mercoledì 21 gennaio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 21/01/2009 08:45 - VATICANO – USA - Il Papa ad Obama: promuovere la pace e difendere la dignità dell’uomo
Telegramma di Benedetto XVI al 44° presidente Usa. L’invito a preservare l’eredità “religiosa e politica” degli Stati Uniti per costruire una “società realmente libera e giusta”. La preghiera perché conceda al nuovo presidente “saggezza e forza indefettibili nell'esercizio delle sue alte responsabilità”.
2) Il fratello del nostro Dio (parte I) - ROMA, martedì, 20 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Per la rubrica sull’Amore misericordioso pubblichiamo una riflessione su "Il fratello del nostro Dio", il dramma scritto nel 1949 da Karol Wojtyla, svolta durante un convegno tenutosi nel 1981 presso il Santuario dell’Amore misericordioso di Collevalenza (PG).
3) La "libertà" di Obama - Lorenzo Albacete - mercoledì 21 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
4) Oltre un milione di persone a Washington per la cerimonia - Obama giura come presidente - Che Dio lo aiuti - E Benedetto XVI prega affinché promuova la pace tra le nazioni – L’Osservatore Romano, 21 gennaio 2009
5) Una biografia di Vasilij Grossman - Riemergere dall'inferno con l'anima intatta - Uscirà in febbraio il libro Le ossa di Berdicev. La vita e il destino di Vasilij Grossman, una biografia del grande autore ucraino scritta da John e Carol Garrard e tradotta da Roberto Franzini Tibaldeo e Marta Cai (Milano, Marietti, 2009, pagine 502, euro 25). Ne proponiamo una lettura in anteprima. - di Gaetano Vallini – L’Osservatore Romano, 21 gennaio 2009
6) Nella «Madonna Sistina» lo scrittore ucraino incontrò il destino dei perseguitati del Novecento - La tragedia dei lager nei volti dipinti da Raffaello – L’Osservatore Romano, 21 gennaio 2009
7) SCUOLA/ Una buona riforma per gli insegnanti: abbandonare le vecchie discipline - Roberto Vicini - mercoledì 21 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
8) RITRATTI/ La dimensione spirituale di Cornelio Fabro - INT. Maurizio Schoepflin - mercoledì 21 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
9) La legge 40 funziona bene anche i suoi «no» fanno fare progressi - MICHELE ARAMINI – Avvenire, 21 gennaio 2009
10) «Eluana in Piemonte? Sarebbe eutanasia» Monito di Poletto dopo le parole della Bresso - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 21 gennaio 2009
11) TESTIMONIANZA. La politica colombiana, che questa settimana riceve due premi in Italia, narra la sua ricerca religiosa durante il sequestro - Ingrid, la fede e il perdono – Avvenire, 21 gennaio 2009


21/01/2009 08:45 - VATICANO – USA - Il Papa ad Obama: promuovere la pace e difendere la dignità dell’uomo
Telegramma di Benedetto XVI al 44° presidente Usa. L’invito a preservare l’eredità “religiosa e politica” degli Stati Uniti per costruire una “società realmente libera e giusta”. La preghiera perché conceda al nuovo presidente “saggezza e forza indefettibili nell'esercizio delle sue alte responsabilità”.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Benedetto XVI ha inviato il suo personale messaggio di augurio a Barack Obama nel giorno del giuramento come 44° presidente degli Stati Uniti.
Mentre Washington e tutto il Paese festeggiavano quella che la maggioranza dei commentatori ha definito una giornata storica per l’America, il Papa ha assicurato le sue personali preghiere al nuovo inquilino della Casa Bianca per le “alte responsabilità” affidatagli. Nel suo telegramma il pontefice auspica l’impegno di Obama per “la comprensione, la cooperazione e la pace tra le nazioni” e per “il rispetto per la dignità, l'uguaglianza e i diritti di ciascuno dei membri della società”.
Questo il testo integrale del telegramma di Benedetto XVI a Barack Obama (traduzione dall’inglese a cura di AsiaNews).
“Nell’occasione del sua insediamento come 44° presidente degli Stati Uniti d’America le offro i miei più cordiali auguri insieme all’assicurazione delle mie preghiere affinché Dio Onnipotente le conceda saggezza e forza indefettibili nell'esercizio delle sue alte responsabilità. Sotto il suo mandato gli americani possano continuare a trovare nella loro enorme eredità religiosa e politica i valori spirituali e i principi etici per cooperare alla costruzione di una società realmente libera e giusta, il rispetto per la dignità, l'uguaglianza e i diritti di ciascuno dei membri della società, soprattutto dei poveri, degli emarginati e di quanti non hanno voce. In un'epoca in cui molti fratelli e molte sorelle in tutto il mondo chiedono la liberazione dal flagello della povertà, della fame e della violenza (cfr. Isaia 25:6-7) prego che lei confermi la sua risoluzione di promuovere la comprensione, la cooperazione e la pace tra le Nazioni, perché tutti possano partecipare al banchetto della vita che Dio ha preparato per tutta la famiglia umana. Su di lei e sulla sua famiglia, e su tutto il popolo Americano, volentieri invoco le benedizioni di Dio di gioia e di pace”.


Il fratello del nostro Dio (parte I) - ROMA, martedì, 20 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Per la rubrica sull’Amore misericordioso pubblichiamo una riflessione su "Il fratello del nostro Dio", il dramma scritto nel 1949 da Karol Wojtyla, svolta durante un convegno tenutosi nel 1981 presso il Santuario dell’Amore misericordioso di Collevalenza (PG).

* * *
Il dramma da cui sono stati tratti i brani che Vi presentiamo è intitolato "Il fratello del nostro Dio" e venne scritto nel 1949 da Karol Wojtyla, un sacerdote ordinato da poco. Il protagonista del dramma è un personaggio realmente esistito, Adam Chmielowski, vissuto in Polonia negli anni 1845 - 1916. Egli nel gennaio 1863 partecipò all'insurrezione contro i Moscoviti durante la quale rimase ferito e perse un piede. In seguito studiò pittura a Parigi, a Monaco, a Varsavia e divenne famoso come pittore e critico d'arte. Mentre si trovava all'apice della sua carriera artistica, abbandonò improvvisamente tutto (bruciò anche alcuni dei suoi quadri) e cominciò a vivere insieme ai mendicanti ed agli emarginati della città di Cracovia. Per aiutare i poveri fondò la Compagnia dei Frati Albertini, che da lui, divenuto ormai per tutti Frate Alberto, prese il nome.
Nel dramma possiamo seguire le varie tappe dell'itinerario spirituale di Adam Chmielowski - poi Fratel Alberto - itinerario contrassegnato dalla ricerca del vero volto di Dio, prima nell'arte poi negli uomini. Ed è percorrendo una tale strada che egli si accorge che cercare Dio negli uomini vuol dire servire gli uomini con amore e realizzare così la misericordia. Nel suo difficile cammino egli si imbatte anche in un rivoluzionario (ricordiamo che sono i primi anni del nostro secolo) che rappresenta nel dramma il rifiuto totale di ogni forma di attività caritativa, di ogni forma di misericordia, sopratutto quella fatta nel nome del cristianesimo. Il Rivoluzionario vede nei poveri solo la miseria materiale ed il senso di rivalsa che essi possono provare e vuole sfruttare la loro ira per distruggere l'ordine sociale.
Il giovane pittore del dramma di Wojtyla, combattuto fra l'ira e la misericordia superficiale, sceglie la croce, cioè la libertà. Una tale scelta non comporta necessariamente il rifiuto dell'ira e della misericordia. La croce è quel punto dove l'infinito amore di Dio si incontra con l'infinita miseria dell'uomo. Nella luce che scaturisce dalla croce, Fratel Alberto riesce persino ad accogliere l'ira e vuole educarla per rendere gli uomini coscienti della loro vocazione di figli di Dio, eredi di quell'Uomo "che è diventato Figlio". La misericordia di Fratel Alberto è radicata nella comunione con Cristo, nell'intima unione con Colui che è sorgente e modello di ogni amore e di ogni misericordia.
Per capire meglio il concetto della misericordia di Fratel Alberto bisogna leggere l'Enciclica Dives in Misericordia dove l'autore del dramma ci offre il frutto maturo dell'intuizione giovanile.



