sabato 7 febbraio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Comunicato stampa - CL: preghiamo per Eluana
2) "ELUANA NON VOLEVA MORIRE" - LE TESTIMONIANZE MAI ASCOLTATE DAI GIUDICI - 1) "Le bugie del padre Beppino: Eluana non voleva morire" - lettera aperta di Pietro Crisafulli - 2) Zia Emma implora: "Lasciate vivere Eluana" - 3) "Con Eluana mai parlato di morte" - 4) "Ce la portano via dopo 15 anni" - 5) Suor Albina: "Guardatela, vi accorgerete che vive"
3) 07/02/2009 11:55 – VATICANO - Papa: testimoniare la carità stando vicino ai bambini che soffrono e alle loro famiglie - Nel messaggio per la Giornata mondiale del malato, che si celebra l’11 febbraio, Benedetto XVI scrive che la Chiesa “afferma con vigore l’assoluta e suprema dignità di ogni vita umana”, che “è bella e va vissuta in pienezza anche quando è debole ed avvolta dal mistero della sofferenza”. Le parole e l’esempio di Giovanni Paolo II.
4) Coraggio e (in)coerenza - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - venerdì 6 febbraio 2009
5) Englaro/ Ruini: E' omicidio, un dovere il decreto del Governo - A Corsera:Niente prevaricazione tra poteri nè ingerenza da Chiesa
6) A cinquecento anni dalla nascita di Giovanni Calvino - L'uomo di fronte all'incomprensibile volontà divina - Anticipiamo ampi stralci di uno degli articoli che saranno pubblicati nel prossimo numero de "La Civiltà Cattolica". - di Jean-Blaise Fellay – L’Osservatore Romano, 7 Febbraio 2009
7) La testimonianza di un sacerdote in Kenya da diciassette anni - La sofferenza dei bambini - Il Vangelo tradito - di Danilo Quinto – L’Osservatore Romano, 7 Febbraio 2009
8) ELUANA/ 1. Zanon: formalismi a parte, salvare una vita non giustifica un'urgenza? - Nicolò Zanon - sabato 7 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
9) ELUANA/ 2. Il braccio di ferro di Berlusconi e Napolitano tra politica e morale - Redazione - sabato 7 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
10) ESITO DA SCONGIURARE - PIÙ BUIO ATTORNO A NOI. E LA VITA PIÙ INSIDIATA - ANGELO BAGNASCO – Avvenire, 7 Febbraio 2009
11) DALLA MAGISTRATURA UNILATERALITÀ INGENUA E TRAGICA - L’eutanasia s’è insediata nel nostro sistema sanitario - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 7 febbraio 1009
12) SCONTRO ISTITUZIONALE - Baldassarre: uno scontro che poteva essere evitato Mirabelli: nessun problema di costituzionalità Vari: ci sono i presupposti per il provvedimento Olivetti: il presidente è uscito dalle sue funzioni - «Decreto ineccepibile non andava bloccato» - Costituzionalisti d’accordo: era urgente e necessario - DA ROMA GIANNI SANTAMARIA – Avvenire, 7 febbraio 2009
13) Da martedì in libreria il ritratto del «padre» di Cl scritto da un testimone d’eccezione: Massimo Camisasca Don Giussani, genio dell’educazione - DI MARINA CORRADI – Avvenire, 7 febbraio 2009


Comunicato stampa - CL: preghiamo per Eluana
Accogliendo le parole del Segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata - «Quando ci avviciniamo al mistero del dolore e della morte bisogna, per chi crede, pregare» -, Comunione e Liberazione, oltre che alle iniziative di dialogo e di giudizio di queste settimane, invita a partecipare ai momenti di preghiera per Eluana organizzati dalle diocesi e a promuoverne nei luoghi di vita, di studio e di lavoro.
Da don Giussani abbiamo imparato che «solo il divino può “salvare” l’uomo, cioè le dimensioni vere ed essenziali dell’umana figura e del suo destino solo da Colui che ne è il senso ultimo possono essere “conservate”, vale a dire riconosciute, conclamate, difese». Tanto è vero che quando viene meno il riconoscimento del Mistero presente nella storia, risulta difficile riconoscere tutta la grandezza dell’uomo.
Per questo invitiamo a pregare per una vita che è affidata al Mistero buono che fa tutte le cose, e perché Dio possa illuminare coloro che hanno responsabilità a tutti i livelli.
l’ufficio stampa di CL
Milano, 6 febbraio 2009.


