Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI e le Lettere paoline ai Colossesi e agli Efesini - Intervento in occasione dell'Udienza generale
2) Ancora strumentalizzati i diritti umani - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 15 gennaio 2009 - Grave decisione del Parlamento europeo
3) diritti umani per l'Unione Europea: ''Riconoscere le coppie gay'' - Dal Parlamento in scadenza un documento inaccettabile – Davide Rondoni, Avvenire, 15 gennaio 2009
4) Ebrei e Chiesa cattolica. Ai rabbini d'Italia questo papa non piace - Non gradiscono né la nuova preghiera del Venerdì Santo, né la via di dialogo aperta da Benedetto XVI nel libro "Gesù di Nazaret". E si dissociano dalla giornata per l'ebraismo indetta dai vescovi. Ma tra loro non tutti la pensano così - di Sandro Magister
5) Mario Mauro, Rappresentante dell'OSCE contro le discriminazioni
6) 16/01/2009 10:19 - VATICANO - TERRA SANTA - C’è chi non capisce il “pacifismo” del Vaticano - di David-Maria A. Jaeger, ofm - Si assalta la Santa Sede per le sue posizioni sul conflitto Israele-Hamas; si cerca di tirarla da una parte o dall’altra. Ma non si comprende la sua missione.
7) 16/01/2009 10:46 – CINA - Pechino non riconosce le chiese domestiche, e le perseguita - Lo scorso Natale ci sono state demolizioni di edifici e arresti dei fedeli delle chiese domestiche cristiane. Ma le autorità cercano di far passare tutto sotto silenzio.
8) «Indignation», l'ultimo romanzo di Philip Roth - Non si diventa uomini sacrificando la vita degli altri di Giulia Galeotti – L’Osservatore Romano, 16 gennaio 2009
9) ATEISMO/ L’errore di metodo nella campagna contro l’esistenza di Dio - Fernando De Haro - giovedì 15 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
10) MEDIO ORIENTE/ Khoueiry: ai cristiani, artigiani di pace, il compito di mediare - INT. Jocelyne Khoueiry - venerdì 16 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
11) COMUNISMO/ Jan Palach, un disperato gesto di speranza - Angelo Bonaguro - venerdì 16 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
12) BIOETICA/ Se il bambino diventa solo un oggetto di desiderio - Carlo Bellieni - venerdì 16 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
13) A LONDRA S’INIZIA A CAMBIAR STRADA - NIENTE RISULTATI NIENTE SOLDI: FALLIMENTO IBRIDI - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 16 gennaio 2009
Benedetto XVI e le Lettere paoline ai Colossesi e agli Efesini - Intervento in occasione dell'Udienza generale
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi pronunciata questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale svoltasi nell'aula Paolo VI.
Nel discorso in lingua italiana, il Santo Padre, continuando il ciclo di catechesi su San Paolo Apostolo, si è soffermato sulle Lettere ai Colossesi e agli Efesini.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
tra le Lettere dell'epistolario paolino, ce ne sono due, quelle ai Colossesi e agli Efesini, che in una certa misura si possono considerare gemelle. Infatti, l'una e l'altra hanno dei modi di dire che si trovano solo in esse, ed è stato calcolato che più di un terzo delle parole della Lettera ai Colossesi si trova anche in quella agli Efesini. Per esempio, mentre in Colossesi si legge letteralmente l'invito a "esortarvi con salmi, inni, canti spirituali, con gratitudine cantando a Dio con i vostri cuori" (Col 3,16), in Efesini si raccomanda ugualmente di "parlare tra di voi con salmi e inni e canti spirituali, cantando e lodando il Signore con il vostro cuore" (Ef 5,19). Potremmo meditare su queste parole: il cuore deve cantare, e così anche la voce, con salmi e inni per entrare nella tradizione della preghiera di tutta la Chiesa dell'Antico e del Nuovo Testamento; impariamo così ad essere insieme con noi e tra noi, e con Dio. Inoltre, in entrambe le Lettere si trova un cosiddetto "codice domestico", assente nelle altre Lettere paoline, cioè una serie di raccomandazioni rivolte a mariti e mogli, a genitori e figli, a padroni e schiavi (cfr rispettivamente Col 3,18-4,1 e Ef 5,22-6,9).
Più importante ancora è constatare che solo in queste due Lettere è attestato il titolo di "capo", kefalé, dato a Gesù Cristo. E questo titolo viene impiegato a un doppio livello. In un primo senso, Cristo è inteso come capo della Chiesa (cfr Col 2,18-19 e Ef 4,15-16). Ciò significa due cose: innanzitutto, che egli è il governante, il dirigente, il responsabile che guida la comunità cristiana come suo leader e suo Signore (cfr Col 1,18: "Egli è il capo del corpo, cioè della Chiesa"; e poi l’altro significato è che lui è come la testa che innerva e vivifica tutte le membra del corpo a cui è preposta (infatti, secondo Col 2,19 bisogna "tenersi fermi al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione"): cioè non è solo uno che comanda, ma uno che organicamente è connesso con noi, dal quale viene anche la forza di agire in modo retto.
In entrambi i casi, la Chiesa è considerata sottoposta a Cristo, sia per seguire la sua superiore conduzione - i comandamenti -, sia anche per accogliere tutti gli influssi vitali che da Lui promanano. I suoi comandamenti non sono solo parole, comandi, ma sono forze vitali che vengono da Lui e ci aiutano.
Questa idea è particolarmente sviluppata in Efesini, dove persino i ministeri della Chiesa, invece di essere ricondotti allo Spirito Santo (come 1 Cor 12) sono conferiti dal Cristo risorto: è Lui che "ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri" (4,11). Ed è da Lui che "tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, ... riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità" (4,16). Cristo infatti è tutto teso a "farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Ef 5,27). Con questo ci dice che la forza con la quale costruisce la Chiesa, con la quale guida la Chiesa, con la quale dà anche la giusta direzione alla Chiesa, è proprio il suo amore.
Quindi il primo significato è Cristo Capo della Chiesa: sia quanto alla conduzione, sia, soprattutto, quanto alla ispirazione e vitalizzazione organica in virtù del suo amore. Poi, in un secondo senso, Cristo è considerato non solo come capo della Chiesa, ma come capo delle potenze celesti e del cosmo intero. Così in Colossesi leggiamo che Cristo "ha privato della loro forza i principati e le potestà e ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale" di Lui (2,15). Analogamente in Efesini troviamo scritto che, con la sua risurrezione, Dio pose Cristo "al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro" (1,21). Con queste parole le due Lettere ci consegnano un messaggio altamente positivo e fecondo. Questo: Cristo non ha da temere nessun eventuale concorrente, perché è superiore a ogni qualsivoglia forma di potere che presumesse di umiliare l'uomo. Solo Lui "ci ha amati e ha dato se stesso per noi" (Ef 5,2). Perciò, se siamo uniti a Cristo, non dobbiamo temere nessun nemico e nessuna avversità; ma ciò significa dunque che dobbiamo tenerci ben saldi a Lui, senza allentare la presa!
Per il mondo pagano, che credeva in un mondo pieno di spiriti, in gran parte pericolosi e contro i quali bisognava difendersi, appariva come una vera liberazione l'annuncio che Cristo era il solo vincitore e che chi era con Cristo non aveva da temere nessuno. Lo stesso vale anche per il paganesimo di oggi, poiché anche gli attuali seguaci di simili ideologie vedono il mondo pieno di poteri pericolosi. A costoro occorre annunciare che Cristo è il vincitore, così che chi è con Cristo, chi resta unito a Lui, non deve temere niente e nessuno. Mi sembra che questo sia importante anche per noi, che dobbiamo imparare a far fronte a tutte le paure, perchè Lui è sopra ogni dominazione, è il vero Signore del mondo.
Addirittura il cosmo intero è sottoposto a Lui, e a Lui converge come al proprio capo. Sono celebri le parole della Lettera agli Efesini, che parla del progetto di Dio di "ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra" (1,10). Analogamente nella Lettera ai Colossesi si legge che "per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili" (1,16) e che "con il sangue della sua croce ... ha rappacificato le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli" (1,20). Quindi non c’è, da una parte, il grande mondo materiale e dall'altra questa piccola realtà della storia della nostra terra, il mondo delle persone: tutto è uno in Cristo. Egli è il capo del cosmo; anche il cosmo è creato da Lui, è creato per noi in quanto siamo uniti a Lui. È una visione razionale e personalistica dell'universo. E direi una visione più universalistica di questa non era possibile concepire, ed essa conviene soltanto al Cristo risorto. Cristo è il Pantokrátor, a cui sono sottoposte tutte le cose: il pensiero va appunto al Cristo Pantocratòre, che riempie il catino absidale delle chiese bizantine, a volte raffigurato seduto in alto sul mondo intero o addirittura su di un arcobaleno per indicare la sua equiparazione a Dio stesso, alla cui destra è assiso (cfr Ef 1,20; Col 3,1), e quindi anche la sua ineguagliabile funzione di conduttore dei destini umani.
