mercoledì 18 febbraio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Etica e genetica, un'alleanza auspicabile - Presentato il prossimo Congresso della Pontificia Accademia per la Vita
2) Monsignor Fisichella: la ricerca metta al bando l'eugenetica - Presentato il Congresso “Le nuove frontiere della genetica e il rischio dell'eugenetica”
3) TUTTAVIA PER LA CHIESA LA VITA TERRENA NON E’ UN BENE ASSOLUTO. LO SONO INVECE LA SALUTE DELL’ANIMA E LA VITA ETERNA 17.02.2009 - Antonio Socci - Da “Libero”15 febbraio 2009
4) La Chiesa dopo Eluana: una risposta a Giuliano Ferrara. "La domanda di Eliot" - La domanda è ancora quella di Eliot: "è la Chiesa che ha abbandonato l'umanità o è l'umanità che ha abbandonato la Chiesa?". - di Massimo Introvigne (il Foglio, 12 febbraio 2009)
5) Austria: un cattolicesimo out - ENNESIMA PROVA - la Chiesa in Austria è governata dai mass media
6) UNICREDIT - La banca di Profumo rischia “una Stalingrado monetaria”
7) L'influenza di Lincoln su Obama - Lorenzo Albacete - mercoledì 18 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
8) TESTIMONIANZA/ Harry Wu: la mia vita da dissidente nei Laogai cinesi - INT. Harry Wu - mercoledì 18 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
9) ISTRUZIONE/ Ecco come sono iniziati i guai della scuola media italiana - Felice Crema - mercoledì 18 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
10) Una cena da ricordare per chi ha poco o nulla da mangiare - Redazione - lunedì 16 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
11) CREAZIONISMO/ Quella lezione ebraica che permette alla scienza di convivere con la fede - Ugo Volli - mercoledì 18 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
12) 18/02/2009 10:48 – INDIA - Orissa: cristiano picchiato e rapito da estremisti indù. Per la polizia è un ricercato - di Nirmala Carvalho - Golyat Pradhan, 22 anni, è stato sequestrato l’11 febbraio e di lui non si hanno più notizie. La madre ne denuncia la scomparsa. Per la polizia è un ricercato, accusato dai fondamentalisti di essere un “maoista” e di aver commesso uno stupro. Continuano le violenze ai danni dei cristiani.

Etica e genetica, un'alleanza auspicabile - Presentato il prossimo Congresso della Pontificia Accademia per la Vita
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 17 febbraio 2009 (ZENIT.org).- “Etica e genetica, un'alleanza auspicabile” è il punto centrale dell'intervento pronunciato questo martedì mattina in Vaticano da monsignor Ignacio Carrasco de Paula, Cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita, durante la conferenza stampa di presentazione del Congresso “Le nuove frontiere della genetica e il rischio dell’eugenetica”, che si svolgerà il 20 e il 21 febbraio.

L’incontro intende esplorare, da un lato, l’importanza della ricerca medica nel campo della genetica ai fini del progresso della medicina; e dall’altro porre in luce le possibili derive dello sviluppo della genetica moderna, in particolare la cosiddetta “eugenetica”, volta ad ottenere l’essere umano perfetto, contravvenendo in alcuni casi a principi etici inderogabili come il rispetto della vita umana e la non discriminazione.

Monsignor Carrasco ha sottolineato che tra le grandi scoperte di questi inizi di un nuovo millennio un posto di “assoluta rilevanza” è occupato dal Progetto del Genoma Umano (HGP), nato nel 1990 e che in soli tredici anni ha portato alla mappatura dell’intero patrimonio genetico dell’uomo, aprendo “una promettente e affascinante prospettiva per le scienze biomediche e in particolare per la medicina preventiva”.

“Meno conosciuto – ha commentato – risulta invece, almeno in Europa, un altro progetto di ricerca partito in contemporanea nello stesso anno 1990 e intitolato ELSI, un acronimo che sta a indicare lo studio delle implicazioni etiche, legali e sociali correlate alle scoperte ed eventuali applicazioni derivate dal HGP”.

“Se per la medicina, e non solo per essa, la conoscenza del genoma umano è assolutamente essenziale, altrettanta importanza riveste l’individuazione delle conseguenze etiche, legali e sociali”, ha spiegato il presule.

Monsignor Carrasco ha quindi evidenziato alcuni potenziali pericoli come “l’utilizzo in ambito lavorativo (selezione del personale), assicurativo, bancario (crediti), la protezioni dei dati da conservare nelle banche genetiche, e soprattutto il possibile cattivo uso discriminatorio di informazioni genetiche, in particolare nell’ambito della eugenetica”.

L’eugenetica, ha osservato, “rappresenta oggi la principale strumentalizzazione discriminatoria delle scoperte della scienze genetica”.

E' proprio questo il punto che il Congresso si propone di esplorare, pur ricordando che l’obiettivo principale è “richiamare l’attenzione di tutti sui notevoli benefici che possiamo ottenere dalla ricerca genetica se, come sembra corretto e auspicabile, vengono indirizzati verso di essa sia l’impegno dei ricercatori che gli investimenti pubblici e privati, superando la tentazione delle apparenti scorciatoie proposte dall'eugenetica”.

Dal canto suo, il professor Bruno Dallapiccola, docente di Genetica Medica presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha riconosciuto durante la presentazione del Congresso che “se da un lato non si può non essere affascinati da questo progresso scientifico, dall’altro lato si deve prendere coscienza che la società è impreparata ad affrontare e a governare la mole delle informazioni prodotte e non sembra pronta a renderle fruibili a beneficio dell’uomo, avendone compreso e valutato tutto l’impatto a livello del singolo e della popolazione”.

“Nonostante questi limiti”, ha lamentato, “molte conoscenze mediate dalla genetica, prima di essere sufficientemente sperimentate e validate, vengono trasferite al mercato della salute e sono proposte agli utenti al di fuori dei protocolli e delle cautele con i quali la Medicina dovrebbe avvicinarsi alle innovazioni diagnostiche e tecnologiche”.

La diffusione delle analisi genomiche, ha aggiunto, è destinata anche a trasformare la figura del medico. Lo sviluppo della medicina di laboratorio e delle indagini strumentali, infatti, ha già modificato drasticamente negli ultimi 50 anni la professione del medico di famiglia, “che, con il tempo, ha ridotto l’attitudine a visitare il paziente, a dialogare con lui e ad ascoltarlo, a favore di una crescente propensione alla prescrizione di indagini strumentali e di laboratorio spesso di discutibile utilità”.

“L’era postgenomica rischia di produrre un’ulteriore involuzione della figura del medico, destinato, forse, a diventare un ‘genomicista’, cioè un addetto alla interpretazione dei dati sofisticati che escono da qualche strumento di elevata tecnologia”, ha avvertito.

Il professor Dallapiccola ha anche messo in guardia contro “ogni tentativo di semplificazione di un progetto che, per la sua stessa natura, è molto complesso”, che significa “fare un cattivo uso della Genetica”.

Per questo, sostiene che si debba essere “critici tanto nei confronti dei ‘riduzionisti’, che ritengono che il sequenziamento del genoma umano sia sufficiente a chiarire il senso della vita umana, quanto nei confronti dei ‘deterministi’, che credono di riuscire a predire, solo attraverso la lettura del DNA, il destino biologico di una persona”.

“I progressi della Genetica stanno chiarendo i meccanismi che sono alla base della variabilità tra le persone e questo, in un’epoca di disumanizzazione della Medicina, rappresenta un valore che necessita di essere apprezzato, perché è proprio il riconoscimento di quella variabilità biologica ad aiutarci a guardare ad ogni paziente non più come ad un numero, all’interno di un protocollo, e neppure come ad un semplice prodotto del codice genetico, ma come ad una persona”, ha osservato.


Monsignor Fisichella: la ricerca metta al bando l'eugenetica - Presentato il Congresso “Le nuove frontiere della genetica e il rischio dell'eugenetica”
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 17 febbraio 2009 (ZENIT.org).- La ricerca “può crescere e deve progredire”, ma lo stesso deve fare “la coscienza etica”, ha spiegato monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita.

Il presule è intervenuto questo martedì mattina alla conferenza stampa di presentazione del Congresso “Le nuove frontiere della genetica e il rischio dell’eugenetica”, promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita in occasione della XV Assemblea Generale e che avrà luogo il 20 e il 21 febbraio prossimi.

I relatori dell'evento saranno scienziati provenienti da diverse università, che affronteranno il tema da varie prospettive, da quella biomedica a quella legale, dalla riflessione filosofica e teologica a quella sociologica.

“Una simile tematica – ha affermato monsignor Fisichella – rappresenta sempre più spesso un riferimento costante della medicina; soprattutto dopo la scoperta del genoma e la conseguente conoscenza di gran parte delle caratteristiche peculiari del patrimonio genetico di ognuno di noi”.

Le conquiste genetiche, ha osservato, “appartengono al costante e spesso frenetico progresso tecnologico che sembra non avere più confini”.

L'applicazione della genetica, infatti, se “a livello prematrimoniale e preconcezionale ha una sua applicazione per verificare il rischio di essere portatori sani di patologie”, “viene compiuta oggi anche a livello prenatale e porta con sé – come si può immaginare – problematiche di ordine etico differenti”.

