mercoledì 11 febbraio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) ELUANA – VOLANTINO DI CL «CI VORREBBE UNA CAREZZA DEL NAZARENO»
2) il Foglio 10 febbraio 2009 - Don Aldo Trento restituisce l'onorificenza a Napolitano
3) Ciao Elu, un pezzo d'Italia muore con te - stefano.lorenzetto@ilgiornale.it - Il Giornale n. 6 del 2009-02-09
4) cattodisidratatori che hanno abbandonato Cristo - per adorare la Costituzione - Camillo Langone, Il Foglio, 10 febbraio 2009
5) Tra patologia psichiatrica e satanismo culturale - Intervista al Presidente dell'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici - di Mirko Testa
6) 10/02/2009 15:50 – INDIA - Dopo i pogrom anche la discriminazione politica: i cristiani dell’Orissa non possono votare - Nel Kandhamal sono fuori dalle liste elettorali. Oltre 70mila sono senza documenti, segregati nei campi profughi e lontani dai loro villaggi. A rischio la loro partecipazione al voto per il rinnovo del parlamento nazionale e delle istituzioni locali, previste tra aprile e maggio.
7) IDEOLOGIA/ Quel linguaggio che trasforma la morte di Eluana in “applicazione del protocollo” - Adriano Dell'Asta - mercoledì 11 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
8) L’identità di Obama - Lorenzo Albacete - mercoledì 11 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
9) SCUOLA/ Gelmini: ecco come sto lavorando alla riforma delle superiori - INT. Mariastella Gelmini - mercoledì 11 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
10) EUTANASIA/ Criteri scientifici? Ecco come si sceglie di far morire neonati e disabili - Mario Gargantini - mercoledì 11 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
11) Da Nord a Sud gli interventi dei presuli di fronte alla terribile vicenda che interroga le coscienze e sollecita i credenti a esprimersi in modo ancora più inequivocabile a favore della vita - I vescovi: «Una ferita per il nostro popolo» - Bagnasco: eutanasia, una deriva da fermare subito - DA ROMA SALVATORE MAZZA – Avvenire, 11 febbraio 2008
12) La Caritas aiuta 2000 famiglie di Gaza
13) Cattive nuove dalla Cina. A Pechino s'è aperta una breccia - Tra l'obbedienza al papa e quella al partito comunista alcuni vescovi scelgono la seconda. Il voltafaccia più clamoroso è avvenuto nella capitale. Una lettera segreta del cardinale Bertone. L'allarme del cardinale Zen - di Sandro Magister


ELUANA – VOLANTINO DI CL «CI VORREBBE UNA CAREZZA DEL NAZARENO»
«L’esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque» (Enzo Jannacci, Corriere della Sera, 6 febbraio 2009).
Ma una vita come quella di Eluana si può riempire di senso? Ha ancora significato?
La morte di Eluana non ha chiuso la porta a queste domande. Anzi. Non è tutto finito, come un fallimento della speranza per chi la voleva ancora in vita, o come una liberazione per chi non riteneva più sopportabile quella situazione. Proprio ora la sfida si fa più radicale per tutti.
La morte di Eluana urge come un pungolo: come ciascuno di noi ha collaborato a riempire di senso la sua vita, che contributo ha dato a coloro che erano più direttamente colpiti dalla sua malattia, cominciando da suo padre?
Quando la realtà ci mette alle strette, la nostra misura non è in grado di offrire il senso di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Soprattutto, di fronte a circostanze dolorose e ingiuste, che non sembrano destinate a cambiare o a risolversi, viene da domandarsi: che senso ha? La vita non è forse un inganno?
Il senso di vuoto avanza, se rimaniamo prigionieri della nostra ragione ridotta a misura, incapace di reggere l’urto della contraddizione. Ci troviamo smarriti e da soli con la nostra impotenza, col sospetto che in fondo tutto è niente.
Possiamo «riempire di senso» una vita quando ci troviamo davanti a una persona come Eluana? Possiamo sopportare la sofferenza quando supera la nostra misura? Da soli non ce la facciamo. Occorre imbattersi nella presenza di qualcuno che sperimenti come piena di senso quella vita che noi stessi invece viviamo come un vuoto devastante.
Neanche a Cristo è stato risparmiato lo sgomento del dolore e del male, fino alla morte. Ma che cosa in Lui ha fatto la differenza? Che fosse più bravo? Che avesse più energia morale di noi? No, tanto è vero che nel momento più terribile della prova ha domandato che gli fosse risparmiata la croce. In Cristo è stato sconfitto il sospetto che la vita fosse ultimamente un fallimento: ha vinto il Suo legame col Padre.
Benedetto XVI ha ricordato che per sperare «l’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: “Né morte né vita… potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù” (Rm 8,38-39). Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltanto allora – l’uomo è “redento”, qualunque cosa gli accada nel caso particolare» (Spe salvi 26).
La presenza di Cristo è l’unico fatto che può dare senso al dolore e all’ingiustizia. Riconoscere la positività che vince ogni solitudine e violenza è possibile solo grazie all’incontro con persone che testimoniano che la vita vale più della malattia e della morte. Questo sono state per Eluana le suore che l’hanno accudita per tanti anni, perché, come ha detto Jannacci, anche oggi «ci vorrebbe una carezza del Nazareno, avremmo così tanto bisogno di una sua carezza», di quell’uomo che duemila anni fa ha detto, rivolgendosi alla vedova di Nain: «Donna, non piangere!».
Comunione e Liberazione
10 febbraio 2009


il Foglio 10 febbraio 2009 - Don Aldo Trento restituisce l'onorificenza a Napolitano
Aldo Trento è dal 1989 uno dei più noti missionari della Fraternità San Carlo Borromeo in Paraguay. Ha sessantadue anni ed è responsabile di una clinica per malati terminali di Asunción. Il 2 giugno scorso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, gli aveva conferito il titolo di Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà. Ieri Trento ha restituito l’onorificenza a Napolitano a causa della mancata firma del decreto che avrebbe arrestato il protocollo medico per Eluana Englaro. “Come posso io, cittadino italiano, ricevere simile onore quando Lei, con il suo intervento, permette la morte di Eluana, a nome della Repubblica italiana?”. “Ho più di un caso come Eluana Englaro”, racconta Aldo Trento al Foglio. “Penso al piccolo Victor, un bambino in coma, che stringe i pugni, l’unica cosa che facciamo è dargli da mangiare con la sonda. Di fronte a queste situazioni come posso reagire al caso Eluana? Ieri mi portano una ragazza nuda, una prostituta, in coma, scaricata davanti a un ospedale, si chiama Patrizia, ha diciannove anni, l’abbiamo lavata e pulita. E ieri ha iniziato a muovere gli occhi. Celeste ha undici anni, soffre di una leucemia gravissima, non era mai stata curata, me l’hanno portata soltanto per seppellirla. Oggi Celeste cammina. E sorride. Ho portato al cimitero più di seicento di questi malati. Come si può accettare una simile operazione come quella su Eluana? Cristina è una bambina abbandonata in una discarica, è cieca, sorda, trema quando la bacio, vive con una sondina come Eluana. Non reagisce, trema e basta, ma pian piano recupera le facoltà. Sono padrino di decine di questi malati. Non mi interessa la loro pelle putrefatta. Vedesse i miei medici con quale umiltà li curano”. Don Aldo Trento dice di provare un “dolore immenso” per la storia di Eluana Englaro. “E’ come se mi dicessero: ‘Ora ti prendiamo i tuoi figli malati’. Il caso di Udine ha sconvolto tutti, medici e infermieri. L’uomo non si può ridurre a questione chimica. Come può il presidente della Repubblica offrirmi una stella alla solidarietà nel mondo? Così ho preso la stella e l’ho portata all’ambasciata italiana del Paraguay. Qui il razionalismo crolla lasciando spazio al nichilismo. Ci dicono che una donna ancora in vita sarebbe praticamente già morta. Ma allora è assurdo anche il cimitero e il culto dell’immortalità che anima la nostra civiltà”.


Ciao Elu, un pezzo d'Italia muore con te - stefano.lorenzetto@ilgiornale.it - Il Giornale n. 6 del 2009-02-09
Diceva Jean Cocteau che il verbo amare è uno dei più difficili da coniugare: il suo passato non è semplice, il suo presente non è indicativo e il suo futuro non è che condizionale. Poche figlie sono state più amate di Eluana Englaro, nata a Lecco il 25 novembre 1970 e morta per fame e per sete a Udine il 9 febbraio 2009. L’ha amata disperatamente sua madre, al punto da voler scomparire con lei dalla scena pubblica ben prima che questa catastrofe collettiva avesse un prologo e un epilogo. L’ha amata suo padre, tanto da pretendere per lei la morte pur di sottrarla alla cosiddetta «non vita». L’hanno amata suor Albina e le suore misericordine di Lecco, che l’hanno accudita con eroica abnegazione per 17 anni e se la sono vista portar via con la forza, avendo solo il tempo d’inviarle un’ultima carezza via etere, dal Tg1: «Eluana, non avere paura di quello che ti succederà». L’hanno amata i medici, che si sono prodigati prima per restituirla alla sua gioventù, poi per alleviarne le sofferenze e infine per «liberarla» dal suo corpo trasformatosi in gabbia. L’hanno amata i magistrati, che hanno decretato che cosa fosse buono e giusto per lei. L’hanno amata gli amici, che si sono presentati puntualmente nelle corti di giustizia per parlare a suo nome, per testimoniare che Eluana aveva detto così, che Eluana avrebbe voluto cosà. L’ha amata il signor presidente della Repubblica, che con accenti dolentissimi s’è preoccupato acciocché la sostanza non avesse a prevalere sulla forma. L’hanno amata gli eletti dal popolo, anche se non fino al punto di rinunciare al loro week-end. L’hanno amata i giornali, che si sono industriati per spiegare ai lettori argomenti per lo più oscuri alla maggioranza di coloro che vi lavorano. L’abbiamo amata noi, gli italiani, equamente divisi fra quelli che fino all’ultimo non si sono rassegnati a vederla condannata al più atroce dei supplizi e quelli che hanno ostinatamente cercato in tutti i modi di farla ammazzare per il suo bene. Povera Eluana, uccisa dall’eccesso di amore! Accadde la stessa cosa ad Alessandro Magno, di cui i libri di storia ancor oggi narrano che morì grazie all’aiuto di troppi medici. Proprio come te. L’evidenza, sotto gli occhi di tutti, è che gli italiani non sanno più coniugare il verbo amare. Né al passato, né al presente, né al futuro. Dovrebbero andare a ripetizione. Già, ma da chi? Io un’idea, politicamente scorretta ai limiti dell’osceno, mi permetto di suggerirla: da Dio. Sì dall’Onnipotente, un tempo Onnipresente, che invece è divenuto il Grande Assente in questa nostra società, e non certo per Sua volontà. Ma poiché il signor Beppino Englaro ha spiegato che nessuno gli può imporre i valori della trascendenza, mi fermo sull’uscio del suo cuore, da ieri sera più vuoto che mai. Se solo questo padre sventurato ce l’avesse consentito, se solo avesse lasciato che sua figlia continuasse a sperimentare lo scandalo di mani pietose che per anni l’hanno lavata, pettinata, nutrita, vestita, girata nel letto, portata a spasso in giardino, oggi avrei provato a consolarlo, pur reputandolo il primo responsabile di questa tragedia, con le parole di don Primo Mazzolari, un parroco di campagna col quale si sarebbe inteso al primo sguardo: «Due mani che mi prendono quando più nessuna mano mi tiene: ecco Dio». Può non crederci, ma dalle 20.10 di ieri sera Eluana è in mani sicure. E anche con le parole di un Papa che passava per buono e che un giorno confortò così i malati radunati davanti al santuario della Madonna di Loreto: «La vita è un pellegrinaggio. Siamo fatti di cielo: ci soffermiamo un po’ su questa terra per poi riprendere il nostro cammino». Può non crederci, ma sua figlia era fatta più di cielo che di materia. Purtroppo gli uomini del terzo millennio ormai bastano a loro stessi. Hanno la Costituzione, il Parlamento, le Leggi, la Società Civile, la Laicità, le Opinioni, la Libertà di Coscienza e insomma un po’ tutto quel che gli serve per essere felici su questa Terra. Non hanno più bisogno di Dio. Per questo Dio è stato abrogato. Allora ascoltino almeno le parole di uno psicoanalista, Carl Gustav Jung. Così saggio da ricordare a se stesso e ai suoi pazienti che «il timor di Dio è l’inizio della sapienza». Così lungimirante da far scolpire sei parole nella pietra sulla porta della propria casa: «Vocatus atque non vocatus, Deus aderit». Invocato o non invocato, Dio verrà. Giorno d’ira, sarà quel giorno.
di Stefano Lorenzetto
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it - Il Giornale n. 6 del 2009-02-09


cattodisidratatori che hanno abbandonato Cristo - per adorare la Costituzione - Camillo Langone, Il Foglio, 10 febbraio 2009
Scrivo spossato dagli antibiotici e dalla grande apostasìa che vedo manifestarsi in questi giorni in Italia. Non mi riferisco quindi al tandem Napolitano-Fini (il patto Molotov-Ribbentrop come lo chiama il mio amico avvocato Formicola): i due stanno anzi ritornando alle origini, alle ideologie di quando erano giovani, al comunismo e al fascismo che contemplavano l’assassinio politico e la violenza come levatrice della storia. Gli omicidi di Giacomo Matteotti, Lev Trotsky ed Eluana Englaro si assomigliano nella lunga premeditazione e nell’esemplarità: l’obiettivo è forzare la legislazione, imporre nuovi costumi, spegnere la libertà di espressione (i carabinieri che indagano sugli autori delle scritte “Peppino boia” mi ricordano la censura fascista che si scatenò subito dopo il delitto Matteotti, quando non si poteva più parlare di suicidi, omicidi, niente, e sui giornali ogni morte doveva risultare naturale).

