domenica 1 febbraio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 01/02/2009 12.22.57 – Radio Vaticana, 1 Febbraio 2009 - Benedetto XVI all'Angelus: Gesù soffre e muore in croce per amore. In questo modo ha dato senso alla nostra sofferenza
2) Memoria e coscienza - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 31 gennaio 2009
3) Nasce un nuovo medico per sentenza - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 31 gennaio 2009 - Comunicato stampa della Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri Lombardia: "un passo in avanti lungo una via sbagliata".
4) Umanesimo e desiderio di Dio - ROMA, sabato, 31 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'editoriale del Direttore della Rivista di studi e ricerche sulla dottrina sociale della Chiesa, “La Società”, sul tema "Umanesimo e desiderio di Dio" (n. 6-2008 www.fondazionetoniolo.it/lasocieta). - di Claudio Gentili
5) 31/01/2009 12:16 - FILIPPINE – CAMBOGIA - Testimoniare Cristo fra i bambini orfani dell’Aids in Cambogia - di Santosh Digal - È la scelta missionaria compiuta da una laica filippina, che dal 2003 vive in terra khmer. La donna ha organizzato terapie di gruppo e attività ludiche per i bambini, segnati da morti, sofferenze e privazioni. Anche la comunità cambogiana collabora nell’opera della missionaria a favore degli orfani.
6) 31/01/2009 12:52 – INDIA - Gruppi di cattolici assaliti da tribali indù sull’isola di Majuli - di Nirmala Carvalho - Avevano preso parte all’ordinazione del primo sacerdote nativo del luogo. Sulla strada del ritorno sono stati fermati da gruppi indù locali. I pullman presi d’assalto da centinaia di persone, malmenati gli uomini e i sacerdoti.
7) Bullismo: una vera e propria contrapposizione culturale - Autore: Andraous, Vincenzo Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 31 gennaio 2009
8) Il Papa chiede di mettere da parte gli interessi particolaristici per affrontare le difficoltà del mondo del lavoro - Concertazione e solidarietà per superare la crisi - Concertazione, solidarietà, partecipazione responsabile: è la strada indicata da Benedetto XVI per affrontare la crisi economica e, in particolare, le difficoltà del mondo del lavoro. Il Papa ne ha parlato durante l'udienza ai dirigenti della Confederazione italiana sindacale lavoratori (Cisl), ricevuti nella mattina di sabato 31 gennaio, nella Sala Clementina. – L’Osservatore Romano, 1 Febbraio 2009
9) Inizia l'anno di Darwin - Ma la biologia non spiega tutto l'uomo - di Lucetta Scaraffia – L’Osservatore Romano, 1 Febbraio 2009
10) Fede e storia devono illuminare la lettura della Bibbia - La Scritturatra eternità e tempo - Arriva in libreria l'edizione San Paolo della Bibbia con la nuova traduzione della Conferenza episcopale italiana (La Bibbia. Via, verità e vita, Cinisello Balsamo, 2008, pagine 2672, euro 29). Il progetto editoriale del volume è diretto da Gianfranco Ravasi per l'Antico Testamento e da Bruno Maggioni per il Nuovo. Pubblichiamo stralci dell'introduzione generale. - di Gianfranco Ravasi
11) Settant'anni fa nasceva il cantautore italiano Giorgio Gaber - Un uomo libero -chiamato Signor G - di Raffaele Alessandrini


01/02/2009 12.22.57 – Radio Vaticana, 1 Febbraio 2009 - Benedetto XVI all'Angelus: Gesù soffre e muore in croce per amore. In questo modo ha dato senso alla nostra sofferenza
Benedetto XVI all’Angelus ha sottolineato il valore della vita ed il senso della sofferenza ricordando come Gesù abbia sofferto e sia morto in croce per amore. Di seguito, le parole del Papa all’Angelus:
Cari fratelli e sorelle!
Quest’anno, nelle celebrazioni domenicali, la liturgia propone alla nostra meditazione il Vangelo di san Marco, del quale una singolare caratteristica è il cosiddetto “segreto messianico”, il fatto cioè che Gesù non vuole che per il momento si sappia, al di fuori del gruppo ristretto dei discepoli, che Lui è il Cristo, il Figlio di Dio. Ecco allora che a più riprese ammonisce sia gli apostoli, sia i malati che guarisce di non rivelare a nessuno la sua identità. Ad esempio, il brano evangelico di questa domenica (Mc 1,21-28) narra di un uomo posseduto dal demonio, che all’improvviso si mette a gridare: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!”. E Gesù gli intima: “Taci! Esci da lui!”. E subito, nota l’evangelista, lo spirito maligno, con grida strazianti, uscì da quell’uomo. Gesù non solo scaccia i demoni dalle persone, liberandole dalla peggiore schiavitù, ma impedisce ai demoni stessi di rivelare la sua identità. Ed insiste su questo “segreto” perché è in gioco la riuscita della sua stessa missione, da cui dipende la nostra salvezza. Sa infatti che per liberare l’umanità dal dominio del peccato, Egli dovrà essere sacrificato sulla croce come vero Agnello pasquale. Il diavolo, da parte sua, cerca di distoglierlo per dirottarlo invece verso la logica umana di un Messia potente e pieno di successo. La croce di Cristo sarà la sua rovina, ed è per questo che Gesù non smette di insegnare ai suoi discepoli che per entrare nella sua gloria deve patire molto, essere rifiutato, condannato e crocifisso (cfr Lc 24,26), essendo la sofferenza parte integrante della sua missione.


Gesù soffre e muore in croce per amore. In questo modo, a ben vedere, ha dato senso alla nostra sofferenza, un senso che molti uomini e donne di ogni epoca hanno capito e fatto proprio, sperimentando serenità profonda anche nell’amarezza di dure prove fisiche e morali. E proprio “la forza della vita nella sofferenza” è il tema che i Vescovi italiani hanno scelto per il consueto Messaggio in occasione dell’odierna Giornata per la Vita. Mi unisco di cuore alle loro parole, nelle quali si avverte l’amore dei Pastori per la gente, e il coraggio di annunciare la verità, il coraggio di dire con chiarezza, ad esempio, che l’eutanasia è una falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell’uomo. La vera risposta non può essere infatti dare la morte, per quanto “dolce”, ma testimoniare l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano. Siamone certi: nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio.


La Vergine Maria ha custodito nel suo cuore di madre il segreto del suo Figlio, ne ha condiviso l’ora dolorosa della passione e della crocifissione, sorretta dalla speranza della risurrezione. A Lei affidiamo le persone che sono nella sofferenza e chi si impegna ogni giorno al loro sostegno, servendo la vita in ogni sua fase: genitori, operatori sanitari, sacerdoti, religiosi, ricercatori, volontari, e molti altri. Per tutti preghiamo.