KAROL WOJTYLA
"IL FRATELLO DEL NOSTRO DIO"
Adam Chmielowski, giovane e già famoso pittore, non è più soddisfatto della sua attività artistica. Allora si mette a cercare il modo di servire gli uomini non solo con l'intelligenza, ma anche con il cuore.

ADAM Qui si tratta dell'Uomo
- di un uomo come me -
che è diventato Figlio...
C'è un altro che sta parlando oltre a me...
Ma la cosa peggiore è che non riesco a distinguere
chi è che sta parlando: io o l'altro.

CONFESSORE Naturalmente, perché in te predomina l'intelligenza.

ADAM No, ti sbagli, io mi abbandono a quell'amore che mi costituisce.

CONFESSORE Voi lo chiamate amore, ma per me è solo un peso
intollerabile che grava in modo insopportabile sulla
possibilità di conoscere. È come una distruzione, un
annacquamento, una deformazione, una lussazione
della coscienza.
Capisci? Ciò vuol dire cancellare la conoscenza. E
voi lo chiamate amore... Intuisci ciò che ti voglio
dire? Voi chiamate amore questo confondere il quadro,
questo sbagliarlo, velarlo, romperlo, distruggerlo.
Bruciarlo!!

ADAM Conosco in modo particolare una Forza che mi sovrasta.
Che mi oltrepassa infinitamente con amore. Non riesco
a reggere una tensione così grande e questo mi fa
vergognare, mi umilia, ma nello stesso tempo mi guida,
mi permette di crescere....
Adam sta meditando davanti al suo quadro "Ecce Homo" in cui ha raffigurato Cristo Sofferente. Si accorge d'un tratto che è proprio il Cristo Incoronato di Spine la vera immagine dell'amore per gli uomini, la vera immagine della misericordia. ADAM (davanti al suo quadro "Ecce Homo")
Sei però terribilmente dissimile da quello. Chi sei?
Ti sei logorato in ogni uomo.
Ti sei affaticato mortalmente.
Ti hanno distrutto.
E questo si chiama Misericordia.
Nonostante tutto sei rimasto bello;
Il più bello dei figli degli uomini.
Una tale bellezza non si è più ripetuta.
Oh, quanto difficile bellezza, quanto difficile....
Una tale bellezza si chiama Misericordia.
Adam scopre la bellezza dell'uomo non solo sulla tela, ma anche nella realtà concreta della Città di Cracovia; per questo si reca sempre più spesso nel dormitorio pubblico per aiutare i poveri. Lì incontra un altro uomo che però non viene tanto per aiutare quanto per proclamare la necessità di una rivoluzione radicale che dovrebbe migliorare la situazione dei poveri, distruggendo l'attuale ordine sociale.

RIVOLUZIONARIO (ai poveri)
La cosa peggiore è che vogliono convincervi che
tutto ciò che avete non vi spetta. Tutto questo
"niente" che avete non vi spetta: che ciò che avete
o che non avete è per grazia, è frutto della
misericordia. Non attendete la misericordia! La
misericordia per voi e umiliante. Non ne avete
bisogno. Dovete capire che tutto vi spetta di diritto!
Niente è per grazia, per beneficenza! La
misericordia è una lugubre ombra nella quale un
misterioso, incomprensibile riccone cerca di
nascondere il suo vero volto e nello stesso tempo
cerca di far sprofondare tutti voi e la vostra
giusta causa, la vostra ira. Guardatevi dagli
apostoli della misericordia! Sono i vostri nemici!
Sono venuto per dimostrarvi che ci preoccupiamo per
voi, che lottiamo per i vostri diritti e che c'è
bisogno ancora solo della vostra ira.

ADAM Penso che pochi siano quelli che riescono a rialzarsi
da soli, sorretti unicamente dalla forza della propria
ira, dalla forza dell'amarezza, dell'ingiustizia.
Mi capisce?...
La miseria dell'uomo è più grande di tutte le sue
ricchezze.

RIVOLUZIONARIO Quest'affermazione è pazzesca!

ADAM Può darsi che sia pazzesca, ma è sempre una verità.
La miseria dell'uomo è molto più profonda di tutte
quelle ricchezze di cui lei parlava, di tutte quelle
ricchezze che possono conquistare solo con la forza
della propria ira.

RIVOLUZIONARIO Intuisco ciò di cui lei sta parlando. Intuisco e non credo.

ADAM Proprio questo è il punto! Vede, è proprio questo il
punto: io al contrario - credo e so. Signor caro,
signor caro.... il problema non è che alcuni siano
nella miseria e altri no.

RIVOLUZIONARIO Secondo lei allora tutto deve restare così com'è?
ADAM No, non è vero! Io sono certo, credo e so che tutti
gli uomini possono conquistare tutti i tipi di
ricchezza. Tutte le ricchezze, anche quelle più
grandi. Ma per fare questo non è sufficiente l'ira,
è necessaria la Misericordia.

RIVOLUZIONARIO Ma lei non immagina allora come aumenti la sua
responsabilità per tutta quell'energia dell'ira che
va sprecata, e sprecata coscientemente.

ADAM Coscientemente io voglio soltanto educare questa ira.
Infatti una cosa è educare la giusta ira, far sì che
maturi e si riveli come forza creativa e un'altra è
sfruttarla, servirsene come di una materia prima
abusandone.

RIVOLUZIONARIO Sì, sì lei la educherà per poi soffocare tutta la
sua potenza. Ma questa volta non si riuscità più a
fare ciò. Questa volta l'ira ha superato i livelli di
guardia.

ADAM Signor caro, signor caro.... ma lei non ha mai cercato
di intuire l'immensità delle ricchezze materiali e
spirituali alle quali è chiamato l'uomo? E tutta
quella moltitudine di persone prostrate ed assetate
parla a lei solo con la forza dell'ira? Non si può
pensare usando solo un frammento di verità, la
verità bisogna prenderla tutta intera.
Ma i poveri non seguono il Rivoluzionario. Adam capisce con chiarezza che accettare "la verità tutta intera" vuol dire per lui dedicarsi totalmente ai poveri. Così il pittore va a vivere nel dormitorio e poi diviene Fratel Alberto, uno dei frati della Congregazione da lui fondata.
Un giorno, va da Fratel Alberto, ormai vecchio, un musicista che vuole diventare frate Albertino. Parlando con lui Chmielowski spiega i motivi della sua scelta e gli rivela alcune sue esperienze giovanili di cui non aveva mai parlato.
[La seconda parte verrà pubblicata il 27 gennaio 2009]