Mi riferisco invece ai mangiaostie a tradimento, ai cattodisidratatori, agli uomini che hanno platealmente abbandonato Cristo per mettersi ad adorare la Costituzione (neanche un vitello d’oro, un vecchio pezzo di carta) organizzando in suo onore un bel sacrificio umano. Ciampi e Scalfaro, i due emeriti che per riflesso castale hanno subito solidarizzato con Napolitano, sono i farisei a cui si rivolge Gesù sul lago di Tiberiade: “Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione. Ipocriti!”. Sembra che ogni domenica gli emeriti, cattolici praticantissimi, sporgano la linguetta per ricevervi l’ostia consacrata ma devo avvisarli che da oggi la linguetta dovranno tenerla riposta.


Penseranno mica che gli unici esclusi dalla comunione siano i divorziati risposati? Forse Scalfaro sì, penserà così, per il suo cattolicesimo tutto moralismo e nessuna sostanza che lo portò, un giorno lontano, a inveire contro una donna colpevole di scollatura eccessiva. Si ripassi il catechismo: “L’omicida e coloro che volontariamente cooperano all’uccisione commettono un peccato che grida vendetta al cielo”. Inoltre: “Preoccupazioni eugenetiche o di igiene pubblica non possono giustificare nessuna uccisione, fosse anche comandata dai pubblici poteri”. Ancora: “La legge morale vieta di rifiutare l’assistenza a una persona in pericolo”. Risultato: per Ciampi e Scalfaro niente comunione fino a data da destinarsi, per le signore scollate e scollatissime sì.

Il terzo emerito, nel senso di vescovo, è monsignor Giuseppe Casale, il Williamson di Puglia, un altro che fa danni ogni volta che apre bocca. Noi di Trani lo conosciamo bene: è il classico vescovo democristiano, corrente morotea, lo ascoltavi e ti veniva voglia di diventare missino, brigatista, buddista, tutto meno che democratico e cristiano. Ha convertito all’ateismo migliaia di foggiani. “Neanche io vorrei vivere attaccato alle macchine come Eluana, anche per me chiederei di staccare la spina”. Di che macchine parla? Non sa niente (la ragazza non viveva attaccata alle macchine!) però parla. Ha un bel dire il cardinal Ruini che “la chiesa non può consentire – tanto più quando un caso ha rilevanza pubblica – che si rivendichi nello stesso tempo l’appartenenza al cattolicesimo e l’autonomia nel decidere sulla propria vita”. Qui bisogna passare al fare: degradare i prelati che seminano scandalo e zizzania. Gesù per gente simile parla di una macina al collo e un tuffo dove l’acqua è più blu, ma anche Pio XI ebbe un’idea non male: convocò il riottoso cardinale Billot che entrò nello studio papale con zucchetto, anello e croce pettorale e ne uscì senza: semplice prete. C’è bisogno di umili lavoratori nella vigna del Signore. Riccardo Muti, vincitore del Premio internazionale medaglia d’oro al merito della cultura cattolica, si candida a nostro piccolissimo Karajan. Il direttore austriaco faceva le cose più in grande, nel ’55 gli ebrei lo accolsero alla Carnegie Hall gridando: “Ha aiutato Hitler a sterminare milioni di persone”. Muti, avendo al San Carlo abbracciato Napolitano e inneggiato alla Costituzione che uccide, eventualmente lo si potrà accusare di complicità morale nella morte di una disabile sola. Un dilettante.

All’interno del Pd (Partito democratico o Protocollo di disidratazione) alcuni cattolici dopo lunga riflessione hanno elaborato la seguente linea: “Meglio far morire Eluana che dar ragione anche solo per una volta a Berlusconi”. Livia Turco ci tiene che Crono mangi sua figlia, diamine, ha pure l’autorizzazione della magistratura. Altri determinati all’assetamento si chiamano Dario Franceschini, Ignazio Marino e Roberta Pinotti, quest’ultima per ragioni di bon ton: “Sono cattolica ma voto no e giudico una caduta di stile quella della Chiesa”. Gesù sul calvario le sta chiedendo di dargli da bere e lei risponde che la domanda è malposta. Che impressione, che paura, vedere quante persone lasciano la parrocchia per convertirsi a una specie di religione azteca.


Tra patologia psichiatrica e satanismo culturale - Intervista al Presidente dell'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici - di Mirko Testa

ROMA, lunedì, 9 febbraio 2009 (ZENIT).- Al giorno d’oggi, tra le diverse forme di devianza giovanile, quello a cui si assiste è il dilagare dell’ancora più preoccupante fenomeno del satanismo culturale, complici la facile reperibilità di contenuti esoterici in Internet e la mancanza di valori forti in famiglia.

Ne è convinto il dott. Tonino Cantelmi, psichiatra e Presidente dell’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (www.aippc.net), coautore con la psicoterapeuta Cristina Cacace de “Il libro nero del satanismo” (Ed. San Paolo), che parla di una vera e propria invasione dei richiami alla cultura satanica attraverso i libri, le riviste, ma soprattutto la blogosfera e il cinema.

Cantelmi mette in guardia in particolare sui nuovi drammatici scenari che attendono l’uomo del prossimo decennio e che non saranno più paradisi oppiacei o cocainici ma paradisi telematici: Second Life, le chat, Internet, facebook proiettano infatti uno scenario da umanità depressa, più compulsiva.

In questa intervista a ZENIT, Cantelmi esplora il confine tra possessioni demoniache e psicopatologie.

La nostra società ipertecnologica è veramente così affascinata dal satanismo?

Cantelmi: La questione vera è: abbiamo a che fare con crudeli adulatori di satana o con fragili figli dei tempi moderni? Secondo i nostri calcoli, in Italia sono circa 5.000 le persone che hanno a che fare in maniera diretta con un tema satanista ma stiamo assistendo ad un satanismo culturale e allo sviluppo di un satanismo ateo dove satana è l’occasione per un ulteriore nascondimento, è una evoluzione.

Se fino all’altro giorno il satanismo si nascondeva dietro le belle ombre delle città o nelle ville delle campagne, oggi in rete il satanismo ha pieno diritto di cittadinanza: è diventato un satanismo di consumo.

I nostri giovani sono affascinati da una serie di credenze, di sette, da religioni differenti rispetto a quella di appartenenza. Nel campione che è stato esaminato nel 76% dei casi i giovani sono interessati a magie, cartomanzia, ritualismo, iniziazione, esoterismo; mentre il contatto con materiale satanico è facilissimo nel 78% soprattutto attraverso la musica, la filmologia, i libri e Internet.

Rispondendo a domande più specifiche più della metà dei giovani si è detto incuriosito dal satanismo; un giovane su tre dichiara di esserne affascinato; il 10% ha detto che se satana gli assicurasse la felicità non avrebbe difficoltà ad aderirgli. Segno questo dell’infelicità e della sofferenza che c’è nel mondo d’oggi. Un frase molto diffusa in rete, in tutte le homepage di siti satanici, è una frase di John Milton tratta da “Paradise Lost”: “Meglio sovrani all’inferno che servi in paradiso”.

Veniamo all’argomento centrale: davvero si può parlare da un lato di fenomeni soprannaturali e dall’altro di patologie psichiatriche? Esiste una zona grigia di confine dove questi elementi si confondono?

Cantelmi: In uno studio condotto su una decina di persone, tra le quali - secondo gli esorcisti - erano sicuramente presenti dei fenomeni soprannaturali, sono emerse anche problematiche psichiatriche. Il compito si complica in modo straordinario se il problema consiste nel distinguere tra persone che soffrono di malattie psichiatriche e persone che vivono esperienze soprannaturali. Sarebbe tutto più semplice ma purtroppo la fragilità psichica è un modo di ingresso straordinario di sofferenze di diverso tipo.

Questo indica che psichiatri ed esorcisti devono collaborare. Molti psichiatri sono indifferenti, relegano il mondo dell’esorcismo ad un mondo della superstizione; la psichiatria e la psicologia sono scienze relativamente giovani che hanno dovuto combattere per definire i propri statuti epistemologici e che hanno molte aree di confine. Il solo stabilire cos’è normale e cos’è patologico richiede contributi dell’antropologia, della filosofia.

Freud, che per noi è come un preistorico, categorizza il fenomeno religioso all’interno delle problematicità nevrotiche; tende a non vederne consistenza, realtà; tende a vederne l’aspetto del vissuto nevrotico. Proprio di questi tempi sto denunciando la discriminazione che i pazienti credenti subiscono nelle psicoterapie perché i loro valori vengono spesso irrisi da molti terapeuti oppure il più delle volte ignorati.

Nel 1999 abbiamo fondato l’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici con l’obiettivo di aiutare la psicologia e la psichiatria a dialogare con altre scienze, con l’antropologia e con la teologia, convinti che una psicologia onesta può trarre arricchimento dai diversi contributi.

Una cosa che va combattuta sono i sincretismi cioè gli psicosantoni, gli psichiatri, gli psicologi che benedicono, che pregano con i loro pazienti. Lo psichiatra deve fare lo psichiatra!

Credo, inoltre, che noi psichiatri non siamo in grado di spiegare tutta la realtà umana. Ho scoperto che gli esorcisti sono persone molto evolute. Riescono a individuare la sofferenza psichica e ad affidare con fiducia i pazienti alle cure dello psichiatra. Gli esorcisti sono assolutamente aperti al contributo degli psichiatri

Quale tipo di disturbi psichici può simulare la possessione demoniaca?

Cantelmi: Entrando nello specifico della psichiatria si spalancano davanti a noi due grandi ambiti: il delirio e le allucinazioni. Noi chiamiamo delirio il disturbo del pensiero mentre le allucinazioni sono un disturbo delle percezioni. Sono due aree psicopatologiche diverse dal punto di vista psichico: il pensiero è un processo mentale che comporta la manipolazione di simboli; avviene attraverso la formazione di concetti, attraverso meccanismi di astrazione, di generalizzazione, attraverso un ragionamento, attraverso processi elaborati che utilizzano regole per arrivare a risultati corretti.

Gli psichiatri distinguono due grandi aree sintomatologiche per quanto riguarda i disturbi del pensiero: i disturbi del contenuto che riguardano le idee e investono tutta l’area del delirio, e i disturbi formali che riguardano il modo in cui queste idee vengono messe insieme.

Come si identifica un delirio? Innanzitutto, il delirio è immodificabile, non è sottoponibile a critica, è caratterizzato da un contenuto non coerente con la realtà. Ci sono deliri facilmente individuabili e deliri invece molto più consistenti e molto più difficilmente individuabili.

Il delirio può essere bizzarro, privo cioè di logica in sé e per sé, o sistematico, e quindi presentare una logica interna. Il delirio può essere di vario tipo: di influenza, di riferimento, di persecuzione, di grandezza, di gelosia – il coniuge è un traditore –, erotomanico – una persona importante è innamorata di me – , ipocondriaco, somatico – sento che il mio fegato è diventato di vetro –, mistico, di colpa, di rovina, nichilistico – il paziente ha la convinzione di essere morto -.

Il delirio è poi un sintomo che appartiene a più patologie, per esempio appartiene all'eccitamento maniacale e qui le cose si complicano perché il paziente in questo stato è un paziente intelligente, attivo, propositivo che magari ha un delirio di grandiosità e che magari ha anche allucinazioni, vede delle cose, sente delle voci, si costruisce una realtà, l’articola e la spiega bene. Può essere convincente e molto difficile cogliere questi aspetti. In un delirio di influenzamento il soggetto sente che nella sua testa vengono inseriti dei pensieri, è convinto di essere telecomandato.

