lunedì 12 gennaio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Omelia di Benedetto XVI per la festa del Battesimo del Signore - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 11 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'omelia pronunciata da Benedetto XVI questa domenica, festa del Battesimo del Signore, presiedendo nella Cappella Sistina la Messa durante la quale ha amministrato il sacramento del Battesimo a 13 bambini.
2) Contro il delirio antinatalista: c'è posto per tutti - Non è vero che bisogna fare meno figli perché le risorse scarseggiano. L’uomo è dotato di una fonte energetica illimitata: l’intelligenza
3) 12/01/2009 11:45 - ISRAELE – PALESTINA - Truppe israeliane iniziano la guerra nelle città della Striscia di Gaza - di Joshua Lapide - Non si fermano i razzi di Hamas contro le città israeliane, anche se la capacità è diminuita del 50%. Quasi 900 i palestinesi uccisi, metà sono civili. Human Rights Watch accusa Israele di usare bombe al fosforo bianco che provoca incendi delle case e ustioni sulla pelle. Il mondo arabo sottolinea la crisi umanitaria a Gaza, ma è fredda con Hamas.
4) ISRAELE/ L’importanza di una tregua - Mario Mauro - lunedì 12 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
5) MEDIO ORIENTE/ 2. I cattolici e Gaza: come e perché ripensare la guerra e la pace - Alberto Leoni - lunedì 12 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
6) Tempi - Delitto, castigo e conversione - di Luigi Amicone


Omelia di Benedetto XVI per la festa del Battesimo del Signore - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 11 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'omelia pronunciata da Benedetto XVI questa domenica, festa del Battesimo del Signore, presiedendo nella Cappella Sistina la Messa durante la quale ha amministrato il sacramento del Battesimo a 13 bambini.
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Cari fratelli e sorelle!
Le parole che l'evangelista Marco riporta all'inizio del suo Vangelo: "Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento" (1,11) ci introducono nel cuore dell'odierna festa del Battesimo del Signore, con cui si conclude il tempo di Natale. Il ciclo delle solennità natalizie ci fa meditare sulla nascita di Gesù annunciata dagli angeli circonfusi dallo splendore luminoso di Dio; il tempo natalizio ci parla della stella che guida i Magi dall'Oriente fino alla casa di Betlemme, e ci invita a guardare il cielo che si apre sul Giordano mentre risuona la voce di Dio. Sono tutti segni tramite i quali il Signore non si stanca di ripeterci: "Sì, sono qui. Vi conosco. Vi amo. C'è una strada che da me viene a voi. E c'è una strada che da voi sale a me". Il Creatore ha assunto in Gesù le dimensioni di un bambino, di un essere umano come noi, per potersi far vedere e toccare. Al tempo stesso, con questo suo farsi piccolo, Iddio ha fatto risplendere la luce della sua grandezza. Perché, proprio abbassandosi fino all'impotenza inerme dell'amore, Egli dimostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa voglia dire essere Dio.
Il significato del Natale, e più in generale il senso dell'anno liturgico, è proprio quello di avvicinarci a questi segni divini, per riconoscerli impressi negli eventi d'ogni giorno, affinché il nostro cuore si apra all'amore di Dio. E se il Natale e l'Epifania servono soprattutto a renderci capaci di vedere, ad aprirci gli occhi e il cuore al mistero di un Dio che viene a stare con noi, la festa del battesimo di Gesù ci introduce, potremmo dire, alla quotidianità di un rapporto personale con Lui. Infatti, mediante l'immersione nelle acque del Giordano, Gesù si è unito a noi. Il Battesimo è per così dire il ponte che Egli ha costruito tra sé e noi, la strada per la quale si rende a noi accessibile; è l'arcobaleno divino sulla nostra vita, la promessa del grande sì di Dio, la porta della speranza e, nello stesso tempo, il segno che ci indica il cammino da percorrere in modo attivo e gioioso per incontrarlo e sentirci da Lui amati.
Cari amici, sono veramente contento che anche quest'anno, in questo giorno di festa, mi sia data l'opportunità di battezzare dei bambini. Su di essi si posa oggi il "compiacimento" di Dio. Da quando il Figlio unigenito del Padre si è fatto battezzare, il cielo è realmente aperto e continua ad aprirsi, e possiamo affidare ogni nuova vita che sboccia alle mani di Colui che è più potente dei poteri oscuri del male. Questo in effetti comporta il Battesimo: restituiamo a Dio quello che da Lui è venuto. Il bambino non è proprietà dei genitori, ma è affidato dal Creatore alla loro responsabilità, liberamente e in modo sempre nuovo, affinché essi lo aiutino ad essere un libero figlio di Dio. Solo se i genitori maturano tale consapevolezza riescono a trovare il giusto equilibrio tra la pretesa di poter disporre dei propri figli come se fossero un privato possesso plasmandoli in base alle proprie idee e desideri, e l'atteggiamento libertario che si esprime nel lasciarli crescere in piena autonomia soddisfacendo ogni loro desiderio e aspirazione, ritenendo ciò un modo giusto di coltivare la loro personalità. Se, con questo sacramento, il neo-battezzato diventa figlio adottivo di Dio, oggetto del suo amore infinito che lo tutela e difende dalle forze oscure del maligno, occorre insegnargli a riconoscere Dio come suo Padre ed a sapersi rapportare a Lui con atteggiamento di figlio. E pertanto, quando, secondo la tradizione cristiana come oggi facciamo, si battezzano i bambini introducendoli nella luce di Dio e dei suoi insegnamenti, non si fa loro violenza, ma si dona loro la ricchezza della vita divina in cui si radica la vera libertà che è propria dei figli di Dio; una libertà che dovrà essere educata e formata con il maturare degli anni, perché diventi capace di responsabili scelte personali.
Cari genitori, cari padrini e madrine, vi saluto tutti con affetto e mi unisco alla vostra gioia per questi piccoli che oggi rinascono alla vita eterna. Siate consapevoli del dono ricevuto e non cessate di ringraziare il Signore che, con l'odierno sacramento, introduce i vostri bambini in una nuova famiglia, più grande e stabile, più aperta e numerosa di quanto non sia quella vostra: mi riferisco alla famiglia dei credenti, alla Chiesa, una famiglia che ha Dio per Padre e nella quale tutti si riconoscono fratelli in Gesù Cristo. Voi dunque oggi affidate i vostri figli alla bontà di Dio, che è potenza di luce e di amore; ed essi, pur tra le difficoltà della vita, non si sentiranno mai abbandonati, se a Lui resteranno uniti. Preoccupatevi pertanto di educarli nella fede, di insegnar loro a pregare e a crescere come faceva Gesù e con il suo aiuto, "in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (cfr Lc 2,52).
Tornando ora al brano evangelico, cerchiamo di comprendere ancor più quel che oggi qui avviene. Narra san Marco che, mentre Giovanni Battista predica sulle rive del fiume Giordano, proclamando l'urgenza della conversione in vista della venuta ormai prossima del Messia, ecco che Gesù, confuso tra la gente, si presenta per essere battezzato. Quello di Giovanni è certo un battesimo di penitenza, ben diverso dal sacramento che istituirà Gesù. In quel momento, tuttavia, si intravede già la missione del Redentore poiché, quando esce dall'acqua, risuona una voce dal cielo e su di lui scende lo Spirito Santo (cfr Mc 1,10): il Padre celeste lo proclama suo figlio prediletto e ne attesta pubblicamente l'universale missione salvifica, che si compirà pienamente con la sua morte in croce e la sua risurrezione. Solo allora, con il sacrificio pasquale, si renderà universale e totale la remissione dei peccati. Con il Battesimo non ci immergiamo allora semplicemente nelle acque del Giordano per proclamare il nostro impegno di conversione, ma si effonde su di noi il sangue redentore del Cristo che ci purifica e ci salva. E' l'amato Figlio del Padre, nel quale Egli ha posto il suo compiacimento, che ci riacquista la dignità e la gioia di chiamarci ed essere realmente "figli" di Dio.
Tra poco rivivremo questo mistero evocato dall'odierna solennità; i segni e simboli del sacramento del Battesimo ci aiuteranno a comprendere quel che il Signore opera nel cuore di questi nostri piccoli, rendendoli "suoi" per sempre, dimora scelta del suo Spirito e "pietre vive" per la costruzione dell'edificio spirituale che è la Chiesa. La Vergine Maria, Madre di Gesù, il Figlio amato di Dio, vegli su di loro e sulle loro famiglie, li accompagni sempre, perché possano realizzare fino in fondo il progetto di salvezza che con il Battesimo si compie nelle loro vite. E noi, cari fratelli e sorelle, accompagniamoli con la nostra preghiera; preghiamo per i genitori, i padrini e le madrine e per i loro parenti, perché li aiutino a crescere nella fede; preghiamo per tutti noi qui presenti affinché, partecipando devotamente a questa celebrazione, rinnoviamo le promesse del nostro Battesimo e rendiamo grazie al Signore per la sua costante assistenza. Amen!
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


