Nella rassegna stampa di oggi:
1) Le ambiguità dietro i diritti dei disabili e delle persone omosessuali - Il commento dell'Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'ONU
2) L’uomo di fronte al male: quale speranza? - Monsignor Bruno Forte interviene all’ultimo incontro della Pastorale Universitaria - di Luca Marcolivio
3) 30/01/2009 16:57 - SRI LANKA - Legge anti-conversione: le minoranze temono una stretta sulla libertà religiosa di Melani Manel Perera - Presentata a gennaio dal partito dei monaci buddisti, a febbraio potrebbe essere varata. Lo scopo è prevenire il passaggio da una religione all’altra per pressioni o in cambio vantaggi economici. Il progetto era già stato proposto nel 2004, ma la Corte suprema ne aveva dichiarato l’incostituzionalità. Le chiese protestanti già attive nelle proteste; preoccupati i cattolici che attendono un pronunciamento dei vescovi.
4) 30/01/2009 14:14 – PAKISTAN - Rischia la vita l'attivista cristiano arrestato per blasfemia - di Qaiser Felix - Prelevato nella notte da casa con l’accusa di aver mandato un sms dal contenuto blasfemo. Hector Aleem ha visto una sola volta i familiari. Notabili musulmani chiedono alla corte di consegnare l’accusato nelle loro mani per giustiziarlo. La legge contro la blasfemia colpisce anche altre minoranze: arrestati 5 membri della comunità ahmadi, 4 sono minorenni.
5) ABORTO/ “L’eccezione Croazia”: un esempio da seguire - Redazione - sabato 31 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
6) CHIESA/ Il significato del ritiro della scomunica ai lefebvriani e il fumo dei media - Aldo Cerefogli - sabato 31 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
7) La denuncia della Chiesa in occasione del Forum sociale di Belém - Tratta di esseri umani L'allarme dal Brasile – L’Osservatore Romano, 31 Gennaio 2009
8) Quattrocento città del mondo in preghiera per 24 ore - Giornata internazionale per la pace in Terra Santa – L’Osservatore Romano, 31 Gennaio 2009
9) CONFUSIONE TRA POLITICA E BIOETICA - SE I GIUDICI FALSANO L’IMMAGINE DI MALATI E MEDICI - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 31 gennaio 2009
10) LA GIORNATA PER LA VITA - Il direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia: c’è tutto un mondo di persone che si spende per alleviare i disagi altrui e le diocesi ne valorizzeranno il protagonismo - «Eutanasia e aborto? Fuga dalla sofferenza» - Don Nicolli: la Chiesa offre aiuto e speranza - «Sul caso Eluana ci si meraviglia di come possa essere prospettata la morte per fame e per sete, che è una crudeltà» - DA ROMA GIANNI SANTAMARIA – Avvenire, 31 gennaio 1009
11) LA VICENDA DI ELUANA - «Con questa giurisprudenza a rischio diritti fondamentali» - Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale: da un simile indirizzo possono discendere conseguenze gravi per la difesa della persona La presunzione di volontà in questo caso è astratta, anticipata e non raccordata allo stato esistente della paziente. E l’elemento del consenso deve essere garantito senza essere affidato alle valutazioni di un terzo come il tutore- DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO – Avvenire, 31 Gennaio 2009
12) Avvenire, 31 Gennaio 2009 - IL CASO - Formigoni: «Eluana respira, ha una vita piena»
Le ambiguità dietro i diritti dei disabili e delle persone omosessuali - Il commento dell'Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'ONU
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 30 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Negli ultimi tempi, la posizione espressa dalla Santa Sede in relazione alla Convenzione sulle persone disabili e alla Dichiarazione sull'orientamento sessuale, l'identità di genere e i diritti umani ha suscitato non poche critiche.
In questo contesto, l'Arcivescovo Celestino Migliore, Nunzio Apostolico e Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha spiegato in un'intervista rilasciata a Il Regno ciò che la Chiesa pensa al riguardo.
Circa la Convenzione sulle persone con disabilità, il presule ha affermato che, "pur riconoscendone l'importanza e l'urgenza di attuazione in molti dei suoi aspetti, la Santa Sede si astenne dal firmarla perché il testo si presta ad avallare l'aborto come modalità della cosiddetta salute riproduttiva".
Nella fase negoziale, la delegazione della Santa Sede ha sottolinea l'ambiguità dell'espressione chiedendo "non che essa fosse espunta, ma che venisse precisata una volta per tutte, così da escludere l'aborto dal ventaglio delle sue accezioni", ma la richiesta non è stata accolta, adducendo che il testo "non intendeva creare nuovi diritti, ma solo assicurare che alle persone con disabilità venisse riconosciuto nulla in meno di quanto è riconosciuto a ogni persona", punto sul quale "la Santa Sede era perfettamente d'accordo".
L'intensificazione delle pressioni da parte dei sostenitori dell'aborto per lo sbarramento della proposta ha fatto emergere il fatto che "la posta in gioco non era più la sola tutela giuridica delle persone disabili - compiutamente espressa nella proposta della Santa Sede -, ma l'uso di questa Convenzione per far avanzare un discorso che, tra l'altro, mina la consistenza di un vero sistema di protezione legale di ogni persona", ha dichiarato.
Quanto alla Dichiarazione sull'orientamento sessuale, l'identità di genere e i diritti umani, presentata dalla presidenza francese dell'Unione Europea, monsignor Migliore ricorda che consta di 13 paragrafi, tre dei quali chiedono l'abrogazione di ogni legge penale e la cessazione di qualsiasi forma di violenza perpetrata contro persone appartenenti alle due categorie menzionate nel titolo.
"Non si parla mai esplicitamente di depenalizzazione dell'omosessualità - osserva -. Vengono, invece, usate le categorie di orientamento sessuale e identità di genere", che però "non sono né riconosciute, né univocamente definite nel diritto internazionale e, pertanto, sono suscettibili di essere interpretate e definite secondo le intenzioni di chi a esse si riferisce".
"Se venissero accolte nel loro stato fluido e imprecisato, come chiede la dichiarazione, ciò causerebbe una grave incertezza del diritto", constata.
"Uno dei possibili travisamenti è che, se uno Stato o una comunità religiosa rifiutassero di celebrare il matrimonio per le coppie dello stesso sesso o di riconoscerne le adozioni infantili, sarebbero suscettibili di violare queste clausole antidiscriminatorie e passibili di sanzioni; in casi estremi, i ministri religiosi potrebbero addirittura ricevere un'ingiunzione a celebrare tale tipo di 'matrimoni'".
Paragonando la Chiesa a Stati come l'Arabia Saudita, il Sudan, la Nigeria, gli Emirati Arabi e l'Iran, che prevedono la pena di morte per l'omosessualità, monsignor Migliore sostiene che alcuni media hanno "commesso un misero autogoal".
La Santa Sede, infatti, esorta in modo deciso "singoli e Stati a mettere fine a ogni forma di violenza e di ingiusta discriminazione contro le persone omosessuali".
Ricordando poi il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, l'Arcivescovo Migliore ha sottolineato il contributo della Chiesa alla riflessione sui diritti umani, che "non è mai disgiunto dalla prospettiva della fede nel Dio creatore".
"Trattandosi di diritti che hanno a che vedere con la vita e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli - ha osservato -, il discernimento prevede che ci si chieda ogni volta se le problematiche che si vogliono riconoscere come nuovi diritti promuovano un vero bene per tutti e in quale rapporto stiano con gli altri diritti e con le responsabilità di ognuno".
Tra i diritti, fondamentale è quello alla libertà religiosa. Per il presule, "da una parte ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi specifici criteri di misura", dall'altra "è necessario accogliere le vere conquiste dell'Illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione".
L’uomo di fronte al male: quale speranza? - Monsignor Bruno Forte interviene all’ultimo incontro della Pastorale Universitaria - di Luca Marcolivio
ROMA, venerdì, 30 gennaio 2008 (ZENIT.org) – Anche nei complessi e impegnativi intrecci della modernità, l’unica via di uscita alla tragedia del male rimane il sacrificio in croce di Nostro Signore Gesù Cristo. L’impegnativo tema è stato affrontato nell’incontro “L’uomo di fronte al male: quale speranza?”, tenutosi ieri sera al Teatro Argentina, nell’ambito dei “Giovedì culturali nell’anno paolino”, promossi dalla Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma.
Momento centrale dell’evento sono stati gli interventi di monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti e Vasto, e di Pierluigi Celli, direttore generale della Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli”. Le relazioni di Forte e Celli sono state alternate a letture, sketch recitativi e intermezzi musicali del Coro Internuniversitario di Roma, anch’essi centrati sul dramma del male.
Monsignor Forte ha esordito citando L’idiota, una delle opere più importanti di Fëdor Dostoevskij: “Quale bellezza salverà il mondo?, domanda il giovane nichilista Ippolit, morente di tisi, al principe Myskin, metafora dell’uomo innocente che soffre per i mali dell’umanità”.
“In altre parole – ha proseguito Forte – come può la vita essere bella di fronte alle guerre, alla fame, e al male che ci attanagliano? Interrogarsi sul male, alla fine, è sempre interrogarsi su Dio e domandarsi perché Egli permette il male. A molti la coesistenza di Dio e del male può risultare insopportabile, conducendoli alla disperazione e alla bestemmia”.
“Per uscire da questo tunnel di disperazione, dobbiamo cambiare la nostra idea di Dio, riflettendo su Cristo crocifisso. Nella tragedia del male, Dio non è affatto spettatore distaccato; al contrario Egli, il Bene Assoluto, ha fatto “suo” il male, che non gli appartiene e che è un frutto perverso delle scelte degli uomini”, ha aggiunto il vescovo.
“La Verità non è affatto qualcosa di astratto che io posso possedere ma, al contrario, Qualcuno di concreto che mi possiede”, ha detto monsignor Forte a conclusione del suo primo intervento.
È seguita la prima relazione di Pierluigi Celli che, ha riflettuto sul problema del male da cristiano laico, sulla scorta di una quarantennale esperienza di manager e dirigente di grandi aziende pubbliche e private. “Al giorno d’oggi i giovani sotto vittime del male, nella misura in cui lo subiscono. La radice di tutti i mali credo sia la negazione della speranza”, ha esordito Celli.
Altro fattore di negatività per la gioventù odierna, ad avviso di Celli, è l’assenza di identità. “Identità, significa la possibilità per chiunque di raccontare una storia edificante in cui potersi rispecchiare. Riconoscere l’identità di qualcuno significa attribuire senso ed importanza a quella persona”.
“Si tendono, invece, a perseguire interessi personali, attorno a cui circolano riconoscimenti ‘rattrappiti’. A fronte del crollo di tutte le ideologie, c’è ancora un’etica dei valori che non ha nulla di ideologico e di fronte alla quale ognuno di noi è chiamato ad uno sforzo di responsabilità”, ha detto ancora il direttore generale della Luiss.
“La responsabilità ci chiama a riscoprire i nostri fini, oggi piuttosto indefiniti ed oscurati da una pluralità sterminata di mezzi. Se i mezzi prendessero il posto dei fini, tutta la nostra attenzione finirebbe concentrata su noi stessi e sul presente, escludendo del tutto gli altri e il futuro”, ha aggiunto Celli.
Nella seconda parte della conferenza, i relatori hanno suggerito le loro personali e costruttive risposte al problema del male. “Una prima sfida sta nel recuperare la capacità d’ascolto, oggi quasi completamente scomparsa nella comunicazione pubblica - ha osservato Pierluigi Celli -. “In secondo luogo, riscoprire la voglia di innovazione, anche a rischio di essere bollati come ‘eretici’ dalla società”.
La sfida più grande in assoluto, secondo Celli, risiede però nell’amore. “Mi viene in mente il Re Lear di Shakespeare, in cui il protagonista, nel distribuire l’eredità alle tre figlie, dichiara di voler privilegiare quelle che più lo hanno amato”.
“Le prime due figlie di Re Lear hanno sempre detestato il padre, tuttavia si rivelano brave a simulare il contrario, ingannando il sovrano e accaparrandosi i privilegi ereditari. La terza figlia è quella che lo amato come padre e non come re e, convinta di non dover dare dimostrazione del suo affetto, viene diseredata”, ha poi concluso Celli.
Monsignor Forte, da parte sua, tornando all’iniziale metafora dostoevskiana, ha paragonato il silenzio del principe Myskin di fronte al suo interlocutore, alla mancata risposta di Gesù alla domanda di Pilato ‘Cos’è la Verità’, che sottintende la Verità del Dio fatto uomo e lasciatosi uccidere barbaramente per amore agli uomini.
Forte ha poi chiamato in causa il pensiero di Immanuel Kant, che, riflettendo da laico sul dilemma del male, “comprese l’esistenza di un principio avversario del bene che non esitò a chiamare spirito maligno”.
“Specularmente c’è molta ‘laicità’ anche in San Paolo quando dice: “non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio.” (Rm 7).
Affermazioni del genere, non possono che favorire il dialogo tra credenti e non credenti, ad avviso di monsignor Forte che, in conclusione, ha ricordato un detto popolare napoletano: “Si può vivere senza sapere perché ma non si può vivere senza sapere per Chi”.
30/01/2009 16:57 - SRI LANKA - Legge anti-conversione: le minoranze temono una stretta sulla libertà religiosa di Melani Manel Perera - Presentata a gennaio dal partito dei monaci buddisti, a febbraio potrebbe essere varata. Lo scopo è prevenire il passaggio da una religione all’altra per pressioni o in cambio vantaggi economici. Il progetto era già stato proposto nel 2004, ma la Corte suprema ne aveva dichiarato l’incostituzionalità. Le chiese protestanti già attive nelle proteste; preoccupati i cattolici che attendono un pronunciamento dei vescovi.
Colombo (Asianews) - Un progetto di legge anti-conversione dal 6 gennaio attende il pronunciamento del parlamento; entro febbraio potrebbe essere varato. Sui media nazionali il tema non riceve particolare attenzione e la popolazione si interroga su rischi e opportunità di tale proposta. L’obiettivo principale della normativa dovrebbe essere quello di prevenire le conversioni "forzate", di chi decide di passare da una religione ad un’altra a seguito di pressioni o in cambio di soldi e vantaggi economici.