Gran parte dei deliri sono di persecuzione: il soggetto interpreta come contro di sé avvenimenti e fatti. Un'altra caratteristica è che questo contenuto viene sempre autoriferito: sono qui a parlare con voi, passa una macchina e suona il clacson, per me delirante è un segnale, conferma quello che sto pensando, cioè riferisco a me una serie di esperienze che sono casuali.

Alcuni deliri sono nascosti, c’è gente che delira e tiene dentro di sé il delirio. Oggi la società competitiva sviluppa più deliri di persecuzione, di minaccia, di aggressione ma il punto importante è che il delirio non è solo, si accompagna ai disturbi delle percezioni che in genere vanno a confermare il delirio. Per esempio nel delirio di veneficio (c'è qualcuno che mi sta avvelenando) quando assaggio un certo cibo sento il sapore velenoso, ho un’allucinazione gustativa, ne sento l’odore. Ho avuto un paziente che ha demolito una parete perché aveva una allucinazione olfattiva, sentiva l’odore di zolfo ed era convinto che in quella parete ci fosse il demonio.

Le allucinazioni visive che possono essere campiche (vi sto guardando e vedo comparire accanto a voi la Madonna) o extra campiche (la vedo dietro, non la vedo, ma il mio cervello costruisce un’immagine, ha allucinazioni olfattive, gustative, visive, tattili).

I più frequenti in assoluto sono i deliri uditivi, cioè quando sento delle voci che commentano il mio agire, che mi offendono, che mi aggrediscono, che non mi lasciano in pace, che mi comandano, voci teleologiche che mi danno il senso di quello che sto facendo, voci che interpretano gli altri, voci che indicano un comportamento. Allora, posso sentirmi perseguitato da una persona, sento che il suo sguardo mi sta dicendo molte cose, sento che è una voce maschile, è la voce di Dio.

Tra i disturbi del pensiero vi è anche l’insalata di parole, il parlare associando idee e concetti per assonanza, senza neanche conoscerne il senso. Nella schizofrenia il soggetto inventa parole, neologismi, parla con un ritmo e sembra veramente un'altra lingua, pur non avendo alcuna attinenza con un'altra lingua.

I disturbi formali del pensiero possono anche essere positivi: il soggetto parla molto in modo circostanziato, poi avviene il fenomeno della fuga delle idee cioè si blocca perché le parole non riescono più a stare dietro al pensiero che va velocissimo. Oppure la tangenzialità, l’incapacità di fare associazioni di pensiero (il soggetto parte da un punto e non arriva mai a dire quello che deve dire). C’è poi la glossolalia cioè l’espressione di messaggi rivelatori, con parole incomprensibili tipico degli schizofrenici, quando il soggetto è convinto di avere un annuncio per l'umanità. Oppure l’ecolalia, ovvero l’impossibilità di parlare se non ripetendo ciò che gli altri dicono. Esiste anche un’eco dei gesti, un’eco motoria, quando le persone non fanno altro che ripetere i gesti che vedono fare.

Ci sono poi i disturbi negativi come il blocco delle idee: il soggetto risponde sempre nello stesso modo, ha povertà nell’eloquio. Il clou del disturbi formali del pensiero è il disturbo ossessivo che è caratterizzato da pensieri, impulsi, immagini che io sento come estranei e provo a scacciare ma senza riuscirci e per farlo devo dare vita a dei riti, a delle compulsioni. Ho un paziente ossessivo che mentre recita le Lodi della mattina, comincia a pensare a una persona. Il pensiero ossessivo, che è un pensiero anche magico, gli si insinua e dice: “Quella persona oggi morirà”, “Sono responsabile della morte di quella persona”; “Se mi capita in questo Salmo, lo ripeterò nove volte”, pensa allora il mio paziente.

Molti ossessivi hanno spesso l’impulso a ridere in un funerale e a bestemmiare in una chiesa. Il realtà il paziente ossessivo non lo fa mai, non cede ma ne soffre e li combatte perché poi la sua vita è fatta di compulsioni che sono il versante comportamentale delle ossessioni. La vita di un ossessivo si trasformerà nel tempo in una vita terribile e dolorosa di compulsioni. Da sempre questo psichismo che già Freud definì “parassita” ha pervaso l’umanità e da sempre l’ossessività è stata ritenuta una follia lucida ma di grande sofferenza.


Tra patologia psichiatrica e satanismo culturale (parte II) - Intervista al Presidente dell'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici - di Mirko Testa

ROMA, martedì, 10 febbraio 2009 (ZENIT.org).- La rinuncia al ruolo, il narcisismo e la disperata ricerca della felicità sono gli ingredienti alla base della crisi nelle relazioni interpersonali e della fragilità psichica degli individui, visibili al giorno d'oggi.
Continuando nella sua analisi, Cantelmi svela quegli scenari di depressione, disagio e angoscia che spesso spalancano le porte al satanismo come risposta facile e immediata alla ricerca di senso.
La prima parte dell'intervista è stata pubblicata il 9 febbraio.
L’altro grande campo che in genere si mescola con il delirio è il disturbo delle percezioni...
Cantelmi: Sì, e queste percezioni possono essere di vario tipo: abbiamo le illusioni, le allucinazioni, le paraedolie e le pseudo-allucinazioni. Le illusioni, che sono degli errori compatibili con lo stato emotivo del soggetto, appartengono all'umanità del nostro essere, non danno luogo a patologie. Sono le allucinazioni che danno luogo a patologie. Nelle paraedolie vedo una macchia sul muro e mi sembra un animale, sono pseudo-allucinazioni. Molti non riferiscono di sentire delle voci, lo capisci perché mentre gli parli sembra che stiano ascoltando qualcos’altro. Magari la voce gli sta dicendo: “ti puoi fidare” oppure “non ti fidare”.
Qui siamo in presenza di una falsa percezione sensoriale non associata a stimoli esterni. Può anche esserci una interpretazione delirante dell’esperienza allucinatoria. Alcune allucinazioni che accompagnano l’addormentamento si chiamano ipnagogiche e si trovano anche in quadri normali. Possiamo avere forme di allucinazione quando ci addormentiamo o quando ci svegliamo, ma non sono patologiche. Le allucinazioni possono anche essere di comando: le più frequenti sono quelle uditive; quelle visive sono soprattutto negli stati di eccitazione maniacale in cui il soggetto vede e interagisce con delle divinità; quelle olfattive, le più frequenti, sono legate ad allucinazioni relative all’odore zolfo quelle tattili sono molto interessanti e molto diffuse c’è la sensazione che qualcuno o qualcosa, qualche insetto, qualche realtà o qualche entità abbia a che fare con me. Specialmente se c’è una struttura isterica di personalità la cosa più frequente è la percezione di rapporti sessuali.
La schizofrenia è una patologia immensa. E' il grande enigma della psichiatria. Sulla schizofrenia abbiamo tantissime conoscenze ma non abbiamo né conoscenze risolutive né interventi farmacologici o terapeutici risolutivi. Esiste un alto numero di pazienti schizofrenici con le forme più strane, più bizzarre, più clamorose, più nascoste. L’antica isteria è stata scomposta dall’attuale nosografia in più gruppi sintomatici:i disturbi somatoformi, il disturbo istrionico di personalità, e la fuga psicogena.
Attualmente, assistiamo a una trasformazione dei disturbi dell’ansia in disturbi somatoformi, cioè in sintomi fisici di ogni tipo che non rientrano in patologie mediche ma che hanno un’origine psicologica. Un esempio è la cecità isterica, quando un soggetto che non vede più (e riacquista la vista la notte di Pasqua) come capitò ad una mia paziente isterica. E' un caso specifico che ho seguito io personalmente. Poi un’altra parte di isteria lo abbiamo chiamato disturbo istrionico di personalità, che riguarda persone particolarmente suggestionabili, bisognose di attenzioni e molto dipendenti. Altri disturbi isterici li abbiamo convertiti in disturbi come la fuga psicogena: il soggetto improvvisamente scappa di casa e non ricorda più nulla, ha un’amnesia di quello che ha fatto; oppure il soggetto dimentica tutto quello che gli è successo senza un evento traumatico.
Poi abbiamo i disturbi della personalità. Gran parte di essi contaminano molte delle persone che vengono a chiedere aiuto. Tutte le forme dissociative, i disturbi del controllo degli impulsi. La nostra società che è estremamente efficiente, iper-controllata, assiste all’incremento del disturbo del controllo degli impulsi. Il soggetto perde il controllo di se stesso, improvvisamente, in contesti impropri. Diventa aggressivo e sfascia tutto o non riesce a reggere la tensione e urla. In genere riguarda l’area dell’aggressività, le forme di trans-dissociativa. Si tratta di soggetti che vanno incontro a forme di sospensione della coscienza su base dissociativa. Lo abbiamo per esempio in chi utilizza molto il computer.
Un quadro su cui spesso i genitori richiedono lumi è un quadro di un bambino incontenibile che non sta mai fermo, disattento, che non controlla gli impulsi, questo è il quadro della ADHD, disturbo da deficit dell’attenzione e da iperattività, un quadro di un bambino vivace che sembrerebbe esser preda di uno spirito che gli fa fare mille cose. I genitori non riescono a contenerlo, a gestirlo. Il bambino in realtà ha un deficit dell'attenzione, è talmente veloce che non riesce a tenere l’attenzione per un secondo su quello che sto dicendo. Se entra in un supermercato mette a soqquadro il supermercato intero perché è stato attratto da tutto con una velocità straordinaria.
Alcuni con l’ADHD - che non si associa a ritardo mentale - sono diventati dei veri e propri geni: Mozart ad esempio ne soffriva. La società attuale assiste a un incremento del numero di bambini iperattivi, incontrollabili come se fossero animati da una molla che improvvisamente scatta. Inoltre, mentre prima eravamo impressionati dall’abuso che un adulto fa a un bambino oggi siamo impressionati dagli abusi che i bambini compiono su altri bambini, un fenomeno estremamente significativo.
Su cosa poggia questa fragilità dell’uomo d’oggi?
Cantelmi: Esistono delle radici, che uno psichiatra nota e che sono alla base di questa nuova fragilità dei nostri tempi legata soprattutto alla crisi delle relazioni interpersonali. Il terzo millennio è caratterizzato da una relazione tecno-mediata. Oggi nulla è più complesso, più difficile che intessere una relazione interpersonale stabile e duratura. Si teorizza per esempio la polifedeltà, cioè l’impossibilità di essere fedeli ad una sola persona.
“Be happy”, un sito di psichiatria cosmetica, si rivolge alle donne e afferma che l’idea romantica di un uomo per tutta la vita è un’idea oggi impossibile; se siete romantiche potete essere allora polifedeli, fedeli a più uomini. Quindi fedele a tuo marito in quanto madre, fedele al tuo capo in quanto donna in carriera, fedele al tuo giovane amante più giovane di te in quanto donna trasgressiva. Non solo è impossibile che tu nella pienezza di te stesso possa darti a un'altra persona ma è anche impossibile che tu possa darti a un'altra persona per tempi lunghi. Si teorizza così la monogamia intermittente: fedele sì ma per poco tempo. La polifedeltà e la monogamia intermittente sono solo due esempi di come oggi si considera fragile la dimensione affettiva.
Le radici di questa crisi si rintracciano nella ricerca esasperata di emozioni: io sto bene con te perché provo emozioni intense; io non provo nulla per te e per questo cerco nuove emozioni. La relazione interpersonale diventa quindi qualcosa di immediato, non ha passato né futuro. Questo spiega la ricerca di comportamenti compulsivi, di dipendenze comportamentali, l’uso della cocaina...
C’è in rete un filmato che mette insieme tutte queste cose: la ricerca esasperata di emozioni attraverso la cocaina, attraverso la trasgressione, l’impossibilità di entrare in relazione con l’altro, la solitudine l’ambiguità e il narcisismo. Questo filmato non commerciale dice esattamente, seppure in modo estremo, dove stiamo andando. E' stato messo in rete da Marylin Manson con una serie di piccoli segnali satanici, trasgressivi a suo modo. C’è un uomo solo, disperato, che cerca dei contatti, quest'uomo si è tagliato il cuore (il cutting è un segno satanico), è un uomo ambiguo, né maschio né femmina, androgino; ha dissacrato la Bibbia sniffandoci sopra la cocaina. Grazie a questo po’ di cocaina entra in una relazione sessuale di tipo impersonale, dove non ci sono più le persone ma soltanto dei pezzi di carne. Quello che appare è un mondo fatto di tutto, dove l’altro è un’occasione masturbatoria; è l’uomo che si sta chiudendo ancora più in se stesso e finisce morendo in una forma di suicidio.
L’altra radice è l’ambiguità, la rinuncia al ruolo. Il tema dell’ambiguità è un tema che fa saltare in aria il tema della responsabilità, del ruolo della coppia. Oggi tutto è fluido, non c’è maschile o femminile. Infine, l’altra grande radice è lo sviluppo del narcisismo. Dunque l’uomo di oggi è sofferente, in crisi per la sua incapacità di relazione con l’altro, e si avvia verso un mondo fatto di tristezze, di depressione, di compulsioni e di disturbi della personalità. La tecnologia promette la salvezza - facendo capire che tutti questi problemi si possono risolvere, rinunciando alla relazione face to face e proponendogli un mondo virtuale, ricco di emozioni, di narcisismo, di ambiguità e di mascheramento.


