Nella rassegna stampa di oggi:
1) COMUNICATO STAMPA - L’Arcivescovo di Bologna Cardinale Carlo Caffarra interviene sul caso di Eluana Englaro – 19 gennaio 2009
2) LETTERATURA/ Edgar Allan Poe, quel connubio fra ragione e mistero - INT. Raul Montanari - lunedì 19 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
3) 19/01/2009 13:07 - CINA – TIBET - La Cina istituisce una festa che ricorda la repressione della rivolta tibetana del 1959 - Il 28 marzo sarà il “Giorno dell’emancipazione degli schiavi”. Pechino rivendica di avere liberato i tibetani dalla “schiavitù” teocratica esistente sotto il Dalai Lama. Ma molti tibetani parlano di repressione sanguinosa che continua tuttora. Dalai Lama: ho fiducia nei cinesi, non nel loro governo.
4) Kirghizistan, intolleranza e vessazioni contro la Chiesa - Ancora più restrizioni nella nuova legge sulla libertà religiosa - Bandite le comunità con meno di 200 fedeli, proibito il proselitismo e la diffusione pubblica di materiale religioso. Esperti: la normativa non rispetta i diritti umani. Le critiche dell’Ocse.
5) Eluana e Terry: due storie molto simili - di Umberto Richiello*
6) Un giorno di ordinaria follia - Autore: www.stranocristiano.it Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 19 gennaio 2009 - Il ministro Maurizio Sacconi è indagato per violenza privata aggravata
7) Le sfide aperte dopo l’Obama day - Alberto Simoni - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
8) DIALOGO/ Sbai: c'è un'offensiva estremista che attacca in Italia l'islam moderato - Souad Sbai - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
9) ELUANA/ Le tappe di una battaglia politica condotta a suon di sentenze - Assuntina Morresi - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
10) STORIA/ I novant'anni del PPI, le idee tradite ma ancora vive di Luigi Sturzo - INT. Roberto Chiarini - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
11) IN MARGINE AL CASO ENGLARO. L A DIGNITÀ DELLA POLITICA - Ma i paradossi di Rodotà non gli danno ragione - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 20 gennaio 2009
COMUNICATO STAMPA - L’Arcivescovo di Bologna Cardinale Carlo Caffarra interviene sul caso di Eluana Englaro – 19 gennaio 2009
A quanto è dato fino a questo momento di sapere, l’ipotizzato ricovero di Eluana Englaro in una struttura sanitaria della nostra Regione sarebbe non per la vita ma per la soppressione della vita.
Come cristiano e come Vescovo – sicuro interprete anche dei miei confratelli dell’Emilia Romagna – debbo denunciare con ogni forza che il porre in essere una tale eventualità sarebbe un atto gravissimo in primo luogo contro Dio, Autore e Signore della vita; e poi contro ogni essere umano, che vedrebbe così violata, perché negata nei fatti e anche in linea di principio, quella dignità della persona che invece permane sempre, in ogni circostanza, e sopravvive alle più crude offese della malattia: persino nella estrema fragilità e impotenza di una condizione deprivata della coscienza.
La vita umana innocente non è un bene che si possa espropriare.
Come cittadino non posso non rilevare che anche la nostra Regione – come le altre – non può sciogliere nessuno dal dovere di ossequio sostanziale ai valori della nostra Carta Costituzionale, la quale né consente pratiche eutanasiche né ammette che si possa negare ad alcuno il sostegno vitale dell’alimentazione e dell’idratazione. Quando avviene che una società trasforma in licenza di uccidere, o di uccidersi, una legittima libertà di scelta del trattamento terapeutico, è tempo che quella società faccia una seria riflessione sul suo destino.
La Chiesa invita i fedeli – specialmente in occasione della imminente celebrazione della "Giornata per la vita" – a intensificare la preghiera perché sia alleviata la sofferenza ai familiari di Eluana e perché da tutti sia riconosciuto il valore fontale della vita, dono irrevocabile aperto a una prospettiva di immortalità.
+ Carlo Card. Caffarra
Arcivescovo di Bologna
LETTERATURA/ Edgar Allan Poe, quel connubio fra ragione e mistero - INT. Raul Montanari - lunedì 19 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
200 anni fa nasceva a Boston Edgar Allan Poe, l’autore dei famosissimi racconti del terrore come “Il gatto nero”, “Il pozzo e il pendolo” o “Il crollo della casa degli Usher”, per citarne alcuni. Una letteratura, la sua, che sembra non conoscere il tramonto del successo, nemmeno fra le ultime generazioni. Ma qual è il segreto di questo strano e affascinante scrittore americano la cui vita pare misteriosa e piena di lati oscuri al pari della sua opera? Lo abbiamo chiesto a Raul Montanari, scrittore italiano di successo, autore di romanzi noir, traduttore di molti lavori di Cormack McCarthy e di opere dello stesso Poe. Ispirato alla poesia “Il Corvo”, di quest’ultimo, ha recentemente messo in scena un recital che ha riscosso grande successo al Festival della Letteratura di Mantova e che ora viene rappresentato in tutta Italia.
Raul Montanari, qual è la principale peculiarità dello scrittore Poe?
Direi in primo luogo che Edgar Allan Poe è senza dubbio lo scrittore più “pop” che l’‘800 ci abbia lasciato. Non esiste uno scrittore che goda dello stesso grado di riconoscibilità. Tutti sanno chi è Poe, anche i ragazzini che magari l’hanno solamente visto rappresentato, o interpretato, nei fumetti. Per darci un’idea Poe è uno dei personaggi che compare nella copertina di Sgt. Peppers dei Beatles. Questo non accade a Dostoevskij, Manzoni, Tolstoj e altri scrittori dello stesso calibro. Invece Poe gode tutt’ora di questa diffusione straordinaria della propria immagine.
In quali aspetti egli ha inciso nella storia della letteratura mondiale?
Poe ha inventato due generi letterari e ne ha codificato un terzo. È il padre del genere giallo e di quello noir. Sono sue invenzioni sia la detective story basata su un enigma che dev’essere risolto sia la storia di un delitto visto dal punto di vista di chi lo compie, il noir, che dà il via all’analisi delle tematiche etiche: perché si uccide? Ci sono giustificazioni al delitto? E via dicendo.
Inoltre ha codificato l’horror, nel senso moderno. È il primo ad essersi emancipato, fatta eccezione per alcuni suoi racconti, dal genere gotico. Con Poe l’horror abbandona vecchi castelli, cattedrali sconsacrate e analoghi scenari, per esprimersi in racconti che non hanno alcun debito con quel tipo di immaginario. Si tratta di vicende in cui l’orrore si insinua del quotidiano di individui apparentemente normali. E nel leggere tali novelle ci si può ben rendere conto di una terza peculiarità di Poe, la sua eccezionale e prolifica capacità inventiva. Dal genio di questo scrittore sono state partorite storie straordinarie e incredibili narrazioni. Che sia un grande narratore lo si può constatare anche attraverso le sue poesie. Lo stesso Il Corvo non è un lavoro iscrivibile all’interno dei parametri che solitamente attribuiamo al genere poetico. È piuttosto un racconto.
C’è un elemento comune che attraversa tutti i racconti di Poe?
L’animo di Poe è sempre sospeso fra l’abisso e una grandissima fede nell’intelligenza, nella ragione. Da una parte vi è fortemente l’idea che la ragione riesca a spiegare il mondo e dall’altra l’abbandono alle profondità più remote dell’anima, al mistero che pervade tutta la realtà.
Se dovessi trovare un equivalente cinematografico indicherei Stanley Kubrik, un regista nel quale si coglie un fascino quasi “meccanico” per l’intelligenza, per la spiegazione razionale e, al contempo, la tentazione di immergersi nell’abisso.
Voglio ricordare a questo proposito che la famosa frase «la vertigine non è la paura per l’abisso ma l’attrazione per esso» non è di Milan Kundera, al quale spesso viene indebitamente attribuita, ma di Edgar Allan Poe.
Perché Poe viene affiancato principalmente all’horror?
Perché l’horror è uno dei generi letterari più universale. Gli elementi horror nella letteratura ricorrono fin dall’antichità. Mi viene ad esempio in mente l’Eneide dove è descritto il rito dell’evocazione dei morti o Plauto che scrisse la commedia Mostellaria dove presenziano mostri e fantasmi. L’elemento horror, che poi è una declinazione dell’elemento della morte, del thanatos, insieme all’eros, costituiscono i due capisaldi della letteratura mondiale. Sostanzialmente non parliamo d’altro.
Poe sembra privilegiare uno solo di questi capisaldi
Esatto. In Poe l’eros quasi del tutto assente, l’unico accenno è presente nel racconto Il mistero di Marie Roget in cui si descrive un caso di cronaca contemporanea all’autore, la storia dello stupro e dell’omicidio della giovane Mary Rogers, avvenuto a New York. Poe traspone i fatti ambientandoli in Francia. Dovendo descrivere l’accaduto ci si può accorgere di quanto egli sia riluttante a trattare l’argomento al quale infatti riserva un esile accenno.
Per il resto della sua letteratura egli, ripeto, si misura con gli abissi che percorrono la storia della nostra coscienza del mistero e dell’ignoto.
C’è qualche scrittore nel panorama letterario che sia accostabile a Poe?
Kafka discende da Poe. Anche i suoi scritti sono imperniati sulla dimensione dell’inspiegabile. Diciamo che con Poe prende inizio la linea del realismo magico anglo europeo. Il primo erede è Stevenson che a sua volta influenza Maupassant, Kafka, il nostro Buzzati e Borges. Quest’ultimo eredita da Poe la forma del “racconto saggio”, cioè del racconto che inizia con le cadenze di un trattato e che poi, impercettibilmente, si trasforma nella voce del protagonista di una vicenda di carattere narrativo. Ad esempio nel Seppellimento prematuro si comincia con tre pagine di pura divulgazione scientifica sul tema della catalessi e della morte apparente e poi si scopre che chi ne sta parlando è un individuo affetto da questo disturbo che ha l’incubo di risvegliarsi nella propria tomba.
È una narrativa che sebbene parli di magia non è mai esoterica
No, assolutamente. È proprio il realismo magico di cui Poe è propriamente da considerarsi il padre. Si tratta di una magia interamente collocata nella realtà effettiva piuttosto. Una magia che non sottostà alle dimensioni soprannaturali che la evocano. Non occorre interpellare medium o stregoni, ma osservare in profondità il reale.
Tornando alle influenze. Quali sono invece i modelli cui si ispira Edgar Allan Poe?
A questo proposito vorrei raccontare un particolare ignorato da quasi tutti. Pochi sanno che Poe fu uno dei primi a recensire, nel 1835, i Promessi Sposi di Manzoni. Ciò che sorprende è l’estremo giudizio positivo che si evince dalla recensione. Ho personalmente tradotto questo scritto che verrà pubblicato nel prossimo numero della rivista Satisfiction. Poe paragona il romanzo manzoniano a tutta la letteratura anglosassone a lui contemporanea, letteralmente massacrando quest’ultima. Il motivo del suo entusiasmo per i Promessi Sposi risiede nel fatto che egli riconosce in questo romanzo un incredibile realismo. È la prima opera in cui si parla della realtà, dove i protagonisti sono persone umili. Il paragone con Ivanhoe di Scott è inevitabile. E Poe sottolinea la differenza fra quest’ultimo, basato sulle leggende letterarie anglosassoni e il capolavoro italiano che trae spunto da una seria ricerca sulla storia dei piccoli comuni, terreno perfetto per far emergere lo studio dei caratteri e dei vizi della gente. Addirittura egli scrive: «sarei fiero che una pagina come quella della madre di cecilia “aggraziasse” la mia scrittura». Poe utilizza più volte la parola “power” per esprimere l’abilità letteraria del Manzoni. Inoltre, nel periodo immediatamente successivo, scrive due racconti sulla peste: La maschera della morte rossa e Re peste.
E per il resto? Ci sono altre fonti?
Le fonti di Poe sono essenzialmente i classici greci e latini. In quest’ottica azzarderei dire che il tipo di atteggiamento letterario che assomiglia di più a quello di Poe è quello di Ugo Foscolo. Poe è un romantico neoclassico. «Fare versi antichi su pensieri nuovi» diceva Monti parlando del neoclassicismo francese, invece il vero neoclassicismo, quello di Foscolo o di Goethe, viene vissuto come “nostalgia”. L’atteggiamento fondamentale verso il mondo classico, paradossalmente, è quello romantico, la malinconia per il mondo passato. Per questo motivo una poesia totalmente romantica come Il corvo è piena di elementi classici. Il verso utilizzato, che è inventato e non è mai esistito prima, nasce sulla base di un verso greco. Il corvo va a trovare il protagonista, che è un classicista, il quale si affligge per la morte della donna amata. E infine va ad appollaiarsi sopra la statua bianca della dea Pallade Atena. Questa immagine è proprio l’unione perfetta di classico e romantico.
Ed è anche la sintesi della definizione che lei dà della letteratura di Poe, ossia coesistenza fra ragione e abisso dell’anima, mistero della realtà?
Assolutamente sì, infatti non è una dea casuale, è proprio la statua che rappresenta l’idea della ragione.
Questa sintesi avviene anche mediante un particolare utilizzo del linguaggio?
Questo è stato un grande problema di Poe. Egli infatti unì tematiche popolari a un linguaggio assolutamente letterario, il che gli impedì di riscuotere particolare successo in vita. Un problema che Conan Doyle riuscì ad evitare totalmente.