Il progetto vanta il sostegno del Jathika Hela Urumaya (Jhu), il partito fondato dai monaci buddisti nel 2004, che è tra i principali promotori. Il capo dell’opposizione, Joseph Michael Perera, ha chiesto due dibattiti in aula sul tema poiché la legge tocca tutte le religioni, diverse organizzazioni, i partiti politici e soprattutto rischia di ledere l’armonia tra le diverse confessioni nell’isola.
Degli oltre 20milioni di abitanti dello Sri Lanka il 68% sono buddisti, l’11% indù, il 9% musulmani e il 6,8% cristiani.
La proposta del Jhu trova l’approvazione della stragrande maggioranza dei buddisti. Un giovane studente universitario afferma ad AsiaNews che “questa legge è necessaria così come serve che il governo distrugga Ltte [i ribelli delle Tigri tamil Ndr]. Dobbiamo liberarci di tutti i cristiani che convertono, preti e pastori che distruggono la nostra cultura singalese-buddista. I cristiani stanno vivendo in questa terra pacificamente grazie al grande buddismo…. altrimenti sarebbero stati spazzati via”. Dello stesso tenore l’affermazione di un uomo d'affari che dice: “Non c’è posto per il multi-religioso, multi-etnico e il multi-culturale. Questa è l’unico e puro Paese buddista e sinhala al mondo”.
Il progetto di legge presenta aspetti controversi poiché non sono chiari i termini entro cui una conversione può essere considerata forzata. Le attività caritative e di aiuto ai poveri potrebbero infatti essere incluse tra le azioni punibili con condanne sino a sette anni di reclusione o multe sino a 500mila rupie (poco meno di 3.500 euro).
Già nel 2004 il Jhu aveva presentato il progetto di legge sollevando le critiche soprattutto delle comunità cristiane. Rispondendo all’appello della National Christian Evangelical Alliance la Corte Suprema aveva dichiarato incostituzionale due punti della legge che violavano l'articolo 10 della Costituzione dedicato alla libertà religiosa e alla possibilità del singolo individuo di abbracciare un credo a propria scelta.
La conferenza dei vescovi cattolici aveva inviato ai parlamentari una lettera per allertare sui “terribili pericoli” che l’approvazione del testo avrebbe comportato. Lavorando insieme al consiglio nazionale della chiese cristiane e ad alcuni leader indù e musulmani aveva manifestato la sua opposizione al progetto e nel contempo messo in guardia alcune frange cristiane fondamentaliste dallo sfruttare il dibattito per nuocere alla convivenza delle diverse confessioni nel Paese.
Anche per questo nuovo capitolo della legge anti-conversione le comunità protestanti hanno già cominciato manifestare il loro dissenso. Il 26 gennaio le Chiese evangeliche hanno organizzato un momento di preghiera collettivo al Vihara Maha Devi Park di Colombo. Più defilata appare per ora la posizione delle gerarchie cattoliche. Le comunità attendono un pronunciamento. Un semplice fedele interpellato sul tema afferma: “Attendiamo che i nostri vescovi e padri prendano iniziativa e compiano passi per il bene della nostra fede. Abbiamo bisogno di una società unita. Abbiamo bisogno che i leader della Chiesa si esprimano e manifestino a voce unanime la nostra opposizione a questa legge terribile”.
30/01/2009 14:14 – PAKISTAN - Rischia la vita l'attivista cristiano arrestato per blasfemia - di Qaiser Felix - Prelevato nella notte da casa con l’accusa di aver mandato un sms dal contenuto blasfemo. Hector Aleem ha visto una sola volta i familiari. Notabili musulmani chiedono alla corte di consegnare l’accusato nelle loro mani per giustiziarlo. La legge contro la blasfemia colpisce anche altre minoranze: arrestati 5 membri della comunità ahmadi, 4 sono minorenni.
Islamabad (AsiaNews) - È in pericolo di vita il pacifista cristiano, Hector Aleem, arrestato con l’accusa di blasfemia il 22 gennaio scorso nella capitale pakistana. Ad affermarlo ad AsiaNews è la figlia di 24 anni, Mehvish, che racconta di una folla di notabili musulmani che il 27 gennaio si sono presentati negli uffici del tribunale chiedendo la consegna di Aleem per giustiziarlo.
L’Anti terrorism court (Act) ha già rinviato più volte il giudizio del 55enne direttore dell’ong Peace Worldwilde prolungando i tempi della custodia cautelare e consegnandolo alla protezione della stazione di polizia di RA Bazaar.
“La situazione è molto tesa”, spiega la figlia di Aleem. “La polizia non ci ha dato il permesso di vedere nostro padre quando è stato portato alla corte il 27 gennaio per paura degli estremisti. Ho visto che tutti sono sotto la pressione degli esperti di diritto musulmani e questo è il motivo per cui non otteniamo giustizia”.
Mehvish Aleem spiega che “durante questa triste vicenda abbiamo potuto incontrare nostro padre una volta sola grazie all’aiuto di Joseph France”, responsabile del Center for Legal Aid Assistance and Settlement (CLAAS) e difensore dell’attivista pakistano.
Hector Aleem è stato arrestato tra il 21 e 22 gennaio. La moglie racconta che nel mezzo della notte “persone con la divisa della polizia e in abiti civili hanno fatto irruzione in casa”. Dopo aver messo sottosopra la casa e terrorizzato l’intera famiglia hanno cercato di portare via anche il figlio 13enne, David John”.
L’accusatore del direttore di Peace Worldwilde è un militante di un’organizzazione islamica. Afferma che Aleem ha mandato con un messaggio dal contenuto blasfemo con il cellulare.
In tutto il Paese i casi di accusa di blasfemia sono numerosi e riguardano anche musulmani. E' di oggi la notizia che 5 persone appartenenti alla minoranza islamica degli ahmadi - considerati eretici - sono stati arrestati con l’accusa di aver scritto frasi denigratorie verso Maometto nei bagni della moschea del villaggio di Chank nella provincia del Punjab.
Tra gli arrestati un adulto di 45 anni e quattro ragazzi, un 16enne e tre 14enni. Il portavoce degli ahmadi afferma che dall’introduzione della legge contro la blasfemia in Pakistan (1986) al dicembre 2008, sono stati arrestati con questa accusa 266 membri della comunità.
ABORTO/ “L’eccezione Croazia”: un esempio da seguire - Redazione - sabato 31 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
In Croazia, dal 1985 al 2005, gli aborti sono diminuiti del 91,1%. Siamo di fronte a un vero e proprio crollo. La fonte è certa: l’Istituto Nazionale Croato per la Salute pubblica. I numeri dicono che nel 1989, ultimo anno del regime comunista, si sono avuti 40.000 aborti volontari contro i 4.600 del 2005.
Un dato statistico del genere è così sconvolgente che avrebbe dovuto scatenare analisti, sociologi, psicologi; produrre convegni e tavole rotonde ai più alti livelli. E invece niente. “L’eccezione Croazia” in tema di aborto, caso unico al mondo, nonostante i numeri clamorosi che la stanno accompagnando, ha avuto un’eco minima sui media.
Tra le poche voci che hanno rotto questo silenzio, vi è stato un prezioso articolo dell’ottimo Antonio Gaspari su Zenit, non a caso agenzia cattolica. E sì, perché il motivo in grado di spiegare l’anomalia croata (non solo in tema di aborto, lo vedremo poi) è da individuare proprio nella fede cattolica del suo popolo, una fede che nel tempo si è conservata salda e profonda.
In particolare, i croati non sono mai venuti meno alla devozione verso la Vergine, sviluppatasi nel corso dei secoli per mezzo di santi (gli apostoli del popolo slavo Cirillo e Metodio), Papi (Giovanni IV), imperatori (Eraclio), monaci (i benedettini francesi e poi quelli di Montecassino). E oggi confermata dalle apparizioni mariane della vicina Medjugorje.
Ora, se è vero che la lettura di questi nessi causali (in sintesi: più fede, meno aborti e drammi sociali) è assolutamente pacifica per il popolo croato, nutriamo qualche dubbio sul fatto che i nostri esperti di statistica - in una realtà culturalmente ingessata come quella italiana - reputino queste relazioni causa-effetto degne di essere illustrate. Eppure le cose stanno esattamente così, vediamo perché.
La Chiesa croata, con una paziente azione pastorale, negli ultimi decenni ha contribuito a una profonda ricostruzione del tessuto sociale, completamente sfilacciato dopo lunghe stagioni di iniezioni di ideologia comunista. L’azione educativa della Chiesa cattolica ha portato a una vera e propria rivoluzione nei costumi sociali. Non c’è solo il crollo dell’interruzione volontaria di gravidanza (che di certo non si spiega solo con il fatto che non sia gratuita), anche gli altri dati ufficiali riservano sorprese. La Croazia va in controtendenza rispetto all’emergenza denatalità (è in crescita il numero di famiglie con tre figli) e ha una percentuale di divorzi, nonché di persone affette da Hiv, tra le più basse d’Europa.
Va detto che la gente croata ha vissuto sulla propria pelle cosa significa abitare una società da cui si è cercato di cancellare il sentimento religioso con la violenza. La filastrocca pro Tito “Sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito”, a significare la sua abilità nel tenere insieme tante diversità, tace sul fatto che il mezzo utilizzato è stato il sistematico sopruso (prova ne è che all’indomani della sua morte qualsiasi legame fra le varie etnie è sanguinosamente franato).
La storia dell’ex Jugoslavia è tutt’altro che una filastrocca. La verità parla di intellettuali scomodi uccisi e incarcerati dai comunisti titini, di migliaia di chiese distrutte, di centinaia di sacerdoti sterminati; per umiliare la fede del popolo si è arrivati persino ad arare i cimiteri.
A dare credibilità alla voce della Chiesa contribuiscono anche le luminose testimonianze dei suoi figli. Quella dell’Arcivescovo di Zagabria Luigi Stepinac, per esempio, condannato da Tito a sedici anni di lavori forzati perché oppostosi alla creazione di una chiesa separata da Roma. Dalla sua morte, avvenuta nel 1960, nonostante l’opposizione del regime, la sua tomba è diventata meta di continui pellegrinaggi. Giovanni Paolo II, nel 1998, proclamerà Stepinac beato.
È anche a causa di queste storie - numerose e ben ancorate nella memoria del popolo - che oggi le persone si fidano degli insegnamenti proposti dal Magistero della Chiesa, mostrando tra l’altro di essere al riparo da quel rischio di “statolatria” recentemente paventato da Mons. Antonio Amato.
«Non promuoviamo le posizioni cattoliche perché sono cattoliche, ma perché sono le migliori. Migliori per tutti, non solo per i cattolici». Questo è il limpido motto del “Centro per la Vita” di Zagabria, una delle più importanti associazioni a difesa della vita e della famiglia.
Questo slogan è anche una perfetta sintesi dell’azione educativa della Chiesa nel mondo. Al cui cospetto le accuse di ingerenza, che regolarmente si alzano ormai dappertutto (Italia compresa) appaiono, in tutta sincerità, alquanto puerili.
Anche in Italia bisognerà che prima o poi qualcuno risponda a un quesito per nulla scontato. Il vertiginoso aumento dei divorzi (pari al 70% negli ultimi 10 anni), un tasso di natalità tra i più bassi del mondo, gli oltre 4 milioni e 600 mila vite abortite dall’introduzione della legge 194 a oggi, sono piaghe sociali da combattere o eventi fisiologici con cui convivere?
La domanda purtroppo non è retorica. Se così fosse, non si spiegherebbe l’ostilità, spesso rabbiosa, nei confronti di una Chiesa che quei drammi non li nasconde ma li combatte. E anche con successo, specie quando non è lasciata sola (l’esempio croato è lì a dimostrarlo).
Molto meglio - qui sta il punto - inaugurare una nuova collaborazione tra Stato e Chiesa al fine di formare le nuove generazioni. Dare avvio a un vero e proprio “patto” per la costruzione di un piano educativo comune, costituirebbe un’operazione di rinnovamento culturale enorme, la sola in grado di fermare la deriva del nostro paese. A gridarne la scandalosa urgenza basterebbero semplicemente i fatti di cronaca di ogni giorno.
In Croazia (ovviamente non senza qualche atteggiamento restio) quest’alleanza è già operante. Molti programmi educativi statali sono tranquillamente sponsorizzati dalla Conferenza Episcopale Croata. Alcuni di questi sono anche approvati dal Ministero dell’Educazione, ragion per cui sono diffusi e utilizzati nelle scuole di ogni ordine e grado. Tutto ciò senza nessuno scandalo. Anzi, con un grande senso di gratitudine da parte del popolo, il quale non vuole più vivere “etsi Deus non daretur”, come se Dio non esistesse.
La spassionata difesa della vita da parte della Chiesa cattolica (ribadita dalla Cei nell’Istruzione “Dignitas personae”), che non permette incertezze nella difesa dell'embrione e della sua dignità, che vuole impedire manipolazione della vita umana, nuove aberrazioni, attenta a evitare che l’utile abbia la meglio sul giusto e che il desiderio diventi diritto, non è altro, a ben vedere, che l’invito ai popoli di ogni tempo a non autocensurare quel bene immenso che è la ragione umana. Quella ragione che è esattamente il terreno comune di Stato e Chiesa.
Il popolo croato sembra averlo capito. E noi?
(Valerio Pece)
CHIESA/ Il significato del ritiro della scomunica ai lefebvriani e il fumo dei media - Aldo Cerefogli - sabato 31 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
Chi si intende di cose religiose sa che in questo periodo la Chiesa ha celebrato la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Chi è digiuno di questi argomenti non sa forse con precisione di che cosa si tratti. In sostanza: i cattolici da decenni si fanno promotori di unità con le varie confessioni cristiane (battisti, luterani, ortodossi, anglicani, e chi più ne ha più ne metta). Si prega per più di una settimana perché scismi, divisioni e altre lacerazioni dell'unica Chiesa vengano composte in unità. Una nobile causa, non c'è che dire. Un solo ovile, un solo pastore: sono parole di Cristo.
Attenzione però a non confondere: l'unità dei cristiani non è l'unificazione con altre religioni: buddismo, ebraismo, islamismo e quant'altro la fantasia e la storia umane ci offrono. Questo è, tecnicamente parlando, l'ecumenismo: altra cosa per la quale, peraltro, l'impegno dei cattolici è noto.