10/02/2009 15:50 – INDIA - Dopo i pogrom anche la discriminazione politica: i cristiani dell’Orissa non possono votare - Nel Kandhamal sono fuori dalle liste elettorali. Oltre 70mila sono senza documenti, segregati nei campi profughi e lontani dai loro villaggi. A rischio la loro partecipazione al voto per il rinnovo del parlamento nazionale e delle istituzioni locali, previste tra aprile e maggio.
Bhubaneshwar (AsiaNews) – In Orissa, il pogrom dei cristiani sta assumendo anche risvolti politici. Dopo le violenze di agosto è la volta delle prossime elezioni di aprile-maggio, che si prefigurano come una nuova occasione di discriminazione della minoranza cristiana.
Il Global council of Indian Christians (Gcic) denuncia che oltre 70mila cittadini cristiani rischiano di non poter esercitare il loro diritto di voto per il rinnovo del parlamento nazionale e delle istituzioni locali. I 50mila cristiani sfollati dai loro villaggi e le decina di migliaia che sono fuggiti negli stati confinanti con il distretto di Kandhamal (il più colpito) non hanno più documenti d’identità o elettorali, bruciati o dispersi durante le violenze di agosto, e non possono nemmeno tornare nelle loro case.
Sajan K. George, presidente nazionale del Gcic, ha chiesto al direttore della Commissione elettorale indiana di trovare una rapida soluzione per includere i nomi dei cristiani nelle liste elettorali: “Vediamo della malafede nell’esclusione dei nomi di cittadini costretti a vivere nei campi rifugiati”, afferma George, per cui la privazione del diritto di voto “rivela un’inclinazione a marginalizzare e soffocare la voce della minoranza cristiana”.
Il governo del Kandhamal, in accordo con la Central Reserve Police Force (Crpf), ha pianificato la distribuzione di nuovi documenti d’identità e di duplicati di quelli elettorali (Epic card) alla popolazione. Sin tanto che i rifugiati non torneranno nei loro villaggi appare però improbabile che questi possano riceverli.
Fonti locali spiegano ad AsiaNews che i profughi non possono tornare nei loro villaggi perché la maggioranza indù pretende la loro conversione forzata e continua a discriminarli. “Un uomo ha lasciato il campo profughi per tornare nel villaggio di Nuashia e risistemare la sua casa distrutta durante gli attacchi. Dopo un intero giorno di lavoro per togliere le macerie è rientrato al campo per la notte. Quando il giorno dopo è tornato al villaggio per continuare a mettere a posto la casa l’ha trovata piena di escrementi umani”.
Un cristiano del Kandhamal spiega la situazione in cui si trovano molti rifugiati : “Il governo ha stanziato una somma irrisoria, 10mila rupie [158 euro Ndr], come compenso a chi ha avuto la casa distrutta o danneggiata. E ha detto che l’area era sicura e potevano tornare nei loro villaggi mentre invece c’è ancora paura e insicurezza. Molti cristiani hanno accettato la somma, ma l’hanno usata per comprarsi delle baracche e cambiare villaggio. Nessuno di loro è tornato fino ad oggi”. (NC)


IDEOLOGIA/ Quel linguaggio che trasforma la morte di Eluana in “applicazione del protocollo” - Adriano Dell'Asta - mercoledì 11 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Nei giorni che hanno preceduto la tragica morte di Eluana Englaro si è fatta sempre più evidente e pesante una distorsione del linguaggio che non può passare sotto silenzio. Invece di descrivere quello che veniva effettivamente fatto a Eluana, e dire quindi che veniva tenuta in vita con una «alimentazione assistita», si è preso a parlare di «accanimento terapeutico»; poi, invece di usare espressioni come «sospensione dell’alimentazione» si sono preferite formule più neutrali e inoffensive come «applicazione del protocollo»; in tutti i modi si è cercato di negare che il decreto che autorizzava a sospendere l’alimentazione fosse nei fatti, se non proprio una condanna a morte, almeno l’autorizzazione a far morire una persona viva.
È un uso delle parole per lo meno discutibile e capace di evocare memorie inquietanti dal secolo appena trascorso e dai suoi totalitarismi.
Uno dei primi passi per la costruzione e l’assestamento di un sistema totalitario è in effetti il lavoro di falsificazione e svuotamento della lingua: per dominare la realtà bisogna far sì che non la si possa più chiamare con delle parole che tutti intendiamo in maniera sufficientemente omogenea; così solo il potere potrà dare il nome alle cose, e sarà un nome cui non corrisponderà più la realtà nominata. Basterà qualche esempio tratto dalla storia di comunismo e nazismo.
In Unione Sovietica, la pena di morte, reintrodotta da Lenin almeno dal 1918, a partire dal 1927 non viene più chiamata con questo nome ma con il più accattivante «misura di difesa sociale»: per poter uccidere una persona senza eccessivi rimorsi di coscienza, si deve avere l’idea che non sia un essere umano, ma un insetto nocivo, un essere contro natura, o che va contro l’idea di natura che il regime impone ai suoi sudditi. Non casualmente la barbarie nazista portò a chiamare «incesto» i rapporti sessuali tra un ariano e una non ariana: per poter eliminare esseri umani a milioni, bisognava convincersi che fossero esseri contro natura.
Così, nei campi di concentramento sovietici si moriva a milioni, ma a partire dal 27 giugno 1929, dopo che negli anni precedenti li si era chiamati in modi diversi, si comincerà a chiamarli «campi di lavoro correzionale», campi di rieducazione attraverso il lavoro (in sigla ITL). Anche qui non è un caso che diversi anni dopo in un documento interno delle SS, parlando di Rudolph Hoess e della sua attività come comandante del campo di Auschwitz dal 1940 al 1943 si dica: «Hoess non è soltanto un buon comandante di campo, ma in questa sfera d’azione si è rivelato un vero pioniere, per il suo apporto di nuove idee e di nuovi metodi educativi».
In Unione Sovietica come nella Germania nazista, l’educazione cessava dunque di essere quello che le persone normali intendono con questa parola e diventava l’eliminazione della realtà attraverso lo sterminio, l’abolizione dell’uomo reale sostituito prima con un’idea e poi fisicamente ridotto a nulla.
Nessuna somiglianza deve ingannarci: le due ideologie totalitarie che hanno segnato il XX secolo sono finite; ma in un certo uso del linguaggio permane la forma vuota dell’ideologia, una concezione tutta ideologica della realtà, che si pone al di sopra di essa e pretende di poterne disporre sino a negarla. Invece, non in nome di qualche ideologia più ricca e migliore di nazismo e comunismo, ma in nome della realtà, la vita è indisponibile.
Quello a cui abbiamo assistito in questi giorni non è uno scontro ideologico tra due partiti (laici contro credenti o cultura della libertà che si autodetermina contro cultura della vita, ecc.), non è lo scontro fra due ideologie, ma fra la realtà irriducibile e indisponibile della persona umana e chi la nega.


L’identità di Obama - Lorenzo Albacete - mercoledì 11 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Le discussioni e le notizie di questa settimana saranno centrate, senza dubbio, su meriti e demeriti della normativa proposta dal presidente Obama per fronteggiare una situazione economica che sta sempre più peggiorando. La discussione non verte su singoli provvedimenti solamente, ma sulla capacità di governo di Obama.
Alcuni commentatori, durante la campagna elettorale, avevano già previsto quale sarebbe stata la maggiore sfida per Obama. La sua insistenza sul fatto di essere in qualche modo al di fuori della dialettica “progressisti contro conservatori” portava il rischio di dover affrontare l’opposizione di entrambi gli schieramenti. Governando da sinistra, avrebbe trovato l’opposizione della destra e, se si fosse spostato verso destra, si sarebbe trovato davanti a una crescente opposizione da sinistra. Secondo i citati commentatori, questa situazione avrebbe finito per portare a una paralisi politica.
A suo tempo, la risposta di Obama fu che la maggioranza degli americani voleva sfuggire a questa lotta ideologica e che lo avrebbe quindi sostenuto in questa direzione. Esattamente quanto poi è avvenuto. Per questa ragione, l’esito dell’attuale dibattito sul modo migliore per stimolare l’economia sarà un indicatore importante di cosa ci si dovrà attendere per i prossimi quattro anni. Anche dopo la sua elezione a presidente, il punto politicamente più interessante rimane l’identità, sincerità, capacità e filosofia dello stesso Obama. Cosa gli fa pensare di essere in grado di trascendere, in qualche modo, la dialettica politica? È un pragmatico puro senza nessuna forte convinzione? Da che cosa è veramente motivato?
Nel caso concreto della proposta di stimoli economici, Obama è apparso inizialmente come il tipico Democratico progressista, sostenendo forti interventi governativi per cercare di evitare gli aggiustamenti che sarebbero derivati dall’autoregolamentazione propria di ogni vero mercato libero. La sua proposta estremamente consistente di spesa pubblica, invece, sembra per la maggior parte essere stata preparata dall’apparato Democratico per riuscire finalmente a fare ciò che otto anni di governo Repubblicano hanno impedito. È cioè sembrata una lunga lista di programmi dei Democratici per quasi ogni area della vita americana, giustificati come necessari per stimolare l’economia, compresi milioni di dollari per programmi che sembrano aver ben poco a che fare con lo stimolo dell’economia e con la necessità di frenare, per poi invertire, l’allarmante crescita della disoccupazione.
Programmi, come quelli che prevedono milioni di dollari per promuovere la contraccezione, che hanno reso facile ai Repubblicani riprendere in mano l’iniziativa politica e riemergere dai disastrosi risultati delle elezioni come i custodi di una politica fiscale responsabile, nella speranza che la gente abbia dimenticato la sconsiderata spesa pubblica degli otto anni di loro governo, che ha portato all’attuale catastrofe economica.
La presa di posizione dei Repubblicani ha messo al Senato in serio pericolo il passaggio della proposta di legge (tutti i Repubblicani hanno votato contro) e Obama ha rapidamente modificato la proposta, eliminando alcuni dei programmi più discussi (con l’aiuto di un pugno di senatori Repubblicani). Ciò ha tuttavia provocato la minaccia dei Democratici alla Camera di respingere i cambiamenti approvati dal Senato.
Il risultato sembrerebbe proprio quella paralisi politica che Obama pensava di superare. Così, lo stesso presidente ha deciso di portare il caso davanti al popolo e, improvvisamente, sembra di essere tornati in campagna elettorale. Sarà interessante vedere l’esito della vicenda, specialmente che cosa tutto questo insegnerà al presidente sul modo di portare avanti il cambiamento che lui afferma di rappresentare.