Ogni conquista scientifica, del resto, “porta sempre con sé inevitabilmente quello sguardo del Giano bifronte che mostra la bellezza e insieme la tragicità”, ha riconosciuto il presule, sottolineando che “il rischio di una deriva della genetica non è solo un richiamo teorico che viene fatto”.

Esso, ha avvertito, “appartiene, purtroppo, a una mentalità che tende lentamente ma inesorabilmente a diffondersi”, grazie anche a “un sottile formalismo linguistico unito a una buona pubblicità sostenuta da grandi interessi economici” che “fa perdere di vista i veri pericoli sottesi e tende a creare una mentalità non più in grado di riconoscere l'oggettivo male presente e formulare un giudizio etico corrispondente”.

“Avviene così che mentre sembra non esserci più posto nelle nostre società democratiche, rispettose per principio della persona, l'eugenetica messa al bando nell'uso terminologico ricompaia nella pratica in tutta buona coscienza”, ha spiegato, osservando che scopo del Congresso sarà quindi “quello di verificare se all'interno della sperimentazione genetica sono presenti aspetti che tendono e attuano di fatto un'azione eugenetica”.

L'eugenetica, ha constatato, “mostra il volto consolatorio di chi vorrebbe migliorare fisicamente la specie umana” e si esprime “in diversi progetti di ordine scientifico, biologico, medico, sociale e politico”.

Questi ultimi, ha aggiunto, comportano “un giudizio etico soprattutto quando si vuole sostenere che si attua una simile azione eugenetica in nome di una 'normalità' di vita da offrire agli individui”. “Normalità che rimane tutta da definire e che spinge in maniera incontrovertibile e stabilire chi mai possa arrogarsi l'autorità per stabilire le regole e le finalità del vivere 'normale' di una persona”.

Questa mentalità “certamente riduttiva” “tende a considerare che ci siano persone che hanno meno valore di altre, sia a causa della loro condizione di vita quali la povertà o la mancanza di educazione, sia a causa della loro condizione fisica”.

In una situazione caratterizzata da questo panorama, ha ricordato monsignor Fisichella, “non sempre le istanze della scienza medica trovano l'accordo del filosofo o del teologo”.

“Se da una parte, la tentazione di considerare il corpo come materia è spesso facile da riscontrare in alcuni, dall'altra, la preoccupazione perché mai si dimentichi l'unità fondamentale di ogni persona, che non è mai riducibile alla sola sfera materiale perché possiede in sé quell'autoconsapevolezza che la porta a esprimere un senso per la propria esistenza, è una istanza che non può essere emarginata né sottaciuta”.

“Può crescere e deve progredire la ricerca per poter dare sollievo a ogni persona, ma nello stesso tempo si è chiamati a far crescere e progredire la coscienza etica senza della quale ogni conquista rimarrebbe sempre e solo parziale, mai destinata pienamente ad ogni persona nel suo desiderio di una vita pienamente umana e proprio per questo aperta e sempre tesa verso una trascendenza che la sorpassa e avvolge”, ha concluso.


TUTTAVIA PER LA CHIESA LA VITA TERRENA NON E’ UN BENE ASSOLUTO. LO SONO INVECE LA SALUTE DELL’ANIMA E LA VITA ETERNA 17.02.2009 - Antonio Socci - Da “Libero”15 febbraio 2009
Adriano Sofri mi ha fatto riflettere. Sabato sulla Repubblica e sul Foglio ha messo in discussione, con argomenti seri, la mozione del Pdl approvata in Parlamento sul “fine vita” (a proposito della legge in discussione sul cosiddetto “testamento biologico”). Può uno Stato disporre “la nutrizione dei suoi sudditi umani”? O ancora: “riuscite a immaginare che qualcuno, a voi maggiorenni e capaci di intendere, venga a intimare di mangiare e bere?”. Questa domanda già posta da Gad Lerner, da Emma Bonino e da Pier Luigi Bersani, secondo Sofri, non ha avuto risposta. In effetti anche a me è sembrato di non sentire risposte totalmente esaurienti. E’ sensato allora, in vista della legge (contro cui già si annuncia un referendum), continuare a difendere un principio simile che sembra ledere la libertà personale e, a prima vista, pure il buon senso?

Pare di no. Sennonché lo stesso Sofri indica intanto un’eccezione: l’ “alimentazione forzata” si può disporre solo “in casi di accertata necessità psichiatrica… come sa chi fa i conti con la tragedia dell’anoressia nervosa”. E’ vero. Ma perché allora non potrebbe valere lo stesso, poniamo, per una persona malata di Alzheimer? Ci sono casi in cui questi malati rifiutano anche le medicine: ebbene, i familiari che premurosamente inseriscono le rifiutate pasticche nel cibo per curare i propri cari commettono reato? Si badi bene, è sacrosanto il diritto di rifiuto delle cure, ma in casi come questo? O per i minori? La vita concreta è più problematica dell’astrazione giuridica.

Torniamo al cibo. Nella concretezza quanti sono coloro che rifiutano alimentazione e idratazione? Casomai una persona gravemente ammalata e molto sofferente che vuole farla finita potrà arrivare a chiedere l’eutanasia, ma non credo che chieda la cessazione di alimentazione e idratazione perché ciò da solo non rappresenterebbe certo la fine delle sofferenze. Anzi.

Allora sembra una questione solo ideologica che non ha riscontri nella pratica e che si solleva solo perché non si osa proporre l’eutanasia. Peraltro anche le richieste di eutanasia (cioè l’idea di una morte veloce e indolore che metta fine alle sofferenze) sono pochissime fra i malati terminali, contrariamente a quanto si pensa, perché le cure palliative che cancellano il dolore (insieme al soccorso dell’amore umano) spesso danno ai pazienti molta forza per affrontare il decorso della malattia.

Mi accosto in punta di piedi a questi drammi ben conoscendo la mia personale fragilità di fronte alla malattia e al dolore fisico, davanti al quale – senza l’aiuto del Cielo – mi smarrirei completamente. Quindi propongo queste considerazioni con umiltà, assoluto rispetto e comprensione verso chi pensa diversamente. Rispetto reciproco che talora nella vicenda recente non si è avuto (per inciso, io trovo ammirevole la dignità con cui il signor Englaro ha difeso la figlia dalla spettacolarizzazione del dolore anche rifiutando la proposta di un fotografo di ritrarre il suo volto sofferente).

Torniamo alla legge. Secondo Sofri se uno non può più fare della propria vita ciò che vuole, si configura all’orizzonte il profilo mostruoso dello “Stato etico” che ci obbliga pure a mangiare. C’è di che riflettere. E’ un timore serio. Tuttavia constato che i veri “stati etici” del Novecento (i totalitarismi), hanno sempre legiferato contro la vita umana. E noto che il principio per cui il bene della vita è indisponibile anche a se stessi è da sempre uno dei principi della nostra laica legislazione democratica (non è affatto un’idea clericale che oggi verrebbe “imposta” dalla Chiesa).

E’ per questo che lo Stato democratico e repubblicano mi obbliga, per esempio, a mettere le cinture di sicurezza quando salgo in macchina o a indossare il casco se vado in moto o nel caso in cui lavori come muratore in un cantiere. Cioè non mi dà la libertà di farmi del male. Chi pensa che ognuno deve poter disporre della sua vita a piacimento, doveva insorgere anche per queste norme che invece ha condiviso.

Si dirà che lo Stato impone tali norme di sicurezza per risparmiare sull’eventuale costo di cure mediche e assistenza. Ma la risposta non convince e appare francamente meschina. Anzitutto perché il principio di libertà, se è affermato come assoluto, prevale sull’obiettivo di limitazione della spesa (altrimenti, per la stessa ragione economica, si potrebbero abolire le elezioni e pure il Parlamento), in secondo luogo perché spesso con incidenti di auto o sul lavoro si provoca la propria morte (quindi non c’è problema di assistenza), in terzo luogo perché in tante regioni ben poche sono le spese di assistenza che si accolla l’ente pubblico, in quarto luogo se quella economica fosse stata la ragione di tali norme, si sarebbe potuto, più fondatamente, riconoscere il diritto alle cure pagate dal sistema pubblico solo laddove si sono osservate le regole di sicurezza.

Ma invece la legge qua impone “sic et simpliciter” l’obbligo della cintura e del casco, cioè ci impone di proteggere la nostra vita. Se ne deduce che per la nostra laica legislazione la vita umana è indisponibile anche a se stessi, tanto è vero che un cittadino che riesce a scongiurare un suicidio, che io sappia, non viene incriminato per violenza privata. Ma anzi è ritenuto un benemerito.

Non solo. Lo Stato impone varie altre cose – come l’istruzione obbligatoria dei nostri figli – che di per sé rappresentano un costo per la comunità. Così si tutela il nostro bene anche contro la nostra volontà. Sarà discutibile quanto volete, ma questa è la filosofia del nostro sistema costituzionale e repubblicano.

Al punto che l’Italia – su idea dei Radicali - si è fatta promotrice della moratoria internazionale per la pena di morte, in base al principio dell’intangibilità assoluta della vita umana (anche la vita dei criminali), e non mi risulta sia stata prevista l’eccezione in cui un condannato – per desiderio di espiazione – chieda lui stesso di subire la condanna a morte. Vi parrà una fattispecie astratta, inesistente nella pratica (se non nei romanzi di Dostoevskij), ma, fino a prova contraria, si può ritenere astratto pure il rifiuto lucido e consapevole di alimentazione e idratazione.