Sia l'unità dei cristiani sia l'ecumenismo sono temi attuali e scottanti. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono esempi lampanti di impegno costante e tenace in questo senso, con disponibilità e pazienza. Chi conosce la storia delle religioni del nostro tempo sa che con questi Papi sono stati fatti, rispetto al passato, veri passi da gigante.
Quest'anno ricorrono anche, proprio il 25 gennaio, alla conclusione della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, i cinquant'anni dalla indizione del Concilio Vaticano II da parte di Giovanni XXIII. Insomma, eventi e celebrazioni si accavallano mostrando come la Chiesa ed il mondo camminano.
La sorpresa è che c'è stato anche un grande e concreto passo in avanti. I cosiddetti lefebvriani, cioè i cattolici tradizionalisti che si oppongono alla moderna liturgia e a certe applicazioni del Concilio Vaticano II, non sono più guidati da vescovi scomunicati, bensì da vescovi perdonati e riaccolti in seno alla cattolicità. Sì, perché la scomunica scattata automaticamente nel 1988 riguardava soltanto quei (pochi) vescovi che avevano celebrato o ricevuto l'ordinazione episcopale senza essere in comunione con il Papa Giovanni Paolo II. Preti e fedeli non sono mai stati scomunicati, questo va ricordato.
Dunque un dono da parte del Papa Benedetto, ma anche una conquista dei fedeli tradizionalisti, che al suono di un milione e settecentomila rosari alla Madonna hanno ottenuto la grazia del perdono dal Vaticano. Il Papa si è mosso perché è stata formulata precisa supplica di perdono e riammissione. Certamente resta ancora molto cammino da fare, restano delusioni da sanare e incomprensioni da chiarire, ma la strada del dialogo, che il coltissimo Benedetto XVI sta portando avanti con tutti nonostante le difficoltà - basti citare laici, musulmani ed ebrei - non permette stasi e ritardi.
Né permette deviazioni estemporanee. Non so bene che cosa sia successo nella mente di quel vescovo che, invece di esultare perché non più scomunicato (i cattolici credono alla scomunica, figuriamoci i tradizionalisti), si è dato al negazionismo. La qual cosa, se è sempre assurda e fuori luogo, lo era certamente in un momento delicato come questo. Che poi certi personaggi televisivi italiani e certi esponenti del mondo ebraico si siano messi a gridare al papa antiebraico e alla Chiesa persecutrice, è cosa da far ridere i polli. Ma come sempre, la calunnia è un venticello....
Il Superiore stesso dei lefebvriani, persona notoriamente politically non correct, si è affrettato a prendere le distanze dalle affermazioni del suo confratello negazionista e gli ha imposto il silenzio sull'argomento. Insomma, le cose umane sono difficili e i terreni minati sono tanti e restano tali. Nostro compito di esseri pensanti è cercare notizie autentiche e ricostruire la verità dei fatti e delle posizioni. Buon lavoro a chi ci sta.
Comunque, la Chiesa gode di ritrovata pace e gioisce per la riammissione di alcuni suoi figli. I lefebvriani sono sulla buona strada, ora aspettiamo segni di altrettanto desiderio di ritorno da parte degli altri cristiani. I primi in classifica sono gli anglicani, che sono ancora divisi dalla Chiesa per antica scelta di Enrico VIII e ora potrebbero sanare la ferita ritornando a casa. Poi i vari ortodossi (copti, russi, armeni, rumeni...), che sono divisi da Roma solo a livello disciplinare. Sarà certo più dura con i seguaci dei vari riformatori (Lutero, Calvino e altri pensatori), che alla divisione antiromana uniscono vere e proprie divergenze dottrinali e sacramentali.
Chi vivrà vedrà. Passo dopo passo, i fedeli di Cristo ricorderanno quelle sue parole rivolte ad un certo Simon Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa» e toglieranno pietre e pietruzze d'inciampo messe per strada dagli uomini o - per chi crede - dal Maligno.
La denuncia della Chiesa in occasione del Forum sociale di Belém - Tratta di esseri umani L'allarme dal Brasile – L’Osservatore Romano, 31 Gennaio 2009
Belém, 30. La tratta degli esseri umani è una delle questioni affrontate durante i lavori del Forum sociale mondiale in corso di svolgimento in questi giorni a Belém, in Brasile. In particolare a evidenziare la gravità dell'estensione del fenomeno in America latina è il vescovo prelato di Marajó, José Luis Azcona Hermoso. Il presule, assieme ad altri religiosi, è impegnato da anni nel denunciare la moderna schiavitù che riguarda, in particolare, bambine coinvolte nello sfruttamento sessuale.
Il turpe sfruttamento dei minori avviene in una delle aree più povere della nazione, lungo la foce del fiume Rio delle Amazzoni, nello Stato del Parà. Il vescovo ha avuto modo di constatare che tante famiglie vendono per pochi soldi alle organizzazioni criminali, a volte addirittura per un litro di olio o un chilo di farina le proprie figlie che vengono poi mandate all'estero, dove vengono sfruttate sessualmente, cadendo in una rete dove il narcotraffico si mischia con la tratta degli esseri umani.
Monsignor Azcona Hermoso osserva inoltre che il problema si sta estendendo e oramai riguarda non solo il Parà ma anche l'Amapà: "Tante volte noi vescovi - ha affermato all'agenzia Sir - abbiamo parlato di questa piaga sociale che sta crescendo pericolosamente e io stesso sono stato chiamato a testimoniare alla commissione nazionale per i diritti umani, a Brasilia, che sta indagando su questi fatti". Il 14 febbraio il presule sarà nuovamente chiamato a testimoniare ma, a tale proposito, parla anche dell'esistenza "di un silenzio omertoso e di molta paura, soprattutto da quando un deputato dell'assemblea legislativa locale è stato denunciato per lo sfruttamento sessuale di una minorenne".
Secondo il vescovo le pressioni esterne sulla commissione per garantirsi l'impunità sono pesanti. "Si corre un alto rischio a far parte di questa commissione - sottolinea - perché i politici, gli impresari, i latifondisti coinvolti hanno un potere economico molto forte e fanno pressione". E aggiunge: "Chi decide di investigare deve avere una forte posizione etica ed essere molto coraggioso, perché spesso le minacce vengono estese alla famiglia e alla vita professionale".
Poi il presule conclude ribadendo che, nonostante i pericoli, porterà avanti il suo impegno affinché le indagini siano portate avanti.
Al Forum, cui partecipano oltre ottantamila persone in rappresentanza di circa quattromila organizzazioni di centocinquanta Paesi, le riflessioni vertono soprattutto sulla necessità di favorire un nuovo sviluppo e di rafforzare la solidarietà nell'attuale momento storico caratterizzato da una forte crisi finanziaria ed economica. All'appuntamento in terra brasiliana, tra le varie testimonianze, c'è anche quella delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (Acli). Le Acli, che partecipano al Forum sin dalla prima edizione del 2001, a Porto Alegre, in Brasile, sono presenti con una delegazione del dipartimento "Pace e stili di vita", composta da italiani e residenti, cooperanti, collaboratori, giovani del servizio civile, volontari dei progetti di cooperazione e sviluppo promossi nel Paese sudamericano dalla propria organizzazione non governativa "Ipsia". Il responsabile del dipartimento, Alfredo Cucciniello, spiega: "Lavoriamo per la costruzione di un'economia solidale e lo facciamo realizzando progetti in Brasile, come in Africa, ma soprattutto intessendo relazioni con persone, associazioni e organizzazioni della società civile internazionale, delle Chiese locali e delle missioni".
Per le associazioni dei lavoratori la parola d'ordine è "globalizzare la solidarietà". Il responsabile ricorda: "Vogliamo rafforzare la speranza che uscire dalla crisi, costruire un'altra economia fondata non sul profitto di pochi, ma sulla buona vita di tutti, governata da istituzioni rivolte davvero alla giustizia e al bene comune, non è solo un sogno, ma un processo già in atto. E il tempo di crisi può essere un tempo opportuno".
Sul fronte della solidarietà le Caritas nazionali hanno un ruolo fondamentale. Quelle dell'America latina, come è emerso al Forum, hanno focalizzato le loro attenzioni sui temi dello sviluppo sostenibile, l'ambiente, i diritti umani, i processi di pace, le migrazioni e la tratta di esseri umani. Padre Josè Antonio Sandoval, coordinatore di tutte le Caritas dell'America latina e del Caribe, evidenzia che la Chiesa "nonostante le difficoltà continuerà a denunciare tutto ciò che è contro la vita, a partire dalla lotta contro le ingiustizie e la miseria disumanizzante all'eutanasia".
L'auspicio per il continente americano è quello di un nuovo sistema socio-economico: "In America latina - secondo il rappresentante delle Caritas - siamo passati attraverso tre tappe: la dittatura, il neoliberismo e ora la democrazia popolare. Ma non si risolvono tutti i problemi solo perché i Governi sono nati da movimenti sociali e se non si lavora molto, tutti insieme, per trovare un nostro modello di sviluppo".
Della necessità di un nuovo modello di sviluppo ha parlato anche il direttore di "La Civiltà Cattolica", padre Gianpaolo Salvini, intervenendo a un seminario organizzato dalla Caritas italiana sul tema "Giustizia ambientale e conflitti: una sfida per il futuro". Secondo il gesuita, se la Chiesa si dichiara "esperta in umanità", non può disinteressarsi dei problemi ambientali, non per proporre soluzioni scientifiche e tecniche, ma per aiutare a trovare il giusto atteggiamento dell'uomo di fronte alla natura, al pianeta e alle sue risorse". "Per questo - prosegue - se si possono trovare fonti di energia rinnovabili, o non inquinanti o che consentono notevoli risparmi, non si vede perché non debbano essere favorite o incentivate".
Padre Salvini osserva inoltre che è opportuno che la Chiesa si interessi di questi problemi e aiuti a creare spazi per una discussione pacata. E ha poi precisato: "Certamente la Chiesa è contro i movimenti ecologici radicali che, prescindendo dal piano di Dio, divinizzano la natura, subordinando tutto alla protezione dell'ambiente".
La discussione su questo tema appare dunque - evidenzia il gesuita - come un allarme utile, anche per le religioni e la Chiesa, per riscoprire il senso della responsabilità umana che metta sì l'uomo al centro del creato, ma senza poterlo devastare a volontà. Il direttore conclude affermando che "le vittime dei cambiamenti sono oggi, e lo saranno anche domani, i territori e le persone più povere, più vulnerabili perché vivono in zone tropicali e in situazioni precarie".
(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 2009)
Quattrocento città del mondo in preghiera per 24 ore - Giornata internazionale per la pace in Terra Santa – L’Osservatore Romano, 31 Gennaio 2009
Roma, 30. I giovani dei cinque continenti in preghiera per chiedere "Pace in Terra Santa". Una preghiera "no stop" di ventiquattr'ore scandita da celebrazioni eucaristiche e adorazioni ininterrotte in più di quattrocento città del pianeta Da Gerusalemme a Roma, da New York a Cracovia, e poi in Argentina, Brasile, Spagna, Francia con appuntamenti anche in Africa, Australia e Asia. Si celebrerà la santa messa per questa intenzione anche nella parrocchia del Patriarcato latino della Sacra Famiglia a Gaza.
Parteciperà a questa giornata internazionale anche la comunità salesiana della Tipografia Vaticana. Una concelebrazione sarà presieduta sabato mattina dal cardinale Raffaele Farina, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana.
La Giornata internazionale di intercessione per la Pace è stata promossa da alcune realtà giovanili: l'associazione nazionale Papaboys, che lavora affinché tutti conoscano Cristo, restando fedeli a Pietro, direttamente nel cuore della Chiesa; l'apostolato "Giovani per la Vita" che promuove la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, specialmente attraverso la preghiera dell'Adozione spirituale; dalle cappelle dell'Adorazione Perpetua in tutta Italia e nel mondo e dai gruppi di Adunanza Eucaristica, che invitano i giovani a fermarsi per una notte intera in adorazione e in preghiera, per ritrovare l'essenziale della propria vita. La Giornata ha inoltre raccolto l'adesione di molti gruppi di preghiera, di singoli laici e consacrati e di sacerdoti di tutto il mondo. Molte anche le parrocchie salesiane, che il 31 gennaio celebrano la festa del loro fondatore san Giovanni Bosco, delle missionarie della Consolata e dei missionari del Preziosissimo Sangue.
Sono stati dunque i giovani di tutto il mondo a mettere in moto questa iniziativa mondiale esprimendo il loro desiderio anche attraverso la loro adesione nel gruppo "Vogliamo la Pace in Terra Santa" presente sul social network Facebook. Sono a oggi più di quattromila le iscrizioni al gruppo e più di duemila coloro che aderiranno a livello personale dai cinque continenti, ma le adesioni sono destinate a salire.
Per testimoniare la loro adesione come gruppo o associazione o parrocchia basta visitare quindi su Facebook il gruppo sopracitato.
(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 2009)
CONFUSIONE TRA POLITICA E BIOETICA - SE I GIUDICI FALSANO L’IMMAGINE DI MALATI E MEDICI - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 31 gennaio 2009
Spiace rilevare come all’indubbia sapienza giuridica dei nostri magistrati non si unisca una parimenti adeguata sapienza bioetica. Nel solenne e tradizionale discorso tenuto in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario il presidente della Corte di Cassazione Vincenzo Carbone ha tessuto un elogio della ormai fin troppo citata sentenza della Cassazione sul 'Caso Englaro', rimarcando come i giudici abbiano definitivamente consolidato il riconoscimento dell’autodeterminazione terapeutica come diritto assoluto della persona.
Probabilmente, da Carbone, nel suo ruolo di presidente, era difficile a questo punto aspettarsi un discorso di tipo diverso. Ma onestà vuole che si dica che in tal modo, anziché contribuire ad una chiarificazione delle idee (quanto mai necessaria in questi tempi!), egli ha invece favorito quella confusione tra politica e bioetica, che andrebbe accuratamente evitata, pena il consolidarsi di quel pericolosissimo paradigma 'biopolitico', che da tempo sta suscitando dubbi, preoccupazioni e angosce nei bioeticisti.
