giovedì 5 febbraio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) "Eluana non voleva morire" - Lettera aperta di Pietro Crisafulli - La redazione di Tgcom ha ricevuto questa lettera da Pietro Crisafulli (fratello di Salvatore che nel 2005 si risvegliò dopo due anni di stato vegetativo nel quale era caduto dopo un grave incidente stradale) e ha deciso di pubblicarla integralmente
2) Catechesi di Benedetto XVI sulla morte e l'eredità di San Paolo - CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 4 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi pronunciata questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale svoltasi nell'aula Paolo VI.
3) Il Papa chiede a Williamson di ritrattare le sue dichiarazioni sulla Shoah - Il Pontefice non era al corrente delle sue opinioni, spiega una Nota della Segreteria di Stato
4) 05/02/2009 08:56 – TURCHIA - Un nuovo sospetto nell’uccisione dei 3 cristiani sgozzati a Malatya - Si tratterebbe del capo dell’organizzazione ultranazionalista, che avrebbe programmato l’esecuzione. Cinque rischiano l’ergastolo, altri 2 solo un anno di prigione.
5) AMARE QUESTA CHIESA INFANGATA… 04.02.2009 – due articoli di Antonio Socci
6) Sistemi automatici di apprendimento e metodo scientifico - Bacone e Popper messi d'accordo da un robot - di Ernesto D'Avanzo – L’Osservatore Romano, 5 febbraio 2009
7) Indù devastano una scuola cattolica nel Madhya Pradesh – L’Osservatore Romano, 5 febbraio 2009
8) Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli sul contributo dei filosofi ellenistici all'operato della Chiesa - Il pensiero greco e le radici cristiane dell'Europa – L’Osservatore Romano, 5 febbraio 2009
9) 05/02/2009 7.54.01 – Radio Vaticana - Medio Oriente. L’ONU accusa Hamas di avere sottratto gli aiuti umanitari
10) ELUANA/ Il diritto e l’ipocrisia - Mario Brusa - giovedì 5 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
11) ELUANA/ 1. Caro Beppino, nella tua situazione noi abbiamo scelto per la vita - Redazione - giovedì 5 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
12) ELUANA/ 2. L’anestesista: da laico dico che staccare il sondino è una scelta tragica - INT. Antonio Pesenti - giovedì 5 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
13) STRATEGIE/ Se vogliamo più equità diamo più “potere” alle famiglie - Luca Pesenti - giovedì 5 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
14) Il prof. Gattinoni denuncia: ''Eluana morirà tra sofferenze atroci'' – UCCIDONO ELUANA NEL MODO PIU' ATROCE - DUE SETTIMANE DI AGONIA – di Rita Balestriero, Il Giornale, 4 febbraio 2009
15) Eluana, se questa è una donna che va portata a morire - Lucia Bellaspiga, Avvenire, 3 febbraio 2009
16) CHE STRANI MEDICI - QUEL VOLTO NASCOSTO EPPURE CONTURBANTE - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 5 febbraio 2009
17) PER LA FISIOPATOLOGIA PIÙ INFORMATA ELUANA È VIVA - In nessun centro del mondo sarebbe dichiarata morta - ROBERTO COLOMBO – Avvenire, 5 febbraio 2009
18) La religiosa che dirige la casa di cura di Lecco rompe il silenzio. Racconta i giorni intensi trascorsi accanto alla donna che è stata accudita come una figlia. E il dolore per il distacco forzato e repentino - TESTIMONI E AMICHE - «Guardatela, vi accorgerete che vive» - L’appello di suor Albina ai medici di Udine. Gli ultimi istanti con Eluana - DAL NOSTRO INVIATO A LECCO - PAOLO LAMBRUSCHI – Avvenire, 5 febbraio 2009
19) Il «cammino del morire», che bugia – di Michele Aramini – Avvenire, 5 febbraio 2009


"Eluana non voleva morire" - Lettera aperta di Pietro Crisafulli - La redazione di Tgcom ha ricevuto questa lettera da Pietro Crisafulli (fratello di Salvatore che nel 2005 si risvegliò dopo due anni di stato vegetativo nel quale era caduto dopo un grave incidente stradale) e ha deciso di pubblicarla integralmente:
"Le bugie del padre Beppino"
In questi giorni di passione e sofferenza, nei quali stiamo seguendo con trepidazione il "viaggio della morte" di Eluana Englaro, non posso restare in silenzio di fronte a un evento così drammatico.

Era il maggio del 2005 quando per la prima volta ho conosciuto Beppino Englaro. Eravamo entrambi invitati alla trasmissione "Porta a Porta". Da quel giorno siamo rimasti in contatto ed amici, ci siamo scambiati anche i numeri di telefono, per sentirci, parlare, condividere opinioni. Nel marzo del 2006 andai in Lombardia, a casa di Englaro, in compagnia di un conoscente (la foto in alto a destra lo testimonia, ndr).

Dopo l'appello a Welby da parte di Salvatore, Beppino capì che noi eravamo per la vita. Da quel momento le strade si divisero.

All'epoca anch'io ero favorevole all'eutanasia. Facemmo anche diverse foto insieme, e visitai la città di Lecco. Nella circostanza Beppino Englaro mi fece diverse confidenze, tra le quali che i rappresentanti nazionali del Partito Radicali erano suoi amici. Ma soprattutto, mentre eravamo a cena in un ristorante, in una piazza di Lecco, ammise una triste e drammatica verità.
Beppino Englaro si confidò a tal punto da confessarmi, in presenza di altre persone, che 'non era vero niente che sua figlia avrebbe detto che, nel caso si fosse ridotta un vegetale, avrebbe voluto morire'. In effetti, Beppino, nella sua lunga confessione mi disse che alla fine, si era inventato tutto perché non ce la faceva più a vederla ridotta in quelle condizioni. Che non era più in grado di sopportare la sofferenza e che in tutti questi anni non aveva mai visto miglioramenti. Entro' anche nel dettaglio spiegandomi che i danni celebrali erano gravissimi e che l'unica soluzione ERA FARLA MORIRE e che proprio per il suo caso, voleva combattere fino in fondo in modo che fosse fatta una legge, proprio inerente al testamento biologico.

In quella circostanza anch'io ero favorevole all'eutanasia e gli risposi che l'unica soluzione poteva essere quella di portarla all'estero per farla morire, in Italia era impossibile in quanto avevamo il Vaticano che si opponeva fermamente.

Ma lui sembrava deciso, ostinato e insisteva per arrivare alla soluzione del testamento biologico, perché era convinto che con l'aiuto del partito dei Radicali ce l'avrebbe fatta. (...)

Questa è pura verita'. Tutta la verita'. Sono fatti reali che ho tenuto nascosto tutti questi anni nei quali comunque io e i miei familiari, vivendo giorno dopo giorno accanto a Salvatore, abbiamo fatto un percorso interiore e spirituale. Anni in cui abbiamo perso la voce a combattere, insieme a Salvatore, a cercare di dare una speranza a chi invece vuol vivere, vuol sperare e ha diritto a un'assistenza e cure adeguate. E non ci siamo mai fermati nonostante le immense difficoltà e momenti nei quali si perde tutto, anche le speranze.

E non ho mai reso pubbliche queste confidenze, anche perché dopo aver scritto personalmente a Beppino Englaro, a nome di tutta la mia famiglia, per chiedere in ginocchio di non far morire Eluana, di concedere a lei la grazia, fermare questa sua battaglia per la morte, pensavo che si fermasse, pensavo che la sua coscienza gli facesse cambiare idea. Ma invece no. Lui era troppo interessato a quella legge, a quell'epilogo drammatico. La conferma arriva, quando invece di rispondermi Beppino Englaro, rispose il Radicale Marco Cappato, offendendo il Cardinale Barragan, ma in particolare tutta la mia famiglia. Troverete tutto nel sito internet www.salvatorecrisafulli.it

Noi tutti siamo senza parole e crediamo che il caso di Eluana Englaro sia l'inizio di un periodo disastroso per chi come noi, ogni giorno, combatte per la vita, per la speranza.
Per poter smuovere lo stato positivamente in modo che si attivi concretamente per far vivere l'individuo, non per ucciderlo.

Vorrei anche precisare che dopo quegli incontri e totalmente dal Giugno del 2006, fino a oggi, io e Beppino Englaro non ci siamo più sentiti nemmeno per telefono, nonostante ci siamo incontrati varie volte in altri programmi televisivi"
Pietro Crisafulli
Preciso che sono in possesso anche di fotografie che attestano i nostri vari incontri.

Catania, 04 Febbraio 2009


Catechesi di Benedetto XVI sulla morte e l'eredità di San Paolo - CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 4 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi pronunciata questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale svoltasi nell'aula Paolo VI.
Nel discorso in lingua italiana, il Santo Padre, concludendo il ciclo di catechesi su San Paolo Apostolo, si è soffermato sulla sua morte ed eredità.