La "libertà" di Obama - Lorenzo Albacete - mercoledì 21 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
Scrivo questo articolo nel giorno dell’evento che verrà ricordato per sempre da tutti gli americani oggi viventi: l’insediamento di Barack Obama come quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America.
Non ho mai visto nulla di simile. Ci sono molte spiegazioni per ciò che sta avvenendo: l’influenza dei media; l’utilizzo consistente dei nuovi media; la situazione economica disastrosa; i profondi cambiamenti nel profilo razziale, etnico, religioso e culturale della nazione americana; la consapevolezza di connessioni globali sconosciute che possono determinare il nostro futuro, senza che noi possiamo fare qualcosa a riguardo, ecc. Tutti questi fattori stanno sicuramente contribuendo all’entusiasmo senza sosta che ha colpito questo paese per tre giorni consecutivi, ma non bastano a giustificarlo.
Certamente ci sono molti che non hanno votato per Obama, e che si preoccupano per il futuro. Tuttavia, rimangono per ora in silenzio, sorpresi dalla Obama-mania che sta attraversando il paese e confusi dall’atteggiamento “centrista” tenuto finora da Obama. E ci sono gli altri che preoccupano le forze di sicurezza, come gli “integralisti bianchi”, che potrebbero costituire una reale minaccia per la vita del nuovo presidente. Infine, ci sono quelli che vorrebbero appoggiare molti dei cambiamenti proposti da Obama, ma che sono convinti che prima o poi, e più prima che poi, dovrà pagare l’appoggio ricevuto dall’estrema sinistra, sia politica che culturale. Costoro sono obbligati a rispondere all’incitamento di Obama “Sì, possiamo”, con un deciso “No, noi non possiamo”.
In effetti, ciò a cui stiamo assistendo a livello nazionale non è molto diverso da quello che avviene ogni domenica in molte chiese afroamericane, note comunemente come “Battisti del Sud”. Queste sono le chiese dove sono nati i “Negro spirituals” e i cui appassionati predicatori tenevano in vita le speranze degli schiavi. Lì c’era vera fede, una fede plasmata interamente dai testi biblici, in particolare dalle speranze di libertà contenute nel Vecchio Testamento. L’etica proposta da queste chiese era un’etica di mutua assistenza e di rispetto per se stessi. Quando la lotta per la liberazione si trasformò in una lotta per le riforme giuridiche o “i diritti civili”, originata nel più secolarizzato Nord e appoggiata dalle sue chiese protestanti, l’influenza di queste comunità guidate dalla Bibbia iniziò a diminuire, specialmente tra i giovani neri, che finirono per concepire la libertà nei termini propri dell’ideologia secolare di sinistra, o il “successo” in termini appartenenti al pensiero conservatore. Alla fine, entrambe le ideologie non riuscirono a soddisfare le speranze degli afroamericani che vi avevano aderito. Alcuni cercarono rifugio nell’Islam, altri semplicemente non trovarono nient’altro e rimasero con quello che già avevano, mentre altri rinunciarono ad ogni sforzo di trovare un’autentica liberazione spirituale.
Barack Obama, proprio perché non ha vissuto questo pezzo di storia, è stato in grado di cogliere la sete spirituale della popolazione afroamericana e ha quindi dato inizio al “movimento” politico che l’ha eletto presidente, creando un’alleanza politica tra la popolazione afroamericana superficialmente secolarizzata e la sinistra politica. Tuttavia, la chiave del suo successo è stata la risposta degli afroamericani alla intelligente comprensione da parte di Obama di ciò che stava nei loro cuori, quando disse loro: “Siamo pronti a credere di nuovo”.
Nel 1968, Martin Luther King Jr. (un ministro battista) si stava già muovendo in questa direzione, la trasformazione della nazione in una chiesa battista nera sul vecchio modello del Sud, ma venne ucciso. Ora, 50 anni dopo, Barack Obama è riuscito a porre la prima pietra di questa Chiesa. La domanda è: e la componente politica di sinistra della sua coalizione? Ed è già chiaro che essa non ha alcun interesse a entrare nella nuova Chiesa nazionale “stile battista”.


Oltre un milione di persone a Washington per la cerimonia - Obama giura come presidente - Che Dio lo aiuti - E Benedetto XVI prega affinché promuova la pace tra le nazioni – L’Osservatore Romano, 21 gennaio 2009
Washington, 20. Barack Obama giura oggi come presidente degli Stati Uniti, primo afroamericano a ricoprire la massima carica del Paese. La formula del giuramento - trentanove parole pronunciate dal presidente della Corte suprema, John Roberts, e ripetute da Obama - si conclude con l'invocazione dell'aiuto divino: "So help me God". E in effetti grandi sfide - politiche, sociali, economiche, etiche - attendono il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti. "Sotto la sua guida - ha scritto Benedetto XVI in un telegramma inviato al nuovo presidente - possa il popolo americano continuare a trovare nella sua imponente eredità religiosa e politica i valori spirituali e i principi etici necessari a cooperare nella costruzione di una società veramente giusta e libera, contraddistinta dal rispetto per la dignità, l'eguaglianza e i diritti di ognuno dei suoi membri, specialmente i poveri, gli emarginati e coloro che non hanno voce". Mentre molti nostri fratelli e sorelle nel mondo aspirano alla liberazione dalle piaghe della povertà, della fame e della violenza - continua il Papa - "prego che lei sia confermato nella sua determinazione a promuovere comprensione, cooperazione e pace tra le Nazioni".
Obama si trova oggi ad affrontare una crisi economica che ha condotto il Paese sull'orlo della recessione; si trova a dover gestire il progressivo disimpegno delle truppe dall'Iraq e i prossimi capitoli dell'infinita lotta al terrorismo internazionale. Si trova soprattutto a garantire nuova linfa a quel sogno americano che, dopo i tragici eventi dell'11 settembre 2001 e dopo il grave dissesto finanziario di questi mesi, sembrava affievolito. E forse quella di ridare morale al Paese nella morsa della crisi economica e alle prese con la guerra è la sfida più impegnativa per Obama.
Ieri, negli Stati Uniti, era festa nazionale: si è celebrato il Martin Luther King Day. E Barack Obama, alla vigilia del giuramento, ha reso omaggio all'uomo che ha segnato una svolta nella storia dell'America. A prestare giuramento sulla Bibbia di Lincoln, ha detto, vi sarà "tutto il popolo americano, unito nel nome di Martin Luther King". "Oggi - ha affermato Obama visitando, a Washington, un ricovero per adolescenti senzatetto - celebriamo la vita di un predicatore che, più di quarantacinque anni fa, si presentò sul nostro Lincoln Memorial e, all'ombra di Lincoln, condivise il suo sogno con l'intera nazione". La sua visione - ha sottolineato - "era che tutti gli uomini possono condividere la libertà di fare nella vita ciò che desiderano, e che i nostri figli possono raggiungere traguardi più alti dei nostri".
Obama ha poi ricordato che la vita di Martin Luther King fu al servizio degli altri. Dunque, ha dichiarato, "se vogliamo onorare il suo insegnamento, per noi questo non deve essere solo un giorno di pausa e di riflessione, ma anche di azione".
Un'azione che deve - come più volte ripetuto dal nuovo presidente nel corso della sua campagna elettorale - mirare a coinvolgere tutta la nazione. "Domani - ha ricordato Obama - noi tutti saremo insieme come un solo popolo. E ci ritroveremo nello stesso spazio in cui ancora riecheggia il sogno di Luther King. Nel farlo, riconosciamo che qui in America i nostri destini sono inestricabilmente legati l'uno all'altro". Noi sappiamo - ha concluso - "che se vogliamo avanzare nel nostro cammino, dobbiamo marciare insieme. E così come progrediamo nell'impegno di rinnovare la promessa di questa nazione, nello stesso tempo ricordiamoci della lezione di King, che i nostri sogni individuali sono davvero uno".
Nel discorso dell'inaugurazione (si prevede che durerà circa venti minuti) Obama e il suo "speechwriter", il ventisettenne Jon Favreau, cercheranno di tenere testa alle aspettative createsi attorno al quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti. In passato frasi lapidarie dei presidenti all'atto dell'insediamento sono rimaste nella memoria collettiva. "Oggi siamo tutti repubblicani, siamo tutti federalisti" dichiarò Thomas Jefferson; Franklin Delano Roosevelt disse: "L'unica cosa di cui aver paura è la paura stessa". Così John F. Kennedy: "Non chiedetevi che cosa il Paese può fare per voi, ma che cosa voi potete fare per il Paese". Del discorso di Ronald Reagan generalmente si ricorda il passo: "E' l'ora di renderci conto che siamo una nazione troppo grande per limitarci a sogni piccoli". Da un presidente che, per sua stessa ammissione, nutre una profonda fiducia nel linguaggio, e che ha costruito la sua carriera politica su un discorso, quello fatto alla convention dei democratici del 2004, l'America si attende parole che resteranno nella memoria. Di certo è che - oltre a indicare alti traguardi al Paese - il nuovo capo dello Stato dovrà per forza di cose frenare le aspettative eccessive, nel segno di un concreto realismo (come del resto Barack Obama ha fatto nei discorsi di questi ultimi giorni). Saranno eccezionali le misure di sicurezza per l'avvenimento al quale parteciperà oltre un milione di persone.
(©L'Osservatore Romano - 21 gennaio 2009)