Se infatti è vero che l’autodeterminazione è un valore 'politico' fondamentale, non è altrettanto vero che sia un valore 'bioetico' dotato di pari valore. Nell’esperienza politica, nella quale entrano in gioco, si confrontano e si scontrano interessi sociali, economici, culturali, ideologici, l’autodeterminazione è un principio di riferimento liberal-democratico di primario rilievo, che va tutelato e promosso attraverso un serio impegno individuale e collettivo: un mancato o anche un carente riconoscimento dell’autodeterminazione non può infatti che aprire la strada a pratiche sociali autoritarie.
Quando passiamo però dall’orizzonte politico all’orizzonte bioetico, quando cioè il 'protagonista' della vicenda non è l’essere umano come attore sociale, ma l’essere umano come 'paziente', il discorso muta profondamente. Il rispetto profondo e sincero che dobbiamo all’autodeterminazione del malato, quel rispetto che ci induce a ritenere ormai definitivamente superata ogni forma di 'paternalismo medico', non può non coniugarsi con la consapevolezza che il paziente, ogni paziente è un soggetto psicologicamente e istituzionalmente debole, fragile, suggestionabile, bisognoso di particolarissime forme di tutela e che l’esaltazione del suo diritto all’autodeterminazione non può che rivelarsi quasi sempre come una formula vuota. Il principio ippocratico della tutela della vita non può essere confuso, come ha fatto la Cassazione, imprudentemente lodata da Carbone, con una 'opzione di valore e di cultura' (opzione, come tutte le opzioni, essenzialmente soggettiva e relativistica): esso è piuttosto da intendere come un dovere giuridico fondamentale, che grava sulla società in generale e sui medici in particolare.
La scienza giuridica, nel suo lavoro plurisecolare, ha interpretato la prospettiva ippocratica elaborando la formula, assolutamente precisa, dell’'indisponibilità della vita': desta meraviglia che il presidente della Cassazione non abbia citato e nemmeno ricordato tale formula. Nel contesto del diritto fondamentale alla salute, il cui rilievo costituzionale è fuori discussione, esiste come diritto fondamentale della persona non quello di autodeterminarsi, ma quello di non essere sottoposto a terapie obbligatorie e coercitive: questo e non altro stabilisce il secondo comma dell’art. 32 della nostra Costituzione. Trasformando il diritto (negativo) di ogni paziente a non essere sottoposto a terapie coercitive nel diritto positivo all’autodeterminazione, la magistratura italiana ha lavorato su di un’immagine fittizia del malato e ha nello stesso tempo umiliato l’immagine dei medici, riducendoli da protagonisti dell’alleanza terapeutica al ruolo di passivi operatori di una sovrana volontà del paziente, spesso purtroppo ipotizzata, piuttosto che dimostrata al di là di ogni dubbio.
Non deve destare quindi alcuna meraviglia che il Parlamento, in implicita polemica con recenti decisioni giurisprudenziali, si sia alla fine impegnato nell’elaborazione di una legge sulla fine della vita umana. Le fughe in avanti della Cassazione hanno eroso la nostra fiducia nella capacità dei magistrati di saper elaborare indicazioni biogiuridiche sagge e soprattutto prudenti, come è indispensabile che si faccia, quando si trattano situazioni estreme e tragicamente controverse. Auguriamoci che il Parlamento legiferi nella consapevolezza che quando è in gioco la vita umana il principio di precauzione ha un’assoluta priorità, anche e soprattutto nei confronti del pur nobile principio di autodeterminazione.
LA GIORNATA PER LA VITA - Il direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia: c’è tutto un mondo di persone che si spende per alleviare i disagi altrui e le diocesi ne valorizzeranno il protagonismo - «Eutanasia e aborto? Fuga dalla sofferenza» - Don Nicolli: la Chiesa offre aiuto e speranza - «Sul caso Eluana ci si meraviglia di come possa essere prospettata la morte per fame e per sete, che è una crudeltà» - DA ROMA GIANNI SANTAMARIA – Avvenire, 31 gennaio 1009
Eutanasia e aborto sono «scorciatoie » per non affrontare la sofferenza, le situazioni di limite e dolore che necessiterebbero, invece, di vicinanza e accompagnamento. Lo hanno ribadito i vescovi nel messaggio per la XXXI Giornata per la vita, che si celebra domani propio sul tema La forza della vita nella sofferenza. Ma la comunità cristiana, spiega don Sergio Nicolli, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia, non si limita a ricordare dei principi. C’è tutto un mondo di persone che si spende per alleviare i disagi altrui e le diocesi in quest’occasione ne valorizzeranno il protagonismo. Un mondo che non è nato ieri. Come non da ieri la fragilità è al centro della vita ecclesiale. «La riflessione si articolerà in un triennio dedicato, dopo il convegno di Verona, al tema della fragilità. A come vivere dignitosamente e far sprigionare la vita in tutte le condizioni», ricorda il sacerdote. Dopo quest’anno, dedicato al soffrire, si pensa di proseguire mettendo al centro disabilità e povertà.
Quest’anno la giornata cade, però, tra le preoccupazioni destate dal caso Englaro.
Che è diventato emblematico di tante situazioni analoghe. E richiama un mondo di problemi che ricadono sulle famiglie, che non vanno lasciate sole. In casi come questi forse più che la persona malata, infatti, a soffrire è la famiglia. C’è tutto un contesto di relazioni che vengono messe in moto. E questa possibilità non può essere cancellata con la soppressione della persona. Non è la soluzione del problema. Si tratterebbe, poi, di far morire Eluana di fame e di sete e quindi di sottoporla a una sofferenza, che lei forse non potrà esprimere, ma che in ogni caso è una crudeltà. Ci si meraviglia di come possa essere prospettata una soluzione del genere.
Tra le scorciatoie per evitare disagi e sofferenze, c’è l’aborto. Anche qui ci si limita solo a dire dei «no»?
In tutte le diocesi ci sono centri di aiuto alla vita attraverso l’accoglienza delle madri. Sono una forma concreta di attenzione a loro e al nascituro. Il suo diritto a vivere non bisogna solo pretenderlo, ma anche sostenerlo economicamente e logisticamente. Ci sono poi iniziative che guardano al post-aborto. Dunque, non ci si limita a condannare, ma si aiuta chi porta dentro questa sofferenza. Va accompagnato a vivere l’esperienza vera del perdono e a superare il trauma.
Oggi, invece, si tende a rimuovere la sofferenza. E a chi la ricorda viene rinfacciato di volerla quasi imporre. Come risponde?
È tipico della cultura che viviamo: se una apparecchio non va, si chiama il tecnico e si risolve. Ma la sofferenza umana rimane un mistero che non può essere disgiunto dalla vita. La Chiesa guarda in faccia questa realtà. Cosa possiamo fare per alleviare il dolore, per far sì che non contraddica la grandezza e bellezza della vita?
Molte iniziative che vanno verso la
terapia del dolore vedono proprio l’impegno di credenti.
Certo, non c’è nessuna scelta masochista, né la valorizzazione della sofferenza in sé. Quando questa non può essere vinta, però, bisogna fare in qualche modo scaturire le grandi possibilità che sprigiona. Il dolore, infatti, può sì schiacciare, ma molti lo hanno vissuto con tale ricchezza da confortare anche gli altri.
Quest’anno si mette a tema anche il ruolo delle badanti. Perché?
Perché al di là delle situazioni di grave disabilità, oggi l’innalzamento dell’età porta a una dipendenza necessaria da persone che possono dare una mano a vivere con dignità e serenità. Il fenomeno delle badanti non deve, però, essere considerato un ripiego. Spesso queste persone lasciano le loro famiglie per occuparsi dei nostri anziani. La stima e l’apprezzamento che i vescovi esprimono per loro si deve tradurre in uno sguardo di benevolenza. Senza avere pretese impossibili o pensare che oggi ci servono, ma poi le possiamo scaricare.
LA VICENDA DI ELUANA - «Con questa giurisprudenza a rischio diritti fondamentali» - Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale: da un simile indirizzo possono discendere conseguenze gravi per la difesa della persona La presunzione di volontà in questo caso è astratta, anticipata e non raccordata allo stato esistente della paziente. E l’elemento del consenso deve essere garantito senza essere affidato alle valutazioni di un terzo come il tutore- DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO – Avvenire, 31 Gennaio 2009
Il giurista Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, segue da Venezia, dove è impegnato in un convegno di studi, la relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2008, presentata dal presidente della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone. Non entra in tutte le vicende richiamate dall’alto magistrato, ma non condivide i toni entusiastici sulla affermazione dei diritti fondamentali della persona ad opera di alcune sentenze della stessa Corte, tra le quali la n. 27145, quella sul caso Eluana. «Non entro nel merito della relazione – dice infatti il professore Mirabelli – perché non ero presente, ma discuto l’indirizzo giurisprudenziale che il presidente Carbone ha richiamato».
Professore, lei ha giù espresso riserve su queste sentenze. Basate su quali motivi?
A mio modo di vedere questo indirizzo giurisprudenziale non rafforza i diritti fondamentali della persona, anzi li pone a rischio perché si muove su una linea di consenso presunto, dedotto addirittura da uno stile di vita dal quale è difficile desumere delle conseguenze così gravi. Questa linea giuriprudenziale, oltretutto, non tiene conto del principio del consenso informato che è un presupposto a garanzia del diritto della persona. Sotto questo aspetto contraddice anche lo stesso indirizzo giurisprudenziale che viene ricordato e che riguarda il non consenso per la trasfusione di sangue. La Cassazione, infatti, affermò che anche quando vi è uno scritto (nel caso specifico era «niente sangue »), si procedesse ugualmente alla trasfusione, perché questo dissenso precede e non segue l’informazione che riguarda l’attualità della situazione. Anche in quel caso si disse che la volontà della persona o la volontà dichiarata è superata perché è una volontà che non si basa sul consenso informato. Tutto questo contraddice la giurisprudenza che si riferisce alla sentenza sull’alimentazione assistita.
Il presidente Carbone, però, richiama con compiacimento questa giurisprudenza perché avrebbe consolidato certi diritti della persona.
Ripeto: non voglio esprimere valutazioni positive o critiche all’impostazione del presidente Carbone, che rispetto come enunciazione autorevole, ma essendo riferita a indirizzi giurisprudenziali della Corte, ritengo siano criticabili proprio questi indirizzi. Per quale motivo?
Perché offrono un elemento di minore protezione e non di affermazione dei diritti fondamentali della persona, che quella sentenza determina, sia in rapporto al consenso presunto sia in assenza di un consenso informato che, invece, viene ritenuto il cardine dell’autodeterminazione della persona. Tanto che quando queste determinazioni sono espresse con la richiesta di non procedere alla trasfusione di sangue, la stessa Cassazione dice di no e, anzi, stabilisce che si proceda a trasfusione in caso di pericolo di vita, perché quel consenso precede e non segue l’informazione.
Il presidente della Cassazione dice invece che la giurisprudenza recente della Corte legittima il diritto delle persone alla autodeterminazione, quasi come se fosse senza condizione.
Qui si introduce un altro problema: entro quali limiti quella volontà della persona vale. Certamente, rispetto a trattamenti sani- tari obbligatori, la scelta della persona vale. Ma con altrettanta sicurezza non c’è il diritto di morire. L’ordinamento non lo prevede. C’è il diritto di rifiutare trattamenti sanitari imposti. Va poi stabilito se l’alimentazione sia o meno un trattamento sanitario. Il nodo giuridico reale però è l’indebolimento forte dei diritti della persona, perché il consenso è presunto, mentre deve essere esplicito e formalizzato per le questioni più importanti che attengono alla vita. Qui abbiamo una presunzione astratta anticipata e non raccordata allo stato esistente.
La giurisprudenza richiamata da Carbone dice che se esistono i requisiti della consapevolezza, dell’informazione e dell’autoresponsabilità, la libera esplicazione di questi diritti non è sottoposta a nessun altro interesse...
Certamente è preminente l’interesse della persona, ma proprio in situazione di tanta delicatezza va garantita l’elemento del consenso senza essere affidato alle valutazioni di un terzo, in questo caso il tutore o altri soggetti. L’autodeterminazione, per essere tale, presuppone il consenso informato che richiede l’attualità e, quindi, un rapporto dialogico tra medico e paziente. Si dice che per le persone incapaci questo non è possibile. Ma ci possono essere altri che si sostituiscono alla loro volontà? Direi proprio di no. La legge deve disciplinare anche questo ambito in coerenza con i principi e con le garanzie che sono necessarie per la tutela dei più deboli. Questo è un settore nel quale non opera adeguatamente un diritto giurisprudenziale. Quando il legislatore tace, la giurisprudenza interviene sui diritti fondamentali, ma offre solo rimedi inadeguati. Occorre una soluzione normativa.
Avvenire, 31 Gennaio 2009 - IL CASO - Formigoni: «Eluana respira, ha una vita piena»
Eluana Englaro «respira, ha una vita piena», e poi «non ci sono ancora leggi che parlano del fine-vita e c'è una magistratura che non chiarisce». Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, torna sul caso Englaro, e non ha dubbi: «il servizio sanitario nazionale non ha alcun protocollo sul tema e la sentenza (di Corte d'appello, Cassazione e Tar, ndr.) non sospende niente. Noi delle Regioni siamo tra due fuochi dal punto di vista giuridico. E io sono orgoglioso di tutelare una vita».
Quella vita «dovuta ai progressi della medicina la dico piena», insiste il governatore lombardo, «non la augureremmo a nessuno, ma suscita amore, no? Sappiamo che cosa passa nelle teste di queste persone? Aiutiamole per come possiamo».
E spiega: «Il mio amico Gianni, di cui Repubblica ha scritto, sta nella stanza accanto a Eluana e io lo vado a trovare. Gianni è lui, respira, dorme, si sveglia, sbadiglia, si agita, ogni secondo nella sua vita avvengono cose. Come si fa a dire che è un vegetale? Se esiste una minima possibilità di risveglio, non si perde la speranza».
Da qui la richiesta: «Domando alla magistratura cose più chiare. C'è incertezza. Meglio dieci colpevoli fuori che un innocente in galera, non si dice così? E allora meglio dieci casi incerti, che uno vivo mandato a morte».