Dopo aver vinto un premio letterario grazie al racconto Il manoscritto dentro una bottiglia, scritto in giovanissima età, Poe vede a mano a mano affievolirsi la propria popolarità. Come dice Picasso «nulla è peggio di un inizio folgorante». A ciò si aggiunga un carattere non proprio facile che gli procurò scarsa benevolenza da parte dei critici.
Per questi due motivi Poe finì letteralmente la propria vita ridotto poco più che un barbone. Un famoso critico statunitense sottolineò una volta quanto fosse ironico che l’inventore del giallo, un genere che dà da mangiare a tutti gli scrittori, sia morto di fame.
Ma questo è un destino che, purtroppo, sembra accomunare molti grandi
19/01/2009 13:07 - CINA – TIBET - La Cina istituisce una festa che ricorda la repressione della rivolta tibetana del 1959 - Il 28 marzo sarà il “Giorno dell’emancipazione degli schiavi”. Pechino rivendica di avere liberato i tibetani dalla “schiavitù” teocratica esistente sotto il Dalai Lama. Ma molti tibetani parlano di repressione sanguinosa che continua tuttora. Dalai Lama: ho fiducia nei cinesi, non nel loro governo.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La Cina ha annunciato oggi una festa per commemorare la sanguinosa repressione militare della rivolta dei tibetani nel 1959. Il parlamento del governo cinese del Tibet ha indetto per il 28 marzo di ogni anno il “Giorno dell’emancipazione del servo della gleba”, anche se non è chiaro se sia un giorno di vacanza o solo di commemorazione.
Oggi la statale Xinhua ricorda come “il 28 marzo 1959 i tibetani, servi della gleba e schiavi, che erano oltre il 90% della popolazione, sono stati liberati dopo che il governo centrale ha sconfitto una rivolta armata organizzata dal Dalai Lama e dai suoi seguaci”. La Cina spiega che ha annesso nel 1951 la regione per liberarla dalla teocrazia buddista nella quale un’elite religiosa teneva gli altri sottomessi come schiavi (nella foto: cittadini tibetani di Chushul osservano, nel 1959, artisti che dipingono ritratti di Mao Zedong).
Moti tibetani ripetono, invece, che Pechino ha conquistato il Paese con la forza e ha represso la rivolta nel sangue, costringendo all’esilio il Dalai Lama e chi lo sostiene. Da allora opera un sistematico annientamento della cultura, delle religione e della stessa identità etnica dei tibetani, perseguitando con carcere e discriminazioni la semplice fede religiosa nel Dalai Lama e favorendo la massiccia immigrazione nella regione di etnici Han, cui sono riservati posti di potere a facilitazioni nei commerci. Come ancora nel sangue sono state represse le proteste dello scorso marzo.
Per il 2009 i gruppi pro-Tibet hanno annunciato grandi commemorazioni per i 50 anni della repressione cinese. Per questo molti ritengono che Pechino abbia voluto fornire in via preventiva una interpretazione ufficiale dell’anniversario.
Proprio ieri il Dalai Lama, in visita a un college a New Delhi, richiesto circa le prospettive per il Tibet, ha commentato che “è sempre minore la fiducia verso il governo (cinese), ma è inalterata la fiducia verso la popolazione cinese”, nella speranza che la popolazione porti infine “a cambiamenti nel governo, tra i leader e anche nella politica… Io penso che tutto possa migliorare nel lungo termine… lo spirito dei tibetani è forte, molto forte”.
Kirghizistan, intolleranza e vessazioni contro la Chiesa - Ancora più restrizioni nella nuova legge sulla libertà religiosa - Bandite le comunità con meno di 200 fedeli, proibito il proselitismo e la diffusione pubblica di materiale religioso. Esperti: la normativa non rispetta i diritti umani. Le critiche dell’Ocse.
Bishkek (AsiaNews/F18) – Nonostante vigorose proteste degli attivisti pro-diritti umani, il presidente Kurmanbek Bakiev ha firmato nei giorni scorsi la nuova restrittiva legge sull’attività dei gruppi religiosi, approvata dal parlamento il 6 novembre nonostante le critiche dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Ocse).
La nuova legge ammette solo le organizzazioni religiose con almeno 200 iscritti (prima ne bastavano 10), inibisce la partecipazione dei bambini e vieta “azioni aggressive finalizzate al proselitismo” compresa la distribuzione di materiale religioso in luoghi pubblici e scuole. Inoltre i gruppi religiosi già riconosciuti dovranno registrarsi di nuovo, cosa che costringerà le piccole comunità con meno di 200 fedeli locali a diventare illegali e “clandestine”.
Tursunbek Akun, Ombudsman locale per i Diritti umani, commenta all’agenzia Forum 18 che “la legge non rispetta gli standard internazionali sui diritti umani”, “impone una serie di restrizioni che ostacoleranno molto i piccoli gruppi religiosi”.
E’ d’accordo Aziza Abdirasulova, del Centro per la Protezione dei Diritti Umani Kylym Shamy (Candela del Secolo), che ritiene che la normativa violi soprattutto i diritti delle piccole comunità e osserva “la mancanza di un linguaggio comune tra il Muftiate [il Consiglio dei leader islamici sostenuti dallo Stato] e la Chiesa ortodossa russa –che sostiene la legge- da una parte, e le altre comunità” religiose.
Critico anche Jens Eschenbaecher, portavoce dell’Ufficio per i Diritti umani dell’Ocse, il quale rimarca che l’Osce nell’ottobre 2008 aveva già indicato alcuni “punti problematici” della legge chiedendone una revisione, ma la legge “li contiene ancora ”. “Siamo pronti - ha detto - a continuare il lavoro con le autorità per ogni futuro emendamento della legge e per rendere effettivo l’impegno del Kirghizistan a partecipare all’Ocse”.
Anche Papa Benedetto XVI l’8 gennaio, nel tradizionale incontro d’inizio d’anno con i diplomatici accreditati presso la Santa Sede, ha raccomandato alle autorità “di adoperarsi con energia per mettere fine all’intolleranza e alle vessazioni contro i cristiani”, con speciale preoccupazione per le nuove normative che in materia si stanno emanando nelle repubbliche dell’Asia centrale. La Chiesa, ha ripetuto, “non domanda privilegi, ma l’applicazione del principio della libertà religiosa in tutta la sua estensione”. E le comunità cristiane che vivono in Asia, pur se piccole, “desiderano offrire un contributo convinto ed efficace al bene comune, alla stabilità e al progresso dei loro Paesi, testimoniando il primato di Dio, che stabilisce una sana gerarchia di valori e dona una libertà più forte delle ingiustizie”. “In questa prospettiva, è importante che, nell’Asia centrale, la legislazione sulle comunità religiose garantisca il pieno esercizio dei diritti fondamentali, nel rispetto delle norme internazionali”.
AsiaNews, 14 gennaio 2009
Eluana e Terry: due storie molto simili - di Umberto Richiello*
ROMA, lunedì, 19 gennaio 2009 (ZENIT.org).- I criteri adottati dal Giudice di legittimità, nella sentenza n. 21748 del 16 ottobre 2007, nel decidere la questione relativa alla autorizzazione alla interruzione del mantenimento in vita di Eluana Englaro ricordano molto da vicino i criteri adottati dai giudici dello Stato della Florida nella vicenda che ha visto come protagonista Maria Teresa Schindler, coniugata Schiavo (più nota come Terry Schiavo).
I giudici statunitensi, nelle decisioni relative al caso di Terry Schiavo, avevano fatto ricorso ad un precedente giurisprudenziale (Guardianship of Estelle Browning / Stato della Florida) nel quale la persona in stato vegetativo permanente, prima di cadere in tale stato, aveva espressamente manifestato la propria volontà in un testamento biologico.
Il caso di Terry si poneva come un caso nuovo, poiché la persona (asseritamente in stato vegetativo permanente) non aveva mai formulato né un testamento, né tanto meno un testamento biologico. I giudici statunitensi avevano deciso di autorizzare l’interruzione del trattamento di alimentazione ed idratazione in base alla sussistenza di due requisiti:
1) l’accertamento dello stato vegetativo permanente;
2) l’avere il paziente, prima di cadere nello stato vegetativo permanente, manifestato in modo implicito o esplicito la volontà di non esser sottoposto a trattamenti medico-chirurgici che avessero il solo scopo di prolungare la vita umana.
Nel caso di Terry era stata riconosciuta la sussistenza dello stato vegetativo permanente, sebbene la donna rispondesse a sollecitazioni, mediante il movimento degli arti superiori e degli occhi; era stata riconosciuta altresì la sussistenza del requisito della volontà, sulla base di prove testimoniali, e ciò sebbene la donna non avesse mai manifestato una simile volontà.
Riconosciuta la sussistenza dei due requisiti, i giudici statunitensi avevano autorizzato la interruzione del trattamento di alimentazione ed idratazione.
Gli stessi criteri sono stati adottati dai giudici italiani, nella citata sentenza della Corte di cassazione, sebbene non esista nel nostro ordinamento una norma che espressamente consenta l’autorizzazione alla interruzione di un trattamento di alimentazione e idratazione; men che mai esiste una norma che consenta ciò in seguito alla istanza di un soggetto diverso da quello che è sottoposto al trattamento.
La Suprema Corte muove i propri passi dalla interpretazione del diritto alla salute, previsto dall’art.32 della Costituzione italiana, da intendersi come diritto alla scelta di cura: il Giudice di legittimità ritiene che l’alimentazione e la idratazione siano da considerare come trattamento medico-chirurgico di cura.
Tale assunto non appare condivisibile, in quanto il trattamento di alimentazione e idratazione ha caratteristiche, fini ed effetti diversi rispetto alla attività medico-chirurgica di cura: l’alimentazione e l’idratazione, spesso definiti erroneamente artificiali, costituiscono un fatto fisiologico alla vita umana, e in ciò non hanno carattere di provvisorietà o di incertezza scientifica, ovvero effetti potenzialmente dannosi alla salute.
E’ dunque fuori luogo la qualificazione del trattamento di alimentazione ed idratazione come attività medico-chirurgica di cura. E’ conseguentemente erroneo ritenere che il nostro ordinamento riconosca un diritto a rifiutare la alimentazione e la idratazione.
Il secondo aspetto di particolare interesse attiene alla legittimazione di un terzo (rappresentante del soggetto incapace) ad adire gli organi giurisdizionali al fine di ottenere l’autorizzazione alla interruzione del trattamento di alimentazione ed idratazione del rappresentato.
I principi generali del nostro ordinamento in tema di tutela delle persone incapaci, così come le norme di dettaglio affermano inequivocabilmente che il rappresentante debba agire solo ed esclusivamente nell’interesse del rappresentato: se il bene-vita è il valore che trova nel nostro ordinamento il massimo grado di tutela, non è dato comprendere a che titolo il rappresentante possa esser legittimato a richiedere un provvedimento autorizzatorio finalizzato al venir meno della vita umana.
Sul punto il ragionamento della Corte di Cassazione appare contraddittorio e lacunoso: contraddittorio perché la Suprema Corte prima afferma che l’attività del rappresentante “deve essere orientata alla tutela del diritto alla vita”, e successivamente precisa, che “in casi estremi si può giungere ad una interruzione delle cure”; lacunoso perchè si lascia un ampio margine discrezionale nella qualificazione del concetto di “caso estremo”.
Sul punto della legittimazione del terzo- legale rappresentante, la Corte di Cassazione ritiene che “in casi estremi” il miglior interesse per il rappresentato possa essere la autorizzazione alla interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione, sempre che si tenga conto della volontà implicitamente o espressamente manifestata dal rappresentato stesso. Per arrivare a conoscere la volontà del rappresentato si devono prendere in considerazione “la personalità, lo stile di vita ed i convincimenti espressi dalla persona”.
Una simile impostazione da un lato mina le fondamenta del sistema di protezione delle persone incapaci, attribuendo tra l’altro margini non definiti nella individuazione dei “casi estremi”; d’altro canto si giunge a legittimare una artificiosa ricostruzione della volontà del rappresentato, senza tener conto del principio sancito dalla Costituzione Italiana della suprema dignità di ogni vita umana.
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*Avvocato del foro di Roma
Un giorno di ordinaria follia - Autore: www.stranocristiano.it Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 19 gennaio 2009 - Il ministro Maurizio Sacconi è indagato per violenza privata aggravata
La notizia è sparata in tarda mattinata: il Ministro Maurizio Sacconi è indagato per violenza privata aggravata. Il reato sarebbe nella presunta intimidazione nei confronti della Casa di Cura Città di Udine, che – dopo l’atto di indirizzo emanato dal Ministro ed alcune sue dichiarazioni – ha ritirato la disponibilità ad accogliere Eluana per farla morire di fame e di sete.
La denuncia è stata presentata da alcuni dirigenti radicali: Antonella Casu, di Radicali Italiani, Marco Cappato, della Luca Coscioni, e pure Sergio D’Elia, dell’Associazione “Nessuno tocchi Caino”, che d’ora in poi potremmo pure chiamare “però tutti addosso a Sacconi”.
Ieri il rifiuto della Casa di Cura. Oggi, con un tempismo esemplare (considerando che è pure sabato) si è saputo che la Procura di Roma, ricevuta la denuncia, ha deciso di non archiviare il caso (avrebbero potuto farlo) e di iscrivere il Ministro Sacconi nel registro degli indagati. Evidentemente in Procura hanno il dubbio che Sacconi possa avere effettivamente usato violenza privata aggravata (ripeto: violenza privata aggravata).