Memoria e coscienza - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 31 gennaio 2009
Abbiamo celebrato la giornata della memoria. Per esercitare la memoria occorre una coscienza personale viva; per questo è difficile vivere la memoria, perché siamo addormentati da tanta pigrizia spirituale favorita da una cultura che rende sordi allo spirito. La memoria non è solo storica, è di tradizioni, di gesti significativi, di parole, di persone. E’ una sorta di dimensione spirituale che trattiene in sé, nel profondo del cuore e della coscienza ciò che vale, che giunge dal passato come insegnamento. La memoria trattiene la gioia e il dolore per farli fiorire. Non è un contenitore frigover, è propria di un uomo vivo che giudica il presente, che sa confrontarsi con il passato. Le poesie sono un bellissimo esercizio di memoria consegnato al mondo. Si fa memoria sempre davanti a qualcuno. Per il cristiano la memoria è riconoscere la Presenza di Cristo. Un passato presente, quindi, non archeologia. Fa parte del Mistero. “Sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Per educare alla memoria occorre uno sguardo vivo su ciò che fisicamente non è più nel presente ma abita lo spazio del cuore. Nel lager Padre Kolbe è stato un testimone supremo, insieme a molti altri, di una coscienza personale conquistata dall’Amore per Dio, fonte vitale da cui è scaturito il suo sacrificio in memoria di Gesù Cristo che ha dato la vita per salvare gli uomini. La coscienza di Padre Kolbe si è opposta al potere amando un uomo come lui, ingiustamente imprigionato in un campo di concentramento. Oggi, come allora, dobbiamo difendere questo spazio personale della nostra coscienza dall’invadenza di chi pretende che lo Stato sia il supremo arbitro della coscienza umana. È intorno alla vicenda di Eluana che si scatena questa battaglia ideologica per cui certi intellettuali indicano nell’obiezione di coscienza, di fronte alla sentenza che permette di togliere alimentazione e idratazione alla giovane donna, un pericolo per la democrazia. Si vanificherebbe, dicono, un provvedimento della Repubblica. Oltre alla grave dimenticanza del fatto che non esiste ancora una legge dello Stato in materia di “testamento biologico”, allargando il pensiero si arriverebbe a una conclusione agghiacciante. Se l’obiezione di coscienza è pericolosa, come si può approvare l’azione di chi, contro le leggi razziali, ha nascosto e salvato ebrei, cristiani perseguitati, uomini di diverse nazionalità destinati allo sterminio dalla legge statale? Chi ha disobbedito allo stato ha agito in coscienza e in obbedienza a una legge più grande, alla legge di Dio, non scritta ma incisa nel cuore dell’uomo. Possiamo vivere una sorta di schizofrenia morale e culturale se non abbiamo l’onestà di difendere la vita sempre, in ogni condizione. Oggi si sta verificando una trasformazione della democrazia, operata dal suo stesso interno, in totalitarismo ideologico attraverso un relativismo esasperato sbandierato in nome della libertà. È questa la “dittatura del relativismo” di cui parlò il cardinale Ratzinger prima della sua elezione papale, una dittatura che vuole strappare la memoria del passato (più volte si è richiamato il fatto che l’eugenetica e l’eutanasia siano state utilizzate dal regime nazista come strumento politico), chiudere il presente in un’ideologia astratta e violenta in cui c’è posto per un pensiero unico. Esattamente ciò che la giornata della memoria condanna e vorrebbe contribuire ad evitare in futuro.


Nasce un nuovo medico per sentenza - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 31 gennaio 2009 - Comunicato stampa della Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri Lombardia: "un passo in avanti lungo una via sbagliata".
NASCE UN NUOVO MEDICO PER SENTENZA: L’ACRITICO ESECUTORE DI VOLONTA’ SANITARIE ALTRUI
Milano, 31 gennaio 2009 - L’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Milano (OMCeOMi) ritiene che la sentenza del T.A.R. Lombardia n° 214/2009 in merito alla vicenda di Eluana Englaro costituisca un ulteriore passo in avanti lungo una via sbagliata, quale è quella giudiziaria per risolvere un caso che attiene al sentire più profondo dell’animo umano.

L’OMCeOMi è convinto che le soluzioni di questioni che costituiscono i fondamenti stessi dell’esistenza non possano essere delegate alla sentenza di un Tribunale Amministrativo. Sorprende come nella suddetta sentenza il significato di concetti quali dignità, autonomia, disponibilità della vita venga dato univocamente per acclarato, facendone discendere impegnative conseguenze e superando d’un balzo il lacerante dibattito che investe la nostra società.

L’OMCeOMi è anche molto preoccupato dalla pretesa di un organo amministrativo di definire il confine tra ciò che è, nell’ambito dell’atto medico, terapia e sostentamento.

L’OMCeOMi è altrettanto preoccupato dal ruolo che, in questo quadro generale, viene delineato per il medico, nel momento in cui gli obblighi professionali e, soprattutto, deontologici vengono concettualmente subordinati a quelli giuridici. Preoccupazione ancora più sentita se si aggiunge il divieto all’obiezione di coscienza.

L’OMCeOMi invita a riflettere sui principi che di fatto vengono spazzati via, in primis quelli di libertà in scienza e coscienza e di Alleanza Terapeutica, senza i quali non esisterebbe la Medicina.

L’OMCeOMi denuncia che in questo modo si creerebbe una nuova figura di esecutore sanitario molto lontana dal Medico, una figura che deve acriticamente limitarsi a prendere atto di ciò che “rientra a pieno titolo nelle funzioni amministrative di assistenza sanitaria”.

La Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e
Odontoiatri Lombardia riunitasi a Milano oggi, 31 gennaio 2009 ha espresso la propria totale condivisione rispetto a quanto qui dichiarato dall’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Milano.