Contro il delirio antinatalista: c'è posto per tutti - Non è vero che bisogna fare meno figli perché le risorse scarseggiano. L’uomo è dotato di una fonte energetica illimitata: l’intelligenza
Alcuni assunti fondamentali della pubblicistica attuale sono presentati come fossero verità lapalissiane e condizionano i comportamenti di intere masse. Uno di essi è il calcolo statistico antinatalista sulla popolazione del mondo. Se la matematica non è un’opinione, l’operazione è presto fatta: eccesso di popolazione rispetto ai prodotti disponibili per la sopravvivenza; dunque necessità di riduzione della popolazione mondiale. Ora, se i bisogni fondamentali dell’uomo sono mangiare, bere e fare sesso e l’ultimo di essi ha lo spiacevole effetto di aumentare la popolazione e quindi di creare nuovi concorrenti al consumo dei beni disponibili, evidentemente la natura ha fatto male i conti e perciò l’ultimo imperativo categorico sarà quello di correggere le sue incongruenze ricorrendo ad anticoncezionali, profilattici e – perché no? – anche all’aborto e alla sterilizzazione. Come affermano, tra gli altri, Mary S. Calderone e Eric W. Johnson in “The Family Book About Sexuality”, 1981: “Se la riproduzione umana non è presto ridotta drasticamente, la nostra terra conterrà più persone di quante il suo spazio e le sue risorse possano assolutamente sostenere… La fertilità umana deve in qualche modo essere ridotta. Se non lo è, il disastro è inevitabile.”
Quel “in qualche modo” in altri documenti viene ampiamente specificato: pillola, diaframma, condom, vasectomia, legamento tubale, aborto, sterilizzazione ecc. Se poi anche nelle nazioni occidentali, come già avviene in alcuni paesi del terzo mondo, un giorno queste misure di controllo potranno essere imposte dallo stato – mentre oggi si sbandierano come una conquista della libertà – è una questione riservata ai moralisti statistici del futuro.
Ma le premesse apparentemente tanto razionali di questo ragionamento non sono poi così evidenti. Infatti il calcolo delle risorse non può essere fatto ignorando il fattore “intelligenza umana”. Secondo l’economista controcorrente Julian Simon non si può porre un limite alle risorse, giacché esse sono “create” dall’intelligenza dell’uomo, che è una risorsa infinitamente rinnovabile: carbone, petrolio e uranio non erano risorse finché non divennero patrimonio della conoscenza dell’uomo. “In breve” egli scrive, “poiché troviamo nuovi filoni metalliferi, inventiamo migliori metodi di produzione e scopriamo nuovi sostituti, l’ultimo vincolo alla nostra capacità di usufruire di illimitate materie prime a prezzi accettabili è la conoscenza. E la sorgente della conoscenza è la mente umana. In ultima analisi dunque il limite risolutivo è l’umana immaginazione e l’esercizio di ben formate abilità”. Posta questa premessa egli conclude, contro gli antinatalisti: “Perciò un aumento degli esseri umani costituisce un apporto all’essenziale riserva delle risorse, mentre provoca nello stesso tempo un addizionale consumo delle medesime” (J. Simon, “Population Matters”, 1996). Quindi puntualizza: “Il principale meccanismo economico opera nel modo seguente: l’aumento della popolazione e l’incremento delle entrate dilatano la domanda tanto delle materie prime quanto dei prodotti lavorati. L’effettiva e prevista insufficienza dei beni che ne risulta provoca l’aumento dei prezzi delle risorse naturali. I prezzi aumentati fanno scattare la ricerca di nuovi mezzi per soddisfare la domanda, e presto o tardi si trovano nuove sorgenti e sostituti innovativi. Infine queste nuove scoperte portano a risorse naturali più a buon mercato di quando è incominciato il processo, lasciando l’umanità in condizioni migliori che se l’insufficienza dei beni non fosse sopravvenuta. Lo sviluppo di nuove fonti di energia, dalla legna al carbone al petrolio all’energia nucleare, esemplifica questo processo”.

E’ noto che la posizione di Simon ha suscitato e continua a suscitare accese discussioni. In particolare si osserva che la sua negazione di un limite obiettivo delle risorse fisiche e della validità delle prospettive apocalittiche degli ecologisti appare paradossale e irrealistica. Rimandando ad un altro momento una discussione più approfondita di questo punto piuttosto complesso, per il momento osserviamo soltanto che, anche ammettendo – e non saremo noi a negarlo – che dal punto di vista fisico le risorse non sono infinite, nella pratica non è poi così facile determinarne il limite. Per quanto riguarda le prospettive apocalittiche degli ecologisti, non sono pochi a dare ragione, almeno parzialmente, a Simon. Fra questi è l’economista danese Bjorn Lomborg, che nel suo libro “The Skeptical Environmentalist” (Cambridge University Press, 2001) ridimensiona radicalmente gli scenari degli ecologisti. Naturalmente anche quest’opera ha suscitato una marea di polemiche, ma la sua stessa amplissima diffusione e lo stimolo positivo che essa ha rappresentato per numerosi ricercatori, che l’hanno accolta con favore, sembra indicare la sua almeno parziale validità.