Siamo al puro delirio.
Un Ministro emana un atto di indirizzo per ricordare che, secondo una Convenzione internazionale che l’Italia sta ratificando, non è lecito sottrarre alimentazione ed idratazione ad un disabile, e che succede? Viene denunciato per violenza privata aggravata, e c’è pure qualcuno che prende sul serio la denuncia.
Nel frattempo, invece, Franca Alessio, la cosiddetta “curatrice speciale” di Eluana – quella che dovrebbe fare da contraddittorio a Beppino Englaro, ma piuttosto ne fa l’eco – dichiara che, se non si trova un altro posto dove far morire Eluana, allora bisognerà obbligare qualcuno a sospenderle nutrimento e idratazione, magari nella stessa clinica dove è adesso.
Chissà, magari diranno che devono essere proprio le suore a fare morire Eluana di fame e di sete.
E’ ovvio che una pretesa del genere non ha alcun fondamento. La sentenza autorizza a sospendere nutrizione e idratazione ad Eluana, non obbliga nessuno a farlo. E d’altra parte: ve li immaginate, i carabinieri che costringono le suore a staccare il sondino? Roba da matti.
Decine e decine le dichiarazioni di solidarietà al Ministro Maurizio Sacconi, soprattutto da esponenti del PdL. Con Beppino Englaro, i radicali e il solito Ignazio Marino. Dal Pd – a parte Paola Binetti, solidale con Sacconi, e Maria Pia Garavaglia – un silenzio totale. Colmo di imbarazzo ...
Stranocristiano socio di SamizdatOnLine
Le sfide aperte dopo l’Obama day - Alberto Simoni - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
La lista delle cose da fare è lunghissima. Quella delle cose che si possono fare è invece necessariamente più corta.
Si tende, sbagliando, ad attribuire al presidente americano poteri quasi illimitati. La Costituzione statunitense dà una discreta libertà di manovra all’inquilino della Casa Bianca in politica estera e sulla sicurezza. Sul fronte interno, dalla definizione del budget alle politiche sociali, invece è indispensabile la sintonia fra presidente e Campidoglio.
Sarà bene ricordarlo ed evitare di considerare Barack Obama un supereroe dotato di bacchetta magica. Anche se il Senato e la Camera sono sotto il controllo dei democratici, le sfumature all’interno del partito pesano. Sulle questioni etiche, sui soldi da destinare al Pentagono, sulla riforma della Sanità e sulle politiche per l’istruzione i democratici sono una babele. A Obama toccherà tenere conto di ogni prospettiva prima di partire lancia in resta. Evitare di usare l’arma del veto come una clava è fondamentale. Così come stabilire relazioni buone con l’altra sponda di Pennsylvania Avenue.
Tuttavia il 44esimo presidente Usa e primo afroamericano a ricoprire l’incarico parte con il vento in poppa dell’entusiasmo e della fiducia della Nazione (e del mondo intero, o quasi). Farà bene ad approfittare del credito quasi illimitato nei primi giorni di navigazione. Perché al primo errore (grave) la fiducia si incrinerà. L’idillio con gli americani non potrà durare in eterno.
Nei primi giorni, diciamo le prime cento ore, il neopresidente firmerà importanti executive order: la chiusura di Guantanamo su tutti. Gesto tutt’altro che simbolico. Per molti segna l’inversione di rotta rispetto all’America “buia” di Bush. Può darsi. Pochi però ricordano che ci vorranno mesi (forse anni) prima che il famigerato carcere sull’isola cubana sia smantellato.
Prima Obama però dovrà rispondere a una domanda: “Che soluzioni ho per continuare a difendere l’America e a dare la caccia ai terroristi?”. Se Guantanamo non è la risposta, trovare una valida alternativa è decisivo prima di mettere i lucchetti alla prigione e celebrare processi ai terroristi nei tribunali militari e/o civili. Quanti alleati o Paesi stranieri sono disposti a riprendersi i detenuti? L’Amministrazione Bush su questo ha trovato porte sbarrate. Basterà l’appeal di Obama per convincere i recalcitranti alleati che trattenere nelle loro prigioni i combattenti nemici è nell’interesse della sicurezza globale?
La lotta al terrorismo resta il filo conduttore fra Bush e Obama. Immaginare ex novo un modo di condurla è difficile. Obama potrebbe in fondo proseguire sulla stessa rotta del suo predecessore. Bush gli lascia il piano per il ritiro delle truppe dall’Iraq e la decisione di aumentare il contingente in Afghanistan. Grandi colpi di “genio” su questi due fronti appaiono improbabili. L’Iran è la più grande sfida, come ammesso dal neoleader. L’Amministrazione Bush ha dialogato su alcune questioni (Afghanistan e ricostruzione in Iraq) con Teheran. Sostegno al terrorismo e nucleare sono però spade di Damocle sulla testa del mondo. Obama vorrebbe aprire il dialogo con la Repubblica islamica. È una mossa tanto azzardata quanto coraggiosa. Valutare pro e contro di unengagement è il primo requisito.
L’attesa più grande per le prime ore poggia sull’approccio che Obama e i suoi consiglieri avranno nei confronti della crisi di Gaza. Il cessate il fuoco facilita solo in parte il discorso. Obama dovrà mostrare di avere delle idee chiare. Alcuni del suo staff spingono per una diplomazia “avvolgente”, forte, modello Bill Clinton. Ripetere quell’esperienza che non ha dato i frutti sperati in un clima, quello odierno, diverso dove l’equazione “peace for land” non tiene, rischia di essere un autogol.
Hillary ha promesso che non dialogherà con Hamas. Una posizione comprensibile sulla linea di quella di Bush. Ma lo staff di Obama, infarcito di esperti di questioni mediorientali, ha le carte in regola per escogitare qualche soluzione. A patto che l’America non voglia diventare essa stessa il “broker”. La pace - o più realisticamente la convivenza - la devono trovare palestinesi (di ogni fazione) e israeliani (di ogni gruppo). Un accordo imposto dall’alto sarebbe solo un autogol.
Ma se sulla scena internazionale l’Europa imparerà a capire, leggere, decifrare i movimenti di Obama, è sulla scena interna che il neopresidente metterà la gran parte delle energie. La crisi economica è forse la voce che assomma il 90% delle sue preoccupazioni. Obama vuole approfittare del disastro finanziario, occupazionale e produttivo per riscrivere le regole del gioco del mercato, del ruolo dello Stato nell’economia e del welfare. Obama è un pragmatico, ma la sua visione economica è chiaramente keynesiana. Mettere i soldi federali per rilanciare l’economia è un’idea. Potrà funzionare. L’importante è interpretarla in senso popperiano: se non funziona, si cambi rotta. L’ideologia della spesa pubblica sarebbe peggio della malattia che vuole curare.
DIALOGO/ Sbai: c'è un'offensiva estremista che attacca in Italia l'islam moderato - Souad Sbai - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
La guerra israeliana sulla striscia di Gaza e le drammatiche immagini trasmesse nei giorni scorsi dalle emittenti mediorientali, hanno spinto alcune frange più estremiste della comunità islamica che vive nel nostro paese a venire fuori e a mostrarsi pubblicamente. La necessità di questi gruppi di sfruttare i sentimenti religiosi dei musulmani per ottenere risultati di tipo politico ha riproposto al centro del dibattito e dell'attenzione dei media la necessità di regolamentare la presenza islamica in Italia, proprio per evitare che la maggioranza moderata dei musulmani finisca nelle mani di questi estremisti. Nei cortei pro-Gaza di Milano, Bologna e Roma è stato possibile osservare gruppi composti al massimo da cento persone che hanno bruciato le bandiere israeliane, gridato slogan violenti e pregato in strada proprio davanti ai luoghi simbolo delle loro città, come il Duomo di Milano o il Colosseo a Roma, per rappresentare la presenza dell'Islam militante nei centri del potere occidentale.
Per chi vive all'interno della comunità dei musulmani italiani, episodi di questo tipo non sono affatto strani. Era da mesi che denunciavamo uno strano silenzio da parte di queste frange estreme dell'Islam italiano che alla prima occasione, la guerra a Gaza, hanno approfittato per ritornare allo scoperto sentendosi forti dello sdegno provocato nel mondo arabo dai raid aerei sulla città palestinese e dall'appoggio di buona parte della sinistra radicale che li considera un interlocutore politico.
Quanto accaduto in Italia mai sarebbe potuto accadere nel mondo arabo, dove le manifestazioni devono essere autorizzate e dove mai si prega in strada perché considerato poco opportuno proprio dagli Imam, oltre che dalle autorità locali.
Sono d'accordo con padre Samir Khalil quando sostiene che «il contesto di quel sabato pomeriggio mostra che lo scopo era fare un atto politico. La preghiera è venuta al termine di una manifestazione dedicata alla situazione di Gaza, dove si sono anche bruciate bandiere israeliane. Se si fosse voluto fare un gesto religioso, sarebbe stato molto più semplice, e più bello, invitare tutti quelli che volevano pregare per la pace a venire in un luogo scelto, come una chiesa, una moschea, o un luogo più neutrale. Sarebbe stato un momento in cui ognuno – cristiani, ebrei, musulmani – avrebbe potuto pregare a modo suo». Il gesuita di origine egiziana ha sottoneato infatti in un intervista proprio su questo quotidiano come «il fatto che simultaneamente, a Bologna davanti a San Petronio e a Milano in piazza Duomo sia avvenuta la stessa cosa, fa capire che c’è stata una programmazione. Questo vuol dire che c’è stato un progetto politico e che allora questo gesto di preghiera va letto politicamente. I musulmani devono capire che mescolare il politico e il religioso, non è una cosa buona e accettabile in Europa».
Quello che padre Samir non dice è che a pregare in strada in queste città erano le stesse persone che ogni sabato, da quando è iniziata la guerra a Gaza, si organizzavano con degli autobus per partecipare ai vari cortei pro palestinesi che si sono tenuti in Italia, in modo da far credere all'opinione pubblica che tutti i musulmani italiani condividono il loro progetto politico fondamentalista.
Quello che è preoccupante è il silenzio dei musulmani moderati che ormai non credono più alla battaglia contro il fondamentalismo perché non si sentono appoggiati in modo adeguato dalle istituzioni. Questa guerra, voluta da Hamas per rafforzarsi, come è avvenuto due anni prima per Hezbollah in Libano, ha fatto ritornare la situazione dei musulmani in Italia indietro di dieci anni.
Questi personaggi, con i loro cortei, vorrebbero far credere ai loro referenti nel mondo arabo di riuscire ad influenzare la politica del governo italiano. Gli episodi registrati durante le manifestazioni di Milano e Roma non vanno sottovalutate. È chiaro che oggi si apre un nuovo scenario nel panorama politico italiano perché esistono gruppi e comunità influenzate dalla propaganda delle Tv arabe che spingono anche le famiglie che mai hanno fatto politica a scendere in strada al fianco di questi estremisti col ricatto morale che a Gaza vengono uccisi i bambini.
E' importante oggi più che mai, alla luce di tutto questo, riprendere il dialogo interreligioso e interculturale partendo da quelle che sono le realtà religiose del nostro paese con l'obiettivo di evitare che in Italia si possa vivere il dramma già vissuto a Londra dove sono comparsi dal nulla kamikaze con passaporto britannico. E' necessario quindi discutere di quali possono essere le politiche da attuare per una reale integrazione degli immigrati in Italia che può passare anche per i centri culturali e le moschee, purché queste ultime siano regolate e gestite da personale competente e riconosciuto dallo stato.
ELUANA/ Le tappe di una battaglia politica condotta a suon di sentenze - Assuntina Morresi - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
Con l’iscrizione del ministro Sacconi nel registro degli indagati da parte della Procura di Roma si chiude nel modo più surreale un altro capitolo della tragica vicenda di Eluana Englaro. Vediamo di fare il punto della situazione.
La lunga battaglia giudiziaria di Beppino Englaro sembrava essere arrivata al termine lo scorso luglio, con il decreto della Corte di Appello di Milano che autorizzava la sospensione della nutrizione ed alimentazione artificiale, descrivendo con dovizia di particolari le modalità, i criteri e i dettagli di tipo medico con cui tale interruzione si poteva effettuare, specificando che ciò avvenisse “in hospice o altro luogo di ricovero confacente”.
Ed è intorno a questi due punti che si è arenata la faccenda: l’autorizzazione e il luogo. Parlare di “istanza di autorizzazione all'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale”, significa che, appunto, tale interruzione si può effettuare, ma nessuno è costretto a farlo, tantomeno il Servizio Sanitario Nazionale. E l’espressione “luogo confacente” non indica necessariamente le cliniche o case di cura del Servizio Sanitario Nazionale, pubbliche o private che siano.
In altre parole, il decreto della Corte di Appello permette, ma non obbliga a staccare il sondino: chiunque si offra lo fa perché se ne assume la responsabilità personale e morale, non certo perché si tratta di un ordine che va eseguito.
I responsabili degli hospice, dal canto loro, non hanno apprezzato di essere stati chiamati in causa dai giudici: è noto che queste strutture si occupano di malati terminali, mentre Eluana non lo è (se la donna stesse per morire, tutta la faccenda non avrebbe motivo di essere). Per questo motivo hanno buone ragioni nel rifiuto a ricoverarla.