1) Le ambiguità dietro i diritti dei disabili e delle persone omosessuali - Il commento dell'Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'ONU
2) L’uomo di fronte al male: quale speranza? - Monsignor Bruno Forte interviene all’ultimo incontro della Pastorale Universitaria - di Luca Marcolivio
3) 30/01/2009 16:57 - SRI LANKA - Legge anti-conversione: le minoranze temono una stretta sulla libertà religiosa di Melani Manel Perera - Presentata a gennaio dal partito dei monaci buddisti, a febbraio potrebbe essere varata. Lo scopo è prevenire il passaggio da una religione all’altra per pressioni o in cambio vantaggi economici. Il progetto era già stato proposto nel 2004, ma la Corte suprema ne aveva dichiarato l’incostituzionalità. Le chiese protestanti già attive nelle proteste; preoccupati i cattolici che attendono un pronunciamento dei vescovi.
4) 30/01/2009 14:14 – PAKISTAN - Rischia la vita l'attivista cristiano arrestato per blasfemia - di Qaiser Felix - Prelevato nella notte da casa con l’accusa di aver mandato un sms dal contenuto blasfemo. Hector Aleem ha visto una sola volta i familiari. Notabili musulmani chiedono alla corte di consegnare l’accusato nelle loro mani per giustiziarlo. La legge contro la blasfemia colpisce anche altre minoranze: arrestati 5 membri della comunità ahmadi, 4 sono minorenni.
5) ABORTO/ “L’eccezione Croazia”: un esempio da seguire - Redazione - sabato 31 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
6) CHIESA/ Il significato del ritiro della scomunica ai lefebvriani e il fumo dei media - Aldo Cerefogli - sabato 31 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
7) La denuncia della Chiesa in occasione del Forum sociale di Belém - Tratta di esseri umani L'allarme dal Brasile – L’Osservatore Romano, 31 Gennaio 2009
8) Quattrocento città del mondo in preghiera per 24 ore - Giornata internazionale per la pace in Terra Santa – L’Osservatore Romano, 31 Gennaio 2009
9) CONFUSIONE TRA POLITICA E BIOETICA - SE I GIUDICI FALSANO L’IMMAGINE DI MALATI E MEDICI - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 31 gennaio 2009
10) LA GIORNATA PER LA VITA - Il direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia: c’è tutto un mondo di persone che si spende per alleviare i disagi altrui e le diocesi ne valorizzeranno il protagonismo - «Eutanasia e aborto? Fuga dalla sofferenza» - Don Nicolli: la Chiesa offre aiuto e speranza - «Sul caso Eluana ci si meraviglia di come possa essere prospettata la morte per fame e per sete, che è una crudeltà» - DA ROMA GIANNI SANTAMARIA – Avvenire, 31 gennaio 1009
11) LA VICENDA DI ELUANA - «Con questa giurisprudenza a rischio diritti fondamentali» - Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale: da un simile indirizzo possono discendere conseguenze gravi per la difesa della persona La presunzione di volontà in questo caso è astratta, anticipata e non raccordata allo stato esistente della paziente. E l’elemento del consenso deve essere garantito senza essere affidato alle valutazioni di un terzo come il tutore- DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO – Avvenire, 31 Gennaio 2009
12) Avvenire, 31 Gennaio 2009 - IL CASO - Formigoni: «Eluana respira, ha una vita piena»
Le ambiguità dietro i diritti dei disabili e delle persone omosessuali - Il commento dell'Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'ONU
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 30 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Negli ultimi tempi, la posizione espressa dalla Santa Sede in relazione alla Convenzione sulle persone disabili e alla Dichiarazione sull'orientamento sessuale, l'identità di genere e i diritti umani ha suscitato non poche critiche.
In questo contesto, l'Arcivescovo Celestino Migliore, Nunzio Apostolico e Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha spiegato in un'intervista rilasciata a Il Regno ciò che la Chiesa pensa al riguardo.
Circa la Convenzione sulle persone con disabilità, il presule ha affermato che, "pur riconoscendone l'importanza e l'urgenza di attuazione in molti dei suoi aspetti, la Santa Sede si astenne dal firmarla perché il testo si presta ad avallare l'aborto come modalità della cosiddetta salute riproduttiva".
Nella fase negoziale, la delegazione della Santa Sede ha sottolinea l'ambiguità dell'espressione chiedendo "non che essa fosse espunta, ma che venisse precisata una volta per tutte, così da escludere l'aborto dal ventaglio delle sue accezioni", ma la richiesta non è stata accolta, adducendo che il testo "non intendeva creare nuovi diritti, ma solo assicurare che alle persone con disabilità venisse riconosciuto nulla in meno di quanto è riconosciuto a ogni persona", punto sul quale "la Santa Sede era perfettamente d'accordo".
L'intensificazione delle pressioni da parte dei sostenitori dell'aborto per lo sbarramento della proposta ha fatto emergere il fatto che "la posta in gioco non era più la sola tutela giuridica delle persone disabili - compiutamente espressa nella proposta della Santa Sede -, ma l'uso di questa Convenzione per far avanzare un discorso che, tra l'altro, mina la consistenza di un vero sistema di protezione legale di ogni persona", ha dichiarato.
Quanto alla Dichiarazione sull'orientamento sessuale, l'identità di genere e i diritti umani, presentata dalla presidenza francese dell'Unione Europea, monsignor Migliore ricorda che consta di 13 paragrafi, tre dei quali chiedono l'abrogazione di ogni legge penale e la cessazione di qualsiasi forma di violenza perpetrata contro persone appartenenti alle due categorie menzionate nel titolo.
"Non si parla mai esplicitamente di depenalizzazione dell'omosessualità - osserva -. Vengono, invece, usate le categorie di orientamento sessuale e identità di genere", che però "non sono né riconosciute, né univocamente definite nel diritto internazionale e, pertanto, sono suscettibili di essere interpretate e definite secondo le intenzioni di chi a esse si riferisce".
"Se venissero accolte nel loro stato fluido e imprecisato, come chiede la dichiarazione, ciò causerebbe una grave incertezza del diritto", constata.
"Uno dei possibili travisamenti è che, se uno Stato o una comunità religiosa rifiutassero di celebrare il matrimonio per le coppie dello stesso sesso o di riconoscerne le adozioni infantili, sarebbero suscettibili di violare queste clausole antidiscriminatorie e passibili di sanzioni; in casi estremi, i ministri religiosi potrebbero addirittura ricevere un'ingiunzione a celebrare tale tipo di 'matrimoni'".
Paragonando la Chiesa a Stati come l'Arabia Saudita, il Sudan, la Nigeria, gli Emirati Arabi e l'Iran, che prevedono la pena di morte per l'omosessualità, monsignor Migliore sostiene che alcuni media hanno "commesso un misero autogoal".
La Santa Sede, infatti, esorta in modo deciso "singoli e Stati a mettere fine a ogni forma di violenza e di ingiusta discriminazione contro le persone omosessuali".
Ricordando poi il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, l'Arcivescovo Migliore ha sottolineato il contributo della Chiesa alla riflessione sui diritti umani, che "non è mai disgiunto dalla prospettiva della fede nel Dio creatore".
"Trattandosi di diritti che hanno a che vedere con la vita e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli - ha osservato -, il discernimento prevede che ci si chieda ogni volta se le problematiche che si vogliono riconoscere come nuovi diritti promuovano un vero bene per tutti e in quale rapporto stiano con gli altri diritti e con le responsabilità di ognuno".
Tra i diritti, fondamentale è quello alla libertà religiosa. Per il presule, "da una parte ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi specifici criteri di misura", dall'altra "è necessario accogliere le vere conquiste dell'Illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione".
L’uomo di fronte al male: quale speranza? - Monsignor Bruno Forte interviene all’ultimo incontro della Pastorale Universitaria - di Luca Marcolivio
ROMA, venerdì, 30 gennaio 2008 (ZENIT.org) – Anche nei complessi e impegnativi intrecci della modernità, l’unica via di uscita alla tragedia del male rimane il sacrificio in croce di Nostro Signore Gesù Cristo. L’impegnativo tema è stato affrontato nell’incontro “L’uomo di fronte al male: quale speranza?”, tenutosi ieri sera al Teatro Argentina, nell’ambito dei “Giovedì culturali nell’anno paolino”, promossi dalla Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma.
Momento centrale dell’evento sono stati gli interventi di monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti e Vasto, e di Pierluigi Celli, direttore generale della Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli”. Le relazioni di Forte e Celli sono state alternate a letture, sketch recitativi e intermezzi musicali del Coro Internuniversitario di Roma, anch’essi centrati sul dramma del male.
Monsignor Forte ha esordito citando L’idiota, una delle opere più importanti di Fëdor Dostoevskij: “Quale bellezza salverà il mondo?, domanda il giovane nichilista Ippolit, morente di tisi, al principe Myskin, metafora dell’uomo innocente che soffre per i mali dell’umanità”.
“In altre parole – ha proseguito Forte – come può la vita essere bella di fronte alle guerre, alla fame, e al male che ci attanagliano? Interrogarsi sul male, alla fine, è sempre interrogarsi su Dio e domandarsi perché Egli permette il male. A molti la coesistenza di Dio e del male può risultare insopportabile, conducendoli alla disperazione e alla bestemmia”.
“Per uscire da questo tunnel di disperazione, dobbiamo cambiare la nostra idea di Dio, riflettendo su Cristo crocifisso. Nella tragedia del male, Dio non è affatto spettatore distaccato; al contrario Egli, il Bene Assoluto, ha fatto “suo” il male, che non gli appartiene e che è un frutto perverso delle scelte degli uomini”, ha aggiunto il vescovo.
“La Verità non è affatto qualcosa di astratto che io posso possedere ma, al contrario, Qualcuno di concreto che mi possiede”, ha detto monsignor Forte a conclusione del suo primo intervento.
È seguita la prima relazione di Pierluigi Celli che, ha riflettuto sul problema del male da cristiano laico, sulla scorta di una quarantennale esperienza di manager e dirigente di grandi aziende pubbliche e private. “Al giorno d’oggi i giovani sotto vittime del male, nella misura in cui lo subiscono. La radice di tutti i mali credo sia la negazione della speranza”, ha esordito Celli.
Altro fattore di negatività per la gioventù odierna, ad avviso di Celli, è l’assenza di identità. “Identità, significa la possibilità per chiunque di raccontare una storia edificante in cui potersi rispecchiare. Riconoscere l’identità di qualcuno significa attribuire senso ed importanza a quella persona”.
“Si tendono, invece, a perseguire interessi personali, attorno a cui circolano riconoscimenti ‘rattrappiti’. A fronte del crollo di tutte le ideologie, c’è ancora un’etica dei valori che non ha nulla di ideologico e di fronte alla quale ognuno di noi è chiamato ad uno sforzo di responsabilità”, ha detto ancora il direttore generale della Luiss.
“La responsabilità ci chiama a riscoprire i nostri fini, oggi piuttosto indefiniti ed oscurati da una pluralità sterminata di mezzi. Se i mezzi prendessero il posto dei fini, tutta la nostra attenzione finirebbe concentrata su noi stessi e sul presente, escludendo del tutto gli altri e il futuro”, ha aggiunto Celli.
Nella seconda parte della conferenza, i relatori hanno suggerito le loro personali e costruttive risposte al problema del male. “Una prima sfida sta nel recuperare la capacità d’ascolto, oggi quasi completamente scomparsa nella comunicazione pubblica - ha osservato Pierluigi Celli -. “In secondo luogo, riscoprire la voglia di innovazione, anche a rischio di essere bollati come ‘eretici’ dalla società”.
La sfida più grande in assoluto, secondo Celli, risiede però nell’amore. “Mi viene in mente il Re Lear di Shakespeare, in cui il protagonista, nel distribuire l’eredità alle tre figlie, dichiara di voler privilegiare quelle che più lo hanno amato”.
“Le prime due figlie di Re Lear hanno sempre detestato il padre, tuttavia si rivelano brave a simulare il contrario, ingannando il sovrano e accaparrandosi i privilegi ereditari. La terza figlia è quella che lo amato come padre e non come re e, convinta di non dover dare dimostrazione del suo affetto, viene diseredata”, ha poi concluso Celli.
Monsignor Forte, da parte sua, tornando all’iniziale metafora dostoevskiana, ha paragonato il silenzio del principe Myskin di fronte al suo interlocutore, alla mancata risposta di Gesù alla domanda di Pilato ‘Cos’è la Verità’, che sottintende la Verità del Dio fatto uomo e lasciatosi uccidere barbaramente per amore agli uomini.
Forte ha poi chiamato in causa il pensiero di Immanuel Kant, che, riflettendo da laico sul dilemma del male, “comprese l’esistenza di un principio avversario del bene che non esitò a chiamare spirito maligno”.
“Specularmente c’è molta ‘laicità’ anche in San Paolo quando dice: “non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio.” (Rm 7).
Affermazioni del genere, non possono che favorire il dialogo tra credenti e non credenti, ad avviso di monsignor Forte che, in conclusione, ha ricordato un detto popolare napoletano: “Si può vivere senza sapere perché ma non si può vivere senza sapere per Chi”.
30/01/2009 16:57 - SRI LANKA - Legge anti-conversione: le minoranze temono una stretta sulla libertà religiosa di Melani Manel Perera - Presentata a gennaio dal partito dei monaci buddisti, a febbraio potrebbe essere varata. Lo scopo è prevenire il passaggio da una religione all’altra per pressioni o in cambio vantaggi economici. Il progetto era già stato proposto nel 2004, ma la Corte suprema ne aveva dichiarato l’incostituzionalità. Le chiese protestanti già attive nelle proteste; preoccupati i cattolici che attendono un pronunciamento dei vescovi.
Colombo (Asianews) - Un progetto di legge anti-conversione dal 6 gennaio attende il pronunciamento del parlamento; entro febbraio potrebbe essere varato. Sui media nazionali il tema non riceve particolare attenzione e la popolazione si interroga su rischi e opportunità di tale proposta. L’obiettivo principale della normativa dovrebbe essere quello di prevenire le conversioni "forzate", di chi decide di passare da una religione ad un’altra a seguito di pressioni o in cambio di soldi e vantaggi economici.