Umanesimo e desiderio di Dio - ROMA, sabato, 31 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'editoriale del Direttore della Rivista di studi e ricerche sulla dottrina sociale della Chiesa, “La Società”, sul tema "Umanesimo e desiderio di Dio" (n. 6-2008 www.fondazionetoniolo.it/lasocieta). - di Claudio Gentili
La Chiesa non cambia opinione seguendo i sondaggi, nè ispira ai sondaggi di opinione la sua azione. Purtroppo capita invece che alcuni cristiani, credendo di essere moderni, si conformino alla mentalità dominante e allo spirito del tempo. È sempre accaduto e sempre accadrà. D’altro canto non si può chiedere alla Chiesa di rinunciare nel dibattito pubblico a evocare il tema della verità. La verità non è un passatempo per teologi. La sete di Dio e la sete della verità è talmente radicata nel cuore dell’uomo che il prescinderne ne comprometterebbe l’esistenza. La ricerca di Dio e della verità è una esigenza insita in ogni persona che voglia arrivare a dare risposta alle domande fondamentali che toccano il senso della vita.
Due attacchi frontali a queste idee sono stati portati dalle tecnoscienze, con la pretesa di manipolare la creazione e dal relativismo, con la ragione umana che si chiude alla dimensione trascendente e considera vero solo ciò che è misurabile. Il XXI secolo è stato definito il secolo del “meticciato” e il multiculturalismo è diventato la nuova religione universale. Per assicurare libertà e tolleranza l’unica soluzione sembra eliminare la questione della verità e assumere come dogma universale che tutto è relativo. Tre filosofie dell’esistenza sono state esplorate nelle loro conseguenze sulla idea della verità da Henry De Lubac nel suo celebre libro “Il dramma dell’umanesimo ateo”. Un libro edito nel 1943, che conserva una straordinaria attualità. I padri fondatori di queste tre filosofie, sono Marx, Nietzsche, Comte. Sono grandi pensatori che hanno accompagnato il rinnegamento da parte dell’Occidente delle sue origini cristiane. E chi si attarda ancora oggi sul pericolo di identificazione tra Chiesa e Occidente ha riflettuto poco su questi fenomeni.
Umanesimo marxista, umanesimo nichilista, umanesimo positivista, sono la seducente proposta anticristiana che ci ha consegnato il secolo che si è concluso. In questi tre umanesimi c’è sicuramente qualcosa di vero e di buono che ha affascinato anche i cristiani. Nell’umanesimo marxista infatti il cristiano ritrova la predilezione di Cristo per i poveri. Nell’umanesimo comtiano (positivista) trova la parabola dei talenti. Nell’umanesimo nietzschiano ritrova la grandezza dell’uomo di cui parla il Salmo 8 (“Lo hai fatto poco meno degli angeli…”). Ognuno di questi tre sistemi di pensiero ha una logica interna che impercettibilmente e progressivamente allontana da Dio. Il collettivismo annulla il principio-persona. Lo scientismo si trasforma in dispotismo tecnologico. Il “superuomo” distrugge il senso della fraternità e della unità della famiglia umana. E non si dica che queste ideologie ce le siamo ormai lasciate alle spalle. I loro esiti culturali sono largamente presenti nel nostro tempo. Basti pensare al narcisismo, all’emozionalismo, al consumismo, allo statalismo, all’idolatria del denaro e alla fiducia cieca nella tecnica.
La crisi finanziaria che tanto ci angoscia e ci preoccupa nasce in fondo da una crisi morale. Non sembri fuori luogo ricordare che Adam Smith, il principale pensatore del moderno capitalismo, era professore di filosofia morale a Glasgow e prima di scrivere “La ricchezza delle nazioni” ha scritto “La teoria dei sentimenti morali”. Le proteste studentesche che dalla Pantera del 1989 contro il grande Ministro innovatore Ruberti e la sua legge sull’autonomia universitaria alle proteste degli universitari dell’autunno 2008 contro il Ministro Gelmini (che non aveva ancora fatto nessuna riforma universitaria) sono lo specchio di una condizione giovanile che si sente più sicura conservando l’esistente che innovando. Il diffuso dibattito pubblico sul precariato, da un lato manifesta l’angoscia legittima e comprensibilissima per il futuro di tanti giovani che non riescono a metter su famiglia, ma dall’altro (nella variante della ideologia del “precarismo”) rivela una concezione che rifugge il rischio e la fatica, predilige il posto pubblico e trova nella stabilità il massimo valore in un mercato del lavoro che è e sarà sempre più flessibile e turbolento.
Le indagini recenti (come quella della Diocesi di Firenze presentata nel dicembre 2008 sul “Protagonismo della famiglia nella ricerca del lavoro dei figli”) ci offrono uno spaccato per alcuni versi sconcertante in cui al biblico “Lascerà suo padre e sua madre…” si à sostituita una adolescenza che si prolunga oltre i 30 anni con giovani ventottenni accompagnati dai genitori ai colloqui di lavoro. Paura e ricerca di sicurezza sembrano la cifra del tempo che viviamo, un tempo lambito da una vera e propria crisi della speranza. Mai come oggi dobbiamo dire che cambiare il mondo significa toglier agli uomini le loro paure, ridurre le aggressività, dare una patria in cui ci si senta sicuri, a tutti ma soprattutto a bambini, stranieri, moribondi, malati, ridurre il divario tra il Nord e il Sud del mondo. In questo senso mettere il bavaglio alla Dottrina Sociale della Chiesa sarebbe un gesto contro i poveri. Se poi sono i cattolici a privilegiare una presenza pubblica low profile, in cui il silenzio sui temi politicamente più sensibili sia ritenuto saggio e opportuno, allora siamo all’autogoal. Questa semplice constatazione di buon senso è stata smarrita anche da quei cristiani che si rinchiudono negli spazi sacri e abbandonano lo spazio pubblico. Ma un’agorà senza lo spirito del Vangelo è più povera per tutti. La fede in Dio d’altro canto non ci rende tranquilli, non ha come scopo di farci dimenticare i problemi sociali del nostro tempo. Cristo, con le beatitudini, turba la nostra tranquillità.
La Dottrina sociale della Chiesa ci offre le coordinate per essere fermento di ecologia umana. La signoria di Dio non ci permette di offrire l’incenso ad alcun altro assoluto, ideologico, politico, scientifico. La riserva escatologica ci impedisce di identificare una qualche realizzazione storica con il Regno di Dio. La memoria dell’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo, ci incalza e mette in questione il nostro presente. Benedetto XVI, nel suo straordinario discorso agli intellettuali, a Parigi, al collegio dei Bernardini, il 12 settembre 2008, ci ha ricordato la profonda relazione che esiste tra desiderio di Dio e sviluppo umano. Con il loro quaerere Deum i monaci benedettini hanno fatto cultura e sviluppato ricerca, hanno dato dignità al lavoro umano (sottovalutato nella concezione greca e latina che contrapponeva otium a negotium), coltivato le lettere. Con la musica traducevano l’adesione dell’uomo al mistero di Dio. Con il lavoro partecipavano alla creazione. L’esempio dei monaci, vale anche per noi. Nella confusione dei tempi che viviamo, piuttosto che diventare “cattoconfusi”, cercare, custodire, tramandare ciò che vale. Dietro le cose provvisorie cercare le cose definitive. È un messaggio che vale anche per noi e per il nostro tempo e che ci invita alla serietà e alla fatica dello studio e del discernimento.
La nostra Rivista ha in fondo questa ambizione e si propone non solo come strumento di studio ma anche come stimolo per avviare percorsi di formazione alla Dottrina sociale della Chiesa. C’è una sproporzione tra la povertà culturale dell’era delle veline e la grandezza culturale del Pontefice che lo Spirito ha suggerito per il nostro tempo. Benedetto XVI, la sua storia culturale e il suo Magistero, costituiscono per noi una grande occasione di rigenerazione e rinnovamento culturale. La cultura positivista oggi, vuole rimuovere nel campo soggettivo, come non scientifica la domanda su Dio. Ma questa sarebbe la capitolazione della ragione e il tracollo dell’umanesimo. La fede, attraverso la DSC, viene educata a guardare nella verità il mondo, a fare discernimento sul bene della persona, a formarsi una coscienza sociale, a dare testimonianza fino al martirio.
L’individualismo imposto dalla globalizzazione, - come sostiene Alain Touraine nel suo ultimo libro “La globalizzazione e la fine del sociale” – ha sradicato i movimenti di massa, ha reso inservibili le categorie politiche e sociali con cui pensavamo il sociale. Per questo abbiamo bisogno di un nuovo paradigma per capire il presente e progettare il futuro. La riserva etica del movimento cattolico torna d’attualità nonostante il tentativo delle due maggiori coalizioni politiche di affogare nella neutralità del bipartitismo ogni specificità culturale e politica. La fede non può restare socialmente sterile o farsi irretire dalle sirene del relativismo e da una concezione falsamente neutrale della laicità. Anche oggi come nell’era del monachesimo, la fede diventa cultura e suscita nuove forme di presenza sociale e culturale. Nascono nuovi movimenti e si rinnovano le associazioni laicali di più lunga tradizione. La fede genera pensiero e opere sociali. Il volontariato si diffonde. I cattolici diventano fermento della società civile. La parrocchia per i giovani diventa competitiva con i luoghi dello sballo. La formazione genera una nuova classe politica meno legata al mero esercizio del potere e aperta alla speranza.
E accogliamo, come viatico per questo cammino non breve e non facile, l’invito rivolto da Benedetto XVI il 17 agosto 2008 nel suo viaggio in Sardegna: “Maria vi renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile”. Una “nuova generazione”. È per questo che ci servono i tempi lunghi della formazione di una nuova coscienza sociale. Capace di coltivare il desiderio di Dio e la passione per la storia.


31/01/2009 12:16 - FILIPPINE – CAMBOGIA - Testimoniare Cristo fra i bambini orfani dell’Aids in Cambogia - di Santosh Digal - È la scelta missionaria compiuta da una laica filippina, che dal 2003 vive in terra khmer. La donna ha organizzato terapie di gruppo e attività ludiche per i bambini, segnati da morti, sofferenze e privazioni. Anche la comunità cambogiana collabora nell’opera della missionaria a favore degli orfani.
Manila (AsiaNews) – Testimoniare Cristo fra i bambini orfani della Cambogia, i cui genitori sono morti a causa dell’Aids. È la missione di una laica cattolica filippina, che dal 2003 lavora in terra khmer per ridare “speranza” ai bambini abbandonati e garantire loro un'educazione di base.
Marian Matutina ha iniziato il suo cammino di missione a Siem Reap, nel nord della Cambogia, in una famiglia khmer composta dai genitori e quattro figli, per imparare la lingua locale. “Da questa famiglia buddista – racconta Marian – ho davvero capito il valore della presenza di Cristo, che si manifesta attraverso l’amore e l’accoglienza che ho ricevuto da loro”.
All’inizio la donna confessa di essersi “abbandonata totalmente a Dio” ispirandosi nel cammino di missione alle prime comunità dei discepoli. Assieme ad altri due missionari laici filippini ha aderito al progetto “Little Folks”, fondato dall'istituto missionario americano Maryknoll e dedicato ai bambini orfani dell’Aids. Guardando alla storia del popolo cambogiano, tanto gloriosa quanto tragica negli anni dei massacri perpetrati dai khmer rossi, Marian si è chiesta “come era possibile testimoniare Cristo fra la gente”, riconoscerne il volto “in una comunità a grande maggioranza buddista” e comunicare “l’amore di Dio” ai bambini rimasti senza genitori e senza motivi apparenti di speranza.
Gli orfani erano segnati da esperienze terribili fatte di morti, disperazione, spostamenti continui e sradicamento dall’ambiente familiare; ma le sofferenze patite non li avevano privati della “speranza” in un futuro migliore, tanto che molti di loro desideravano diventare medici, infermieri o insegnanti. Lavorando a contatto con i bambini e confrontando l’esperienza missionaria con i propri compagni, Marian ha capito che il primo passo da compiere per aiutarli era quello di “amarli senza riserve” e in modo gratuito.
Imparata la lingua Khmer, la missionaria filippina ha organizzato terapie di gruppo per affrontare il dolore, in cui i bambini potevano confrontarsi e raccontare le rispettive esperienze, alle quali seguivano giochi e attività di svago. “Poco alla volta – racconta Marian – ho visto che il lavoro dava i suoi frutti e anche i rapporti con la comunità khmer si facevano più saldi. Ora anche i cambogiani mi aiutano nel lavoro e nelle terapie di gruppo dedicate ai bambini”.
“Ho potuto testimoniare – conclude Marian Matutina – in loro un continuo cambiamento: da persone che ricevono, gli orfani si sono trasformati in coloro i quali donano. Io posso solo rendere lode e gloria a Dio che è davvero capace di rendere nuove le cose. Il suo Spirito avvolge la Cambogia e tutto il popolo”.


