domenica 11 gennaio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 11/01/2009 10:49 – VATICANO - Il Papa amministra il battesimo a 13 bambini - La cappella Sistina come una piccola parrocchia: una tradizione iniziata con Giovanni Paolo II. Benedetto XVI sottolinea che i genitori sono educatori e non “padroni" dei loro figli. Dare il battesimo ai bambini non è far loro “violenza”. La festa del Battesimo di Gesù “ci introduce alla quotidianità di un rapporto personale con Lui”.
2) 10/01/2009 13:10 - ISRAELE – PALESTINA – ONU - L’Onu riprende la distribuzione di aiuti a Gaza. Comincia la terza settimana di guerra - La situazione umanitaria nella striscia si fa sempre più “preoccupante”: l’80% della popolazione palestinese versa in condizioni critiche, mentre il bilancio delle vittime è di 800 morti. Israele e Hamas respingono la risoluzione Onu che chiede un cessate il fuoco e continuano a combattere.
3) La libertà d’informazione in Italia - Autore: Salina, Giorgio - domenica 11 gennaio 2009 Ripetute denunce della sinistra per flagranti violazioni - Il monopolio del Presidente del Consiglio viola il diritto all’informazione
4) Delegazione di Hamas al Cairo per discutere la proposta di Sarkozy e Mubarak - L'Egitto cerca un'intesa tra israeliani e palestinesi – L’Osservatore Romano , 11 gennaio 2009
5) LA GUERRA NELL’ETÀ DEI MEDIA - QUELLO SPORCARSI LE MANI DAVANTI ALLA TV - PIO CEROCCHI – Avvenire, 11 gennaio 2009
6) SOCIAL CARD E BONUS: UN SEMI- FLOP - Perché non riusciamo a far bene il bene? - FRANCESCO RICCARDI – Avvenire, 11 gennaio 2009
7) «Tel Aviv il loro bersaglio Era necessario fermarli» - l’intervista: I razzi di Hamas e quelli di Hezbollah, sostiene lo studioso di strategie militari Ely Karmon, tengono potenzialmente sotto tiro tutto il territorio dello Stato ebraico «Non c’era più tempo: i leader radicali continueranno a gridare vittoria nascosti nei tunnel Ma da una sconfitta sul campo potrebbero non riaversi più» - Avvenire, 11 gennaio 2009
8) Eluana, «l’eutanasia? - Va contro la medicina» - Israël: la gente avrebbe paura dell’ospedale – Avvenire, 11 gennaio 2009