Una biografia di Vasilij Grossman - Riemergere dall'inferno con l'anima intatta - Uscirà in febbraio il libro Le ossa di Berdicev. La vita e il destino di Vasilij Grossman, una biografia del grande autore ucraino scritta da John e Carol Garrard e tradotta da Roberto Franzini Tibaldeo e Marta Cai (Milano, Marietti, 2009, pagine 502, euro 25). Ne proponiamo una lettura in anteprima. - di Gaetano Vallini – L’Osservatore Romano, 21 gennaio 2009
Comprendere meglio dove gli uomini del XX secolo - segnato da due terrificanti guerre mondiali e da due devastanti totalitarismi - abbiano sbagliato. Ma non attraverso un'indagine storica sui maggiori eventi del Novecento, bensì grazie a un approccio più modesto: l'esame dei loro riflessi nella vita e nelle opere di un uomo. E se l'uomo in questione è Vasilij Grossman - nonostante sia morto relativamente giovane (nel 1964 a 59 anni) e ancora poco conosciuto in occidente - l'impresa risulta interessante. È il criterio scelto da John e Carol Garrard, che hanno deciso di raccontare il secolo scorso attraverso la biografia del giornalista e scrittore ebreo ucraino. Ne è nato un libro davvero prezioso, Le ossa di $\Berdicev. La vita e il destino di Vasilij Grossman, in uscita nei prossimi giorni, che narra la storia di "un essere umano che passò attraverso il fuoco dell'inferno e ne riemerse con l'anima intatta".
John Garrard, docente di letteratura russa all'università dell'Arizona, e sua moglie non erano in cerca di "un osservatore imparziale, che dispensasse saggezza olimpica, meditata in tranquillità". Volevano un uomo che si fosse sporcato le mani, che avesse preso intelligentemente posizione, un testimone e un protagonista. E nessuno meglio dell'autore dell'epico romanzo Vita e destino - una delle opere più importanti della letteratura mondiale di ogni tempo e di recente pubblicato in una rinnovata edizione da Adelphi - avrebbe potuto accompagnarli in un simile viaggio di ricerca. Grossman non soltanto è stato testimone diretto delle vicende più importanti del "secolo breve", ma con le sue opere è riuscito a raccontarle come nessun altro, mettendone a fuoco non solo i rapporti tra cause ed effetti immediati, ma anche a lungo termine. "Per i nostri scopi - scrivono nella prefazione gli autori - non è di poco conto che Grossman sia relativamente poco noto, per lo meno in occidente, sebbene visse una vita straordinaria e fosse uno dei più grandi scrittori russi del XX secolo. La sua fama di romanziere in Russia supera quella di Aleksander Solzenicyn, Boris Pasternak e molti altri prediletti in occidente. Qui la sua modesta fama è dovuta al fatto che verso la fine della sua vita egli fu letteralmente trasformato in "non-persona" dalle ferree autorità sovietiche e le sue maggiori opere tolte dalla circolazione. Se riusciremo a seguire le sue esperienze senza preconcetti, condividendo direttamente la sua scoperta di se stesso e del proprio tempo, avremo la possibilità di apprendere una lezione di vita dal suo infelice destino".
Il percorso intellettuale di Grossman fu tutt'altro che lineare, ma - come l'epoca in cui visse - segnato da profonde contraddizioni, da conflitti morali, culturali e filosofici. Nonostante fosse stato uno dei primi beneficiari del regime sovietico, nonché un intellettuale che aveva lavorato e lottato per la sopravvivenza di quest'ultimo, non esitò a cambiare opinione, passando dall'adesione alla Rivoluzione d'Ottobre a un graduale, ma totale rifiuto delle premesse e dei valori fondamentali del marxismo-leninismo.
"L'esistenza dell'ebreo Grossman - scrivono i Garrard - si svolse alternando assimilazione e opposizione. Egli fece esperienza sia dell'antisemitismo nazista sia di quello sovietico. Benché amante della letteratura russa e della cultura europea, fu costretto a operare in un ambiente letterario dominato dal realismo socialista e dallo sciovinismo sovietico. Benché grande ammiratore di Spinoza e Cechov, si batté per dare un senso all'amoralità e alla realpolitik del regime leninista-stalinista. Rimase in silenzio quando parenti e amici furono spazzati via dal Grande terrore degli anni Trenta, eppure mostrò un eroico coraggio come principale corrispondente dal fronte orientale. Predicò la fedeltà e l'amicizia, ma ebbe un paio di relazioni con le mogli di suoi stretti collaboratori".
Come giornalista della "Krasnaja Zvezda", dal 1941 al 1945 trascorse più di mille giorni al fronte con l'Armata Rossa durante la battaglia contro la Wehrmacht, divenendo il più importante corrispondente di guerra sovietico. Assistette alle battaglie decisive sul fronte orientale: l'improvviso contrattacco sovietico dinanzi a Mosca nell'inverno del 1941; Stalingrado, la violenta battaglia che probabilmente segnò le sorti del conflitto, nell'autunno-inverno del 1942; Kursk, il più grande scontro di mezzi di tutta la storia militare, nell'estate del 1943; e molte altre battaglie nella sanguinosa avanzata verso Berlino.
Fu sempre Grossman a documentare per primo la Shoah, pubblicando resoconti già dal 1943, mentre il genocidio era in atto, e a curare l'unica prova documentaria dello sterminio degli ebrei sul suolo sovietico, Il libro nero; finì così col conoscere più di qualsiasi altro suo contemporaneo questa enorme tragedia. Sempre al seguito delle truppe sovietiche, in Ucraina poté vedere con i propri occhi, oltre a Babij Jar (l'immensa gola appena fuori Kiev che dalla fine del settembre 1941 aveva iniziato a riempirsi di corpi), centinaia di piccole Babij Jar insanguinare il suolo dell'Ucraina. Come nel suo Paese natale, Berdicev, dove scoprì che tra le trentamila vittime dei nazisti c'era anche sua madre, le cui ossa giacciono ancora nell'enorme, indistinta fossa, l'unica mai rimossa né dai nazisti, impegnati a cancellare ogni prova dello sterminio, né dai sovietici, interessati poi a cancellarne la memoria. Grossman fu testimone della liberazione di molti campi di concentramento e di sterminio, cominciando da Majdenek. Il suo Inferno di Treblinka - scritto e pubblicato nel 1944, l'unico resoconto sul funzionamento del lager, scritto a meno di un anno di distanza dallo smantellamento del campo - fu portato come prova al processo di Norimberga.
Tuttavia, subito dopo la guerra, Stalin vietò ogni riferimento agli ebrei come vittime principali del genocidio nazista. Benché i nazisti avessero organizzato e attuato la Shoah, il Governo sovietico, come detto, era intento a sopprimere la verità su di essa. Fu come se non fosse mai avvenuta. E così colui che conquistò Berlino - riscrivendo la storia e occultando ogni prova dello sterminio degli ebrei anche in Russia - divenne di fatto complice del suo nemico. Posto dinanzi alle sue radici ebraiche dal genocidio nazista, e nonostante fosse stato toccato personalmente dalla tragedia, Grossman dovette scendere a patti con le politiche antisemite del Governo; politiche che gli portarono via gli amici e minacciarono anche la sua stessa vita.
I più importanti contributi manoscritti dello scrittore furono sequestrati dalle autorità, ma alcune copie vennero conservate da un piccolo gruppo di devoti e coraggiosi amici, che riuscirono a farli pubblicare solo molti anni dopo la sua morte. Tuttavia, non fu facile sottrarli all'oblio. Anche dopo che i manoscritti furono fatti uscire dall'Unione Sovietica, la loro pubblicazione non fu immediata. L'autore era sconosciuto ed erano appena stati dati alle stampe i lavori di Solzenicyn. Ma quando all'ovest finalmente videro la luce le prime edizioni di Vita e destino e di Tutto scorre, fu come il crollo di una diga le cui conseguenze giunsero anche in Unione Sovietica. Anche qui, pur con difficoltà, cominciarono a essere pubblicate in vari modi e l'impatto fu dirompente. Con quelle opere, scrivono i Garrard, Grossman portava il proprio attacco al cuore stesso del marxismo e non risparmiava nemmeno Lenin che fino ad allora era rimasto un personaggio eroico e soprattutto intoccabile.
Grossman, aggiungono, "restituì ai russi la vera storia del loro Paese nel XX secolo, non solo della stessa Shoah ma anche della barbara saga che, inauguratasi con il colpo di Lenin nel 1917, passò attraverso le purghe staliniane, l'invasione nazista e il terrore postbellico. Davvero, gli scrittori hanno l'ultima parola. Grossman poté far ritorno dall'oblio solo alla fine degli anni Ottanta; i suoi lavori censurati vennero pubblicati per la prima volta durante la glasnost. Essi giocarono un ruolo critico nella rapida crescita del disincanto dei russi nei confronti del potere sovietico, disincanto che condusse alla sconfitta del colpo di Stato conservatore del 19 agosto 1991".
Sia come ebreo sia come romanziere, Grossman fornisce, dunque, una prospettiva senza uguali sul XX secolo. Egli sembra ben interpretare lo stereotipo dell'ebreo errante descritto da Hannah Arendt e Wystan Hugh Auden, ovvero la quintessenza della vittima e del testimone del totalitarismo. Egli interpreta questo ruolo universale nello specifico contesto russo, dove proprio gli scrittori - non gli statisti, i combattenti, i leader politici, i filosofi o i sovrani - sono stati spesso i principali eroi morali e sociali. Gli scrittori sono sempre stati presi molto sul serio dall'ideologia sovietica. Come osservato da Mandel'stam, "in nessun altro Paese la poesia gode di siffatta considerazione: qui i poeti vengono uccisi a causa sua". E del resto lo stesso Grossman rischiò di diventare una vittima. "Solo la morte di Stalin gli salvò la vita", annotano gli autori.
Per i Garrard - che per la loro opera hanno utilizzato fonti di archivio e documenti inediti resi disponibili solo dopo il crollo del regime sovietico e beneficiato dell'aiuto di "un piccolo, ma devoto gruppo di amici e ammiratori dello scrittore a Mosca, i quali conservarono i suoi manoscritti inediti" - Grossman ha anche altre credenziali come guida. Prima di diventare scrittore, si era formato come scienziato, avendo sempre una coscienza consapevole dei progressi scientifici, in particolare di quelli atomici e nucleari. Con lungimiranza comprese la minaccia da essi costituita per l'intera umanità e non solo per i nemici del momento. Allo stesso modo percepì immediatamente i pericoli che l'industrializzazione sovietica rappresentava sia per il benessere dell'umanità sia per l'ambiente naturale.
Un rifiuto che passò soprattutto attraverso un'inquietante conclusione: i due Stati socialisti in guerra, la Germania nazista e la Russia sovietica, non erano altro che il riflesso speculare l'uno dell'altro; una "visione eretica", come la si definisce nel libro, che assimilava i due totalitarismi e che lo condusse a un profondo ripensamento e, infine, al rifiuto dell'intero esperimento comunista molti anni prima dei compatrioti.
Scrive Milan Kundera: "La lotta dell'uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l'oblio". Ebbene quella di Grossman è stata una lotta della ragione e della verità contro l'arroganza e la menzogna. "Egli - concludono gli autori - tentò di vivere come un essere umano in tempi inumani. È questa sua ostinazione dell'umano nel "secolo-lupo" a far sì che la sua vita sia così affascinante. La statura del suo spirito può essere misurata giustapponendo la sua speranza, riposta nella condizione umana, alla violenza, al tormento, al disorientamento e alla disintegrazione della sua epoca".
(©L'Osservatore Romano - 21 gennaio 2009)