Una visione del genere è concepibile solo da parte della Chiesa, non nel senso che essa voglia indebitamente appropriarsi di ciò che non le spetta, ma in un altro duplice senso: sia in quanto la Chiesa riconosce che in qualche modo Cristo è più grande di lei, dato che la sua signoria si estende anche al di là dei suoi confini, e sia in quanto solo la Chiesa è qualificata come Corpo di Cristo, non il cosmo. Tutto questo significa che noi dobbiamo considerare positivamente le realtà terrene, poiché Cristo le ricapitola in sé, e in pari tempo dobbiamo vivere in pienezza la nostra specifica identità ecclesiale, che è la più omogenea all'identità di Cristo stesso.
C'è poi anche un concetto speciale, che è tipico di queste due Lettere, ed è il concetto di "mistero". Una volta si parla del "mistero della volontà" di Dio (Ef 1,9) e altre volte del "mistero di Cristo" (Ef 3,4; Col 4,3) o addirittura del "mistero di Dio, che è Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza" (Col 3,2-3). Esso sta a significare l'imperscrutabile disegno divino sulle sorti dell'uomo, dei popoli e del mondo. Con questo linguaggio le due Epistole ci dicono che è in Cristo che si trova il compimento di questo mistero. Se siamo con Cristo, anche se non possiamo intellettualmente capire tutto, sappiamo di essere nel nucleo del "mistero" e sulla strada della verità. È Lui nella sua totalità, e non solo in un aspetto della sua persona o in un momento della sua esistenza, che reca in sé la pienezza dell'insondabile piano divino di salvezza. In Lui prende forma quella che viene chiamata "la multiforme sapienza di Dio" (Ef 3,10), poiché in Lui "abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9). D'ora in poi, quindi, non è possibile pensare e adorare il beneplacito di Dio, la sua sovrana disposizione, senza confrontarci personalmente con Cristo in persona, in cui quel "mistero" si incarna e può essere tangibilmente percepito. Si perviene così a contemplare la "ininvestigabile ricchezza di Cristo" (Ef 3,8), che sta oltre ogni umana comprensione. Non che Dio non abbia lasciato delle impronte del suo passaggio, poiché è Cristo stesso l'orma di Dio, la sua impronta massima; ma ci si rende conto di "quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità" di questo mistero "che sorpassa ogni conoscenza" (Ef 3,18-19). Le mere categorie intellettuali qui risultano insufficienti, e, riconoscendo che molte cose stanno al di là delle nostre capacità razionali, ci si deve affidare alla contemplazione umile e gioiosa non solo della mente ma anche del cuore. I Padri della Chiesa, del resto, ci dicono che l’amore comprende di più che la sola ragione.
Un'ultima parola va detta sul concetto, già accennato sopra, concernente la Chiesa come partner sponsale di Cristo. Nella seconda Lettera ai Corinzi l’apostolo Paolo aveva paragonato la comunità cristiana a una fidanzata, scrivendo così: "Io provo per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo" (2 Cor 11,2). La Lettera agli Efesini sviluppa quest’immagine, precisando che la Chiesa non è solo una promessa sposa, ma è la reale sposa di Cristo. Egli, per così dire, se l’è conquistata, e lo ha fatto a prezzo della sua vita: come dice il testo, "ha dato se stesso per lei" (Ef 5,25). Quale dimostrazione d'amore può essere più grande di questa? Ma, in più, egli è preoccupato per la sua bellezza: non solo di quella già acquisita con il battesimo, ma anche di quella che deve crescere ogni giorno grazie ad una vita ineccepibile, "senza ruga né macchia", nel suo comportamento morale (cfr Ef 5,26-27). Da qui alla comune esperienza del matrimonio cristiano il passo è breve; anzi, non è neppure ben chiaro quale sia per l'autore della Lettera il punto di riferimento iniziale: se sia il rapporto Cristo-Chiesa, alla cui luce pensare l'unione dell'uomo e della donna, oppure se sia il dato esperienziale dell'unione coniugale, alla cui luce pensare il rapporto tra Cristo e la Chiesa. Ma ambedue gli aspetti si illuminano reciprocamente: impariamo che cosa è il matrimonio nella luce della comunione di Cristo e della Chiesa, impariamo come Cristo si unisce a noi pensando al mistero del matrimonio. In ogni caso, la nostra Lettera si pone quasi a metà strada tra il profeta Osea, che indicava il rapporto tra Dio e il suo popolo nei termini di nozze già avvenute (cfr Os 2,4.16.21), e il Veggente dell’Apocalisse, che prospetterà l'incontro escatologico tra la Chiesa e l’Agnello come uno sposalizio gioioso e indefettibile (cfr Ap 19,7-9; 21,9).
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma mi sembra che, da quanto esposto, già si possa capire che queste due Lettere sono una grande catechesi, dalla quale possiamo imparare non solo come essere buoni cristiani, ma anche come divenire realmente uomini. Se cominciamo a capire che il cosmo è l'impronta di Cristo, impariamo il nostro retto rapporto con il cosmo, con tutti i problemi della conservazione del cosmo. Impariamo a vederlo con la ragione, ma con una ragione mossa dall’amore, e con l’umiltà e il rispetto che consentono di agire in modo retto. E se pensiamo che la Chiesa è il Corpo di Cristo, che Cristo ha dato se stesso per essa, impariamo come vivere con Cristo l'amore reciproco, l'amore che ci unisce a Dio e che ci fa vedere nell'altro l'immagine di Cristo, Cristo stesso. Preghiamo il Signore che ci aiuti a meditare bene la Sacra Scrittura, la sua Parola, e imparare così realmente a vivere bene.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In italiano ha detto:]
Mi rivolgo ora con affetto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i membri della Postulazione dei Carmelitani Scalzi e le Apostole del Sacro Cuore di Gesù. Cari amici, possa il fervore apostolico e la fedeltà al Vangelo animare ogni vostra attività al servizio della Chiesa. Il mio saluto va pure ai rappresentanti della Guardia di Finanza di Roma e al Nono Reggimento di Fanteria "Bari", proveniente da Trani. Tutti ringrazio per la gradita visita ed invoco su ciascuno la continua assistenza divina.
Infine, come di consueto, mi rivolgo ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Ieri la liturgia ricordava Sant'Ilario, Vescovo di Poitiers, che "fu tenace assertore della divinità di Cristo" (cfr. Liturgia), difensore ardente della fede e maestro di verità. Il suo esempio sostenga voi, cari giovani, nella costante e coraggiosa ricerca di Cristo; incoraggi voi, cari malati, ad offrire le vostre sofferenze affinché il Regno di Dio si diffonda in tutto il mondo; ed aiuti voi, cari sposi novelli, ad essere testimoni dell'amore di Cristo nella vita familiare. Vi invito ad unirvi alla mia preghiera per implorare l’abbondanza delle grazie divine sul VI Incontro Mondiale delle Famiglie che si sta svolgendo in questi giorni a Città del Messico. Possa questo importante evento ecclesiale manifestare ancora una volta la bellezza e il valore della famiglia, suscitando in tutti nuove energie in favore di questa insostituibile cellula fondamentale della società e della Chiesa.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Ancora strumentalizzati i diritti umani - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 15 gennaio 2009 - Grave decisione del Parlamento europeo
Mercoledì 14 gennaio scorso il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione sulla situazione dei diritti umani nell’UE, con 401 voti a favore, 220 contrari e 67 astensioni.
Il documento, di cui è Relatore l’on. Giusto Catania (GUE/NGL) - Partito di Rifondazione Comunista, Sinistra Europea – è di fatto un pesante attacco alla competenza dei singoli Stati membri, prevista dai Trattati, sui temi etici e del diritto matrimoniale e di famiglia.
Due esempi per tutti: lotta alle discriminazioni degli omosessuali, qui si invitano gli Stati membri dotati di una legislazione relativa alle coppie dello stesso sesso a riconoscere le norme adottate da altri Stati membri e aventi effetti analoghi, cioè a riconoscere il matrimonio gay; discriminazioni e violenze sulle donne con esplicito riuferimento alla « salute riproduttiva », cioè all’aborto.
Sappiamo bene che da anni la maggioranza di questo Parlamento da mandato alla propria Delegazione all’Assemblea annuale dei diritti umani dell’ONU, di proporre la definizione di aborto quale « diritto umano fondamentale », come del resto ha già fatto il Consiglio d’Europa. E sappiamo anche che una volta definito l’aborto “diritto umano” il passo successivo sarà attaccato il diritto all’obiezione di coscenza. Qualcuno ha già teorizzato che si tratta di due diritti confliggenti, tra i quali non può che prevalere il diritto alla salute e la libera scelta della donna.
La risoluzione deplora che gli Stati membri «continuino a sottrarsi a un controllo comunitario delle proprie politiche e pratiche in materia di diritti dell'uomo e cerchino di limitare la protezione di tali diritti ad un quadro puramente interno». Questo passaggio e particolarmente subdolo perchè rivela il tentativo di aggirare le competenze sancite dai Trattati. Attualmente i temi etici, il diritto matrimoniale e di famiglia sono di competenza dei singoli Paesi. Ma è inutile pattuire i codicilli dei Trattati concordandoli sino allle virgole, se poi l’inqualificabile intenzione della maggioranza e di una chiara posizione culturale è di ignorarli trovando tutte le vie per vanificarli ed aggirarli. Meravigliandosi poi delle bocciature popolari dell’UE! E cercando di vanificare ed aggirare anche quelle.