11/01/2009 10:49 – VATICANO - Il Papa amministra il battesimo a 13 bambini - La cappella Sistina come una piccola parrocchia: una tradizione iniziata con Giovanni Paolo II. Benedetto XVI sottolinea che i genitori sono educatori e non “padroni" dei loro figli. Dare il battesimo ai bambini non è far loro “violenza”. La festa del Battesimo di Gesù “ci introduce alla quotidianità di un rapporto personale con Lui”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Benedetto XVI ha amministrato oggi il battesimo a 13 piccoli nella cornice maestosa e insieme familiare della cappella Sistina. Sotto le grandi volte dipinte da Michelangelo si sono dati appuntamento mamme e papà, neonati che piagnucolano o che sorridono beati, nonni e parenti, trasformando l’ambiente solenne della cappella in un ambiente quotidiano come una piccola parrocchia.
La tradizione di celebrare il battesimo ai bambini nel giorno della festa del Battesimo di Gesù è iniziata con Giovanni Paolo II e continua con il presente pontefice.
Nella sua omelia, Benedetto XVI ha anzitutto spiegato il valore della festa liturgica di oggi, che conclude il periodo natalizio. Tutto il tempo di Natale egli ha detto, celebra la venuta di Dio come uomo fra di noi; “abbassandosi fino all'impotenza inerme dell'amore, Egli dimostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa voglia dire essere Dio”. “La festa del battesimo di Gesù – ha aggiunto il papa - ci introduce… alla quotidianità di un rapporto personale con Lui. Infatti, mediante l’immersione nelle acque del Giordano, Gesù si è unito a noi. Il Battesimo è per così dire il ponte che Egli ha costruito tra sé e noi, la strada per la quale si rende a noi accessibile; è l'arcobaleno divino sulla nostra vita, la promessa del grande sì di Dio, la porta della speranza e, nello stesso tempo, il segno che ci indica il cammino da percorrere in modo attivo e gioioso per incontrarlo e sentirci da Lui amati”.
Proprio grazie al battesimo di Gesù, si battezzano i bambini: “il cielo – ha spiegato - è realmente aperto e continua ad aprirsi, e possiamo affidare ogni nuova vita che sboccia alle mani di Colui che è più potente dei poteri oscuri del male”.
Il pontefice ha poi messo in luce le responsabilità dei genitori: “Il bambino – ha spiegato il papa - non è proprietà dei genitori, ma è affidato dal Creatore alla loro responsabilità, liberamente e in modo sempre nuovo, affinché essi lo aiutino ad essere un libero figlio di Dio. Solo se i genitori maturano tale consapevolezza riescono a trovare il giusto equilibrio tra la pretesa di poter disporre dei propri figli come se fossero un privato possesso plasmandoli in base alle proprie idee e desideri, e l’atteggiamento libertario che si esprime nel lasciarli crescere in piena autonomia soddisfacendo ogni loro desiderio e aspirazione, ritenendo ciò un modo giusto di coltivare la loro personalità”.
Battezzando dei bambini, ancora incoscienti, “non si fa loro violenza, ma si dona loro la ricchezza della vita divina in cui si radica la vera libertà che è propria dei figli di Dio; una libertà che dovrà essere educata e formata con il maturare degli anni, perché diventi capace di responsabili scelte personali”.
Il battesimo, ha ricordato Benedetto XVI, introduce a una famiglia “più grande e stabile, più aperta e numerosa” di quella di sangue, e cioè “la famiglia dei credenti”, la Chiesa, “una famiglia che ha Dio per Padre e nella quale tutti si riconoscono fratelli in Gesù Cristo”.
Ritornando poi ancora alla festa di oggi, il papa ha concluso: “Con il Battesimo non ci immergiamo... semplicemente nelle acque del Giordano per proclamare il nostro impegno di conversione, ma si effonde su di noi il sangue redentore del Cristo che ci purifica e ci salva. E’ l’amato Figlio del Padre, nel quale Egli ha posto il suo compiacimento, che ci riacquista la dignità e la gioia di chiamarci ed essere realmente ‘figli’ di Dio”.


10/01/2009 13:10 - ISRAELE – PALESTINA – ONU - L’Onu riprende la distribuzione di aiuti a Gaza. Comincia la terza settimana di guerra - La situazione umanitaria nella striscia si fa sempre più “preoccupante”: l’80% della popolazione palestinese versa in condizioni critiche, mentre il bilancio delle vittime è di 800 morti. Israele e Hamas respingono la risoluzione Onu che chiede un cessate il fuoco e continuano a combattere.
Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) – Le Nazioni Unite annunciano la ripresa della distribuzione di aiuti umanitari per i palestinesi di Gaza, mentre Israele e Hamas respingono la richiesta di un cessate il fuoco votata ieri al Consiglio di sicurezza dell’Onu e nella striscia continuano a soffiare venti di guerra.
Non si vedono spiragli positivi nella crisi in Terrasanta, dove continuano i raid dell’esercito israeliano contro le postazioni di Hamas, che risponde lanciando missili verso le città israeliane dislocate lungo il confine. Dal fronte umanitario arriva la notizia di una ripresa della distribuzione degli aiuti, dopo le rassicurazioni fornite da Tel Aviv circa l’incolumità degli operatori internazionali impegnati nella consegna di generi di prima necessità alla popolazione palestinese.
Ieri sera un comunicato congiunto dell’agenzia Onu per i rifugiati (Unrwa) e del Coordinatore speciale Onu per il processo di pace in Medio Oriente anticipava la ripresa degli interventi umanitari a Gaza dopo aver ricevuto “assicurazioni affidabili che la sicurezza del personale delle Nazioni Unite, le sue installazioni e le sue operazioni umanitarie saranno pienamente rispettate”. Gli interventi, la cui ripresa è prevista “nel più breve tempo possibile”, erano stati sospesi l’8 gennaio scorso per l’attacco ad un mezzo delle Nazioni Unite da parte dell’esercito israeliano, in seguito al quale è deceduto un autista palestinese. Ieri anche il Comitato internazionale della Croce rossa aveva limitato le attività a Gaza, dopo che uno dei convogli era stato colpito dall'artiglieria israeliana. Tel Aviv si è detta “profondamente dispiaciuta” per gli incidenti, i quali "non riflettono" la politica promossa da governo.
Nel frattempo la crisi umanitaria nella striscia di Gaza si fa sempre più grave: circa l’80% del milione e mezzo di palestinesi necessitano di assistenza e la situazione è “estremamente preoccupante”. Secondo gli ultimi dati, i morti sul fronte palestinese sarebbero 792, oltre 3200 i feriti. Sul versante israeliano si contano 13 vittime.
La guerra in Terrsanta è giunta ormai al 15mo giorno: questa mattina si sono registrati nuovi attacchi da parte dell’aviazione e dei reparti di terra dell’esercito di Israele, ai quali i militanti di Hamas hanno risposto con il lancio di razzi. A Jabalya, campo profughi a nord della striscia, un carro armato israeliano ha aperto il fuoco uccidendo otto palestinesi, tutti appartenenti alla stessa famiglia.
Sul fronte della diplomazia il presidente palestinese Abu Mazen, in visita al Cairo, ha lanciato un appello ai due schieramenti per un cessate il fuoco immediato. Ma sia Israele che Hamas sembrano prediligere la logica di guerra: essi hanno respinto la risoluzione 1860 approvata ieri dal Consiglio di sicurezza dell’Onu che chiedeva una fine delle ostilità “immediata e duratura”. Il premier israeliano Ehud Olnert l’ha rifiutata definendola “impraticabile”, mentre Hamas accusa le Nazioni Unite perchè “non sono stati consultati”.