"ELUANA NON VOLEVA MORIRE" - LE TESTIMONIANZE MAI ASCOLTATE DAI GIUDICI - 1) "Le bugie del padre Beppino: Eluana non voleva morire" - lettera aperta di Pietro Crisafulli - 2) Zia Emma implora: "Lasciate vivere Eluana" - 3) "Con Eluana mai parlato di morte" - 4) "Ce la portano via dopo 15 anni" - 5) Suor Albina: "Guardatela, vi accorgerete che vive"

"Eluana non voleva morire"
Lettera aperta di Pietro Crisafulli

La redazione di Tgcom ha ricevuto questa lettera da Pietro Crisafulli (fratello di Salvatore che nel 2005 si risvegliò dopo due anni di stato vegetativo nel quale era caduto dopo un grave incidente stradale) e ha deciso di pubblicarla integralmente:

"Le bugie del padre Beppino"

In questi giorni di passione e sofferenza, nei quali stiamo seguendo con trepidazione il "viaggio della morte" di Eluana Englaro, non posso restare in silenzio di fronte a un evento così drammatico.

Era il maggio del 2005 quando per la prima volta ho conosciuto Beppino Englaro. Eravamo entrambi invitati alla trasmissione "Porta a Porta". Da quel giorno siamo rimasti in contatto ed amici, ci siamo scambiati anche i numeri di telefono, per sentirci, parlare, condividere opinioni. Nel marzo del 2006 andai in Lombardia, a casa di Englaro, in compagnia di un conoscente (la foto in alto a destra lo testimonia, ndr).

Dopo l'appello a Welby da parte di Salvatore, Beppino capì che noi eravamo per la vita. Da quel momento le strade si divisero.

All'epoca anch'io ero favorevole all'eutanasia. Facemmo anche diverse foto insieme, e visitai la città di Lecco. Nella circostanza Beppino Englaro mi fece diverse confidenze, tra le quali che i rappresentanti nazionali del Partito Radicali erano suoi amici. Ma soprattutto, mentre eravamo a cena in un ristorante, in una piazza di Lecco, ammise una triste e drammatica verità.

Beppino Englaro si confidò a tal punto da confessarmi, in presenza di altre persone, che 'non era vero niente che sua figlia avrebbe detto che, nel caso si fosse ridotta un vegetale, avrebbe voluto morire'. In effetti, Beppino, nella sua lunga confessione mi disse che alla fine, si era inventato tutto perché non ce la faceva più a vederla ridotta in quelle condizioni. Che non era più in grado di sopportare la sofferenza e che in tutti questi anni non aveva mai visto miglioramenti. Entro' anche nel dettaglio spiegandomi che i danni celebrali erano gravissimi e che l'unica soluzione ERA FARLA MORIRE e che proprio per il suo caso, voleva combattere fino in fondo in modo che fosse fatta una legge, proprio inerente al testamento biologico.

In quella circostanza anch'io ero favorevole all'eutanasia e gli risposi che l'unica soluzione poteva essere quella di portarla all'estero per farla morire, in Italia era impossibile in quanto avevamo il Vaticano che si opponeva fermamente.

Ma lui sembrava deciso, ostinato e insisteva per arrivare alla soluzione del testamento biologico, perché era convinto che con l'aiuto del partito dei Radicali ce l'avrebbe fatta. (...)

Questa è pura verita'. Tutta la verita'. Sono fatti reali che ho tenuto nascosto tutti questi anni nei quali comunque io e i miei familiari, vivendo giorno dopo giorno accanto a Salvatore, abbiamo fatto un percorso interiore e spirituale. Anni in cui abbiamo perso la voce a combattere, insieme a Salvatore, a cercare di dare una speranza a chi invece vuol vivere, vuol sperare e ha diritto a un'assistenza e cure adeguate. E non ci siamo mai fermati nonostante le immense difficoltà e momenti nei quali si perde tutto, anche le speranze.

E non ho mai reso pubbliche queste confidenze, anche perché dopo aver scritto personalmente a Beppino Englaro, a nome di tutta la mia famiglia, per chiedere in ginocchio di non far morire Eluana, di concedere a lei la grazia, fermare questa sua battaglia per la morte, pensavo che si fermasse, pensavo che la sua coscienza gli facesse cambiare idea. Ma invece no. Lui era troppo interessato a quella legge, a quell'epilogo drammatico. La conferma arriva, quando invece di rispondermi Beppino Englaro, rispose il Radicale Marco Cappato, offendendo il Cardinale Barragan, ma in particolare tutta la mia famiglia. Troverete tutto nel sito internet www.salvatorecrisafulli.it

Noi tutti siamo senza parole e crediamo che il caso di Eluana Englaro sia l'inizio di un periodo disastroso per chi come noi, ogni giorno, combatte per la vita, per la speranza.
Per poter smuovere lo stato positivamente in modo che si attivi concretamente per far vivere l'individuo, non per ucciderlo.

