano e Co. fingono di non intendere. Qui non c’è in gioco il diritto del signor Englaro, il quale ha deciso di combattere con ogni mezzo per staccare il sondino che nutre la figlia. C’è in gioco la dignità di una vita che non è a disposizione di nessuno, che non è sotto accanimento terapeutico, che non è in fase terminale, che non sappiamo cosa viva fino in fondo e che la scienza non dichiara morta. Fingono di non sapere quali sono i termini della questione, questi intellettuali accesi da grottesco livore. E pensano che l’arcivescovo di Torino sia una specie di creatura sbucata dai meandri di un medioevo da cinema scadente. E pensano pure, ed è il loro solito errore e occorre che qualcuno li avvisi, che gli italiani siano scemi, che non sappiano che nessuno, nemmeno un padre, ha diritto a decidere di staccare l’alimentazione a una persona, pur se essa si trova al livello misterioso di vita. Altro che 'rivoluzione di un padre', caro Saviano, abbia il coraggio che dicono non le difetti per dedicare il pezzo alla 'morte procurata di una figlia'. Sarà meno sentimentale, meno epico, meno applaudito nei salotti, però più duro e vero.
Forse è successo quel che mi diceva un amico, non cattolico e da sempre vicino alle posizioni culturali di costoro: non li capisco più, hanno un livore che li acceca.
Forse mirando la Chiesa come nemico riempiranno il vuoto ideologico di cui sono vittime dalla caduta dei miti politici e di lotta? O forse sono cresciuti troppo in autostima, e pensano che gli italiani debbano ascoltare solo loro? Forse vorrebbero essere loro i cardinali, i sacerdoti (gli ayatollah?) di questa società in cui non mancano riti, strumenti e 'chiese' che li venerano e onorano. E così come hanno in fastidio la nuda, indifesa vita di Eluana – in nome di astratti principi a cui danno nomi patetici di autodeterminazione (c’è un foglio scritto da lei?) – hanno in fastidio chi non si allinea al loro strepitante coretto. E come hanno in fastidio l’alterità, la presenza inquietante e poverissima di Eluana, hanno in fastidio chi si azzarda a ricordare che esistono la Costituzione e leggi più profonde e giuste di quelle del codice – come sapevano intellettuali degni di questo nome in ogni era umana. Come hanno in fastidio Eluana, hanno in fastidio chi ricorda che Dio c’entra con la vita.
Gli italiani sanno distinguere. Capiscono che c’è qualcosa che non torna in questa faccenda dipinta con melassa e violenza da una parte di intellettuali sempre politicizzati, mentre medici e giuristi di varia cultura e indipendentemente dalla fede, sono ben più prudenti o d’altro avviso. E questo è lo scorno che forse li fa arrabbiare. Se ne vede il segno in quella domanda sospesa, come un moncherino, alla fine della ennesima tirata di Sofri. Quando, senza accorgersene, ripete la domanda che forse angustia le loro menti e che è necessario affrontare tutti, per conoscere veramente la vita senza rifugiarsi dietro l’occhiale d’ordinanza d’intellettuale schierato. La mano alzata contro il cardinale Poletto è in realtà un moncone che pieno d’ira chiede: 'ma io di chi sono?'