La libertà d’informazione in Italia - Autore: Salina, Giorgio -
domenica 11 gennaio 2009 Ripetute denunce della sinistra per flagranti violazioni - Il monopolio del Presidente del Consiglio viola il diritto all’informazione



Già in altre occasioni avevo riferito dell’accanimento con cui la Sinistra italiana, nel suo ruolo di opposizione, non esitava a denigrare ed attaccare il nostro Paese nelle Sedi comunitarie con un’insistenza e durezza, mai riscontrata da parte delle opposizioni di altri Stati, mentre alcuni Leaders in Italia, in TV lamentavano come “questo Governo ha purtroppo screditato il nostro Paese sul piano internazionale”.

Anche da questo sito ho più volte riferito della gravi accuse rivolte al nostro Paese dalla Sinistra Italiana, che ha organizzato numerosi viaggi di suoi Esponenti a Bruxelles per chiedere di porre l’Italia in stati d’accusa perché il monopolio del Presidente del Consiglio, che controlla la RAI, e che è anche proprietario di Mediaset violava gravemente il diritto all’informazione, situazione che dalle reti televisive si estendeva anche alla stampa. Ricordo che la sinistra arrivò ad organizzare un’audizione in una Commissione parlamentare del dott. Serventi Longhi, segretario generale della FNSI, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, dal 1996 al 2007; Nello stesso periodo intervenne anche il professor Manzella, docente di diritto Costituzionale alla Luiss di Roma e Senatore DS. Anche la destra ha contestato la Sinistra, quando questa era al Governo, ma mai in questo modo, obiettivamente.

In questi giorni è in discussione al Parlamento europeo, a Strasburgo una risoluzione sulla situazione dei diritti umani in Europa di cui riporto qui di seguito la descrizione del punto all’Ordine del giorno.

Relazione Giusto Catania (A6-0479/2008) - Situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea (2004-2008) sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea (2004-2008) [2007/2145(INI)]
Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni
La discussione si è svolta il 17 dicembre 2008

Come si vede il Relatore è l’Onorevole Giusto Catania del Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, eletto in Italia nelle file del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea. Nella Sua proposta di Risoluzione il Relatore all’articolo 110 scrive (nei testi legislativi il soggetto è sempre il Parlamento europeo):

si compiace della situazione globalmente soddisfacente in termini di libertà di stampa esistente negli Stati membri, dal momento che tutti e 27 gli Stati membri figurano tra i primi 56 paesi della "Classifica mondiale della libertà di stampa 2007" di Reporter senza frontiere;

No comment! Cos’altro dire?