31/01/2009 12:52 – INDIA - Gruppi di cattolici assaliti da tribali indù sull’isola di Majuli - di Nirmala Carvalho - Avevano preso parte all’ordinazione del primo sacerdote nativo del luogo. Sulla strada del ritorno sono stati fermati da gruppi indù locali. I pullman presi d’assalto da centinaia di persone, malmenati gli uomini e i sacerdoti.
Majuli (AsiaNews) - Doveva essere una giornata di festa e invece si è trasformata in un ennesimo esempio di violenze dei radicali indù contro i cristiani e le conversioni dei tribali. Centinaia di fedeli cattolici sono stati picchiati, umiliati, derisi e cacciati via.
Il 24 gennaio diverse centinaia di cattolici hanno attraversato il Brahmaputra per raggiungere Majuli. Situata nel mezzo del fiume lungo il suo tratto indiano, nello distretto di Jorhat dello stato di Assam, l’isola è un’attrazione turistica molto nota. Dal 1987 ospita una piccola parrocchia a Jainkraimukh, ma la sua fama è dovuta alle testimonianze storiche della cultura assamese come il palazzo sacro di Neo-vasihnavite Satras e i monasteri fondati da Srimanta Sankradeva nel XVI secolo.
La piccola comunità dell’isola, per lo più composta da tribali Mishing, festeggiava l’ordinazione sacerdotale del primo prete cattolico nato a Majuli, Hemonto Pegu. Per l’occasione, il parroco padre Bartholomew Bhengra aveva invitato sacerdoti e fedeli delle comunità più vicine a partecipare alla celebrazione presieduta da mons. Joseph Aind, vescovo salesiano di Dibrugarh.
Dalla diocesi sono giunti sull’isola fedeli delle parrocchie di Mariani, Sarupathar, Naojan, Jagun, Dibrugarh e di altri villaggi del distretto di Jhorat. Per raggiungere Majuli tutti hanno dovuto attraversare il fiume con i battelli, unico mezzo di collegamento con la terra ferma, e quindi salire su pullman e jeep per Jengarimukh dove si svolgeva l’ordinazione. Sacerdoti, uomini, donne e bambini hanno impiegato due ore per attraversare il Brahmaputra e una per viaggiare sulle strade di Majuli che con i suoi 577 chilometri quadrati di estensione è la più grande isola fluviale del mondo.
Dopo l’ordinazione, verso le 2 del pomeriggio, le diverse comitive hanno preso la strada del ritorno verso il fiume. All’altezza del villaggio di Kamalabari alcune jeep su cui viaggiavano sacerdoti e religiosi sono state fermate da una folla locali appartenenti alle comunità tribali. Interrogati sulle ragioni della loro presenza sull’isola, i componenti del gruppo hanno spiegato che avevano partecipato all’ordinazione del nuovo sacerdote. In risposta sono stati insultati dalla folla. I testimoni dell’aggressione raccontano di essere stati minacciati in modo violento con affermazioni del tipo: “Non tornate mia più perché se tornerete vi taglieremo a pezzi e butteremo i resti dei vostri corpi nel Brahmaputra”. E ancora: "Missionari andate via! I cristiani non dovrebbero venire qui!".
La comunità di Mariani, la più numerosa presente all’ordinazione composta da circa 400 persone, sulla strada verso l’imbarco del battello è stata fermata da una folla di 600 persone . Il parroco di St. Antony, padre Caesar Henry, e il rettore della St. Xavier High school, padre G.P. Amalraj, precedevano i pullman dei fedeli viaggiando a bordo di un fuoristrada. Raccontano che alla vista della folla dapprima hanno pensato a un manifestazione politica. Ma subito sono stati tirati fuori dal veicolo e malmenati. Gli assalitori urlavano “ ci sono i missionari, uccidiamo i cani” prendendo a calci e pugni i due sacerdoti. Poi si sono rivolti verso i pullman, hanno fatto scendere i parrocchiani, tutti cattolici adivasi, e cominciato a picchiare gli uomini senza pietà. La folla ha gridato continue offese: "Voi cani, voi mangiatori di carne [gli indù sono vegetariani-ndr], questo è il Paese degli indù e non avete il diritto di venire qui. Perchè siete arrivati per convertire i tribali?"
Dopo le violenze li hanno costretti anche a camminare a piedi nudi per 5 chilometri, per raggiungere l’imbarco del battello, continuando ad insultarli lungo il tragitto per circa un’ora. Spaventati dagli avvenimenti e preoccupati per l’incolumità di giovani, donne e bambini i sacerdoti hanno avvisato le autorità della zona per chiedere protezione almeno per gli altri gruppi. I pullman occupati dagli studenti della Holy Cross School di Naojan sono stati scortati dalla polizia, ma comunque bersagliati dal lancio di sassi. Le autorità hanno poi allestito dei battelli per le comitive di fedeli e alle 6 ella sera i gruppi hanno potuto attraversare di nuovo il fiume.
Commentando l’accaduto, padre Caesar Henry, afferma: “Abbiamo appena festeggiato il 60° anniversario della Repubblica, non siamo anche noi indiani? Non abbiamo il diritto di muoverci liberamente senza essere assaliti e perseguitati perché siamo un gruppo di credenti e professiamo una fede? La Costituzione garantisce libertà e pari diritti a tutti. I nostri grandi guru e saggi ci insegnano forse di abusare e terrorizzare innocenti e gente semplice che vuole partecipare ad una celebrazione pubblica e religiosa?”.


Bullismo: una vera e propria contrapposizione culturale - Autore: Andraous, Vincenzo Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 31 gennaio 2009
Bullismo in percentuale accettabile, sento dire da qualche tempo, trasgressione da ragazzi, devianza che non è ancora diventata un dato esponenziale, insomma si tratta di una violenza addomesticabile, è tutto sotto controllo, come se la scuola innanzitutto e la famiglia in coda, avessero deciso di stendere un velo su questo argomento.
Bullismo che non è più riconducibile al solo disagio relazionale che assale gli adolescenti e pure qualche adulto idiota, ormai bisogna parlare di una vera e propria contrapposizione culturale: una parte non troppo marginale dei nostri giovani ha deciso di intraprendere un tragitto di vita senza servirsi degli strumenti salvavita che la prudenza e la pazienza impongono, l’esperienza che il mondo adulto gli mette a disposizione.
E’ pesante la sensazione che di bullismo non si debba più parlare, quasi non si trattasse di un cancro, una metastasi culturale da estirpare.
Qualcuno cita inopportunamente altri paesi, altre realtà e altri organigrammi sociali per fare intendere come si dovrebbe operare per risolvere definitivamente l’epidemia; durezza e galera, come in Inghilterra, in America, omettendo però di dire che si tratta di parallelismi assurdi. Infatti sono situazioni e problematiche che non è possibile fotocopiare, e soprattutto in questi paesi, dove si è cercato di “ridurre il danno” attraverso una dose robusta di castigo e punizione statuale, s’è venuta a creare una situazione insostenibile, minori morti ammazzati ai bordi delle strade, carceri stracolme di giovanissimi pronti a morire alla prima occasione.
Atti di bullismo zero, ma allora come è possibile che a ogni corridoio di scuola, angolo di classe, al centro di una piazzetta, dentro un raduno, l’odore della prepotenza si respira senza possibilità di errore.
Come è possibile dialogare sulle problematiche giovanili con un fare e dire sempre più isterico, sempre meno professionale, e di rimando con un uso improprio delle regole e delle civicità calate dall’alto, autoassolvendo il mondo dei grandi da una responsabilità imperdonabile.
Chissà se forse non occorrono meno effetti speciali, mettendo davanti a quanti sono già futuri “carcerati”, persone lacerate dalla sofferenza, da quel dazio pagato e ancora da pagare, testimoni senza più parola che potrebbero spiegare ciò attende coloro che si sentono stoltamente i più furbi.
Opporre alla violenza di un’età bloccata, la storia raccontata in prima persona da chi è diventato vecchio da giovane per quella prepotenza perpetrata, per il male fatto e per la tragedia colpevole che ne è seguita, e non avrà a disposizione un’altra vita per provare a riconsegnare dignità alla propria esistenza.
Insegnanti assenti, educatori distratti, genitori dall’arringa aggressiva, disposti a sferrare schiaffi e gomitate pur di difendere a spada tratta i propri pargoli: forse è il caso di riformare il mondo della maturità diplomata e laureata, quella maturità raggiunta senza troppe fatiche, che quindi reclama altrettante facilità operative, forse è più urgente “insegnare” dapprima ai grandi: per poter arrivare senza fraintendimenti ai più piccoli, l’importanza del rispetto per se stessi e per gli altri. E questo rispetto non è possibile impararlo attraverso la solita formuletta disegnata alla lavagna, semmai con l’esempio autorevole di chi rimane un protagonista positivo del proprio destino.