L’atto di indirizzo del ministro Sacconi, quindi, rivolto al Servizio Sanitario Nazionale, non confligge direttamente con la sentenza dei giudici, ma si pone su un altro piano: oltre che ad un parere del Comitato Nazionale di Bioetica (il massimo organismo consultivo in materia, che dipende direttamente dalla Presidenza del Consiglio), si rifà ad una Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite, quella per i diritti dei disabili, che l’Italia ha firmato nel marzo 2008 e che è stata approvata dal Consiglio dei Ministri il 28 novembre scorso.
Il comma F dell’art.25, quello citato nell’atto di indirizzo, che vieta la sospensione di idratazione ed alimentazione ai disabili, è stato inserito nel testo della Convenzione dopo la morte di Terry Schiavo, proprio per evitare che orrori del genere si ripetessero.
Denunciare di violenza privata aggravata il ministro Sacconi, che ha solo invitato le regioni ad applicare una convenzione internazionale nel nostro paese, è quanto di più ridicolo si possa fare, oltre che un grave errore nei confronti dell’opinione pubblica: dove sarebbe la violenza privata aggravata nell’atto di indirizzo e nella seguente frase, pronunciata da Sacconi e segnalata come uno scandalo nella denuncia dei radicali: “se ci fossero comportamenti difformi da quei princìpi (dell’atto di indirizzo ndr) determinerebbero inadempienze, con le conseguenze probabilmente immaginabili”? Questa sarebbe una frase minacciosa, violenta, un diktat tale da chiamare in causa il diritto penale (perché questo significa l’iscrizione nel registro degli indagati)? E’ bene spiegare che la Procura della Repubblica avrebbe potuto archiviare il caso, e non procedere contro Sacconi. Ha invece deciso di proseguire mascherandosi dietro “l’atto dovuto”.
Con questa denuncia, i radicali hanno valutato che valesse la pena chiedere ancora una volta l’appoggio dei magistrati, perché quando non si hanno armi politiche, quando non si riesce a creare il consenso, quando gli elettori hanno espulso dal parlamento chi ha sostenuto posizioni laiciste, non resta che rivolgersi alla magistratura. Un tempo c’era il povero mugnaio che, di fronte alla prepotenza del re di Prussia, aveva esclamato: “Ci sarà pure un giudice a Berlino!”. Oggi i radicali denunciano un ministro che cerca solo di applicare una normativa internazionale a tutela dei disabili e di salvare una vita umana, facendo un ragionamento un po’ diverso: vuoi che non ci sia un giudice di parte, a Berlino?
STORIA/ I novant'anni del PPI, le idee tradite ma ancora vive di Luigi Sturzo - INT. Roberto Chiarini - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
Novant’anni fa nasceva in Italia il Partito Popolare, fondato da Don Luigi Sturzo, che avrebbe sancito il riavvicinamento dei cattolici alla vita politica del Paese, dopo il famoso non expedit del Beato pontefice Pio IX. Dalle ceneri della Grande Guerra, primo e autentico “collante” del popolo italiano, sorgeva un movimento popolare ispirato alla Dottrina Sociale della Chiesa e in grado di anteporsi ai movimenti socialisti e alle alternative liberali. Ma ebbe vita breve in seguito all’avvento del Fascismo e, dopo la caduta di quest’ultimo, vide traditi, nella pratica politica che seguì, molti dei suoi principi ispiratori. Abbiamo chiesto al professor Roberto Chiarini, docente di storia contemporanea e storia dei partiti presso l’Università degli Studi di Milano, un’analisi della genesi e dell’eredità lasciataci da questa importantissima esperienza politica.
Il 19 gennaio del 1919 nasceva in Italia il Partito Popolare, evento politico che lo storico Federico Chabod non esitò a definire come “il più importante nella storia italiana”. È, a suo avviso, un giudizio tuttora valido?
Per uno storico affermare “la cosa più importante di…” è sempre un azzardo, come d’altra parte per tutte le affermazioni assolute. Quindi non so se sarei d’accordo oggi come oggi nel concordare con questa dichiarazione. Certo è che da un punto di vista politico la nascita del Partito Popolare Italiano ha il merito di aver sanato quell’esilio politico dei cattolici che in realtà significava l’esilio politico dello Stato reale, perché coloro che seguivano i dettami della Chiesa Romana erano allora la stragrande maggioranza.
I popolari andavano quindi a sanare una frattura fra Stato e Chiesa, fra Italia reale e Italia regale, che alla fine ha affossato l’Italia liberale. Più che sanare del tutto direi che ha contribuito ad avviare un risanamento dato che il percorso in questa direzione è ancora oggi in atto.
Sappiamo che Don Sturzo fu personalmente un fautore dell’antistatalismo. A livello politico riuscì a portare avanti questo tipo di visione?
Il Partito Popolare incarnò abbastanza questo atteggiamento, anche perché in termini pratici tutta la sua azione politica contrastava con il carattere un po’ giacobino dello Stato liberale che era invadente non tanto in materia economica quanto soprattutto su temi quali l’educazione e il diritto di famiglia. Dico “abbastanza” perché mai nessuno realizzò o ebbe la possibilità di realizzare appieno i disegni di Sturzo.
Un modello, quello del fondatore che venne poi riproposto nel dopoguerra, quando il piano politico presentava oramai due importanti novità: in primo luogo uno stato nuovamente invadente, dopo la fondazione dell’Iri e poi dell’Eni, e in seconda istanza il fatto che i cattolici che si trovavano al governo, ossia la DC, dimostravano quanto poco dell’impostazione sturziana avessero intenzione di applicare. Sturzo rimase dunque, negli anni ’50, una vox clamans in deserto. I democristiani di allora simulavano un atteggiamento di rispetto nei suoi confronti, ma, di fatto, ne ignoravano pressoché totalmente il pensiero e le intenzioni. Basti pensare che la sede principale che permise a Sturzo di esprimere la propria visione politica fino alla fine furono i giornali d’opposizione. Adesso i vecchi democristiani dicono di averlo ascoltato in passato. In realtà lo trattarono alla stregua di un “nonno impertinente” da relegare in soffitta.
Vi furono per Sturzo in questo senso interlocutori provenienti da altre esperienze politiche?
Ci furono negli anni cinquanta. Si trattava per lo più di qualche liberale imperterrito, si pensi ad esempio all’opera politica di Cesare Merzagora, oppure a quella di Luigi Einaudi che poi divenne Presidente della Repubblica Italiana e dovette assumere un atteggiamento inevitabilmente più equilibrato e super partes. Ma ce ne furono molti altri di politici coi quali l’idea sociale di Don Sturzo venne portata avanti, per non parlare dei i vari giornalisti ed editorialisti di allora. Il Corriere della Sera dei tempi dava molto spazio a questa corrente, anche perché c’erano di mezzo i vari imprenditori che avevano in mano “privilegi elettrici” e non volevano essere depenalizzati.
Che rapporto fu quello fra Don Sturzo e Alcide De Gasperi?
De Gasperi aveva realmente, al contrario di molti suoi compagni di partito, una grandissima considerazione di Sturzo. Ma fu comunque un’ammirazione che si espresse in termini costretti dentro i vincoli del quadro politico. Questo perché la DC, per quanti sforzi facesse lo stesso De Gasperi, divenne molto più confessionale di quel che era stato il partito di Sturzo assumendo le sembianze di un organo politico sempre più d’apparato e non di opinione, composto da politicanti e non da uomini di particolare levatura culturale. Quindi, sebbene a livello speculativo i due fossero accomunati dalle medesime prospettive e dagli stessi intenti, a livello politico il dialogo rimase sempre molto difficile.
Nell’esperienza politica della Seconda Repubblica si possono rintracciare alcune eredità provenienti dal Partito Popolare e dalla lezione di Don Sturzo?
Nella valorizzazione della società civile che è il lievito della democrazia, attraverso circuiti e reti diverse, ma non antitetiche ai partiti. La centralità delle istanze sottostanti alla politica del Partito Popolare, ossia la persona, le varie associazioni, il volontariato, la mobilitazione responsabile del cittadino sul territorio, è il lascito che ci ha consegnato l’opera di Sturzo.
Se si prova a pensare dove la Lega Lombarda di Bossi ha riscosso maggior successo ci si può accorgere che si tratta delle aree di insediamento del cattolicesimo politico. Perché lì era la diffidenza storica nei confronti dello Stato e degli apparati burocratici del centro Italia.
In una parola il Partito Popolare ha consentito che nel nostro Paese sopravvivesse il tema della sussidiarietà, cioè del realizzare in proprio, a livello sociale, tutto quello che si è in grado di fare, lasciando allo Stato il resto. Tuttavia questo è il contrario di quello che finora ha fatto la politica la quale ha sequestrato tutte le funzioni sociali e anche quasi quelle individuali e private del popolo.
IN MARGINE AL CASO ENGLARO. L A DIGNITÀ DELLA POLITICA - Ma i paradossi di Rodotà non gli danno ragione - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 20 gennaio 2009
Tra le giustificazioni portate dal ministro Sacconi per l’atto di indirizzo con il quale è riuscito, almeno per ora, ad evitare ad Eluana Englaro la morte per sospensione dell’alimentazione e idratazione, figura un esplicito richiamo a un parere del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb), pubblicato, con indubbia lungimiranza, già nell’ottobre del 2005. Il Comitato qualificava l’alimentazione e l’idratazione artificiali come prassi di sostegno vitale e le escludeva formalmente dal novero di quegli atti medici, che è lecito o addirittura doveroso sospendere, potendosi configurare in alcune circostanze come forme di accanimento terapeutico. Stefano Rodotà (cfr. la Repubblica del 17 gennaio) ritiene che il richiamo fatto dal ministro a questo parere del Comitato abbia una portata argomentativa «praticamente inesistente» e contribuisca di fatto a «calpestare il diritto». Ha ragione Rodotà? No. Perché no?
Vediamo. In primo luogo, Rodotà ricorda ai suoi lettori che i pareri del Comitato nazionale di bioetica sono privi di ogni valore giuridico vincolante.
Osservazione esattissima; del resto, se fosse vero il contrario, già dal 2005 la questione del carattere terapeutico o puramente assistenziale dell’alimentazione forzata sarebbe stato definitivamente risolta, proprio grazie alla pronuncia del Cnb. Il Comitato, per l’appunto, non emana tuttavia direttive, ma pareri. Che rilievo hanno questi pareri? Essi non veicolano norme, precetti, prescrizioni, ingiunzioni, ordini, imperativi o qualsiasi altra forma di comando, ma rappresentano semplicemente il distillato delle riflessioni che il governo richiede in ambito bioetico a un comitato di studiosi. Studiosi tutti dotati di adeguato prestigio, come sono certo che Rodotà voglia riconoscere, altrimenti non avrebbe collaborato, come ha gentilmente e intensamente fatto, a diverse iniziative promosse dal Comitato stesso. Il punto è che, non solo in Italia, ma in tutto il mondo (dato che praticamente in nessun Paese è assente un Comitato di Bioetica) queste riflessioni sono ritenute importanti perché, incidendo in un ambito sovra-politico, servono a de-ideologicizzare le questioni bioetiche e a sottrarle agli schieramenti partitici. Il Comitato non ha poteri giuridici di alcun tipo; ha però l’autorevolezza che è propria di ciascuno dei suoi componenti e dal loro impegno assolutamente gratuito. Il governo non ha quindi il dovere di prestare ascolto al Comitato, da lui stesso istituito come proprio consulente imparziale ed apolitico, ma farlo è segno di grande saggezza da parte sua. Aggiunge però Rodotà: il parere del Comitato, ricordato da Sacconi, non fu unanime, bensì approvato a maggioranza. È vero. Ai Comitati di Bioetica, tuttavia, non si richiedono pareri unanimi, ma semplicemente pareri, ancorché condivisi solo dalla maggioranza dei loro membri e tale fu appunto il parere sull’alimentazione artificiale. Cosa avrebbe dovuto fare di fronte a tale parere il governo? Accedere (molto curiosamente) all’opinione dei membri di minoranza, delegittimando per ciò solo quelli di maggioranza?
Oppure avrebbe dovuto non prendere posizione alcuna, né nel senso indicato dalla maggioranza, né in quello indicato dalla minoranza? Si può anche sostenere questa opinione, che non è assurda, anche se favorisce, secondo un’antica vocazione italiana, l’immobilismo e il rinvio di ogni decisione, quando si devono fronteggiare questioni molto controverse. In ogni modo in bioetica non prendere decisioni può significare solo due cose: o restare fermi alla prassi consolidata seguita dai medici (che nel nostro caso è sempre stata quella di alimentare comunque i pazienti in stato vegetativo persistente) o scegliere, quando si aprano questioni inedite (ma quella di Eluana non lo è), la via più prudente. Nel dubbio se l’alimentazione artificiale sia o no accanimento terapeutico, dovremmo seguire sempre la via più sicura, comportarci cioè in modo da proteggere la vita del malato. La decisione di far morire Eluana, sospendendole l’alimentazione, presuppone quindi due scelte bioeticamente assurde, perché paradossali: dar credito all’opinione minoritaria e non a quella maggioritaria e seguire, in un contesto nel quale i dubbi si moltiplicano, l’opzione meno prudente, quella per la morte e non quella per la vita. Ma ciò che nell’argomentazione è un paradosso, diviene a livello di pensiero dogmatismo e rischia di trasformarsi, nella prassi giuridica, in opzione ideologica. Con il suo atto di indirizzo Sacconi non ha affatto calpestato il diritto, ma è riuscito in un compito che molti scettici avrebbero ritenuto impossibile: ha ridato dignità alla politica.