Delegazione di Hamas al Cairo per discutere la proposta di Sarkozy e Mubarak - L'Egitto cerca un'intesa tra israeliani e palestinesi – L’Osservatore Romano , 11 gennaio 2009
Tel Aviv, 10. La diplomazia egiziana cerca un'intesa per raggiungere una tregua duratura a Gaza. È giunta ieri sera al Cairo una delegazione di Hamas per tornare a discutere con le autorità egiziane della proposta di pace formulata dal capo di Stato francese, Nicolas Sarkozy, e dal presidente egiziano, Hosni Mubarak, che prevede un cessate il fuoco immediato e una serie di garanzie per la sicurezza e l'assistenza umanitaria. Sempre ieri anche il presidente dell'Autorità palestinese, Abu Mazen, di ritorno da Madrid dove ha incontrato il capo del Governo spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, è giunto nella capitale egiziana per incontrare il presidente Mubarak.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha espresso ieri la sua delusione al premier israeliano, Ehud Olmert, per il mancato rispetto della risoluzione approvata giovedì dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, che chiedeva un immediato cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Anche Hamas ha rifiutato la proposta del Palazzo di Vetro, definendola "ingiusta". Alcuni esponenti del movimento islamico hanno criticato il documento dicendo di non essere stati consultati prima, mentre altri hanno detto che la risoluzione sarebbe ancora allo studio. Il portavoce Onu, Michelle Montas, ha reso noto che "Ban Ki-moon è ovviamente preoccupato e ha ribadito la richiesta di porre immediatamente fine alle violenze con un cessate il fuoco completo e duraturo che porti al completo ritiro delle truppe israeliane da Gaza e la fine del lancio di razzi contro Israele".
Il ministro dell'interno dello Stato ebraico, Meir Sheetrit, ha rivolto parole critiche alla rappresentanza statunitense al Consiglio di sicurezza dell'Onu per non avere posto il veto sulla risoluzione ed essersi astenuta. "Gli statunitensi avevano promesso che avrebbero posto il veto, ma sfortunatamente non sono stati di parola, credo a causa delle pressioni dei Paesi arabi", ha detto il ministro israeliano Sheetrit.
Dal canto suo, la Casa Bianca si è detta "molto preoccupata" per la situazione umanitaria e per le vittime civili dell'offensiva. In un incontro con i giornalisti Scott Stanzel, il portavoce del presidente George W. Bush, ha tuttavia ribadito che questa situazione non migliorerà fino a quando Hamas non smetterà di lanciare razzi. "Noi siamo molto preoccupati per la situazione umanitaria a Gaza - ha sottolineato Stanzel - e abbiamo espresso la nostra preoccupazione durante tutta questa crisi". Nel frattempo, il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, ha dichiarato di non avere intenzione di avviare contatti diplomatici con Hamas, definendo il movimento una "organizzazione terroristica".
Sul fronte arabo, la Giordania ha richiamato il suo ambasciatore in Israele, Ali Al Ayed. Un atto di protesta - come lo ha definito la stampa locale - contro l'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. Inizialmente il provvedimento era stato definito come una "questione interna". Una fonte diplomatica araba ha riferito che l'ambasciatore potrà tornare in Israele solo quando lo Stato ebraico e Hamas concluderanno un accordo di cessate il fuoco. La Giordania ha firmato un Trattato di pace con Israele nel 1994; è il secondo Stato arabo dopo l'Egitto a farlo. Nel corso delle manifestazioni di protesta degli ultimi giorni nei Paesi arabi, i dimostranti hanno ripetutamente chiesto ad Amman e al Cairo di richiamare i rispettivi ambasciatori in Israele e di espellere i rappresentanti israeliani. Un altro Paese arabo, la Mauritania - uno dei pochi ad avere rapporti diplomatici con lo Stato ebraico - ha annunciato lunedì scorso la decisione di richiamare il proprio ambasciatore in Israele.
Intanto, il vice presidente iraniano, Hossein Dahkane, è giunto ieri sera ad Algeri per una visita di tre giorni dedicata alla crisi in Medio Oriente. I palestinesi della Striscia di Gaza, ha detto Dahkane al suo arrivo all'aeroporto Houari Boumedien, "sono oggetto di una repressione senza precedenti e di un terrorismo di Stato praticato dal Governo israeliano". Un attacco, quello israeliano, "che mira all'annientamento puro e semplice del popolo palestinese, più che a una repressione di Hamas". Dahkane ha sottolineato che gli Stati arabo-musulmani devono "essere uniti per affrontare il terrorismo israeliano che non risparmia donne e bambini". il vice presidente Dahkane consegnerà un messaggio del Presidente della Repubblica islamica dell'Iran, Mahmoud Ahmadinejad, al capo di Stato algerino, Abdelaziz Bouteflika.
(©L'Osservatore Romano - 11 gennaio 2009)