Il Papa chiede di mettere da parte gli interessi particolaristici per affrontare le difficoltà del mondo del lavoro - Concertazione e solidarietà per superare la crisi - Concertazione, solidarietà, partecipazione responsabile: è la strada indicata da Benedetto XVI per affrontare la crisi economica e, in particolare, le difficoltà del mondo del lavoro. Il Papa ne ha parlato durante l'udienza ai dirigenti della Confederazione italiana sindacale lavoratori (Cisl), ricevuti nella mattina di sabato 31 gennaio, nella Sala Clementina. – L’Osservatore Romano, 1 Febbraio 2009
Illustri Signori, gentili Signore!
Con vivo compiacimento accolgo in voi e cordialmente saluto i membri del gruppo dirigente della Confederazione Italiana Sindacale Lavoratori: saluto in particolare il Segretario Generale, e lo ringrazio per le parole che mi ha indirizzato a nome di tutti. Egli ha ricordato che proprio 60 anni fa, la Cisl muoveva i primi passi prendendo parte attiva alla fondazione del sindacato libero internazionale e recava al nascente soggetto il contributo dell'ancoraggio ai principi della dottrina sociale della Chiesa e la pratica di un sindacalismo libero ed autonomo da schieramenti politici e dai partiti. Questi stessi orientamenti voi oggi intendete ribadire, desiderando continuare a trarre dal magistero sociale della Chiesa ispirazione nella vostra azione finalizzata a tutelare gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici e dei pensionati d'Italia. Come ha opportunamente richiamato il Segretario Generale, la grande sfida ed opportunità che la preoccupante crisi economica del momento invita a saper cogliere, è di trovare una nuova sintesi tra bene comune e mercato, tra capitale e lavoro. Ed in questo ambito, significativo è il contributo che possono apportare le organizzazioni sindacali. Nel pieno rispetto della legittima autonomia di ogni istituzione, la Chiesa, esperta in umanità, non si stanca di offrire il contributo del suo insegnamento e della sua esperienza a coloro che intendono servire la causa dell'uomo, del lavoro e del progresso, della giustizia sociale e della pace. La sua attenzione alle problematiche sociali è cresciuta nel corso dell'ultimo secolo. Proprio per questo, i miei venerati Predecessori, attenti ai segni dei tempi, non hanno mancato di fornire opportune indicazioni ai credenti e agli uomini di buona volontà, illuminandoli nel loro impegno per la salvaguardia della dignità dell'uomo e le reali esigenze della società. All'alba del XX secolo, con l'Enciclica Rerum novarum, il Papa Leone XIII fece una difesa accorata dell'inalienabile dignità dei lavoratori. Gli orientamenti ideali, contenuti in tale documento, contribuirono a rafforzare l'animazione cristiana della vita sociale; e questo si tradusse, tra l'altro, nella nascita e nel consolidarsi di non poche iniziative di interesse civile, come i centri di studi sociali, le società operaie, le cooperative e i sindacati. Si verificò pure un impulso notevole verso una legislazione del lavoro rispettosa delle legittime attese degli operai, specialmente delle donne e dei minori, e si ebbe anche un sensibile miglioramento dei salari e delle stesse condizioni di lavoro. Di questa Enciclica, che ha avuto "il privilegio" di essere commemorata da vari successivi documenti pontifici, Giovanni Paolo II ha voluto solennizzare il centesimo anniversario pubblicando l'Enciclica Centesimus annus, nella quale osserva che la dottrina sociale della Chiesa, specialmente in questo nostro periodo storico, considera l'uomo inserito nella complessa rete di relazioni che è tipica delle società moderne. Le scienze umane, per parte loro, contribuiscono a metterlo in grado di capire sempre meglio se stesso, in quanto essere sociale. "Soltanto la fede, però, - nota il mio venerato Predecessore - gli rivela pienamente la sua identità vera, e proprio da essa prende avvio la dottrina sociale della Chiesa, la quale, avvalendosi di tutti gli apporti delle scienze e della filosofia, si propone di assistere l'uomo nel cammino della salvezza" (n. 54). Nella sua precedente Enciclica sociale Laborem exercens del 1981, dedicata al tema del lavoro, Papa Giovanni Paolo II aveva sottolineato che la Chiesa non ha mai smesso di considerare i problemi del lavoro all'interno di una questione sociale che è andata assumendo progressivamente dimensioni mondiali. Anzi, il lavoro - egli insiste - va visto come la "chiave essenziale" dell'intera questione sociale, perché condiziona lo sviluppo non solo economico, ma anche culturale e morale, delle persone, delle famiglie, delle comunità e dell'intera umanità (cfr. n. 1). Sempre in questo importante documento vengono posti in luce il ruolo e l'importanza strategica dei sindacati, definiti "un indispensabile elemento della vita sociale, specialmente nelle moderne società industrializzate" (cfr. n. 20). C'è un altro elemento che ritorna frequentemente nel magistero dei Papi del Novecento ed è il richiamo alla solidarietà ed alla responsabilità. Per superare la crisi economica e sociale che stiamo vivendo, sappiamo che occorre uno sforzo libero e responsabile da parte di tutti; è necessario, cioè, superare gli interessi particolaristici e di settore, così da affrontare insieme ed uniti le difficoltà che investono ogni ambito della società, in modo speciale il mondo del lavoro. Mai come oggi si avverte una tale urgenza; le difficoltà che travagliano il mondo del lavoro spingono ad una effettiva e più serrata concertazione tra le molteplici e diverse componenti della società. Il richiamo alla collaborazione trova significativi riferimenti anche nella Bibbia. Ad esempio, nel libro del Qoèlet leggiamo: "Meglio essere in due che uno solo, perchè otterranno migliore compenso per la loro fatica. Infatti, se cadono, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi" (4, 9-10). L'auspicio è quindi che dall'attuale crisi mondiale scaturisca la volontà comune di dar vita a una nuova cultura della solidarietà e della partecipazione responsabile, condizioni indispensabili per costruire insieme l'avvenire del nostro pianeta. Cari amici, la celebrazione del 60° anniversario di fondazione della vostra organizzazione sindacale sia motivo per rinnovare l'entusiasmo degli inizi e riscoprire ancor più il vostro originario carisma. Il mondo ha bisogno di persone che si dedichino con disinteresse alla causa del lavoro nel pieno rispetto della dignità umana e del bene comune. La Chiesa, che apprezza il ruolo fondamentale dei sindacati, vi è vicina oggi come ieri, ed è pronta ad aiutarvi, perché possiate adempiere al meglio il vostro compito nella società. Nell'odierna festa di san Giovanni Bosco, desidero infine affidare l'attività e i progetti del vostro sindacato a questo Apostolo dei giovani, che con grande sensibilità sociale fece del lavoro un prezioso strumento di formazione e di educazione delle nuove generazioni. Invoco, inoltre, su di voi e sulle vostre famiglie la protezione della Madonna e di san Giuseppe, buon padre e lavoratore esperto che si prese quotidiana cura della famiglia di Nazaret. Per parte mia, vi assicuro un ricordo nella preghiera, mentre con affetto benedico voi qui presenti e tutti gli iscritti alla vostra Confederazione.
(©L'Osservatore Romano - 1 febbraio 2009)