Ma per il nostro discorso queste differenti valutazioni, come vedremo, hanno importanza molto relativa. Ciò che è certo è che ridurre l’uomo a fame-sete-sesso e le risorse a un dato puramente materiale non è legittimo: l’uomo è anche intelligenza e perciò l’uomo è anche risorsa, anzi è la risorsa fondamentale, senza la quale le altre neanche lo sarebbero. Naturalmente oltre all’intelligenza l’uomo ha anche la volontà. Come scrive Simon: “La risorsa primaria sono le persone – specialmente giovani persone capaci, animose e piene di speranza – le quali metteranno in opera la loro volontà e la loro immaginazione per il proprio vantaggio e perciò, inevitabilmente, per il vantaggio di tutti noi”.

Come vedremo, le prospettive che qui si aprono sono assai suggestive. Per il momento vorremmo semplicemente osservare che gli stessi statistici antinatalisti dimostrano come l’uomo di fatto non sia mosso soltanto, e neanche principalmente, da fame-sete-sesso. Lo statistico malthusiano è la prova vivente del contrario di ciò che afferma: sono l’intelligenza e la volontà che danno vita alla sua campagna antinatalista. Di fatto tutti i motivi da lui addotti non agiscono, né possono agire, se non come idee e come deliberazioni della volontà. Egli stesso dunque dimostra che sono l’interiore concetto e la libera volontà a guidare gli uomini, e proprio gli argomenti del suo razionalismo economico ci forniscono le dimensioni e l’efficacia della sua fervida “creatività.”
Lo spauracchio dell’aumento della popolazione, che determina il comportamento delle masse, non è certamente una causa fisica. E’ invece un’idea che determina una volontà. Sono state questa idea e questa volontà a mettere in movimento organizzazioni internazionali e governi, pensatori e scienziati. Per esse sono stati fatti convegni, pubblicazioni, interventi legislativi. Esse hanno ispirato ricerche biologiche, iniziative pratiche su larghissima scala, produzioni industriali, speculazioni finanziarie, campagne pubblicitarie, movimenti politici, polemiche confessionali, interventi papali.

Tutti questi non sono certamente effetti della pressione spalla a spalla degli uomini tra loro in un mondo superaffollato. Sono effetti di un pensiero, iniziative di una libera volontà, speculazioni mistiche sui numeri e meno mistiche sui guadagni delle case farmaceutiche. E’ l’ossessione della globalizzazione astratta che ubriaca gli spiriti, impedendo loro di vedere la contraddizione di chi opera la riduzione dell’uomo a fame-sete-sesso e delle risorse a presumibili giacenze materiali e su questa base fa grandi progetti di una nuova organizzazione mondiale con sperticate acrobazie mentali e audaci strategie operative. E’ evidente che questa contraddizione dimostra la validità delle argomentazioni di Simon.

Ma di fatto il suo ragionamento è troppo unilaterale e non è abbastanza conseguente e perciò finisce per condurre ad affermazioni erronee. Egli infatti non rende piena giustizia all’intelligenza e alla volontà. Certamente egli ha avuto il merito di segnalare agli economisti l’imprescindibilità, per la creazione della ricchezza, delle energie racchiuse nell’interiorità umana, ma poi questa interiorità l’ha indebitamente mortificata. Del resto lui stesso ci mette sulla strada per superare il suo punto di vista. Egli infatti racconta che la sua intuizione nacque quando, visitando un campo di sterminio, gli avvenne di pensare: tra tante persone soppresse non ci sarebbe stato forse un altro Michelangelo, un altro Mozart, un altro Einstein? Vorremmo osservare: forse Michelangelo e Mozart furono scienziati o tecnici? Dunque Simon stesso riconosce che l’intelligenza e la volontà umana hanno altri ambiti e altri bisogni che non siano quelli della tecnologia. L’arte, la filosofia, la morale, la religione non rientrano nell’ambito dell’intelligenza dell’uomo e non rispondono alle più profonde aspirazioni della sua volontà?

Ora non ci sembra che riguardo a tali ambiti e a tali bisogni si possa dire che il capitale della cultura umana stia crescendo qualitativamente e quantitativamente. Un’intelligenza soltanto tecnica – quale è assai spesso l’intelligenza moderna, che anche Simon e Lomborg vorrebbero unilateralmente promuovere – può valutare e proteggere la bellezza della natura e dell’arte? Può comprendere il valore della musica e della poesia? Può istruirci sugli obblighi della nostra condotta morale, sui principi della filosofia e della religione? E una volontà a cui è negato l’accesso ad una felicità che non si identifichi con il sesso, il potere e il denaro, o comunque con il benessere materiale, ad un amore non egoistico e non sensuale della bellezza, della bontà, della virtù, della fedeltà coniugale, della responsabilità paterna e materna, della vita semplice e modesta, del contatto con la natura, della pace dell’anima, dei beni spirituali, di Dio, si accontenterà di una vita sobria e appagata dai peccatucci permessi dallo stato? Trovandosi insoddisfatta nelle sue più profonde aspirazioni, non si esaspererà piuttosto in orge di divertimenti, di lusso, di viaggi, di alcool, di droga, di sesso, di rave party, di brividi di velocità, di violenza, di sadomasochismo, di satanismo e quant’altro?

Lo stesso Simon, quando afferma che la crescente disponibilità delle risorse aprirà un maggiore accesso al soddisfacimento dei desideri umani, non addita senza volerlo la strada alle peggiori aberrazioni della volontà di godimento? Scrivono Barbara Ward e René Dubos: “In una delle prime mitologie occidentali, il fuoco non è un dono benefico… Con questo nuovo potere e capacità di dar forma al suo ambiente, l’uomo è visto nella mitologia greca come esercitante il ruolo proprio di un dio, creatore, innovatore, ricostruttore del suo mondo e di se stesso. Questa è la sua dignità e libertà. Ma è potenzialmente la via al presuntuoso orgoglio e a un’arroganza pronta a traboccare nel rischio della distruzione… Un modo di considerare questa grande espansione in personali opportunità è stato suggerito dal dott. Buckminster Fuller, il quale, trent’anni fa, fece una stima della quantità di energia muscolare necessaria per produrre il quantitativo di potenza allora disponibile e suggerì che ogni americano aveva l’equivalente di 153 schiavi che lavoravano per lui. Oggi la figura probabilmente sarebbe più vicina a 400 schiavi…Non sappiamo se quelli che ora usufruiscono di questi livelli di vita ne vorranno di sempre più elevati – per esempio un accrescimento da 400 a 1000 schiavi-energia entro i prossimi vent’anni – benché il comportamento passato dei ceti ricchi non suggerisca che l’appetito diminuisca mangiando”. (“Only One Earth”, Penguin Books, 1972).