LA GUERRA NELL’ETÀ DEI MEDIA - QUELLO SPORCARSI LE MANI DAVANTI ALLA TV - PIO CEROCCHI – Avvenire, 11 gennaio 2009
L o scandalo è la guerra. L’inde­cenza dell’uccisione degli in­nocenti e, comunque, la violazione inaccettabile di quel mistero che chiamiamo vita. Bella o brutta che sia; ben spesa oppure malvissuta, in ogni caso la vita è e resta intan­gibile e sacra (due termini etimo­logicamente identici). La moder­nità che pure ha contribuito ad al­lentare molti vincoli etici nelle re­lazioni umane, proponendoci la guerra sempre più da vicino, con­tribuisce a rendere più evidente la questione morale che sempre l’ac­compagna. Con la conseguenza di porre anche a noi che ne siamo lon­tani, l’urgenza di una scelta tra le parti: tra la verità e la menzogna, oppure e peggio, tra il coraggio e la viltà. Insomma la guerra impieto­samente esposta nei media (dai grandi network sino all’infinita tra­ma dei percorsi di comunicazione in rete), ci coinvolge e influisce sui comportamenti, culturali e politi­ci prima di tutto. E in questo scuotimento generale della coscienza collettiva, tornano a sovrapporsi drammatiche pola­rizzazioni prima quasi dimentica­te. In mezzo a tante, forse la più di­rimente è quella che intercorre tra la pietà e la ragione, e, dunque, tra il più umano dei sentimenti e il più alto attributo dell’uomo, l’intelli­genza. Due estremi tra i quali si di­stende un vasto territorio occupa­to da una infinità di elementi e di sensazioni, che riproduce nella co­scienza di ciascuno le difficoltà rea­li delle parti in conflitto nella ricer­ca di una composizione accettabi­le e dignitosa per tutti i conten­denti. Ed è proprio questa traspo­sizione a trasformare l’inerzia na­turale dell’opinione pubblica in u­na partecipazione che da lontano si coinvolge negli eventi della guer­ra e del dolore che da essa proma­na. E da lontano l’unica partecipa­zione possibile è la manifestazione delle diverse solidarietà e, dunque, il trasferimento del conflitto com­battuto con le armi, nel cuore stes­so dell’opinione pubblica che così trova un ulteriore elemento di di­visione, tra i tanti che già la fram­mentano, rendendola sempre più indecifrabile.
L’impatto della guerra sull’opinio­ne pubblica, però, non è una va­riabile indifferente. La storia re­cente, compresa quella di Israele, ha mostrato che una vittoria mili­tare da sola potrebbe non bastare, se essa non fosse accompagnata da un consenso che ne giustifichi i costi umani e materiali, e che an­nulli gli effetti emotivi delle stru­mentalizzazioni di chi sfrutta le sofferenze degli altri per riconqui­stare spazi politici e posizioni di privilegio perdute. Tutto ciò rende la guerra ancora più crudele, ma non fa più innocente chi da lonta­no la strumentalizza. E sempre a senso unico. È strano, ma tra i mu­tamenti culturali della modernità, vi è anche la possibilità di spor­carsi le mani di sangue innocente restando al sicuro da qualsiasi ri­schio ravvicinato. In questi giorni in cui le notizie spezzandoci il cuore, ci dovrebbe­ro invitare a qualche più profonda riflessione sulla vita e sui destini del mondo, sento invece ritornare l’e­co di voci e di slogan di odio che brandendo un dolore che non gli appartiene, approfittano della guerra per ricavarsi uno spazio che per altre ragioni essi avevano per­duto. Quelle grida certamente fan­no pensare, anche perché hanno per bandiera le stesse immagini del dolore innocente che erodono l’a­nima. Ma non mi persuadono per­ché usano la guerra, e così non aiu­tano la pace.