SCUOLA/ Gelmini: ecco come sto lavorando alla riforma delle superiori - INT. Mariastella Gelmini - mercoledì 11 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
La bagarre sul maestro unico si è ormai conclusa. Dopo mesi animati da manifestazioni di dubbio gusto, con maestre vestite a lutto e bambini coinvolti nelle “cose dei grandi”, ora il discorso sembra essere archiviato: con buone pace di tutti, il modulo è stato abolito, e le compresenze pure.
Adesso il dibattito si è spostato (finalmente, verrebbe da dire) dalla scuola primaria a quella secondaria. Prima della pausa natalizia, infatti, il consiglio dei Ministri ha approvato il regolamento relativo al riordino delle superiori. Ma non per l’anno prossimo: il tutto è stato rinviato all’anno successivo (autunno 2010), per non costringere le scuole ad affrontare cambiamenti in tempi stretti, e per aprire un confronto con il mondo della scuola al fine di calibrare al meglio le scelte.
Il problema è capire se questo dibattito-confronto sia iniziato davvero. Perché il tempo vola, e un rinvio si giustifica solo se lo si fa fruttare al meglio. Da subito.
Mariastella Gelmini ne è convinta: il confronto con la scuola vera c’è, lo si sta portando avanti con determinazione, e condurrà agli esiti sperati in termini di riforma e ammodernamento della scuola.
Ministro, dunque il rinvio non è sinonimo di perdita di tempo?
Stiamo esattamente lavorando per fare in modo che non sia così. Abbiamo avviato lo studio dei regolamenti di riforma della scuola secondaria sotto tutti i punti di vista. Innanzitutto capitalizzando l’esperienza della Commissione De Toni, con tutto il lavoro fatto sull’istruzione tecnica, che da decenni attende di essere riformata. E abbiamo deciso di seguire la strada maestra in questi casi: partire dall’azione delle scuole. Ecco perché abbiamo preso contatto con alcune regioni, in particolare la Lombardia e il Veneto, che sono disponibili ad approvare alcune sperimentazioni, in attesa dell’entrata in vigore della riforma.
Il punto centrale di questa riforma è dunque il rilancio dell’istruzione tecnica?
Non solo: stiamo ragionando con le Regioni anche sull’aspetto dell’istruzione professionale, che ovviamente ha molti punti di contatto con l’istruzione tecnica. Riteniamo infatti che il paese debba puntare sempre di più sulla riqualificazione di questo segmento della formazione, proprio perché i numeri ci dicono che abbiamo una carenza di professionalità e di abilità tecniche, a fronte di molti ragazzi che non si laureano e che purtroppo non riescono a trovare lavoro. Quindi il puntare sull’istruzione tecnica e professionale ha proprio questo significato: aprire la scuola all’impresa e al mondo del lavoro, e garantire una possibilità occupazionale per i giovani.
E per quanto riguarda i licei?
Sulla riforma dei licei abbiamo ripreso quanto fatto dal ministro Moratti, confermando le importanti novità sul piano del liceo delle scienze umane, del liceo artistico con nuovi indirizzi, del liceo coreutico. Dunque stiamo lavorando su una riforma di carattere complessivo, e i diversi tavoli tecnici del ministero sono impegnati su tutti i fronti. Quello a cui puntiamo è una riforma organica della scuola secondaria. Ma non si tratta solo di riorganizzare l’assetto generale. Altri elementi qualificanti del nostro progetto sono, ad esempio, il fatto di puntare molto sullo studio delle lingue straniere, addirittura dando la possibilità per l’ultimo anno delle superiori che una materia venga interamente insegnata in lingua; e poi rilanciare l’innovazione tecnologica, con laboratori tecnici adeguati, creando così una scuola che si apre al futuro e all’utilizzo e all’impiego delle nuove tecnologie.
Al di là di quelle che sono le indicazioni generali del ministero, da più parti si chiede però che la scuola possa essere responsabilizzata e valutata per le scelte che autonomamente fa, se le può fare: da questo punto di vista, come valorizzerete autonomia e parità scolastica?
L’autonomia delle scuole andrà declinata sempre di più in concreto, e dovrà andare di pari passo con assunzione di responsabilità a tutti i livelli, in capo ai dirigenti scolastici e in capo alle singole scuole. Da questo punto di vista è bene parlare semplicemente di “scuole”, senza distinzione alcuna: bisogna infatti puntare ad alzare gli standard dei livelli qualitativi indifferentemente in tutto il sistema, sia nell’ambito delle scuole statali che nell’ambito di quelle paritarie. Per ottenere questo non possiamo discutere la questione in termini teorici, ma dobbiamo imparare dagli esempi migliori, che devono appunto – è il proprio il caso di dirlo – fare scuola.
Puntare sulle “good practices”…
L’aspetto essenziale, a mio avviso, è esattamente questo: imparare dagli esempi più positivi. Nelle scuole paritarie, ad esempio, ce ne sono tanti, e noi ci impegneremo per fare in modo di divulgare queste esperienze, perché non rimangano situazioni isolate ma divengano un patrimonio comune.
Per valorizzare l’attività dei singoli istituti bisogna anche permettere loro di avere una vera governance. Se ne è parlato di recente, e lei ha espresso un giudizio positivo per la proposta di un “Consiglio di indirizzo”, anziché Consiglio di Amministrazione. Perché?
Ritengo che sia giusto parlare di Consiglio di indirizzo, perché non si deve evocare nessuna volontà di privatizzazione delle scuole, che non rientra assolutamente nelle intenzioni del ministero. Si tratta semplicemente di aprire gli istituti al territorio, di far entrare nella gestione strategica delle scuole anche le associazioni di categoria, il mondo produttivo – soprattutto per quanto riguarda l’istruzione tecnica – e di fare così in modo che la scuola si arricchisca nel rapporto con il territorio e viceversa.


EUTANASIA/ Criteri scientifici? Ecco come si sceglie di far morire neonati e disabili - Mario Gargantini - mercoledì 11 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
In queste drammatiche giornate, siamo tutti più sensibili ai temi del fine vita e forse siamo più pronti a esaminare e valutare nella loro essenzialità i dati che documentano i molti risvolti del tema. Come quello delle decisioni che devono affrontare i neonatologi di fronte ai loro piccoli pazienti che si trovano in condizioni disperate ma che non possono esprimere sensazioni, intenzioni, aspirazioni. A questo proposito è il caso di riflettere bene sui risultati di una ricerca condotta da due medici italiani e pubblicati sull’ultimo numero della rivista specializzata internazionale Acta Pediatrica. I due ricercatori, Carlo V. Bellieni e Giuseppe Buonocore, del Dipartimento di Pediatria dell'Università di Siena, hanno esaminato a fondo la letteratura scientifica sull’argomento analizzando i database dei due mega archivi mondiali di riferimento, PubMed e Medscape, a partire dai documenti del 1995.
I database sono stati setacciati con criteri molto rigorosi; sono state utilizzate come parole chiave: neonato, prematuro, decisioni sul fine vita, sospensione/limitazione del trattamento, qualità della vita; sono stati esaminati gli studi che considerano i fattori personali, psicologici, sociali e culturali che portano alle decisioni sul fine vita; sono stati invece esclusi gli articoli e le rassegne che riportano solo le “opinioni” degli autori. In totale sono risultati utili 34 studi e su questi si è concentrato il lavoro di Bellieni e Buonocore. Le conclusioni, messe in evidenza nel sottotitolo dalla redazione della rivista, sono impressionanti: «nelle decisioni sul fine vita dei neonati, i pazienti non ricevono cure basate solo sul loro miglior interesse».
I fattori emersi come determinanti nel processo decisionale dei medici sonopiuttosto il peso delle proprie paure, del proprio background culturale e di altre determinanti (sesso, età, etnia) che mostrano la mancanza di una linea oggettiva su cui decidere. «Questo è grave a mio parere – commenta Bellieni - perché ognuno può avere un'idea di quello che sia l'interesse del neonato diversa da quella dell'altro collega. Ma il vero problema non è puntare il dito sui medici o tantomeno sui genitori, ma sulle legislazioni che legando la rianimazione alla supposta qualità di vita - e non a un'oggettiva impossibilità alla vita – lasciano medici e genitori schiacciati sotto il peso delle terribili decisioni».
E non si può dire che ci sia uniformità di posizione a partire dall’età, dalla nazionalità e dal sesso dei decisori. Gli studi non sono ancora del tutto chiari su certi parametri; ma ad esempio uno studio del 2000 riportato nella ricerca mostra che sia l'atteggiamento mentale di fronte alla disabilità (per esempio se sia meglio morire o avere una grave disabilità fisica), sia quello verso l'accettazione della sospensione delle cure, variano molto da nazione a nazione. Così come influisce l'avere in famiglia dei parenti disabili, avere o non avere figli, essere o non essere religiosi. Alcuni studi hanno trovato anche una differenza di comportamento tra medici maschi e femmine.
Il criterio con cui si rianima un neonato appare da vari studi ben diverso da quello con cui si rianima un adulto: nel primo caso sembra in certi Stati prevalere il criterio della qualità della vita futura del bimbo e del parere dei genitori, cosa che negli stessi Stati non avviene quando si decidono le cure per l'adulto, per il quale certi eventi come l'arresto cardiaco hanno una prognosi ben peggiore di quella di un neonato di 23 settimane. Alcuni studiosi si domandano perciò se «i neonati hanno uno stato morale diverso dagli adulti».
Certo, l’atteggiamento dei genitori, un po’ in tutti i casi esaminati e indifferentemente nei diversi Paesi, conta molto fino a diventare determinante. «D’altra parte gli studi mostrano come, al momento della nascita prematura di un bambino verosimilmente grave, i genitori siano in un tale stato di shock che qualunque responsabilità venga loro addossata sarebbe una violenza».
Un criterio spesso invocato è proprio quello della previsione della qualità di vita; ma è difficile sottrarsi all’idea che si tratti di un concetto troppo generico e soggettivo per utilizzarlo in decisioni del genere. «E poi spesso è usato male. Vari studi mostrano che, analizzando in persone disabili (con spina bifida, o con paralisi cerebrale) il livello di qualità di vita da loro percepito, la risposta è simile a quella della restante popolazione: a dimostrazione che spesso sono i nostri pregiudizi a farci pensare che certe malattie alterino la qualità e addirittura la dignità della vita. Il problema è semmai che molto si deve ancora fare socialmente, culturalmente ed economicamente per le famiglie dei disabili. Inoltre, si sappia che alla nascita non esistono strumenti per prevedere la prognosi, che si renderà chiara solo molto tempo dopo».
Lo studio di Bellieni e Buonocore si spinge anche a delineare le prospettive per il futuro, indicando le principali proposte sul tappeto e alcuni nuovi criteri e metodi che si stanno elaborando per aiutare il personale medico nelle sue decisioni. C’è il criterio avanzato dal Nuffield Council of Bioethics, che considera l’età gestazionale e indica le 24 settimane come data per iniziare a somministrare cure intensive; c’è chi indica l’emergere della coscienza come criterio per far scattare un diritto alla piena assistenza: quindi un criterio interno alla persona, anche se stabilire quella data è tuttora un impresa al di sopra delle possibilità della ricerca scientifica. «In sostanza – osserva Bellieni - ci sono due criteri generali: decidere sulla possibile futura qualità della vita, oppure dare a tutti una chance, sapendosi fermare quando si vede che gli sforzi sono inutili. E si badi bene che "inutili" non deve significare "inutili a far diventare un bambino normale", ma inutili a salvare la vita: la disabilità (tantomeno se solo ipotetica o probabile) non deve essere un criterio per arrestare le cure. In questo secondo senso si è virtuosamente espresso il comitato Italiano Nazionale di Bioetica e il nostro Istituto Superiore di Sanità. È evidente che il secondo criterio, dare una chance a tutti, taglia fuori tute le possibili interferenze psicologiche».
Quello che più ha colpito i due medici autori dello studio è il peso dei pregiudizi personali degli operatori sanitari. Bellieni cita sopratutto una ricerca francese e una australiana: nella prima si domandava ai medici se rianimerebbero un bimbo di 24 settimane e, in una successiva domanda, se ne rianimerebbero uno col 50% di possibilità di sopravvivenza e il 10% di non avere conseguenze patologiche. Ebbene, solo il 21% degli intervistati rispondeva "sì" nel primo caso, mentre la percentuale saliva al 51% nel secondo, «non rendendosi conto che il secondo caso è esattamente la descrizione della prognosi di un bimbo di 24 settimane!»
Lo studio australiano invece ha evidenziato che, quando si ritiene "futile" una terapia, «i medici che più sospendono le cure sono quelli che più hanno paura di morire».


Avvenire 11 Febbraio 2009 - TRA VERITÀ E INGANNI - «Deturpata? Era bella, sette giorni fa»
«Non è possibile che Beppino abbia detto questo», mormorava ieri a Lecco suor Rosangela, dopo aver letto sul 'Corriere' di una E­luana che pesava 35 chili e il cui vol­to era deturpato dalle piaghe. «For­se si riferiva a questi ultimi giorni, dall’arrivo a Udine, ma come può essere cambiata così?», si chiedeva senza capire... Una settimana sen­za più cure né sollievi e quattro giorni senza cibo né acqua, sospe­si per intero e all’improvviso, sono torture, è vero, ma possono basta­re? «Da qui è andata via che era bel­la - taglia corto la suora - , del resto verranno pur fuori le cartelle clini­che, basterà andare a leggere l’ulti­mo bollettino di Defanti prima del­la partenza da Lecco. È scritta ogni cosa, qui in collaborazione con lui si seguiva un percorso ben preciso e dettagliato, risulterà tutto». E le accuse di Beppino? Alza le spalle lasciando trasparire solo affetto.

«È un uomo tutto da capire». Ora che importanza può avere che Eluana avesse un aspetto salubre o malato, che fosse magra o in car­ne? Oggi davvero tutto questo sa­rebbe abissalmente lontano, persi­no grottesco. Se non fosse che quel corpo, anche ora che tace, conti­nua a parlare, eccome se parla. E racconta anni di assistenza perfet­ta a tutti i livelli. O invece altrettanti anni di «violenze subìte», a sentire chi vorrebbe una Eluana scarnifi­cata, «dalla faccia che si era rinsec­chita come il resto del corpo», che « pesava meno di 40 chili » , le cui «braccia e gambe erano rattrappi­te » , con il viso tutto piagato da « quelle lacerazioni che ai vecchi vengono sul sedere o sulla schiena ma a lei anche in faccia»... Questo si leggeva infatti sul 'Corriere del­la Sera' di ieri a firma Marco Ima­risio, questo il papà di Eluana gli ri­feriva « ancora ieri mattina » ( cioè lunedì 9, giorno della morte), of­frendo un quadro raccapricciante dello stato di sua figlia (che lui ha visto per l’ultima volta martedì 3, il giorno dopo l’arrivo a Udine).