Già cent’anni fa un pensatore più profondo di Simon scriveva che, nel mito di Prometeo, “nelle profondità dell’anima… non si vede soltanto lo smisurato contingente di forza e di vita apportato nella società umana dalla signoria sulle forze naturali, ma si presenta altresì con profondo orrore lo smisurato orgoglio che invaderà gli uomini all’apogeo della loro potenza, e la sfrenata cupidigia che verrà in loro scatenata dalla possibilità di disporre a piacimento del mondo delle forze.” (Friedrich Wilhelm Förster, “L’istruzione etica della gioventù”, S.T.E.N., 1911). E, rivolto alla gioventù del suo tempo, al fine di sottolineare l’ineludibile importanza della formazione del cuore e dello spirito più che dell’intelligenza tecnica, scriveva ancora: “I vostri padri ed i vostri nonni hanno compiuto un lavoro immenso in questo trionfo sulle forze della natura… Quale sarà ora il vostro lavoro? Io credo che il compito che vi aspetta sia infinitamente più difficile, ma anche infinitamente più grande e più importante. E se non lo adempirete, anche tutte le altre glorie non serviranno a nulla e saranno soltanto una fonte di lutto e di maledizione per l’umanità. Voi dovete lavorare affinché gli elementi selvaggi nell’anima umana siano domati una volta per sempre; questi, come cattivi geni, distruggono sempre ciò che la ragione e l’amore hanno creato” (“Il Vangelo della vita”, S.T.E.N., 1909). Queste osservazioni ci fanno comprendere quanto sia erronea una valutazione della tecnologia non integrata da altri fattori assolutamente fondamentali per la vita umana e perciò più importanti. Non sarebbe anzi auspicabile un nuovo tipo di tecnologia, attenta non soltanto agli equilibri ecologici, ma ancor più alla salvaguardia psicofisica e morale dell’uomo e alla sua profonda connessione con essi?

Dunque quelle che sarebbero state, se ben valutate e formate, le vere sorgenti della ricchezza, sono diventate le più esiziali cause del consumo delle energie, del degrado dell’ambiente, dell’imbarbarimento della civiltà. Ma proprio la permissione e la sfacciata propaganda dei sistemi anticoncezionali, teorizzata e promossa come un dovere morale dall’ideologia antinatalista, è stata la prima causa di degrado delle energie spirituali dell’uomo, soffocandole nel sesso emancipato dall’amore e dalla responsabilità, abbassando il tono morale la gioventù e avviandola ad una vita senza ideali superiori e perciò preda indifesa degli stimoli più sensuali, per giunta eccitati artificialmente per egoistici motivi commerciali. Un’ampia documentazione sul fenomeno qui accennato, almeno per quanto riguarda gli Stati Uniti, si trova in Jacqueline Kasun, “The War Against Population” (Ignatius Press, 1988). Nei vent’anni trascorsi dalla pubblicazione di questo volume la situazione è tutt’altro che migliorata.
Secondo un’intervista rilasciata recentemente da Bjorn Lomborg, gli economisti più autorevoli di diverse nazioni e di diverse tendenze, da lui interrogati, si sono trovati d’accordo nello stabilire la seguente gerarchia di priorità: Aids, malnutrizione, libero commercio, malaria.

A loro volta i politici indicavano come obiettivi prioritari: salute, acqua potabile, scolarità, nutrizione. A nostro umile giudizio – confortato, oltre che da dati di fatto, da un’antichissima tradizione dell’oriente e dell’occidente – la priorità assoluta, anche per l’economia, va data alla formazione etica della gioventù. La stessa prevenzione dell’Aids dipende più da essa che dall’uso dei condom, i quali possono essere un’ultima ratio inevitabile – di efficacia del resto discussa – ma nella misura in cui contribuiscono al degrado morale della gioventù costituiscono invece una causa gravissima e incontrollabile della diffusione dell’Aids, tanto più quando intervengono cinici interessi commerciali. Dunque i deliri statistici degli antinatalisti e le loro previsioni catastrofiche, ripetutamente smentite dai fatti, che occultano alle masse le risorse preziose della loro intelligenza e della loro libertà, appaiono come l’oppio dei popoli, come una deteriore mistica dei numeri, come un perverso velo di Maia gettato sugli uomini per chiudere i loro occhi alle realtà meravigliose che essi potrebbero progettare e realizzare. Se la casta che si crede intelligente e che vorrebbe dominare su una mandria di esseri senza coscienza, anche se ha una cognizione assolutamente inadeguata della realtà, è stata capace di farneticare una ristrutturazione globale del mondo e di mettere tutto a soqquadro per realizzarla, con immaginazione e creatività degne di miglior causa, cosa non potrebbero programmare intelligenze aperte ad ogni verità sul mondo, sull’uomo e su Dio?

E’ stato giustamente osservato da più parti che il difetto dell’intelligenza moderna non è ciò che si potrebbe chiamare legittimamente un “materialismo”, ma è uno spiritualismo deteriore, ovvero un intellettualismo disincarnato, per il quale le idee cognitive, morali e operative non sono fondate nella realtà fisico-intelligibile del mondo e dell’uomo, ma aleggiano in un’irreale mondo di astrazioni, in uno strano collage di concetti matematici e di illimitati desideri illusori lontani dalla vita reale. Tale “mistica” deteriore è stata propagandata come la vera cultura dell’uomo moderno. Ma una vera vita spirituale deve fondarsi sul rispetto dell’individualità concreta dell’uomo, in cui le funzioni superiori della socialità e dell’amore non possono svilupparsi se lo spirito non adempie prima l’indispensabile compito di governare, secondo le esigenze della sua natura, il mirabile composto psico-organico umano.

Se non si compie questo percorso – come era richiesto dalla morale tradizionale – e si sviluppa invece un intellettualismo astratto che lascia – o piuttosto costringe – la vita organica nel disordine sensualistico, cose ne può nascere se non un individualismo anarchico innaturalmente innestato a un utopismo disincarnato e dispotico? Al contrario, quali cambiamenti interiori ed esteriori non potrebbe mettere in atto una vita spirituale sana per arricchire spiritualmente e materialmente i popoli e per redimere da condizioni di degrado tante famiglie in miseria senza ricorrere ad espedienti che, invece di apportare un vero rimedio alla loro indigenza materiale e morale, pretendono di ovviare agli inconvenienti che ne derivano favorendo il logoramento dei corpi e la depressione degli animi? Ma ovviamente per i governi malthusiani è più comodo lasciare le famiglie in condizioni inumane se si può fare in modo che ciò non crei problemi. Tanto più se si convincono le stesse famiglie povere a collaborare con mezzi che, oltre ad ottenere la loro sterilità, le debilitano fisicamente e moralmente, togliendo loro l’energia spirituale e la volontà di lottare per un cambiamento sostanziale della loro condizione.