Come si tenta di fare questo? Con una chiara strategia. Correlando il fatto che la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, documento che prefigura tutto ed il contrario di tutto, è recepita come parte integrante del Trattato di Lisbona che la rende vincolante per gli Stati membri, e l’attività giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo, il cui art 30 dell’Atto costitutivo recita: «Tutte le sentenze definitive della Corte sono vincolanti per gli Stati convenuti interessati.»
La Risoluzione approvata ieri, proprio in base ai Trattati, non è vincolante, ma è evidente la rilevanza politica tenendo conto della strategia adottata per arrivare ad elevare a norma il relativismo, che non potrà che distruggere i principi su cui si fonda la convivenza umana, e quindi distruggerà l’uomo.
Credo che a questo punto si chiarisca in tutta la sua portata la scelta, attuata solo da due Paesi, Gran Bretagna e Polonia, di affermare che anche ratificando il trattato di Lisbona, la Carta dei diritti fondamentali non potrà prevalere sulle rispettive Legislazioni. Scelta che l’Italia non ha voluto considerare, destra e sinistra, e che ora, a meno di perseguibili inadempienze, si troverà costretta ad attuere i deliberati dell’Corte europea per i Diritti Umani.
A proposito della Risoluzione in oggetto, all’art. 71 recepisce acriticamente la polemica delle Organizzazioni Gay e Lesbiche, di cui si è fatta interprete l’on. I’nt Veld, che prendendo spunto dal discorso del Santo Padre alla curia Romana, il 22 dicembre scorso, ha scritto una farneticante lettera aperta al Presidente della Commissione Barroso, accusando il Papa di criminalizzare gli omosessuali e di chiamare i cattolici a lottare contro di loro.
Un ultima notazione. Quando il Parlamento ha istituito l’Agenzia europea dei diritti umani con sede a Vienna, sapevamo tutti a quali diritti sarebbe stata funzionale. Il primo rapporto, su richiesta del Parlamento riguarda le discriminazioni e le violenze a carico degli omosessuali in Europa, come cita l’art. 73 della “Risoluzione Catania”, che propone addirittura di associarla alle Istituzioni in fase legislativa.
È un tema che dovrà essere ripreso, magari ad iniziare da due questioni da sottoporre ai Costituzionalisti: è legittimo legiferare citando, ed usando un documento tuttora non in vigore (il Trattato di Lisbona)? Siamo certi della congruità tra le decisioni delle Istituzioni europee, e tutti documenti tuttora vigenti: Carta dei diritti fondamentali, Trattato di Nizza e altri, Carta sociale europea, Comitato di controllo dei diritti sociali, ed altri.
La responsabilità di questi fatti è enorme: si rischia di disgustare europeisti convinti, se posso permettermi la citazione personale, come me, irridendo gli auspici di un ritorno allo spirito dei Padri fondatori. Catania ed i suoi amici stanno scherzando col fuoco!
diritti umani per l'Unione Europea: ''Riconoscere le coppie gay'' - Dal Parlamento in scadenza un documento inaccettabile – Davide Rondoni, Avvenire, 15 gennaio 2009
L'EUROPA DEVE SMETTERLA DI COMANDARE IN CAMPO ETICO
L’Europa, pur impotente in modo drammatico in campi decisivi per la vita dei cittadini suoi e del mondo, come nelle crisi del Gas o dell’immigrazione e delle guerre che insanguinano il mondo lontano o vicino ai suoi confini, si rivela molto solerte nelle prese di posizioni e nei provvedimenti di carattere ideologico. E, mentre invecchia impotente e squassata dalla crisi economica, decide di raffigurare in un certo senso il proprio futuro. Senza interrogarsi a fondo se la strada tracciata ricalchi e aggravi gli errori che l’hanno portata a questa elefantiaca impotente vecchiaia o rappresentino una via di uscita e di ripresa.
Su impulso di un deputato italiano di Rifondazione comunista, Giusto Catania, il Parlamento europeo ha approvato un documento sulla tutela dei diritti umani che vorrebbe avere grande rilievo. Nobile e sacrosanta iniziativa ancorché presa da un Parlamento politicamente debole anche a causa della prossima scadenza di mandato. Il tema infatti è delicato e importantissimo. Ma il modo con cui il Parlamento ha deciso di affrontarlo è forse il peggiore. Per tre motivi.
Primo perché il documento accumula una serie di problemi (dalla discriminazione dei rom, al testamento biologico, dalle coppie omosessuali all’antisemitismo) e ne esclude altri (come ad esempio una seria iniziativa politico-diplomatica della Ue contro le discriminazioni e le persecuzioni anti-religiose perpetrate in varie parti del mondo). E dunque si fa di ogni erba un fascio sotto l’egida nobile ma generica di "diritti umani" col rischio di rendere tutto vago e parziale. Sorprende ad esempio, l’assillante attenzione diffusa ai diritti delle coppie omosessuali e la fuggevolezza del riferimento al drammatico e ben più imponente fenomeno della tratta delle schiave del sesso che appesta l’Europa. Ma, appunto, è il rischio di documenti di indirizzo che esprimono posizioni ideologiche più che problemi reali.
I toni del documento, poi, sono quasi impositivi, ma a vanvera. Non solo perché vorrebbe dettare linee ai Paesi membri su faccende etiche e normative che in alcuni casi sono di chiara evidenza (le discriminazioni sui minori o su popolazioni minoritarie – ma allora perché solo i rom e non i tanti cinesi d’Europa che pur vivono e lavorano a volte in condizioni vergognose?) mentre in altri sono oggetto di interpretazioni tutt’altro che pacifiche e scontate (come il "matrimonio gay" da riconoscere e il testamento biologico da garantire per legge). Mettere in un mucchio generico solo alcuni temi che interessano per motivi che con i "diritti umani" c’entrano fino a un certo punto, è una operazione non solo scorretta ma infine lesiva della nobiltà e della serietà del problema dei diritti.
E continua a minare la credibilità dell’Assemblea di Strasburgo. L’Europa si è costituita, fin dall’inizio, sul principio di sussidiarietà, che solleva gli organi politici di più elevato grado comunitario dal legiferare su questioni su cui gli Stati membri hanno il dovere e la libertà di farlo, sulla base delle decisioni maturate democraticamente al loro interno. Se questo principio viene invocato spesso per materie che riguardano l’agricoltura o altre faccende a carattere economico-produttivo, tanto più andrebbe osservato su questioni eticamente sensibili, per evitare che si arrivi a una inquietante imposizione dall’alto.
Il documento votato ieri a Strasburgo tuttavia non può avere, per le stesse norme costitutive della Ue, valore vincolante. A decisioni di tal genere si può eventualmente arrivare solo con l’accordo degli Stati e sulla base di provvedimenti della Commissione, non certo con un’alzata di voce e di mano organizzata da qualche lobby. Ma va pur detto che il gioco è pericoloso: andando avanti di questo passo, per irresponsabilità o per incuria, l’Europarlamento si dimostra più luogo e strumento di propaganda che serio laboratorio per il futuro comune.
Davide Rondoni, Avvenire, 15 gennaio 2009
Ebrei e Chiesa cattolica. Ai rabbini d'Italia questo papa non piace - Non gradiscono né la nuova preghiera del Venerdì Santo, né la via di dialogo aperta da Benedetto XVI nel libro "Gesù di Nazaret". E si dissociano dalla giornata per l'ebraismo indetta dai vescovi. Ma tra loro non tutti la pensano così - di Sandro Magister
ROMA, 16 gennaio 2009 – Sul versante geopolitico la guerra di Gaza ha acuito le divergenze tra la Chiesa cattolica e Israele, come www.chiesa ha mostrato nel servizio del 4 gennaio.
Il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, ipotizzato per maggio, si auspica che attenui le reciproche incomprensioni. Intanto, però, soprattutto per l'intransigenza israeliana, non fanno passi avanti i negoziati per dare attuazione pratica agli accordi del 1993 tra la Santa Sede e Israele. Né si intravede alcuna disponibilità a rimuovere, nel museo della Shoah a Gerusalemme, la didascalia che squalifica Pio XII come complice dello sterminio nazista degli ebrei.
Ma anche sul terreno più strettamente religioso il rapporto tra le due parti è accidentato. Per il 17 gennaio la conferenza episcopale italiana ha indetto la "Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei". Dal 1990 questa giornata si tiene tutti gli anni, dal 2001 la comunità ebraica italiana la promuove assieme ai vescovi e dal 2005 entrambe le parti hanno concordato un programma decennale di riflessione sui Dieci Comandamenti. Ma questa volta la Chiesa cattolica si ritrova sola. L'assemblea dei rabbini italiani, presieduta da Giuseppe Laras, ha deciso di "sospendere" la partecipazione degli ebrei all'evento.