1) COMUNICATO STAMPA - L’Arcivescovo di Bologna Cardinale Carlo Caffarra interviene sul caso di Eluana Englaro – 19 gennaio 2009
2) LETTERATURA/ Edgar Allan Poe, quel connubio fra ragione e mistero - INT. Raul Montanari - lunedì 19 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
3) 19/01/2009 13:07 - CINA – TIBET - La Cina istituisce una festa che ricorda la repressione della rivolta tibetana del 1959 - Il 28 marzo sarà il “Giorno dell’emancipazione degli schiavi”. Pechino rivendica di avere liberato i tibetani dalla “schiavitù” teocratica esistente sotto il Dalai Lama. Ma molti tibetani parlano di repressione sanguinosa che continua tuttora. Dalai Lama: ho fiducia nei cinesi, non nel loro governo.
4) Kirghizistan, intolleranza e vessazioni contro la Chiesa - Ancora più restrizioni nella nuova legge sulla libertà religiosa - Bandite le comunità con meno di 200 fedeli, proibito il proselitismo e la diffusione pubblica di materiale religioso. Esperti: la normativa non rispetta i diritti umani. Le critiche dell’Ocse.
5) Eluana e Terry: due storie molto simili - di Umberto Richiello*
6) Un giorno di ordinaria follia - Autore: www.stranocristiano.it Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 19 gennaio 2009 - Il ministro Maurizio Sacconi è indagato per violenza privata aggravata
7) Le sfide aperte dopo l’Obama day - Alberto Simoni - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
8) DIALOGO/ Sbai: c'è un'offensiva estremista che attacca in Italia l'islam moderato - Souad Sbai - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
9) ELUANA/ Le tappe di una battaglia politica condotta a suon di sentenze - Assuntina Morresi - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
10) STORIA/ I novant'anni del PPI, le idee tradite ma ancora vive di Luigi Sturzo - INT. Roberto Chiarini - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
11) IN MARGINE AL CASO ENGLARO. L A DIGNITÀ DELLA POLITICA - Ma i paradossi di Rodotà non gli danno ragione - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 20 gennaio 2009
COMUNICATO STAMPA - L’Arcivescovo di Bologna Cardinale Carlo Caffarra interviene sul caso di Eluana Englaro – 19 gennaio 2009
A quanto è dato fino a questo momento di sapere, l’ipotizzato ricovero di Eluana Englaro in una struttura sanitaria della nostra Regione sarebbe non per la vita ma per la soppressione della vita.
Come cristiano e come Vescovo – sicuro interprete anche dei miei confratelli dell’Emilia Romagna – debbo denunciare con ogni forza che il porre in essere una tale eventualità sarebbe un atto gravissimo in primo luogo contro Dio, Autore e Signore della vita; e poi contro ogni essere umano, che vedrebbe così violata, perché negata nei fatti e anche in linea di principio, quella dignità della persona che invece permane sempre, in ogni circostanza, e sopravvive alle più crude offese della malattia: persino nella estrema fragilità e impotenza di una condizione deprivata della coscienza.
La vita umana innocente non è un bene che si possa espropriare.
Come cittadino non posso non rilevare che anche la nostra Regione – come le altre – non può sciogliere nessuno dal dovere di ossequio sostanziale ai valori della nostra Carta Costituzionale, la quale né consente pratiche eutanasiche né ammette che si possa negare ad alcuno il sostegno vitale dell’alimentazione e dell’idratazione. Quando avviene che una società trasforma in licenza di uccidere, o di uccidersi, una legittima libertà di scelta del trattamento terapeutico, è tempo che quella società faccia una seria riflessione sul suo destino.
La Chiesa invita i fedeli – specialmente in occasione della imminente celebrazione della "Giornata per la vita" – a intensificare la preghiera perché sia alleviata la sofferenza ai familiari di Eluana e perché da tutti sia riconosciuto il valore fontale della vita, dono irrevocabile aperto a una prospettiva di immortalità.
+ Carlo Card. Caffarra
Arcivescovo di Bologna
LETTERATURA/ Edgar Allan Poe, quel connubio fra ragione e mistero - INT. Raul Montanari - lunedì 19 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
200 anni fa nasceva a Boston Edgar Allan Poe, l’autore dei famosissimi racconti del terrore come “Il gatto nero”, “Il pozzo e il pendolo” o “Il crollo della casa degli Usher”, per citarne alcuni. Una letteratura, la sua, che sembra non conoscere il tramonto del successo, nemmeno fra le ultime generazioni. Ma qual è il segreto di questo strano e affascinante scrittore americano la cui vita pare misteriosa e piena di lati oscuri al pari della sua opera? Lo abbiamo chiesto a Raul Montanari, scrittore italiano di successo, autore di romanzi noir, traduttore di molti lavori di Cormack McCarthy e di opere dello stesso Poe. Ispirato alla poesia “Il Corvo”, di quest’ultimo, ha recentemente messo in scena un recital che ha riscosso grande successo al Festival della Letteratura di Mantova e che ora viene rappresentato in tutta Italia.
Raul Montanari, qual è la principale peculiarità dello scrittore Poe?
Direi in primo luogo che Edgar Allan Poe è senza dubbio lo scrittore più “pop” che l’‘800 ci abbia lasciato. Non esiste uno scrittore che goda dello stesso grado di riconoscibilità. Tutti sanno chi è Poe, anche i ragazzini che magari l’hanno solamente visto rappresentato, o interpretato, nei fumetti. Per darci un’idea Poe è uno dei personaggi che compare nella copertina di Sgt. Peppers dei Beatles. Questo non accade a Dostoevskij, Manzoni, Tolstoj e altri scrittori dello stesso calibro. Invece Poe gode tutt’ora di questa diffusione straordinaria della propria immagine.
In quali aspetti egli ha inciso nella storia della letteratura mondiale?
Poe ha inventato due generi letterari e ne ha codificato un terzo. È il padre del genere giallo e di quello noir. Sono sue invenzioni sia la detective story basata su un enigma che dev’essere risolto sia la storia di un delitto visto dal punto di vista di chi lo compie, il noir, che dà il via all’analisi delle tematiche etiche: perché si uccide? Ci sono giustificazioni al delitto? E via dicendo.
Inoltre ha codificato l’horror, nel senso moderno. È il primo ad essersi emancipato, fatta eccezione per alcuni suoi racconti, dal genere gotico. Con Poe l’horror abbandona vecchi castelli, cattedrali sconsacrate e analoghi scenari, per esprimersi in racconti che non hanno alcun debito con quel tipo di immaginario. Si tratta di vicende in cui l’orrore si insinua del quotidiano di individui apparentemente normali. E nel leggere tali novelle ci si può ben rendere conto di una terza peculiarità di Poe, la sua eccezionale e prolifica capacità inventiva. Dal genio di questo scrittore sono state partorite storie straordinarie e incredibili narrazioni. Che sia un grande narratore lo si può constatare anche attraverso le sue poesie. Lo stesso Il Corvo non è un lavoro iscrivibile all’interno dei parametri che solitamente attribuiamo al genere poetico. È piuttosto un racconto.
C’è un elemento comune che attraversa tutti i racconti di Poe?
L’animo di Poe è sempre sospeso fra l’abisso e una grandissima fede nell’intelligenza, nella ragione. Da una parte vi è fortemente l’idea che la ragione riesca a spiegare il mondo e dall’altra l’abbandono alle profondità più remote dell’anima, al mistero che pervade tutta la realtà.
Se dovessi trovare un equivalente cinematografico indicherei Stanley Kubrik, un regista nel quale si coglie un fascino quasi “meccanico” per l’intelligenza, per la spiegazione razionale e, al contempo, la tentazione di immergersi nell’abisso.
Voglio ricordare a questo proposito che la famosa frase «la vertigine non è la paura per l’abisso ma l’attrazione per esso» non è di Milan Kundera, al quale spesso viene indebitamente attribuita, ma di Edgar Allan Poe.
Perché Poe viene affiancato principalmente all’horror?
Perché l’horror è uno dei generi letterari più universale. Gli elementi horror nella letteratura ricorrono fin dall’antichità. Mi viene ad esempio in mente l’Eneide dove è descritto il rito dell’evocazione dei morti o Plauto che scrisse la commedia Mostellaria dove presenziano mostri e fantasmi. L’elemento horror, che poi è una declinazione dell’elemento della morte, del thanatos, insieme all’eros, costituiscono i due capisaldi della letteratura mondiale. Sostanzialmente non parliamo d’altro.
Poe sembra privilegiare uno solo di questi capisaldi
Esatto. In Poe l’eros quasi del tutto assente, l’unico accenno è presente nel racconto Il mistero di Marie Roget in cui si descrive un caso di cronaca contemporanea all’autore, la storia dello stupro e dell’omicidio della giovane Mary Rogers, avvenuto a New York. Poe traspone i fatti ambientandoli in Francia. Dovendo descrivere l’accaduto ci si può accorgere di quanto egli sia riluttante a trattare l’argomento al quale infatti riserva un esile accenno.
Per il resto della sua letteratura egli, ripeto, si misura con gli abissi che percorrono la storia della nostra coscienza del mistero e dell’ignoto.
C’è qualche scrittore nel panorama letterario che sia accostabile a Poe?
Kafka discende da Poe. Anche i suoi scritti sono imperniati sulla dimensione dell’inspiegabile. Diciamo che con Poe prende inizio la linea del realismo magico anglo europeo. Il primo erede è Stevenson che a sua volta influenza Maupassant, Kafka, il nostro Buzzati e Borges. Quest’ultimo eredita da Poe la forma del “racconto saggio”, cioè del racconto che inizia con le cadenze di un trattato e che poi, impercettibilmente, si trasforma nella voce del protagonista di una vicenda di carattere narrativo. Ad esempio nel Seppellimento prematuro si comincia con tre pagine di pura divulgazione scientifica sul tema della catalessi e della morte apparente e poi si scopre che chi ne sta parlando è un individuo affetto da questo disturbo che ha l’incubo di risvegliarsi nella propria tomba.
È una narrativa che sebbene parli di magia non è mai esoterica
No, assolutamente. È proprio il realismo magico di cui Poe è propriamente da considerarsi il padre. Si tratta di una magia interamente collocata nella realtà effettiva piuttosto. Una magia che non sottostà alle dimensioni soprannaturali che la evocano. Non occorre interpellare medium o stregoni, ma osservare in profondità il reale.
Tornando alle influenze. Quali sono invece i modelli cui si ispira Edgar Allan Poe?
A questo proposito vorrei raccontare un particolare ignorato da quasi tutti. Pochi sanno che Poe fu uno dei primi a recensire, nel 1835, i Promessi Sposi di Manzoni. Ciò che sorprende è l’estremo giudizio positivo che si evince dalla recensione. Ho personalmente tradotto questo scritto che verrà pubblicato nel prossimo numero della rivista Satisfiction. Poe paragona il romanzo manzoniano a tutta la letteratura anglosassone a lui contemporanea, letteralmente massacrando quest’ultima. Il motivo del suo entusiasmo per i Promessi Sposi risiede nel fatto che egli riconosce in questo romanzo un incredibile realismo. È la prima opera in cui si parla della realtà, dove i protagonisti sono persone umili. Il paragone con Ivanhoe di Scott è inevitabile. E Poe sottolinea la differenza fra quest’ultimo, basato sulle leggende letterarie anglosassoni e il capolavoro italiano che trae spunto da una seria ricerca sulla storia dei piccoli comuni, terreno perfetto per far emergere lo studio dei caratteri e dei vizi della gente. Addirittura egli scrive: «sarei fiero che una pagina come quella della madre di cecilia “aggraziasse” la mia scrittura». Poe utilizza più volte la parola “power” per esprimere l’abilità letteraria del Manzoni. Inoltre, nel periodo immediatamente successivo, scrive due racconti sulla peste: La maschera della morte rossa e Re peste.
E per il resto? Ci sono altre fonti?
Le fonti di Poe sono essenzialmente i classici greci e latini. In quest’ottica azzarderei dire che il tipo di atteggiamento letterario che assomiglia di più a quello di Poe è quello di Ugo Foscolo. Poe è un romantico neoclassico. «Fare versi antichi su pensieri nuovi» diceva Monti parlando del neoclassicismo francese, invece il vero neoclassicismo, quello di Foscolo o di Goethe, viene vissuto come “nostalgia”. L’atteggiamento fondamentale verso il mondo classico, paradossalmente, è quello romantico, la malinconia per il mondo passato. Per questo motivo una poesia totalmente romantica come Il corvo è piena di elementi classici. Il verso utilizzato, che è inventato e non è mai esistito prima, nasce sulla base di un verso greco. Il corvo va a trovare il protagonista, che è un classicista, il quale si affligge per la morte della donna amata. E infine va ad appollaiarsi sopra la statua bianca della dea Pallade Atena. Questa immagine è proprio l’unione perfetta di classico e romantico.
Ed è anche la sintesi della definizione che lei dà della letteratura di Poe, ossia coesistenza fra ragione e abisso dell’anima, mistero della realtà?
Assolutamente sì, infatti non è una dea casuale, è proprio la statua che rappresenta l’idea della ragione.
Questa sintesi avviene anche mediante un particolare utilizzo del linguaggio?
Questo è stato un grande problema di Poe. Egli infatti unì tematiche popolari a un linguaggio assolutamente letterario, il che gli impedì di riscuotere particolare successo in vita. Un problema che Conan Doyle riuscì ad evitare totalmente.