Tutto questo fa pensare che il principio dell’indisponibilità assoluta della vita umana sia un principio laico, della nostra legislazione, non della Chiesa. Chè, anzi, nella dottrina cattolica la vita biologica non è affatto un bene assoluto. La salute dell’anima è più importante della salute fisica, tanto quanto la vita eterna vale più della vita terrena. Infatti la Bibbia proclama: “La Tua Grazia vale più della vita” (Salmo 62).

Non a caso padre Kolbe ha donato la sua stessa vita per amore di Dio e del prossimo e così è stato fatto santo e ha conquistato la vita eterna. Non a caso Gesù ci mette in guardia dall’assolutizzare i beni terreni con queste parole: “chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che giova infatti al’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8,35-36).

La Chiesa in questi anni ha accentuato il richiamo al rispetto della vita umana, come bene sacro e inviolabile, per le tragedie storiche che nel Novecento hanno portato a una tremenda sua svalorizzazione. La Chiesa così si oppone alle ideologie. Ma il cardine dell’annuncio cristiano – che forse a volte viene dimenticato – è anzitutto (e deve essere sempre) la salvezza dell’anima e la vita eterna. Il male assoluto, per la Chiesa, è il rifiuto di Cristo (il peccato), non la morte fisica. E il bene supremo non è la vita terrena, ma la salvezza dell’anima e la conseguente risurrezione del corpo che finalmente non sarà più sottoposto alla malattia, al dolore e alla morte. Allora “la carezza del Nazareno” – come dice l’Apocalisse – “tergerà ogni lacrima dai nostri occhi” e avremo l’eterna giovinezza e una felicità inimmaginabile, che non passa.

Antonio Socci - Da “Libero”15 febbraio 2009


La Chiesa dopo Eluana: una risposta a Giuliano Ferrara. "La domanda di Eliot" - La domanda è ancora quella di Eliot: "è la Chiesa che ha abbandonato l'umanità o è l'umanità che ha abbandonato la Chiesa?". - di Massimo Introvigne (il Foglio, 12 febbraio 2009)
Caro Direttore, La ringrazio per avere posto con l'abituale lucidità sul Foglio dell'11 febbraio quella che è forse - dopo Eluana - l'unica domanda veramente importante: se con Eluana siano morti in Italia i valori di fede e di ragione che hanno dato all'Europa le sue radici e la sua anima, e se la Chiesa, non avendo potuto impedire questa morte, abbia imboccato la strada che porta all'irrilevanza. La domanda è ancora quella di Eliot: "è la Chiesa che ha abbandonato l'umanità o è l'umanità che ha abbandonato la Chiesa?".
Giacché però non sono un poeta ma un sociologo, sono abituato a considerare i processi sociali complessi come sempre aperti a diverse interpretazioni. Lei propone un impressionante inventario delle ragioni per cui il bicchiere della Chiesa - quando non si è più potuto dare da bere a Eluana - si è rivelato mezzo vuoto. Preti (come quelli del Friuli di cui parla lo stesso numero del Foglio), laici e anche qualche vescovo dissenzienti o colpevolmente silenziosi evidenziano un problema, le cui radici stanno nel pontificato di Giovanni Paolo II. Nessuno come il Pontefice polacco ha avuto la consapevolezza che l'Europa e l'Italia sono ormai terra di missione, bisognosa di "nuova evangelizzazione". Per questa missione Giovanni Paolo II ha privilegiato l'appello diretto ai fedeli, soprattutto ai giovani, rispetto agli atti di governo relativi all'amministrazione della Chiesa. Da un certo punto di vista la strategia ha avuto uno straordinario successo, sollevando un entusiasmo imprevedibile e diffuso, che non ho avuto bisogno di verificare con strumenti sociologici perché l'ho constatato giorno per giorno nei miei figli e nel loro amore affettuoso e contagioso per Papa Wojtyla. D'altro canto, anche gli intellettuali più vicini a Giovanni Paolo II - come George Weigel, il compianto Richard John Neuhaus o Ralph McInerny - hanno fatto notare i pericoli insiti nella scarsa attenzione rivolta al governo della Chiesa e alle nomine episcopali, alcune delle quali non sono state particolarmente felici. Non si tratta, naturalmente, di criticare Papa Wojtyla - anche perché, per molti versi, la sua strategia di contatto diretto con il popolo dei fedeli era, in una situazione di grave e diffusa scristianizzazione, l'unica possibile - ma di rilevare un problema. Nessuno ne è più consapevole di Benedetto XVI, che ha scelto di dedicare all'azione di governo della Chiesa la parte maggiore del suo tempo e delle sue energie. Ma il caso Eluana può forse suggerire, per quanto riguarda l'Italia, un'ulteriore accelerazione. Può darsi - senza pretendere, naturalmente, di voler dare suggerimenti al Papa - che non sia più sufficiente attendere che vescovi inadeguati vadano in pensione e che occorra sostituirli prima, e che su alcune situazioni particolarmente imbarazzanti la severità debba sostituire la paziente attesa di improbabili ravvedimenti.
E tuttavia, per altro verso, il bicchiere è mezzo pieno. Le statistiche ci dicono che la rilevanza della Chiesa nella società italiana - misurata dal consenso dei cittadini e anche dalla frequenza alla Messa -, per quanto certo non corrispondente a quanto il Papa o i vescovi potrebbero auspicare, è comunque assai maggiore rispetto alle vicine Francia, Germania o Spagna. Il referendum sulla legge 40 ha mostrato che la sconfitta non è l'unico esito possibile della sua azione di testimonianza ai valori non negoziabili. Il caso Eluana smentisce tutto questo? Non completamente. L'azione della Chiesa - e dei laici di buona volontà, naturalmente - ha persuaso la maggioranza degli italiani che l'alimentazione e l'idratazione non sono cure mediche, e che far morire una disabile di fame e di sete è profondamente ingiusto. Lo rivelano i sondaggi, che sono cambiati di segno rispetto agli inizi della vicenda di Eluana, e anche le reazioni di tanti politici, a cominciare da quello straordinario interprete della sensibilità comune degli italiani che è il presidente Berlusconi. Magra consolazione, si dirà, perché Eluana è morta. Certo: e tuttavia se nella maggioranza di governo la chiarezza prevarrà sulla tentazione del compromesso e del pasticcio (un rischio che come Lei ha spesso sottolineato non è mai assente, neppure all'interno del centro-destra) può darsi che questo maggioritario consenso trovi qualche eco in Parlamento e contribuisca ad allontanare l'abominio dell'eutanasia dalle nostre leggi.
Le settimane e i mesi che vengono ci diranno se il bicchiere è mezzo pieno o piuttosto, in effetti, mezzo vuoto. I bicchieri, però, non si riempiono né si svuotano da soli. Chi ha a cuore i valori della fede e della ragione che hanno fatto dell'Europa quello che è non può solo lamentarsi del fatto che i vescovi o i sacerdoti non agiscano: deve agire lui. Questo - non un presunto diritto al dissenso morale e teologico - è il vero significato dell'autonomia dei laici cattolici nell'instaurazione dell'ordine temporale di cui parla il Concilio Vaticano II. Il Papa fa, in modo ammirevole, la sua parte. A noi - senza pensare di delegare ad altri - fare la nostra. Io rappresento una piccola - ma non piccolissima - associazione come Alleanza Cattolica che da decenni giorno per giorno, settimana dopo settimana, diffonde i valori non negoziabili della vita, della famiglia, delle radici cristiane dell'Europa attraverso centinaia di riunioni, incontri, conferenze, seminari. Non ci dà certo fastidio, anzi ci fa molto piacere, che altri operino nella stessa direzione. Perché, rovesciando il proclama blasfemo di Osama bin Laden, siamo orgogliosi di amare la vita quanto gli avversari della fede e della ragione amano la morte.


Austria: un cattolicesimo out - ENNESIMA PROVA - la Chiesa in Austria è governata dai mass media
La diocesi di Linz, dopo essere stata guidata per 23 anni dal benedettino mons. Maximilian Aichern, considerato un “liberal”, dal 2005 è stata affidata a mons. Ludwig Schwarz, salesiano. Per la cronaca mons. Maximilian Aichern si dimise con due anni di anticipo rispetto alla scadenza «naturale» dei 75 anni di età, in virtù del canone 401/2 del Codice di diritto canonico che contempla le dimissioni di un vescovo per “malattia o altre gravi ragioni”. Il 31 gennaio scorso il Santo Padre, Benedetto XVI, ha provveduto alla nomina di un vescovo ausiliare per la diocesi di Linz, nella persona del Rev.do Gerhard Maria Wagner (nella foto sotto), parroco di Windischgarsten (diocesi di Linz).
La stampa austriaca ha subito scritto che nella diocesi di Linz «l'era liberal» era ormai definitivamente terminata con la nomina di Wagner, definito come un ultra-conservatore. Dopo che per anni la diocesi di Linz era stata guidata da mons. Maximilian Aichern, un vescovo di «larghe vedute». E così è incominciato l’attacco mediatico con argomentazioni incredibili… L’attacco ha ricevuto un chiaro appoggio anche dall’interno della comunità ecclesiale. Basti riferire dell’incredibile rifiuto di accettare il vescovo ausiliare da parte di ben 31 decani (su 35) della diocesi. Oppure della riunione straordinaria della conferenza episcopale austriaca - avvenuta lunedì 16 febbraio – in cui nessuno ha difeso mons. Wagner. Anzi, il documento finale dell’assise di fatto sconfessa la scelta di Roma di nominarlo vescovo e, incredibilmente, chiede che il Vaticano faccia proprio un migliore processo di scelta ed esame nelle nomine episcopali.
E così mons. Gerhard Maria Wagner, prendendo atto di questa situazione drammatica, ha chiesto al Papa di revocare la sua nomina a vescovo ausiliare di Linz.
Rivolgiamo un GRAZIE/DANKE a mons. Wagner per l’amore manifestato per la Chiesa in questa terribile ed allucinante situazione.
Ora, se la sua richiesta verrà accolta, tornerà nella sua parrocchia, piena di fedeli che lo stimano profondamente, a fare il parroco ed a illuminare le coscienze. In Austria pare ce ne sia un gran bisogno.
Mentre i diaconi, sacerdoti ed anche quei vescovi che nei giorni scorsi si sono “scagliati” contro di lui sui mass media, canteranno vittoria per un paio di giorni, ma poi torneranno alle loro comunità paurosamente deserte e non dal 31 gennaio 2009, ma da molto di più… Povera Austria!
Il vaticanista A. Tornelli ha svelato alcuni particolari importanti della dolorosa vicenda…