* * *
Cari fratelli e sorelle,
la serie delle nostre catechesi sulla figura di san Paolo è arrivata alla sua conclusione: vogliamo parlare oggi del termine della sua vita terrena. L'antica tradizione cristiana testimonia unanimemente che la morte di Paolo avvenne in conseguenza del martirio subito qui a Roma. Gli scritti del Nuovo Testamento non ci riportano il fatto. Gli Atti degli Apostoli terminano il loro racconto accennando alla condizione di prigionia dell'Apostolo, che poteva tuttavia accogliere tutti quelli che andavano da lui (cfr At 28,30-31). Solo nella seconda Lettera a Timoteo troviamo queste sue parole premonitrici: "Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele" (2 Tm 4,6; cfr Fil 2,17). Si usano qui due immagini, quella cultuale del sacrificio, che aveva usato già nella Lettera ai Filippesi interpretando il martirio come parte del sacrificio di Cristo, e quella marinaresca del mollare gli ormeggi: due immagini che insieme alludono discretamente all'evento della morte e di una morte cruenta.
La prima testimonianza esplicita sulla fine di san Paolo ci viene dalla metà degli anni 90 del secolo I, quindi poco più di tre decenni dopo la sua morte effettiva. Si tratta precisamente della Lettera che la Chiesa di Roma, con il suo Vescovo Clemente I, scrisse alla Chiesa di Corinto. In quel testo epistolare si invita a tenere davanti agli occhi l'esempio degli Apostoli, e, subito dopo aver menzionato il martirio di Pietro, si legge così: "Per la gelosia e la discordia Paolo fu obbligato a mostrarci come si consegue il premio della pazienza. Arrestato sette volte, esiliato, lapidato, fu l'araldo di Cristo nell'Oriente e nell'Occidente, e per la sua fede si acquistò una gloria pura. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, e dopo essere giunto fino all'estremità dell'occidente, sostenne il martirio davanti ai governanti; così partì da questo mondo e raggiunse il luogo santo, divenuto con ciò il più grande modello di pazienza" (1 Clem 5,2). La pazienza di cui parla è espressione della sua comunione alla passione di Cristo, della generosità e costanza con la quale ha accettato un lungo cammino di sofferenza, così da poter dire: «Io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo» (Gal. 6,17). Abbiamo sentito nel testo di san Clemente che Paolo sarebbe arrivato fino all'«estremità dell'occidente». Si discute se questo sia un accenno a un viaggio in Spagna che san Paolo avrebbe fatto. Non esiste certezza su questo, ma è vero che san Paolo nella sua Lettera ai Romani esprime la sua intenzione di andare in Spagna (cfr Rm 15,24).
Molto interessante invece è nella lettera di Clemente il succedersi dei due nomi di Pietro e di Paolo, anche se essi verranno invertiti nella testimonianza di Eusebio di Cesarea del secolo IV, che parlando dell'imperatore Nerone scriverà: "Durante il suo regno Paolo fu decapitato proprio a Roma e Pietro vi fu crocifisso. Il racconto è confermato dal nome di Pietro e di Paolo, che è ancor oggi conservato sui loro sepolcri in quella città" (Hist. eccl. 2,25,5). Eusebio poi continua riportando l’antecedente dichiarazione di un presbitero romano di nome Gaio, risalente agli inizi del secolo II: "Io ti posso mostrare i trofei degli apostoli: se andrai al Vaticano o sulla Via Ostiense, vi troverai i trofei dei fondatori della Chiesa" (ibid. 2,25,6-7). I "trofei" sono i monumenti sepolcrali, e si tratta delle stesse sepolture di Pietro e di Paolo, che ancora oggi noi veneriamo dopo due millenni negli stessi luoghi: sia qui in Vaticano per quanto riguarda san Pietro, sia nella Basilica di san Paolo Fuori le Mura sulla Via Ostiense per quanto riguarda l'Apostolo delle genti.
È interessante rilevare che i due grandi Apostoli sono menzionati insieme. Anche se nessuna fonte antica parla di un loro contemporaneo ministero a Roma, la successiva coscienza cristiana, sulla base del loro comune seppellimento nella capitale dell'impero, li assocerà anche come fondatori della Chiesa di Roma. Così infatti si legge in Ireneo di Lione, verso la fine del II secolo, a proposito della successione apostolica nelle varie Chiese: "Poiché sarebbe troppo lungo enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo" (Adv. haer. 3,3,2).
Lasciamo però da parte adesso la figura di Pietro e concentriamoci su quella di Paolo. Il suo martirio viene raccontato per la prima volta dagli Atti di Paolo, scritti verso la fine del II secolo. Essi riferiscono che Nerone lo condannò a morte per decapitazione, eseguita subito dopo (cfr 9,5). La data della morte varia già nelle fonti antiche, che la pongono tra la persecuzione scatenata da Nerone stesso dopo l’incendio di Roma nel luglio del 64 e l’ultimo anno del suo regno, cioè il 68 (cfr Gerolamo, De viris ill. 5,8). Il calcolo dipende molto dalla cronologia dell’arrivo di Paolo a Roma, una discussione nella quale non possiamo qui entrare. Tradizioni successive preciseranno due altri elementi. L’uno, il più leggendario, è che il martirio avvenne alle Acquae Salviae, sulla Via Laurentina, con un triplice rimbalzo della testa, ognuno dei quali causò l'uscita di un fiotto d'acqua, per cui il luogo fu detto fino ad oggi "Tre Fontane" (Atti di Pietro e Paolo dello Pseudo Marcello, del secolo V). L’altro, in consonanza con l'antica testimonianza, già menzionata, del presbitero Gaio, è che la sua sepoltura avvenne non solo "fuori della città... al secondo miglio sulla Via Ostiense", ma più precisamente "nel podere di Lucina", che era una matrona cristiana (Passione di Paolo dello Pseudo Abdia, del secolo VI). Qui, nel secolo IV, l’imperatore Costantino eresse una prima chiesa, poi grandemente ampliata tra secolo IV e V dagli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio. Dopo l’incendio del 1800, fu qui eretta l’attuale basilica di San Paolo fuori le Mura.
In ogni caso, la figura di san Paolo grandeggia ben al di là della sua vita terrena e della sua morte; egli infatti ha lasciato una straordinaria eredità spirituale. Anch’egli, come vero discepolo di Gesù, divenne segno di contraddizione. Mentre tra i cosiddetti "ebioniti" – una corrente giudeo-cristiana – era considerato come apostata dalla legge mosaica, già nel libro degli Atti degli Apostoli appare una grande venerazione verso l’Apostolo Paolo. Vorrei prescindere ora dalla letteratura apocrifa, come gli Atti di Paolo e Tecla e un epistolario apocrifo tra l’Apostolo Paolo e il filosofo Seneca. Importante è constatare soprattutto che ben presto le Lettere di san Paolo entrano nella liturgia, dove la struttura profeta-apostolo-Vangelo è determinante per la forma della liturgia della Parola. Così, grazie a questa "presenza" nella liturgia della Chiesa, il pensiero dell’Apostolo diventa da subito nutrimento spirituale dei fedeli di tutti i tempi.
E’ ovvio che i Padri della Chiesa e poi tutti i teologi si sono nutriti delle Lettere di san Paolo e della sua spiritualità. Egli è così rimasto nei secoli, fino ad oggi, il vero maestro e apostolo delle genti. Il primo commento patristico, a noi pervenuto, su uno scritto del Nuovo Testamento è quello del grande teologo alessandrino Origene, che commenta la Lettera di Paolo ai Romani. Tale commento purtroppo è conservato solo in parte. San Giovanni Crisostomo, oltre a commentare le sue Lettere, ha scritto di lui sette Panegirici memorabili. Sant'Agostino dovrà a lui il passo decisivo della propria conversione, e a Paolo egli ritornerà durante tutta la sua vita. Da questo dialogo permanente con l’Apostolo deriva la sua grande teologia cattolica e anche per quella protestante di tutti i tempi. San Tommaso d’Aquino ci ha lasciato un bel commento alle Lettere paoline, che rappresenta il frutto più maturo dell'esegesi medioevale. Una vera svolta si verificò nel secolo XVI con la Riforma protestante. Il momento decisivo nella vita di Lutero fu il cosiddetto «Turmerlebnis», (1517) nel quale in un attimo egli trovò una nuova interpretazione della dottrina paolina della giustificazione. Una interpretazione che lo liberò dagli scrupoli e dalle ansie della sua vita precedente e gli diede una nuova, radicale fiducia nella bontà di Dio che perdona tutto senza condizione. Da quel momento Lutero identificò il legalismo giudeo-cristiano, condannato dall'Apostolo, con l'ordine di vita della Chiesa cattolica. E la Chiesa gli apparve quindi come espressione della schiavitù della legge alla quale oppose la libertà del Vangelo. Il Concilio di Trento, dal 1545 al 1563, interpretò in modo profondo la questione della giustificazione e trovò nella linea di tutta la tradizione cattolica la sintesi tra legge e Vangelo, in conformità col messaggio della Sacra Scrittura letta nella sua totalità e unità.
Il secolo XIX, raccogliendo l’eredità migliore dell'Illuminismo, conobbe una nuova reviviscenza del paolinismo adesso soprattutto sul piano del lavoro scientifico sviluppato dall'interpretazione storico-critica della Sacra Scrittura. Prescindiamo qui dal fatto che anche in quel secolo, come poi nel secolo ventesimo, emerse una vera e propria denigrazione di san Paolo. Penso soprattutto a Nietsche che derideva la teologia dell'umiltà di san Paolo, opponendo ad essa la sua teologia dell'uomo forte e potente. Però prescindiamo da questo e vediamo la corrente essenziale della nuova interpretazione scientifica della Sacra Scrittura e del nuovo paolinismo di tale secolo. Qui è stato sottolineato soprattutto come centrale nel pensiero paolino il concetto di libertà: in esso è stato visto il cuore del pensiero paolino, come del resto aveva già intuito Lutero. Ora però il concetto di libertà veniva reinterpretato nel contesto del liberalismo moderno. E poi è sottolineata fortemente la differenziazione tra l'annuncio di san Paolo e l'annuncio di Gesù. E san Paolo appare quasi come un nuovo fondatore del cristianesimo. Vero è che in san Paolo la centralità del Regno di Dio, determinante per l'annuncio di Gesù, viene trasformata nella centralità della cristologia, il cui punto determinante è il mistero pasquale. E dal mistero pasquale risultano i Sacramenti del Battesimo e dell'Eucaristia, come presenza permanente di questo mistero, dal quale cresce il Corpo di Cristo, si costruisce la Chiesa. Ma direi, senza entrare adesso in dettagli, che proprio nella nuova centralità della cristologia e del mistero pasquale si realizza il Regno di Dio, diventa concreto, presente, operante l'annuncio autentico di Gesù. Abbiamo visto nelle catechesi precedenti che proprio questa novità paolina è la fedeltà più profonda all'annuncio di Gesù. Nel progresso dell'esegesi, soprattutto negli ultimi duecento anni, crescono anche le convergenze tra esegesi cattolica ed esegesi protestante realizzando così un notevole consenso proprio nel punto che fu all’origine del massimo dissenso storico. Quindi una grande speranza per la causa dell'ecumenismo, così centrale per il Concilio Vaticano II.
Brevemente vorrei alla fine ancora accennare ai vari movimenti religiosi, sorti in età moderna all’interno della Chiesa cattolica, che si rifanno al nome di san Paolo. Così è avvenuto nel secolo XVI con la "Congregazione di san Paolo" detta dei Barnabiti, nel secolo XIX con i "Missionari di san Paolo" o Paulisti, e nel secolo XX con la poliedrica "Famiglia Paolina" fondata dal Beato Giacomo Alberione, per non dire dell'Istituto Secolare della "Compagnia di san Paolo". In buona sostanza, resta luminosa davanti a noi la figura di un apostolo e di un pensatore cristiano estremamente fecondo e profondo, dal cui accostamento ciascuno può trarre giovamento. In uno dei suoi panegirici, San Giovanni Crisostomo instaurò un originale paragone tra Paolo e Noè, esprimendosi così: Paolo "non mise insieme delle assi per fabbricare un'arca; piuttosto, invece di unire delle tavole di legno, compose delle lettere e così strappò di mezzo ai flutti, non due, tre o cinque membri della propria famiglia, ma l'intera ecumene che era sul punto di perire" (Paneg. 1,5). Proprio questo può ancora e sempre fare l’apostolo Paolo. Attingere a lui, tanto al suo esempio apostolico quanto alla sua dottrina, sarà quindi uno stimolo, se non una garanzia, per il consolidamento dell’identità cristiana di ciascuno di noi e per il ringiovanimento dell’intera Chiesa.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Seminaristi della diocesi di La Spezia-Sarzana-Brugnato, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Francesco Moraglia, e quelli del Seminario Interdiocesano della Basilicata. Cari amici, vi esorto a fondare la vostra vita sulla salda roccia della Parola di Dio, per esserne coraggiosi annunciatori agli uomini del nostro tempo. Saluto le Missionarie Catechiste del Sacro Cuore, che celebrano il centenario di fondazione del loro Istituto, ed assicuro un ricordo speciale nella preghiera perché possano rispondere con generosità alla chiamata del Signore.
Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Ricorre in questi giorni la memoria liturgica di alcuni martiri, san Biagio, sant’Agata e san Paolo Miki e compagni giapponesi. Il coraggio di questi intrepidi testimoni di Cristo aiuti voi, cari giovani, ad aprire il cuore all’eroismo della santità; sostenga voi, cari malati, ad offrire il dono prezioso della preghiera e della sofferenza per la Chiesa; e dia a voi, cari sposi novelli, la forza di improntare le vostre famiglie ai perenni valori cristiani.

[APPELLO DEL SANTO PADRE]
Continua a destare preoccupazione la situazione nello Sri Lanka.
Le notizie dell'incrudelirsi del conflitto e del crescente numero di vittime innocenti mi inducono a rivolgere un pressante appello ai combattenti affinché rispettino il diritto umanitario e la libertà di movimento della popolazione, facciano il possibile per garantire l'assistenza ai feriti e la sicurezza dei civili e consentano il soddisfacimento delle loro urgenti necessità alimentari e mediche.
La Vergine Santa di Madhu, molto venerata dai cattolici e anche dagli appartenenti ad altre religioni, affretti il giorno della pace e della riconciliazione in quel caro Paese.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]


Il Papa chiede a Williamson di ritrattare le sue dichiarazioni sulla Shoah - Il Pontefice non era al corrente delle sue opinioni, spiega una Nota della Segreteria di Stato
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 4 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Le posizioni del Vescovo Williamson sulla Shoah erano "non conosciute dal Santo Padre nel momento della remissione della scomunica", e per questo il presule dovrà "prendere in modo assolutamente inequivocabile e pubblico le distanze" da queste dichiarazioni "per una ammissione a funzioni episcopali nella Chiesa".
Lo afferma una Nota della Segreteria di Stato vaticana, resa pubblica questo mercoledì, in cui si spiega che la remissione della scomunica ai quattro Vescovi ordinati da monsignor Lefebvre nel 1988 non presuppone la loro riabilitazione nel ministero.
La Segreteria ha ritenuto opportuno emettere la Nota "a seguito delle reazioni suscitate" dalla remissione della scomunica ai quattro presuli della Fraternità San Pio X "e in relazione alle dichiarazioni negazioniste o riduzioniste della Shoah da parte del Vescovo Williamson della medesima Fraternità".
Il documento consta di tre paragrafi in cui si spiegano motivi della remissione, la situazione dei presuli nella Chiesa e la questione delle dichiarazioni del Vescovo Williamson sull'Olocausto.
Circa il primo aspetto, si osserva che il Papa con questo gesto "ha voluto togliere un impedimento che pregiudicava l'apertura di una porta al dialogo" dopo lo scisma.
"Egli ora si attende che uguale disponibilità venga espressa dai quattro Vescovi in totale adesione alla dottrina e alla disciplina della Chiesa".
Riguardo la seconda questione, la Segreteria di Stato osserva che la remissione della scomunica "ha liberato i quattro Vescovi da una pena canonica gravissima, ma non ha cambiato la situazione giuridica della Fraternità San Pio X, che, al momento attuale, non gode di alcun riconoscimento canonico nella Chiesa Cattolica".
"Anche i quattro Vescovi, benché sciolti dalla scomunica, non hanno una funzione canonica nella Chiesa e non esercitano lecitamente un ministero in essa", sottolinea.
Perché avvenga questo riconoscimento, dichiara la Nota, è "condizione indispensabile" il "pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI".
Shoah
Quanto alle dichiarazioni oggetto della polemica, "assolutamente inaccettabili e fermamente rifiutate dal Santo Padre", la Nota sottolinea che erano "non conosciute dal Santo Padre nel momento della remissione della scomunica".
"Il Vescovo Williamson, per una ammissione a funzioni episcopali nella Chiesa dovrà anche prendere in modo assolutamente inequivocabile e pubblico le distanze dalle sue posizioni riguardanti la Shoah", aggiunge il testo.
Il Papa, constata, ha già chiarito la sua posizione nei confronti dell'Olocausto il 28 gennaio, "quando, riferendosi a quell'efferato genocidio, ha ribadito la Sua piena e indiscutibile solidarietà con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza".
Il Pontefice, conclude la Nota, "chiede l'accompagnamento della preghiera di tutti i fedeli, affinché il Signore illumini il cammino della Chiesa. Cresca l'impegno dei Pastori e di tutti i fedeli a sostegno della delicata e gravosa missione del Successore dell'Apostolo Pietro quale 'custode dell'unità' nella Chiesa".


05/02/2009 08:56 – TURCHIA - Un nuovo sospetto nell’uccisione dei 3 cristiani sgozzati a Malatya - Si tratterebbe del capo dell’organizzazione ultranazionalista, che avrebbe programmato l’esecuzione. Cinque rischiano l’ergastolo, altri 2 solo un anno di prigione.
Ankara (AsiaNews/Agenzie) Un tribunale turco ha accusato un nuovo sospetto nell’assassinio di tre cristiani avvenuto a Malatya, nell’est del paese, nel 2007. Sette giovani sono già sotto processo per l’uccisione del missionario tedesco Tilmann Geske e per i due convertiti turchi Necati Aydin e Ugur Yuksel, avvenuta nella sede della casa editrice cristiana Zerve. I tre sono stati ritrovati sgozzati.
Il nuovo sospetto, Varol Bulent Aral, è stato accusato di essere “il leader di un’organizzazione terrorista” e “l’assassino di più di una persona come parte delle attività dell’organizzazione”.
Le accuse ad Aral come istigatore dell’esecuzione, provengono da uno del gruppo già in prigione. Cinque di loro sono andati alla casa editrice, che stampava bibbie in lingua turca, e con la scusa di voler parlare di cristianesimo li hanno dapprima legati e bendati, poi li hanno torturati e infine sgozzati. La casa editrice aveva ricevuto già forti minacce e i suoi dipendenti avevano chiesto protezione alla polizia.
Al processo, iniziato nel novembre 2007, il pubblico ministero ha incriminato gli accusati di aver costituito “un’organizzazione terrorista per imporre con la forza le loro convinzioni ideologiche sugli altri”. E ha chiesto l’ergastolo per 5 di loro. Gli altri due sospetti rischiano almeno un anno di prigione per aver aiutato gli uccisori.
Al tempo, diversi intellettuali turchi hanno incolpato dell’assassinio diversi media e politici turchi ultranbazionalisti che continuano a sottolineare il “pericolo cristiano” dovuto – secondo loro – all’enorme numero di convertiti dall’Islam. In realtà, secondo il Ministro degli Interni, dal 1999 al 2001, si sono fatti battezzare solo 344 musulmani, su una popolazione di oltre 70 milioni.