Dopo aver vinto un premio letterario grazie al racconto Il manoscritto dentro una bottiglia, scritto in giovanissima età, Poe vede a mano a mano affievolirsi la propria popolarità. Come dice Picasso «nulla è peggio di un inizio folgorante». A ciò si aggiunga un carattere non proprio facile che gli procurò scarsa benevolenza da parte dei critici.
Per questi due motivi Poe finì letteralmente la propria vita ridotto poco più che un barbone. Un famoso critico statunitense sottolineò una volta quanto fosse ironico che l’inventore del giallo, un genere che dà da mangiare a tutti gli scrittori, sia morto di fame.
Ma questo è un destino che, purtroppo, sembra accomunare molti grandi
19/01/2009 13:07 - CINA – TIBET - La Cina istituisce una festa che ricorda la repressione della rivolta tibetana del 1959 - Il 28 marzo sarà il “Giorno dell’emancipazione degli schiavi”. Pechino rivendica di avere liberato i tibetani dalla “schiavitù” teocratica esistente sotto il Dalai Lama. Ma molti tibetani parlano di repressione sanguinosa che continua tuttora. Dalai Lama: ho fiducia nei cinesi, non nel loro governo.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La Cina ha annunciato oggi una festa per commemorare la sanguinosa repressione militare della rivolta dei tibetani nel 1959. Il parlamento del governo cinese del Tibet ha indetto per il 28 marzo di ogni anno il “Giorno dell’emancipazione del servo della gleba”, anche se non è chiaro se sia un giorno di vacanza o solo di commemorazione.
Oggi la statale Xinhua ricorda come “il 28 marzo 1959 i tibetani, servi della gleba e schiavi, che erano oltre il 90% della popolazione, sono stati liberati dopo che il governo centrale ha sconfitto una rivolta armata organizzata dal Dalai Lama e dai suoi seguaci”. La Cina spiega che ha annesso nel 1951 la regione per liberarla dalla teocrazia buddista nella quale un’elite religiosa teneva gli altri sottomessi come schiavi (nella foto: cittadini tibetani di Chushul osservano, nel 1959, artisti che dipingono ritratti di Mao Zedong).
Moti tibetani ripetono, invece, che Pechino ha conquistato il Paese con la forza e ha represso la rivolta nel sangue, costringendo all’esilio il Dalai Lama e chi lo sostiene. Da allora opera un sistematico annientamento della cultura, delle religione e della stessa identità etnica dei tibetani, perseguitando con carcere e discriminazioni la semplice fede religiosa nel Dalai Lama e favorendo la massiccia immigrazione nella regione di etnici Han, cui sono riservati posti di potere a facilitazioni nei commerci. Come ancora nel sangue sono state represse le proteste dello scorso marzo.
Per il 2009 i gruppi pro-Tibet hanno annunciato grandi commemorazioni per i 50 anni della repressione cinese. Per questo molti ritengono che Pechino abbia voluto fornire in via preventiva una interpretazione ufficiale dell’anniversario.
Proprio ieri il Dalai Lama, in visita a un college a New Delhi, richiesto circa le prospettive per il Tibet, ha commentato che “è sempre minore la fiducia verso il governo (cinese), ma è inalterata la fiducia verso la popolazione cinese”, nella speranza che la popolazione porti infine “a cambiamenti nel governo, tra i leader e anche nella politica… Io penso che tutto possa migliorare nel lungo termine… lo spirito dei tibetani è forte, molto forte”.
Kirghizistan, intolleranza e vessazioni contro la Chiesa - Ancora più restrizioni nella nuova legge sulla libertà religiosa - Bandite le comunità con meno di 200 fedeli, proibito il proselitismo e la diffusione pubblica di materiale religioso. Esperti: la normativa non rispetta i diritti umani. Le critiche dell’Ocse.
Bishkek (AsiaNews/F18) – Nonostante vigorose proteste degli attivisti pro-diritti umani, il presidente Kurmanbek Bakiev ha firmato nei giorni scorsi la nuova restrittiva legge sull’attività dei gruppi religiosi, approvata dal parlamento il 6 novembre nonostante le critiche dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Ocse).
La nuova legge ammette solo le organizzazioni religiose con almeno 200 iscritti (prima ne bastavano 10), inibisce la partecipazione dei bambini e vieta “azioni aggressive finalizzate al proselitismo” compresa la distribuzione di materiale religioso in luoghi pubblici e scuole. Inoltre i gruppi religiosi già riconosciuti dovranno registrarsi di nuovo, cosa che costringerà le piccole comunità con meno di 200 fedeli locali a diventare illegali e “clandestine”.
Tursunbek Akun, Ombudsman locale per i Diritti umani, commenta all’agenzia Forum 18 che “la legge non rispetta gli standard internazionali sui diritti umani”, “impone una serie di restrizioni che ostacoleranno molto i piccoli gruppi religiosi”.
E’ d’accordo Aziza Abdirasulova, del Centro per la Protezione dei Diritti Umani Kylym Shamy (Candela del Secolo), che ritiene che la normativa violi soprattutto i diritti delle piccole comunità e osserva “la mancanza di un linguaggio comune tra il Muftiate [il Consiglio dei leader islamici sostenuti dallo Stato] e la Chiesa ortodossa russa –che sostiene la legge- da una parte, e le altre comunità” religiose.
Critico anche Jens Eschenbaecher, portavoce dell’Ufficio per i Diritti umani dell’Ocse, il quale rimarca che l’Osce nell’ottobre 2008 aveva già indicato alcuni “punti problematici” della legge chiedendone una revisione, ma la legge “li contiene ancora ”. “Siamo pronti - ha detto - a continuare il lavoro con le autorità per ogni futuro emendamento della legge e per rendere effettivo l’impegno del Kirghizistan a partecipare all’Ocse”.
Anche Papa Benedetto XVI l’8 gennaio, nel tradizionale incontro d’inizio d’anno con i diplomatici accreditati presso la Santa Sede, ha raccomandato alle autorità “di adoperarsi con energia per mettere fine all’intolleranza e alle vessazioni contro i cristiani”, con speciale preoccupazione per le nuove normative che in materia si stanno emanando nelle repubbliche dell’Asia centrale. La Chiesa, ha ripetuto, “non domanda privilegi, ma l’applicazione del principio della libertà religiosa in tutta la sua estensione”. E le comunità cristiane che vivono in Asia, pur se piccole, “desiderano offrire un contributo convinto ed efficace al bene comune, alla stabilità e al progresso dei loro Paesi, testimoniando il primato di Dio, che stabilisce una sana gerarchia di valori e dona una libertà più forte delle ingiustizie”. “In questa prospettiva, è importante che, nell’Asia centrale, la legislazione sulle comunità religiose garantisca il pieno esercizio dei diritti fondamentali, nel rispetto delle norme internazionali”.
AsiaNews, 14 gennaio 2009
Eluana e Terry: due storie molto simili - di Umberto Richiello*
ROMA, lunedì, 19 gennaio 2009 (ZENIT.org).- I criteri adottati dal Giudice di legittimità, nella sentenza n. 21748 del 16 ottobre 2007, nel decidere la questione relativa alla autorizzazione alla interruzione del mantenimento in vita di Eluana Englaro ricordano molto da vicino i criteri adottati dai giudici dello Stato della Florida nella vicenda che ha visto come protagonista Maria Teresa Schindler, coniugata Schiavo (più nota come Terry Schiavo).
I giudici statunitensi, nelle decisioni relative al caso di Terry Schiavo, avevano fatto ricorso ad un precedente giurisprudenziale (Guardianship of Estelle Browning / Stato della Florida) nel quale la persona in stato vegetativo permanente, prima di cadere in tale stato, aveva espressamente manifestato la propria volontà in un testamento biologico.
Il caso di Terry si poneva come un caso nuovo, poiché la persona (asseritamente in stato vegetativo permanente) non aveva mai formulato né un testamento, né tanto meno un testamento biologico. I giudici statunitensi avevano deciso di autorizzare l’interruzione del trattamento di alimentazione ed idratazione in base alla sussistenza di due requisiti:
1) l’accertamento dello stato vegetativo permanente;
2) l’avere il paziente, prima di cadere nello stato vegetativo permanente, manifestato in modo implicito o esplicito la volontà di non esser sottoposto a trattamenti medico-chirurgici che avessero il solo scopo di prolungare la vita umana.
Nel caso di Terry era stata riconosciuta la sussistenza dello stato vegetativo permanente, sebbene la donna rispondesse a sollecitazioni, mediante il movimento degli arti superiori e degli occhi; era stata riconosciuta altresì la sussistenza del requisito della volontà, sulla base di prove testimoniali, e ciò sebbene la donna non avesse mai manifestato una simile volontà.
Riconosciuta la sussistenza dei due requisiti, i giudici statunitensi avevano autorizzato la interruzione del trattamento di alimentazione ed idratazione.
Gli stessi criteri sono stati adottati dai giudici italiani, nella citata sentenza della Corte di cassazione, sebbene non esista nel nostro ordinamento una norma che espressamente consenta l’autorizzazione alla interruzione di un trattamento di alimentazione e idratazione; men che mai esiste una norma che consenta ciò in seguito alla istanza di un soggetto diverso da quello che è sottoposto al trattamento.
La Suprema Corte muove i propri passi dalla interpretazione del diritto alla salute, previsto dall’art.32 della Costituzione italiana, da intendersi come diritto alla scelta di cura: il Giudice di legittimità ritiene che l’alimentazione e la idratazione siano da considerare come trattamento medico-chirurgico di cura.
Tale assunto non appare condivisibile, in quanto il trattamento di alimentazione e idratazione ha caratteristiche, fini ed effetti diversi rispetto alla attività medico-chirurgica di cura: l’alimentazione e l’idratazione, spesso definiti erroneamente artificiali, costituiscono un fatto fisiologico alla vita umana, e in ciò non hanno carattere di provvisorietà o di incertezza scientifica, ovvero effetti potenzialmente dannosi alla salute.
E’ dunque fuori luogo la qualificazione del trattamento di alimentazione ed idratazione come attività medico-chirurgica di cura. E’ conseguentemente erroneo ritenere che il nostro ordinamento riconosca un diritto a rifiutare la alimentazione e la idratazione.
Il secondo aspetto di particolare interesse attiene alla legittimazione di un terzo (rappresentante del soggetto incapace) ad adire gli organi giurisdizionali al fine di ottenere l’autorizzazione alla interruzione del trattamento di alimentazione ed idratazione del rappresentato.
I principi generali del nostro ordinamento in tema di tutela delle persone incapaci, così come le norme di dettaglio affermano inequivocabilmente che il rappresentante debba agire solo ed esclusivamente nell’interesse del rappresentato: se il bene-vita è il valore che trova nel nostro ordinamento il massimo grado di tutela, non è dato comprendere a che titolo il rappresentante possa esser legittimato a richiedere un provvedimento autorizzatorio finalizzato al venir meno della vita umana.
Sul punto il ragionamento della Corte di Cassazione appare contraddittorio e lacunoso: contraddittorio perché la Suprema Corte prima afferma che l’attività del rappresentante “deve essere orientata alla tutela del diritto alla vita”, e successivamente precisa, che “in casi estremi si può giungere ad una interruzione delle cure”; lacunoso perchè si lascia un ampio margine discrezionale nella qualificazione del concetto di “caso estremo”.
Sul punto della legittimazione del terzo- legale rappresentante, la Corte di Cassazione ritiene che “in casi estremi” il miglior interesse per il rappresentato possa essere la autorizzazione alla interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione, sempre che si tenga conto della volontà implicitamente o espressamente manifestata dal rappresentato stesso. Per arrivare a conoscere la volontà del rappresentato si devono prendere in considerazione “la personalità, lo stile di vita ed i convincimenti espressi dalla persona”.
Una simile impostazione da un lato mina le fondamenta del sistema di protezione delle persone incapaci, attribuendo tra l’altro margini non definiti nella individuazione dei “casi estremi”; d’altro canto si giunge a legittimare una artificiosa ricostruzione della volontà del rappresentato, senza tener conto del principio sancito dalla Costituzione Italiana della suprema dignità di ogni vita umana.
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*Avvocato del foro di Roma
Un giorno di ordinaria follia - Autore: www.stranocristiano.it Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 19 gennaio 2009 - Il ministro Maurizio Sacconi è indagato per violenza privata aggravata
La notizia è sparata in tarda mattinata: il Ministro Maurizio Sacconi è indagato per violenza privata aggravata. Il reato sarebbe nella presunta intimidazione nei confronti della Casa di Cura Città di Udine, che – dopo l’atto di indirizzo emanato dal Ministro ed alcune sue dichiarazioni – ha ritirato la disponibilità ad accogliere Eluana per farla morire di fame e di sete.
La denuncia è stata presentata da alcuni dirigenti radicali: Antonella Casu, di Radicali Italiani, Marco Cappato, della Luca Coscioni, e pure Sergio D’Elia, dell’Associazione “Nessuno tocchi Caino”, che d’ora in poi potremmo pure chiamare “però tutti addosso a Sacconi”.
Ieri il rifiuto della Casa di Cura. Oggi, con un tempismo esemplare (considerando che è pure sabato) si è saputo che la Procura di Roma, ricevuta la denuncia, ha deciso di non archiviare il caso (avrebbero potuto farlo) e di iscrivere il Ministro Sacconi nel registro degli indagati. Evidentemente in Procura hanno il dubbio che Sacconi possa avere effettivamente usato violenza privata aggravata (ripeto: violenza privata aggravata).