Il vescovo ausiliare di Linz rinuncia alla nomina
Due settimane dopo la pubblicazione della nomina, il nuovo vescovo ausiliare eletto della diocesi austriaca di Linz, Gerhard Wagner, ha rinunciato. Lo ha fatto dopo l’onda montante delle polemiche scaturite in Austria per alcune sue vecchie dichiarazioni riguardanti il ciclone Katrina che ha distrutto New Orleans, e la saga di Harry Potter. Wagner, definito “ultraconservatore”, aveva sconsigliato la lettura dei romanzi del maghetto, definendoli “satanici”. E questo, sinceramente, non ci sembra argomento tale da far rinunciare all’episcopato, a meno che esistano pronunciamenti dell’ex Sant’Uffizio su Harry Potter (se è così, lo scrivente e due dei suoi tre figli, sarebbero passibili di scomunica…). Diversa è la questione della dichiarazione sull’uragano: Wagner aveva detto che Katrina, l’uragano del 2005, era stato una sorta di punizione divina per l’immoralità di New Orleans. Il sacerdote aveva detto che non per caso erano state distrutte «le cinque cliniche dove si praticava l’aborto e i postriboli», e si era chiesto se «la catastrofe naturale non fosse la conseguenza di una catastrofe spirituale». Qualcosa di simile sull’AIDS lo disse a suo tempo il cardinale Siri. In ogni modo, il punto è un altro. La nomina dell’ausiliare di una diocesi difficilmente può passare sopra la testa del vescovo titolare della diocesi stessa, che il nuovo eletto è chiamato ad aiutare. Il vescovo di Linz voleva Wagner? Pare proprio di sì. E ancora: queste dichiarazioni su Katrina ed Harry Potter, non sono state pronunciate nella notte dei tempi, ma pochi anni fa. Nessuno a Roma, nelle competenti congregazioni, le conosceva? Nessuno si è chiesto se ostavano o meno alla nomina episcopale? Non conosco Wagner, non ho alcuna simpatia per le sue affermazioni, trovo che quella su Katrina sia stata quantomeno di cattivo gusto, perché se fossi un abitante di New Orleans che ha perso parenti e amici nell’alluvione e mi sentissi dire queste cose da un prete, tempo che non reagirei molto bene. Però… non posso fare a meno di notare che qualcosa non funziona se vescovi e illustrissimi cardinali contestano apertamente il magistero, pur rimanendo osannati e riveriti, mentre altri sono costretti a rinunciare all’episcopato per aver contestato non la dottrina sulla transustanziazione, ma i romanzetti di Harry Potter.
Blog di Andrea Tornielli
Così hanno “suonato” Wagner
Qualche dettaglio in più sulla delicatissima vicenda del vescovo ausiliare di Linz, dimissionario prima ancora di ricevere la consacrazione episcopale. Fonti ben accreditate mi confermano che la scelta di designarlo era stata presa per ovviare a un problema in diocesi, la crescente influenza dei gruppi di base (come “Noi siamo Chiesa”) e una certa evidente difficoltà del vescovo diocesano a tenere la barra a dritta. Se ora le dimissioni di Wagner saranno accettate - e nel caso siano irrevocabili, è ovviamente impossibile costringere l’interessato a rimanere - ci troveremo di fronte a un caso di revoca di una nomina episcopale sancita dalla pressione mediatica.
Blog di Andrea Tornielli
Il Rev.do Gerhard Wagner è nato a Wartberg ob der Aist (diocesi di Linz) il 17 luglio 1954. Dopo gli studi umanistici ha frequentato i corsi teologici alla Pontificia Università Gregoriana, dove ha ottenuto il Dottorato in Teologia. È stato ordinato sacerdote il 10 ottobre 1978 a Roma per la diocesi di Linz. Ha ricoperto l’incarico di Vicario Cooperatore successivamente a Bad Zell, Bad Ischl e Marchtrenk. Dal 1988 è parroco di Windischgarsten.


UNICREDIT - La banca di Profumo rischia “una Stalingrado monetaria”
Ammonta ad 1,7 trilioni di dollari la mole di denaro presa a prestito dall’Europa dell’Est quasi tutta su short-term maturities. Ovvero, da ripagare in fretta. Basti pensare che entro quest’anno dovrebbero essere ripagati agli istituti europei finanziatori, qualcosa come 400 miliardi di euro: buona fortuna, il default è alle porte visto che il mercato del credito è una finestra sbarrata e il Fondo Monetario Internazionale è già corso in soccorso di Islanda, Ucraina, Pakistan, Bielorussia, Lituania e Ungheria (e ora tocca alla Turchia) dissanguandosi.
Insomma, la vera crisi sta arrivando, fino ad oggi abbiamo visto soltanto il trailer, ma dalle stanze della politica romana, così come dai giornali italiani, registriamo un rumoroso silenzio al riguardo…
Normalmente chi si occupa di economia e finanza legge come primi giornali della giornata quelli anglosassoni, ovvero Wall Street Journal e Financial Times. Poi, a cascata, quelli europei: Faz, Suddeutsche Zeitung, Le Monde, El Pais. Difficile, invece, concentrarsi in una rassegna stampa seria e ragionata dei giornali austriaci. Un errore. Grave, in questi giorni. Ma partiamo dal principio.
La scorsa settimana il ministro delle Finanze austriaco, Joseph Pröll, ha infatti messo in atto un disperato tentativo di racimolare 150 miliardi di euro per un piano d’intervento per l'ex blocco sovietico a rischio default: non stupisce, visto che l’Austria ha prestato 230 miliardi di euro a paesi di quella regione, qualcosa come il 70% dell’intero Pil austriaco. La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo valuta il tasso di debiti negativi - ovvero, di fatto inesigibili - al 10% con possibilità di arrivare al 20: peccato che una percentuale del 10 già rappresenta il crollo tecnico del mercato finanziario austriaco, come scriveva il quotidiano viennese Der Standard.
Eccoci, quindi, l’aggancio con il precedente richiamo alla lettura della stampa austriaca. Da alcuni giorni, infatti, oltre le Alpi i quotidiani parlano molto chiaro rispetto al futuro di due banche: Bank of Austria e la sua proprietaria, ovvero Unicredit, rischierebbero infatti «una Stalingrado monetaria» se le istituzioni internazionali non porranno in atto un piano di aiuto e salvataggio per paesi come la Lituania, l'Ucraina e la Repubblica Ceca, debitori e potenziali insolventi.
D’altronde, basta guardare ai dati. Stephen Jen, capo del monetario alla Morgan Stanley, valuta infatti in 1,7 trilioni di dollari la mole di denaro presa a prestito dall’Europa dell’Est, quasi tutta su short-term maturities. Ovvero, da ripagare in fretta. Basti pensare che entro quest’anno dovrebbero essere ripagati agli istituti europei finanziatori, qualcosa come 400 miliardi di euro: buona fortuna, il default è alle porte visto che il mercato del credito è una finestra sbarrata e il Fondo Monetario Internazionale è già corso in soccorso di Islanda, Ucraina, Pakistan, Bielorussia, Lituania e Ungheria (e ora tocca alla Turchia) dissanguandosi.
Non se la passa meglio la Russia che deve ripagare 500 miliardi di dollari di prestiti contratti dagli oligarchi, peccato che il rublo vada a picco, economia e Borsa pure e soprattutto visto che il budget del 2009 è stato elaborato basandosi sul costo del barile di petrolio - il cosiddetto Brent degli Urali - a 95 dollari, quindi un input importante per la casse di Mosca. Solo che oggi il petrolio viaggia sui 33-34 dollari e molti analisti parlano di 25 dollari al barile entro aprile-maggio: un bagno di sangue.
Insomma, o si salva l’Est oppure salta tutto. Ma il fatto che la Germania, attraverso Peer Steinbruck, abbia già detto all'ultimo vertice dell'Ecofin che quello del default dell’ex blocco sovietico è «un problema austriaco e non dell'Ue» aggiunge preoccupazione a preoccupazione. Il perché di questo è presto detto. Si avvicina, infatti, il momento della nazionalizzazione di una banca tedesca. Tutti i nodi non sono ancora stati sciolti ma il governo federale ha confermato che un progetto di legge per permettere la nazionalizzazione di un istituto di credito è in via di definizione e verrà discusso dal consiglio dei ministri di domani: una modifica legislativa è necessaria poiché attualmente in Germania l'acquisizione d'imperio da parte dello Stato non è permessa.
La candidata principale alla prima nazionalizzazione dalla fine della Seconda guerra mondiale è Hypo Real Estate, istituto di credito che ha già beneficiato di aiuti miliardari in questo ultimo anno e mezzo ma che versa ancora in enormi difficoltà: impossibile per Berlino non intervenire, visto che l’istituto è cruciale per il mercato dei Pfandbriefe, le obbligazioni ipotecarie: a tal fine il governo sta ancora trattando con il socio di riferimento, l’investitore J.C. Flowers, per trovare un’eventuale intesa sul prezzo.
Domenica intanto il ministro delle Finanze Peer Steinbrück ha detto che la situazione delle banche tedesche è fonte di «grande preoccupazione». Se a questo uniamo il fatto che i governi europei sono esposti per il 74% dell’intero portafoglio di prestiti dei mercati emergenti (un altro scherzetto da 4,9 trilioni di dollari) e che il Fondo Monetario Internazionale sta finendo le sue riserve di 200 miliardi di dollari, il quadro appare davvero fosco.
Almeno quanto quello prefigurato sull’inserto Business del Sunday Times da Simon Johnson, ex capo economista proprio del Fondo Monetario Internazionale, secondo il quale o il prossimo G7 porrà al centro della sua agenda il salvataggio dell’Irlanda oppure la tigre celtica andrà in default sul debito entro la primavera: si parla di 70 miliardi di euro di debito per un paese di pochi milioni di abitanti con un’economia a pezzi, il mercato immobiliare in fallimento e la delocalizzazione delle major statunitensi che sta distruggendo il sogno della ripresa.
I credit default swaps per assicurarsi sul default del debito irlandese venerdì scorso hanno toccato i 350 punti base, un dato devastante: per assicurare 100 dollari ne servono 3,5 di rischio paese mentre esattamente un anno fa bastavano 10 pence ogni 100 dollari.
La vera crisi sta arrivando, fino ad oggi abbiamo visto soltanto il trailer. Dalle stanze della politica romana, così come dai giornali italiani, registriamo un rumoroso silenzio al riguardo.
di Mauro Bottarelli
Il Sussidiario martedì 17 febbraio 2009