SOCIAL CARD E BONUS: UN SEMI- FLOP - Perché non riusciamo a far bene il bene? - FRANCESCO RICCARDI – Avvenire, 11 gennaio 2009
Per certi versi sembra un deja-vù. Come il «Contributo per gli incapienti» di prodiana memoria, infatti, anche il «Bonus famiglie» che domani va al voto alla Camera rischia di rivelarsi l’ennesima una tantum non centrata sulle necessità dei nuclei familiari. E, assieme alla «Social card» che faticosamente sta arrivando nelle tasche dei più deboli, rivela molte delle contraddizioni nelle quali si dibatte la nostra politica, anche al di là del colore della maggioranza pro-tempore.
Non siamo tra chi disdegna 40 euro di aiuto mensile per coloro che hanno redditi bassissimi, come previsto dalla «Carta acquisti» (per chiamarla all’italiana). E se questo è l’avvio di un nuovo strumento di contrasto alla povertà, capace di mobilitare oltre che risorse pubbliche anche fondi privati grazie a donazioni e sconti aggiuntivi sui prezzi, l’idea ci pare da apprezzare. Ma proprio per rispetto dei più deboli, sarebbe necessario che il rilascio non fosse un percorso a ostacoli defatigante, impossibile per molti anziani, che venisse condotta un’ampia informazione per diffonderne l’utilizzo. E, ovviamente, sarebbe necessario che funzionasse subito. Per evitare quel che è capitato a una pensionata, arrivata alla cassa del supermercato col carrello pieno per metà di prodotti e per metà di speranze, e che ha dovuto lasciar giù e gli uni e le altre, giacché la tessera non era stata caricata coi fondi promessi. Il fatto che finora siano state attivate solo 350mila carte rispetto all’1,3 milioni preventivati rivela un’alternativa: o è troppo difficile ottenerla oppure i requisiti richiesti sono tarati male e non individuano esattamente l’area del bisogno.
Discorso simile per il cosiddetto «Bonus famiglie» variabile da 200 a mille euro una tantum. Carico di contraddizioni, a partire dal fatto che, al di là del nome, l’82% dei beneficiari saranno singoli e coppie senza figli. Il perché è presto spiegato: i diversi tetti di reddito massimo per accedere al beneficio sono stati fissati a un livello assai più alto delle relative fasce di povertà per single e coppie, mentre sono pari o addirittura al di sotto della linea di povertà per le famiglie con figli. E dunque solo i nuclei con figli poverissimi beneficeranno del bonus, che invece andrà anche a singoli in grado di cavarsela da soli. Così, quell’'embrione' di quoziente che pareva finalmente apparso risulta vanificato. Il Forum delle associazioni familiari, non a caso, già a inizio dicembre aveva avanzato una proposta di modifica che riequilibrava i pesi tra singoli e nuclei con figli, senza aumentare la spesa complessiva.
Un’indicazione apprezzata da esponenti della maggioranza e dell’opposizione, che avevano perciò elaborato un emendamento in tal senso. La modifica è stata però bloccata qualche notte fa in commissione Bilancio alla Camera, per il semplice fatto che ormai erano stati stampati e inviati agli uffici competenti i moduli per la richiesta del Bonus, con i parametri già stabiliti nel decreto originario del governo. E che quindi – di fatto – erano ormai immodificabili dal Parlamento, che pure dovrebbe esser sovrano.
Al di là delle vicende dei singoli provvedimenti, c’è un deficit che si può rintracciare come un filo rosso nei diversi abbozzi di 'politiche familiari' di oggi e del passato. Prima ancora della scarsa disponibilità di risorse, a mancare è un confronto non episodico, non all’ultimo minuto, con chi rappresenta davvero le istanze familiari. Non basta a sostituirlo qualche incontro – quando lo si tiene – con i sindacati confederali: questi rappresentano, con pregi e difetti, i soli lavoratori dipendenti. Le famiglie, le loro esigenze, sono altro. Al fondo, pare esserci invece l’idea di una politica che crede di poter bastare a se stessa, di sistemare le cose in proprio alla svelta, salvo accorgersi poi di essere stata inefficace. Un solipsismo che porta a sottovalutare i bisogni reali e finisce preda delle pastoie burocratiche nell’attuazione delle scelte. Lasciando sul campo più delusione che aiuti concreti.


«Tel Aviv il loro bersaglio Era necessario fermarli» - l’intervista: I razzi di Hamas e quelli di Hezbollah, sostiene lo studioso di strategie militari Ely Karmon, tengono potenzialmente sotto tiro tutto il territorio dello Stato ebraico «Non c’era più tempo: i leader radicali continueranno a gridare vittoria nascosti nei tunnel Ma da una sconfitta sul campo potrebbero non riaversi più» - Avvenire, 11 gennaio 2009