Il progetto vanta il sostegno del Jathika Hela Urumaya (Jhu), il partito fondato dai monaci buddisti nel 2004, che è tra i principali promotori. Il capo dell’opposizione, Joseph Michael Perera, ha chiesto due dibattiti in aula sul tema poiché la legge tocca tutte le religioni, diverse organizzazioni, i partiti politici e soprattutto rischia di ledere l’armonia tra le diverse confessioni nell’isola.
Degli oltre 20milioni di abitanti dello Sri Lanka il 68% sono buddisti, l’11% indù, il 9% musulmani e il 6,8% cristiani.
La proposta del Jhu trova l’approvazione della stragrande maggioranza dei buddisti. Un giovane studente universitario afferma ad AsiaNews che “questa legge è necessaria così come serve che il governo distrugga Ltte [i ribelli delle Tigri tamil Ndr]. Dobbiamo liberarci di tutti i cristiani che convertono, preti e pastori che distruggono la nostra cultura singalese-buddista. I cristiani stanno vivendo in questa terra pacificamente grazie al grande buddismo…. altrimenti sarebbero stati spazzati via”. Dello stesso tenore l’affermazione di un uomo d'affari che dice: “Non c’è posto per il multi-religioso, multi-etnico e il multi-culturale. Questa è l’unico e puro Paese buddista e sinhala al mondo”.
Il progetto di legge presenta aspetti controversi poiché non sono chiari i termini entro cui una conversione può essere considerata forzata. Le attività caritative e di aiuto ai poveri potrebbero infatti essere incluse tra le azioni punibili con condanne sino a sette anni di reclusione o multe sino a 500mila rupie (poco meno di 3.500 euro).
Già nel 2004 il Jhu aveva presentato il progetto di legge sollevando le critiche soprattutto delle comunità cristiane. Rispondendo all’appello della National Christian Evangelical Alliance la Corte Suprema aveva dichiarato incostituzionale due punti della legge che violavano l'articolo 10 della Costituzione dedicato alla libertà religiosa e alla possibilità del singolo individuo di abbracciare un credo a propria scelta.
La conferenza dei vescovi cattolici aveva inviato ai parlamentari una lettera per allertare sui “terribili pericoli” che l’approvazione del testo avrebbe comportato. Lavorando insieme al consiglio nazionale della chiese cristiane e ad alcuni leader indù e musulmani aveva manifestato la sua opposizione al progetto e nel contempo messo in guardia alcune frange cristiane fondamentaliste dallo sfruttare il dibattito per nuocere alla convivenza delle diverse confessioni nel Paese.
Anche per questo nuovo capitolo della legge anti-conversione le comunità protestanti hanno già cominciato manifestare il loro dissenso. Il 26 gennaio le Chiese evangeliche hanno organizzato un momento di preghiera collettivo al Vihara Maha Devi Park di Colombo. Più defilata appare per ora la posizione delle gerarchie cattoliche. Le comunità attendono un pronunciamento. Un semplice fedele interpellato sul tema afferma: “Attendiamo che i nostri vescovi e padri prendano iniziativa e compiano passi per il bene della nostra fede. Abbiamo bisogno di una società unita. Abbiamo bisogno che i leader della Chiesa si esprimano e manifestino a voce unanime la nostra opposizione a questa legge terribile”.
30/01/2009 14:14 – PAKISTAN - Rischia la vita l'attivista cristiano arrestato per blasfemia - di Qaiser Felix - Prelevato nella notte da casa con l’accusa di aver mandato un sms dal contenuto blasfemo. Hector Aleem ha visto una sola volta i familiari. Notabili musulmani chiedono alla corte di consegnare l’accusato nelle loro mani per giustiziarlo. La legge contro la blasfemia colpisce anche altre minoranze: arrestati 5 membri della comunità ahmadi, 4 sono minorenni.
Islamabad (AsiaNews) - È in pericolo di vita il pacifista cristiano, Hector Aleem, arrestato con l’accusa di blasfemia il 22 gennaio scorso nella capitale pakistana. Ad affermarlo ad AsiaNews è la figlia di 24 anni, Mehvish, che racconta di una folla di notabili musulmani che il 27 gennaio si sono presentati negli uffici del tribunale chiedendo la consegna di Aleem per giustiziarlo.
L’Anti terrorism court (Act) ha già rinviato più volte il giudizio del 55enne direttore dell’ong Peace Worldwilde prolungando i tempi della custodia cautelare e consegnandolo alla protezione della stazione di polizia di RA Bazaar.
“La situazione è molto tesa”, spiega la figlia di Aleem. “La polizia non ci ha dato il permesso di vedere nostro padre quando è stato portato alla corte il 27 gennaio per paura degli estremisti. Ho visto che tutti sono sotto la pressione degli esperti di diritto musulmani e questo è il motivo per cui non otteniamo giustizia”.
Mehvish Aleem spiega che “durante questa triste vicenda abbiamo potuto incontrare nostro padre una volta sola grazie all’aiuto di Joseph France”, responsabile del Center for Legal Aid Assistance and Settlement (CLAAS) e difensore dell’attivista pakistano.
Hector Aleem è stato arrestato tra il 21 e 22 gennaio. La moglie racconta che nel mezzo della notte “persone con la divisa della polizia e in abiti civili hanno fatto irruzione in casa”. Dopo aver messo sottosopra la casa e terrorizzato l’intera famiglia hanno cercato di portare via anche il figlio 13enne, David John”.
L’accusatore del direttore di Peace Worldwilde è un militante di un’organizzazione islamica. Afferma che Aleem ha mandato con un messaggio dal contenuto blasfemo con il cellulare.
In tutto il Paese i casi di accusa di blasfemia sono numerosi e riguardano anche musulmani. E' di oggi la notizia che 5 persone appartenenti alla minoranza islamica degli ahmadi - considerati eretici - sono stati arrestati con l’accusa di aver scritto frasi denigratorie verso Maometto nei bagni della moschea del villaggio di Chank nella provincia del Punjab.
Tra gli arrestati un adulto di 45 anni e quattro ragazzi, un 16enne e tre 14enni. Il portavoce degli ahmadi afferma che dall’introduzione della legge contro la blasfemia in Pakistan (1986) al dicembre 2008, sono stati arrestati con questa accusa 266 membri della comunità.
ABORTO/ “L’eccezione Croazia”: un esempio da seguire - Redazione - sabato 31 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
In Croazia, dal 1985 al 2005, gli aborti sono diminuiti del 91,1%. Siamo di fronte a un vero e proprio crollo. La fonte è certa: l’Istituto Nazionale Croato per la Salute pubblica. I numeri dicono che nel 1989, ultimo anno del regime comunista, si sono avuti 40.000 aborti volontari contro i 4.600 del 2005.
Un dato statistico del genere è così sconvolgente che avrebbe dovuto scatenare analisti, sociologi, psicologi; produrre convegni e tavole rotonde ai più alti livelli. E invece niente. “L’eccezione Croazia” in tema di aborto, caso unico al mondo, nonostante i numeri clamorosi che la stanno accompagnando, ha avuto un’eco minima sui media.
Tra le poche voci che hanno rotto questo silenzio, vi è stato un prezioso articolo dell’ottimo Antonio Gaspari su Zenit, non a caso agenzia cattolica. E sì, perché il motivo in grado di spiegare l’anomalia croata (non solo in tema di aborto, lo vedremo poi) è da individuare proprio nella fede cattolica del suo popolo, una fede che nel tempo si è conservata salda e profonda.
In particolare, i croati non sono mai venuti meno alla devozione verso la Vergine, sviluppatasi nel corso dei secoli per mezzo di santi (gli apostoli del popolo slavo Cirillo e Metodio), Papi (Giovanni IV), imperatori (Eraclio), monaci (i benedettini francesi e poi quelli di Montecassino). E oggi confermata dalle apparizioni mariane della vicina Medjugorje.
Ora, se è vero che la lettura di questi nessi causali (in sintesi: più fede, meno aborti e drammi sociali) è assolutamente pacifica per il popolo croato, nutriamo qualche dubbio sul fatto che i nostri esperti di statistica - in una realtà culturalmente ingessata come quella italiana - reputino queste relazioni causa-effetto degne di essere illustrate. Eppure le cose stanno esattamente così, vediamo perché.
La Chiesa croata, con una paziente azione pastorale, negli ultimi decenni ha contribuito a una profonda ricostruzione del tessuto sociale, completamente sfilacciato dopo lunghe stagioni di iniezioni di ideologia comunista. L’azione educativa della Chiesa cattolica ha portato a una vera e propria rivoluzione nei costumi sociali. Non c’è solo il crollo dell’interruzione volontaria di gravidanza (che di certo non si spiega solo con il fatto che non sia gratuita), anche gli altri dati ufficiali riservano sorprese. La Croazia va in controtendenza rispetto all’emergenza denatalità (è in crescita il numero di famiglie con tre figli) e ha una percentuale di divorzi, nonché di persone affette da Hiv, tra le più basse d’Europa.
Va detto che la gente croata ha vissuto sulla propria pelle cosa significa abitare una società da cui si è cercato di cancellare il sentimento religioso con la violenza. La filastrocca pro Tito “Sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito”, a significare la sua abilità nel tenere insieme tante diversità, tace sul fatto che il mezzo utilizzato è stato il sistematico sopruso (prova ne è che all’indomani della sua morte qualsiasi legame fra le varie etnie è sanguinosamente franato).
La storia dell’ex Jugoslavia è tutt’altro che una filastrocca. La verità parla di intellettuali scomodi uccisi e incarcerati dai comunisti titini, di migliaia di chiese distrutte, di centinaia di sacerdoti sterminati; per umiliare la fede del popolo si è arrivati persino ad arare i cimiteri.
A dare credibilità alla voce della Chiesa contribuiscono anche le luminose testimonianze dei suoi figli. Quella dell’Arcivescovo di Zagabria Luigi Stepinac, per esempio, condannato da Tito a sedici anni di lavori forzati perché oppostosi alla creazione di una chiesa separata da Roma. Dalla sua morte, avvenuta nel 1960, nonostante l’opposizione del regime, la sua tomba è diventata meta di continui pellegrinaggi. Giovanni Paolo II, nel 1998, proclamerà Stepinac beato.
È anche a causa di queste storie - numerose e ben ancorate nella memoria del popolo - che oggi le persone si fidano degli insegnamenti proposti dal Magistero della Chiesa, mostrando tra l’altro di essere al riparo da quel rischio di “statolatria” recentemente paventato da Mons. Antonio Amato.
«Non promuoviamo le posizioni cattoliche perché sono cattoliche, ma perché sono le migliori. Migliori per tutti, non solo per i cattolici». Questo è il limpido motto del “Centro per la Vita” di Zagabria, una delle più importanti associazioni a difesa della vita e della famiglia.
Questo slogan è anche una perfetta sintesi dell’azione educativa della Chiesa nel mondo. Al cui cospetto le accuse di ingerenza, che regolarmente si alzano ormai dappertutto (Italia compresa) appaiono, in tutta sincerità, alquanto puerili.
Anche in Italia bisognerà che prima o poi qualcuno risponda a un quesito per nulla scontato. Il vertiginoso aumento dei divorzi (pari al 70% negli ultimi 10 anni), un tasso di natalità tra i più bassi del mondo, gli oltre 4 milioni e 600 mila vite abortite dall’introduzione della legge 194 a oggi, sono piaghe sociali da combattere o eventi fisiologici con cui convivere?
La domanda purtroppo non è retorica. Se così fosse, non si spiegherebbe l’ostilità, spesso rabbiosa, nei confronti di una Chiesa che quei drammi non li nasconde ma li combatte. E anche con successo, specie quando non è lasciata sola (l’esempio croato è lì a dimostrarlo).
Molto meglio - qui sta il punto - inaugurare una nuova collaborazione tra Stato e Chiesa al fine di formare le nuove generazioni. Dare avvio a un vero e proprio “patto” per la costruzione di un piano educativo comune, costituirebbe un’operazione di rinnovamento culturale enorme, la sola in grado di fermare la deriva del nostro paese. A gridarne la scandalosa urgenza basterebbero semplicemente i fatti di cronaca di ogni giorno.
In Croazia (ovviamente non senza qualche atteggiamento restio) quest’alleanza è già operante. Molti programmi educativi statali sono tranquillamente sponsorizzati dalla Conferenza Episcopale Croata. Alcuni di questi sono anche approvati dal Ministero dell’Educazione, ragion per cui sono diffusi e utilizzati nelle scuole di ogni ordine e grado. Tutto ciò senza nessuno scandalo. Anzi, con un grande senso di gratitudine da parte del popolo, il quale non vuole più vivere “etsi Deus non daretur”, come se Dio non esistesse.
La spassionata difesa della vita da parte della Chiesa cattolica (ribadita dalla Cei nell’Istruzione “Dignitas personae”), che non permette incertezze nella difesa dell'embrione e della sua dignità, che vuole impedire manipolazione della vita umana, nuove aberrazioni, attenta a evitare che l’utile abbia la meglio sul giusto e che il desiderio diventi diritto, non è altro, a ben vedere, che l’invito ai popoli di ogni tempo a non autocensurare quel bene immenso che è la ragione umana. Quella ragione che è esattamente il terreno comune di Stato e Chiesa.
Il popolo croato sembra averlo capito. E noi?
(Valerio Pece)
CHIESA/ Il significato del ritiro della scomunica ai lefebvriani e il fumo dei media - Aldo Cerefogli - sabato 31 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
Chi si intende di cose religiose sa che in questo periodo la Chiesa ha celebrato la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Chi è digiuno di questi argomenti non sa forse con precisione di che cosa si tratti. In sostanza: i cattolici da decenni si fanno promotori di unità con le varie confessioni cristiane (battisti, luterani, ortodossi, anglicani, e chi più ne ha più ne metta). Si prega per più di una settimana perché scismi, divisioni e altre lacerazioni dell'unica Chiesa vengano composte in unità. Una nobile causa, non c'è che dire. Un solo ovile, un solo pastore: sono parole di Cristo.
Attenzione però a non confondere: l'unità dei cristiani non è l'unificazione con altre religioni: buddismo, ebraismo, islamismo e quant'altro la fantasia e la storia umane ci offrono. Questo è, tecnicamente parlando, l'ecumenismo: altra cosa per la quale, peraltro, l'impegno dei cattolici è noto.