L'influenza di Lincoln su Obama - Lorenzo Albacete - mercoledì 18 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
La caduta dell’aereo Continental Airlines che stava andando a Buffalo dall’aeroporto di Newark, nel New Jersey, ha attratto l’attenzione degli americani fino ad allora presi dalla lotta attorno al piano di Obama per stimolare l’economia.
Una parte dell’attrattiva è venuta dal confronto tra questo tragico evento e l’incredibile ammaraggio, un mese fa, dell’aereo US Airways sul fiume Hudson a Manhattan, in cui tutti i passeggeri si sono salvati. Nel’incidente di Buffalo, invece, tutti quelli a bordo sono morti, compresi passeggeri con storie personali affascinanti, come quella donna che aveva perso il marito al World Trade Center nell’attacco terroristico dell’11 settembre del 2001 e che qualche settimana fa aveva incontrato il presidente Obama alla Casa Bianca.
In entrambi i casi, è stato interessante osservare la componente religiosa, per così dire, delle reazioni della gente. L’ammaraggio sul fiume è stato definito “un miracolo” dal governatore di New York ed è diventato rapidamente conosciuto come “Miracolo sull’Hudson”. Non è stato solo un modo di dire. Le persone intervistate in televisione, passeggeri, parenti, gente normale, insistevano ripetutamente che Dio era il responsabile ultimo dell’esito dell’incidente (interessante che il capitano alla guida dell’aereo sembrasse meno pronto ad attribuire il successo dei suoi sforzi a un miracoloso intervento divino).
Nel caso di Buffalo, tutti gli intervistati o chi ha rilasciato dichiarazioni hanno promesso di pregare per i parenti e gli amici dei morti nell’incidente. La questione realmente interessante è stata posta dal governatore di New York Patterson, l’autore dell’espressione “Miracolo sull’Hudson”, quando ha detto che Dio era chiaramente presente nell’incidente dell’Hudson, ma che era necessario ora trovare la Sua presenza anche nella tragedia di Buffalo. Ma non ha fatto alcuna proposta.
La natura della religiosità americana continua a essere un affascinante argomento di discussione. Quest’anno si è scritto parecchio sulle convinzioni religiose di Abramo Lincoln, nato duecento anni fa. L’opinione corrente è che la religione abbia giocato un ruolo maggiore nella sua vita di quanto si pensasse finora.
La Guerra Civile ebbe un’influenza profonda sulla religiosità di Lincoln, portandolo a una riflessione sistematica sul rapporto tra il divino e la libertà umana. Entrambe le parti in lotta affermavano di avere il favore di Dio, ma Lincoln insisteva che ciò non era possibile, perché Dio non può essere al contempo in favore o contro qualcosa, e concludeva che Dio doveva essere da una parte sola.
Dio compiva la Sua volontà usando in qualche modo provvidenzialmente dei risultati delle libere azioni umane. Ciò lo portò a pensare che anche se Dio potesse essere contro la guerra, Egli avrebbe potuto usarla per condurre la nazione verso il suo destino. Lincoln espresse questa sua convinzione nel suo secondo discorso inaugurale come presidente, poco prima della sua morte. Se fosse vissuto, la “ricostruzione” postbellica sarebbe stata molto più clemente verso i perdenti di quella che i vincitori imposero agli stati secessionisti.
La figura di Lincoln esercita chiaramente una grande influenza sul presidente Obama. Sarà interessante vedere come le convinzioni religiose di Lincoln influenzeranno le sue decisioni.