Siamo al puro delirio.
Un Ministro emana un atto di indirizzo per ricordare che, secondo una Convenzione internazionale che l’Italia sta ratificando, non è lecito sottrarre alimentazione ed idratazione ad un disabile, e che succede? Viene denunciato per violenza privata aggravata, e c’è pure qualcuno che prende sul serio la denuncia.
Nel frattempo, invece, Franca Alessio, la cosiddetta “curatrice speciale” di Eluana – quella che dovrebbe fare da contraddittorio a Beppino Englaro, ma piuttosto ne fa l’eco – dichiara che, se non si trova un altro posto dove far morire Eluana, allora bisognerà obbligare qualcuno a sospenderle nutrimento e idratazione, magari nella stessa clinica dove è adesso.
Chissà, magari diranno che devono essere proprio le suore a fare morire Eluana di fame e di sete.
E’ ovvio che una pretesa del genere non ha alcun fondamento. La sentenza autorizza a sospendere nutrizione e idratazione ad Eluana, non obbliga nessuno a farlo. E d’altra parte: ve li immaginate, i carabinieri che costringono le suore a staccare il sondino? Roba da matti.
Decine e decine le dichiarazioni di solidarietà al Ministro Maurizio Sacconi, soprattutto da esponenti del PdL. Con Beppino Englaro, i radicali e il solito Ignazio Marino. Dal Pd – a parte Paola Binetti, solidale con Sacconi, e Maria Pia Garavaglia – un silenzio totale. Colmo di imbarazzo ...
Stranocristiano socio di SamizdatOnLine
Le sfide aperte dopo l’Obama day - Alberto Simoni - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
La lista delle cose da fare è lunghissima. Quella delle cose che si possono fare è invece necessariamente più corta.
Si tende, sbagliando, ad attribuire al presidente americano poteri quasi illimitati. La Costituzione statunitense dà una discreta libertà di manovra all’inquilino della Casa Bianca in politica estera e sulla sicurezza. Sul fronte interno, dalla definizione del budget alle politiche sociali, invece è indispensabile la sintonia fra presidente e Campidoglio.
Sarà bene ricordarlo ed evitare di considerare Barack Obama un supereroe dotato di bacchetta magica. Anche se il Senato e la Camera sono sotto il controllo dei democratici, le sfumature all’interno del partito pesano. Sulle questioni etiche, sui soldi da destinare al Pentagono, sulla riforma della Sanità e sulle politiche per l’istruzione i democratici sono una babele. A Obama toccherà tenere conto di ogni prospettiva prima di partire lancia in resta. Evitare di usare l’arma del veto come una clava è fondamentale. Così come stabilire relazioni buone con l’altra sponda di Pennsylvania Avenue.
Tuttavia il 44esimo presidente Usa e primo afroamericano a ricoprire l’incarico parte con il vento in poppa dell’entusiasmo e della fiducia della Nazione (e del mondo intero, o quasi). Farà bene ad approfittare del credito quasi illimitato nei primi giorni di navigazione. Perché al primo errore (grave) la fiducia si incrinerà. L’idillio con gli americani non potrà durare in eterno.
Nei primi giorni, diciamo le prime cento ore, il neopresidente firmerà importanti executive order: la chiusura di Guantanamo su tutti. Gesto tutt’altro che simbolico. Per molti segna l’inversione di rotta rispetto all’America “buia” di Bush. Può darsi. Pochi però ricordano che ci vorranno mesi (forse anni) prima che il famigerato carcere sull’isola cubana sia smantellato.
Prima Obama però dovrà rispondere a una domanda: “Che soluzioni ho per continuare a difendere l’America e a dare la caccia ai terroristi?”. Se Guantanamo non è la risposta, trovare una valida alternativa è decisivo prima di mettere i lucchetti alla prigione e celebrare processi ai terroristi nei tribunali militari e/o civili. Quanti alleati o Paesi stranieri sono disposti a riprendersi i detenuti? L’Amministrazione Bush su questo ha trovato porte sbarrate. Basterà l’appeal di Obama per convincere i recalcitranti alleati che trattenere nelle loro prigioni i combattenti nemici è nell’interesse della sicurezza globale?
La lotta al terrorismo resta il filo conduttore fra Bush e Obama. Immaginare ex novo un modo di condurla è difficile. Obama potrebbe in fondo proseguire sulla stessa rotta del suo predecessore. Bush gli lascia il piano per il ritiro delle truppe dall’Iraq e la decisione di aumentare il contingente in Afghanistan. Grandi colpi di “genio” su questi due fronti appaiono improbabili. L’Iran è la più grande sfida, come ammesso dal neoleader. L’Amministrazione Bush ha dialogato su alcune questioni (Afghanistan e ricostruzione in Iraq) con Teheran. Sostegno al terrorismo e nucleare sono però spade di Damocle sulla testa del mondo. Obama vorrebbe aprire il dialogo con la Repubblica islamica. È una mossa tanto azzardata quanto coraggiosa. Valutare pro e contro di unengagement è il primo requisito.
L’attesa più grande per le prime ore poggia sull’approccio che Obama e i suoi consiglieri avranno nei confronti della crisi di Gaza. Il cessate il fuoco facilita solo in parte il discorso. Obama dovrà mostrare di avere delle idee chiare. Alcuni del suo staff spingono per una diplomazia “avvolgente”, forte, modello Bill Clinton. Ripetere quell’esperienza che non ha dato i frutti sperati in un clima, quello odierno, diverso dove l’equazione “peace for land” non tiene, rischia di essere un autogol.
Hillary ha promesso che non dialogherà con Hamas. Una posizione comprensibile sulla linea di quella di Bush. Ma lo staff di Obama, infarcito di esperti di questioni mediorientali, ha le carte in regola per escogitare qualche soluzione. A patto che l’America non voglia diventare essa stessa il “broker”. La pace - o più realisticamente la convivenza - la devono trovare palestinesi (di ogni fazione) e israeliani (di ogni gruppo). Un accordo imposto dall’alto sarebbe solo un autogol.
Ma se sulla scena internazionale l’Europa imparerà a capire, leggere, decifrare i movimenti di Obama, è sulla scena interna che il neopresidente metterà la gran parte delle energie. La crisi economica è forse la voce che assomma il 90% delle sue preoccupazioni. Obama vuole approfittare del disastro finanziario, occupazionale e produttivo per riscrivere le regole del gioco del mercato, del ruolo dello Stato nell’economia e del welfare. Obama è un pragmatico, ma la sua visione economica è chiaramente keynesiana. Mettere i soldi federali per rilanciare l’economia è un’idea. Potrà funzionare. L’importante è interpretarla in senso popperiano: se non funziona, si cambi rotta. L’ideologia della spesa pubblica sarebbe peggio della malattia che vuole curare.
DIALOGO/ Sbai: c'è un'offensiva estremista che attacca in Italia l'islam moderato - Souad Sbai - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
La guerra israeliana sulla striscia di Gaza e le drammatiche immagini trasmesse nei giorni scorsi dalle emittenti mediorientali, hanno spinto alcune frange più estremiste della comunità islamica che vive nel nostro paese a venire fuori e a mostrarsi pubblicamente. La necessità di questi gruppi di sfruttare i sentimenti religiosi dei musulmani per ottenere risultati di tipo politico ha riproposto al centro del dibattito e dell'attenzione dei media la necessità di regolamentare la presenza islamica in Italia, proprio per evitare che la maggioranza moderata dei musulmani finisca nelle mani di questi estremisti. Nei cortei pro-Gaza di Milano, Bologna e Roma è stato possibile osservare gruppi composti al massimo da cento persone che hanno bruciato le bandiere israeliane, gridato slogan violenti e pregato in strada proprio davanti ai luoghi simbolo delle loro città, come il Duomo di Milano o il Colosseo a Roma, per rappresentare la presenza dell'Islam militante nei centri del potere occidentale.
Per chi vive all'interno della comunità dei musulmani italiani, episodi di questo tipo non sono affatto strani. Era da mesi che denunciavamo uno strano silenzio da parte di queste frange estreme dell'Islam italiano che alla prima occasione, la guerra a Gaza, hanno approfittato per ritornare allo scoperto sentendosi forti dello sdegno provocato nel mondo arabo dai raid aerei sulla città palestinese e dall'appoggio di buona parte della sinistra radicale che li considera un interlocutore politico.
Quanto accaduto in Italia mai sarebbe potuto accadere nel mondo arabo, dove le manifestazioni devono essere autorizzate e dove mai si prega in strada perché considerato poco opportuno proprio dagli Imam, oltre che dalle autorità locali.
Sono d'accordo con padre Samir Khalil quando sostiene che «il contesto di quel sabato pomeriggio mostra che lo scopo era fare un atto politico. La preghiera è venuta al termine di una manifestazione dedicata alla situazione di Gaza, dove si sono anche bruciate bandiere israeliane. Se si fosse voluto fare un gesto religioso, sarebbe stato molto più semplice, e più bello, invitare tutti quelli che volevano pregare per la pace a venire in un luogo scelto, come una chiesa, una moschea, o un luogo più neutrale. Sarebbe stato un momento in cui ognuno – cristiani, ebrei, musulmani – avrebbe potuto pregare a modo suo». Il gesuita di origine egiziana ha sottoneato infatti in un intervista proprio su questo quotidiano come «il fatto che simultaneamente, a Bologna davanti a San Petronio e a Milano in piazza Duomo sia avvenuta la stessa cosa, fa capire che c’è stata una programmazione. Questo vuol dire che c’è stato un progetto politico e che allora questo gesto di preghiera va letto politicamente. I musulmani devono capire che mescolare il politico e il religioso, non è una cosa buona e accettabile in Europa».
Quello che padre Samir non dice è che a pregare in strada in queste città erano le stesse persone che ogni sabato, da quando è iniziata la guerra a Gaza, si organizzavano con degli autobus per partecipare ai vari cortei pro palestinesi che si sono tenuti in Italia, in modo da far credere all'opinione pubblica che tutti i musulmani italiani condividono il loro progetto politico fondamentalista.
Quello che è preoccupante è il silenzio dei musulmani moderati che ormai non credono più alla battaglia contro il fondamentalismo perché non si sentono appoggiati in modo adeguato dalle istituzioni. Questa guerra, voluta da Hamas per rafforzarsi, come è avvenuto due anni prima per Hezbollah in Libano, ha fatto ritornare la situazione dei musulmani in Italia indietro di dieci anni.
Questi personaggi, con i loro cortei, vorrebbero far credere ai loro referenti nel mondo arabo di riuscire ad influenzare la politica del governo italiano. Gli episodi registrati durante le manifestazioni di Milano e Roma non vanno sottovalutate. È chiaro che oggi si apre un nuovo scenario nel panorama politico italiano perché esistono gruppi e comunità influenzate dalla propaganda delle Tv arabe che spingono anche le famiglie che mai hanno fatto politica a scendere in strada al fianco di questi estremisti col ricatto morale che a Gaza vengono uccisi i bambini.
E' importante oggi più che mai, alla luce di tutto questo, riprendere il dialogo interreligioso e interculturale partendo da quelle che sono le realtà religiose del nostro paese con l'obiettivo di evitare che in Italia si possa vivere il dramma già vissuto a Londra dove sono comparsi dal nulla kamikaze con passaporto britannico. E' necessario quindi discutere di quali possono essere le politiche da attuare per una reale integrazione degli immigrati in Italia che può passare anche per i centri culturali e le moschee, purché queste ultime siano regolate e gestite da personale competente e riconosciuto dallo stato.
ELUANA/ Le tappe di una battaglia politica condotta a suon di sentenze - Assuntina Morresi - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
Con l’iscrizione del ministro Sacconi nel registro degli indagati da parte della Procura di Roma si chiude nel modo più surreale un altro capitolo della tragica vicenda di Eluana Englaro. Vediamo di fare il punto della situazione.
La lunga battaglia giudiziaria di Beppino Englaro sembrava essere arrivata al termine lo scorso luglio, con il decreto della Corte di Appello di Milano che autorizzava la sospensione della nutrizione ed alimentazione artificiale, descrivendo con dovizia di particolari le modalità, i criteri e i dettagli di tipo medico con cui tale interruzione si poteva effettuare, specificando che ciò avvenisse “in hospice o altro luogo di ricovero confacente”.
Ed è intorno a questi due punti che si è arenata la faccenda: l’autorizzazione e il luogo. Parlare di “istanza di autorizzazione all'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale”, significa che, appunto, tale interruzione si può effettuare, ma nessuno è costretto a farlo, tantomeno il Servizio Sanitario Nazionale. E l’espressione “luogo confacente” non indica necessariamente le cliniche o case di cura del Servizio Sanitario Nazionale, pubbliche o private che siano.
In altre parole, il decreto della Corte di Appello permette, ma non obbliga a staccare il sondino: chiunque si offra lo fa perché se ne assume la responsabilità personale e morale, non certo perché si tratta di un ordine che va eseguito.
I responsabili degli hospice, dal canto loro, non hanno apprezzato di essere stati chiamati in causa dai giudici: è noto che queste strutture si occupano di malati terminali, mentre Eluana non lo è (se la donna stesse per morire, tutta la faccenda non avrebbe motivo di essere). Per questo motivo hanno buone ragioni nel rifiuto a ricoverarla.