Laras ha annunciato il ritiro dell'adesione lo scorso 18 novembre, durante un convegno sul dialogo interreligioso svoltosi a Roma alla camera dei deputati. E l'ha addebitata alla decisione di Benedetto XVI di introdurre nel rito romano antico del Venerdì Santo l'invocazione affinché Dio "illumini" i cuori degli ebrei, "perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini". Invocazione giudicata da Laras inaccettabile in quanto finalizzata alla conversione degli ebrei alla fede cristiana.
Il 13 gennaio il rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, ha rincarato la protesta. Su "Popoli", la rivista missionaria dei gesuiti italiani, ha scritto che con Benedetto XVI "stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa".
La conferenza episcopale italiana ha reagito mantenendo ferma la giornata di riflessione ebraico-cristiana – significativamente collocata alla vigilia dell'annuale settimana dell'unità dei cristiani – e pubblicando per l'occasione un documento che riassume le tappe del dialogo tra ebrei e cristiani nell'ultimo mezzo secolo, a partire dalla cancellazione, decisa da papa Giovanni XXIII nel 1959, dell'aggettivo latino "perfidi" (che propriamente significa "increduli") applicato agli ebrei nella preghiera del Venerdì Santo in vigore all'epoca.
Nel documento è sottolineata l'importanza del testo vaticano pubblicato dall'allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2001 col titolo "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana". Questo testo, in effetti, è riconosciuto da autorevoli esponenti cattolici ed ebrei come il punto più alto e costruttivo fin qui raggiunto nel dialogo tra le due fedi, assieme al libro "Gesù di Nazaret" pubblicato nel 2007 dallo stesso Ratzinger, nel frattempo divenuto papa, nelle pagine dedicate alla divinità di Gesù: questione teologica capitale per gli ebrei di allora come di oggi, credenti in Cristo oppure no.
In campo cattolico la via tracciata da Ratzinger nel dialogo con l'ebraismo non è da tutti accettata. Gli si oppone la cosiddetta "teologia della sostituzione", sia nelle versioni "di sinistra", filopalestinesi, sia in quelle "di destra", tradizionaliste. Secondo tale teologia, l'alleanza con Israele è stata revocata da Dio e solo la Chiesa è il nuovo popolo eletto. In taluni tale visione arriva sino a un rigetto sostanziale dell'Antico Testamento.
Ma anche in campo ebraico vi sono sensibili divergenze di vedute. Lo scorso novembre, quando Benedetto XVI fece colpo affermando che "un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale", a sorpresa il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni (nella foto), si dichiarò d'accordo col papa. E aggiunse che la decisione dell'assemblea dei rabbini italiani di sospendere l'adesione alla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio andava anch'essa in questa direzione: "rimuovere l'equivoco che si debba dialogare tra cristiani ed ebrei anche sul piano teologico". Rispetto al predecessore Elio Toaff – quello del celebre abbraccio con Giovanni Paolo II in sinagoga – Di Segni ha inaugurato una dirigenza del rabbinato in Italia meno laica e più identitaria, più osservante di riti e precetti, e di conseguenza più conflittuale col papato sul versante religioso.
Ma, appunto, non tutti gli ebrei la pensano così. Alcuni interpretano diversamente le riserve di Benedetto XVI sul dialogo interreligioso. Ritengono cioè che il papa, quando esclude "un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola", non si riferisca all'ebraismo ma soltanto alle religioni esterne al plesso ebraico-cristiano, cioè islam, induismo, buddismo, eccetera. E infatti – chiedono – "che cosa sono stati il documento del 2001 e il libro 'Gesù di Nazaret' se non un confronto sul terreno propriamente teologico con l'unica religione con cui il cristianesimo può farlo?".
A formulare quest'ultima domanda – in una nota sul quotidiano "il Foglio" dell'11 gennaio – è stato Giorgio Israel, docente di matematica all'Università di Roma "La Sapienza" ed impegnato fautore del dialogo ebraico-cristiano in sintonia con l'attuale pontefice. Assieme a Guido Guastalla, assessore alla cultura della comunità ebraica di Livorno, Israel ha anche contestato pubblicamente, sul "Corriere della sera" del 26 novembre, la decisione di Laras e dell'assemblea dei rabbini di dissociarsi dalla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio. A loro giudizio, la motivazione portata a sostegno del rifiuto, cioè la preghiera per gli ebrei formulata da Benedetto XVI per il rito antico del Venerdì Santo, non è più sostenibile dopo le chiarificazioni fatte in proposito dalle autorità vaticane, chiarificazioni accolte anche dal presidente dell'International Jewish Committee, il rabbino David Rosen.
Hanno replicato a Israel e Guastalla, sul "Corriere della Sera" del 4 dicembre, il rabbino Laras, l'altro rabbino Amos Luzzatto e il presidente dell'Unione giovani ebrei d'Italia, Daniele Nahum. I tre hanno restituito alla Chiesa cattolica e in particolare al papa la colpa della rottura, hanno definito le posizioni di Benedetto XVI "una regressione rispetto alle conquiste scaturite dagli ultimi decenni di dialogo e collaborazione" e hanno accusato i loro critici di voler usare il dialogo ebraico-cristiano in funzione anti islam.
Laras, Luzzatto e Nahum hanno concluso così la loro replica: "Si ricordi che i rapporti tra ebraismo e islam generalmente sono stati più proficui e sereni rispetto a quelli intercorsi tra ebraismo e cristianesimo".
La storia ha il suo peso irremovibile. Ma riletti oggi, nel pieno della guerra di Gaza, questo omaggio all'islam e questa stilettata alla Chiesa suonano surreali.
Mario Mauro, Rappresentante dell'OSCE contro le discriminazioni
VIENNA, giovedì, 15 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Questo giovedì Mario Mauro, Vicepresidente del Parlamento europeo, è stato nominato Rappresentante personale della Presidenza dell'OSCE per la promozione della tolleranza e la lotta al razzismo ed alla xenofobia, con focus particolare per la discriminazione contro i cristiani e i membri delle altre religioni.
Ad annunciarlo è stato nella riunione odierna del Consiglio permanente dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), il Presidente in esercizio, il Ministro degli Esteri greco Dora Bakoyannis.
"Questa nomina – ha detto Mario Mauro – riconosce il lavoro svolto anche in Parlamento sulla scia dei risultati conseguiti in questi anni in cui ho ricoperto la carica di Vicepresidente del Parlamento europeo con delega ai rapporti con le chiese e le altre comunità religiose, non da ultimo la Risoluzione in cui per la prima volta si chiedeva di mettere fine alla persecuzione dei cristiani nel mondo".
"Sarà mio sforzo costante – ha quindi aggiunto – adoperarmi per continuare la battaglia per sconfiggere l'intolleranza e la discriminazione religiosa. In questo caso il mandato è anche più ampio, perché si tratta di collocare tali problematiche nel più vasto impegno contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione" .
L’OSCE, la cui sede principale si trova a Vienna, in Austria, è stata fondata nel 1975 ad Helsinki come Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Attualmente è la più grande Organizzazione per la sicurezza regionale al mondo con 56 Stati membri dell’Europa, dell’Asia centrale e del Nord America, mentre numerosi altri Paesi sono suoi partner per la cooperazione.
Le sue attività riguardano tre ambiti specifici: quello politico-militare, nel controllo delle armi e nelle questioni legate ai problemi di sicurezza nei paesi dell'OSCE; quello umanitario, nella difesa dei diritti umani, nel processo di democratizzazione, nelle questioni religiose, nel monitoraggio delle elezioni, nel traffico di essere umani, nel sostegno a favore di media liberi etc.; e quello economico-ambientale, nella crescita economica sostenibile delle zone più povere dell'area di sua competenza.
“L'OSCE – ha commentato Mario Mauro – è stata forse la prima Organizzazione internazionale a comprendere che la promozione della libertà religiosa, come degli altri diritti umani, giova alla sicurezza e alla stabilità internazionale”.
16/01/2009 10:19 - VATICANO - TERRA SANTA - C’è chi non capisce il “pacifismo” del Vaticano - di David-Maria A. Jaeger, ofm - Si assalta la Santa Sede per le sue posizioni sul conflitto Israele-Hamas; si cerca di tirarla da una parte o dall’altra. Ma non si comprende la sua missione.