Bi­sognerebbe solo tacere, adesso, ma simili dichiarazioni disorientano un’opinione pubblica che non sa più dove sta la verità e ha diritto di sapere: perché l’uccisione di Elua­na non è (e non è mai stata) un fat­to privato, e oggi sostenere che fos­se in stato terminale, un lumicino che attendeva solo un soffio per spegnersi, suona come una gravis­sima e fuorviante deriva. L’ennesi­ma. Difficile, peraltro, da sostene­re: non solo lo stesso neurologo Carlo Alberto Defanti ancora l’al- troieri (lunedì 9), non prevedendo il crollo della paziente, insisteva sul­le sue 'ottime' condizioni fisiche («al di là della lesione cerebrale è u­na donna sana, mai una malattia, mai un antibiotico, probabilmente resisterà più a lungo della media»), ma curiosamente lo stesso ' Cor­riere' per due giorni consecutivi ha affidato a un’altra dei suoi inviati a Udine la descrizione dello stato di Eluana, di segno opposto a quella del collega: per altri tre o quattro giorni, scriveva infatti Grazia Ma­ria Mottola sabato 7 febbraio, «il suo volto resterà ancora intatto, le guance piene, gli occhi allungati, le labbra rosa... » , certo, aggiungeva poi, non ha più l’ombretto azzurro sulle palpebre né le pose da mo­della delle foto di vent’anni fa, ma è «pur sempre bella anche oggi, so­prattutto per la pelle, ancora bian­ca e distesa». Solo tra qualche gior­no, diceva dopo aver sentito De­fanti e De Monte, « il viso comin­cerà ad affilarsi, e zigomi e naso spunteranno sempre più pronun­ciati. Ma nessuno permetterà che la sua pelle si raggrinzisca e perda il candore».

Ancora lo stesso quoti­diano e la stessa cronista, domeni­ca 8 febbraio, dedica un intero ar­ticolo a descrivere un’Eluana che è ovviamente « l’immagine sbiadita della bruna stupenda» di un tem­po, ma ha gli stessi lineamenti so­lo più delicati ed è ancora bella. La giornalista rivela di averla vista dal vivo nella stanza di Lecco più vol­te, anche a ottobre nel giorno in cui un’emorragia se la stava portando via. Anche in quelle condizioni «la pelle è chiara e distesa, gli occhi profondi che non si fermano mai», ma la bocca «si apre e si chiude boc­cheggiando » per la morte che pare imminente. Invece la crisi passa e pochi giorni dopo «il viso è sempre lo stesso», la vita riprende i suoi rit­mi con « le passeggiate in carroz­zella, la ginnastica tra le mani del­le suore » . E, aggiungiamo noi, di quattro fisioterapisti che tutti i gior­ni si alternavano per tenere tonici i muscoli e sano il fisico. Girata con­tinuamente nel letto antidecubito, Eluana non aveva una piaga e i suoi arti erano sodi grazie alla ginnasti­ca passiva, quella che migliaia di al­tri pazienti in stato vegetativo pur­troppo non ottengono, dati i costi di simili trattamenti. Allo stesso De­fanti la sera dell’emorragia aveva­mo chiesto personalmente come Eluana potesse essere così florida e sana, senza una piaga, e il medico aveva attribuito senza esitazioni il merito «a queste suore che volon­tariamente la assistono con una competenza e abnegazione che io non ho mai visto altrove».

E così stridono ancora di più le ul­time dichiarazioni rilasciate ieri se­ra da Beppino al tg del Friuli: «Non perdòno la mancanza di rispetto nei riguardi di Eluana e della mia fa­miglia tutti questi anni. Eluana ha subìto non un accanimento tera­peutico, ma una violenza terapeu­tica: non voleva che nessuno le mettesse le mani addosso e loro lo hanno fatto continuamente per 17 anni». Anche dinanzi a insinuazioni in­giuriose le suore chiedono solo si­lenzio e preghiera, e ancora ieri si preoccupavano per Beppino, l’uo­mo che hanno sempre rispettato al punto da essere state inflessibili guardiane di quella figlia diventata anche loro, al cui capezzale non ac­cedeva nessuno - senza eccezioni ­se non era accompagnato dallo stesso Englaro. Ieri per ultima alla ridda di voci si è aggiunta quella di Marinella Chiri­co, giornalista Rai, che domenica pomeriggio, quando Eluana era già priva di cibo e acqua da tre giorni, proprio da papà Beppino è stata fatta entrare nella stanza della fi­glia assieme al fratello Armando Englaro: «Mi ha chiesto di vederla perché critiche 'ferocissime e cru­deli' mettevano in dubbio il suo stato reale», spiega la collega, che là dentro 'scopre' che Eluana, dopo 17 anni di stato vegetativo, «è irri­conoscibile rispetto alle foto » ( di venti anni prima e di ragazza sana), che è «una donna completamente immobile», che «gli infermieri so­no costretti a girarla ogni due ore», per evitare il decubito (come a Lec­co si è fatto per 15 anni), che solo le orecchie «presentano lesioni» in quanto «unica parte del corpo non tutelabile nemmeno girandola»…

C’è da chiedersi come immagina­va che fosse uno stato vegetativo (incontrare questi pazienti è sem­pre una delle esperienze più toc­canti) e se avesse nella sua vita av­vicinato già altri pazienti del gene­re (ma certo non curati come Elua­na). A questo punto, però, di «ferocissi­mo e crudele» c’è solo un terribile sospetto: se davvero una settimana nella casa di riposo di Udine è ba­stata, come dice la Chirico, a fare di Eluana un corpo la cui vista era 'devastante', che cosa le hanno fat­to? Come si distrugge in sette gior­ni un equilibrio stabile da quindi­ci anni? Per Eluana ormai non c’è più nulla da fare, ma a chi di dove­re ora almeno l’obbligo di far e­mergere tutta la verità.


Da Nord a Sud gli interventi dei presuli di fronte alla terribile vicenda che interroga le coscienze e sollecita i credenti a esprimersi in modo ancora più inequivocabile a favore della vita - I vescovi: «Una ferita per il nostro popolo» - Bagnasco: eutanasia, una deriva da fermare subito - DA ROMA SALVATORE MAZZA – Avvenire, 11 febbraio 2008
G rande dolore ma, anche, «grande sconcerto». Sono questi per il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferen­za episcopale italiana, i sentimenti su­scitati dalla morte di Eluana Englaro. Per il porporato, intervistato nel cor­so della trasmissione 'Panorama del giorno' su Canale 5, «l’eutanasia resta un grande vulnus per la storia del no­stro popolo che è segnata da grande solidarietà». «Speriamo – ha aggiunto – che il Signore illumini per fermare questa deriva davanti alla quale di­venta evidente che una legge giusta è necessaria per impedire casi del ge­nere. Non si può accettare a cuor leg­gero che questo possa accadere di nuovo». Per Bagnasco, comunque, «questi sono i giorni della preghiera e del raccoglimento: con­siderazioni più profonde verranno più avanti». I vescovi toscani, che al mo­mento dell’annuncio della morte si trova­vano all’eremo di Lecceto, si sono riu­niti per pregare per la giovane donna e i suoi genitori, «riba­dendo il valore in­tangibile della vita».
«Perplessità», certo, restano tuttavia attorno a una vicenda rispetto alla quale «ci si domanda se, in assenza di una legge, non sia intervenuta una vi­sione ideologica», ha rilevato monsi­gnor
Rino Fisichella, presidente del­la Pontificia Accademia per la Vita. U­na visione, ha insistito ai microfoni di
Radio Vaticana, «che porta a indivi­duare la via dell’eutanasia come la via più facile. Ecco perché c’è l’urgenza affinché il Parlamento arrivi a una leg­ge che sia il più possibile condivisa». L’auspicio è che «se il dibattito parla­mentare sarà scevro da posizioni pre­concette, potrà arrivare a una grande maggioranza che sia un segno per il Paese. Il segno che quanti rappresen­tano i cittadini sono davvero capaci di ascolto e di trovare soluzioni che met­tono da parte i conflitti e aumentano il senso di serenità».
«Dolore e sconcerto» per la morte di Eluana Englaro li ha espressi anche il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, che ha invitato «a dedicare a Eluana tutte le messe e le occasioni di preghiera che sono in programma» in diocesi «in occasione della ricorrenza della Madonna di Lourdes e della gior­nata del malato». La vicenda, per il ve­scovo di Treviso monsignor Bruno Mazzocato, «ci lascia in eredità la pe­sante responsabilità di farci carico del­le tante sorelle e fratelli che vivono in condizioni simili alle sue; di trovare le forme e le leggi per rispettare e soste­nere la loro dignità e la loro vita».
Ciò non toglie che, come sottolineato da monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Monte­feltro, di fronte alla morte della giovane «ciascuno è chiama­to a prendersi la pro­pria responsabilità: la cattiva coscienza che ha avuto un ruolo de­terminante nell’opi­nione pubblica, la buona scienza che non ha avuto il co­raggio di un gesto a­deguato, la magistra­tura, le istituzioni po­litiche, i mezzi della comunicazione sociale». Per monsi­gnor
Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, «in tutta questa battaglia per il tuo presunto diritto a morire – scrive in una 'Lettera a Eluana' – col­go qualcosa di triste come un segna­le di disperazione: vorrei che la tua morte potesse ora gridare a tutti che la vita di un essere umano è sempre degna di essere vissuta, quali che sia­no le sue condizioni». «Non possiamo disporre della vita a nostro piacimento – ha scritto mon­signor
Lucio Soravito, vescovo di A­dria- Rovigo – non possiamo sciupar­la, adoperarla male, metterla a rischio, sopprimerla. La vita non è nostra pro­prietà. Vorrei che ciascuno ci riflettes­se, senza cadere nel clamore irrive- rente che è scoppiato in questi giorni in Italia». In ogni caso «ora – secondo monsignor Luigi Bressan, arcivesco­vo di Trento – è il tempo del silenzio, abitato per chi crede dalla preghiera, che si fa invocazione di pace vera per questa giovane donna e il suo miste­ro di dolore... Siamo convinti che la vi­ta rimane un bene indisponibile, an­che quando è improduttiva e si ma­nifesta in forme estremamente fragi­li ». Numerosissime, in tutta Italia, le ini­ziative che hanno fatto seguito alla morte di Eluana. Monsignor Giovan­ni Giudici, vescovo di Pavia, nella me­ditazione del Rosario recitato per E­luana poco dopo la notizia della scom­parsa, ha invitato a chiedere «nella preghiera la capacità di proporre con chiarezza e decisione ciò che fa parte della genuina cultura cristiana e allo stesso tempo la forza di vivere la de­mocrazia come occasione di dialogo sempre rispettoso della coscienza di chi ha pareri e valutazioni differenti dalle nostre».
Per domani, invece, l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano, monsignor Sal­vatore Nunnari ha indetto una gior­nata di preghiera, e l’istituzione di un fondo di solidarietà – dedicato pro­prio a Eluana – di 100.000 euro per l’anno 2009, per casi urgenti nell’am­bito delle attività caritative della Cari­tas diocesana, perché Eluana «dal cie­lo interceda, sorrida e perdoni». Anche la diocesi di Parma ha incitato le par­rocchie «a valorizzare la prossima Giornata mondiale del malato (do­mani,
ndr), inserendo nelle iniziative già programmate anche un tempo di preghiera per affidare al Signore, in­sieme a Eluana Englaro, tutti quelli che stanno vivendo momenti fatico­si ». Del resto, per l’arcivescovo di Rossa­no- Cariati monsignor Santo Mar­cianò,
la vicenda di Eluana «è para­dossalmente chiamata a dire una pa­rola forte a difesa della vita; ad avver­tire il nostro mondo del sempre mag­giore senso di superficialità con cui si tratta, oggi, la vita umana e della faci­lità con cui la si vìola nella sua dignità e integrità».
Scola: dedichiamo a Eluana tutte le Messe e le preghiere per la giornata del malato Fisichella: emersa purtroppo una visione ideologica


La Caritas aiuta 2000 famiglie di Gaza
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 11 febbraio 2009 (ZENIT.org).- La Caritas sta fornendo cibo a 2000 famiglie di Gaza tagliate fuori dagli aiuti a causa della recente campagna militare israeliana.
La Striscia ha una popolazione di circa un milione e mezzo di persone, il 90% delle quali dipende fortemente dagli aiuti umanitari dopo che i bombardamenti hanno distrutto case, ospedali, scuole, fognature e varie infrastrutture. L'operazione militare si è svolta dopo un blocco di 18 mesi in cui la gente di Gaza ha visto prosciugarsi le riserve di cibo e l'economia è stata ridotta in ginocchio.
La Caritas, ricorda un comunicato inviato a ZENIT, distribuirà olio, farina, riso, zucchero, tè, pasta di pomodoro, carne in scatola e latte, e sta fornendo anche coperte e medicinali.
La settimana scorsa, le Nazioni Unite hanno sospeso le spedizioni di aiuti, affermando che il Governo di Hamas ha immagazzinato centinaia di tonnellate di cibo.
La Caritas ha lanciato recentemente un appello per raccogliere due milioni di dollari per finanziare un programma di sette mesi per fornire a 2000 famiglie di Gaza cibo, assistenza sanitaria e igienica e sostegno finanziario.
Durante il conflitto, ha anche fornito assistenza medica agli abitanti della Striscia attraverso cinque postazioni mediche, una delle quali è stata distrutta da un attacco aereo israeliano.
Al di là degli aiuti d'emergenza, Gaza avrà bisogno di una ricostruzione a lungo termine dopo gli attacchi, costati la vita a più di 1.300 persone.
Le Nazioni Unite hanno affermato che l'operazione israeliana, durata tre settimane, ha lasciato due terzi dei residenti della Striscia senza mezzi, un terzo senza acqua potabile. Le strutture sanitarie non hanno più i medicinali di base.
Le agenzie umanitarie stanno affrontando difficoltà nell'accedere a Gaza, visto che molti varchi sono chiusi e Israele sta imponendo restrizioni su chi può entrare nella zona.