di Massimo Lapponi, Il Foglio, 3 gennaio 2009


12/01/2009 11:45 - ISRAELE – PALESTINA - Truppe israeliane iniziano la guerra nelle città della Striscia di Gaza - di Joshua Lapide - Non si fermano i razzi di Hamas contro le città israeliane, anche se la capacità è diminuita del 50%. Quasi 900 i palestinesi uccisi, metà sono civili. Human Rights Watch accusa Israele di usare bombe al fosforo bianco che provoca incendi delle case e ustioni sulla pelle. Il mondo arabo sottolinea la crisi umanitaria a Gaza, ma è fredda con Hamas.
Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) – Le forze di terra israeliane hanno iniziato a far penetrare i carri armati nelle città e i soldati sono impegnati a combattere nelle zone popolose di Gaza. Intanto Hamas continua anch’esso a lanciare razzi contro Israele.
Portavoci dell’esercito israeliano spiegano che il passo è necessario, dato che Hamas usa le zone civili come scudo e come nascondiglio per i suoi militanti. Stamane all’alba navi da guerra d’Israele hanno lanciato più di 25 colpi contro la città di Gaza. Nella notte l’aviazione ha condotto decine di raid. Un razzo da Gaza ha colpito una casa nella città di Ashkelon, ma non ci sono feriti.
L’esercito israeliano ha dichiarato che la capacità di Hamas a lanciare razzi è diminuita del 50% dall’inizio dell’offensiva di Israele cominciata il 27 dicembre scorso.
Personale medico a Gaza afferma che gli uccisi fra i palestinesi sono almeno 870; di essi la metà sono civili. Da parte israeliana i morti sono 14, compresi 10 soldati.
Il premier Ehud Olmert ha detto ieri che Israele “è vicino a raggiungere gli scopi che si è fissato”, ma che l’offensiva non è finita. Tel Aviv vuole la fine dei lanci di razzi contro cittadine israeliane del sud e che cessi il contrabbando di armi e munizioni attraverso tunnel dall’Egitto a Gaza.
La comunità internazionale continua a premere per la fine del conflitto, ma Israele e Hamas non hanno nemmeno accettato un cessate-il-fuoco proposto dal Consiglio di sicurezza dell’Onu.
L’esercito israeliano si vanta di aver ucciso in questi giorni almeno 300 militanti armati e capi di Hamas e forse altrettanti mediante i raid aerei. Ma organizzazioni umanitarie esigono da Israele di avere più cura della sicurezza dei civili palestinesi, tanto più che essi non possono fuggire in luoghi più sicuri, dato che le uscite dalla Striscia sono sigillate.
L’organizzazione Human Rights Watch accusa Israele di usare anche fosforo bianco nei bombardamenti, che provoca incendi e ustioni profonde sulla pelle e “non necessarie sofferenze” verso la popolazione civile. L’esercito israeliano ha negato di usare fosforo bianco, ma Hrw afferma di essere sicura dell’uso.
Nel mondo arabo e islamico, come pure in Europa, vi sono molte manifestazioni popolari a favore della causa palestinese. In generale però i governi preferiscono condannare Israele, senza elogiare Hamas, sottolineando con forza il problema umanitario. Il presidente indonesiano Susilo ha perfino messo in guarda dal “manipolare” il conflitto di Gaza per renderlo simbolo di una guerra internazionale (Israele-occidente-cristiani contro palestinesi-musulmani). Il gran mufti dell’Arabia saudita ha criticato le manifestazioni che avvengono nel mondo arabo a sostegno dei palestinesi, dicendo che è più importante raccogliere fondi per aiutare la popolazione.


ISRAELE/ L’importanza di una tregua - Mario Mauro - lunedì 12 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
Partiamo da un fatto che troverà tutti d’accordo: Hamas ha colpe ormai incalcolabili. Le continue vessazioni, le stragi di civili, la distruzione di città e villaggi, il freddo e pianificato progetto di distruzione contro Israele pesano come macigni sulla coscienza del movimento di resistenza islamico che, occorre ripeterlo senza timore di incorrere in errore, se da una parte tiene in ostaggio un intero popolo - quello palestinese -, dall’altra, da lungo tempo continua impunemente a infliggere morti a un altro popolo - quello israeliano.
Soltanto questo - che non è altro che una sommaria presentazione dello stato attuale dei rapporti tra i due popoli - basterebbe a spiegare la reazione di Israele. Con l’attuale scenario internazionale l’Europa e il resto del mondo devono fare i conti.
Le immagini di questi primi giorni di conflitto riaprono una delle più acute - se non la più grave - ferita: una lacerazione cronica e mai rimarginata. Attorno alle macerie e alle centinaia di morti provocati fino a ora in questi primi giorni di battaglia, si sono aggiunte nuove ferite che vanno a incidersi più nel profondo.
L’esercito israeliano avanza lentamente verso il centro di Gaza City e i blindati con la stella di Davide penetrano nel quartiere periferico di Sheikh Ajlin, mentre colpi di cannone hanno sventrato il quartiere di Tal al-Hawa. Il primo ministro israeliano Ehud Olmert, il quale ha annunciato l’inizio dell’offensiva “Piombo fuso”, ha annunciato che Israele si avvicina agli obiettivi che si è prefissato contro Hamas a Gaza: «Non possiamo lasciarci sfuggire all'ultimo momento quanto è stato finora conseguito con grandi sforzi».
Da molto tempo l'Unione Europea ha superato le ambiguità sul tema dei finanziamenti agli stati arabi. L’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) è l'organismo preposto a controllare che gli aiuti comunitari non vadano a sostenere attacchi armati o attività illecite finanziati mediante contributi comunitari all’Autorità palestinese. Niente del genere è mai stato provato nelle numerose e scrupolose indagini di tutti questi anni. In qualche caso è emerso, come è inevitabile, che non possa essere escluso che alcune delle risorse dell’Autorità palestinese possano essere state usate da talune persone per propositi diversi da quelli cui erano destinate.
Dal 1994 al 2006, Con il programma MEDA, la Commissione europea ha erogato circa 2.300 milioni di euro a favore del popolo palestinese, inclusi il sostegno ai rifugiati palestinesi attraverso l’UNRWA, l’assistenza umanitaria attraverso l’Ufficio europeo per gli aiuti umanitari (ECHO), l’assistenza per la sicurezza alimentare, azioni per sostenere il processo di pace in Medio Oriente e azioni di sostegno alla salute, all'istruzione e al consolidamento delle istituzioni. Il rapporto pagamenti/impegni è aumentato passando da meno del 45% nel 2000 a più del 90% nel 2005.
La Commissione ha assegnato complessivamente 107,5 milioni di euro nel 2006 ai tre capitoli di assistenza:10 milioni di euro per forniture essenziali e spese correnti di ospedali e centri sanitari, attraverso il programma di sostegno ai servizi d'emergenza della Banca mondiale (ESSP) (capitolo 1). 40 milioni di euro per la fornitura continua di risorse energetiche, tra cui carburante, mediante il contributo d'urgenza temporaneo (IERC) (capitolo 2). 57,5 milioni di euro per il sostegno ai palestinesi in difficoltà, mediante il pagamento di prestazioni sociali alle fasce più povere della popolazione e a lavoratori che ricoprono funzioni chiave nella fornitura di servizi pubblici essenziali (capitolo 3). Nel 2008 sono diventati 142.
Occorre segnalare però che dopo l'ascesa al governo palestinese da parte degli integralisti di Hamas Israele, Stati Uniti e Unione Europea hanno via via bloccato i finanziamenti diretti al governo palestinese, coinvolgendo le ong e altre organizzazioni internazionali per convogliare attraverso di loro gli aiuti e aggirare il governo di Hamas.
Nessuno vuole negare l’assassina ostinazione di Hamas, né la legittimità di una rea­zione armata di sicurezza. Il problema reale è le­gato alla considerazione dei cosiddetti effet­ti collaterali. In una delle re­gioni più densamente popolate al mondo il rischio di colpire una scuola diventata rifugio di ci­vili provocando numerose vittime è, come si è visto, altissimo.
Chiedere una tregua non significa quindi parteggiare per Hamas, né darla vinta all’estremismo, o fraintendere, o peggio ancora, svilire il concetto della parola pace, vuole dire piuttosto fermare le armi perché nessun missi­le cada sul territorio israeliano, evitare le uccisioni di civili e alleviare la grave emergenza umanitaria che innegabilmente esiste a Gaza in nome di una riconciliazione che, non abbiamo timore a dirlo, è ancora da costruire.
Si tratta di una pace negata e respinta più volte - in primis dai terroristi che rifiutano ogni dialogo - di una possibilità di riconciliazione che sembra irrimediabilmente perduta ora che mesi di negoziati e trattative, ogni appello è rimasto inascoltato.
Di fronte al disorientamento generale si deve trovare una luce di speranza. Pochi giorni fa il Santo Padre, nell’Angelus pronunciato da Piazza san Pietro in occasione della festività dell’Epifania, è stato estremamente chiaro su questo punto. Nel ricordo ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Orientali, che, seguendo il calendario giuliano, hanno celebrato il Santo Natale, ha affermato: «Il ricordo di questi nostri fratelli nella fede mi conduce spiritualmente in Terra Santa e nel Medio Oriente. Continuo a seguire con viva apprensione i violenti scontri armati in atto nella Striscia di Gaza. Mentre ribadisco che l’odio e il rifiuto del dialogo non portano che alla guerra, vorrei oggi incoraggiare le iniziative e gli sforzi di quanti, avendo a cuore la pace, stanno cercando di aiutare israeliani e palestinesi ad accettare di sedersi attorno ad un tavolo e di parlare. Iddio sostenga l’impegno di questi coraggiosi “costruttori di pace”!».
Non una via necessariamente comoda, non una via semplice, ma una via di impegno per favorire una possibilità di dialogo. Rinunciare al “sussulto di saggezza” non solo aprirebbe fronti di conflitto con conseguenze difficili da prevedere, ma significherebbe dare ragione alla violenza e all’odio, ovvero ciò che i terroristi si aspettano da noi. Israele - e insieme l’intero Occidente -, da sempre costruttori di pace e di dialogo, non può rinunciare a questa battaglia.