AMARE QUESTA CHIESA INFANGATA… 04.02.2009 – due articoli di Antonio Socci
Che spettacolo. Ogni giorno valanghe di fango, da quei cannoni che sono i mass media e i potenti di questo mondo, contro la Chiesa. Ogni giorno oltraggi, calunnie, dileggi. E lei, bella, dolce, inerme, indifesa che subisce cercando – come una madre premurosa – di proteggere i suoi figli più piccoli dallo scandalo continuo. Come si fa a non amare questa Chiesa, così vulnerabile, indifesa, così umanamente povera da rendere evidentissimo che è sorretta dalla presenza formidabile di un Altro. Altrimenti mai avrebbe potuto arrivare al XX secolo e abbracciare il mondo intero e continuare a far innamorare tanti cuori di quel volto. Del Salvatore. Lei, la Chiesa di Cristo, la Santa Chiesa, che ha subito fin dalla sua nascita le più feroci persecuzioni e che nel XX secolo ha dovuto sopportare il più oceanico macello della sua storia (45 milioni di credenti che hanno perduto la vita, in modo diretto o indiretto a causa della loro fede: dati provenienti da Oxford non dal Vaticano), lei che è stata perseguitata a tutte le latitudini, sotto tutti i regimi (da quello della Cina dei Boxers di inizio secolo, a quello massonico messicano, da quelli comunisti a quelli nazisti e fascisti fino a quelli pagani e a quelli islamici), lei che ha subìto il primo genocidio del Novecento, quello degli armeni. Ma non interessano a nessuno i morti cristiani, le suore rapite, i missionari uccisi i cristiani cacciati da tanti Paesi. E’ forse interessato a qualcuno il lungo genocidio consumatosi a Timor Est o quello ventennale del Sudan ad opera del regime jihadista contro i cristiani del Sud, con due milioni di morti, quattro milioni di profughi e centinaia di migliaia di donne e bambini catturati e venduti come schiavi al Nord? A nessuno. Se ne accorse il New York Times nel 1998.

Ma Gesù lo aveva detto: “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”, “hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”, “diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”, vi trascineranno davanti ai loro tribunali, vi tortureranno, vi metteranno a morte. Infatti non ci si è accontentati di macellare i cristiani: li si vuole anche infangati, disonorati. Anche quando loro – vittime di tutte le ideologie totalitarie – si sono presi cura, pressoché da soli, di altre vittime come i loro fratelli ebrei, anche quando il Papa Pio XII con migliaia di preti e suore, a rischio della loro stessa vita (vedi padre Kolbe), minacciati loro stessi di morte, hanno salvato centinaia di migliaia di poveri ebrei braccati da quell’ideologia pagana che già faceva strage di cattolici polacchi, anche dopo questa immensa e commovente impresa – che dopo la guerra fece sgorgare i più sinceri ringraziamenti dei maggiori esponenti del mondo ebraico e dei tanti salvati (anche esponenti politici avversi alla Chiesa) – anche dopo un evento del genere in cui la Chiesa pressoché da sola (come scrisse Albert Einstein) si oppose al Satana pagano hitleriano, anche dopo ciò alla Chiesa tocca l’onta dell’accusa di razzismo, ideologia biologista che è l’esatto opposto del cattolicesimo e che è nata proprio in odio al cristianesimo…

Ma questa sembra essere la sua sorte: la stessa di Gesù. L’odio del mondo. La mano assassina non è arrivata a colpire perfino il Papa stesso in piazza San Pietro? E già sul suo predecessore, Pio XII, non gravava un progetto di deportazione da parte dei nazisti? E un altro predecessore non era stato già deportato, 150 anni prima, da Napoleone?
Del resto perfino nella democrazie – se proprio non vogliamo ricordare il bagno di sangue cristiano che fu la Rivoluzione francese o le feroci persecuzioni della conquista piemontese (più di 60 vescovi italiani arrestati o esiliati, migliaia di frati e suore cacciati dai loro conventi e la Chiesa espropriata di tutto) – perfino nelle democrazie, dicevo, la Chiesa è odiata, perseguitata.

C’è qualcuno che ricordi come nella Inghilterra madre della democrazia (quella che proprio dalla Chiesa aveva imparato da democrazia con la Magna Charta) oggi, a 500 anni dalla svolta anglicana (imposta da un re tiranno) è ancora proibito a un cattolico diventare cancelliere? Blair ha dovuto aspettare, a dare la notizia della sua conversione, di aver perduto la carica. Pensate se vigesse un’analoga proibizione – che so – per gli atei o gli ebrei, o gli islamici…

E perfino negli Usa si è dovuto aspettare duecento anni perché un cattolico, nel 1960, diventasse presidente americano. E quante rassicurazioni dovette dare Kennedy, attaccato proprio in quanto cattolico che – come tale – non doveva andare alla Casa Bianca (in ogni caso fece subito una brutta fine e nessun cattolico più ci è tornato).

Ma, si sa, è proibito guardare la storia per quello che è. Sempre e solo sul banco degli accusati devono stare i cattolici. Ciononostante la Chiesa non fa mai vittimismo, non polemizza, non si perde in discussioni e controversie. Addirittura per volere di quel grandissimo Papa che è stato Giovanni Paolo II, che pure aveva provato sulla sua pelle sia la persecuzione nazista, che quella comunista e infine le pallottole di Ali Agca, arrivò quel gesto inaudito, stupendo che fu il grande “mea culpa” dell’Anno Santo: dalla Chiesa di Roma, che avrebbe avuto tutti i titoli, alla fine del Novecento, per puntare il dito su tutti i poteri e le ideologie del mondo che l’avevano straziata, venne questo struggente atto di umiltà, perché il mondo sapesse, capisse, che ai cristiani non interessa rivendicare meriti, né interessa aver ragione, ma – riconoscendosi peccatori, ultimi fra gli uomini e veramente indegni del dono che hanno avuto da Dio – a loro interessa solo indicare quel volto bellissimo che ci salva, in cui Dio si è fatto carne ed è venuto a salvarci.

Con il cui amore (cantato attraverso duemila anni di bellezza dagli artisti cristiani) hanno insegnato all’umanità a prendersi cura dei sofferenti, dei derelitti, coprendo il mondo di opere di carità e di ospedali. E ancora oggi, come sempre, la Chiesa quasi da sola, sentendo tutti gli uomini come suoi figli (anche coloro che la odiano), premurosamente fa sentire la sua voce contro l’immane massacro delle vite più indifese e innocenti (un miliardo in 40 anni), contro le risorgenti ideologie della morte, contro l’orrore della fame, dell’industria della guerra, contro l’odio che dilania i cuori e il mondo, contro tutte le violenze.

Ma ancora una volta la Chiesa è per questo vilipesa, oltraggiata, infangata, derisa (ora accusata falsamente di tacere, ora accusata dagli stessi di parlare: sempre in ogni caso odiata). Che spettacolo! Come si fa a non accorgersi che è veramente una cosa dell’altro mondo in questo mondo. E’ divina. Così la considerò uno dei suoi persecutori, arrivato alla fine della vita, nell’esilio di Sant’Elena, Napoleone Bonaparte: “Tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione c’è la distanza dell’infinito. Conosco gli uomini e vi dico che Gesù non è (solo) un uomo…”.

I pensieri del Bonaparte, riportati in “Conversazioni religiose” (Editori riuniti), sono di questo tenore: “Tutto di Gesù mi sorprende. Il suo spirito mi supera e la sua volontà mi confonde. Tra lui e qualsiasi altra persona al mondo non c’è possibilità di paragone. E’ veramente un essere a parte... E’ un mistero insondabile… Cerco invano nella storia qualcuno simile a Gesù Cristo o qualcuno che comunque si avvicini al Vangelo… Nel suo caso tutto è straordinario…. Anche gli empi non hanno mai osato negare la sublimità del Vangelo che ispira loro una specie di venerazione obbligata! Che gioia procura questo libro!”. “Dal primo giorno fino all’ultimo, egli è lo stesso, sempre lo stesso, maestoso e semplice, infinitamente severo e infinitamente dolce… Che parli o che agisca, Gesù è luminoso, immutabile, impassibile…”. “Gesù è il solo che abbia osato tanto. E’ il solo che abbia detto chiaramente e affermato senza esitazione egli stesso di sé: io sono Dio…”.

Napoleone constata il suo potere divino nei fatti storici: “Voi parlate di Cesare e di Alessandro, delle loro conquiste e dell’entusiasmo che seppero suscitare nel cuore dei soldati” osservava Napoleone “ma quanti anni è durato l’impero di Cesare? Per quanto tempo si è mantenuto l’entusiasmo dei soldati di Alessandro?”.

Invece per Cristo “è stata una guerra, un lungo combattimento durato trecento anni, cominciato dagli apostoli e proseguito dai loro successori e dall’onda delle generazioni cristiane. Dopo san Pietro i trentadue vescovi di Roma di Roma che gli sono succeduti sulla cattedra hanno, come lui, subito il martirio. Durante i tre secoli successivi, la cattedra romana fu un patibolo che procurava sicuramente la morte a chi vi veniva chiamato… In questa guerra tutti i re e tutte le forze della terra si trovano da una parte, mentre dall’altra non vedo nessun esercito, ma una misteriosa energia, alcuni uomini sparpagliati qua e là nelle varie parti del globo e che non avevano altro segno di fratellanza che una fede comune nel mistero della Croce… Potete concepire un morto che fa delle conquiste con un esercito fedele e del tutto devoto alla sua memoria? Potete concepire un fantasma che ha soldati senza paga, senza speranza per questo mondo e che ispira loro la perseveranza e la sopportazione di ogni genere di privazione?... Questa è la storia dell’invasione e della conquista del mondo da parte del cristianesimo… I popoli passano, i troni crollano e la chiesa rimane! Quale è, dunque, la forza che mantiene in piedi questa chiesa, assalita dall’oceano furioso della collera e dell’odio del mondo? Qual è il braccio, dopo diciotto secoli, che l’ha difesa dalle tante tempeste che hanno minacciato di inghiottirla?”

Antonio Socci
(Libero, 3 febbraio 2009)

SIAMO STATI ABBANDONATI?
Signor Direttore,
ho letto le sue considerazioni di questi giorni sulle vicende della Chiesa. E la ringrazio. Mi ha fatto pensare che un giorno don Luigi Giussani al ritorno da un pellegrinaggio a Nazaret e nei luoghi dove Gesù visse, ripensando, commosso, a quelle povere pietre, a quei buchi nel tufo che furono la casa dove il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, trascorse l’infanzia e la giovinezza, diceva: “Quello che ci si porta via da quei luoghi è il desiderio, lo struggimento, che la gente si accorga di quanto è accaduto. E invece quello che è accaduto sembra sia oggi possibile cancellarlo così come si cancella con un piede una lettera sulla sabbia, una lettera sulla sabbia del mondo. Ma questo avviene proprio perché ciò che è accaduto è una proposta alla libertà dell’uomo e perché sia chiaro che la potenza è di Dio”. (Luigi Giussani, “Sulle tracce di Cristo”).

Per questo commuove l’ennesima tempesta che è stata scatenata contro la Chiesa Cattolica. Perché essa, la nostra Madre bellissima coperta di fango (fango che talora noi suoi figli indegni, non lei, abbiamo meritato per i nostri peccati) sembra così fragile, senza difesa, come sembra fragilissima la storia di Gesù, tanto da poter essere spazzata via. Cosicché non si spiega, in termini umani, come faccia la fragilità inerme di questa storia ad aver attraversato duemila anni di feroci persecuzioni, di odio, di aggressioni, di infamie (e portando per duemila anni anche il peso dei nostri peccati e dei nostri tradimenti). Non si spiega, umanamente, come abbia fatto a investire noi, dopo duemila anni, questo stupore per il volto di Gesù che conquista i nostri cuori e il mondo. Oggi come allora. Esattamente come capitò a Giovanni e Andrea sul greto di quel fiume quando videro in faccia Gesù, per la prima volta, e il loro cuore sobbalzò. Il cristianesimo è questo stupore che passa di volto in volto, attraverso i millenni.

A volte noi stessi, cristiani, disperiamo che quel bambino così fragile in cui Dio si è manifestato a Betlemme, macellato poi, da adulto, a Gerusalemme, possa davvero vincere. E’ troppo bello per essere vero, diceva Sartre e così ripete pure il nostro scetticismo. Sembra così inerme davanti ai tutti i poteri del mondo e alle tenebre del Male. Sembrava così vulnerabile duemila anni fa davanti ai potenti, come sembra inerme e fragile la voce della Chiesa oggi davanti ai poteri di questa epoca.