SANGUE IN MEDIORIENTE

DAL NOSTRO INVIATO A TEL AVIV
GIORGIO FERRARI
« S e avessimo tardato ancora un po’ Hamas avrebbe tirato missili su Tel Aviv». Ely Karmon, sessant’anni, i tratti più di un chimico o di uno scienziato che di uno stratega, è Senior Researcher all’Ict, l’Isti­tuto di studi contro il terrorismo di Herzlyia, po­chi chilometri a nord della capitale di Israele. La sua è una delle voci più ascoltate dall’intelligen­ce militare di Tsahal perché la sua conoscenza di Hamas, delle sue strategie e dei suoi legami con l’Iran, la Siria e Hezbollah è documentata da de­cine di pubblicazioni.
Dottor Karmon, quanto è grande l’armata di Hamas?
Ventimila uomini. Più dei corpi scelti, addestra­ti in Iran e in Siria e in Libano dagli Hezbollah. Uomini che, una volta ritornati a Gaza, a loro volta hanno addestrato l’esercito, diciamo così, regolare.
A scatenare l’operazione “Cast Lead” (Piombo fuso) è stata la rottura della tregua e soprattut­to la pioggia di missili di varia natura caduta sulle città limitrofe alla Striscia di Gaza. Un’of­fensiva che non si è limitata ai soli missili Qas­sam...
Hamas ha cominciato ad adoperate razzi fin dal 2001. A tutt’oggi sono piovuti sulle città di Israe- le 3984 missili e 3943 proiettili di mortaio. Solo nel 2008 Hamas ha iniziato la sua escalation u­tilizzando missili Grad da 122 millimetri e obici da mortaio da 120 di provenienza iraniana, rad­doppiando in questo modo il raggio d’azione dei Qassam e portandolo da 20 a 40 chilometri. Il che significa tenere sotto tiro quasi un milione di cittadini israeliani – cioè il 15% della popola­zione – dal Negev fino alla regione a sud di Tel A­viv. Ma è solo un passaggio intermedio.
Cioè?
L’obbiettivo finale è chiarissimo: colpire Tel Aviv, il cuore del potere politico di Israele, un colpo spettacolare per il mondo arabo e mortale per l’o­pinione pubblica israeliana. Se a questo poten­ziale pericolo sommiamo quello già dimostrato da Hezbollah con i razzi Katiusha nel 2006 si ve­de come pressoché l’intero Stato di Israele ver­rebbe messo sotto tiro.
Lei sta lasciando intendere di sapere che Ha­mas possiede armi a più lunga gittata...
L’intelligence militare (lo Shin Bet, ndr) sa che nella Striscia di Gaza si maneggiano missili Fajar 3 e Fajar 5 di fabbricazione iraniana che sono ar­rivati attraverso i tunnel di Rafah. E probabil­mente ci sono anche missili forniti dagli hez­bollah e già adoperati in Libano per colpire la Galilea e Haifa.
Quanto è vasto l’arsenale di armi a lungo rag­gio?
Non posso dirlo con esattezza, ritengo che non ne abbiano molti e che li usano o li useranno so­lo a scopo dimostrativo. Diciamo una quindici­na, ma ne bastano due che arrivino alla perife­ria di Tel Aviv e il risultato è raggiunto.
I cacciabombardieri israeliani paiono agire in­disturbati. Non c’è contraerea a Gaza?
Sicuramente Hamas possiede i missili Sam7, ma sono poco precisi e gli F16 sono in grado di evi­tarli.
E sul terreno?
Hamas ha certamente missili anticarro. Se ci sarà un’offensiva massiccia di terra finiranno per u­sarli.
Approva l’operazione «Cast Lead»?
Ovviamente sì. Non c’era più tempo, bisognava fermarli.
Sul piano mediatico internazionale Hamas rac­coglie molti consensi.
Avendo cinicamente adoperato la popolazione civile esponendola a rischi mortali, non me ne meraviglio.
Dove sono i capi di Hamas?
Sotto terra, nei rifugi che hanno approntato nei periodi di tregua.
Chi vincerà?
Hamas griderà vittoria comunque, anche se la sconfitta militare è più che certa. E con lui Iran, Hezbollah, tutto il radicalismo islamico. Ma da questa sconfitta potrebbe non riaversi più. Mi­litarmente no di certo, se si sigilleranno i tunnel di Rafah, politicamente nemmeno se l’Autorità nazionale palestinese riuscirà a spendere il de­naro degli aiuti che arriverà da Stati Uniti, Euro­pa e Arabia Saudita per ricostruire Gaza e non per metterselo in tasca.
Quanto durerà ancora l’operazione?
Difficile dirlo, ma sicuramente si fermerà per l’in­sediamento di Obama.
Che ricetta suggerisce per controllare la zona di Rafah?
Occuparla. Le forze israeliane, intendo. E poi schierare le forze palestinesi fedeli ad Abu Ma­zen e un controllo internazionale. In modo che non passi mai più nessun missile.