Roma (AsiaNews) - Non sarò stato il primo ad esprimere stupore di fronte all’esclusione diffusa della religione cristiana e della Chiesa Cattolica dalla categoria di religioni e sensibilità che meritano rispetto, e che non è lecito – almeno moralmente - attaccare e diffamare ad libitum senza rischiare di essere accusati di intolleranza o peggio. Questi giorni, in cui si sta consumando un’immane tragedia nella parte sud-occidentale della Terra Santa – e lo è indipendentemente da chi ne sia all’origine, da chi ne sia maggiormente responsabile - ne sono l’ennesima dimostrazione. Basti riferirsi all’editoriale di un rispettatissimo intellettuale italiano, “Il pacifismo impossibile”, pubblicato dal Corriere della Sera in prima pagina dell’edizione di domenica, 11 gennaio. E altrove non è mancato all’assalto alla Santa Sede neanche un altro celebre giornalista-commentatore di area “vaticanista”. Per loro, come per diversi altri, la Santa Sede mancherebbe al dovere per il suo non-schierarsi, senza se e senza ma, al fianco del governo di Israele nel conflitto in corso. Per altri ovviamente le colpe della Chiesa sarebbero nella direzione opposta, nel non aderire con più forza e incisività – magari con sanzioni concrete - alle loro stesse condanne incondizionate della campagna militare, al vedere la grande sofferenza della popolazione civile, e senza badare neppure minimamente al contesto e alle cause prossime delle misure belliche. Gli accorati appelli del Papa a nome dell’umanità perché cessi lo spargimento di sangue, perché tacciano le armi e perché si riprendano dialogo e ricerca di intesa, pace e riconciliazione, altro non sembrano ai primi che espressioni di un perdurante anti-israelismo fisiologico alla Chiesa, o agli altri come mancanza di fibra morale o dovute ad eccessiva prudenza fuori posto. Per tutti questi critici, la Santa Sede, quasi fosse una potenza temporale qualsiasi, non si dovrebbe sottrarre a netti giudizi politici su chi abbia sparato per primo, chi sia più cattivo dell’altro, chi debba essere punito e chi premiato e sostenuto.
Ora da israeliano (e sarebbe il caso del cittadino di qualsiasi altra Nazione) non mi dispiace mai che ci sia chi guardi alla mia Nazione con simpatia, che ci sia chi ne voglia capire le ragioni, che ci sia chi voglia comprendere anche le scelte più difficili e più discusse del suo governo. E da essere umano, innanzitutto e soprattutto, è chiaro che non mi possa dispiacere che ci sia chi prenda tanto a cuore le infinite sofferenze di una popolazione inerme già comunque eccezionalmente provata. Ma da cattolico, da sacerdote, mi offende che ci sia chi ne abusi per attaccare la Chiesa; mi dispiace moltissimo che ci sia ancora chi si ostini nel rifiutare di riconoscere che la Chiesa in genere, e la Santa Sede in specie, non partecipano, e per natura loro non possono partecipare, al dibattito politico, non prendono parte nelle dispute temporali, e non lo possono né lo debbono fare, e che sia in fondo nell’interesse di tutti quanti che non lo facciano. Che la Santa Sede non è semplicemente ancora un’altra voce che si leva nel coro, troppo spesso cacofonico, delle Nazioni. La Chiesa parla su un piano del tutto diverso. Ha una missione del tutto diversa. La Chiesa non sostiene mai le ragioni di una Nazione contro l’altra e non funge, se non quando esplicitamente invitata da tutte le parti in causa, da arbitro. La Chiesa sostiene unicamente le ragioni dell’umanità e si fa voce della misericordia, dell’umana e divina pietà, di quella giustizia che non trova il suo compimento che nell’amore. Se ci siano delle circostanze in cui le Comunità politiche, agendo all’interno della peculiare logica dei rapporti di forza intra-mondani, giudichino di non poter evitare di ricorrere alla forza, non può mai essere la Chiesa a benedirne le armi. Lo comprese già a suo tempo Benedetto XV, ben prima che ne desse ulteriore prova Benedetto XVI. L’insistenza della Santa Sede nello scongiurare e deplorare sempre, ovunque e comunque il ricorso alla violenza, e nel proporre opportune importune le sole vie del dialogo pacifico, non può essere vista nel contesto delle discordie tra gli attori sulla scena internazionale, ma come pura espressione della propria missione, in rappresentanza di un “Regno che non è di questo mondo”. Voler leggere queste espressioni dello specifico della Chiesa quasi fossero dei semplici giudizi politici, riconducibili a calcoli diplomatici, oppure ostentazioni di una qualche “ideologia pacifista” (contrapposta ad altre dottrine politico-militari) vuol dire disconoscere chi e che cosa sia la Chiesa. E quando a farlo sono persone colte, fornite delle possibilità di saperlo e di capirlo, desta profonda meraviglia, anzi perplessità e tristezza.
Si fermino un attimo a pensare tutti questi critici, ed ammettano che se la Chiesa di Cristo abbandonasse questa sua alta missione e si abbassasse al livello di ancor un altro partecipante alla rissa, sia pur dalla parte da loro ritenuta nel giusto, il nostro mondo ne risulterebbe paurosamente e pericolosamente impoverito.
* francescano di Terra Santa
16/01/2009 10:46 – CINA - Pechino non riconosce le chiese domestiche, e le perseguita - Lo scorso Natale ci sono state demolizioni di edifici e arresti dei fedeli delle chiese domestiche cristiane. Ma le autorità cercano di far passare tutto sotto silenzio.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Non ha sosta la repressione contro le “chiese domestiche” cinesi, i gruppi cristiani non riconosciuti dalle autorità che si incontrano in abitazioni per pregare. Il governo le invita a chiedere il “riconoscimento”, ma i fedeli denunciano che sono usati pretesti per non ammettere nemmeno la loro esistenza e proseguire arresti e demolizioni di edifici .
L’avvocato Wu Chenglian di Zhoukou (Henan) è stato incaricato di proporre appello contro le condanne subite da Shu Wenxiang, Xie Zhenji e Tang Houyong. Sono leader di “chiese domestiche” non riconosciute, arrestati a dicembre nella contea di Taikang mentre facevano “proselitismo”, condannati a un anno di “rieducazione-tramite-lavoro”, veri lavori forzati, con tre mesi di tempo per fare appello.
Wu racconta che non è ancora riuscito a farlo, perché le autorità non accettano il suo ricorso, dicendo che “ci sono documenti interni che vietano di ricevere cause riguardanti gruppi religiosi” e sono necessarie specifiche autorizzazioni. Ma gli uffici si rimpallano la competenza a rilasciarle. A Radio Free Asia dice che “il capo della Corte dice che debbo chiedere al direttore [del carcere]. Il direttore mi dice di rivolgermi al capo della Corte”, poi gli hanno indicato di rivolgersi ad altri uffici.
Le autorità sono attive nel perseguitare questi gruppi, ma attente a non farlo risultare in via ufficiale. A Yucheng (Henan) 4 donne sono state arrestate e condannate a 15 giorni di carcere per “organizzazione di attività religiose illegali” (hanno riunito i fedeli per pregare). Scontata la pena sono state rilasciate, ma Zhang Mingxuan, presidente dell’Associazione delle Chiese domestiche cinesi, dice che “non abbiamo avuto documenti ufficiali circa la detenzione, perché hanno paura che facciamo qualche azione legale”.
Il Centro di riabilitazione tossicodipendenti di Fuyin (Yunnan), gestito da gruppi protestanti, è stato demolito con la forza in un’ora a fine dicembre, con bulldozer ed escavatori. Ma il pastore Lin dice che non ha ricevuto alcun documento ufficiale. Ora chi vi era ricoverato “vive in tende accanto alle macerie, perché non ha dove andare”.
Né si attenua la persecuzione su chi già è in carcere. Il gruppo ChinaAid riferisce che il cristiano Hua Zaichen, 91 anni, sta morendo e chiede di vedere la moglie Shuang Shuying, 79 anni (nella foto), in carcere per una condanna che termina il 9 febbraio. I due sono stati perseguitati per anni per la loro opera cristiana a favore degli altri perseguitati e quali genitori del pastore protestante Hua Huiqi, pure in carcere.
ChinaAid racconta che le autorità hanno risposto alla moglie che non è possibile, ma che se lui muore la moglie “potrà vederne il corpo per 10 minuti, ma ammanettata e con l’uniforme carceraria”. La donna è stata condannata per “danneggiamento volontario di proprietà”. Nel febbraio 2007, mentre si recava dalla polizia a chiedere notizie del figlio, è stata quasi investita da un’auto. Si è protetta con il suo bastone e l’ha danneggiata. Per questo è stata condannata a 2 anni.
«Indignation», l'ultimo romanzo di Philip Roth - Non si diventa uomini sacrificando la vita degli altri di Giulia Galeotti – L’Osservatore Romano, 16 gennaio 2009
I veri romanzi hanno una caratteristica: la medesima vicenda, le medesime parole vengono lette e colte in una vasta gamma di modi differenti dai diversi lettori. A seconda dello stato d'animo, la fase della vita, gli interessi e perfino le gioie e i dolori vissuti, nell'avvicinarsi al testo, ciascuno rimane diversamente abbagliato. Quello che l'autore voleva-dire, lascia il campo a quanto il lettore ritiene gli-sia-stato-detto. La discrasia tra i due piani non è affatto immediata: sono tanti i romanzi elementari e monofonici. Poveri di qualunque spessore interpretativo. L'esatto contrario, insomma, di Indignation (Houghton Mifflin 2008), l'ultimo romanzo di Philip Roth, non ancora tradotto in italiano.