Cattive nuove dalla Cina. A Pechino s'è aperta una breccia - Tra l'obbedienza al papa e quella al partito comunista alcuni vescovi scelgono la seconda. Il voltafaccia più clamoroso è avvenuto nella capitale. Una lettera segreta del cardinale Bertone. L'allarme del cardinale Zen - di Sandro Magister
ROMA, 11 febbraio 2009 – Anche in Vaticano ci si era illusi che le Olimpiadi di Pechino preludessero a una maggiore libertà per la Chiesa cattolica. Ma le notizie che dalla Cina arrivano a Roma dicono l'opposto.

Intanto, ancora una volta le autorità cinesi non hanno consentito di lasciare la Cina ai vescovi che avrebbero dovuto partecipare al sinodo dello scorso ottobre.

In secondo luogo, la sede episcopale di Pechino, occupata nei decenni passati da vescovi di sola nomina governativa e privi dell'autorizzazione del papa, ma "riconquistata" da Roma due estati fa con l'insediamento di un nuovo vescovo approvato sia dal governo che dalla Santa Sede, rischia seriamente di essere di nuovo perduta.

Infatti, il nuovo vescovo Giuseppe Li Shan (nella foto), che il cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone aveva salutato come "una persona molto buona e idonea", sta inanellando atti sempre più servili nei confronti del regime. Al punto che tra i fedeli molti lo considerano ormai un "traditore".

In terzo luogo, il partito comunista ha intensificato le pressioni per sottomettere la Chiesa e separarne da Roma una parte consistente. Queste pressioni si esercitano soprattutto sui vescovi insediati dal governo. La maggior parte di questi, anno dopo anno, erano rientrati nella comunione col papa. Ma ora alcuni di loro vacillano.

Nel luglio del 2007 Benedetto XVI aveva scritto una lettera aperta ai cattolici della Cina, per aiutarli a fare unità tra loro e con Roma. Ma il processo di riconciliazione e di ricostruzione della Chiesa cinese timidamente avviato dopo quella lettera ora sembra interrotto.

Lo scorso aprile una seconda lettera è partita dal Vaticano alla volta della Cina, questa volta segreta ed indirizzata soltanto ai vescovi. La lettera, firmata dal cardinale Bertone, è parsa però ad alcuni vescovi un passo indietro rispetto a quella del papa. Troppo remissiva nei confronti delle autorità cinesi.

"Asia News", l'agenzia on line specializzata sulla Cina, fondata e diretta da padre Bernardo Cervellera del Pontificio Istituto Missioni Estere, ha fatto un sondaggio tra i vescovi cinesi. I risultati sono stati definiti "sconfortanti".

Al punto che il cardinale Zen Zekiun, forte della sua maggior libertà di parola in quanto cittadino di Hong Kong, ha rotto gli indugi e ha lanciato l'allarme. Ha esortato i suoi confratelli del continente a non cedere e a contrastare con più coraggio le pressioni del regime.

Di tutti questi fatti, ecco qui di seguito una ricostruzione e un'analisi dettagliate, scritte per "Asia News" da padre Cervellera:


Il vescovo di Pechino, il Vaticano e i compromessi con l’Associazione Patriottica di Bernardo Cervellera
A poco più di un anno dall’ordinazione del loro attuale vescovo, i cattolici di Pechino sono divisi sulla stima verso di lui, e crescono sempre più coloro che lo accusano di essere un traditore della Chiesa di Roma.

Monsignor Giuseppe Li Shan, 44 anni, è stato ordinato il 21 settembre del 2007 con l’approvazione del papa. Ma, in carica da poco più di un anno, il suo atteggiamento verso il Vaticano sembra essere cambiato. I cattolici dicono che colui che era giunto per sostituire il vescovo patriottico Michele Fu Tieshan, morto un anno prima, cammina a grandi passi verso una ripresa del patriottismo e dell’autonomia dalla Santa Sede.

I fedeli sono infatti sbalorditi dal suo modo di fare e dai suoi discorsi che sembrano sempre più scivolare in un servilismo totale verso l’Associazione Patriottica, il cui scopo è edificare e controllare una Chiesa cattolica cinese indipendente da Roma.


VESCOVO E SERVO DEL POTERE
Alcuni suoi discorsi, in particolare, sono molto rivelatori. Il primo è stato tenuto il 25 novembre scorso durante un corso di formazione per sacerdoti e fedeli. Il vescovo ha esordito lodando i progressi avuti dalla Chiesa grazie ai trent'anni di riforme di Deng Xiaoping. E già l'utilizzare un corso di formazione alla fede per tributare un omaggio alle modernizzazioni di Deng è parsa ai fedeli una “tassa pagata al potere politico”. Ma il seguito è stato ancora più sconcertante. In esso monsignor Li Shan ha difeso l’operato del suo predecessore, monsignor Fu, per aver “iniziato la gloriosa tradizione di amare la patria e amare la Chiesa” e per averla diffusa nella diocesi di Pechino. Lo slogan “amare la patria, amare la Chiesa” è proprio lo slogan dell’Associazione Patriottica, che vuole sottomettere la vita della Chiesa all’obbedienza al partito comunista.

Più oltre Li Shan ha detto che “l’opera di amare la patria e amare la Chiesa ha subito gravi interferenze da parte del potere politico straniero e della Chiesa clandestina in Cina”. Qui l’accusa al Vaticano è evidente: nei discorsi del partito comunista è proprio la Santa Sede a essere considerata “uno stato straniero che vuole interferire negli affari interni della Cina, sotto il manto della religione”.

Monsignor Li ha proseguito: “Alcune persone hanno puntato gli occhi sulla nostra diocesi, su monsignor Fu, svalutando il frutto che abbiamo avuto in questi anni, che è molto più di quanto sia avvenuto nei 700 anni precedenti, creando difficoltà e cercando di convincerci a lasciare il principio dell’autogestione della Chiesa [cioè dell'autonomia da Roma], facendoci ritornare nel passato”.

Per il futuro, monsignor Li ha affermato che è necessario “mantenere l’idea di amare la patria e amare la Chiesa, e continuare a camminare sulla via dell’autogestione della Chiesa”, perché queste due direttive sono “la garanzia fondamentale per uno sviluppo sano dell’opera della Chiesa nella capitale”.

“Questi due principi – ha detto infine – sono i frutti che abbiamo imparato dalla storia semi-coloniale [cioè asservita al Vaticano] della Chiesa cinese del passato. E sono anche l’esperienza preziosa della nuova vita e dello sviluppo della Chiesa cinese nella società socialista della nuova Cina”.

Naturalmente, per tutto questo Li Shan ha rivendicato la necessità dell’AP e della “democrazia” nella Chiesa, secondo la quale elezioni di vescovi, pastorale, teologia, scelte sono affidate alle votazioni di un’assemblea di vescovi, sacerdoti e laici strettamente dominata dall’AP, svilendo il carattere sacramentale della Chiesa stessa.

L'intero discorso del 25 novembre, in lingua cinese, fino a poco tempo fa era disponibile sul sito della diocesi di Pechino. Sul sito era anche possibile leggere il discorso tenuto da monsignor Li Shan il 19 dicembre, alle celebrazioni dei 50 anni dalle prime ordinazioni episcopali fatte in Cina in autonomia dalla Santa Sede. Anch’esso è scomparso nei giorni scorsi.


QUELLA TRISTE VIGILIA DI NATALE
Un altro discorso simile al precedente è stato tenuto da monsignor Li Shan alla vigilia di Natale del 2008. Alle 7 di sera egli ricevette la visita di Ye Xiaowen, direttore dell’amministrazione statale per gli affari religiosi, di Zhou Ning, direttore della seconda sezione del Fronte Unito, di Tong Genzhu, viceministro del dipartimento centrale del Fronte Unito, e di tanti altri, tra i quali il vicesindaco di Pechino Niu Youcheng.

Anche in questa occasione i fedeli sono rabbrividiti. Monsignor Li Shan – che sembrava dover finalmente concludere l’epoca di Fu Tieshan che, asservito al partito, sempre rifiutò la riconciliazione con la Santa Sede – ha ringraziato il governo di Pechino per l’aiuto e il sostegno su ogni aspetto della vita della Chiesa, assicurando che essa continua a tenere alta la bandiera di "amare la patria e amare la chiesa”, e a seguire la strada di “indipendenza e di autogestione della Chiesa” [da Roma], cercando di rendere la Chiesa Cattolica un modello nella costruzione della società armoniosa.

In tutti questi discorsi e pronunciamenti, il tono e gli slogan usati sono caratteristici proprio del linguaggio del partito e del periodo più radicale del comunismo in Cina, quello della Rivoluzione Culturale. I fedeli si stupiscono e si domandano come mai, in poco tempo, il loro pastore si sia trasformato in una Guardia Rossa, mostrando un servilismo verso il potere ancora più spinto di quello del suo predecessore.

Monsignor Li Shan era conosciuto come un bravo sacerdote, semplice, di non ampie vedute ma fedele al papa, capace di entusiasmare i giovani e soprattutto aperto alla Chiesa sotterranea, quella non riconosciuta dal governo. I suoi discorsi contro “gli stati stranieri” e la Chiesa sotterranea rappresentano una svolta di 180 gradi nel suo modo di pensare.

Secondo informazioni ricevute da "Asia News", l’autore del discorso della vigilia di Natale non sarebbe stato monsignor Li Shan, ma il segretario generale dell’Associazione Patriottica di Pechino, Shi Hongxi, noto per le sue visioni estremiste. Altre informazioni aggiungono che il testo fu messo in mano al vescovo all’ultimo momento, senza che egli potesse rendersi conto di quanto vi era scritto. Ma la ripetizione in tre diverse situazioni degli stessi slogan fa temere che il vescovo, se non d’accordo con quanto letto, sia perlomeno succube dell’Associazione Patriottica.


IL PAPA: L'AP È "INCONCILIABILE CON LA DOTTRINA CATTOLICA"
L’AP, fondata nel 1958, da mezzo secolo tenta in tutti i modi di dividere la Chiesa, ordinando vescovi senza l'autorizzazione del papa. Negli anni passati molti vescovi della Chiesa patriottica hanno poi domandato perdono per la loro situazione di distacco, e grazie alla magnanimità di Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI, si sono riconciliati con la Santa Sede. Nel gennaio del 2007, lo stesso Vaticano aveva annunciato che la “quasi totalità” dei vescovi ufficiali riconosciuti dal governo sono ormai in comunione piena anche con la Santa Sede.

La lettera pubblica di Benedetto XVI ai cattolici cinesi del 30 giugno 2007 riaffermava questa forte comunione. Ma metteva anche in luce che l’AP è una struttura contraria alla fede cattolica, avvertendo che “attuare i principi di indipendenza, autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa è inconciliabile con la dottrina cattolica”.

Che il vescovo di Pechino, ordinato con l'approvazione del papa, si sia messo a difendere ciò che è “inconciliabile” con la Chiesa cattolica è quindi una grossa sconfitta per il Vaticano. In un blog tenuto da alcuni fedeli si parla di monsignor Li Shan come di una “bomba ad orologeria” che va a colpire la Chiesa di Roma..