MEDIO ORIENTE/ 2. I cattolici e Gaza: come e perché ripensare la guerra e la pace - Alberto Leoni - lunedì 12 gennaio 2009 – IlSussidiario.net
L’intervista al cardinal Martino, pubblicata su questo giornale, ha avuto un’eco assai vasta e potrebbe avere conseguenze imprevedibili. Va detto, però, che l’ormai famigerato paragone di Gaza con un campo di concentramento era solo una minima frazione di tutto l’intervento e che il prelato aveva condannato senza mezzi termini anche l’intolleranza islamica. È altrettanto vero che il giudizio che sembra prevalere, in campo cattolico, è quello di una condanna di entrambe le parti con una particolare acrimonia nei confronti di Israele. Che i cristiani palestinesi abbiano ottimi motivi per dolersi della politica del governo di Gerusalemme in questi cinquant’anni è indubbio: troppe volte vi sono stati abusi e soprusi, con espropriazioni e inganni e il rancore può essere profondo. Varrebbe la pena, allora, dire le cose come stanno, ricordare a Israele il rispetto di determinati princìpi, ma senza ricorrere a una retorica disorientante come quella del “campo di concentramento” o del “Ghetto di Varsavia= Gaza”, come si è visto su alcuni cartelli di manifestanti. Chi ha anche solo una minima cognizione di cosa furono questi luoghi non può non rabbrividire di fronte a un simile paragone.
Eppure, da parte cattolica, si sono usati toni anche più forti, come ha fatto Riccardo Moro sull’agenzia SIR: «Se la Livni vuole la pace dimostri di cercarla davvero senza violenza, con un dialogo regionale e con gesti inequivocabili, come l’interruzione del Muro» perché «la pace si fonda sul coraggio, non sul taglione». Ora, Tzipi Livini e Ehud Barak avranno molti difetti, ma è troppo facile discettare su una loro mancanza di coraggio dal calduccio delle nostre poltrone. .
Nessuno, di tanti critici, è riuscito a ipotizzare di trovarsi per mesi e mesi sotto il tiro dei missili Qassam. Non risultano pervenute tante indignazioni nemmeno quando i sanguinari terroristi di Hamas trucidarono nei modi più orrendi centinaia di esponenti dell’Autorità Nazionale Palestinese nel maggio del 2007, ed è interessante notare come i musulmani che combattono e muoiono nella lotta contro il terrorismo vengano totalmente ignorati dall’Occidente. I talebani possono apparire, per qualche intellettuale, un’opzione culturale interessante ma nessuno ricorda più ormai, l’eroico comandante Massud, assassinato il 9 settembre 2001. Sarà spiacevole da notare ma, di solito, c’è un’opzione preferenziale per gli estremisti: involontaria, forse, ma non meno evidente.
Certamente, è vero che la Chiesa deve essere prudente e deve tenere conto delle comunità cristiane in Oriente, ormai in via di estinzione, proprio come bisogna cercare sempre di salvare la vita degli ostaggi: ma ci sarà pure un modo per intervenire in modo autorevole ogni qual volta vi sia pericolo di guerra e non aspettare che siano gli israeliani a bombardare per “condannare ogni violenza”.
Per far questo la Chiesa cattolica e i suoi esponenti, religiosi e laici dovrebbero anzitutto tornare a “pensare” la guerra, invece che chiudere gli occhi di fronte ad essa. Si prenda, ad esempio, il problema terribile delle vittime civili. Nella guerra moderna si è sempre sostenuto che, in una casa occupata dal nemico è meglio mandarci dentro un missile che un soldato. Un ragionamento cinico e spietato ma che, oggi, è anche controproducente in quanto donne e bambini uccisi sono usati per la propaganda. La soluzione è semplice: bisogna tornare a mandar dentro quella casa dei soldati bene addestrati che sappiano risparmiare i civili. Ciò, naturalmente, al prezzo di perdite crescenti fra i militari, cosa che, attualmente, non siamo disposti ad accettare, oltre al problema di coscienza per cui, in quella casa occupata dal nemico, non andranno certo il cardinale Martino, né il professor Moro né tantomeno il sottoscritto.
In effetti è molto più utile “pensare la pace”, nel senso che iniziative autorevoli, magari non da parte di porporati, ma di laici, più liberi di agire, potrebbero almeno tentare di prevenire i conflitti. Utopia? Certamente no, se solo si pensi all’opera straordinaria della Comunità di Sant’Egidio che è riuscita, addirittura, a porre le premesse di un dialogo per far cessare la guerra civile in Algeria, mediando fra musulmani. Non sempre tale iniziative hanno avuto pieno successo ma la fine della guerra in Mozambico nel 1991 è stata un capolavoro di diplomazia e vi sono stati numerosi interventi in Africa e nei Balcani, analizzando le situazioni di conflitto, intervenendo prima che le parti ricorrano alle armi, da protagonisti disarmati quanto competenti di processi di pace impensabili: in confronto a ciò, ricordare, come fa il cardinale Martino, la pace fra Argentina e Cile di trent’anni fa, permessa dalla diplomazia vaticana (una pace fra paesi e governi cattolici) immalinconisce più che esaltare.
“Pensare” la pace aiuta anche a capire come, quando e perché possa apparire inevitabile il ricorso alla guerra: un evento che il vigente catechismo accetta come extrema ratio, ma che non nega a priori, come fa un odierno irenismo privo di concretezza. Il problema è che non c’è molto tempo a disposizione: se vi fosse una grande guerra regionale in Medio Oriente, in un teatro bellico che si estendesse dal Mediterraneo, attraverso Irak, Iran e Afghanistan, sino al Pakistan e all’India, quale autorevolezza, potrebbe avere un intervento diplomatico della Chiesa cattolica? È questa la domanda alla quale è urgente trovare una risposta che non miri principalmente a salvare le nostre coscienze ma il mondo intero.