Ambientato negli Stati Uniti d'America del 1951, durante il secondo anno della guerra di Corea, Indignation ha per protagonista il non ancora ventenne - una quasi novità nella galleria recente di Roth - Marcus Messner, figlio di un macellaio kosher, al secondo anno di università. Nel descriverne il trasferimento dal college di Newark (vicino casa) al Winesburg College in Ohio - a causa del genitore protettivo e ossessivo, a livelli obiettivamente insostenibili - il libro coglie numerosissimi aspetti della vita del giovane. Dalla scoperta del sesso - ma nel genere Io sono Charlotte Simmons di Tom Wolfe rimane ineguagliato - alle ripercussioni sociali e intime delle guerre, non v'è solo il conflitto in Corea, ma anche la seconda guerra mondiale che ha inghiottito i due fratelli del padre, determinandone gli assurdi comportamenti. Nel romanzo, tuttavia, v'è anche la spada di Damocle dei sensi di colpa; la difficile entrata nel mondo degli adulti; la scoperta deflagrante del divorzio; la gelosia per gli affetti. Tutti i piani sono sapientemente combinati, disegnando cerchi concentrici che, nel finale, si ricompongono in unità, dominati e inclusi nell'intreccio tra guerra e pace.
Ma più del giovane e singolare Marcus, più del padre pazzoide tra paure e coltellacci, più di Olivia - la fidanzatina problematica, di buona famiglia con i polsi segnati (un tentativo di suicidio) - colpisce la figura della signora Messner.
Da principio, la madre di Marcus rimane sullo sfondo. Oltre al cambiamento che il dover mantenere il figlio al college in Ohio ha prodotto nella sua vita, e cioè l'essere dovuta tornare a lavorare a tempo pieno nella macelleria del marito - my mother too was covered in blood - non sembra vi sia per lei altro ruolo che quello, tradizionalissimo, dell'eterna mediatrice tra gli scontri e le incompatibilità che dividono padre e figlio.
A un certo punto, invece, uscendo dalla penombra, la donna si impone sulla scena, quando si presenta - nonostante i tentativi di Marcus di dissuaderla - all'ospedale dove il ragazzo è stato ricoverato d'urgenza per un attacco di appendicite. È passato solo qualche mese dal loro ultimo incontro, eppure Marcus fa un'enorme fatica a riconoscere la donna invecchiata e sconfitta che ha dinnanzi: sua madre, infatti, è sempre stata forte, coraggiosa e combattiva, il vero pilastro della famiglia. Incalzata dalle domande del figlio, la donna descrive una quotidianità divenuta insostenibile perché il marito è ormai uscito completamente di senno. Per Marcus, lo shock non è tanto la notizia in sé, quanto lo stato in cui ella si trova. La signora Messner, che non ha mai pianto dinanzi a Markie a prescindere dai dolori e dalle difficoltà, è colei che non esita mai, sapendo perfettamente cosa fare in ogni momento; è la donna che ha imparato l'yiddish per parlare con i clienti anziani; la donna intelligente e determinata che avrebbe potuto fare qualsiasi lavoro, e non ha esitato a imparare a tagliare le carni secondo il rituale, essendo questo il suo dovere. Chi è, dunque, questo rottame - wreck - in lacrime che egli ha dinnanzi? Il caro Marcus diventa crudele: non può e non vuole sentire. Ci sono notizie che un figlio rifiuta; dalle quali - anche a scapito della verità - vuole essere protetto. Nell'escalation di disperazione e sconcerto nell'apprendere gli eccessi della pazzia paterna, il vero colpo per Marcus arriva quando sente nella bocca della madre la parola che ella stessa ha una difficoltà enorme a pronunciare, d-i-v-o-r-c-e. "Il divorzio era sconosciuto nel nostro quartiere ebreo. Credo fosse del tutto sconosciuto nel mondo ebreo. Il divorzio era vergognoso. Il divorzio era scandaloso. Far saltare una famiglia con il divorzio era virtualmente un crimine".
Dietro un do ut des che Markie rispetterà suo malgrado, la donna decide di soprassedere alla decisione. La salute mentale di suo figlio - e quella del marito - necessitano di lei. Serve il suo sacrificio affinché Marcus possa essere un uomo. Ma si può diventare uomini sacrificando la vita di un altro? È casuale la scelta di Roth di far sopravvivere solo lei alla tragedia collettiva, e domestica?
(©L'Osservatore Romano - 16 gennaio 2009)
ATEISMO/ L’errore di metodo nella campagna contro l’esistenza di Dio - Fernando De Haro - giovedì 15 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
Si sono sbagliati. I promotori della pubblicità su due autobus di Barcellona, uno della linea 14 e l’altro della 41, hanno investito 2.500 euro in uno spot in cui si dice “Probabilmente Dio non esiste. Smettila di preoccuparti e goditi la vita”, hanno commesso un grave errore e hanno gettato al vento due secoli di saggezza e tradizione atea.
Non hanno letto Dewey, il grande pedagogo americano, che negli anni ’50 superò l’inefficace anticlericalismo del XIX secolo con un’insuperabile efficacia. Silenzio, questa è stata la sua soluzione.
Hanno speso denaro nel modo peggiore per un ateo militante, scrivendo insieme due parole non pericolose se separate, ma che possono essere molto destabilizzanti se associate. Infatti, hanno messo vicino, quasi nella stessa riga, la parola “Dio” e la parola “goditi”. Hanno unito il termine che la tradizione occidentale ha utilizzato per descrivere il Mistero, l’Infinito, l’Ignoto, con un’espressione che denota piacere, pienezza, soddisfazione.
Spesi quei soldi, sarebbe stato più conveniente utilizzare alcuni vocaboli che destassero meno la nostalgia e il desiderio, qualcosa di meno concreto. Sarebbe stato preferibile che rimanessero nell’astrazione della morale, che si rifacessero ad alcuni valori come la tolleranza o l’empatia. In questo modo, Dio sarebbe rimasto dove lo hanno messo da decenni: lontano, molto lontano da qualsiasi preoccupazione quotidiana. C.S. Lewis lo diceva molo bene nelle Lettere di Berlicche. In questo libro, il diavolo più esperto spiega a quello novizio che “l’obiettivo” è fare in modo che gli umani non pensino a queste cose.
Dopo c’è la terza parola, la parola “esiste”. Sia pure con il costo di molte pagine, anche a Hegel risultò chiara una cosa: non si può negare con nettezza, con chiarezza, la realtà di Dio. Esiste ma non realmente, come un mito, come un momento dello spirito, come una sublimazione, come una proiezione. Dicendo che “non esiste” hanno rovinato il grande edificio dell’idealismo.
Sono tornati a legare Dio con la realtà. Un autentico disastro. “Goditi la vita”. Ti metti a goderla e ti capita ciò che è successo a Leopardi, cioè che non resti «soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così dalla terra intera» e trovi che “tutto è poco e piccino alla capacità dell'animo proprio”, e accusi sempre “le cose d'insufficienza e di nullità”. Da qui ad accorgerti che il tuo desiderio di infinito è inestirpabile ci vuol poco. E alla fine diventi veramente religioso.
Per negare Dio non si deve parlare della realtà, né del godere di qualcosa, perché poi arrivano le domande.
MEDIO ORIENTE/ Khoueiry: ai cristiani, artigiani di pace, il compito di mediare - INT. Jocelyne Khoueiry - venerdì 16 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
«Qui non si tratta soltanto di dibattiti ideologici tra i belligeranti. Occorre passare ad una fase completamente diversa, in cui ciascuno è obbligato a riconoscere l’esistenza dell’altro». A dirlo è Jocelyne Khoueiry, cattolica, leader della resistenza armata libanese, numero tre dell’esercito ai tempi di Bechir Gemayel, poi fondatrice del movimento laicale La Libanaise-Femme du 31 May e di altre iniziative di apostolato cattolico. Nel 1975 il Medio Oriente, come oggi, è senza pace. A farne le spese è in quel momento il Libano. Il piano Kissinger, infatti, prevede di risolvere la questione palestinese, con il consenso israeliano, dislocando i palestinesi in territorio libanese. In Libano è guerra aperta tra formazioni militari filo-palestinesi e milizie cristiane libanesi, che tentano di salvare la sovranità del paese. Jocelyne si arruola volontaria, ma non si limita a combattere. In guerra riscopre la fede cristiana, cerca le ragioni per dare senso alla convivenza, capisce quanto costa la pace. Oggi riscontra che troppo spesso noi semplifichiamo, schematizziamo, facciamo troppa teoria. Come quando riteniamo, in fondo, che quello per il dialogo sia un appello dovuto, un atto di prammatica. E che l’appello alla pace non sappia nascondere, a chi è capace di vedere, che una vera equidistanza tra le parti non è possibile e, forse, nemmeno voluta. Ma «la posizione del Santo Padre - risponde Khoueiry - è l’unica soluzione autentica e durevole».
Jocelyne Khoueiry, la tregua promossa dall’Egitto non ha tenuto: perchè?
Perchè Hamas non intende venir meno alle condizioni che ha posto: ritiro dell’esercito israeliano, apertura dei varchi e termine dell’embargo che dura da mesi.
Che senso avrebbe d’altra parte il sì ad una tregua da parte di un’organizzazione fondamentalista?