TESTIMONIANZA/ Harry Wu: la mia vita da dissidente nei Laogai cinesi - INT. Harry Wu - mercoledì 18 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
La divisione italiana della Fondazione per la ricerca sui Laogai (www.laogai.it - Laogai Research Foundation) insieme al Mup, Movimento universitari padani, ha organizzato venerdì 12 Febbraio un incontro con il fondatore della Fondazione Harry Wu per denunciare la realtà dei campi di lavoro forzato in Cina, dove vengono tutt’ora internati milioni di oppositori alla dittatura comunista.
Harry Wu è un testimone diretto di questa realtà concentrazionaria cinese per aver subito sulla propria pelle per anni tali torture. In seguito riuscì a emigrare negli Stati Uniti, dove risiede attualmente, e a fondare la Laogai Foundation che denuncia in tutto il mondo questa spaventosa realtà.
Signor Wu cosa significa esattamente la parola Laogai e da quanto tempo esistono in Cina questi luoghi?
Il termine Laogai è in realtà una sigla “Laodong Gaizao Dui” e significa letteralmente “riforma attraverso il lavoro”. I Laogai sono stati introdotti immediatamente dopo la presa del potere di Mao Zedonge l’instaurazione della dittatura comunista in Cina nel 1949, con l’aiuto dei sovietici che insegnarono alle guardie rosse come strutturarli. Esistono dunque da sessant’anni e in questo arco di tempo abbiamo calcolato che circa cinquanta milioni di persone sono passate attraverso questa tremenda realtà concentrazionaria. Oggi sono rinchiusi e costretti ai lavori forzati circa tre milioni e mezzo di persone.
Ma cosa avviene esattamente in un Laogai? In cosa consiste questa prigionia?
I Laogai sono un formidabile strumento del governo cinese per ottenere manodopera a costo zero. Chi entra in una di queste 1.045 strutture sparse su tutto il territorio cinese è completamente uno schiavo del Partito Comunista, costretto a lavorare per sedici ore al giorno in miniere, fattorie o fabbriche. Questi detenuti sono sottoposti a torture, malnutriti e costretti a dormire in baracche con condizioni igieniche inesistenti. Così il governo cinese riesce a raggiungere l’obiettivo di reprimere e internare qualsiasi dissidente senza nemmeno un finto processo. Persone che dichiarano il proprio credo religioso o cercano di praticarlo pubblicamente, persone che si battono per la libertà o semplicemente esprimono delle critiche pubbliche al governo vengono incarcerate assieme a comuni delinquenti, ai quali comunque non andrebbe riservato un trattamento così crudele. Una caratteristica centrale del sistema Laogai è il sistematico lavaggio del cervello del detenuto. L’indottrinamento politico si effettua con “sessioni di studio” giornaliere che hanno luogo dopo le lunghe e dure ore di lavoro forzato. Poi si utilizza l’autocritica, che avviene davanti ai sorveglianti e agli altri detenuti ed è finalizzata a “riformare” la personalità di chi si auto-accusa. Innanzitutto si devono elencare e analizzare le proprie colpe, anche se inesistenti. Successivamente ci si deve accusare pubblicamente di averle commesse, procedendo alla riforma della propria personalità, per diventare una “nuova personalità socialista”.
Signor Wu, lei è stato imprigionato e costretto ai lavori forzati per diciannove anni. Di che colpa si era macchiato?
Sì è vero, ho passato momenti atroci in quel periodo. Quando fui arrestato era il 1960 e avevo 23 anni. Ricordo benissimo che ero a disagio nel clima di polizia in cui si viveva e tutt’oggi si vive in Cina. Non si potevano esprimere opinioni, tutti venivano continuamente spiati. Mi considero un patriota e all’epoca sostenevo sinceramente anche la figura di Mao Zedong. Ero un ragazzo di vent’anni e sicuramente non ero politicizzato. I miei problemi iniziarono nel 1956. A quell’epoca ero iscritto alla facoltà di geologia all’università di Pechino. Quando iniziarono le sollevazioni del popolo ungherese contro i sovietici, espressi semplicemente l’opinione che a mio giudizio le armate sovietiche avevano utilizzato dei metodi sbagliati per sopprimere i moti della popolazione ungherese. Ma fu la mia protesta contro la distinzione in uso tra “compagni”, in senso di appartenenti al partito, e “colleghi di classe”, che per il proprio credo o opinioni venivano discriminati, a provocare l’arresto. Io sono cattolico e mio padre prima della rivoluzione era banchiere. Quando venni allo scoperto fui immediatamente mandato in un Laogai. Durante quegli anni venni trasferito per ben tre volte da una miniera di carbone ad altre fabbriche. È stato un periodo difficilissimo della mia vita, talvolta ho pensato al suicidio, ma è stato soprattutto il desiderio di rivedere mia madre a salvarmi.
Poi cosa successe?
Grazie a Dio, dopo il mio rilascio nel 1979, riuscii a immigrare negli Usa nel 1985. Dapprima non volevo rivelare la mia terribile esperienza a nessuno. Lavoravo sodo nei negozi per la vendita di ciambelle e mi ero ripromesso di non parlare mai più della Cina. Poi ripresi coraggio, tornai a studiare all’università di Berkeley in California e decisi di denunciare apertamente i crimini cinesi. Il mondo doveva sapere esattamente cosa avveniva nei Laogai. Così fui ricevuto dal Senato degli Stati Uniti per testimoniare sulla mia vicenda personale. Nel 1992 fondai a Washington la Laogai Research Foundation con la quale mi batto per far conoscere in tutto il mondo cosa siano i Laogai e aiutare i dissidenti cinesi, cosicché un giorno la dittatura di Pechino possa essere spezzata. Solo nel 1993 la parola GuLag (i campi di lavoro forzato sovietici) è uscita alla ribalta internazionale grazie all’infaticabile lavoro di Solženicyn. Nel 2003, con la nostra fondazione siamo riusciti a far introdurre il termine Laogai nel vocabolario di Oxford. Purtroppo la realtà dei Laogai perdurerà ancora per molto tempo in Cina, siamo solo agli inizi del nostro lavoro di denuncia.
Come giudica l’operato delle Nazioni Unite per difendere i diritti umani in Cina?
Per dieci anni, dal 1990 al 2000 mi sono recato a Ginevra per denunciare la politica del figlio unico imposta dal governo cinese come strumento di controllo demografico. Scegliere liberamente quanti figli avere è un diritto fondamentale, ma le Nazioni Unite con la conferenza sulla donna a Pechino hanno scelto a maggioranza di sostenere le politiche del governo cinese. È stata una decisione tragica con la quale in Cina vengono perseguitate e costrette all’aborto migliaia di donne. Cito il caso di Chen Guang Chen, attivista per i diritti umani, tuttora in prigione per essersi battuto contro la campagna di aborti forzati imposta dal regime cinese nella provincia dello Shandong. Secondo il settimanale Times (Times 9.12.05 ndr) solo in una parte di questa provincia almeno 7.000 giovani donne sono state costrette ad abortire dal marzo al luglio del 2005. Alcuni episodi sono agghiaccianti, come il caso di una giovane di 23 anni, Li Juan, alla quale gli operatori sanitari hanno infilato un ago nell’addome fino a raggiungere il feto di nove mesi che si è dapprima mosso scalciando e poi si è fermato. Almeno 130.000 aborti forzati hanno luogo in Cina ogni anno secondo il Parlamento Britannico, che nel 2007 ha presentato una mozione in cui si chiede al Governo di cessare l’erogazione dei contributi del Regno Unito in favore dell’UNFPA, il Fondo per la popolazione delle Nazioni Unite, che sostiene economicamente la politica di “pianificazione familiare” del regime cinese. È triste constatare che a causa di questa agenzia Onu, la condizione della donna in Cina è diversa e peggiore di quella delle donne di tutto il mondo. Oltre a non difendere l’elementare diritto alla vita, le Nazioni Unite fanno molto poco per spingere il governo cinese verso la libertà di culto e di educazione in Cina. Basti pensare che ogni tipo di educazione non statale è bandita.
Sono in molti a pensare che l’apertura del mercato cinese al resto del mondo e il conseguente sviluppo economico e tecnologico che questo ha comportato spinga verso una progressiva democratizzazione del governo cinese.
Innanzitutto c’è una distinzione fondamentale tra libertà e democrazia. È importante lavorare sulle libertà inalienabili dell’uomo, quei diritti fondamentali che oggi il governo cinese calpesta. Anche il Partito Comunista parla di democrazia, ma la libertà in Cina è inesistente.
In secondo luogo i fatti confermano il contrario. Il Partito Comunista attraverso i suoi funzionari controlla e guadagna su tutte le attività di mercato presenti sul territorio cinese. In questi anni sono aumentate la repressione, gli abusi, i morti e gli arresti. Le cifre ufficiali parlano di 58.000 rivolte popolari nel 2003, di 74.000 nel 2004 e 87.000 nel 2005. Non si tratta di ricchi studenti che giocano alla rivoluzione, ma di veri e propri affamati. Io ho una posizione diversa, di fronte a questa brutale negazione dei diritti umani si deve avere il coraggio d’imporre sanzioni economiche contro la Cina o questi crimini contro l’umanità continueranno a essere commessi.