Eluana, «l’eutanasia? - Va contro la medicina» - Israël: la gente avrebbe paura dell’ospedale – Avvenire, 11 gennaio 2009
DA VERONA LORENZO FAZZINI
S i è scoperto che Eluana En­glaro deglutisce in maniera autonoma? « Questa è una possibilità in più per battersi in fa­vore della sua vita». Il reale signi­ficato dell’eutanasia? « Essa è con­traria alla medicina: se si arrivas­se alla sua legalizzazione, la gente, nel caso in cui si trovasse in una situazione terminale, avrebbe paura ad entrare in un ospedale per timore di subirla » .
Il professor Lucien Israël in Fran­cia è una vera e propria autorità scientifica: nato nel 1926, oncolo­go molto celebre, per oltre vent’an­ni è stato direttore del reparto di Oncologia dell’ospedale Avicenne di Bobigny; ha anche guidato la cli­nica universitaria di oncologia al­l’università di Paris-Nord. Nel 2007 è stato eletto membro dell’Acca­demia nazionale di Scienze mora­li e politiche al posto del celebre genetista Jérôme Lejeune, lo sco­pritore del difetto genetico all’ori­gine della sindrome di Down. Dal­lo stesso anno è anche alla guida della stessa Accademia e dell’U­nione Nazionale Interuniversita­ria.
« Laico » e agnostico dal punto di vista religioso, Israël ha fatto della sua battaglia contro il suicidio me­dicalmente assistito uno dei pun­ti qualificanti del proprio impegno accademico e clinico. Ha da poco pubblicato « Contro l’eutanasia » ( Lindau, pp. 168, euro 13, con la prefazione del filosofo Alain Be­sançon) in cui argomenta la sua posizione morale e scientifica av­versa ad ogni forma – anche larva­ta e indiretta – della pratica euta­nasica. Al telefono da Parigi ci il­lustra il suo pensiero, in particola­re in riferimento al caso-Englaro.
Perché, come medico e uomo di scienza, è contrario all’eutanasia?
Per diverse ragioni, che sono sia di carattere umanitario e spirituale che di ordine medico. Non penso che i medici esistano per favorire la morte dei loro pazienti: io mi batto per difendere la vera medi­cina che deve curare e non dare la morte. Inoltre, da un punto di vi­sta tecnico, le cure e i procedi­menti terapeutici migliorano e si sviluppano in maniera così veloce che nel giro di settimane o di me­si possono risultare possibili in­terventi e metodiche che prima non ci si sognava neppure. Biso­gna dare le giuste opportunità al progresso medico. Per questo in­sieme di motivi sono assoluta­mente contrario all’eutanasia.
Coloro che vogliono sospendere l’alimentazione e l’idratazione ar­tificiale di Eluana Englaro so- stengono che tali pratiche rap­presentano un esempio di acca­nimento terapeutico. Lei cosa pensa al riguardo?
Premetto che non conosco nel det­taglio il caso di questa ragazza ita­liana, ma immagino che mentre le si assicura la nutrizione e l’idrata­zione ci si prenda anche a cuore della sua salute. In questo caso la medicina fa nient’altro che il suo dovere. Dar da mangiare e da be­re per via artificiale a una persona non rappresenta in nessun modo un accanimento terapeutico: così si può proseguire nel curare le per­sone, come mi è successo nel ca­so di alcuni soggetti malati di can­cro. Non bisogna mai arrivare al punto di abbassare le braccia e di­re: beh, non c’è più niente da fare, facciamo morire questo malato. Se si facesse così, la medicina non sa­rebbe più la stessa.
Di recente si è scoperto che Elua­na deglutisce da sola, autonoma­mente: questa « nuova » situazio­ne clinica cosa le fa dire?
Penso che si tratti di una possibi­lità in più per battersi in favore del­la vita di questa ragazza. Vanno messe in atto tutte le possibilità per essere più umani.
La sentenza del tribunale di Mila­no sul caso Englaro afferma che la sospensione della nutrizione artificiale a Eluana deve avvenire in una struttura sanitaria accre­ditata. Nel suo libro lei rivolge nu­merosi appelli al corpo medico perché non si faccia strumento di nessun atto eutanasico. Cosa si sente di dire al personale sanita­rio italiano?
Credo sia importante rinnovare questo appello. In nessun caso la gente deve arrivare a pensare, in una situazione di malattia termi­nale: aiuto, ci sarà qualcuno che si prenderà cura di me in ospedale?
«Se la ragazza deglutisce da sola, si tratta di una possibilità in più di battersi per la sua vita»