La parola «fondamentalista» è ormai attribuita, senza troppe distinzioni, a tutte le organizzazioni islamiche orientali e arabe. Ma occorre uno sguardo più accorto sulla nostra realtà, per poter distinguere tra un movimento islamista che accusa di apostasia coloro che gli sono differenti attribuendosi il diritto di eliminarli, e che predica il ritorno alla dominazione islamica, come Fath el Islam e Al Qaida, e un movimento islamico nazionalista che si considera come un movimento di resistenza contro l’occupante, come Hamas in Palestina. Non dimentichiamo che Hamas ha largamente vinto le elezioni legislative nel 2005 avendo in lista anche candidati cristiani.
Molti dicono che una tregua con Hamas non risolverebbe il vero problema, perché l’obiettivo di Hamas è distruggere lo Stato di Israele. Qual è la sua opinione ?
Una tregua non può essere la soluzione, ma semplicemente lo stop alle ostilità per poter passare ai negoziati. Prima di arrivarci, ciascuna parte cercherà di migliorare le proprie condizioni sul campo per massimizzare gli obiettivi. Ma qui non si tratta soltanto di dibattiti ideologici tra i belligeranti. Occorre passare ad una fase completamente diversa in cui ciascuno è obbligato a riconoscere l’esistenza dell’altro al pari delle sue esigenze. Hamas cerca di imporsi come partito che rappresenta i diritti dei palestinesi, quegli stessi diritti che Fatah non ha potuto difendere del tutto, per le omissioni arabe e la pressione internazionale. Dal canto suo Israele tenta di fiaccare Hamas, di allontanarlo dal quadro dei negoziati e di cambiare la situazione prima dell’inizio del nuovo mandato del presidente Usa.
Hamas è isolata o no nella popolazione della Striscia di Gaza?
La coesione tra Hamas e la popolazione di Gaza è totale, soprattutto sotto bombardamenti che hanno colpito donne e bambini. Come è stato per il Libano, la guerra di Israele ha sortito l’effetto opposto a quello auspicato, suscitando l’indignazione e la rivolta unanime. La reazione israeliana non ammette giustificazioni. Anche le popolazioni musulmane moderate di certi paesi arabi si sentono oggi in imbarazzo di fronte all’aggressione. Questo è un fatto che in Libano ho potuto riscontrare in modo evidente.
Israele ha risposto all’attacco di Hamas per difendersi. Non era l’unica risposta possibile da parte di Israele?
In Occidente avete semplificato troppo i termini del conflitto. Bisogna tornare ogni volta a considerare la questione israelo-palestinese nel suo complesso. Abbiamo assistito ad una ingiustizia che deve essere regolata nel rispetto dei diritti e della dignità. Se questo problema si trascina, dovremo sfortunatamente aspettarci un aumento del ricorso alla violenza anche in altri territori. Ma questo metterà in difficoltà diversi governi arabi, che potrebbero dover affrontare sommosse popolari interne.
Negli anni ’80 Arafat cercava un difficile dialogo con Israele e rimproverava l’Occidente di non far nulla per impedire a Israele di aiutare Hamas a organizzarsi in partito politico… Quanto la situazione attuale è figlia di errori passati?
La situazione attuale è l’espressione di una continua «fuga in avanti». Si è voluto imporre una pace senza giustizia, il che è un non senso. Ecco perchè anche la comunità internazionale ha delle responsabilità: essa ha compromesso la sua imparzialità e il suo dover essere rispettosa e garante dei diritti di tutti senza distinzione. Queste omissioni hanno fatto sì che le circostanze oggettive nelle quali si è trovato il popolo palestinese portassero diritto alla nascita di Hamas. Ecco perchè le bombe israeliane nella fase cui stiamo assistendo sono l’espressione di un fallimento. L’impasse nel quale ci troviamo fa sì che anche una vittoria militare non sarebbe in fondo che passeggera e illusoria.
Esiste il pericolo di un’azione comune tra Hamas ed Hezbollah e che si apra di nuovo il fronte libanese?
Son in atto tentativi ambigui per innescare un conflitto nella frontiera sud del Libano. Fortunatamente non vi è implicato Hezbollah, l’esercito libanese e la Finul tentano al meglio di controllare la situazione.
Difendere Israele vuol dire difendere la democrazia. L’opzione per Israele ha alternative?
Il metodo democratico deve essere universale e rispettoso di tutti i diritti. Diritto all’esistenza, alla libertà e alla differenza.
Il Papa difende il dialogo e chiede la pace. La sua è una posizione realistica?
Sono completamente d’accordo con la posizione del Santo Padre. E l’unica soluzione autentica e durevole. Quando il Papa parla di dialogo sottintende anche le sue condizioni preliminari ed effettive. Che sono innanzitutto la constatazione che non si può eliminare l’altro e privarlo della sua dignità.
Che significato ha, per un cristiano, vedere che la Terra Santa non trova la pace? Qual è il compito dei cristiani?
Il più grande dolore è vedere regnare l’odio. Il cristiano è innanzitutto testimone di verità e di giustizia e artigiano di pace. Ma tutto questo ha un costo e passa per l’impegno e la carità, che conferisce al cristiano la capacità di una mediazione reale. Di fronte all’ingiustizia e all’aggressione la sua posizione non può essere teorica e remissiva, ma profondamente immedesimata con la sofferenza del suo popolo. I cristiani oggi, in Medio Oriente, sono coloro che possono portare speranza dentro tutte le miserie.
COMUNISMO/ Jan Palach, un disperato gesto di speranza - Angelo Bonaguro - venerdì 16 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
«In modo lento ma inarrestabile si ricostituivano i vecchi ordinamenti, però allo stesso tempo era ancora possibile parlare e scrivere liberamente… Si protestava energicamente, eppure si poteva protestare soltanto contro chi non teneva in nessuna considerazione le proteste… La nave stava lentamente affondando, ma ai passeggeri era permesso gridare che stava affondando». Così Havel riassume l’atmosfera seguita all’invasione sovietica della Cecoslovacchia nell’agosto 1968. Nel suo drammatico discorso all’indomani dei colloqui sovietico-cecoslovacchi che sancirono la permanenza “temporanea” delle truppe del Patto di Varsavia sul territorio nazionale, Dubcek aveva parlato della necessità di una «rapida normalizzazione della situazione nel paese e del suo consolidamento», introducendo due termini che avrebbero dato il nome all’epoca che stava per cominciare, nella quale si inserì la tragedia di Palach.
Jan nacque l’11 agosto 1948 in una famiglia di piccoli commercianti di Vsetaty, un paesino a nord di Praga. Il padre, socialista e fervente patriota, gli infuse l’amore per la storia e per gli eroi patri e lo educò secondo principi saldi. Jan fu battezzato nella Chiesa evangelica dei Fratelli Boemi, frequentata dalla madre.
Terminate le superiori, Jan si immatricolò inizialmente alla facoltà di economia, per passare poi a filosofia. Ai compagni dello studentato sembrava «uno un po’ all’antica», che ricordava gli eroi-pionieri dei libri di lettura, ma era capace di creare un clima amichevole e franco. Disordinato e assorto nelle letture, preferiva studiare nottetempo ed evitare la crapula studentesca. Dopo aver vissuto il fallimento degli scioperi dell’autunno ’68, maturò nel giovane la convinzione che era necessaria un’azione forte, capace di ridestare l’opinione pubblica. Agli inizi del gennaio ’69 scrisse una lettera al leader studentesco L. Holecek in cui proponeva di occupare la sede della Radio e da lì diffondere un appello per l'abolizione della censura e per sostenere Smrkovsky, il presidente del parlamento. Holecek non rispose (il foglio finì in mano alla polizia e solo 40 anni dopo è stato ritrovato e pubblicato dallo storico P. Blazek in un libro appena uscito).
Solo a questo punto Jan decise il gesto estremo. Il 16 gennaio scrisse le lettere d’addio firmate “La prima fiaccola”: «Poiché i nostri popoli si trovano sull’orlo della disperazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la popolazione con questo gesto». Seguivano due richieste: «L’abolizione immediata della censura e l’interdizione delle Zpravy», il notiziario filosovietico. Infine l’avvertimento secondo il quale i volontari del fantomatico gruppo (si trattò solo di tattica politica: le “fiaccole” che seguirono non conoscevano Palach) erano pronti a darsi fuoco a scadenze regolari. Poi andò in centro, imbucò le lettere, mangiò un boccone alla mensa studentesca e si diresse verso il Museo Nazionale dove, presso la fontana, si cosparse di liquido infiammabile e si diede fuoco. Mentre lo portavano in ospedale ripeteva che non era un suicida ma di averlo fatto «per protestare contro quel che succede qui, contro la mancanza di libertà di parola e di stampa». Dopo tre giorni morì. Seguirono manifestazioni silenziose e appelli televisivi a non ripetere il gesto, mentre i politici si tennero in disparte, temendo di irritare Mosca. Il corteo funebre si snodò in un silenzio surreale nel cuore della capitale, accompagnato da migliaia di cittadini.