Inizia l'anno di Darwin - Ma la biologia non spiega tutto l'uomo - di Lucetta Scaraffia – L’Osservatore Romano, 1 Febbraio 2009
Inizia l'anno di Darwin, indetto per il doppio anniversario della nascita (12 febbraio 1809) e dell'opera più celebre, On the origins of species by means of natural selection (1859). Un libro che ha segnato una rottura epocale, paragonabile solo a quella di Galileo: Charles Darwin infatti ha cambiato definitivamente la nostra visione del mondo vivente e del posto dell'uomo nella natura, legandolo con un filo ininterrotto alle altre forme di vita. L'originalità radicale del grande scienziato è l'idea che l'evoluzione sia retta dal gioco cieco del caso e della necessità, senza che nella natura si manifesti la minima finalità, e quindi togliendo ogni possibile ruolo a un Dio creatore. Nonostante siano passati centocinquant'anni, il nome e la teoria di Darwin suscitano ancora violente contrapposizioni, che non sembrano chetarsi: oggi, al pensiero dei creazionisti statunitensi, che certo esercitano un'influenza non sottovalutabile nella cultura del Paese - una recente indagine rivela che il quaranta per cento degli americani rifiuta l'evoluzione - si aggiunge la diffusione della visione creazionista anche in ambito islamico. Come nel caso del predicatore turco Adnan Oktar, autore di un gigantesco "atlante della creazione" e in stretti rapporti, probabilmente anche finanziari, con i creazionisti degli Stati Uniti. Ci si può domandare come mai, dopo tanti anni, le polemiche divampino ancora così forti: le risposte le troviamo sia in ambito scientifico che religioso. A differenza di Galileo, che avviò una rivoluzione culturale basata su inconfutabili prove scientifiche, per pensare il mondo vivente Darwin fornisce piuttosto un quadro concettuale, di cui però non ha tutte le prove. La sua teoria, infatti, non spiega da dove venga la variazione né come funzioni l'ereditarietà; sarà solo dopo la riscoperta delle ricerche del botanico Gregor Mendel che la sintesi neodarwiniana comincerà a rispondere a queste domande, con teorie che le ricerche successive, soprattutto quelle sul Dna, confermeranno e arricchiranno. Dal momento, poi, che questo quadro concettuale non lascia posto a Dio, esso diventa per molti la prova della sua non esistenza, e dunque lo strumento primo per una propaganda ateistica, quale è stata senza dubbio la prima fase di diffusione del darwinismo in ambito europeo. Ma, soprattutto, a essere messa in discussione dal pensiero darwiniano è la supposta natura divina dell'essere umano, la convinzione che noi al di sopra di tutte le altre forme di vita siamo esseri spiritualmente elevati, favoriti dal Creatore. È qui che Darwin entra in conflitto con il cristianesimo, l'ebraismo, l'islam e, probabilmente, con la maggior parte delle religioni. La Chiesa cattolica, che del resto non ha reagito ufficialmente neppure mettendo il libro all'indice, si è sempre rifiutata di pensare che la religione e la scienza non possano camminare insieme, nonostante la strumentalizzazione in favore dell'ateismo che veniva fatta del libro e dell'autore. Nel 1950 l'enciclica Humani generis autorizza la discussione sull'origine del corpo umano a partire da una materia organica già esistente e nel 1996 Giovanni Paolo II definisce l'evoluzionismo più di una ipotesi. Questo atteggiamento di apertura, se pure cauta, e di forte interesse per il problema è confermato dal convegno che si terrà alla Pontificia Università Gregoriana agli inizi del prossimo marzo su fatti e teorie dell'evoluzione biologica. Recenti studi sulla vita di Darwin - e in particolare la biografia scritta dal discendente Randal Keynes, che ha utilizzato un gran numero di documenti privati - mettono in luce il processo che porta il grande scienziato ad abbandonare la fede in Dio, come lui stesso racconta nell'autobiografia: "L'incredulità si insinuò lentamente nel mio spirito, e finì col diventare totale". Ma questi contributi rivelano anche che il profondo materialismo della visione di Darwin non è provocato solo dagli studi scientifici, per cui la scoperta della selezione naturale fa cadere ogni ipotesi di disegno divino, ma anche, se non soprattutto, dai dolori della vita, in particolare come reazione alla prematura scomparsa dell'amatissima figlia Annie: "Non riesco a vedere con la medesima nitidezza di altri - scrive all'amico Asa Gray dopo la morte della bambina - la prova di un disegno e di una benevolenza divini tutto intorno a noi. Ai miei occhi sembrano esserci troppe afflizioni nel mondo". E, infatti, solo dopo questa morte Darwin si lasciò risolutamente alle spalle la fede cristiana. Questa accentuazione di una forte componente personale nel rifiuto della fede da parte del grande scienziato può fare sperare più che in passato in una compatibilità fra scienza evoluzionista e fede in Dio, già difesa del resto dallo scienziato gesuita Pierre Teilhard de Chardin. Ma oggi la questione più scottante è un'altra: non tanto la possibilità di far coesistere l'ipotesi scientifica dell'evoluzione delle specie viventi con un progetto divino, ma il modo stesso di concepire l'essere umano. Lo sviluppo delle scienze del cervello, della psicologia evoluzionistica e delle scienze sociali cognitive - come prova il proliferare del suffisso "neuro" davanti a campi di indagine finora appartenuti alle scienze umane, come l'economia, l'estetica, la politica - avrebbe infatti dimostrato la dipendenza radicale del sociale e del culturale dal biologico. Mettendo così in crisi l'idea che la capacità umana di produrre cultura, linguaggio, morale costituisca una prova della specificità dell'uomo. Oggi più che mai, dunque, la questione non è tanto la contrapposizione fra scienza e Bibbia sulla storia dell'evoluzione, ma il rapporto fra scienza - o almeno una parte di essa - e fede nella definizione del concetto di natura umana. Per difendere una specificità che dà senso spirituale a ciascuna delle nostre vite.
(©L'Osservatore Romano - 1 febbraio 2009)