Tempi - Delitto, castigo e conversione - di Luigi Amicone
«Cosa c’è di nuovo nella mia vita? La consapevolezza di aver fatto del male. E un’umanità incredibile che mi ha aperto un mondo davanti: la fede». Intervista a Rosario Giugliano, camorrista redento

Giugno 1996. In un certo ufficio milanese squilla il telefono. Dall’altra parte della cornetta c’è un politico importante. Che domanda: «Sempronio?». «Sempronio». «Sono Roberto Formigoni».
«Bè, ci conosciamo. Qual buon vento?». «Mi sono impegnato a realizzare un certo intervento sulle carceri. Un ente della Regione che ha già fatto esperienze pilota nel campo del reinserimento sociale dei detenuti ci ha presentato un bel progetto. Stiamo parlando di ergastolani. Non è che vuoi darci una mano?». «Anche due. Basta che non sia volontariato». Detto fatto. A partire dal luglio 1996 fino alla primavera dell’anno successivo, Sempronio affiancherà per quasi un anno il progetto dell’ente lombardo come “professore di cultura generale” presso le sezioni a elevato indice di sorveglianza del carcere di Voghera. Mentre l’iniziativa della Regione Lombardia interessa tutti i detenuti, le lezioni di “cultura generale” sono proposte solo agli ospiti del “braccio di massima sicurezza” e si svolgono nella cosiddetta “aula di socialità”. L’aula è una stanza di una cinquantina di metri quadrati, con una massiccia porta chiusa dall’esterno e sorvegliata a vista da due guardie. Le lezioni si tengono con cadenza settimanale e secondo orari prefissati. Inizialmente le classi sono tre. Quella dei napoletani, camorra, più un paio di ergastolani generici e il raffinato gangster Bruno Turci. Quella dei siciliani, mafia. La terza è decisamente la più composita. Si va dal turco condannato per commercio e spaccio internazionale di droga al brigatista, ultimo arrivato dopo che per tredici anni aveva rimosso il passato, si era dimenticato i processi in contumacia, si era sposato in Francia, aveva avuto due figli, era diventato manager di una multinazionale, era finito nelle maglie della giustizia, intercettato da uno zelante poliziotto italiano al controllo passaporti dell’aereoporto di Malpensa, area tran-siti internazionali. C’è l’ergastolano della banda del Brenta e il nerissimo Mario Tuti, Giovanni Goddi, sardo condannato per sequestro di persona, e Nino Marano, siculo tutto nervi, incazzoso e che una cronaca giudiziaria ansiosa di stereotipi ha già marchiato come “killer delle carceri”. Da questi tre gruppi, le autorità del penitenziario decidono di estrarre una sola classe. Quella che verrà riempita di libri di don Luigi Giussani, letture leopardiane, film tipo Dio ha bisogno degli uomini, discussioni memorabili che svariano dalla politica al teatro. E chilometriche passeggiate su e giù dalla stanza di cosiddetta “socialità”. Dopodiché, passato il ’97, i contatti tra l’amico di Formigoni e questo gruppo di detenuti diventano quasi esclusivamente epistolari. Ma almeno con una mezza dozzina di carcerati occasione di stringente amicizia. E amicizia non generica, ma cristiana. O come la prese a definire Bruno Turci, sempre immancabilmente citando don Giussani, in ogni chiusa delle sue missive, la “Invincibile Compagnia”.
Rosario Giugliano non fa parte di questo gruppo originario. Rosario, come in una catena di sant’Antonio di incontri, conoscerà più tardi, a metà degli anni Duemila, uno di quegli uomini che un giorno aveva fatto capolino in “socialità”, casualmente scampando (proprio come succede in ogni regime carcerario imperfetto) al 41 bis a cui era stato fatto obbligo di sottostare, non sappiamo per quanti anni, ma certamente sulla base di una motivata relazione stilata dalla Procura Antimafia. Corretto l’errore e riconsegnato al 41 bis, l’uomo dovette aver rimuginato qualcosa di quelle conversazioni a cui aveva partecipato nelle sue prime e uniche 48 ore di socializzazione. Conversazioni che, secondo la fonte informata di Tempi, non raramente incrociavano il problema “Gesù Cristo” e la proposta cristiana così come emergeva nei testi di don Giussani. Così l’uomo cominciò a scrivere agli amici e finì con l’intessere un fitto scambio di corrispondenza con persone di Comunione e Liberazione. È grazie a lui, grazie alla “Scuola di comunità” in carcere, che Rosario Giugliano è diventato uno del giro di quel gruppetto di Voghera, nel frattempo trasferito e disperso nelle più disparate sedi detentive italiane. Gruppetto, dice a Tempi una persona informata dei fatti, i cui principali artefici e animatori furono Bruno Turci e Mario Tuti.
Rosario Giugliano si trova attualmente in carcere. Questa intervista è stata realizzata per via epistolare.
Innanzitutto, ricordiamo ai lettori chi sei, perché sei in carcere, quanti anni hai scontato e quanti te ne restano da scontare.
Sono Rosario Giugliano, campano, ho fatto parte per moltissimi anni della criminalità organizzata (nello specifico, della camorra del clan Alfieri-Galasso), ma grazie a Dio dal 1995 me ne sono allontanato dissociandomi. Sono in carcere per 416 bis e diversi omicidi (guerra tra opposti clan), in totale ho scontato ad oggi 29 anni di carcere. Una prima carcerazione di 11 anni e 8 mesi (settembre 1977-maggio 1989) e poi l’attuale, per la quale sono detenuto dal 22 aprile 1991. Per quest’ultima sto scontando l’ergastolo.