Se guardiamo il mondo, il suo violento disfacimento, la sua ferocia, sembra che Lui sia stato sconfitto da tempo, sembra che non sia più presente, che tutto sia stato abbandonato da Dio, che corra verso la rovina. E allora, come la piccola Giovanna d’Arco del poema di Charles Péguy, ci viene lo struggimento di ricordare quando Lui era qui tra noi, Lui, potente e buono. E con questo struggimento pensiamo ai nostri fratelli ebrei che sono stati storicamente testimoni di Lui e a quei dodici che sono stati le fondamenta della Chiesa. Ecco cosa Péguy fa dire a Giovanna: “Ma voi, giudei, foste i suoi fratelli nella sua famiglia stessa. Fratelli della medesima stirpe. Su voi stessi egli versò delle lacrime uniche. Su voi stessi pianse su quella moltitudine. Voi avete visto il colore dei suoi occhi; avete udito il suono delle sue parole. Della medesima stirpe in eterno. Voi avete udito il suono stesso della sua voce. Come dei fratelli minori vi siete rifugiati nel calore, nel tepore del suo sguardo. Vi siete riparati, vi siete messi al coperto al riparo della bontà del suo sguardo. Di voi stessi ebbe pietà davanti a quella folla. Gesù, Gesù, ci sarai mai così presente? Se tu fossi qui, Dio, non andrebbe così, tuttavia. Le cose non sarebbero mai andate così”.

Ma ecco quello che, teneramente, come in visione, Madre Gervaise (la Madre Chiesa), risponde alla disperazione della piccola Giovanna. Ecco come dissolve le sue tenebre: non con una sapienza umana, né con discorsi o poteri umani, ma con la forza portentosa e felice di una notizia:
“Egli è qui.
E’ qui come il primo giorno.
E’ qui tra di noi come il giorno della sua morte.
In eterno è qui tra di noi proprio come il primo giorno.
In eterno tutti i giorni.
E’ qui fra di noi in tutti i giorni della sua eternità.
Il suo corpo, il suo medesimo corpo, pende dalla medesima croce;
I suoi occhi, i suoi medesimi occhi, tremano per le medesime lacrime;
il suo sangue, il suo medesimo sangue, sgorga dalle medesime piaghe;
Il suo cuore, il suo medesimo cuore, sanguina del medesimo amore.
Il medesimo sacrificio fa scorrere il medesimo sangue.
Una parrocchia ha brillato di uno splendore eterno. Ma tutte le parrocchie brillano eternamente, perché in tutte le parrocchie c’è il corpo di Gesù Cristo” (Charles Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco).

Ecco, caro Direttore, la notizia. Sta tutta nelle parole pronunciate da Gesù stesso: “non temete, io ho vinto il mondo”. E un giorno il mondo intero lo vedrà, lo riconoscerà, clamorosamente, luminosamente. Tutti capiranno. Perciò non dispereremo mai, né del male del mondo né del nostro, perché è già stato vinto. Potrebbe essere spazzato via in un istante, con un semplice suo sorriso se solo lo volesse. Se invece il Signore della storia e dell’eterno ci dà tutto questo tempo è solo perché ha misericordia di noi, ha compassione dell’umanità, perché ci vuole liberi e aspetta il nostro “sì” libero a Lui, alla sua amicizia, al suo amore. Ma già mille e mille piccole scintille di quell’alba e di quella vittoria definitiva si annunciano anche oggi sotto il grande manto della sua Chiesa. Tanti sono i segni della sua presenza vincitrice, già si vede l’albore di quel Giorno, se solo conosceste quello che accade fra i cristiani, se solo sapeste guardare i volti dei santi, se solo andaste – per esempio – a Lourdes, a Medjugorje, a San Giovanni Rotondo, ma anche in ogni piccola parrocchia della cristianità, davanti a ogni Tabernacolo, in ogni piccola compagnia di uomini che sono amici nel suo nome. Lì c’è l’alba del mondo nuovo, dell’Eterno. Lì vedreste uno spettacolo unico: il Cielo sulla terra.

Antonio Socci

(dal Foglio, 4 gennaio 2009)


Sistemi automatici di apprendimento e metodo scientifico - Bacone e Popper messi d'accordo da un robot - di Ernesto D'Avanzo – L’Osservatore Romano, 5 febbraio 2009
Ricavare ipotesi riguardanti fenomeni o fatti è un'attività cui ciascuno di noi ricorre, talvolta inconsapevolmente. Ad esempio, notando degli atteggiamenti o delle espressioni strane di un amico, l'ipotesi assume la forma di espressioni del tipo "Mario probabilmente è preoccupato per la situazione familiare". E sempre ipotesi, o predizioni, sono quelle formulate mediante espressioni come "Probabilmente quella persona sta perdendo il controllo della propria auto" quando ci accorgiamo che il veicolo che un attimo prima era sulla corsia opposta all'improvviso comincia a muoversi sulla nostra corsia di marcia. La ricerca di ipotesi, per alcune persone, è una vera e propria attività professionale, come nel caso degli inquirenti (polizia, magistrati, esperti vari) che indagano su un delitto. In questo caso, da alcuni indizi, si deve ricavare un'ipotesi riguardante l'intero quadro del delitto. Per non parlare poi delle molte discipline scientifiche dove la formulazione di ipotesi è pane quotidiano. Una grande sfida della scienza dei calcolatori è di realizzare artefatti, siano essi robot software o robot fisici (embodied), in grado di formulare ipotesi riguardanti determinati fenomeni in modo completamente automatico. Tali sistemi, oggetto di indagine di un'area dell'Intelligenza artificiale conosciuta come "Apprendimento automatico" (in inglese machine learning), sono in grado di ricavare un'ipotesi riguardante un fenomeno, a partire da un insieme di dati. Un tipico sistema di apprendimento è quello che classifica oggetti sulla base di un insieme di attributi. Un esempio può essere la classificazione degli uccelli in "cigni" e "non cigni". Gli attributi come taglia, lunghezza del collo o colore possono assumere diversi valori. Ad esempio la lunghezza del collo può essere lunga, media o corta. Il colore può essere bianco o nero. E la taglia grande o piccola. Una legge o ipotesi di classificazione potrebbe essere, in questo caso, "Titty è un cigno se e solo se Titty è di taglia grande, Titty ha un collo lungo e Titty è bianco". L'ipotesi estratta può avere una forma di generalizzazione (tutti i cigni sono bianchi) oppure di predizione (il prossimo cigno sarà bianco). La rete è una risorsa inesauribile di dati a cominciare da quelli che descrivono i nostri "comportamenti di navigazione", in altre parole le tracce che ciascuno di noi lascia ogniqualvolta naviga un sito. In questo caso i dati, come il tempo di permanenza, la pagina visitata, l'indirizzo del computer che stiamo usando e così via, sono raccolti in file che poi sono usati per fare predizioni sul comportamento di visita dell'utente (la prossima pagina che visiterà) oppure sui suoi gusti di acquisto.
La bioinformatica è una disciplina che, nata verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso, applica strumenti provenienti dalla scienza dei calcolatori alla biologia molecolare con lo scopo di fornire modelli teorici, un altro modo per denominare le ipotesi scientifiche, in grado di spiegare fenomeni biologici. Non mancano anche obiettivi applicativi come, ad esempio, la scoperta di nuovi farmaci. Tutto ciò è facilitato dalla sempre maggiore disponibilità dei dati biologici, come quelli del genoma umano.
Facciamo un esempio. In bioinformatica, la predizione della struttura delle proteine, a partire da una sequenza di geni, rappresenta un'applicazione di notevole rilievo per la funzione che alcune proteine andranno a ricoprire, soprattutto per l'eziologia di alcune gravi malattie. La funzione fisiologica della proteina, infatti, qualunque essa sia (enzima, recettore, trasportatore, proteina strutturale) dipende completamente dalla struttura tridimensionale. E alcune cause di malattia pare siano proprio da ricercarsi negli errori di folding (dall'inglese "ripiegamento"), cioè dalla trasformazione in struttura tridimensionale della sequenza di geni. È il caso, ad esempio, della encefalopatia spongiforme bovina, più conosciuta con l'acronimo Bse. Ci sono anche ipotesi in merito ad altre malattie che potrebbero avere come loro causa un cattivo funzionamento di questo processo, ad esempio il morbo di Parkinson e l'Alzheimer. Sebbene si conoscano le strutture di alcune proteine e le relative sequenze geniche che le hanno generate esse rappresentano solo un numero minore. Data una nuova sequenza è interessante utilizzare le sequenze per le quali già conosciamo le proteine per addestrare sistemi di apprendimento automatico in modo da scoprire nuove strutture. Golem, il sistema di apprendimento di Stephen Muggleton, nel 1992 era impegnato appunto in ricerche sulla struttura di proteine. Il problema risolto da Golem è la scoperta di strutture tridimensionali della proteina. Il sistema ha prodotto ipotesi, sotto forma di regole, per predire strutture proteiche fino allora sconosciute. Oltre alle svariate applicazioni pratiche, l'apprendimento automatico, può far luce, come sostiene anche il filosofo Donald Gillies, sul dibattito riguardante il metodo scientifico sviluppatosi tra gli induttivisti che fanno riferimento a Francis Bacon e i falsificazionisti che fanno riferimento a Karl Popper. Come è noto, Bacone nel Novum Organum (1620), esponendo la sua teoria del metodo scientifico (induttivismo), sostiene che uno scienziato che faccia ricorso a tale metodo colleziona una quantità accurata di osservazioni dalle quali trae delle leggi generali (o ipotesi) in grado di descrivere un certo fenomeno. Bacone chiarisce la meccanicità del suo procedimento usando la metafora del "compasso e del cerchio" secondo cui è "impossibile, anche per l'artista più dotato, tracciare un cerchio perfetto a mano libera ma con un compasso tutti possono farlo". A partire da questa nozione di meccanicità il lord cancelliere propone un corollario, molto controverso, sulla natura del metodo scientifico sostenendo che grazie a esso "la scienza diventa un lavoro di routine che non ha bisogno di particolare ingegno o intelligenza". Popper, in Congetture e confutazioni (1963), nega radicalmente la posizione baconiana sostenendo che non può esistere un'osservazione pura se essa non è guidata da qualche teoria e formula una concezione alternativa del metodo scientifico, la teoria delle congetture e delle confutazioni, o falsificazionismo. Secondo tale punto di vista la scienza non parte da osservazioni ma da congetture (le ipotesi a cui si faceva riferimento poco sopra), e compito dello scienziato è di confutare, o falsificare, le sue congetture attraverso un procedimento di critica e controllo, ad esempio facendo osservazioni o compiendo esperimenti. Una congettura che abbia resistito a un certo numero di severi controlli può essere temporaneamente accettata con la possibilità che essa sia smentita da controlli o esperimenti successivi. Una volta confutata, la congettura va abbandonata e compito dello scienziato è di modificarla o di farne una completamente nuova che, sottoposta a controlli ed esperimenti, deve, a sua volta, essere rifiutata se essa non li supera. A differenza di Bacone il quale sostiene che le teorie scientifiche possano essere ricavate da osservazioni usando un procedimento meccanico, Popper pensa che la teoria scientifica, la congettura, sia un prodotto del pensiero creativo dello scienziato e che esso non sia per nulla riconducibile a una procedura logica o automatica come sostenuto da Bacone.
Le ipotesi generate da un sistema di apprendimento automatico come Golem sembrano riconciliare le due visioni del metodo scientifico appena viste. Il sistema infatti, genera l'ipotesi meccanicamente, secondo l'auspicio baconiano. Inoltre, nel generare meccanicamente l'ipotesi, il sistema ricorre continuamente a un controllo sui dati nello spirito del falsificazionismo baconiano. Quando Muggleton, nel 1988, aveva realizzato l'antecedente di Golem, nel riportare le sue prestazioni aveva già in mente il metodo adottato da Golem che opera, a detta del suo inventore, nello "spirito della trattazione baconiana".
(©L'Osservatore Romano - 5 febbraio 2009)


Indù devastano una scuola cattolica nel Madhya Pradesh – L’Osservatore Romano, 5 febbraio 2009
Bhopal, 4. Un gruppo di estremisti indù hanno devastato una scuola cattolica nel Madhya Pradesh indiano. L'ennesima violenza ai danni della comunità è avvenuta in particolare a Bhopal. L'azione si è svolta - riferisce l'agenzia Uca News - come ritorsione ai danni del preside, padre Thomas Malancheruvil's, al quale erano state rivolte presunte accuse di aver impedito agli studenti di cantare l'inno nazionale in un giorno di festa per la nazione. L'arcivescovo di Bhopal, Leo Cornelio, ha condannato l'episodio e ha chiesto all'autorità di intervenire contro le violenze.
(©L'Osservatore Romano - 5 febbraio 2009)


Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli sul contributo dei filosofi ellenistici all'operato della Chiesa - Il pensiero greco e le radici cristiane dell'Europa – L’Osservatore Romano, 5 febbraio 2009
Istanbul, 4. "Bisogna sottolineare il contributo delle lettere e del pensiero filosofico greco-ellenistico all'operato della Chiesa. Essa fin dal suo principio, cioè dagli apostoli, i quali ingiustamente vengono considerati persone non colte, ha ricevuto l'influenza benefica delle lettere e della filosofia greca, utilizzandole come strumento per esaltare la nostra fede cristiana": in occasione della festività dedicata ai tre padri e dottori della Chiesa universale, san Basilio, san Gregorio il Teologo e san Giovanni Crisostomo, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli ha voluto ricordare l'importanza delle radici cristiane dell'Europa e il legame con il pensiero greco. Secondo Bartolomeo, l'Europa non può ignorare che la Chiesa, con le sue attività educative, ha istruito attraverso i secoli il popolo di Dio con la verità rivelata, trovando fondamento nelle scuole del pensiero umano, le quali hanno contribuito allo sviluppo intellettuale e spirituale dell'uomo, "allontanandolo da infruttuosi conservatorismi". E non è casuale - ha detto ancora Bartolomeo - "che la maggior parte dei frequentatori delle scuole filosofiche furono assorbiti dal cristianesimo". Quello delle radici cristiane dell'Europa è tema caro agli ortodossi. Anche il nuovo Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Cirillo, quando era presidente del Dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa ortodossa russa, ha più volte sottolineato che, senza il cristianesimo, l'Europa, in preda al relativismo e al secolarismo, dimentica il proprio passato e fatica a costruire con fiducia un proprio futuro. Per il Patriarca ecumenico di Costantinopoli - riferisce l'agenzia AsiaNews - occorre sfatare la credenza che gli apostoli fossero persone non colte. Come primo esempio, il capo ortodosso ha ricordato l'evangelista Giovanni, "perfetto conoscitore della filosofia pitagorica e di tutto il pensiero filosofico, con il quale era venuto a contatto grazie al filosofo Filone; la teologia della Parola, con cui inizia il suo vangelo, presuppone la conoscenza del pensiero platonico e di Filone". Gli stessi apostoli Pietro e Andrea avevano una profonda conoscenza del pensiero filosofico ellenico, "cosa che si evidenzia nelle due epistole di Pietro". Altro esempio è la somiglianza morfologica allo stile di Senofonte nei primi testi del cristianesimo. Lo stesso termine teologia - ha sottolineato Bartolomeo - si incontra nella Repubblica di Platone, mentre Seneca predicava che Dio "è padre e compagno dell'uomo", che "deve sempre esprimere la sua gratitudine a Dio attraverso le virtù". Aristotele "affermò la priorità della teologia su tutte le altre scienze", mentre Pitagora "abbinò la scienza alla religione". Nel suo discorso il Patriarca ecumenico di Costantinopoli ha ricordato che, parallelamente alle correnti filosofiche, esistevano anche le scuole dove si formarono tutti i pensatori della Chiesa. "Famosa quella di Atene - ha spiegato - dove si sono formati san Basilio, san Gregorio il Teologo e Dionigi Areopagita, quella di Antiochia e quella di Alessandria dove sono cresciuti Giovanni Filopono, Clemente Alessandrino e Origene, il quale in seguito creò la scuola di Cesarea". Nella stessa scuola di Alessandria si sono formati - ha detto ancora Bartolomeo - "i famosi scienziati cristiani di Gaza, una terra che sta soffrendo tanto in questo periodo" e "non si può certo dimenticare la scuola di Roma, con Giustino e Ippolito". Non è la prima volta che il Patriarca ecumenico di Costantinopoli parla delle radici cristiane dell'Europa. Nel dicembre 2007, rivolgendosi a una delegazione cattolica giunta a Istanbul per il tradizionale scambio di visite tra le due Chiese in occasione delle feste di sant'Andrea (30 novembre) e dei santi Pietro e Paolo (29 giugno), aveva affermato di credere che "oggi più che mai sia nostro compito reclamare le radici cristiane dell'Europa e l'unità spirituale, sacramentale e dottrinale che esisteva prima dello scisma delle due Chiese". E in una lettera indirizzata al cardinale Walter Kasper e ai membri del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, riferendosi anche alla visita di Benedetto XVI al Patriarcato di Costantinopoli (29 novembre-1° dicembre 2006), Bartolomeo aveva parlato dei "legami di amore e fiducia tra le nostre Chiese" e della "coesistenza pacifica dei cristiani, in uno spirito di unità e concordia".
(©L'Osservatore Romano - 5 febbraio 2009)


05/02/2009 7.54.01 – Radio Vaticana - Medio Oriente. L’ONU accusa Hamas di avere sottratto gli aiuti umanitari
Mentre la diplomazia internazionale fatica a trovare una strada per rilanciare il dialogo israelo-palestinese, Benjamin Netanyahu, leader della destra israeliana e favorito alle prossime elezioni legislative, ha duramente criticato l’interruzione dell’offensiva contro Hamas nella Striscia di Gaza. Intanto, l’ONU accusa il movimento islamico di essersi impadronito degli aiuti umanitari destinati ai civili palestinesi. Il servizio è di Graziano Motta. http://62.77.60.84/audio/ra/00148705.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00148705.RM

Intanto, ieri il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, ha fatto visita alla popolazione di Gaza, insieme con una delegazione di capi delle Chiese di Gerusalemme. In particolare il presule, dopo aver attraversato le macerie di vari quartieri ed aver raccolto il dolore della popolazione civile, si è recato nell’ospedale di Shifa. Sara Fornari ha raccolto il suo commento


ELUANA/ Il diritto e l’ipocrisia - Mario Brusa - giovedì 5 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
Proprio la mia professione e specializzazione – avvocato penalista da più di quindici anni – mi impone di fare un passo indietro e di non cercare nelle categorie del mio mestiere la misura di un fatto che ci sorpassa: la vita di una persona.
In questi mesi tanti hanno già speso scienza e parole per attribuire significato ai termini sentenza, conflitto di competenza, direttive, e molti altri. Di tutte queste osservazioni ve ne sono alcune assolutamente fondate, altre assolutamente agghiaccianti.
Voglio parlare della vita di una persona perché nell’intervista rilasciata ieri da Amato De Monte, primario rianimatore che ha accompagnato Eluana Englaro da Lecco a Udine, ho sentito dire testualmente, rispondendo alla domanda se ci sarebbero state sofferenze, che «Eluana non soffrirà perché è morta diciassette anni fa».
Nella confusione delle cose dette in questi tempi questa mi sembra davvero una menzogna: se Eluana fosse morta diciassette anni fa non si avvertirebbe oggi un dramma tanto presente quanto lacerante, quello del papà, ma anche delle persone che sono state accanto ad Eluana assistendola per tutto questo lungo periodo.
Non meno grottesca mi sembra l’affermazione dell’assessore della Regione Friuli Venezia Giulia riportata ieri dal Corriere della Sera a pag. 21: «La tipologia ed il percorso di ammissione alla struttura residenziale “La Quiete” è avvenuta nel rispetto e con le modalità prescritte dalla normativa regionale», ma la procedura «come da richiesta della struttura “La Quiete”, è finalizzata all’accoglimento di pazienti per il recupero funzionale, e alla promozione sociale dell’assistito e/o al contrasto dei processi involuti in atto».
Ma la descrizione data da altri quotidiani fornisce una caratterizzazione diversa delle cure prestate ad Eluana. La Repubblica di ieri (pag. 2) titolava: «Al suo capezzale 14 persone, le regole per l’ultimo respiro».
Anche secondo la terminologia giornalistica, recentemente utilizzata per descrivere fatti oggetto di valutazione da parte dell’autorità giudiziaria di Milano, si dovrebbe parlare di “Clinica degli orrori”: forse che il “protocollo terapeutico” descritto dalla stampa costituisce «recupero funzionale», «promozione sociale», «contrasto ai processi involuti»?
Si potrebbero a questo punto evocare tante figure giuridiche: alcuni hanno richiamato la violenza privata (costringere taluno con violenza o minaccia ad omettere qualcosa) nel comportamento del ministro Sacconi; altri la mancata esecuzione di un provvedimento del Giudice da individuarsi nel comportamento del presidente Formigoni rispetto alla sentenza del Tar Lombardia; in queste ore si potrebbero invocare la truffa o il falso, posto che non sembra davvero che Eluana sia stata ricoverata alla Clinica “La Quiete” per un «recupero funzionale o per un contrasto ai processi involuti».
Tutto questo genera profonda tristezza. La vita umana non può essere rinchiusa – soppressa – in una sentenza o in un qualsiasi altro protocollo giuridico o terapeutico per un dato evidente al quale non possiamo cambiare nome: la vita non è il prodotto delle nostre capacità e non possiamo darcela da noi.
Come affermato da S.E. il Card. Barragan, condividendo io il suo pensiero nella mia abituale qualità di difensore di imputati, «come cristiano, non posso che affidarmi alla misericordia divina, pensando in primo luogo alle persone che soffrono e che non possono difendersi. Come Eluana Englaro».


ELUANA/ 1. Caro Beppino, nella tua situazione noi abbiamo scelto per la vita - Redazione - giovedì 5 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
Ilsussidiario.net ha raggiunto Randolph (Randy) Richardson la cui figlia Lauren nell’agosto del 2006, a seguito di una overdose, ha subito un serio danno cerebrale in conseguenza del quale è stato diagnosticato uno stato vegetativo permanente.
La ragazza, incinta, ha portato a termine la gravidanza ed Ember Grace è oggi una bambina sanissima. Randy e la moglie Edith sono divorziati e questa tragedia li vede su due fronti opposti, perché Edith, seguendo il parere dei medici (col supporto di una sentenza del tribunale) vorrebbe sospendere l’alimentazione e l’idratazione, mentre Randy vi si oppone. Nel novembre scorso accade quanto sperato da molti: entrambi i genitori sono d’accordo, la vita di Lauren è degna di essere vissuta e nessuno deve e staccare la spina. Quando Edith lo dice a Lauren, la ragazza si mette a piangere.
Randy ha accettato di raccontare la sua esperienza, dedicandola "A quelli che hanno compassione per la vita".
Mi chiamo Randy Richardson e sono il padre di Lauren Richardson. Con la mia famiglia e mia figlia combattiamo da due anni una battaglia legale per il diritto alla vita. In questa causa vi sono molti errori e mancanze. Il tribunale e la società non hanno saputo rendersi conto dell’amore e della compassione necessari per aiutare la guarigione di mia figlia.
Nella prima fase del processo il tribunale e i dottori hanno stabilito il valore e la qualità della vita di mia figlia. I dottori hanno fatto affermazioni decise sull’impossibilità della guarigione e hanno chiesto di sospendere cure, cibo e acqua. A questo momento, Lauren ha superato tutti gli ostacoli che i medici ritenevano impossibile superare. Per i miglioramenti nelle condizioni di Lauren rendo merito a Dio e al tempo che abbiamo guadagnato nel discutere la causa. Ciò è diventato parte del problema. Il tribunale e gli altri coinvolti hanno cercato di muoversi rapidamente e ridurre il tempo che è necessario invece per il ricupero: mia figlia ha solo bisogno di tempo e amore per guarire. Rendiamo gloria a Dio per l’attuale e per la futura condizione di Lauren.
La parte triste di tutto questo è quando le acque si calmano e si ha il tempo di considerare che la vita in sé è il dono più prezioso. È Dio che determina il destino di ogni persona sulla terra e noi non dobbiamo abbandonare chi è nel bisogno, nel bisogno di amore e compassione. Si devono trattare gli altri come noi vorremmo essere trattati. Essere gentile verso qualcuno non ci ha mai danneggiato. Aiutare chi è in difficoltà arricchisce noi e chi ci sta attorno. L’amore è una cosa splendida, è qualcosa che possiamo condividere e non ci costa nulla. Mi sono stati sottoposti alcuni punti che vorrei condividere con chi legge.
Ho riflettuto parecchio prima di scrivere queste parole. I miei pensieri erano per il padre di Eluana. Non tocca a lui dare o togliere la vita. Io credo in Dio e credo non tocchi a noi dare giudizi o prendere decisioni sulla vita di un’altra persona. Eluana non ha deciso di diventare disabile o di essere nelle condizioni in cui è adesso.
Io credo che mia figlia Lauren sia un dono e una vera benedizione per me e la mia famiglia. Saremmo perduti per sempre se non dessimo a lei, e a noi stessi, una possibilità di vivere fino in fondo la sua vita con tutto l’amore e l’assistenza possibili. La decisione di togliere la vita a un’altra persona rimarrà per sempre nella propria vita e credo che ci si pentirà fortemente di tale decisione. Come padri si cerca di fare il meglio per i nostri figli.
So che anche il padre di Eluana sta cercando di decidere cosa è meglio per lei, ma deve comprendere che il suo amore è condiviso da tutti quelli che sono venuti in contatto con lei. Deve permettere ad altri di aiutare, assistere e amare Eluana per la persona che è. Piena di vita e amore pur nel suo particolare modo. Non intendo assolutamente mostrare mancanza di rispetto per il padre di Eluana, ma Eluana è viva e vi sono persone disposte a prendersi cura di lei. Che cosa si danneggia lasciando vivere sua figlia?
Ringrazio Dio per ogni giorno che Lauren è qui con noi. La vera storia sulla nostra situazione non è stata ancora raccontata. È molto triste ciò che è successo a Lauren e ad altre come lei. Le persone hanno bisogno di vivere con l’amore e la compassione, non con la paura o la pietà. Perché ci deve sempre essere gente così disposta a lanciare la prima pietra?
La vita di Lauren prima dell’incidente
Lauren era una ragazza molto tranquilla. Ha cominciato a non prendere decisioni giuste dopo aver incontrato il suo fidanzato. Era una ragazza molto indipendente e con la voglia di impegnarsi per raggiungere i suoi obiettivi. Dopo l’incidente, Lauren ha avuto e ha bisogno del nostro aiuto e sostegno per arrivare a uno stadio in cui possa essere autosufficiente. Io non so quando il suo recupero sarà completato, ma dobbiamo tentare. Questo è quanto fanno i genitori. Non è facile essere genitori.
Come la situazione di Lauren ha influenzato il rapporto nella mia famiglia
La madre di Lauren e io siamo stati divorziati per circa vent’anni, mantenendo buone relazioni fino a quando i medici dell’ospedale hanno convinto la madre di Lauren che non vi era assolutamente più alcuna speranza per Lauren. Un giorno il mondo saprà che tutto quanto detto dai medici si è rivelato sbagliato.
La madre di Lauren volle comunque fare un tentativo e cominciò a far regolarmente visita a Lauren. Iniziò così a vedere dei cambiamenti, cambiamenti che volevano dire che Lauren meritava una possibilità. È molto importante ricordare che occorre essere presenti e attivi nella vita di una persona per stimolare le sue capacità di ripresa. Se una persona è lasciata sola, senza amore e assistenza, non potrà mai riprendersi, ma appassirà come un fiore senza luce e senza acqua.
Tutte le persone per esistere hanno bisogno di amore, rifugio, cibo e acqua. Per aiutare qualcuno a riprendersi ci vuole di più: ci vuole moltissimo amore e tanta compassione e, con il tempo, si possono vedere i risultati. Non si potrà vedere nessun risultato, però, se neppure si prova.
Cosa direbbe Lauren oggi
Oggi sappiamo che Lauren reagisce emotivamente quando si parla in sua presenza di certi argomenti. Ne sono certo, Lauren vorrebbe ringraziare ogni persona che ha speso tempo per assistere lei e la sua bambina. Potrebbe anche raccontare del dolore e della sofferenza provocati da un sistema giudiziario che ha cercato di prendere il controllo della sua vita per spegnerla. E, soprattutto, Lauren vorrebbe ringraziare sua madre per non averla abbandonata. È per il tempo e la compassione che sua madre ha dedicato a Lauren e alla sua bambina che tutto ciò è ora possibile.
Solo ora noi siamo in grado di aiutare Lauren. Il tribunale ha sospeso il trattamento e la terapia di Lauren, ha messo in isolamento il nostro caso e non permetterebbe di raccontare la nostra storia. Così prego che Lauren abbia molto da dire, prima che tutto sia finito.
Che cosa significa per me speranza
Speranza è ciò che non si trova negli ospedali. Speranza è una cosa di cui le infermiere non potevano parlare. Così è diventata “falsa speranza”. La speranza è quello di cui ha bisogno una famiglia in un periodo difficile. Come genitori, si spera che il proprio figlio possa essere fortunato e avere una vita migliore della propria.
Solo Dio sa ciò che il futuro riserva a ciascuno di noi. Se vogliamo essere onesti, senza la speranza, per un mondo migliore, per la pace, per una buona salute, per ognuno dei nostri sogni, quale sarebbe la ragione per vivere? Quale scopo avrebbe senza speranza, specialmente negli altri uomini? Speranza, un desiderio di pace che sgorga dal cuore.
Il mio rapporto con la religione
Sono una persona religiosa, ma non mi sono mai reso conto di cosa questo avrebbe significato fino a che non è scoppiato il caso di mia figlia.
Quando l’ospedale scoprì che Lauren era una donatrice di organi, mi fu continuamente chiesto di sospendere le cure per “staccarla”. Una domanda, questa, che ho dovuto affrontare quotidianamente. Mi veniva detto che era crudele tenere Lauren in quelle condizioni, che la figlia che avevo conosciuto un tempo non era più con noi. Che era una vergogna tenere Lauren in quel doloroso stato.
Ci veniva anche detto che Lauren non sarebbe arrivata alla fine della giornata. Passai un periodo terribile cercando di capire perché eravamo lì a vivere ora per ora, giorno per giorno, e che avremmo dovuto rinunciare a Lauren. A questo punto feci una dichiarazione che sarebbe diventata un grosso problema in tribunale: “Lasciamo che Dio sia Dio e io farò del mio meglio per essere suo padre”, dissi che sarei stato lì per aiutare in tutti i modi. Sentii che non potevo prendere la decisione di far finire la vita di mia figlia. Sarebbe stato il più grande peso che avrei portato per il resto della mia vita. Io amo mia figlia e ho fiducia in Dio. Il tribunale e i medici dissero che ero un illuso e che non volevo vedere la realtà. La realtà è che Lauren sta facendo notevoli progressi e che le affermazioni dei medici sulle possibilità di Lauren erano sbagliate.
Cosa vorrei dire al padre di Eluana
Gli dimostrerei il mio più grande rispetto per aver aiutato sua figlia lungo tutti questi anni e potrei dirgli che “sono uno dei pochi che sa quello che sta passando”. Vorrei condividere con lui la mia storia personale con mia figlia e l’amore che ha portato a tante persone. Non voglio esprimere condanne, ma fargli sapere che c’è una luce in fondo al tunnel, una luce che risplende d’amore: Eluana, sua figlia.
(Randy Richardson)