L’atto di indirizzo del ministro Sacconi, quindi, rivolto al Servizio Sanitario Nazionale, non confligge direttamente con la sentenza dei giudici, ma si pone su un altro piano: oltre che ad un parere del Comitato Nazionale di Bioetica (il massimo organismo consultivo in materia, che dipende direttamente dalla Presidenza del Consiglio), si rifà ad una Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite, quella per i diritti dei disabili, che l’Italia ha firmato nel marzo 2008 e che è stata approvata dal Consiglio dei Ministri il 28 novembre scorso.
Il comma F dell’art.25, quello citato nell’atto di indirizzo, che vieta la sospensione di idratazione ed alimentazione ai disabili, è stato inserito nel testo della Convenzione dopo la morte di Terry Schiavo, proprio per evitare che orrori del genere si ripetessero.
Denunciare di violenza privata aggravata il ministro Sacconi, che ha solo invitato le regioni ad applicare una convenzione internazionale nel nostro paese, è quanto di più ridicolo si possa fare, oltre che un grave errore nei confronti dell’opinione pubblica: dove sarebbe la violenza privata aggravata nell’atto di indirizzo e nella seguente frase, pronunciata da Sacconi e segnalata come uno scandalo nella denuncia dei radicali: “se ci fossero comportamenti difformi da quei princìpi (dell’atto di indirizzo ndr) determinerebbero inadempienze, con le conseguenze probabilmente immaginabili”? Questa sarebbe una frase minacciosa, violenta, un diktat tale da chiamare in causa il diritto penale (perché questo significa l’iscrizione nel registro degli indagati)? E’ bene spiegare che la Procura della Repubblica avrebbe potuto archiviare il caso, e non procedere contro Sacconi. Ha invece deciso di proseguire mascherandosi dietro “l’atto dovuto”.
Con questa denuncia, i radicali hanno valutato che valesse la pena chiedere ancora una volta l’appoggio dei magistrati, perché quando non si hanno armi politiche, quando non si riesce a creare il consenso, quando gli elettori hanno espulso dal parlamento chi ha sostenuto posizioni laiciste, non resta che rivolgersi alla magistratura. Un tempo c’era il povero mugnaio che, di fronte alla prepotenza del re di Prussia, aveva esclamato: “Ci sarà pure un giudice a Berlino!”. Oggi i radicali denunciano un ministro che cerca solo di applicare una normativa internazionale a tutela dei disabili e di salvare una vita umana, facendo un ragionamento un po’ diverso: vuoi che non ci sia un giudice di parte, a Berlino?
STORIA/ I novant'anni del PPI, le idee tradite ma ancora vive di Luigi Sturzo - INT. Roberto Chiarini - martedì 20 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
Novant’anni fa nasceva in Italia il Partito Popolare, fondato da Don Luigi Sturzo, che avrebbe sancito il riavvicinamento dei cattolici alla vita politica del Paese, dopo il famoso non expedit del Beato pontefice Pio IX. Dalle ceneri della Grande Guerra, primo e autentico “collante” del popolo italiano, sorgeva un movimento popolare ispirato alla Dottrina Sociale della Chiesa e in grado di anteporsi ai movimenti socialisti e alle alternative liberali. Ma ebbe vita breve in seguito all’avvento del Fascismo e, dopo la caduta di quest’ultimo, vide traditi, nella pratica politica che seguì, molti dei suoi principi ispiratori. Abbiamo chiesto al professor Roberto Chiarini, docente di storia contemporanea e storia dei partiti presso l’Università degli Studi di Milano, un’analisi della genesi e dell’eredità lasciataci da questa importantissima esperienza politica.
Il 19 gennaio del 1919 nasceva in Italia il Partito Popolare, evento politico che lo storico Federico Chabod non esitò a definire come “il più importante nella storia italiana”. È, a suo avviso, un giudizio tuttora valido?
Per uno storico affermare “la cosa più importante di…” è sempre un azzardo, come d’altra parte per tutte le affermazioni assolute. Quindi non so se sarei d’accordo oggi come oggi nel concordare con questa dichiarazione. Certo è che da un punto di vista politico la nascita del Partito Popolare Italiano ha il merito di aver sanato quell’esilio politico dei cattolici che in realtà significava l’esilio politico dello Stato reale, perché coloro che seguivano i dettami della Chiesa Romana erano allora la stragrande maggioranza.
I popolari andavano quindi a sanare una frattura fra Stato e Chiesa, fra Italia reale e Italia regale, che alla fine ha affossato l’Italia liberale. Più che sanare del tutto direi che ha contribuito ad avviare un risanamento dato che il percorso in questa direzione è ancora oggi in atto.
Sappiamo che Don Sturzo fu personalmente un fautore dell’antistatalismo. A livello politico riuscì a portare avanti questo tipo di visione?
Il Partito Popolare incarnò abbastanza questo atteggiamento, anche perché in termini pratici tutta la sua azione politica contrastava con il carattere un po’ giacobino dello Stato liberale che era invadente non tanto in materia economica quanto soprattutto su temi quali l’educazione e il diritto di famiglia. Dico “abbastanza” perché mai nessuno realizzò o ebbe la possibilità di realizzare appieno i disegni di Sturzo.
Un modello, quello del fondatore che venne poi riproposto nel dopoguerra, quando il piano politico presentava oramai due importanti novità: in primo luogo uno stato nuovamente invadente, dopo la fondazione dell’Iri e poi dell’Eni, e in seconda istanza il fatto che i cattolici che si trovavano al governo, ossia la DC, dimostravano quanto poco dell’impostazione sturziana avessero intenzione di applicare. Sturzo rimase dunque, negli anni ’50, una vox clamans in deserto. I democristiani di allora simulavano un atteggiamento di rispetto nei suoi confronti, ma, di fatto, ne ignoravano pressoché totalmente il pensiero e le intenzioni. Basti pensare che la sede principale che permise a Sturzo di esprimere la propria visione politica fino alla fine furono i giornali d’opposizione. Adesso i vecchi democristiani dicono di averlo ascoltato in passato. In realtà lo trattarono alla stregua di un “nonno impertinente” da relegare in soffitta.
Vi furono per Sturzo in questo senso interlocutori provenienti da altre esperienze politiche?
Ci furono negli anni cinquanta. Si trattava per lo più di qualche liberale imperterrito, si pensi ad esempio all’opera politica di Cesare Merzagora, oppure a quella di Luigi Einaudi che poi divenne Presidente della Repubblica Italiana e dovette assumere un atteggiamento inevitabilmente più equilibrato e super partes. Ma ce ne furono molti altri di politici coi quali l’idea sociale di Don Sturzo venne portata avanti, per non parlare dei i vari giornalisti ed editorialisti di allora. Il Corriere della Sera dei tempi dava molto spazio a questa corrente, anche perché c’erano di mezzo i vari imprenditori che avevano in mano “privilegi elettrici” e non volevano essere depenalizzati.
Che rapporto fu quello fra Don Sturzo e Alcide De Gasperi?
De Gasperi aveva realmente, al contrario di molti suoi compagni di partito, una grandissima considerazione di Sturzo. Ma fu comunque un’ammirazione che si espresse in termini costretti dentro i vincoli del quadro politico. Questo perché la DC, per quanti sforzi facesse lo stesso De Gasperi, divenne molto più confessionale di quel che era stato il partito di Sturzo assumendo le sembianze di un organo politico sempre più d’apparato e non di opinione, composto da politicanti e non da uomini di particolare levatura culturale. Quindi, sebbene a livello speculativo i due fossero accomunati dalle medesime prospettive e dagli stessi intenti, a livello politico il dialogo rimase sempre molto difficile.
Nell’esperienza politica della Seconda Repubblica si possono rintracciare alcune eredità provenienti dal Partito Popolare e dalla lezione di Don Sturzo?
Nella valorizzazione della società civile che è il lievito della democrazia, attraverso circuiti e reti diverse, ma non antitetiche ai partiti. La centralità delle istanze sottostanti alla politica del Partito Popolare, ossia la persona, le varie associazioni, il volontariato, la mobilitazione responsabile del cittadino sul territorio, è il lascito che ci ha consegnato l’opera di Sturzo.
Se si prova a pensare dove la Lega Lombarda di Bossi ha riscosso maggior successo ci si può accorgere che si tratta delle aree di insediamento del cattolicesimo politico. Perché lì era la diffidenza storica nei confronti dello Stato e degli apparati burocratici del centro Italia.
In una parola il Partito Popolare ha consentito che nel nostro Paese sopravvivesse il tema della sussidiarietà, cioè del realizzare in proprio, a livello sociale, tutto quello che si è in grado di fare, lasciando allo Stato il resto. Tuttavia questo è il contrario di quello che finora ha fatto la politica la quale ha sequestrato tutte le funzioni sociali e anche quasi quelle individuali e private del popolo.
IN MARGINE AL CASO ENGLARO. L A DIGNITÀ DELLA POLITICA - Ma i paradossi di Rodotà non gli danno ragione - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 20 gennaio 2009
Tra le giustificazioni portate dal ministro Sacconi per l’atto di indirizzo con il quale è riuscito, almeno per ora, ad evitare ad Eluana Englaro la morte per sospensione dell’alimentazione e idratazione, figura un esplicito richiamo a un parere del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb), pubblicato, con indubbia lungimiranza, già nell’ottobre del 2005. Il Comitato qualificava l’alimentazione e l’idratazione artificiali come prassi di sostegno vitale e le escludeva formalmente dal novero di quegli atti medici, che è lecito o addirittura doveroso sospendere, potendosi configurare in alcune circostanze come forme di accanimento terapeutico. Stefano Rodotà (cfr. la Repubblica del 17 gennaio) ritiene che il richiamo fatto dal ministro a questo parere del Comitato abbia una portata argomentativa «praticamente inesistente» e contribuisca di fatto a «calpestare il diritto». Ha ragione Rodotà? No. Perché no?
Vediamo. In primo luogo, Rodotà ricorda ai suoi lettori che i pareri del Comitato nazionale di bioetica sono privi di ogni valore giuridico vincolante.
Osservazione esattissima; del resto, se fosse vero il contrario, già dal 2005 la questione del carattere terapeutico o puramente assistenziale dell’alimentazione forzata sarebbe stato definitivamente risolta, proprio grazie alla pronuncia del Cnb. Il Comitato, per l’appunto, non emana tuttavia direttive, ma pareri. Che rilievo hanno questi pareri? Essi non veicolano norme, precetti, prescrizioni, ingiunzioni, ordini, imperativi o qualsiasi altra forma di comando, ma rappresentano semplicemente il distillato delle riflessioni che il governo richiede in ambito bioetico a un comitato di studiosi. Studiosi tutti dotati di adeguato prestigio, come sono certo che Rodotà voglia riconoscere, altrimenti non avrebbe collaborato, come ha gentilmente e intensamente fatto, a diverse iniziative promosse dal Comitato stesso. Il punto è che, non solo in Italia, ma in tutto il mondo (dato che praticamente in nessun Paese è assente un Comitato di Bioetica) queste riflessioni sono ritenute importanti perché, incidendo in un ambito sovra-politico, servono a de-ideologicizzare le questioni bioetiche e a sottrarle agli schieramenti partitici. Il Comitato non ha poteri giuridici di alcun tipo; ha però l’autorevolezza che è propria di ciascuno dei suoi componenti e dal loro impegno assolutamente gratuito. Il governo non ha quindi il dovere di prestare ascolto al Comitato, da lui stesso istituito come proprio consulente imparziale ed apolitico, ma farlo è segno di grande saggezza da parte sua. Aggiunge però Rodotà: il parere del Comitato, ricordato da Sacconi, non fu unanime, bensì approvato a maggioranza. È vero. Ai Comitati di Bioetica, tuttavia, non si richiedono pareri unanimi, ma semplicemente pareri, ancorché condivisi solo dalla maggioranza dei loro membri e tale fu appunto il parere sull’alimentazione artificiale. Cosa avrebbe dovuto fare di fronte a tale parere il governo? Accedere (molto curiosamente) all’opinione dei membri di minoranza, delegittimando per ciò solo quelli di maggioranza?
Oppure avrebbe dovuto non prendere posizione alcuna, né nel senso indicato dalla maggioranza, né in quello indicato dalla minoranza? Si può anche sostenere questa opinione, che non è assurda, anche se favorisce, secondo un’antica vocazione italiana, l’immobilismo e il rinvio di ogni decisione, quando si devono fronteggiare questioni molto controverse. In ogni modo in bioetica non prendere decisioni può significare solo due cose: o restare fermi alla prassi consolidata seguita dai medici (che nel nostro caso è sempre stata quella di alimentare comunque i pazienti in stato vegetativo persistente) o scegliere, quando si aprano questioni inedite (ma quella di Eluana non lo è), la via più prudente. Nel dubbio se l’alimentazione artificiale sia o no accanimento terapeutico, dovremmo seguire sempre la via più sicura, comportarci cioè in modo da proteggere la vita del malato. La decisione di far morire Eluana, sospendendole l’alimentazione, presuppone quindi due scelte bioeticamente assurde, perché paradossali: dar credito all’opinione minoritaria e non a quella maggioritaria e seguire, in un contesto nel quale i dubbi si moltiplicano, l’opzione meno prudente, quella per la morte e non quella per la vita. Ma ciò che nell’argomentazione è un paradosso, diviene a livello di pensiero dogmatismo e rischia di trasformarsi, nella prassi giuridica, in opzione ideologica. Con il suo atto di indirizzo Sacconi non ha affatto calpestato il diritto, ma è riuscito in un compito che molti scettici avrebbero ritenuto impossibile: ha ridato dignità alla politica.