Perché hai accettato di parlare con Tempi?
Ho accettato di parlare con Tempi perché da un po’ di anni a questa parte il mio percorso di vita si è molto avvicinato a Gesù. Questo mi ha dato l’opportunità di entrare in contatto con alcuni amici di Comunione e Liberazione, attraverso i quali ho iniziato a leggere Tempi e ho trovato che è molto vicino al mio modo di essere.
Cos’è la camorra? E cosa vuol dire esserne un affiliato?
La camorra è tante cose, ma è soprattutto un rappresentante laddove lo Stato non esercita il proprio ruolo. Esserne un affiliato vuol dire non sentirsi più emarginati, perché ti dà l’illusione di essere forte e rispettato.
Dall’epoca in cui tu eri coinvolto nella camorra è cambiato qualcosa nel modo di ragionare, agire, presidiare il territorio da parte di quella organizzazione criminale?
Premesso che sono tanti anni che non sono più a conoscenza delle dinamiche criminali, quindi questa è un’opinione che mi sono fatto anche attraverso gli organi di informazione, secondo me l’avvento delle droghe ha modificato radicalmente il modo di pensare. Visto che circolano fiumi di soldi, quindi, è più potente e feroce, ma il dato più sconvolgente è il coinvolgimento dei giovanissimi, i quali pur di arrivare ai soldi non si pongono nessun ostacolo.


Quali sono i principali clan ancora attivi, e su quante “milizie” possono contare?
Per ovvi motivi (lunghissima carcerazione), non so quali siano i clan attivi, ma di una cosa sono certo: finché lo Stato non affronterà il fenomeno con serie politiche sociali, l’esercito del male non conoscerà mai crisi. body {margin: 1em;background-color: #fff;} th {text-align: left;color: #006;border-bottom: 1px solid #ccc;} tr.odd {background-color: #ddd;} tr.even {background-color: #fff;} td {padding: 5px;} #menu {visibility: hidden;} #main {margin: 1em;} a:link {color: #000;} a:visited {color: #000;} a:hover {color: #00f} a:link img, a:visited img {border:0} .print-footnote {font-size:small;} .print-logo {border:0;} .print-site_name {} .print-title {font-size:200%;font-weight: bold;margin:0.67em 0 0.67em 0} .print-submitted {} .print-created {} .print-content {} .print-hr {border:0;height:1px;width:100%;color:#9E9E9E;background-color:#9E9E9E;} .print-source_url {} .print-links {font-size:small;} .print-footer {}
Perché un ragazzo finisce in un clan? Perché ci resta?
Lo so che non dirò nulla di nuovo, ma la causa principale rimane il contesto sociale in cui si vive. Che in Campania vuol dire innanzitutto un tasso di disoccupazione spaventoso, quindi genitori che fanno fatica a garantire ai propri figli anche il minimo indispensabile; poi significa mancanza di qualsivoglia struttura sociale di aggregazione: scuole, centri sportivi, biblioteche, sale cinema eccetera. Quando tutto questo manca e il solo riferimento che ti rimane è il malavitoso del quartiere, non è difficile stabilire perché si finisce nelle grinfie dei clan. Con i quali, una volta compromessi (commissione di reati), diventa difficile, e pericoloso, poterne uscire.

Quanto pesano, secondo te, nella lotta alla criminalità organizzata, le idee e le personalità che in Italia incarnano le “mani pulite”, le manifestazioni anticamorra, le petizioni e, più in generale, la mobilitazione e gli appelli dei media?
Secondo me ogni iniziativa che parla di questi temi è meritoria, ma quella su cui bisognerebbe investire di più è senza dubbio alcuno la scuola, perché solo attraverso programmi di educazione si può realmente pensare ad un domani con una generazione più consapevole e che sappia distinguere il bene dal male.

Clan e politica. Per chi vota la camorra?
Io non so oggi qual è la situazione, ma per quella che è stata la mia passata esperienza criminale posso dire che alla camorra non interessava il colore politico, basta guardare gli atti delle inchieste che in passato hanno riguardato il clan Alfieri-Galasso (così come le audizioni parlamentari rese dallo stesso Galasso Pasquale) per rendersi conto che c’entrava poco il colore politico. La questione è appunto di uomini. Quindi, il politico di destra o sinistra che sia, il poliziotto, il magistrato, l’avvocato, l’imprenditore eccetera. L’importante per il clan è avere la disponibilità di questi soggetti. Il potere? Quando un’entità criminogena rappresenta delle aree della società, non si può dire che non sia forte. Poi la globalizzazione, come tutte le attività, riguarda anche il fenomeno criminale.

Hai letto Gomorra? Cosa ne pensi?
Ho letto Gomorra, e penso che in alcune cose che racconta ci sia enfatizzazione.

Come giudichi il “caso internazionale” che si è creato intorno a Roberto Saviano?
L’idea che mi sono fatto è che Saviano ha senz’altro il merito di avere acceso i riflettori su un fenomeno che è deleterio per l’intera Campania, però paradossalmente, allo stesso tempo, è anche un danno per quel territorio, perché insistere, personalizzando la questione, sta mitizzando il fenomeno.

Cosa c’è di nuovo nella tua vita?
C’è la consapevolezza di aver fatto del male. Poi, da quando è cessato il mio desiderio di supremazia, mi si è aperto davanti un incredibile mondo: la fede. Che attraverso l’umanità di chi la possiede è per me un incredibile arricchimento.

Cosa resta da vedere e da fare a un uomo che ha trascorso la giovinezza nella vita criminale, l’età adulta in prigione e oggi, a 48 anni, vede ancora il mondo da dietro le sbarre?
Semplicemente, vorrei vedere mia madre, ammalata, ancora in vita da uomo libero (purtroppo questo non è stato possibile per papà, scomparso tre anni fa). Ed essendo un inguaribile ottimista-sognatore, spero si creino le condizioni e mi sia data la possibilità di dimostrare che il Giugliano di oggi è un’altra persona. Augurandomi anche di conoscere una donna (affettivamente credo di poter dare ancora moltissimo) che non abbia pregiudizi, e abbia voglia di fare un percorso di vita assieme, magari mettendo su un progetto di famiglia per veder crescere dei figli.

C’è un compito, una responsabilità, che oggi ti senti addosso in modo particolare?
Mi sento addosso tutto il peso e la responsabilità di aver provocato patimento a molte persone (soprattutto ai parenti delle vittime). Comportamento che ha condizionato anche l’intera esistenza dei miei familiari. Invece il mio proposito, se Dio vuole, è quello di potermi spendere in favore dei ragazzi che vivono nei quartieri difficili, affinché non intraprendano la strada a cui mi accostai io all’età di quattordici anni.