ELUANA/ 2. L’anestesista: da laico dico che staccare il sondino è una scelta tragica - INT. Antonio Pesenti - giovedì 5 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
La vicenda di Eluana Englaro non è solo questione di confronto di opinioni. Ora che ad Eluana verrà probabilmente staccato il sodino, ci si interroga anche su quelle che saranno le conseguenze pratiche, dal punto di vista medico e fisico, di questo atto. Quanto durerà la sua agonia? Soffrirà o non sentirà nulla? Sarà opportuno sedarla?
Il discorso è delicato e merita il massimo dell’obiettività. Per fare questo abbiamo contattato il prof. Antonio Pesenti, ordinario di anestesiologia all’Università Bicocca di Milano. Non solo un esperto del settore, ma anche e soprattutto una persona con una posizione assolutamente neutrale, e che non ha, sulla vicenda Englaro, risposte certe a favore dell’una o dell’altra opinione.
Professor Pesenti, cerchiamo di capire innanzitutto dal punto di vista medico quello che ora accadrà a Eluana: quanto durerà la sua agonia, e quanto soffrirà Eluana?
Se ci rifacciamo al precedente del caso Terri Schiavo, ne dobbiamo ricavare che l’agonia possa durare circa due settimane; d’altronde si sa che senza idratazione si può sopravvivere dai dieci ai quindici giorni. Per quanto riguarda invece la questione del dolore entriamo invece nel campo delle supposizioni, perché la situazione è molto confusa. La diagnosi di stato vegetativo persistente è accertata, e in tale stato la capacità di una persona di percepire il dolore è dubbia. Diciamo, anzi, che in generale si pensa non ci sia la cosiddetta percezione cosciente del dolore. Ma questo non ci può certo portare a concludere che il dolore non sia percepito in nessun modo.
Ci può aiutare a capire meglio questa distinzione?
Facciamo un esempio che può chiarire: in una situazione di anestesia generale, è naturale presumere che il paziente non percepisca il dolore. Detto questo, può però accadere che, mentre il chirurgo opera, il malato diventi tachicardico, o abbia un aumento di pressione. Al che l’anestesista può ipotizzare che l’anestesia sia troppo leggera, e decida dunque di approfondirla. Questo non significa che il paziente abbia avuto una percezione cosciente del dolore, che anzi presumibilmente non c’è stata, ma un’altra forma di dolore che richiede, in via precauzionale, l’ulteriore intervento. Quindi la prudenza suggerisce, nel caso di Eluana, di impiegare dei sedativi, cosa che invece nel caso di Terri Schiavo non è stata fatta. Anche se non sono sicuro che lei percepirà il dolore, mi pare che sia opportuno sedarla.
Fa impressione però pensare a un’équipe di medici e infermieri impegnati a condurre un paziente a una morte che da loro stessi viene provocata: questo non crea problemi dal punto di vista deontologico?
Di certo un medico non deve abbandonare il paziente. Nel momento in cui dovesse decidere per l’opportunità di staccare il sondino, questo non significa che debba chiudere il paziente in uno stanzino e lasciarlo lì a morire; ha comunque l’obbligo di accompagnarlo. Dopodichè possiamo giudicare se tale scelta sia giusta o sbagliata; ma questa è tutta un’altra considerazione. Una volta però che si è deciso di farlo, allora bisogna accompagnare il paziente.
Ma secondo lei è accettabile questa scelta, sempre affrontando la questione in termini di deontologia professionale?
Quello che constato io è questo: il personale sanitario di Lecco non era d’accordo con le richieste del suo tutore; quelli di Udine invece sì. Secondo me entrambe le scelte sono rispettabili. Che possa creare problemi o no il fatto di staccare il sondino, è una questione che mi pare legata a determinate interpretazioni: a me personalmente creerebbe dei problemi, e non potrei certo dire che sarei disposto a farlo a cuor leggero. Però sono situazioni del tutto particolari, in cui bisogna tener conto della storia, dei fatti, della posizione del padre. Certamente la scelta della morte per sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione è la scelta più tragica che si possa intraprendere.
Cosa pensa dei molti interventi con cui in questo periodo si sono date indicazioni ai medici sul da farsi, dalle varie sentenze all’atto di indirizzo del ministero?
Gli indirizzi generali non sempre valgono per ciascuno, e per questo esiste ad esempio l’obiezione di coscienza. Devo però aggiungere che spesso si confonde il ministero della sanità con il sistema sanitario nazionale: il sistema sanitario è un sistema assicurativo che garantisce le prestazioni, il ministero garantisce la qualità. Il ministero, ad esempio, può autorizzare un farmaco, e il sistema sanitario nazionale non pagarlo. Naturalmente si evita che ciò accada. Ma mi pare comunque che in questa situazione si siano spesso confusi i ruoli.
Ora si sta aprendo il dibattito sul testamento biologico, e anche qui il problema del ruolo del medico è fondamentale: qual è la sua opinione?
Il testamento biologico rischia di essere un’arma a doppio taglio. Cosa faremo quando arriverà un paziente che per cultura, per scarsa conoscenza dei fatti, per marginalità di vita non sappia nemmeno cos’è il testamento biologico? Per certi versi ci esponiamo al rischio opposto, perché certamente il fatto di privilegiare l’autonomia del paziente porta talvolta a situazioni difficili da gestire. Con chi non ha il testamento mi accanisco fino allo stremo, sempre e comunque? È un problema di cui tener conto. Detto questo, il testamento comunque ha tutti i fondamenti per essere una scelta civile. In termini assoluti non può essere giudicato né buono né cattivo, perché tutto dipende poi da come viene regolato nel dettaglio.


STRATEGIE/ Se vogliamo più equità diamo più “potere” alle famiglie - Luca Pesenti - giovedì 5 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
Affrontare la crisi recessiva con le tradizionali armi welfariste non appare una strada convincente. Gli interventi governativi sui ceti disagiati (in questa direzione vanno il bonus famiglia e la social card) e sui lavoratori atipici (allargamento del sistema di ammortizzatori sociali) appaiono sicuramente utili e forse indispensabili per tamponare le situazioni più gravi.
Resta però aperto il problema più grave in prospettiva: quello delle famiglie di ceto medio con figli conviventi, esposte in maniera crescente a rischi di vario tipo e per questo sempre più vulnerabili, ma sistematicamente escluse da qualunque tipo di intervento, diretto o indiretto che sia, e spesso addirittura (e platealmente) penalizzate.
Il politologo Maurizio Ferrera, su Il Corriere della Sera del 1 febbraio, ha correttamente lamentato come la risposta alla crisi che sembra prefigurarsi nel nostro Paese non sia diversa da quella consuetamente utilizzata da decenni: scaricare sulle famiglie il peso principale del welfare (soprattutto in termini economici e assistenziali). Non a caso la modellistica internazionale dei sistemi di welfare parla dell’Italia come di un modello “familistico”.
Ferrera si è domandato in particolare: «Quale sarà l’efficacia e quali gli effetti distributivi di una risposta essenzialmente familistica alla crisi - la strada italiana - rispetto alle risposte basate invece sul welfare pubblico?». La risposta è ovviamente negativa: lasciare alle famiglie il peso della risposta ai bisogni economici e assistenziali delle persone, senza un adeguato supporto e senza interventi complementari, non può che generare squilibri sociali, disequità, conflitto.
Quel che non convince nella tesi di Ferrera è che vi sia un necessario dualismo tra famiglia e politiche di welfare pubblico. Tale dualismo esiste infatti soltanto là dove (come accade in Italia) le politiche sociali sono calibrate sulle necessità degli individui. Gli schemi assicurativi di tipo universalistico presenti nel nostro Paese (pensioni, assegni di invalidità e accompagnamento) sono di questo tipo, così come su base individuale è il prelievo fiscale (con le ben note distorsioni relative alla mancata considerazione di adeguate detrazioni per i carichi di cura).
Soltanto rompendo questa logica e riconvertendo il sistema sociale secondo logiche famigliari (e non familiste) si potrebbero ottenere risultati di reale equità, modernizzando un sistema di welfare che appare superato e riconsegnando alle famiglie la scelta di diventare soggetti attivi del welfare: non una scelta forzata e in perdita, come accade oggi, ma una scelta libera, che permetterebbe a chi volesse di trasformare la propria famiglia in una vera e propria “unità di offerta” di servizi sociali finanziata con fondi pubblici.
In questo senso si otterrebbe un “welfare pubblico basato sulla famiglia”, superando di fatto quel dualismo evocato da Ferrera.


Il prof. Gattinoni denuncia: ''Eluana morirà tra sofferenze atroci'' – UCCIDONO ELUANA NEL MODO PIU' ATROCE - DUE SETTIMANE DI AGONIA – di Rita Balestriero, Il Giornale, 4 febbraio 2009
Milano - In questi giorni ha ripensato spesso ai versi di Dante il professor Luciano Gattinoni, primario di anestesia al Policlinico di Milano. Guardava le foto di Eluana, così bella e sorridente, ripercorreva le tappe di «questa brutta storia» e la mente ritornava ai banchi di scuola, «a quei versi, così dolci ma insieme strazianti, al XXXIII canto dell’Inferno, quando Dante descrive la morte dei figli del conte Ugolino».

Ce lo ricordi dottore, come morirono quei bambini?
«Proprio come morirà Eluana, di fame e di sete».

Una morte dolorosa?
«Tra le più atroci. Non si fa morire così neanche un cane. Le sfido queste persone, a provare a non bere niente per due giorni interi: la lingua inizia a gonfiarsi e piano piano la mancanza di idratazione provoca dolori atroci».

Dicono che la ragazza però non soffrirà, che non sentirà né dolore, né fame, né sete perché è in stato vegetativo, il suo cervello è troppo danneggiato...
«Chiunque dice queste cose mente».

Quindi lei è certo: Eluana sta andando incontro ad atroci sofferenze.
«La risposta sensata è una sola».

Quale?
«Nessuno lo sa davvero. Per certo sappiamo che Eluana non ha una percezione del dolore come la nostra, ma da qui a dire che morirà senza provare alcuna sensazione ne corre di strada».

Quindi lei è d’accordo con l’utilizzo di antidolorifici?
«Sì. Precauzionalmente o intenzionalmente poco importa, in questo caso l’uso di ipnotici e antidolorifici è obbligatorio. Non farlo sarebbe crudele, anche per chi crede che Eluana non soffrirà, perché nessuno può avere certezze a riguardo».