Nella «Madonna Sistina» lo scrittore ucraino incontrò il destino dei perseguitati del Novecento - La tragedia dei lager nei volti dipinti da Raffaello – L’Osservatore Romano, 21 gennaio 2009
"Quante volte li avevo cercati tra quelli che scendevano dai treni. Ma i loro volti umani mi si erano sempre presentati come indefiniti. I loro volti umani erano stati distorti da un'immensa paura. Ora d'improvviso vidi la vera espressione di quei volti. Essi erano stati dipinti da Raffaello quattro secoli addietro. Questo è il modo in cui gli esseri umani guardano in faccia il proprio destino". I volti osservati da Vasilij Grossman sono quelli dei condannati in cammino verso la morte nei lager e che finalmente gli appaiono chiari e definiti: li riconosce nei volti della Vergine e del Bambino Gesù raffigurati dal grande pittore urbinate nella Madonna Sistina, che lo scrittore aveva visto quando venne esposta per tre mesi nella primavera del 1955 al Museo Puskin di Mosca, prima che venisse restituita alla Gemäldegalerie di Dresda, con molte altre opere d'arte requisite dall'esercito russo.
Grossman è sopraffatto da quella visione, come scrivono John e Carol Garrard, e dichiara che la Madonna Sistina è un'opera d'arte davvero eterna, superiore a quanto prodotto da un artista in qualsiasi campo. Tutto impallidisce dinanzi al segreto di quel dipinto: "Chiunque veda la Madonna Sistina vede in essa ciò che è umano; è il modello dell'anima materna". Egli sente la Madonna come interamente umana, "senza alcuna partecipazione divina". E più "terreno" ancora è il Bambino tra le sue braccia: il suo volto sembra più adulto di quello della madre e "si può percepire il suo destino attraverso la sua espressione triste e grave, che è al tempo stesso rivolta avanti a sé e in se stesso". Per lo scrittore, la madre e il bambino sembrano prevedere il Golgota e afferma che tali amari momenti capitano davvero quando "i bambini sorprendono gli adulti con la loro comprensione e placida accettazione del destino". E così facendo, si legge ne Le ossa di Berdicev, "accenna l'analoga consapevolezza, in grado di prevedere gli eventi, mostrata dai figli dei contadini durante la Carestia del Terrore, dai bambini dei negozianti ebrei durante il pogrom di Kishinyov, o dai bambini dei minatori quando la sirena avvertiva di un'esplosione sotterranea". Nel suo breve racconto del 1955 intitolato Sikstinskaja Madonna (pubblicato per la prima volta nel 1986 ed edito in italia nel 2007 da Medusa con il titolo La Madonna a Treblinka), Grossman ci conduce dunque fuori dal museo. La visione della giovane donna e del figlio non sono più un'espressione artistica, ma risvegliano una qualche eco inquietante nei suoi ricordi, che però non riesce a comprendere. Ma poco a poco si rende conto che l'immagine di Raffaello gli richiama alla mente il ricordo di Treblinka, con le sue macerie, nell'agosto 1944.
Quando Grossman arrivò a Treblinka, il campo era stato distrutto dai nazisti e ne rimanevano soltanto macerie e resti di ossa polverizzate e sbriciolate. Aveva quindi dovuto ricostruirlo nella sua mente, a partire dalle testimonianze dei sopravvissuti. E più volte aveva immaginato i volti di quanti si incamminavano verso la morte. Così ora immagina la giovane donna e il suo bambino camminare scalzi sulla terra smossa, appena scesi da un carro bestiame, e avviarsi verso le camere a gas: "L'ho riconosciuta dall'espressione sul suo volto e nei suoi occhi e ho riconosciuto suo figlio dalla sua espressione insolitamente matura e magnifica. (...) Questo è come le anime delle madri e dei bambini dovevano apparire mentre osservavano le mura delle camere a gas di Treblinka, che si stagliavano bianche dinanzi alla foresta di abeti verde scuro".
Ma lo scrittore va oltre e torna indietro nel tempo e nello spazio all'epoca in cui la Madonna Sistina era alla Gemäldegalerie di Dresda negli anni Trenta: "Giunse l'epoca di Hitler; un secolo lupo. Fu un'epoca - scrive - in cui la gente/le persone viveva come lupi e i lupi come persone". Immagina il "pittore Adolph Hitler in piedi di fronte a lei nella Pinacoteca di Dresda. Egli decise il suo destino. Ma il dominatore dell'Europa non era in grado di incontrarne lo sguardo, né quello di suo figlio. Dopo tutto, essi erano esseri umani".
Nel racconto Grossman sottolinea con forza come l'orrore della Shoah fosse stato originato dal rifiuto dei nazisti di considerare gli ebrei come esseri umani. E rileva come la Madonna fosse una donna ebrea e suo figlio un ebreo circonciso: se fossero vissuti nel XX secolo sarebbero stati spediti nelle camere a gas. In sostanza, annotano i Garrard, "il rifiuto di Hitler di vedere in Maria e Gesù degli esseri umani rappresenta la chiave interpretativa utilizzata da Grossman per affrontare la Shoah".
Tuttavia, lo scrittore non ha ancora terminato di mostrare l'importanza del dipinto per la storia del secolo scorso. Come in Vita e destino, non esita ad accostare il nazismo al bolscevismo, i lager ai gulag. Mutando lo scenario e trasferendolo in Unione Sovietica, la Madonna, non più ebrea, è una donna russa. Ed eccola così divenire icona delle madri mandate a morte con i loro bambini da Stalin. La vede, giovane e scalza, salire sul treno tenendo in braccio il figlio, mentre parte per i campi dell'Asia settentrionale e centrale sovietica durante la collettivizzazione agricola forzata. "Sì, era proprio lei. L'ho vista nel 1930 alla stazione ferroviaria di Konotop", in Ucraina; la stessa in cui al culmine della Carestia egli realmente mise sua madre su un treno per Odessa.
E ancora Grossman vede la Madonna mentre viene arrestata durante il Terrore del 1937 e spedita nel gulag. E così come fece con Hitler, ritrae Stalin e lo rappresenta mentre si avvicina al dipinto e fissa le espressioni della madre e del bambino: "Si lisciava i baffi grigi. È riuscito a riconoscerla? (...) Noi, gente ordinaria, la riconosciamo. Ella è noi; il loro destino è il nostro destino. Essi sono ciò che di umano vi è nell'umanità". Nella visione di Grossman, sottolineano i Garrard, "la Madonna condivise la terribile sofferenza dei russi nel XX secolo: i milioni di figli e fratelli morti da soldati durante la guerra; i cadaveri di un numero ancora maggiore di civili, nonni, madri, ragazzi e ragazze uccisi nelle rappresaglie dei tedeschi contro le azioni dei partigiani; i cumuli smossi e sdrucciolevoli che coprivano le fosse dove bambini ebrei e le loro madri giacevano morti o morenti".
"La Madonna ha sofferto insieme con noi, perché lei e suo figlio siamo noi", scrive Grossman, che - dopo aver ammonito sulla minaccia costituita per l'umanità da un conflitto atomico - così conclude il racconto: "Contemplando la Madonna Sistina manteniamo la nostra fede nel fatto che vita e libertà siano inscindibili e non vi sia nulla di più alto dell'umanità dell'uomo. Questa umanità sopravviverà in eterno, e vincerà". (gaetano vallini)
(©L'Osservatore Romano - 21 gennaio 2009)