Fede e storia devono illuminare la lettura della Bibbia - La Scritturatra eternità e tempo - Arriva in libreria l'edizione San Paolo della Bibbia con la nuova traduzione della Conferenza episcopale italiana (La Bibbia. Via, verità e vita, Cinisello Balsamo, 2008, pagine 2672, euro 29). Il progetto editoriale del volume è diretto da Gianfranco Ravasi per l'Antico Testamento e da Bruno Maggioni per il Nuovo. Pubblichiamo stralci dell'introduzione generale. - di Gianfranco Ravasi - L'Osservatore Romano, 1 Febbraio 2009
Parola divina e parole umane, Verbo e carne, eternità e tempo, infinito e spazio umano, Dio e uomo. Sono sempre due le prospettive da adottare nella lettura della Bibbia e due sono le luci che devono illuminare il cammino interpretativo del lettore credente.
C'è innanzitutto l'aspetto storico-letterario. Esso esige nel lettore una certa attrezzatura critica fatta di conoscenze specifiche. È questo il lavoro che compie l'esegesi, un termine che nella sua origine greca indica un "tirare fuori" dal testo tutta la sua ricchezza di contenuti e di messaggio, identificandone i mezzi espressivi e le sue forme. A quest'ultimo riguardo è importante saper identificare i cosiddetti generi letterari, cioè le varie modalità con cui si esprimono i diversi contenuti: differenti sono, infatti, i linguaggi adottati quando si deve codificare un testo giuridico, si innalza un inno di lode, si descrive un evento storico, si invoca un sostegno nella supplica, si elabora una lettera, si approfondisce con la riflessione un tema, si narra una parabola per illustrare un concetto, si proclama un oracolo sacrale e profetico, si ammonisce e si esorta a scegliere un comportamento morale e così via. Naturalmente, oltre ai generi, sono molte altre le forme letterarie, i simboli, le tipologie espressive come anche le ricerche di taglio storiografico da condurre così da interpretare correttamente i testi biblici nel loro profilo storico-letterario. Anzi, soprattutto nella seconda metà del Novecento si sono moltiplicati altri metodi di scavo nella pagina biblica per coglierne meglio il suo aspetto letterario e il suo contenuto. Si è attenti, ad esempio, alla dimensione sociale in cui sono vissuti gli uomini e le donne della Bibbia e che è poi riflessa negli scritti sacri. Si ricorre alla psicologia e alla psicanalisi per meglio decifrare alcune esperienze profetiche o il linguaggio delle immagini e dei simboli biblici e per penetrare nel mondo dei miracoli. Ci sono letture "femministe" della Bibbia, preoccupate di non confondere alcuni modelli storici ed espressivi patriarcali della società ebraica antica col messaggio della Sacra Scrittura sulla creatura umana. Altre volte l'attenzione si fissa sull'analisi delle narrazioni bibliche, sulle tecniche di convincimento che in alcuni testi sacri sono sviluppate attraverso la retorica, ossia l'arte della persuasione, come non manca il ricorso a moderni approcci di studio del testo nelle sue strutture (la semiotica).
Due sono gli ambiti nei quali l'esercizio della corretta interpretazione storico-letteraria si accende spesso di interesse vivace, anche perché tocca la nostra sensibilità attuale. Il primo è quello della "verità" che la Scrittura vuole comunicarci. In passato si confondevano i piani tra espressione e contenuto e così scattavano forti tensioni tra scienza e fede: tanto per fare un esempio, pensiamo alla teoria dell'evoluzionismo. Certo, l'autore sacro viveva in una cultura nella quale il modello scientifico era quello "fissista" per cui l'uomo era già compiuto e completo nel suo apparire all'interno di un mondo concepito, tra l'altro, in modo geocentrico. Era questo l'insegnamento che la Bibbia voleva offrire?
In realtà essa non voleva rispondere a domande di scienza riguardanti l'antropologia o l'astrofisica, bensì a interrogazioni esistenziali e religiose sul senso della vita, della creatura umana, dell'essere e del loro legame col Creatore. È per questo che pittorescamente sant'Agostino affermava che "non si legge nel Vangelo che il Signore abbia detto: "Vi manderò il Paraclito per insegnarvi come vanno il sole e la luna. Voleva formare dei cristiani, non dei matematici"" (De Genesi ad litteram, 2, 9, 20). Bisogna, dunque, interrogare la Bibbia in modo corretto, senza costringerla a risposte che non vuole offrire e che solo artificiosamente le possiamo strappare.
L'"inerranza" della Sacra Scrittura - come si era soliti dire in passato - non riguarda la scienza o la storiografia ma gli asserti religiosi. O meglio, la "verità" che la Bibbia ci vuole comunicare non è di tipo scientifico ma teologico, come ha sottolineato in modo nitido il concilio Vaticano ii: "I libri della Sacra Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore, la verità che Dio, a causa della nostra salvezza, volle che fosse consegnata nelle Sacre Lettere" (Dei Verbum, 11). Le verità che le pagine sacre ci insegnano sono, perciò, quelle finalizzate alla nostra salvezza.
Non possiamo, però, ignorare che molti testi biblici sono striati di sangue e di violenza, di immoralità di ogni genere, non di rado senza un giudizio negativo, anzi, talora con una tacita o diretta, apparente o implicita approvazione divina. Essi generano reazioni scandalizzate nel lettore che sia sensibile non solo al messaggio dell'amore evangelico ma anche ai puri e semplici valori umani. È, questa, l'altra questione interpretativa, ancor più delicata e lacerante. Basta, infatti, sfogliare i primi capitoli del libro di Giosuè, che descrivono la conquista della terra promessa, per scoprirvi un cumulo di efferatezze e di stermini, posti sotto il sigillo dell'ordine divino. Altrettanto impressionante è la collera furibonda che pervade i cosiddetti "Salmi imprecatori" (ad esempio, Salmi, 58; 109; 137, 8-9). È indubbio che l'analisi letteraria fa capire subito che queste pagine risentono del linguaggio e dello stile caratteristici della cultura dell'antico Vicino Oriente che amava l'eccesso verbale, i colori accesi, l'esasperazione dei toni e aveva fiducia nella forza "offensiva" della parola stessa, fondamentale in una civiltà di tipo orale. L'odio per il male e l'ansia per la giustizia si esercitano, perciò, prima di tutto a livello verbale.
Ma tutto questo non basta per giustificare l'"immoralità" di quei testi. Decisiva per rimuovere questo ostacolo che si para davanti al lettore della Scrittura è un'altra considerazione. La via maestra per comprendere correttamente simili testi marziali o violenti o immorali è ancora una volta quella di tener presente la qualità specifica della rivelazione biblica: essa è per eccellenza storica. La parola e l'azione divina non sono sospese in cieli mitici e mistici ma sono innescate nella trama tormentata e faticosa della vicenda umana. Esse non sono simili a una serie di tesi o verità astratte, raccolte in un florilegio scritto, ma sono come un seme che germoglia sotto il terreno arido, sassoso e opaco della storia e dell'esistenza. Dio, allora, si fa vicino e paziente, si adatta al limite e persino alla brutalità della creatura umana libera e progressivamente cerca di condurla verso un orizzonte più alto che ha nella legge evangelica dell'amore e del perdono il suo apice, ma che ha già nell'Antico Testamento squarci luminosi: "Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza, ci governi con molta indulgenza (...) Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare l'umanità" (Sapienza, 12, 18-19).
Proprio questa dimensione storica e progressiva della rivelazione biblica ci fa comprendere quanto pericolosa e illusoria sia la lettura "fondamentalista" della Bibbia, praticata da alcuni movimenti religiosi. Essa vorrebbe presentarsi come esemplare perché la sua fedeltà al testo è letterale, assoluta, ciecamente affidata alle parole e alle frasi così come esse materialmente suonano, senza applicare quella corretta interpretazione che conduce alla scoperta di ciò che veramente l'autore sacro voleva comunicare attraverso un linguaggio connotato e datato, legato a un mondo culturale e sociale concreto e ormai lontano da quello in cui noi ora viviamo.
È, quindi, indispensabile il contributo dell'esegesi e dell'interpretazione - naturalmente ottenuto attraverso un metodo corretto - per essere autenticamente fedeli al senso vero della Sacra Scrittura. Per questa via non si dissolve la "lettera" della Bibbia e la sua storicità, ma si riesce a cogliere la "verità" che essa ci vuole comunicare così da divenire "lampada per i passi e la luce sul cammino" della vita del lettore (Salmi, 119, 105). In questa linea si riesce a comprendere il monito di san Paolo secondo il quale "la lettera uccide, è lo Spirito che dà vita" (2 Corinzi, 3, 6).
È per questo che la Bibbia è nel cuore stesso della liturgia, ove è proclamata, commentata, meditata e attualizzata. Essa è anche l'anima dell'annunzio della fede e della catechesi; è l'alimento della vita spirituale attraverso la lectio divina, ossia la lettura intima e fruttuosa che trasferisce l'appello di Dio nell'esistenza personale del credente. La Bibbia è alla base della teologia che a quella fonte attinge la verità da illustrare e approfondire e la norma morale da seguire nelle scelte personali e comunitarie. La Bibbia è alla radice del nostro legame con l'ebraismo ed è il terreno privilegiato per il dialogo ecumenico tra i cristiani che alla Scrittura guardano come a una stella polare. Anzi, figure, eventi e temi biblici pervadono, sia pure elaborati e trasformati, lo stesso libro sacro dell'islam, il Corano. La Bibbia è il "grande codice" di riferimento della cultura. Per secoli personaggi, eventi, simboli, idee, temi biblici hanno offerto le immagini per le creazioni più alte della pittura e della scultura, sono stati trasfigurati nella musica, sono stati ripresi e ricreati dalla letteratura, hanno stimolato la riflessione filosofica e sostanziato la ricerca morale. Per rendere più disponibili le Scritture ai lettori di nuovi ambiti culturali e spirituali, fin dall'antichità si è proceduto a tradurre in nuove lingue quei libri. In greco nacque, tra il III e il II secolo prima dell'era cristiana, la versione dei Settanta, così chiamata per una tradizione leggendaria che ne attribuiva la paternità a settanta studiosi riuniti ad Alessandria di Egitto per compiere questa impresa. In latino san Girolamo, tra il 383 e il 406, tra Roma e Betlemme, ove si era ritirato, si dedicò a preparare la Vulgata, cioè la traduzione "popolare" che dominerà nella Chiesa cattolica nei secoli successivi; le varie comunità cristiane antiche affrontarono altre versioni nelle loro lingue e così si continuò a fare fino ai nostri giorni, in tutte le lingue del nostro pianeta. Lo stesso accade anche a questa traduzione italiana che è quella ufficiale della Conferenza episcopale italiana, giunta ormai a una definitiva redazione.
Conservata alle origini su papiri, poi su codici di pergamena e persino su cocci di terracotta, divenuta il primo libro stampato (la Bibbia di Gutenberg del 1452), la Sacra Scrittura approda anche nella civiltà informatica sulle pagine elettroniche, testimoniando la sua presenza sempre vitale nella cultura dell'umanità e nella fede dei credenti. Ora è davanti a noi in questa traduzione rinnovata ed efficace, accompagnata da un commento che coniuga essenzialità e ricchezza di contenuti, offrendo spunti preziosi per l'uso liturgico e pastorale, senza però venir meno alle esigenze di una corretta e rigorosa esegesi e interpretazione. Si ritrovano, così, in azione le due dimensioni della Parola divina e delle parole umane, della fede e della storia, del "Verbo" e della "carne". La Bibbia potrà, così, diventare "la via, la verità e la vita" del fedele nel cammino della sua esistenza e nella luce della sua presenza.
(©L'Osservatore Romano - 1 febbraio 2009)