ISTRUZIONE/ Ecco come sono iniziati i guai della scuola media italiana - Felice Crema - mercoledì 18 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
La proposta di una scuola media, distinta dai successivi percorsi della scuola secondaria, ha una lunga gestazione. Essa è emersa per la prima volta all’inizio del secolo scorso nel quadro del riformismo giolittiano
Nel 1905 la Commissione Reale istituita dall’allora Ministro della PI on. Bianchi propone che dopo la scuola elementare, appena riformata dalla Legge Orlando (1904), venga istituito un corso quadriennale unico, senza latino, che si sostituisca al ginnasio e alle scuole tecniche inferiori previsti dalla Casati e che dia la possibilità di proseguire gli studi nei tre differenti indirizzi: scuola normale, istituto tecnico, liceo, a sua volta articolato in moderno e classico.
Questa scelta, maggioritaria nella Commissione, trovò forti e motivate opposizioni, tra cui sono particolarmente interessanti quelle emerse nella sinistra liberale e socialista.
Salvemini e Galletti ad es. obiettano che questa scuola non può essere contemporaneamente “scuola preparatoria alla prosecuzione degli studi e scuola complementare fine e se stessa” sottolineando anche che questa situazione sarebbe “innaturale rispetto alle condizioni degli allievi…inaccettabile dal punto di vista pedagogico perché (questa scuola è) costretta a scegliere tra le diverse attese o a diventare un ibrido in grado di scontentare tutti”. Si rileva inoltre che essa nasce per “difendere la scuola classica dall’attacco della scuola tecnica”, fortemente in crescita per il modificarsi delle condizioni economiche in particolare nel nord dell’Italia. Viene ribadita l’opposta esigenza di mantenere i corsi professionali ‘aperti’ verso l’alto per mantenere una loro specifica dimensione culturale.
La riforma Gentile (RD 1923) rappresenta un tentativo di conciliare le due opposte tendenze.
Essa conferma la specifica identità dei diversi percorsi di istruzione, distinguendo un grado inferiore e uno superiore.L’obbligo scolastico viene portato a 8 anni, cinque di scuola elementare più tre di una qualunque scuola secondaria (con esame di ammissione al primo anno) se si intende proseguire negli studi, o di scuola complementare (dopo qualche anno diventata avviamento al lavoro) se si intende concludere così il proprio curricolo.
Il vero grande cambiamento avviene con la Carta della Scuola presentata da Bottai al Gran Consiglio del Fascismo nel 1939.
Tra le molte innovazioni proposte, tutte volte a dare finalmente al sistema scolastico italiano una impostazione coerente alla ideologia del regime, solo due vennero realizzate: l’Ente Nazionale per l’Istruzione Media e Superiore (ENIMS) «organo di propulsione, coordinamento e controllo di tutta la scuola non regia di questi due ordini» e, nel 1940, la ‘scuola media unica’, con l’insegnamento del latino, che sostituisce il triennio iniziale di tutti i corsi di scuola secondaria previsti dalla riforma Gentile.
«La scuola media, con i primi fondamenti della cultura umanistica e con la pratica del lavoro, saggia le attitudini degli alunni, ne educa le capacità e, in collaborazione con le famiglie, li orienta nella scelta degli studi e li prepara a proseguirli». Ad essa si accede con un esame di ammissione e si chiude con un esame di licenza il cui risultato «…si esprime con uno dei seguenti giudizi: ottimo, buono, sufficiente, insufficiente, affatto insufficiente» che propongono «…un giudizio complessivo e motivato: 1° sulle capacità generali e sul profitto di ciascuna disciplina; 2°sull’energia e continuità del volere; 3° sulla disposizione a proseguire gli studi; 4° sulle qualità morali dimostrate, anche in rapporto alle attività svolte nelle organizzazioni giovanili».
Alla SMU si affiancavano, per il completamento degli otto anni di obbligo scolastico, la scuola di avviamento al lavoro, volta alla preparazione della mano d’opera per l’industria, e la scuola artigiana volta al completamento del percorso scolastiche delle popolazioni rurali.
Nel 1962 la legge 1859 istituisce la nuova Scuola Media Unica con il compito di rendere uguale l’istruzione obbligatoria prevista dalla Costituzione. L’avviamento e la scuola post-elementare vengono abolite.
Ciò avviene dopo un duro confronto con quanti, anche in difesa dei maestri, ritenevano opportuno mantenere in unico contenitore, la tripartizione del percorso triennale obbligatorio successivo alla istruzione elementare.
Occorre notare che in molte delle scelte compiute pongono questa legge in continuità con le linee di riforma della precedente legge sulla scuola media e che la legge contiene anche indicazioni pressanti per una sua compiuta e rapida estensione su tutto il territorio nazionale e a tutti i ragazzi.
«“In attuazione all’art.34 della Costituzione l’istruzione obbligatoria successiva a quella elementare è impartita gratuitamente nella scuola media, che ha la durata di tre anni ed è scuola secondaria di 1° grado. La scuola media concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta della attività successiva» (art.1).
«Entro il 1° ottobre 1966 la scuola media sarà istituita in tutti i comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti ed in ogni altra località in cui si ravvisi la necessità dell’istituzione stessa…». Vengono inoltre istituite classi di aggiornamento per il recupero della scolarizzazione (art.11) e classi differenziali per l’inserimento degli handicappati (art.12)
La riforma prevista dalla legge 1859 rappresenta però solo l’inizio di un percorso che avrebbe dovuto coinvolgere tutta l’istruzione secondaria (cfr i risultati della Commissione Biasini che dieci anni dopo propone l’unificazione dell’intero percorso dell’istruzione secondaria).
Questo percorso, come è noto, troverà ostacoli insormontabili, ma ciò non toglie che ugualmente l’intervento legislativo proceda al perfezionamento del modello attraverso una serie di norme emanate alla fine degli anni settanta (n.348/77 modica la legge togliendo le opzionalità, lavori maschili e femminili, ecc.; n.517/77 sulla valutazione dell’alunno abolizione degli esami di riparazione scuola dell’obbligo) che culmina, con i nuovi programmi (DPR 50/79 “Programmi, orari di insegnamento, prove di esame per la scuola media statale») che, anche nella forma, appaiono come una vera e propria “riforma didattica”.
Dalla premessa generale, di cui è significativa anche solo la articolazione:
1. Il dettato costituzionale
(si citano per esteso gli artt. 34 - istruzione obbligatoria e gratuita - e 3 - compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…- ).
«Al raggiungimento di questi fini è diretta e ordinata la scuola media nella sua impostazione educativa e didattica, nelle sue strutture, nei suoi contenuti programmatici».
2. Gli interventi legislativi, richiamati analiticamente
L.1859/62 «ha istituito la scuola media unica, obbligatoria, gratuita, secondaria di primo grado».
L.348/77 «ha perfezionato il processo di unificazione eliminando il principio della facoltatività, estendendo in pari tempo l’area delle discipline obbligatorie tutte aventi uguale valore e dignità e introducendo notevoli innovazioni nella impostazione dell’educazione linguistica, … scientifica, … tecnica».
L.517/77 «ha rafforzato la capacità democratica delle strutture della scuola media, ponendo al centro dei suoi interventi la programmazione educativa e didattica dalla quale discendono nuovi criteri di organizzazione del lavoro scolastico, nuovi strumenti valutativi e corrispondenti iniziative di integrazione e sostegno».
3. Principi e fini generali della scuola media
a- «scuola della formazione dell’uomo e del cittadino … in quanto si preoccupa di offrire occasioni di sviluppo della personalità in tutte le direzioni … favorisce, anche mediante l’acquisizione di conoscenze fondamentali specifiche, la conquista di capacità logiche, scientifiche, operative e delle corrispondenti abilità e la progressiva maturazione della coscienza di se e del proprio rapporto con il mondo esterno».
b. «scuola che colloca nel mondo … (in quanto) … aiuta l’alunno ad acquisire…riconoscere … comprendere …»
c. «scuola orientativa … in quanto favorisce l’iniziativa del soggetto per … conquistare la propria identità … operare scelte realistiche … fondata su una verificata conoscenza di se».
d. «scuola secondaria nel quadro della istruzione obbligatoria … si colloca all’interno del processo unitario di sviluppo della formazione, che si consegue attraverso la continuità dinamica dei contenuti e delle metodologie, … Come tale non è finalizzata all’accesso alla scuola secondaria superiore … pur costituendo il presupposto indispensabile per ogni ulteriore impegno scolastico».
I limiti di una impostazione che intende coprire e controllare tutti gli aspetti della crescita e della conoscenza sono già allora evidenti come pure l’asfitticità in cui il quadro normativo obbliga l’atto dell’insegnamento. Le spinte che dalla scuola media sono arrivate alla scuola elementare prima (programmi del 1985 e Legge 148 del 1990) e alla scuola secondaria (sperimentazioni Brocca per il biennio e “Progetto 92” proposto da Martinez per l’istruzione tecnica e professionale) hanno contribuito in modo rilevante a segnare uno scenario in cui interrogativi e problemi appaiono nettamente dominanti rispetto a risposte e risultati.


Una cena da ricordare per chi ha poco o nulla da mangiare - Redazione - lunedì 16 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Circa un anno fa, la sera del 19 gennaio 2008, Wanda torna a casa dopo una serata passata con amici a Inverigo, nel cuore della Brianza. Una serata con circa 250 amici. A dire il vero non li conosce tutti. Ma molti sì. Sono gli amici del Banco di Solidarietà “Madre Teresa” che da circa 10 anni portano a lei e a suo marito un pacco di generi alimentari e una compagnia che li ha sostenuti in tanti momenti di difficoltà, quando hanno dovuto fare i conti con malattie, periodi di mancanza di lavoro…
Wanda ha 65 anni, e gli ultimi sono stati davvero difficili. Tante prove, tanti dolori. Meno male che ci sono quegli amici. Lo aveva raccontato anche a una giornalista e le sue parole erano uscite sui giornali: «Avevamo bisogno, e abbiamo trovato tanti amici. Salvatore, Antonello, la Manu, e tutti gli altri… Come faccio a dimenticarli? Stavano con me per ore a chiacchierare. Se non avessi avuto loro, poi, sarei morta di fame».
L'appuntamento da cui ora sta tornando è la cena di gennaio, organizzata dal Banco per passare una serata insieme alle famiglie a cui viene portato il pacco. La cena si è conclusa con un canto “Luntane cchiu luntane”. Wanda torna a casa e ripensa alla serata. È felicissima. Così, chiede a Emanuela, che la sta accompagnando, di poter avere una registrazione di quella canzone, perché, dice: «Non ho mai sentito un canto così bello. E quando lo ascolterò mi ricorderà questa serata straordinaria».
Un anno dopo, inizio di gennaio 2009, dal Banco di Solidarietà “Madre Teresa” parte l'avviso che a metà mese torna l'appuntamento della cena.
Un'altra signora, Elena, quando riceve l'invito tira un sospiro di sollievo: «Meno male che me l'avete detto. In quei giorni avrei dovuto ricoverarmi in ospedale. Ora che lo so, chiederò di spostare più avanti la data del ricovero. La cena non voglio perdermela».
Elena non sa che quest'anno gli amici del Banco hanno in serbo una novità: hanno chiesto a Luca, direttore di un noto e molto apprezzato ristorante brianzolo, il “Camp di cent pertich”, di dare una mano ad organizzare la cena. Luca ha detto di sì, ha coinvolto una parte della sua “squadra” ed essendo un professionista di lungo corso oltre che una persona meticolosa e abituata a misurarsi con una clientela molto esigente, decide che se cena deve essere, sarà una cena di alto livello.
Sabato 17 gennaio la palestra della scuola S. Carlo di Inverigo è pronta ad accogliere oltre 300 persone (circa metà delle quali sono persone assistite, l'altra metà sono i volontari del Banco).
Il colpo d'occhio è straordinario, anche per chi è abituato a frequentare ristoranti di classe. Decine di tavoli rotondi, perfettamente allineati e curati in ogni minimo dettaglio, accolgono un pubblico eterogeneo e variopinto. Molti per l'occasione hanno tirato fuori il vestito migliore, che fa sempre un certo effetto anche quando i risultati non sono impeccabili. Per molti sarà l'unica occasione in tutto l'anno di trascorrere una serata del genere. Due anni prima, una signora era rimasta stupita di trovarsi davanti tre bicchieri, non le era mai successo, e condivideva con tutti il suo stupore per questa cosa; poi per tutta la cena aveva bevuto dal flute, «perché un bicchiere così non l'ho mai avuto in mano in tutta la mia vita».
Il menu di Luca scorre via con leccornie di gran classe: manzo su un letto di melograno e rucola, carpaccio di pesce spada affumicato, risotto al radicchio e quartirolo, il più morbido e saporito dei filetti, e poi i dolci, la frutta… Tutto ottimo, e gli ospiti non trattengono i loro apprezzamenti, anche perché Luca con lungimiranza si è preoccupato non solo del gusto, ma anche delle quantità…
Tutto bello, d'accordo, ma per che cosa? Per sbalordire? Per gusto di perfezione? Per fare restare a bocca aperta chi non è abituato? No, dicono loro. Semplicemente per un affetto, per una cura delle persone incontrate, ma anche per una cura del rapporto con loro. «E per la gratitudine di quello che l'esperienza cristiana ci ha dato e ci dà. Per servire nello stesso modo in cui siamo stati serviti. In fondo stiamo solo condividendo quello che abbiamo ricevuto».
La serata fila via veloce e a un quarto d'ora da mezzanotte ci sono ancora quasi tutti. Ma è tardi, bisogna chiudere. Un saluto, una preghiera, e prima di uscire su alcuni tavoli si scatena l'assalto a mandarini e frutta secca, che finiscono dentro borse, sacchetti, tasche, tasconi. A casa ci sono frigoriferi semivuoti, e il bisogno è il migliore antidopo allo spreco.
Per tutti l'appuntamento è alla primavera, quando ci sarà la gita per trascorrere insieme una giornata intera.
Nella primavera del 2007 il Banco di Solidarietà “Madre Teresa” aveva portato un folto gruppo di famiglie assistite sul Pian dei Resinelli, tra i monti sopra Lecco. Anche in quel caso era stata una giornata bellissima. Una settimana dopo quella gita, due amici erano andati a portare il pacco a una famiglia e avevano trovato la bambina che, mentre giocava, canticchiava una canzone che aveva imparato proprio durante la giornata al Pian dei Resinelli. E la mamma della bambina aveva commentato: «La vita è così: quando si incontra una cosa bella, non la si dimentica più».
(Davide Bartesaghi)