SCUOLA/ Una buona riforma per gli insegnanti: abbandonare le vecchie discipline - Roberto Vicini - mercoledì 21 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
L’insegnamento – è bene ricordarlo – richiede una specifica professionalità. Così come ad un idraulico non chiedo tanto di essere una brava persona, moralmente corretta, quanto di aggiustarmi il rubinetto, così ad un insegnante chiedo innanzitutto di fare bene il suo mestiere, ovvero di permettere agli alunni di apprendere determinate cose a determinati livelli; possibilmente in modo efficace e senza gravare troppo sulla collettività. Il nesso con l’educazione è evidente. Tra i due, tuttavia, non c’è identità. E rimane comunque il fatto che non si educa astrattamente, ma “facendo quello che si fa”, in una azione o lavoro sempre determinati; ovvero che ogni azione e lavoro (compreso l’insegnamento) hanno una propria struttura, forma, modalità esecutiva ed organizzativa storicamente determinate. Le forme infatti si modificano, sia nel mestiere del fare le scarpe, come in quello di forgiare cervelli. Non tenere conto di tutto ciò, dichiararlo come ultimamente irrilevante in rapporto all’educazione e non chiedersi quale è la forma oggi più consona è pura astrazione.
Il mestiere dell’insegnamento oggi è ancora strutturalmente legato alla modalità di organizzazione dei saperi per “discipline”, in fondo abbastanza recente, definitasi nell’Università tedesca dei primi dell’800 ed all’idea romantico-idealistica di “enciclopedia”: il ciclo formativo si attua facendo ripercorre nella testa della singola persona ciò che l’umanità ha fin qui traguardato e, quindi, nell’appropriarsi del punto di vista panoramico che spiega e ricomprende tutti i passaggi ed i particolari dello sviluppo stesso. In questa visione, formazione dell’individuo, educazione e insegnamento formano un evidente blocco; l’insegnamento diviene comunicazione del sapere e ad un tempo elevazione al suo senso, ovvero trasmissione del “giudizio culturale”.
Ebbene, tale forma è oggi ampiamente inadeguata rispetto alle sfide che i ragazzi si trovano sempre più ad affrontare. La scuola segna una distanza dalla realtà di dimensioni troppo macroscopiche. Buona parte delle cause dei risultati negativi, in termini di efficacia del nostro sistema, è dovuta proprio a questa inadeguatezza strutturale e non a una mancanza di “serietà”.
Ma è possibile un’altra forma dell’insegnamento? Anche se ciò può apparire paradossale, proviamo a volgere lo sguardo indietro, ad una fase di ri-definizione della civiltà come è stata quella medioevale. Pensiamo alla forma originaria della lectio, come laboratorio di apprendimento della corporazione di studenti e professori, laboratorio dove il maestro indica i termini del problema ed interviene solo in caso di difficoltà e nel definire la sintesi di tutti gli apporti del processo collettivo di analisi, discussione, confutazione/falsificazione, processo che ha per protagonisti direttamente gli studenti ed i bacellieri. Come in una sorta di torneo cavalleresco, attraverso un autentico lavoro di équipe. Processo che è “disciplina”, non nel senso di organizzazione/classificazione di saperi, ma di esercizio, rigore logico applicato (logica formale e dialettica insieme), in una dimensione collettiva e “produttiva”. E, soprattutto, approccio per problemi; esercizio a stare di fronte ai problemi (“lectio” come “quaestio”). Questi laboratori hanno prodotto una Summa Theologiae come quella di Tommaso, un elaborato frutto del maestro, tanto quanto del lavoro collettivo dei suoi allievi, attraverso la strada del dubbio problematico (“Utrum Deus sit” e non “Deus est”) e proprio per questo apertura al vero ed al senso: un luogo, come uno dei più grandi teologi contemporanei ha affermato, in cui lo spirito può riposare nella certezza della verità.
A tale forma dell’apprendimento corrispondeva una determinata organizzazione dei saperi, consolidatasi proprio nella fase di passaggio dall’epoca del tardo impero romano - epoca che per certi aspetti offre parecchie analogie con l’oggi, per i contatti con culture ed esperienze differenti e la fluidità del contesto socio-politico-economico, che promuovono sempre più incertezza esistenziale e instabilità sociale. Ebbene, la formazione che ha condotto l’Europa a superare in modo vincente quell’esperienza non era caratterizzata da altrettanta complessità; al contrario, era assai semplice, si concentrava sull’essenziale. Nelle scuole europee s’insegnava innanzitutto a pensare, parlare e dialogare, formalizzando quest’insieme di esperienze nella formula del Trivio (Logica, Grammatica e Retorica). Le arti liberali fungevano da strumentazione per la produzione stessa del nuovo sapere “scolastico”, dove il termine indica non tanto il contenuto, quanto il metodo stesso della sua produzione.
C’è qui una interessante indicazione: oggi, come allora, occorre una rifondazione non superficiale sia dell’organizzazione dei saperi, che della forma dell’insegnamento, ovvero del sistema scuola nel suo complesso; occorre superare l’idiotismo disciplinairstico, puntare ad una essenzializzazione dei saperi ed allo sviluppo di competenze funzionali; rimettendo al centro l’apprendimento, procedendo per problemi, imparando a muoversi tra i confini e tra i linguaggi.
Queste cose si fanno già? Sicuramente nel mondo della scuola ci sono esperienze estremamente significative; il problema però è che tutto ciò diventi nuova forma strutturale; altrimenti le pur nobili esperienze non rimangono altro che isole o tentativi di nuotare contro corrente. Quanto al processo di riforma: la strada, diciamo così, è ancora per buona parte da fare. L’assetto strutturale scolastico rimane tenacemente ancorato al vecchio modello, come una cozza allo scoglio, grazie alla formidabile flessibilità (in questo caso sì, ma trasformista) di chiamare con nomi nuovi le solite, vecchie cose.