Proviamo a immaginare di entrare in quella stanza del primo piano, prima la terapia verrà ridotta del 50 cento, poi sempre di più, fino al quarto giorno, quando l'alimentazione e l'idratazione saranno sospese completamente e il medicinale somministrato attraverso il sondino sarà sostituito con un altro per via muscolare, insieme ai sedativi. Ma a tutto questo, come reagirà il corpo di Eluana?
«Guardi, è molto semplice: il corpo umano riesce a resistere circa due mesi senza mangiare, non più di otto giorni senza bere, quindi quella povera ragazza vivrà ancora per circa dodici giorni, perché saranno comunque costretti a sciogliere i farmaci in acqua».

Pare che le verranno somministrati anche prodotti come saliva artificiale, spray di soluzione fisiologica e gel. Dicono che serviranno per evitare eventuali disagi.
«Ma cosa vuol dire? Queste pratiche mi sembrano solo un modo per mettersi al sicuro esteticamente, un palliativo per l’opinione pubblica e per i medici che entreranno in quella stanza».

Per lei allora, quale sarebbe stato l’epilogo migliore?
«Continuare a garantirle idratazione e alimentazione, proprio come è stato fatto finora».

E poi?
«Aspettare che la natura facesse il suo corso, semplicemente. Senza intervenire di fronte ad ulteriori complicazioni. E invece...».

Continui.
«E invece così l’umanità ne esce sconfitta».

In che senso?
«Guardi ce l’ha insegnato più volte la storia: quando si ingaggiano guerre di religione si finisce sempre male».

Però un vincitore c’è: il signor Englaro è riuscito a ottenere quello che voleva da anni.
«Certo, ha vinto la sua battaglia ideologica, ma è proprio sicura che si possa definire un vincitore?».

Me lo dica lei.
«No. E le spiego il motivo: Eluana ha smesso di essere una persona da molto tempo».

Mi scusi, ma se non è una persona allora cos’è?
«Una bandiera. Purtroppo ormai è diventata solo un vessillo che le persone fanno a gara per poter sventolare».

Dopo la morte è già stato stabilito che Eluana sarà sottoposta anche ad autopsia. Dicono che servirà per studiare il cervello delle persone in stato vegetativo come lei.
«Vuole che le dica davvero quello che penso?».

Certo.
«Mi pare solo un ulteriore oltraggio. Cosa dobbiamo ancora imparare da questa brutta storia?».


Eluana, se questa è una donna che va portata a morire - Lucia Bellaspiga, Avvenire, 3 febbraio 2009
Al mattino, come tutti noi, apre gli occhi. Più tardi, come capita a tanti disabili, viene sottoposta a fisioterapia. Nel pomeriggio, quando il tempo lo permette, è accompagnata in giardino per la passeggiata. Ecco la quotidianità di Eluana. Fino a ieri

Ieri sera Eluana Englaro, dopo quasi 15 anni, stava per lasciare la Casa di cura Beato Talamoni di Lecco, forse nella notte diretta a Udine. Il padre è deciso a dare corso alle presunte volontà della giovane, sostenuto da una parte dell’opinione pubblica che forse fuorviata da alcune cronache ritiene che quella di Eluana sia una «non vita». Ma non è così. Lo documentiamo qui, con un certo pudore, proprio in un momento delicatissimo. Perché tutti sappiano che quella di Eluana è invece la vita, la vita di una disabile, ma una vita a pieno titolo. Lo possiamo documentare perché in passato Beppino Englaro aveva aperto le porte della stanza di Eluana a molti giornalisti, così come a politici, medici, persino a gente comune che chiedeva di 'vederla', nessuno per curiosità, molti per capire, alcuni anche per pregare. A tutti il padre ha sempre dimostrato cortesia, accompagnandoli di persona nella stanza. Anche noi, nel pieno rispetto del dolore più grande che possa colpire un genitore, gli avevamo chiesto di capire da vicino, non per giudicare ma per sondare senza pregiudizi. Qui raccontiamo solo quanto basta per comprendere che Eluana vive ancora una vera esistenza.



LA FISIOTERAPIA

Non ci sono macchinari intorno al letto di Eluana, non monitor, non grovigli di fili, né spettrali bip bip, freddi e disumani come echi di un altro mondo. Il suo letto ha solo lenzuola candide e biancheria profumata: nulla più. E intorno al suo corpo si danno da fare a turno quattro fisioterapisti: non sta mai 'ferma', Eluana, grazie a loro, e così braccia e gambe sono tornite, non avvizzite e magre, il viso è paffuto, la pelle morbida come un velluto. Ogni giorno le suore la spalmano di creme e pettinano i suoi capelli ancora nerissimi... «Staccare la spina», si dice, ma si fa presto: non c’è niente che si possa staccare, perché Eluana a niente è 'attaccata' se non, tenacemente, alla vita. Non le hanno nemmeno ferito la gola con la tracheotomia perché respira come tutti noi, autonomamente, non c’è traccia di cannule o tubi, niente che la possa infettare con tremori di febbre... È una disabile grave ma non ha malattie - ammette anche il neurologo Defanti, amico di suo padre - «è una donna molto sana». Troppo. Perché muoia non resta che negarle cibo e acqua, renderla 'terminale' per fame e per sete: un sistema infallibile, alla lunga chiunque soccombe.

LA PASSEGGIATA

Se a Eluana sarà concessa un’altra primavera, fra tre mesi al primo tepore del sole potrà scendere di nuovo in giardino. Aria buona e pulita dopo un inverno trascorso in camera. Da anni e anni ci pensano le suore, a volte qualche amica, spesso suo padre, a portarla nel verde che circonda la clinica, sulle sponde del lago di Lecco, seduta sulla sedia a rotelle. È la stessa casa di cura in cui ormai tanti anni fa sua madre l’ha partorita, il primo ambiente che i suoi occhi hanno visto... da quindici anni è anche la sua casa. Eluana, con quella sua vita ai minimi termini, ha bisogno di poco, quasi di niente, un niente cui le suore aggiungono un surplus di amore: parole, silenzi, carezze, piccole e continue attenzioni. Le sente Eluana? Dietro il suo muro di incomunicabilità forse il fruscio di quelle vesti, le voci ormai note, il contatto di quelle mani familiari le danno sensazioni e sicurezza: là ' fuori' qualcuno la veglia. Nessun neurologo, nessuno scienziato ha mai saputo varcare la soglia misteriosa e valutare quanta coscienza resti a questi pazienti. Loro, quando ne escono, raccontano: « Sentivamo tutto, non sapevamo dirvelo ».

IL RISVEGLIO

Risveglio: per tutti noi un gesto quotidiano, l’alzarci dal letto e affrontare una nuova giornata. Per le persone in stato vegetativo invece una parola che assume tutto un altro significato: se avvenisse, vorrebbe dire il ritorno a una vita piena e consapevole...
Risveglio: la meta agognata da parenti che attendono anni, a volte decenni. Il 'miracolo' che una volta ogni tanto avviene. Di recente è successo alle porte di Milano: Massimiliano, rimasto nel suo limbo lontano per oltre un decennio, ha improvvisamente alzato un braccio e ha ripreso la trama della vita dal punto in cui l’aveva lasciata, da un gesto antico quanto la sua esistenza, quell’abbraccio con cui prima dell’incidente cingeva il collo di sua madre per baciarla.
Per Eluana 'questo' risveglio non c’è stato, forse non ci sarà mai, forse invece è dietro l’angolo. Chissà. Ma anche lei, come tutti, saluta il mattino con la prima azione di ogni uomo vivo: apre gli occhi. Chi si immagina Eluana come un essere inanimato, un corpo sempre dormiente, è lontano da una realtà molto più semplice e in fondo commovente: i grandi occhi neri di Eluana ad ogni sorgere del sole si aprono al mondo. Si richiuderanno solo all’arrivo della sera...

IL RIPOSO

Sogna Eluana la notte? Se lo sono chiesto medici e neurologi, ma risposta non c’è. Forse notte e giorno nel suo limbo sono indistintamente un lungo strano sogno mai interrotto, chissà. Quel che è certo è che anche Eluana come tutti noi quando è sera chiude i grandi occhi neri e si addormenta. Notte e giorno, veglia e sonno, senza confondersi mai, e al calare del buio anche il suo corpo chiede riposo alla fine di una giornata come tante. Un sonno tranquillo, senza incubi, ed è proprio mentre dorme che un sottile sondino le instilla lentamente quella linfa vitale che chiamano 'alimentazione e idratazione', ma che sono solo cibo e acqua. Goccia a goccia ogni sera per ore entrano in lei e il suo corpo le assimila, si nutre, cresce, vive. È il suo unico ausilio, l’unica richiesta: negargliela significa ucciderla. E infatti è questo il metodo previsto dai 'protocolli' giudiziari per condurla alla morte... Nel silenzio della sera il mistero si infittisce, i dubbi crescono. Sulla parete della stanza sono incorniciate tante Eluane, belle, sorridenti, giovani, piene di vita, maliziose, allegre, spensierate: crudele guardare quelle foto e chiedersi in che piega è nascosto oggi il sorriso di diciassette anni fa. Eluana - la sua anima - gioca a nascondino ma da qualche parte c’è. Che cosa ha vissuto in sé Eluana di questa ennesima giornata?
Che cosa ha avvertito? A volte ha sussultato, altre ha sospirato, talvolta ha persino teso la bocca in un sorriso, ma era poi un sorriso? Inutile farsi domande, impossibile darsi risposte, Eluana è viva e questo basta.


CHE STRANI MEDICI - QUEL VOLTO NASCOSTO EPPURE CONTURBANTE - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 5 febbraio 2009
E ora il medico dice: sono devastato. Il medico che ha accompagnato in ambulanza Eluana e che, come ci spie­ga il Corriere della Sera, proviene da que­gli ambienti ex-socialisti che di più han­no premuto per una 'soluzione' friula­na. Il dottor Amato De Monte, che il Cor­riere
ci presenta in un articolo a metà scritto con stile tra libro Cuore e rivista di moda («Il bocconiano con l’orecchi­no » è il titolo), si premura di farci sape­re due cose: che lui è sconvolto a vede­re come è Eluana oggi e che lei «è mor­ta 17 anni fa». Il che è sorprendente per due motivi. Primo perché se un medico fosse abituato ad assistere a malati gra­vi non dovrebbe poi così tanto 'deva­starsi' nel vedere lo stato di Eluana (a proposito, perché non ce la fanno ve­dere ?). Migliaia di medici assistono ma­lati in quelle condizioni senza che per questo prevalga in loro lo sconvolgi­mento ma la realizzazione della missio­ne per cui sono diventati medici, cioè prendersi cura. Le stesse suorine e i va­ri altri che hanno assistito Eluana in que­sto periodo non hanno sentito la ne­cessità di questa ultima strana ingiuria. Non si sono detti «devastati», ma han­no continuato a chiamarla «bellissima», e non per vezzo, ma perché bellissima è ogni persona per la dignità assoluta che ha. Questo è lo sguardo che vede la di­gnità di un essere umano, e non l’appa­renza soltanto. Che sguardo è quello del dottor De Mon­te? Addirittura, l’articolo ce lo presenta come se fosse lui da 'consolare' per la tremenda esperienza di aver viaggiato con il 'mostro'. Ecco, l’ultima definiti­va (e – si può dire? – un po’ vigliacca) in­giuria a Eluana. Lo sguardo che si sente «devastato» da come lei è, poco prima di mettere in atto pratiche che sì, quel­le, devasteranno con la sete il suo cor­po. In questo sguardo che sotto le men­tite spoglie di un sentimentalismo dol­ciastro cela una scorza durissima c’è po­tenzialmente la sconfitta di tutti i medi­ci italiani. De Monte probabilmente è un medico preparato, si sa che ha un ot­timo curriculum. Ma non basta, per fa­re il medico, essere preparati.
E a questo proposito ecco il secondo motivo di sorpresa: egli afferma peren­toriamente che «Eluana è morta 17 an­ni fa». Non la pensano così migliaia di medici. Non la pensano così le prese di posizione ufficiali di diversi Ordini dei medici, migliaia di medici impegnati o­gni giorno in situazioni simili, di lumi­nari di primo piano. Da dove viene que­sta granitica certezza al dottor De Mon­te? Lui che ha lo sguardo così sensibile, non ha nemmeno un dubbio scientifi­co nell’affermare che lei è morta di­ciassette anni fa mentre migliaia di suoi altrettanto stimabili colleghi afferma­no il contrario e si prodigano in ragio­ne del contrario? Che strano medico. Che strana 'immagine' di medicina ci stanno dando, suonando la grancassa dei media, che sguardo di medico mol­to preso sentimentalmente e poco pru­dente dal punto di vista scientifico. Sia­mo sicuri che è da sguardi di questo ge­nere che vogliamo farci visitare? È que­sto il genere di sguardo che vorremmo si posasse a decifrare lo stato di salute nostro e dei nostri cari, e che si posas­se a misurare se siamo ancora degni di vivere o no?
È strano, qui fanno tutti le vittime: il pa­dre che si diceva vittima del diritto, il medico che si dice vittima di un’espe­rienza terribile, i tutori che si dichiara­no infastiditi dalle lungaggini. E intan­to occultano la vittima, o peggio, con oc­chi molli di commozione la ingiuriano. Io spero che migliaia e migliaia di occhi di medici, in questi giorni, non si senta­no «devastati». Spero che siano occhi di medici, che non siano ciechi di fronte al valore della persona. Che guardino co­me siamo, come possiamo diventare senza per questo dire o pensare che un essere umano in brutte condizioni è un essere che vale di meno, tanto da chia­marlo roba morta.