Il gesto supremo e terribile - qualcuno ha detto sproporzionato - di Palach increspò solo superficialmente le acque di un paese che veniva trascinato verso una nuova stagione di gelo: monsignor Halik ha ricordato che «Palach volle richiamare la società all’autocoscienza… . Non mutò nulla, certo: le truppe sovietiche non se ne andarono. Eppure, se cambiò qualcosa, fu la coscienza di coloro che capirono». Così anche durante la normalizzazione ci fu chi non si accontentò del relativo benessere socialista pagato con la resa del proprio io, e continuò a lottare per la “vita nella verità”. Non si trattò più di singole azioni clamorose, ma di un lavoro minuto e costruttivo di gruppetti eterogenei di “dissidenti”. Nel gennaio ‘89, poco prima che alcuni di loro deponessero fiori in piazza Venceslao in memoria di Palach, i portavoce di Charta77 V. Havel e D. Nemcova ricevettero una lettera anonima in cui uno sconosciuto minacciava di darsi fuoco «per i diritti umani, la libertà di espressione e la libertà religiosa». Ha aggiunto la Nemcova raccontando l’episodio: «Un gesto autodistruttivo di questo tipo non sarebbe stato in sintonia con lo spirito che animava Charta77. Certamente facevamo di tutto perché i diritti venissero garantiti e non intendevamo tacere quando venivano violati. Ma se l'autore di quella lettera si fosse realmente dato fuoco, più che la radicalizzazione dei movimenti di opposizione democratica, sarebbe stata una minaccia ai principi che riconoscevamo».
BIOETICA/ Se il bambino diventa solo un oggetto di desiderio - Carlo Bellieni - venerdì 16 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
È di forte attualità la notizia della bambina nata da selezione prenatale, per non avere il gene del cancro al seno. Il fatto che ancor oggi in certi giornali si parli di “bambina geneticamente modificata”, per indicare la bimba nata dopo aver scartato dei fratelli e sorelle che portavano il gene non voluto, la dice lunga su un clima di incertezza in cui viaggia l’onda della fecondazione in vitro.
Forse non fa piacere spiegare fino in fondo che non si è curata una bambina, ma altri piccoli umani si sono stati accantonati e “messi in deposito”. Che ne sarà di loro? Sarebbe bene riflettere su questo, proprio perché il tema del diritto del bambino dovrebbe essere primordiale: in fondo “embrione” in greco vuol dire “colui che fiorisce dentro”, ed è chiaramente un’espressione riferita a un individuo, non ad una “possibilità” o a un “progetto”.
È proprio su questo tema che ho esposto una tesi particolare sull’Osservatore Romano di venerdì scorso: ripartiamo dai bambini, per discutere apertamente e dialogare sulla procreazione umana. L’articolo si intitola “Nessuna persona è un diritto per un altro”, che non vuol dire una serie di no, ma invece afferma l’importanza del dialogo e della ragionevole considerazione di tutti gli aspetti della questione: come escludere dal tema “fecondazione” il tema “bambino”?
L’articolo propone tre livelli di rischio: quello legato alle documentate possibilità di certi pericoli per la salute, che nei bambini nati da queste tecniche sono maggiori che negli altri; il rischio legato all’essere destinati a non conoscere mai l’identità del proprio genitore in caso di fecondazione eterologa; e il rischio di una possibilità di essere “selezionati su misura”, talvolta addirittura selezionando la nascita di un bambino con anomalie, come documentato dalla nascita di una bambina volutamente sorda avvenuta nel 2000 in seguito a fecondazione in vitro di una donna sorda con il seme di un donatore sordo pure lui. I rischi per la salute son ben documentati da numerosi studi e soprattutto da metaanalisi e reviews, cioè da studi che fanno il punto oggettivo su tutte le ricerche compiute fino al momento attuale.
Sarebbe interessante che le domande poste nell’articolo (e la letteratura scientifica esposta) trovassero terreno di dialogo, invece che chiusure preconcette. Infatti là domando se, visti i rischi non alti ma tuttavia presenti, vogliamo dialogare sull’etica di accettare per conto del bambino i rischi riportati nell’articolo.
È un problema che ha sollevato tutto il mondo scientifico: dal presidente del comitato francese di bioetica, alla garante per l’infanzia del parlamento francese, dal comitato di bioetica del presidente degli Stati Uniti a tutti i giornali scientifici.
Il “Lancet” riporta anche che in caso di Fiv«il maggior rischio dipende dalle nascite multiple. Il rischio di aborto è del 20-34% maggiore della popolazione generale. Il rischio di malattie da numero alterato dei cromosomi è maggiore così come il rischio di nascite premature è doppio rispetto alla popolazione normale; è anche aumentato il rischio di ritardo di crescita del feto». «Il rischio di malformazioni maggiori è 1,3 volte quello della popolazione generale” e c’è“anche un rischio maggiore di paralisi cerebrale».
Anche altre review mostrano dati simili al “Lancet”, come quella di Nancy Green su “Pediatrics” del 2004 o Jane Halliday su “Best Practice and Research Clinical Obstetrics and Gynecology” del 2008. Ripartiamo dunque dai bambini, protagonisti della fecondazione nascosti nell’ombra dai media, centro del dibattito in corso che troppe chiacchiere sui diritti dei “grandi” offuscano.
A LONDRA S’INIZIA A CAMBIAR STRADA - NIENTE RISULTATI NIENTE SOLDI: FALLIMENTO IBRIDI - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 16 gennaio 2009
N iente soldi per la ricerca sugli embrioni ibridi uomo-animale: il clamoroso annuncio è apparso sulla prima pagina del quotidiano inglese Independent.
Modulato a metà fra il grido di dolore e il disperato, patetico, tentativo di fare appello all’opinione pubblica. Nessuno dei tre gruppi di ricerca inglesi autorizzati più di un anno fa è riuscito a trovare i finanziamenti necessari per realizzare il discusso esperimento che – è bene ricordarlo – consiste in una clonazione realizzata fondendo un ovocita di mucca, coniglio o maiale con una cellula somatica umana, e che avrebbe dovuto portare alla creazione di un embrione ibrido con il 99.9% del patrimonio genetico di origine umana e lo 0.1% di provenienza animale. L’obiettivo era creare cellule staminali embrionali, ovviamente «per sconfiggere malattie incurabili», utilizzando ovociti animali perché quelli delle donne scarseggiano.
Secondo l’Indipendent, le ricerche in corso sarebbero talmente avanzate che in poche settimane gli esperimenti potrebbero essere completati a costi che sembrano irrisori: 80-90 mila sterline per comprare le attrezzature necessarie, stando a quel dichiara Stephen Minger, il responsabile di uno dei tre gruppi di ricerca. Peccato che quei soldi nessuno voglia metterceli.
E dire che in Gran Bretagna il denaro per la ricerca non manca: il Medical Research Council ha impegnato 25,5 milioni di sterline per studi sulle cellule staminali, aumentando il fondo di due milioni rispetto all’anno scorso. Ma soprattutto ha preferito far lievitare dal 46% al 61,3% la quota destinata alle staminali adulte. Gli stessi responsabili dei finanziamenti l’hanno ammesso: meglio investire sulla tecnica – efficace e promettente – delle staminali 'etiche', le cellule pluripotenti indotte scoperte poco più di un anno fa dal giapponese Shinya Yamanaka. Gli ibridi?
Non interessano. Che quella degli embrioni misti uomo-animale fosse una ricerca vecchia e già fallita i lettori di Avvenire lo sanno bene avendolo letto più volte su queste colonne, alla luce della più affidabile letteratura scientifica. Eppure l’Associazione radicale Luca Coscioni nell’ottobre 2007 invitò in Italia proprio Minger, quasi fosse il nuovo eroe della ricerca di frontiera. Questi tenne un’audizione per il mondo politico e un seminario alla Sapienza, presentato da illustri docenti dell’ateneo romano pronti a dichiarare pubblicamente il loro entusiasmo per gli ibridi. A confortarli si schierò la fanfara della gran parte dei media italiani, beatamente indifferenti ai disatrosi risultati di chi, negli anni precedenti, aveva iniziato e poi abbandonato l’esperimento.
Gli scienziati inglesi coinvolti nell’operazione, dal canto loro, hanno denunciato ostacoli di natura «etica»: i fondi per gli ibridi non sarebbero arrivati per «ragioni morali». Ma oggi non sanno con chi prendersela: in Gran Bretagna i cattolici sono in minoranza, e il Vaticano non è invocabile come causa dei loro fallimenti. Imbarazzo doppio, visto che ci avevano spiegato che la ricerca era stata preceduta da un ampio dibattito che aveva coinvolto l’opinione pubblica, giunta infine a sostenere la ricerca sugli ibridi. Un esempio di democrazia ed informazione, insomma, tutto da imitare, specie dal nostro derelitto e arretrato Paese. Ma almeno un obiettivo di quell’assillante campagna è stato raggiunto: a seguito del gran battage per quella che doveva essere una ricerca dai risultati miracolosi è cambiata la legge inglese sull’embriologia, che adesso autorizza ogni tipo di ibrido uomo-animale. Come per la «clonazione terapeutica» umana – mai realizzata eppure oggetto di furibonde campagne politiche e mediatiche – i cosiddetti paladini della scienza hanno diffuso notizie distorte e dati alterati per ottenere norme a maglie assai larghe e sdoganare l’idea che in nome del progresso scientifico tutto sia lecito. Così, quella che dovrebbe essere scienza diventa troppo spesso l’inutile parodia di se stessa.