CREAZIONISMO/ Quella lezione ebraica che permette alla scienza di convivere con la fede - Ugo Volli - mercoledì 18 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Il dibattito su evoluzionismo e creazionismo non ha avuto grande eco nel pensiero ebraico contemporaneo. Si possono probabilmente rintracciare anche nel mondo ebraico tutte le posizioni presenti in quello cristiano, dalla rivendicazione della lettura tradizionale della creazione del mondo in esattamente sei giorni intorno al capodanno ebraico di 5769 anni fa, fino alla più totale accettazione dei risultati della scienza moderna. Ciò ha a che fare in primo luogo con il pluralismo intrinseco all’ebraismo, che non solo si è diviso nel mondo contemporaneo in diverse correnti più o meno esclusive fra loro (per citare le principali: l’ebraismo tradizionale, diviso a sua volta in tradizione sefardita o mediterranea e askenazita o germanico-polacca, e quest’ultima fra tradizione hassidica e “lituana”, la posizione detta modern orthodox dominante in Italia, i “conservative” e i “reform”), ma che soprattutto non ha avuto un’autorità normativa religiosa centrale a partire dai tempi biblici. Le decisioni normative, quando sono state prese, si sono basate sull’autorità personale riconosciuta per consenso a singoli pensatori e hanno avuto effetti sulle regole di comportamento ebraico (i cosiddetti precetti, mitzvot) e sulla liturgia, praticamente mai sul pensiero. Non esiste una dogmatica ebraica accettata da tutti e anche i tredici basilari principi di fede proposti da Maimonide nel XII secolo sono stati spesso discussi e disattesi. Soprattutto sono rimasti sempre periferici rispetto al pensiero ebraico, più attento alla dimensione pratica del comportamento (la cosiddetta alakha) o a quella mitico-mistico (la Kabbalà) che a una teologia formale. Una sentenza spesso citata dei grandi rabbini del Talmud, all’inizio della formazione dell’ebraismo postbiblico, proibisce di indagare «ciò che sta sopra, ciò che sta sotto, ciò che sta prima» la narrazione biblica. Insomma la teologia e la metafisica, nel senso che il cristianesimo ha ereditato dalla filosofia greca, sono estranee all’autentico pensiero ebraico, benché ogni tanto si presentino anche in esso, spesso per influenze esterne.
Dunque non c’è una dogmatica ebraica da contrapporre alle scoperte scientifiche, ma solo un racconto e una raccolta di leggi, la Torah o insegnamento. Ciò ha comportato, nel momento in cui l’ebraismo è entrato a contatto con la scienza, una certa facilità di far convivere la dimensione religiosa e quella scientifica. Molti scienziati ebrei del Novecento sono stati più o meno atei o agnostici, come Einstein, ma non sono mancati esempi di scienziati ebrei ortodossi che non si sono sentiti in imbarazzo a far convivere le loro ricerche con la loro fede.
Per quanto riguarda in particolare il rapporto fra creazione e le scoperte biologiche (ma anche geologiche e astronomiche) che determinano oggi la visione scientifica del mondo, l’ebraismo è stato molto agevolato dal fatto che vi sono alternative autorevoli all’interpretazione tradizionale letteralista della creazione (i sei giorni con tutte le loro ben note difficoltà: per dirne solo una, la creazione della luce e dei giorni prima di quella del sole e del cielo). È stato Rashì, il massimo commentatore ebraico della Bibbia e del Talmùd a sostenere, già nell’XI secolo che «la Scrittura non ci insegna niente sull’ordine cronologico della creazione» e inoltre che la ragione per il racconto della creazione non è la conoscenza dei fatti ma che «l’intero universo appartiene al Santo Benedetto». E anche se queste posizioni sono state qualche volta discusse, è chiaro per il mondo ebraico che il racconto delle origini del mondo ha soprattutto valore morale e fa parte dei quella sfera della “haggadà”, della narrazione, su cui è possibile la convivenza di posizioni contrapposte.
Come si vede, vi è largo spazio nell’ebraismo contemporaneo per posizioni divergenti. Pochi però, per fortuna, sembrano interessati a coinvolgere la Torah nella costruzione di teorie di filosofia naturale contrapposte alla scienza sperimentale, si tratti di “scienza del creazionismo” o di “disegno intelligente”.


18/02/2009 10:48 – INDIA - Orissa: cristiano picchiato e rapito da estremisti indù. Per la polizia è un ricercato - di Nirmala Carvalho - Golyat Pradhan, 22 anni, è stato sequestrato l’11 febbraio e di lui non si hanno più notizie. La madre ne denuncia la scomparsa. Per la polizia è un ricercato, accusato dai fondamentalisti di essere un “maoista” e di aver commesso uno stupro. Continuano le violenze ai danni dei cristiani.
New Delhi (AsiaNews) – Rapito e torturato dai fondamentalisti indù, senza che la polizia intervenisse. Anzi, quando la madre ne ha denunciato la scomparsa, gli agenti hanno emesso un mandato di comparizione ai danni del giovane. Lo riferisce Sajan K. George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), che riporta nuovi abusi verso i cristiani in Orissa. L’attivista conferma che “la situazione rimane pessima”, gli estremisti “si aggirano fra i villaggi in tutta libertà” perpetrando crimini e attacchi, senza alcun intervento delle forze dell’ordine.
La polizia di Daringabadi, villaggio del distretto di Kandhamal nell’Orissa, si è rifiutata di registrare la scomparsa di un abitante; gli agenti hanno invece emesso un mandato di comparizione a carico del cristiano rapito. “Alle 4 del pomeriggio dell’11 febbraio scorso – racconta Sajan K. George – una folla di indù ha circondato la casa di Golyat Pradhan, 22 anni, ingiungendo a lui e alla madre Pusra, una vedova, di convertirsi all’induismo”. I due cristiani hanno opposto un netto rifiuto, che ha fatto infuriare ancor più la folla: i fanatici indù lo hanno “trascinato all’esterno dell’abitazione” e lo hanno “picchiato senza pietà”; la madre “assisteva impotente alla scena e implorava pietà per il figlio”. Le grida della donna hanno scaldato gli animi dei fanatici, che l’hanno “spintonata dentro la casa, sprangando la porta”.
Gli estremisti indù hanno portato Golyat nel vicino villaggio di Galabadi, continuando a trascinarlo e picchiarlo senza pietà; poi alcuni di loro, armati di bastoni e spade, lo hanno legato a un palo e hanno montato la guardia attorno alla via principale del villaggio, per impedire che qualcuno venisse in soccorso del giovane.
La folla lo ha malmenato finché il ragazzo ha perso i sensi, poi ha acceso due fuochi vicino al palo al quale era legato. La sua tortura è continuata fino alle 10 di sera, quando i fondamentalisti hanno chiamato la polizia di Daringabadi informandola che avevano arrestato un “maoista” entrato nel villaggio per commettere uno stupro. “La polizia è intervenuta la mattina seguente alle 10 – riferisce Sajan K. George – e ha liberato la madre del giovane. La donna ha condotto gli agenti nel luogo dove era stato portato il figlio, ma di lui non vi era alcuna traccia. Da allora, non si hanno più notizie”.
L’attivista riferisce che la polizia, invece di aprire una inchiesta sulla scomparsa del giovane avrebbe avvisato la madre che su Golyat pende un “mandato di comparizione” per una denuncia sporta in precedenza nei suoi confronti. Sin dall’agosto scorso, dall’inizio delle violenze anti-cristiane in Orissa, la famiglia Pradhan è stata più volte oggetto di minacce da parte dei fondamentalisti indù. Secondo fonti di AsiaNews nella zona, ciò è dovuto al fatto che “essi sono molto amici di un prete cattolico. Questo li ha resi un obbiettivo privilegiato dei fondamentalisti, che vogliono riconvertirli all’induismo”.