RITRATTI/ La dimensione spirituale di Cornelio Fabro - INT. Maurizio Schoepflin - mercoledì 21 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
Scomparso a ottantaquattro anni nel 1995, il friulano Cornelio Fabro è stato una figura di primo piano del panorama della filosofia italiana del XX secolo. Il domenicano Georges Cottier, cardinale e già teologo della Casa Pontificia, lo descrive come «un metafisico di razza, guidato da un senso acuto della verità». In effetti, Fabro, che si abbeverò alla fonte perenne di San Tommaso ma che fu pure un grande conoscitore del pensiero moderno e contemporaneo (memorabili i suoi lavori su Kierkegaard e sul problema dell’ateismo), si rese perfettamente conto del valore dei principi e della necessità della loro difesa, in un’epoca che stava sempre più scivolando verso il relativismo e il nichilismo, nei confronti dei quali l’attuale Pontefice non si stanca di mettere in guardia gli uomini di cultura. Recentemente, per iniziativa dell’Editrice del Verbo Incarnato, espressione dell’Istituto omonimo che cura un grande progetto per far conoscere la persona e l’opera di padre Fabro, è stato pubblicato un volumetto intitolato Fabro nei suoi scritti spirituali, redatto da Maurizio Schoepflin, docente di filosofia, saggista e pubblicista, al quale abbiamo rivolto qualche domanda.
Il suo libro prende in esame un aspetto meno noto della personalità di padre Fabro?
Sì. In effetti, il Fabro più conosciuto è quello filosofico, quello delle grandi opere metafisiche e degli studi kierkegaardiani. Ma non bisogna dimenticare che egli fu un prete e un religioso stimmatino e che manifestò sempre un profondo attaccamento al Vangelo, alla Chiesa e alla missione sacerdotale. Dunque era opportuno occuparsi della sua ricca sensibilità per la dimensione spirituale della vita cristiana. Per me è stato molto bello ed edificante leggere alcuni dei suoi scritti in cui questa sensibilità si manifesta in modo particolare.
Su quali argomenti si è soffermato in particolare nel suo libro?
Ho preso in considerazione vari temi presenti nella spiritualità fabriana: i misteri fondamentali della fede, la pietà mariana, la venerazione per i santi, la vita sacerdotale. Al centro di tutto sta comunque la fede in Dio e nel suo Figlio Gesù.
Che tipo di fede?
Quella integrale e veramente cattolica. Fabro non si fece condizionare da nessuna moda culturale. Anzi, fu molto critico nei confronti delle ventate innovatrici eccessivamente forti e preferì rimanere legato alla più antica Tradizione della Chiesa, che rifulge nella testimonianza di numerosi uomini e donne che si sono santificati obbedendo a Cristo.
Dunque, Fabro maestro di spiritualità, oltre che di filosofia?
Certo! Egli fu un’anima tanto profondamente speculativa quanto altamente meditativa, capace di coniugare in modo mirabile la dimensione della ragione con quella della fede, ribadendo, secondo la più schietta tradizione cattolica, e tomista in particolare, l’esistenza di un legame inscindibile tra esse.
Si può dire che fu anche un maestro di fede?
Ripeto: la sua spiritualità fu squisitamente cattolica e radicata nella profondità del suo essere sacerdote: ogni meditazione, ogni riflessione lo condusse sempre a ridire il suo “sì” incondizionato al Signore, quel “sì” pronunciato una volta e confermato per tutta la vita con la mente e con il cuore.


La legge 40 funziona bene anche i suoi «no» fanno fare progressi - MICHELE ARAMINI – Avvenire, 21 gennaio 2009
Domenica scorsa, durante la trasmissione pomeridiana di RaiUno, Severino Antinori avrà sorpreso molti sostenitori dell’idea che l’Italia sia un Paese da cui fuggire per fare all’estero ciò che la legge 40 sulla fecondazione assistita vieta. Infatti il ginecologo ha dichiarato che si possono far nascere più bambini rispettando questa norma, e ha pure affermato che gli stranieri adesso vengono in Italia perché noi, meglio di altri, siamo capaci di gestire le tecniche di fecondazione artificiale.
La dichiarazione ha avuto un seguito ancora più interessante. Antinori ha infatti ammesso con sincerità che ha dovuto «fare di necessità virtù». Dove la necessità è costituita da una legge che tutela l’embrione. Questo tipo di norme lo ha infatti spinto a usare due tecniche che si sono rivelate molto valide e hanno migliorato il tasso di successi. La prima è la vitrificazione degli ovuli femminili, che è una particolare tecnica di congelamento con la quale si possono prelevare gli ovuli prodotti con la stimolazione ovarica, conservarli e usarli uno per uno secondo necessità, senza maneggiare embrioni. La seconda tecnica è il miglioramento dell’ « Icsi » , metodica assai diffusa, con l’analisi degli spermatozoi in modo da prelevarne uno particolarmente valido, e poi inserirlo nell’ovulo per mezzo di una microiniezione.
Si tratta di tecniche note anche prima dell’entrata in vigore della legge 40.
Oggi Antinori le usa, con la competenza che gli viene riconosciuta. Ma ci si può chiedere perché afferma che ha fatto « di necessità virtù » ? Non sarebbe più esatto dire che osservando le norme giuridiche ( e i fondamentali stimoli etici) presenti nella legge si possono ottenere risultati migliori rispetto alla situazione precedente?
La richiesta da parte dell’etica di rispettare gli embrioni e, più in generale, di porre sempre la ricerca scientifica al servizio non solo dell’umanità ma anche di ogni singola persona non deve essere vista come limitante per la ricerca stessa.
Innanzitutto perché una ricerca che violasse la dignità anche di un solo essere umano sarebbe per se stessa immorale e farebbe perdere il senso dell’impresa scientifica, che deve porsi al servizio di ogni uomo senza discriminazioni. In secondo luogo, l’esclusione di alcune vie di ricerca non sono la fine tout court
della ricerca, anzi, costituiscono l’impulso a darle nuovi sbocchi. Chiara dimostrazione di quanto diciamo è la recente scoperta della possibilità di riprogrammare le cellule adulte per riportarle a uno stato di ' quasi totipotenza' simile a quello delle cellule embrionali. In tal modo si possono usare le cellule riprogrammate per studiare possibili terapie con maggiori probabilità di successo, dato che non presentano le problematiche tecniche poste dalle staminali embrionali ( incapacità di orientarle verso l’evoluzione desiderata, rischio di proliferazioni tumorali...).
È nota la rinuncia di Ian Wilmut ( il ' padre' della pecora Dolly) a operare con le staminali embrionali, proprio perché riconosciute meno valide. Ma questa logica che gerarchizza correttamente i valori, mettendo al primo posto il rispetto per l’uomo, fa fatica a essere accolta. Ancora recentemente Umberto Veronesi ha sostenuto che le speranze della ricerca sono poste proprio nell’uso degli embrioni. Eppure dovrebbe ben conoscere i progressi di cui parliamo. E poi le speranze di chi? Dei malati, dei ricercatori corretti o di coloro che mirano a ingegnerizzare e brevettare le staminali embrionali con lo scopo di lauti guadagni? Per fortuna le nuove scoperte hanno appannato molto le speranze di questi ultimi. Sarebbe però un bel giorno quello in cui la comunità scientifica cessasse, per libera convinzione, di sottrarsi alla necessaria verifica etica del suo operato e abbandonasse posizioni ideologiche contrarie alla verità sull’uomo.