Sia l'unità dei cristiani sia l'ecumenismo sono temi attuali e scottanti. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono esempi lampanti di impegno costante e tenace in questo senso, con disponibilità e pazienza. Chi conosce la storia delle religioni del nostro tempo sa che con questi Papi sono stati fatti, rispetto al passato, veri passi da gigante.
Quest'anno ricorrono anche, proprio il 25 gennaio, alla conclusione della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, i cinquant'anni dalla indizione del Concilio Vaticano II da parte di Giovanni XXIII. Insomma, eventi e celebrazioni si accavallano mostrando come la Chiesa ed il mondo camminano.
La sorpresa è che c'è stato anche un grande e concreto passo in avanti. I cosiddetti lefebvriani, cioè i cattolici tradizionalisti che si oppongono alla moderna liturgia e a certe applicazioni del Concilio Vaticano II, non sono più guidati da vescovi scomunicati, bensì da vescovi perdonati e riaccolti in seno alla cattolicità. Sì, perché la scomunica scattata automaticamente nel 1988 riguardava soltanto quei (pochi) vescovi che avevano celebrato o ricevuto l'ordinazione episcopale senza essere in comunione con il Papa Giovanni Paolo II. Preti e fedeli non sono mai stati scomunicati, questo va ricordato.
Dunque un dono da parte del Papa Benedetto, ma anche una conquista dei fedeli tradizionalisti, che al suono di un milione e settecentomila rosari alla Madonna hanno ottenuto la grazia del perdono dal Vaticano. Il Papa si è mosso perché è stata formulata precisa supplica di perdono e riammissione. Certamente resta ancora molto cammino da fare, restano delusioni da sanare e incomprensioni da chiarire, ma la strada del dialogo, che il coltissimo Benedetto XVI sta portando avanti con tutti nonostante le difficoltà - basti citare laici, musulmani ed ebrei - non permette stasi e ritardi.
Né permette deviazioni estemporanee. Non so bene che cosa sia successo nella mente di quel vescovo che, invece di esultare perché non più scomunicato (i cattolici credono alla scomunica, figuriamoci i tradizionalisti), si è dato al negazionismo. La qual cosa, se è sempre assurda e fuori luogo, lo era certamente in un momento delicato come questo. Che poi certi personaggi televisivi italiani e certi esponenti del mondo ebraico si siano messi a gridare al papa antiebraico e alla Chiesa persecutrice, è cosa da far ridere i polli. Ma come sempre, la calunnia è un venticello....
Il Superiore stesso dei lefebvriani, persona notoriamente politically non correct, si è affrettato a prendere le distanze dalle affermazioni del suo confratello negazionista e gli ha imposto il silenzio sull'argomento. Insomma, le cose umane sono difficili e i terreni minati sono tanti e restano tali. Nostro compito di esseri pensanti è cercare notizie autentiche e ricostruire la verità dei fatti e delle posizioni. Buon lavoro a chi ci sta.
Comunque, la Chiesa gode di ritrovata pace e gioisce per la riammissione di alcuni suoi figli. I lefebvriani sono sulla buona strada, ora aspettiamo segni di altrettanto desiderio di ritorno da parte degli altri cristiani. I primi in classifica sono gli anglicani, che sono ancora divisi dalla Chiesa per antica scelta di Enrico VIII e ora potrebbero sanare la ferita ritornando a casa. Poi i vari ortodossi (copti, russi, armeni, rumeni...), che sono divisi da Roma solo a livello disciplinare. Sarà certo più dura con i seguaci dei vari riformatori (Lutero, Calvino e altri pensatori), che alla divisione antiromana uniscono vere e proprie divergenze dottrinali e sacramentali.
Chi vivrà vedrà. Passo dopo passo, i fedeli di Cristo ricorderanno quelle sue parole rivolte ad un certo Simon Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa» e toglieranno pietre e pietruzze d'inciampo messe per strada dagli uomini o - per chi crede - dal Maligno.
La denuncia della Chiesa in occasione del Forum sociale di Belém - Tratta di esseri umani L'allarme dal Brasile – L’Osservatore Romano, 31 Gennaio 2009
Belém, 30. La tratta degli esseri umani è una delle questioni affrontate durante i lavori del Forum sociale mondiale in corso di svolgimento in questi giorni a Belém, in Brasile. In particolare a evidenziare la gravità dell'estensione del fenomeno in America latina è il vescovo prelato di Marajó, José Luis Azcona Hermoso. Il presule, assieme ad altri religiosi, è impegnato da anni nel denunciare la moderna schiavitù che riguarda, in particolare, bambine coinvolte nello sfruttamento sessuale.
Il turpe sfruttamento dei minori avviene in una delle aree più povere della nazione, lungo la foce del fiume Rio delle Amazzoni, nello Stato del Parà. Il vescovo ha avuto modo di constatare che tante famiglie vendono per pochi soldi alle organizzazioni criminali, a volte addirittura per un litro di olio o un chilo di farina le proprie figlie che vengono poi mandate all'estero, dove vengono sfruttate sessualmente, cadendo in una rete dove il narcotraffico si mischia con la tratta degli esseri umani.
Monsignor Azcona Hermoso osserva inoltre che il problema si sta estendendo e oramai riguarda non solo il Parà ma anche l'Amapà: "Tante volte noi vescovi - ha affermato all'agenzia Sir - abbiamo parlato di questa piaga sociale che sta crescendo pericolosamente e io stesso sono stato chiamato a testimoniare alla commissione nazionale per i diritti umani, a Brasilia, che sta indagando su questi fatti". Il 14 febbraio il presule sarà nuovamente chiamato a testimoniare ma, a tale proposito, parla anche dell'esistenza "di un silenzio omertoso e di molta paura, soprattutto da quando un deputato dell'assemblea legislativa locale è stato denunciato per lo sfruttamento sessuale di una minorenne".
Secondo il vescovo le pressioni esterne sulla commissione per garantirsi l'impunità sono pesanti. "Si corre un alto rischio a far parte di questa commissione - sottolinea - perché i politici, gli impresari, i latifondisti coinvolti hanno un potere economico molto forte e fanno pressione". E aggiunge: "Chi decide di investigare deve avere una forte posizione etica ed essere molto coraggioso, perché spesso le minacce vengono estese alla famiglia e alla vita professionale".
Poi il presule conclude ribadendo che, nonostante i pericoli, porterà avanti il suo impegno affinché le indagini siano portate avanti.
Al Forum, cui partecipano oltre ottantamila persone in rappresentanza di circa quattromila organizzazioni di centocinquanta Paesi, le riflessioni vertono soprattutto sulla necessità di favorire un nuovo sviluppo e di rafforzare la solidarietà nell'attuale momento storico caratterizzato da una forte crisi finanziaria ed economica. All'appuntamento in terra brasiliana, tra le varie testimonianze, c'è anche quella delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (Acli). Le Acli, che partecipano al Forum sin dalla prima edizione del 2001, a Porto Alegre, in Brasile, sono presenti con una delegazione del dipartimento "Pace e stili di vita", composta da italiani e residenti, cooperanti, collaboratori, giovani del servizio civile, volontari dei progetti di cooperazione e sviluppo promossi nel Paese sudamericano dalla propria organizzazione non governativa "Ipsia". Il responsabile del dipartimento, Alfredo Cucciniello, spiega: "Lavoriamo per la costruzione di un'economia solidale e lo facciamo realizzando progetti in Brasile, come in Africa, ma soprattutto intessendo relazioni con persone, associazioni e organizzazioni della società civile internazionale, delle Chiese locali e delle missioni".
Per le associazioni dei lavoratori la parola d'ordine è "globalizzare la solidarietà". Il responsabile ricorda: "Vogliamo rafforzare la speranza che uscire dalla crisi, costruire un'altra economia fondata non sul profitto di pochi, ma sulla buona vita di tutti, governata da istituzioni rivolte davvero alla giustizia e al bene comune, non è solo un sogno, ma un processo già in atto. E il tempo di crisi può essere un tempo opportuno".
Sul fronte della solidarietà le Caritas nazionali hanno un ruolo fondamentale. Quelle dell'America latina, come è emerso al Forum, hanno focalizzato le loro attenzioni sui temi dello sviluppo sostenibile, l'ambiente, i diritti umani, i processi di pace, le migrazioni e la tratta di esseri umani. Padre Josè Antonio Sandoval, coordinatore di tutte le Caritas dell'America latina e del Caribe, evidenzia che la Chiesa "nonostante le difficoltà continuerà a denunciare tutto ciò che è contro la vita, a partire dalla lotta contro le ingiustizie e la miseria disumanizzante all'eutanasia".
L'auspicio per il continente americano è quello di un nuovo sistema socio-economico: "In America latina - secondo il rappresentante delle Caritas - siamo passati attraverso tre tappe: la dittatura, il neoliberismo e ora la democrazia popolare. Ma non si risolvono tutti i problemi solo perché i Governi sono nati da movimenti sociali e se non si lavora molto, tutti insieme, per trovare un nostro modello di sviluppo".
Della necessità di un nuovo modello di sviluppo ha parlato anche il direttore di "La Civiltà Cattolica", padre Gianpaolo Salvini, intervenendo a un seminario organizzato dalla Caritas italiana sul tema "Giustizia ambientale e conflitti: una sfida per il futuro". Secondo il gesuita, se la Chiesa si dichiara "esperta in umanità", non può disinteressarsi dei problemi ambientali, non per proporre soluzioni scientifiche e tecniche, ma per aiutare a trovare il giusto atteggiamento dell'uomo di fronte alla natura, al pianeta e alle sue risorse". "Per questo - prosegue - se si possono trovare fonti di energia rinnovabili, o non inquinanti o che consentono notevoli risparmi, non si vede perché non debbano essere favorite o incentivate".
Padre Salvini osserva inoltre che è opportuno che la Chiesa si interessi di questi problemi e aiuti a creare spazi per una discussione pacata. E ha poi precisato: "Certamente la Chiesa è contro i movimenti ecologici radicali che, prescindendo dal piano di Dio, divinizzano la natura, subordinando tutto alla protezione dell'ambiente".
La discussione su questo tema appare dunque - evidenzia il gesuita - come un allarme utile, anche per le religioni e la Chiesa, per riscoprire il senso della responsabilità umana che metta sì l'uomo al centro del creato, ma senza poterlo devastare a volontà. Il direttore conclude affermando che "le vittime dei cambiamenti sono oggi, e lo saranno anche domani, i territori e le persone più povere, più vulnerabili perché vivono in zone tropicali e in situazioni precarie".
(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 2009)
Quattrocento città del mondo in preghiera per 24 ore - Giornata internazionale per la pace in Terra Santa – L’Osservatore Romano, 31 Gennaio 2009
Roma, 30. I giovani dei cinque continenti in preghiera per chiedere "Pace in Terra Santa". Una preghiera "no stop" di ventiquattr'ore scandita da celebrazioni eucaristiche e adorazioni ininterrotte in più di quattrocento città del pianeta Da Gerusalemme a Roma, da New York a Cracovia, e poi in Argentina, Brasile, Spagna, Francia con appuntamenti anche in Africa, Australia e Asia. Si celebrerà la santa messa per questa intenzione anche nella parrocchia del Patriarcato latino della Sacra Famiglia a Gaza.
Parteciperà a questa giornata internazionale anche la comunità salesiana della Tipografia Vaticana. Una concelebrazione sarà presieduta sabato mattina dal cardinale Raffaele Farina, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana.
La Giornata internazionale di intercessione per la Pace è stata promossa da alcune realtà giovanili: l'associazione nazionale Papaboys, che lavora affinché tutti conoscano Cristo, restando fedeli a Pietro, direttamente nel cuore della Chiesa; l'apostolato "Giovani per la Vita" che promuove la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, specialmente attraverso la preghiera dell'Adozione spirituale; dalle cappelle dell'Adorazione Perpetua in tutta Italia e nel mondo e dai gruppi di Adunanza Eucaristica, che invitano i giovani a fermarsi per una notte intera in adorazione e in preghiera, per ritrovare l'essenziale della propria vita. La Giornata ha inoltre raccolto l'adesione di molti gruppi di preghiera, di singoli laici e consacrati e di sacerdoti di tutto il mondo. Molte anche le parrocchie salesiane, che il 31 gennaio celebrano la festa del loro fondatore san Giovanni Bosco, delle missionarie della Consolata e dei missionari del Preziosissimo Sangue.
Sono stati dunque i giovani di tutto il mondo a mettere in moto questa iniziativa mondiale esprimendo il loro desiderio anche attraverso la loro adesione nel gruppo "Vogliamo la Pace in Terra Santa" presente sul social network Facebook. Sono a oggi più di quattromila le iscrizioni al gruppo e più di duemila coloro che aderiranno a livello personale dai cinque continenti, ma le adesioni sono destinate a salire.
Per testimoniare la loro adesione come gruppo o associazione o parrocchia basta visitare quindi su Facebook il gruppo sopracitato.
(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 2009)
CONFUSIONE TRA POLITICA E BIOETICA - SE I GIUDICI FALSANO L’IMMAGINE DI MALATI E MEDICI - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 31 gennaio 2009
Spiace rilevare come all’indubbia sapienza giuridica dei nostri magistrati non si unisca una parimenti adeguata sapienza bioetica. Nel solenne e tradizionale discorso tenuto in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario il presidente della Corte di Cassazione Vincenzo Carbone ha tessuto un elogio della ormai fin troppo citata sentenza della Cassazione sul 'Caso Englaro', rimarcando come i giudici abbiano definitivamente consolidato il riconoscimento dell’autodeterminazione terapeutica come diritto assoluto della persona.
Probabilmente, da Carbone, nel suo ruolo di presidente, era difficile a questo punto aspettarsi un discorso di tipo diverso. Ma onestà vuole che si dica che in tal modo, anziché contribuire ad una chiarificazione delle idee (quanto mai necessaria in questi tempi!), egli ha invece favorito quella confusione tra politica e bioetica, che andrebbe accuratamente evitata, pena il consolidarsi di quel pericolosissimo paradigma 'biopolitico', che da tempo sta suscitando dubbi, preoccupazioni e angosce nei bioeticisti.