Settant'anni fa nasceva il cantautore italiano Giorgio Gaber - Un uomo libero -chiamato Signor G - di Raffaele Alessandrini - L'Osservatore Romano, 1 febbraio 2009
Nella penombra del palcoscenico, appena rotta dall'occhio di bue, quella sera del 1970 "Il signor G" recitava la sua preghiera: "Signore delle domeniche prova a esserlo anche del lunedì e di tutti quei giorni tristi che ci capitano sulla Terra...". Al termine, mentre la platea, una platea postsessantottina composta in prevalenza da politicizzatissimi mangiapreti, prorompeva in una lunghissima ovazione salutando quello che appariva un inno di trasgressiva protesta anticlericale - e che forse, anche nelle intenzioni dell'autore, tale intendeva essere - qualcun altro dei presenti ebbe la netta sensazione di aver udito una voce profetica. Un'invettiva che manifestava il disperato bisogno di una presenza, o, più semplicemente, denunciava un'assenza. Quel recitativo che pure intendeva essere "anarchico e laico" chiamava in causa il formalismo ipocrita, nel contesto incipiente di una diffusa tendenza a confinare la dimensione religiosa nella sfera del privato, negandole il diritto e il dovere di incidere nella vita quotidiana.


Giorgio Gaber (1939-2003) non è stato solo un raffinato cantautore, e uno degli inventori del "teatro-canzone". È stato prima di tutto un uomo geniale e sensibile che guardava e ragionava su se stesso e sugli altri con profonda onestà, animato da un inesausto amore per l'uomo. Era nato a Milano in una famiglia piccolo borghese di origini slovene proveniente da Gorizia e infatti il suo esatto cognome era Gaberscik. Avrebbe vissuto il suo tempo raccogliendo fedelmente da par suo stimoli e novità che di volta in volta caratterizzarono le diverse fasi della società italiana.
All'inizio degli anni Sessanta, nell'Italia canterina degli "urlatori" e del famoso Clan Celentano - già condizionata e culturalmente colonizzata dalla koinè statunitense - Gaber si distingue per alcuni pezzi ironici, e autoironici, sui giovani del momento. Nel 1958 scrive con Luigi Tenco il primo pezzo di rock all'italiana Ciao, ti dirò... ispirato a una canzone di Elvis Presley. Mentre sulle cronache figurano i primi esempi di devianza e di anticonformismo giovanile come i teddy boys lui scriverà la Ballata del Cerutti. Intanto con Enzo Jannacci forma il duo "I due corsari"; dal 1961 al 1967 partecipa per quattro volte al Festival di Sanremo.
Il suo stile spiritoso e sognante - da Valentina a Torpedo blu, a Il Riccardo - improvvisamente assume un diverso carattere, più attento ai temi sociali. Se Celentano aveva a suo tempo rimpianto il verde della via Gluck cancellato dal cemento, Gaber in Com'è bella la città, denuncia l'alienazione disumanizzante della metropoli industriale. Quindi nel 1970, al Piccolo teatro di Milano, si presenta al pubblico con la prima edizione de Il Signor G.
Nel clima della contestazione Gaber sembra effettuare una chiara scelta di campo mettendo in discussione tutti i miti e i luoghi comuni del vivere borghese che tendono a omologare la persona dalla nascita alla morte secondo parametri ben definiti. Il Signor G si rivelò una forte condanna all'ipocrisia, alla politica intesa come puro perseguimento del potere, al clientelismo, a ogni forma di sopruso e di violenza sia pubblica che privata (Io accuso). Si colgono inoltre le crescenti preoccupazioni per il degrado della natura e, allo stesso tempo, si avverte la speranza che i nuovi fermenti che agitano le piazze e in particolare il mondo studentesco possano essere forieri di libertà e di novità concrete - Dalla parte di chi. Non mancano stoccate sui rischi borghesi della rassegnazione individualistica e del ripiegamento nel privato.
Già da allora Gaber si propone come voce critica alla coscienza di un Paese che dopo gli anni del boom si avvia a una fase più drammatica. Ma la sua è una voce non omologabile. Se idealmente, e anche ideologicamente, si è sentito affine ai movimenti di sinistra, da uomo libero saprà sempre tenere occhi e orecchi ben aperti senza smarrire il proprio senso critico e autocritico. Nel 1972 - anno a cui risale anche l'esilarante divagazione sul vuoto esistenziale e alienante dell'individuo nella società di consumi L0 shampoo - comporrà La libertà, uno dei pezzi più fortunati che in seguito saranno insegnati perfino ai bambini nelle scuole elementari: "La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone (...) La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione".
Già qui si intuisce il rischio dell'incoerenza e della strumentalizzazione anche nei movimenti giovanili di protesta. In Gaber sembra ancora viva la speranza di una società che trovi in se stessa le risorse per esorcizzare i frutti peggiori del capitalismo e del consumismo, ma bisogna fare i conti anche con gli sterili moralismi e l'autocompiacimento narcisistico di una classe intellettuale elitaria, ormai distaccata dalle persone e dai loro problemi reali.
La critica al gattopardismo cultural-socio-politico si precisa sempre di più in una serie di spettacoli come Anche per oggi non si vola; Libertà obbligatoria; Polli d'allevamento. All'inizio degli anni Ottanta anche gli schieramenti ideologizzati che più avevano cercato di cavalcare la protesta gaberiana si rivoltano contro il cantautore accusandolo di qualunquismo e Gaber reagisce duramente con il recital Anni affollati ove risalta la sua massima espressione di artista disincantato e nauseato dal mondo. Un atteggiamento culminante nel sogno di un Dio che si ritira "in campagna" dopo aver provveduto attraverso uno stroncante e dissacratorio giudizio universale a condannare l'intera società all'inferno della lontananza (Io se fossi Dio).
Eppure dopo la tempestosa ferocia degli accenti di quest'ultima invettiva per Gaber - un po' come il mare in scaduta dopo il fortunale - si apre un periodo di più matura ed equilibrata riflessione ove egli dimostra di non poter fare a meno di amare il proprio Paese e le persone che lo abitano con tutti i loro difetti e le loro miserie.
Pur continuando a denunciare implacabilmente, con il solito caustico, geniale sarcasmo, conformismi, vecchi e nuovi vizi, nonché lo smarrimento e il degrado culturale, morale e politico (Destra e sinistra) venato da malinconici cogitamenti (Qualcuno era comunista; La mia generazione ha perso) torna a riaffiorare la possibilità di riscoprire in modo diverso il valore di alcuni punti fermi come il senso di aggregazione e di appartenenza che, pure, in passato, e per troppo tempo, sono stati fattori di conflitto e di divisione. Inoltre Gaber riserva un occhio vigile ai nuovi fenomeni sociali e culturali connessi alla società multietnica (Il potere dei più buoni del 2001; Io non mi sento italiano del 2003).
Significative in modo particolare sembrano alcune dichiarazioni risalenti al maggio 1999, e rilasciate al suo amico Massimo Bernardini, sull'importanza culturale delle radici cristiane per la civiltà occidentale: una civiltà "sostanzialmente cristiana. Su questo - diceva - abbiamo costruito il nostro mondo. Tutte le opere d'arte che abbiamo davanti da secoli, queste grandi costruzioni, queste cattedrali sono impossibili persino da pensare senza un luogo in cui tutti sentono che è importante farle". Quindi, concludeva Gaber, parliamo pure di valori, ben sapendo però che anche i valori civici hanno un'origine precisa. "Io da laico ritengo che bisogna paragonare i propri principi a quelli di Cristo, perché i nostri valori nascono da lì. Non credo che la civiltà sia molto solida, credo sia un velo sottile che possa saltare da un momento all'altro, la barbarie è a portata di mano".
(©L'Osservatore Romano - 1 febbraio 2009)