Secondo informazioni ricevute da "Asia News", monsignor Li Shan sarebbe pentito di quanto ha fatto e giustifica il suo comportamento con le pressioni che è costretto a sopportare. In effetti, proprio a causa della lettera del papa e della ritrovata unità fra quasi tutti i vescovi cinesi, il Fronte Unito e l'Associazione Patriottica hanno lanciato da più di un anno una serie di iniziative per ricondurre all’obbedienza – la loro – i vescovi ufficiali cinesi. Fronte Unito e AP li convocano in continuazione, li obbligano a partecipare a convegni, incontri, studi, sessioni politiche, tanto da rendere molto precario il loro lavoro pastorale. I vescovi non hanno possibilità nemmeno di potersi incontrare fra loro da soli, e passano da una vita in solitudine – alla mercé dei segretari dell’AP – a incontri collettivi sotto il controllo e l'indottrinamento del Fronte Unito e dell’amministrazione statale degli affari religiosi.


LA TIMIDA LETTERA DEL CARDINALE BERTONE
Per tenere uniti i vescovi e frenare l’influenza dell’AP, il 22 aprile 2008 il Vaticano ha inviato una lettera a tutti i vescovi cinesi in comunione con Roma. La lettera, con la firma del segretario di stato, cardinale Tarcisio Bertone, ha impiegato mesi per essere recapitata personalmente a tutti i circa 90 vescovi della Chiesa ufficiale e sotterranea. Alcuni di loro l’hanno ricevuta solo nel dicembre del 2008.

In essa il cardinale Bertone richiama “i principi fondamentali della fede cattolica” e ricorda il valore della comunione dei vescovi col papa e fra di loro. Per questo egli, a nome del pontefice, domanda a tutti i prelati di “esprimere con coraggio il proprio ufficio di pastori”, promuovendo la natura cattolica della Chiesa e cercando di ottenere maggiore libertà di attività dalle autorità civili attraverso un dialogo diretto e rispettoso. Il cardinale spinge i vescovi ad “agire insieme”, richiedendo il diritto di incontrarsi come gruppo e di poter discutere in libertà dei loro problemi, senza interventi esterni. E infine suggerisce ai pastori di trovare “una posizione corretta da adottare riguardo a quei corpi a cui si riferisce la sezione n. 7 del documento papale”. Il riferimento è proprio all’AP e al suo concetto di Chiesa indipendente e autogestita.

L’importanza della lettera del cardinale Bertone sta nel fatto che chiede per la prima volta ai vescovi ufficiali e sotterranei di incontrarsi insieme. Essa però evita di indicare loro un atteggiamento comune da tenere verso l’AP. La precedente lettera del papa afferma che essa è contraria alla dottrina cattolica, ma non domanda ai vescovi ufficiali di uscirne.

Secondo alcuni vescovi sotterranei un atteggiamento più deciso da parte della Santa Sede sarebbe più efficace.

Fino ad ora i vescovi ufficiali hanno cercato di ignorare le pressioni dell’AP, ma con poco frutto. Nello stesso tempo alcuni vescovi sotterranei hanno tentato di farsi riconoscere dal governo senza iscriversi all’AP, ma nessun governo locale ha accettato questa soluzione, riaffermando invece la centralità dell’AP nella politica governativa verso le religioni.

Il problema diviene ancora più urgente perché sono in preparazione degli incontri a livello nazionale per votare il nuovo presidente dell’Associazione Patriottica e il presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, una specie di conferenza episcopale non riconosciuta dalla Santa Sede, che raduna solo i vescovi ufficiali. L’elezione delle due cariche dovrebbe tenersi in un congresso nazionale di rappresentanti cattolici. Esso dovrebbe tenersi presto, dato che le due cariche sono vacanti da tempo: il vescovo patriottico Michele Fu Tieshan, eletto presidente dell’AP nel 1998, è morto nel 2007; monsignor Giuseppe Liu Yuanren, vescovo patriottico di Nanchino, eletto presidente del Consiglio dei vescovi nel 2004, è morto nel 2005.

La campagna di controllo sui vescovi, il costringerli a tutta una serie di sessioni politiche, le celebrazioni per i 50 anni delle prime ordinazioni di vescovi cinesi separati da Roma promosse dal Fronte Unito e dall’AP mirano a piegare ogni resistenza da parte dei vescovi ufficiali, per sottometterli alle tradizionali strutture di controllo.

Il timore di molti cattolici, ufficiali e sotterranei, è che mancando indicazioni più precise ed incisive da parte della Santa Sede, i vescovi ufficiali si lascino trasportare dagli eventi e da interpretazioni personali della lettera del papa, piegandosi a compromessi.


UN SONDAGGIO TRA I VESCOVI CINESI
Nei mesi scorsi, a oltre un anno dalla lettera del papa ai cattolici cinesi, "Asia News" ha svolto un’inchiesta fra i vescovi della Cina per sapere come accolgono e applicano le indicazioni di Benedetto XVI. Alcune risposte sono stupefacenti. Da un lato diversi vescovi elogiano il valore della lettera e dell’insegnamento del pontefice, che spinge all’unità con lui e fra di loro. Dall’altro essi sembrano non essere scossi per nulla dal fatto che il documento definisca i programmi e la politica dell’AP come “inconciliabili” con la dottrina cattolica.

Così, nelle risposte, diversi vescovi ufficiali si sono sciolti in elogi sperticati dell’Associazione, del suo “aiuto alla Chiesa” e “ai bisognosi”, del suo "prendersi cura della religione”. Alcuni vescovi della Cina centrale giungono perfino ad affermare che l’AP “è tutt'uno con la Chiesa”.

Un cattolico della Cina del nord ha dichiarato ad "Asia News": “I vescovi ufficiali mancano di coraggio. Se Pechino domanda loro di incontrarsi, subito si muovono e si radunano. Ma in questo modo essi non attuano le indicazioni contenute nella Lettera del papa e rischiano di tornare indietro, a un passato di schiavitù. Purtroppo, i vescovi sotterranei, che hanno sempre avuto cara l’unità con il papa anche a costo della vita e della libertà, sono quasi tutti agli arresti domiciliari; alcuni sono scomparsi e altri sono in prigione”.

Altri fedeli, soprattutto a Pechino, accusano i vescovi di essere avidi di potere e di denaro: e questo sarebbe il motivo dei loro compromessi. Dice una fedele della Nantang, la cattedrale dell’Immacolata, nella capitale: "Forse monsignor Li Shan non sarà personalmente ambizioso, ma è circondato da collaboratori la cui brama è smisurata e pur di riuscire a piacere al governo e guadagnarci sono pronti a qualunque compromesso, anche a svendere quel minimo di libertà che è rimasto alla Chiesa”.

Un sacerdote della Chiesa sotterranea è più clemente. “Questi nuovi vescovi della Chiesa ufficiale – dice – sono persone giovani, attorno ai 40 anni. Essi non hanno mai vissuto in un regime di piena libertà e per loro è da sempre ovvio che i cristiani debbano sottostare al controllo dello stato anche in affari strettamente religiosi. D’altra parte, le grandi personalità della Chiesa cinese sono ormai scomparse e loro si ritrovano senza modelli”.

Il timore di molti vescovi e fedeli è che, in questa situazione di debolezza, nel 2009 si abbia una nuova infornata di ordinazioni illecite senza il permesso della Santa Sede, ricostituendo un nucleo patriottico di prelati perfettamente obbedienti al Partito. Ciò potrebbe portare al blocco delle tante conversioni al cristianesimo che avvengono nella società civile e fra gli intellettuali, i quali stanno riscoprendo l’insegnamento della Chiesa come il fondamento alle loro richieste di libertà e di rispetto dell’individuo.


IL CARDINALE ZEN: NIENTE PIÙ COMPROMESSI
In questa situazione ambigua e ingarbugliata, è emersa la voce chiarificatrice e netta del cardinale Joseph Zen Zekiun, di Hong Kong, che ha domandato a vescovi e preti della Chiesa ufficiale di essere più coraggiosi e di non cedere a compromessi con il regime.

In un articolo nell’edizione del 4 gennaio 2009 del settimanale diocesano "Gong Jiaobao" (tradotto poi anche nel settimanale in inglese "Sunday Examiner") egli esorta vescovi e sacerdoti cinesi ad imitare le virtù di santo Stefano, il primo martire cristiano, e a non sottostare più ai comandi dello stato contrari alla fede. L’articolo porta il titolo: “Ispirazione dal martirio di santo Stefano” e in esso il cardinale Zen fa un’analisi della vicenda della Chiesa cattolica in Cina negli ultimi due anni, a partire dalle ordinazioni episcopali illecite del 2006, alle quali presero parte anche una decina di vescovi riconosciuti dal Vaticano, per paura o perché ingannati.

Zen ricorda poi il "raggio di speranza” brillato nel 2007 con un incontro in Vaticano sulla Chiesa in Cina e soprattutto con la diffusione della lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi. Il vescovo di Hong Kong sottolinea che, nella lettera, il papa afferma che l’Associazione Patriottica cinese ha dei fini contrari alla fede cattolica e aggiunge che è proprio l’AP la “causa maggiore di tutti i problemi della Chiesa in Cina”.

A questo proposito, il cardinale si scaglia contro alcune interpretazioni della lettera fatte in particolare dal missionario Jerome Heyndrickx, secondo cui sarebbe finita l’era della Chiesa sotterranea e tutti i suoi vescovi dovrebbero entrare nella Chiesa ufficiale. In realtà, afferma il cardinale, il papa “ammira la loro fedeltà senza cedimento e li incoraggia a perseverare”, come testimoniato da un discorso di Benedetto XVI all’Angelus della festa di santo Stefano del 2006.

Davanti al pericolo gravi compromessi, l’esperienza della Chiesa sotterranea viene ad avere ancora più valore, dice Zen. Proprio per questo, il cardinale si scaglia contro le celebrazioni avvenute a Pechino lo scorso 19 dicembre, in cui si festeggiavano i 50 anni delle ordinazioni episcopali illecite in Cina.

Per il vescovo di Hong Kong non c’è nulla da celebrare perché il metodo delle “auto-ordinazioni” è stato voluto da forze radicali dell’estrema sinistra negli anni Cinquanta, che guardavano il papa come un rappresentante dell’imperialismo. Ma questa visione è ormai sorpassata, in un periodo come questo, nel quale la Cina celebra i suoi 30 anni di riforme economiche attuate in opposizione a quella mentalità radicale.

“Forzare i cattolici a fare qualcosa contro la propria coscienza – scrive il cardinale - è un grave insulto alla dignità di ogni cittadino cinese e perciò non c’è nulla di cui essere orgogliosi, nulla da celebrare. Celebrare un simile anniversario mostra che quelli che sono in alto non vogliono abbandonare la presa del potere e costringono la nostra grande nazione a portare la vergogna dell’arretratezza su questo aspetto”.

Per il porporato è chiaro che tutta l’enfasi delle celebrazioni dei 50 anni dell’AP e delle “auto-ordinazioni” è una preparazione agli incontri per votare i nuovi presidenti dell’Associazione Patriottica e del Consiglio dei vescovi cinesi. E suggerisce ai vescovi di boicottare il prossimo raduno al quale saranno convocati. Egli si domanda: “Prendere parte a una tale assemblea non è un atto di totale disprezzo della lettera del papa? Non è come dargli uno schiaffo in faccia? La vostra coscienza vi permette questo? Il popolo di Dio lo accetterà? Forse questo porta onore alla nostra nazione? Ci potrà essere speranza che si possa tornare presto a una situazione di normalità e godere di libertà di fede e religione?”.

Nell’articolo, il cardinale Zen racconta che nella Chiesa cinese alcuni vanno facendo l’elogio del compromesso e dell’ambiguità: “Qualcuno, parlando ai fratelli della comunità sotterranea pare aver detto: Noi siamo molto intelligenti nell’accettare il compromesso! Siamo in comunione col Santo Padre e allo stesso tempo siamo riconosciuti dal governo. Questo ci dà i soldi e noi possiamo prender cura dei fedeli, mentre voi preferite andare in prigione, preferite morire. E così i vostri fedeli rimangono abbandonati, senza nessuno che si prenda cura di loro”.

Il porporato aggiunge: “Dunque il martirio sarebbe divenuto una stupidaggine? È assurdo! Questa è una visione miope! Il compromesso può essere una strategia provvisoria, ma non può durare per sempre. Essere uniti al Santo Padre in segreto e allo stesso tempo essere parte di una Chiesa che si dichiara autonoma da Roma è contraddittorio”.

Il cardinale Zen conclude con un invito fraterno: “Cari fratelli vescovi e sacerdoti, guardate all’esempio di santo Stefano; a tutti i martiri della nostra storia! Ricordate: le nostre sofferenze per la fede sono la fonte della vittoria, anche se al momento esse possono sembrare una sconfitta”.