«Eluana in Piemonte? Sarebbe eutanasia» Monito di Poletto dopo le parole della Bresso - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 21 gennaio 2009
S i tratterebbe di eutanasia. Non u­sa mezzi termini il cardinale ar­civescovo di Torino, Severino Po­letto, nel criticare la possibilità che E­luana Englaro venga trasferita in Pie­monte per portarla alla morte. Ieri in­fatti la presidente del Piemonte Mer­cedes Bresso, da Bruxelles, ha manife­stato la «disponibilità» della regione che amministra a dar seguito al de­creto della Corte d’Appello di Milano e sospendere idratazione e alimenta­zione alla donna in stato vegetativo da 17 anni.
«A noi non è stato chiesto nulla – ha detto la Bresso – e quindi non c’è una competizione in cui ci offriamo, però se ci viene richiesto per noi non ci so­no problemi». «È giusto essere preoc­cupati che non si arrivi a uccidere le persone che non servono più – ha ag­giunto –. Ma in questo caso c’è stato un lungo iter. C’è una decisione del Tri­bunale che ha valutato tutte le ragio­ni di questa situazione». Precisando che «ovviamente saranno strutture pubbliche, perché quelle private sono sotto scacco del ministro», con chiaro riferimento all’Atto di indirizzo di Sac­coni e sposando implicitamente l’ac­cusa di intimidazione rivolta al mini­stro dai Radicali. Chiara la posizione espressa da una nota dell’arcivescovo di Torino: «Se E­luana Englaro venisse accolta in una qualunque struttura sanitaria pie­montese al fine di toglierle l’alimenta­zione e l’idratazione», si tratterebbe di «un chiaro intervento di eutanasia». Il cardinale Poletto aggiunge che «ga­rantire l’alimentazione e l’idratazione ad una persona malata anche in con­dizioni particolarmente gravi come nel caso di Eluana Englaro, non signi­fica fare accanimento terapeutico per­ché non si tratta di cure mediche ma semplicemente di dare cibo e bevan­da ad una persona perché possa vive­re ». La disponibilità di Mercedes Bresso «spacca» lo schieramento che sostie­ne la sua giunta regionale. Alcuni e­sponenti del Pd (tra cui il presidente del Consiglio regionale Davide Gari­glio e Stefano Lepri) sottolineano che c’è «la necessità di assicurare l’ali­mentazione e l’idratazione, almeno fi­no a che la loro assimilazione avven­ga senza difficoltà. Nel frattempo sa­rebbe più ragionevole non decidere sulla vita di Eluana». Mentre Luca Ro­botti e Vincenzo Chieppa (Pdci) e Wil­mer Ronzani (Pd) danno sostegno al­la Bresso. La cui posizione è contesta­ta dal sottosegretario all’Interno Alfre­do Mantovano: «Non si comprende come mai la mera lunghezza del per­corso giudiziario possa rappresentare una deroga valida all’uccisione di una persona». Mentre Luigi Bobba, Marco Calgaro e Mimmo Portas, deputati pie­montesi del Pd, parlano apertamente di eutanasia: «Molte strutture sanita­rie, anche pubbliche, rifiutano di por­re in atto il decreto della Corte d’Ap­pello di Milano non solo per gli strali del ministro Sacconi, ma anche perché qualunque operatore sanitario sa be­ne che lo stato di Eluana non è in nes­sun modo assimilabile al fine vita». E Isabella Bertolini (Pdl) parla di «dege­nerata gara in atto tra presidenti di Re­gioni governate dalla sinistra per uc­cidere Eluana Englaro».
Se Beppino Englaro ringrazia la Bres­so («ha colto la natura del nostro dram­ma »), i legali sembrano guardare al­trove: «La nostra priorità resta il ricor­so al Tar della Lombardia» afferma Vit­torio Angiolini; e Franca Alessio: «Pron­ti a valutare qualunque disponibilità, purché non rappresenti ulteriore per­dita di tempo».
La presidente della Regione «apre» al ricovero in strutture pubbliche. Dure critiche anche dalla sua maggioranza


TESTIMONIANZA. La politica colombiana, che questa settimana riceve due premi in Italia, narra la sua ricerca religiosa durante il sequestro - Ingrid, la fede e il perdono – Avvenire, 21 gennaio 2009
«Nella giungla ho avuto per unica lettura la Bibbia e forse era una prigionia necessaria, perché mi ha permesso di capire chi è Dio. Non ho avuto illuminazioni, no! Leggevo e rileggevo alcuni brani dicendomi: è stato scritto per me!»
DI INGRID BETANCOURT
H o scoperto la fede in Dio durante la mia prigionia. Fino ad allora, la mia fede era basata sul ritualismo: come molti cattolici, andavo a messa, pregavo, ma la mia conoscenza di Dio era molto limitata. Quando mi sono ritrovata nella giungla, ho avuto molto tempo e per unica lettura la Bibbia,. Ho avuto il piacere, in sei anni, di leggerla, di meditarla. Se avessi avuto altre cose da fare, avrei fatto altro, perché si è sempre pigri per riflettere sull’essenziale.
Forse era una prigionia necessaria. Essa mi ha permesso di capire chi è Dio, di stabilire una relazione con lui, con molta ammirazione, molto amore ma – soprattutto – comprendendo chi è, attraverso la sua parola. Per me non si tratta di parole vuote ma di una realtà: leggendo la Bibbia, ho compreso il carattere di Dio; non è solo una luce, un’energia o soltanto una forza, ma è una Parola, qualcuno che vuole comunicare con me. Non ho avuto illuminazioni, no! Ho semplicemente letto la Bibbia, razionalmente. Sono stata colpita da tutti i brani che mi hanno connesso emozionalmente e interiormente con la parola di Dio. Ho sentito la voce di Dio in un modo assai umano e molto concreto. Leggevo e rileggevo alcuni passaggi dicendomi: « Questo è stato scritto per me! » . Avevo sentito a lungo senza capire e, di colpo, è stato come se mi fossi collegata alla presa di corrente giusta. In un momento, la luce si accende e si capiscono tutte le cose che erano rimaste oscure. Ancora una volta, non si tratta di un’esperienza mistica ma razionale, che ha profondamente trasformato la mia vita. Come sono cambiata! Oggi il mio tempo non è il tempo di prima. Avevo sempre voglia che le cose andassero in fretta. Oggi non mi preoccupo più: so che tutto capita al tempo giusto. La mia speranza dunque è più forte. Il passaggio attraverso la prigionia non ha ucciso la mia volontà, anzi ha cambiato la natura della mia speranza. La sola risposta alla violenza è una risposta d’amore. Questa risposta d’amore, questo atteggiamento non violento, per me, ha avuto origine dalla fede cristiana. Ho scoperto che si può essere condotti ad odiare una persona, a odiarla con tutte le forze del nostro essere e, allo stesso tempo, a trovare nell’amore il sollievo rispetto a questo odio. Non si può amare qualcuno che vi fa del male. Ma si può trovare, e io l’ho trovato in Cristo, un punto di appoggio, come un trampolino. Mi dicevo: « Per Te, Signore, non dico che lo detesto » . Il fatto di non aver sulla bocca queste parole di odio era un conforto. Talvolta vedevo arrivare un guerrigliero crudele e spaventoso. Veniva a sedersi davanti a me ed io ero capace di sorridergli. L’amore è necessario. Ho cominciato un cammino di perdono. Sono riuscita a perdonare, e non solo ai miei sequestratori. Ho perdonato anche quelli che erano prigionieri con me, con i quali talvolta ci sono stati momenti molto difficili. Ho perdonato quei miei amici che non si sono ricordati di noi, quelle persone sulle quali si fa affidamento e che sono mancate; quelle persone che amavo e che hanno detto delle cose orribili, come, ad esempio, che la prigionia me l’ero cercata. Oggi credo più profondamente che possiamo cambiare il mondo perché io stessa sono stata trasformata.
Ma, in questo mondo di dominio e di possesso, so come è nel cuore che si generano i cambiamenti essenziali. La pace, che sogniamo, sarà possibile il giorno in cui ci sarà un atteggiamento diverso nei cuori.
( testo raccolto per il settimanale francese « La Vie » da Elisabeth Marshall)