Se infatti è vero che l’autodeterminazione è un valore 'politico' fondamentale, non è altrettanto vero che sia un valore 'bioetico' dotato di pari valore. Nell’esperienza politica, nella quale entrano in gioco, si confrontano e si scontrano interessi sociali, economici, culturali, ideologici, l’autodeterminazione è un principio di riferimento liberal-democratico di primario rilievo, che va tutelato e promosso attraverso un serio impegno individuale e collettivo: un mancato o anche un carente riconoscimento dell’autodeterminazione non può infatti che aprire la strada a pratiche sociali autoritarie.
Quando passiamo però dall’orizzonte politico all’orizzonte bioetico, quando cioè il 'protagonista' della vicenda non è l’essere umano come attore sociale, ma l’essere umano come 'paziente', il discorso muta profondamente. Il rispetto profondo e sincero che dobbiamo all’autodeterminazione del malato, quel rispetto che ci induce a ritenere ormai definitivamente superata ogni forma di 'paternalismo medico', non può non coniugarsi con la consapevolezza che il paziente, ogni paziente è un soggetto psicologicamente e istituzionalmente debole, fragile, suggestionabile, bisognoso di particolarissime forme di tutela e che l’esaltazione del suo diritto all’autodeterminazione non può che rivelarsi quasi sempre come una formula vuota. Il principio ippocratico della tutela della vita non può essere confuso, come ha fatto la Cassazione, imprudentemente lodata da Carbone, con una 'opzione di valore e di cultura' (opzione, come tutte le opzioni, essenzialmente soggettiva e relativistica): esso è piuttosto da intendere come un dovere giuridico fondamentale, che grava sulla società in generale e sui medici in particolare.
La scienza giuridica, nel suo lavoro plurisecolare, ha interpretato la prospettiva ippocratica elaborando la formula, assolutamente precisa, dell’'indisponibilità della vita': desta meraviglia che il presidente della Cassazione non abbia citato e nemmeno ricordato tale formula. Nel contesto del diritto fondamentale alla salute, il cui rilievo costituzionale è fuori discussione, esiste come diritto fondamentale della persona non quello di autodeterminarsi, ma quello di non essere sottoposto a terapie obbligatorie e coercitive: questo e non altro stabilisce il secondo comma dell’art. 32 della nostra Costituzione. Trasformando il diritto (negativo) di ogni paziente a non essere sottoposto a terapie coercitive nel diritto positivo all’autodeterminazione, la magistratura italiana ha lavorato su di un’immagine fittizia del malato e ha nello stesso tempo umiliato l’immagine dei medici, riducendoli da protagonisti dell’alleanza terapeutica al ruolo di passivi operatori di una sovrana volontà del paziente, spesso purtroppo ipotizzata, piuttosto che dimostrata al di là di ogni dubbio.
Non deve destare quindi alcuna meraviglia che il Parlamento, in implicita polemica con recenti decisioni giurisprudenziali, si sia alla fine impegnato nell’elaborazione di una legge sulla fine della vita umana. Le fughe in avanti della Cassazione hanno eroso la nostra fiducia nella capacità dei magistrati di saper elaborare indicazioni biogiuridiche sagge e soprattutto prudenti, come è indispensabile che si faccia, quando si trattano situazioni estreme e tragicamente controverse. Auguriamoci che il Parlamento legiferi nella consapevolezza che quando è in gioco la vita umana il principio di precauzione ha un’assoluta priorità, anche e soprattutto nei confronti del pur nobile principio di autodeterminazione.
LA GIORNATA PER LA VITA - Il direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia: c’è tutto un mondo di persone che si spende per alleviare i disagi altrui e le diocesi ne valorizzeranno il protagonismo - «Eutanasia e aborto? Fuga dalla sofferenza» - Don Nicolli: la Chiesa offre aiuto e speranza - «Sul caso Eluana ci si meraviglia di come possa essere prospettata la morte per fame e per sete, che è una crudeltà» - DA ROMA GIANNI SANTAMARIA – Avvenire, 31 gennaio 1009
Eutanasia e aborto sono «scorciatoie » per non affrontare la sofferenza, le situazioni di limite e dolore che necessiterebbero, invece, di vicinanza e accompagnamento. Lo hanno ribadito i vescovi nel messaggio per la XXXI Giornata per la vita, che si celebra domani propio sul tema La forza della vita nella sofferenza. Ma la comunità cristiana, spiega don Sergio Nicolli, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia, non si limita a ricordare dei principi. C’è tutto un mondo di persone che si spende per alleviare i disagi altrui e le diocesi in quest’occasione ne valorizzeranno il protagonismo. Un mondo che non è nato ieri. Come non da ieri la fragilità è al centro della vita ecclesiale. «La riflessione si articolerà in un triennio dedicato, dopo il convegno di Verona, al tema della fragilità. A come vivere dignitosamente e far sprigionare la vita in tutte le condizioni», ricorda il sacerdote. Dopo quest’anno, dedicato al soffrire, si pensa di proseguire mettendo al centro disabilità e povertà.
Quest’anno la giornata cade, però, tra le preoccupazioni destate dal caso Englaro.
Che è diventato emblematico di tante situazioni analoghe. E richiama un mondo di problemi che ricadono sulle famiglie, che non vanno lasciate sole. In casi come questi forse più che la persona malata, infatti, a soffrire è la famiglia. C’è tutto un contesto di relazioni che vengono messe in moto. E questa possibilità non può essere cancellata con la soppressione della persona. Non è la soluzione del problema. Si tratterebbe, poi, di far morire Eluana di fame e di sete e quindi di sottoporla a una sofferenza, che lei forse non potrà esprimere, ma che in ogni caso è una crudeltà. Ci si meraviglia di come possa essere prospettata una soluzione del genere.
Tra le scorciatoie per evitare disagi e sofferenze, c’è l’aborto. Anche qui ci si limita solo a dire dei «no»?
In tutte le diocesi ci sono centri di aiuto alla vita attraverso l’accoglienza delle madri. Sono una forma concreta di attenzione a loro e al nascituro. Il suo diritto a vivere non bisogna solo pretenderlo, ma anche sostenerlo economicamente e logisticamente. Ci sono poi iniziative che guardano al post-aborto. Dunque, non ci si limita a condannare, ma si aiuta chi porta dentro questa sofferenza. Va accompagnato a vivere l’esperienza vera del perdono e a superare il trauma.
Oggi, invece, si tende a rimuovere la sofferenza. E a chi la ricorda viene rinfacciato di volerla quasi imporre. Come risponde?
È tipico della cultura che viviamo: se una apparecchio non va, si chiama il tecnico e si risolve. Ma la sofferenza umana rimane un mistero che non può essere disgiunto dalla vita. La Chiesa guarda in faccia questa realtà. Cosa possiamo fare per alleviare il dolore, per far sì che non contraddica la grandezza e bellezza della vita?
Molte iniziative che vanno verso la
terapia del dolore vedono proprio l’impegno di credenti.
Certo, non c’è nessuna scelta masochista, né la valorizzazione della sofferenza in sé. Quando questa non può essere vinta, però, bisogna fare in qualche modo scaturire le grandi possibilità che sprigiona. Il dolore, infatti, può sì schiacciare, ma molti lo hanno vissuto con tale ricchezza da confortare anche gli altri.
Quest’anno si mette a tema anche il ruolo delle badanti. Perché?
Perché al di là delle situazioni di grave disabilità, oggi l’innalzamento dell’età porta a una dipendenza necessaria da persone che possono dare una mano a vivere con dignità e serenità. Il fenomeno delle badanti non deve, però, essere considerato un ripiego. Spesso queste persone lasciano le loro famiglie per occuparsi dei nostri anziani. La stima e l’apprezzamento che i vescovi esprimono per loro si deve tradurre in uno sguardo di benevolenza. Senza avere pretese impossibili o pensare che oggi ci servono, ma poi le possiamo scaricare.
LA VICENDA DI ELUANA - «Con questa giurisprudenza a rischio diritti fondamentali» - Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale: da un simile indirizzo possono discendere conseguenze gravi per la difesa della persona La presunzione di volontà in questo caso è astratta, anticipata e non raccordata allo stato esistente della paziente. E l’elemento del consenso deve essere garantito senza essere affidato alle valutazioni di un terzo come il tutore- DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO – Avvenire, 31 Gennaio 2009
Il giurista Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, segue da Venezia, dove è impegnato in un convegno di studi, la relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2008, presentata dal presidente della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone. Non entra in tutte le vicende richiamate dall’alto magistrato, ma non condivide i toni entusiastici sulla affermazione dei diritti fondamentali della persona ad opera di alcune sentenze della stessa Corte, tra le quali la n. 27145, quella sul caso Eluana. «Non entro nel merito della relazione – dice infatti il professore Mirabelli – perché non ero presente, ma discuto l’indirizzo giurisprudenziale che il presidente Carbone ha richiamato».
Professore, lei ha giù espresso riserve su queste sentenze. Basate su quali motivi?
A mio modo di vedere questo indirizzo giurisprudenziale non rafforza i diritti fondamentali della persona, anzi li pone a rischio perché si muove su una linea di consenso presunto, dedotto addirittura da uno stile di vita dal quale è difficile desumere delle conseguenze così gravi. Questa linea giuriprudenziale, oltretutto, non tiene conto del principio del consenso informato che è un presupposto a garanzia del diritto della persona. Sotto questo aspetto contraddice anche lo stesso indirizzo giurisprudenziale che viene ricordato e che riguarda il non consenso per la trasfusione di sangue. La Cassazione, infatti, affermò che anche quando vi è uno scritto (nel caso specifico era «niente sangue »), si procedesse ugualmente alla trasfusione, perché questo dissenso precede e non segue l’informazione che riguarda l’attualità della situazione. Anche in quel caso si disse che la volontà della persona o la volontà dichiarata è superata perché è una volontà che non si basa sul consenso informato. Tutto questo contraddice la giurisprudenza che si riferisce alla sentenza sull’alimentazione assistita.
Il presidente Carbone, però, richiama con compiacimento questa giurisprudenza perché avrebbe consolidato certi diritti della persona.
Ripeto: non voglio esprimere valutazioni positive o critiche all’impostazione del presidente Carbone, che rispetto come enunciazione autorevole, ma essendo riferita a indirizzi giurisprudenziali della Corte, ritengo siano criticabili proprio questi indirizzi. Per quale motivo?
Perché offrono un elemento di minore protezione e non di affermazione dei diritti fondamentali della persona, che quella sentenza determina, sia in rapporto al consenso presunto sia in assenza di un consenso informato che, invece, viene ritenuto il cardine dell’autodeterminazione della persona. Tanto che quando queste determinazioni sono espresse con la richiesta di non procedere alla trasfusione di sangue, la stessa Cassazione dice di no e, anzi, stabilisce che si proceda a trasfusione in caso di pericolo di vita, perché quel consenso precede e non segue l’informazione.
Il presidente della Cassazione dice invece che la giurisprudenza recente della Corte legittima il diritto delle persone alla autodeterminazione, quasi come se fosse senza condizione.
Qui si introduce un altro problema: entro quali limiti quella volontà della persona vale. Certamente, rispetto a trattamenti sani- tari obbligatori, la scelta della persona vale. Ma con altrettanta sicurezza non c’è il diritto di morire. L’ordinamento non lo prevede. C’è il diritto di rifiutare trattamenti sanitari imposti. Va poi stabilito se l’alimentazione sia o meno un trattamento sanitario. Il nodo giuridico reale però è l’indebolimento forte dei diritti della persona, perché il consenso è presunto, mentre deve essere esplicito e formalizzato per le questioni più importanti che attengono alla vita. Qui abbiamo una presunzione astratta anticipata e non raccordata allo stato esistente.
La giurisprudenza richiamata da Carbone dice che se esistono i requisiti della consapevolezza, dell’informazione e dell’autoresponsabilità, la libera esplicazione di questi diritti non è sottoposta a nessun altro interesse...
Certamente è preminente l’interesse della persona, ma proprio in situazione di tanta delicatezza va garantita l’elemento del consenso senza essere affidato alle valutazioni di un terzo, in questo caso il tutore o altri soggetti. L’autodeterminazione, per essere tale, presuppone il consenso informato che richiede l’attualità e, quindi, un rapporto dialogico tra medico e paziente. Si dice che per le persone incapaci questo non è possibile. Ma ci possono essere altri che si sostituiscono alla loro volontà? Direi proprio di no. La legge deve disciplinare anche questo ambito in coerenza con i principi e con le garanzie che sono necessarie per la tutela dei più deboli. Questo è un settore nel quale non opera adeguatamente un diritto giurisprudenziale. Quando il legislatore tace, la giurisprudenza interviene sui diritti fondamentali, ma offre solo rimedi inadeguati. Occorre una soluzione normativa.
Avvenire, 31 Gennaio 2009 - IL CASO - Formigoni: «Eluana respira, ha una vita piena»
Eluana Englaro «respira, ha una vita piena», e poi «non ci sono ancora leggi che parlano del fine-vita e c'è una magistratura che non chiarisce». Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, torna sul caso Englaro, e non ha dubbi: «il servizio sanitario nazionale non ha alcun protocollo sul tema e la sentenza (di Corte d'appello, Cassazione e Tar, ndr.) non sospende niente. Noi delle Regioni siamo tra due fuochi dal punto di vista giuridico. E io sono orgoglioso di tutelare una vita».
Quella vita «dovuta ai progressi della medicina la dico piena», insiste il governatore lombardo, «non la augureremmo a nessuno, ma suscita amore, no? Sappiamo che cosa passa nelle teste di queste persone? Aiutiamole per come possiamo».
E spiega: «Il mio amico Gianni, di cui Repubblica ha scritto, sta nella stanza accanto a Eluana e io lo vado a trovare. Gianni è lui, respira, dorme, si sveglia, sbadiglia, si agita, ogni secondo nella sua vita avvengono cose. Come si fa a dire che è un vegetale? Se esiste una minima possibilità di risveglio, non si perde la speranza».
Da qui la richiesta: «Domando alla magistratura cose più chiare. C'è incertezza. Meglio dieci colpevoli fuori che un innocente in galera, non si dice così? E allora meglio dieci casi incerti, che uno vivo mandato a morte».