PER LA FISIOPATOLOGIA PIÙ INFORMATA ELUANA È VIVA - In nessun centro del mondo sarebbe dichiarata morta - ROBERTO COLOMBO – Avvenire, 5 febbraio 2009
Come già avvenne per il dibattito pubblico che si aprì nel nostro Paese in occasione della legge sulla procreazione medicalmente assistita, anche ora, a proposito della drammatica vicenda di Eluana, alcuni hanno tentato di accreditare la tesi che la Chiesa e le voci che la rappresentano siano degli sprovveduti in materia medica, culturalmente arretrati e scientificamente incompetenti. In altre parole, parlano senza conoscere o conoscono in modo erroneo la realtà, in questo caso quella del malato in stato vegetativo persistente e della sua idratazione e alimentazione. A questo pregiudizio si aggiunge, da parte degli stessi detrattori, la qualifica di 'confessionalità' o 'credenza irrazionale' ad ogni affermazione che esce dalla bocca o dalla penna di cattolici. Solo pie esortazioni ai fedeli, prediche fatte dal pulpito dei giornali o della televisione. Così, l’equazione è facilmente costruita: la ragione e la libertà della ricerca e della cura stanno dalla parte dei 'laici', autentici paladini della modernità e della scienza; la fede ed il dogmatismo, censore dei progressi della scienza e dell’autonomia dei pazienti, sono di casa tra i cattolici, nemici dell’emancipazione morale e sociale dei cittadini e della 'nuova cultura' biologica e medica. Liberi sì, i credenti, di dare ascolto alle frottole del catechismo o ai sermoni dei vescovi, ma purché non ambiscano ad essere presi in seria considerazione da chi legifera, governa o amministra la giustizia in Italia. Ciò che vale per essi, non vale per tutti; solo la ragione è universale e cogente; la fede non può che essere regionale e opzionale, e chi abbraccia la seconda è impedito nell’uso della prima.
Non è questo il luogo ed il tempo di una risposta filosofica e teologica, che impegnerebbe robuste argomentazioni storiche e teoretiche. Più semplice è mostrare come, di fatto, le cose non stiano così a proposito di quanto i cattolici sanno e dicono circa le condizioni in cui si trovano Eluana e la maggior parte degli altri pazienti in stato vegetativo persistente.
Anzitutto, richiamando il fatto che Eluana 'è viva', si ribadisce solo quanto la moderna fisiopatologia cardiorespiratoria e neurologica insegnano: in questi pazienti, i due 'centri critici' dell’organismo umano, al venir meno dei quali cessa la vita dell’organismo umano (intesa come la capacità di integrare e coordinare tutte le funzioni fisiche ed i correlati neurobiologici di quelle superiori), sono attivi e capaci delle operazioni loro ascritte. Il cuore pulsa regolarmente, mantenendo la pressione nei vasi, ed i polmoni sono in grado di ventilare autonomamente, ossigenando il sangue. Il cervello, il tronco encefalico ed il cervelletto sono anch’essi operativi, con la sola eccezione di alcune lesioni, più o meno estese, della corteccia (quelle che determinano la patologia in atto).
In nessuno luogo al mondo un paziente in queste condizioni è dichiarato morto. La legge italiana sulle norme per l’accertamento e la certificazione di morte (n. 578/1993) richiede 'la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo' (art. 1).
In questo caso, non è in gioco la fede, ma l’osservazione scientifica e la ragione, che non sono latitanti tra i credenti.
La stessa osservazione scientifica e ragione ci portano a ritenere che quello che Eluana riceve attraverso la sacca collegata al sondino nasogastrico sono le stesse sostanze chimiche di natura alimentare (acqua, elettroliti, glucidi, proteine, lipidi, vitamine ed altro) che essa ha ricevuto un tempo e noi continuiamo ad assumere attraverso il cavo orale, mettendoci a tavola. Le stesse sostanze con le stesse finalità metaboliche essenziali per la vita: mantenere l’omeostasi plastica ed energetica del corpo, consentendo il ricambio e le attività. Certo, stiano tranquilli i nostri interlocutori, non stiamo immaginando un panino o un bicchiere d’acqua: ma è la sostanza, o la forma della nutrizione, che conta per sostenere la vita? Tutta la scienze biochimiche, metaboliche e cliniche moderne, e la pratica della medicina, ci dicono che è la prima. Ancora una volta, non è questione di fede, ma la fede dei credenti non ignora la realtà della vita, e coglie in tutti i suoi fattori, fino a quello supremo, il suo Autore.


La religiosa che dirige la casa di cura di Lecco rompe il silenzio. Racconta i giorni intensi trascorsi accanto alla donna che è stata accudita come una figlia. E il dolore per il distacco forzato e repentino - TESTIMONI E AMICHE - «Guardatela, vi accorgerete che vive» - L’appello di suor Albina ai medici di Udine. Gli ultimi istanti con Eluana - DAL NOSTRO INVIATO A LECCO - PAOLO LAMBRUSCHI – Avvenire, 5 febbraio 2009
« A scoltate il battito del cuore di Eluana, osservate il suo respiro, accarezzatela. Vi accorgerete che è viva, che è una persona viva. Non un caso clinico».
L’ultimo appello per Eluana Suor Albina Corti lo indirizza ai sanitari della casa di riposo «La Quiete» di Udine, dove la giovane donna è stata ricoverata dopo che il padre l’ha prelevata dalla casa di cura «Beato Talamoni» di Lecco. Una replica indiretta ad Amato De Monte, il medico che ha viaggiato verso Udine in ambulanza insieme alla giovane per poche ore, ma evidentemente sufficienti per fargli dichiarare che Eluana Englaro è morta 17 anni fa, nella notte del terribile incidente stradale che le procurò gravi lesioni cerebrali.
In un colloquio difficile e commovente, la direttrice della struttura lecchese rompe a fatica e per l’ultima volta la consegna del silenzio in un pomeriggio piovoso e triste. Lo fa per amore della donna in stato vegetativo che è stata curata con amore dalle suore Misericordine per 15 anni. Lo fa per raccontare la sofferenza e il dolore che stanno provando in queste ore tutti i collaboratori della struttura, dai medici al personale infermieristico. Lo fa per ribadire che Eluana è viva.
Al secondo piano della clinica, nella stanza dove la donna è stata ricoverata nell’aprile 1994, Suor Rosangela, che l’ha assistita quotidianamente, sta riordinando gli ultimi effetti di Eluana.
Le foto non ci sono più. Non vuole parlare con noi, non l’ha mai fatto. La direttrice resta in piedi sulla soglia della camera e negli occhi di suor Albina si leggono tutti i ricordi, le sofferenze come i momenti belli. Passano medici e infermieri del reparto. Sono tutti rigorosamente schivi, ma con gli occhi umidi. È ancora vivo il ricordo felice della giornata di Natale, quando Suor Rosangela ha accompagnato Eluana nella cappella, giù nel giardino. È stata l’ultima volta che sono potute uscire insieme. Suor Albina confessa di non aver più avuto la forza di salire al secondo piano da quando l’ambulanza ha portato via la degente all’una e mezza di martedì mattina. Per lei, per loro Eluana è diventata una figlia ed è stata trattata, sottolineano, come una paziente normale e con la tenerezza e che si riserva a una bambina appena nata, a una persona di famiglia.
Suor Albina, cosa ricorda di quei drammatici 30 minuti in cui Eluana è stata prelevata?
Ci siamo sentite addolorate e impotenti. L’abbiamo vista partire per andare verso il patibolo, come abbiamo detto a luglio. Ma anche se eravamo preparate al peggio, non ci aspettavamo che avvenisse così all’improvviso, pensavamo che il momento fosse più in là, più lontano nel tempo.
Beppino Englaro è arrivato senza preavviso in una notte tetra di pioggia con l’ambulanza.
Questo ha reso il distacco ancora più brutto e triste. Sono rimasta giù a lungo davanti all’uscita a fissare il vuoto quando è partita.
Avete parlato per l’ultima volta con il padre in quelle ore convulse?
No, è stato tutto freddo. Ci ha consegnato il decreto per far dimettere Eluana. A questo punto era inutile aggiungere altro. Ripeto, non lo giudichiamo. Con lui il rapporto in questi anni è stato corretto, anche se le nostre opinioni sono opposte alle sue.
Cosa avete detto ad Eluana?
Il suo medico curante l’ha accarezzata e le ha detto di non avere paura, che l’avrebbero portata in una stanza più grande, in un posto più bello. Penso che abbia capito.
E lei, come l’ha congedata?
L’ho salutata nel modo più naturale, con un bacio. Non ho potuto dirle altro, era troppo forte il mio dolore. Le parole che non le ho detto quella notte voglio esprimerle ora e spero gliele riferiscano: 'Eluana, non avere paura di quello che ti succederà. Noi ti siamo vicini e soprattutto ti è vicino un Padre che ti accoglierà nelle sue braccia e un giorno ci ritroveremo a condividere la grande gioia di stare insieme'.
Vuol dire qualcosa al personale sanitario che la sta assistendo in Friuli in attesa del distacco del sondino per l’alimentazione?
Vogliamo inviare un appello ai nuovi operatori: accarezzate Eluana, osservate il suo respiro e ascoltate il battito del suo cuore.
Sono i tre elementi che vi porteranno ad amarla, perché lei non è un caso, ma una persona viva.
E a Beppino Englaro?
Ripeto ancora una volta che, qualora cambiasse idea, nella nostra clinica c’è sempre posto per sua figlia. Lasci vivere Eluana e la lasci a noi. Non è ancora troppo tardi.
Cosa farete ora?
È l’ultima volta che parliamo di questa vicenda. Accogliamo l’appello al silenzio e alla preghiera del Cardinale Tettamanzi. Ma non smetteremo di pregare perché le menti si illuminino ed Eluana possa vivere.
«Ascoltate il battito del cuore, osservate il respiro, accarezzatela. Noi non smettiamo di pregare perché le menti si illuminino e lei possa continuare a vivere». Al padre: la lasci vivere, non è ancora troppo tardi «Voglio dirle le parole che non le ho detto quella notte: non avere paura di quello che ti succederà, noi ti siamo vicini e soprattutto ti è vicino un Padre che ti accoglierà nelle sue braccia e un giorno ci ritroveremo con gioia»


Il «cammino del morire», che bugia – di Michele Aramini – Avvenire, 5 febbraio 2009
Molti ele­menti della vi­cenda Englaro sono stati trattati con im­precisione da parte della stampa e del­la tv. Ma c’è un elemento di impreci­sione che parte direttamente dalle af­fermazioni del padre e del professor Defanti, il medico che egli ha scelto per farsi assistere. Essi affermano che la sospensione dell’alimentazione e del­l’idratazione farebbe riprendere «il cammino naturale del morire iniziato con l’incidente e interrotto dai proto­colli rianimativi obbligatori».
Che cosa si vuol dire con queste affer­mazioni? Forse che al momento del­l’incidente non si sarebbe dovuti in­tervenire, lasciando senza assistenza la persona coinvolta? È necessaria una breve riflessione per capire che cosa può stare dietro queste parole.
Prima dell’introduzione delle tecni­che di rianimazione cardiopolmo­nare i malati che rimanevano in stato di coma per più di qualche gior­no
Chi ha rianimato Eluana «le ha impedito la fine» O le ha salvato la vita?
fatalmente soccombevano per le so­pravvenute complicanze respiratorie, infettive o metaboliche. Oggi abbiamo la fortuna di avere una terapia intensi­va che riesce a strappare alla morte mi­gliaia di persone. Resta vero che in un certo numero di casi il paziente muo­re ugualmente per la gravità dei trau­mi subiti, mentre in altri casi si recu­pera parzialmente e in casi più rari non si ha la ripresa della capacità relazio­nale ordinaria. È tra questi che si col­loca lo stato vegetativo. Esso è la con­dizione clinica che solitamente conse­gue ad uno stato di coma, ed è consi­derabile come l’esito non voluto di un intervento sanitario sempre più preco­ce, efficace ed esteso sul territorio.
L’ incidenza dello stato vegetativo è stimata in 0.7-1.1/100 mila abi­tanti; i nuovi casi sono circa 2.5­3.5/100 mila abitanti all’anno. Circa un terzo degli stati vegetativi è di ori­gine traumatica. La sopravvivenza me­dia varia da sei mesi a 10 anni. Per ac­cogliere adeguatamente questi pazien­ti la Commissione del Ministero della Salute sullo Stato vegetativo stima un bisogno da 1500 a 2600 posti letto per l’intero territorio nazionale.
Ciò che caratterizza le persone in sta­to vegetativo è, tra l’altro, la man­canza di consapevolezza di sé o dell’ambiente e l’incapacità di intera­gire con gli altri. In realtà la questione dello stato di coscienza è molto con­troversa e solleva questioni etiche di grave importanza. Tutti i ragionamen­ti che si fanno attorno a questi malati, ed in particolare quello che vorrebbe riconosciuta la liceità morale della so­spensione dell’idratazione e dell’ali­mentazione, si basano infatti su due affermazioni non dimostrate: a) in nes­sun momento questi pazienti sono consapevoli di sé e dell’ambiente e b) mai sono in grado di provare dolore o sofferenza.
Inoltre non dobbiamo dimenticare che lo stato vegetativo 'persistente' non indica una diagnosi, ma una prognosi e quindi ha un contenuto probabilistico. «A tutt’oggi non è pos­sibile definire con certezza uno stato ve­getativo come irreversibile», perché la capacità plastica del cervello riserva sempre nuove sorprese. Ciò è partico­larmente vero nel caso di lesioni cere­brali post-traumatiche. Per questa ra­gione il termine permanente è stato e­liminato dalla Conferenza mondiale di neurologia di Londra del 1997.
Nella maggior parte dei casi è tuttavia possibile predire un rischio di disabi­lità severa, ma non di morte prossima. Chi parla di processo di morte inqui­na concettualmente il discorso. La ve­ra questione è però un’altra. Esistono persone, e tra queste si collocano sia Beppino Englaro sia il prof. Defanti, che considerano «come morte» le per­sone senza capacità relazionali. Essi stessi lo hanno più volte affermato. Ma tale affermazione va contro la realtà, perché il corpo vivente in modo auto­nomo non può essere considerato un ammasso di cellule. In realtà è la per­sona umana nella sua interezza, que­sta infatti si trova dove si trova il suo corpo. Il fatto che la persona viva nel­la difficile condizione del 'silenzio', non la fa essere meno persona.