Vorrei anche precisare che dopo quegli incontri e totalmente dal Giugno del 2006, fino a oggi, io e Beppino Englaro non ci siamo più sentiti nemmeno per telefono, nonostante ci siamo incontrati varie volte in altri programmi televisivi"

Pietro Crisafulli

Preciso che sono in possesso anche di fotografie che attestano i nostri vari incontri.

Catania, 04 Febbraio 2009

-----

Zia Emma implora: "Lasciate viva Eluana"

«Io gliel’ho detto: Beppino, Dio te l’ha data e solo Dio te la può togliere. Lui ha risposto che allora io tradisco Eluana, e sono giorni che non mi parla più. Mi ha detto di non chiamarlo». Il tinello di Emma Englaro sposata Mori è a Sutrio, frazione Priola, il cimitero è a Paluzza in frazione Naonina. Due alture della Carnia che si guardano in faccia. Zia Emma tiene la foto della nipote in cima alla credenza, mentre gli ovalini cerchiati d’oro con le immagini un po’ pompose dei suoi genitori - i nonni di Eluana - sono nella tomba di famiglia. Gio Batta Englaro, morto il 3 agosto 1980. Jolanda Di Centa, mancata il 3 marzo 1995. Fra pochi giorni la foto della ragazza costretta a vegetare in un letto da 17 anni sarà messa accanto alla loro, perché forse già domani interromperanno l’alimentazione. I medici prevedono che potrà sopravvivere due o forse tre settimane, poi morirà. Il padre ha deciso che sarà sepolta qui, nel cuore del Friuli, tra le Alpi che segnano il confine con l’Austria e le acque vorticose del Tagliamento, in un presepe di larici e case di pietra, nella terra di origine della famiglia Englaro.

«Avrà avuto tredici o quattordici anni, non ricordo bene, quando mi parlò della morte la prima volta. Un suo amico era finito in coma irreversibile e lei era stata a trovarlo in ospedale. Ne fu sconvolta. Se dovesse mai succedermi qualcosa di simile, continuava a ripetere, lasciatemi morire: non ha senso vivere senza essere coscienti. Allora sembrava una reazione allo choc, e il fatto che non se lo togliesse dalla testa un’inquietudine da adolescente. Oggi a ripensarci mi vengono i brividi».

Eluana veniva spesso a Paluzza, a trovare i nonni e la zia, e anche lo zio Armando che ha una ditta di moquettes nella zona industriale. L’accompagnavano i genitori, era figlia unica amata e vezzeggiata. «Vivevano per quella ragazza. Mio fratello poi, aveva lavorato per anni in Germania e non l’aveva vista crescere. Mi diceva sempre: non vedo l’ora di diventare nonno, mi sono perso troppi bacini e troppe coccole di lei quando era piccola. Devo rimediare. Lo ripeteva ridendo ma io sapevo che era vero, le voleva un bene dell’anima e non si dava pace di essere stato lontano. Del resto, anche lei... Si sa come sono le bambine».

Attaccatissime al papà, complici, un po’ gelose, quasi sempre viziate. «Lei onestamente non lo era, ma mi parlava di Beppino con un calore che lasciava capire quanto fosse profondo il suo legame con lui. Non aveva ancora avuto fidanzati, non me ne ha mai accennato: si vede che non erano importanti, perché a me raccontava tutto. C’era ancora il papà nella sua vita, povera stella, era così piccola e tenera».

Priola e Noanina sono sepolte dalla neve, davanti alla casa di Emma Englaro e alla tomba di famiglia si affonda fino al ginocchio. La zia si asciuga gli occhi con il grembiule a fiorellini, al cimitero non c’è nessuno. Solo un cartiglio sul cancello che annuncia prossime esumazioni, ci sono altri due Englaro – Riccardo e Galliano, scomparsi nel 1985 e nel 1966 – che lasceranno il posto. Sono parenti lontani.

Passa Dino Di Bello, «rappresentante in pensione dei salumi Molteni», 75 anni, compagno di carte del nonno di Eluana: «Per la gente di qua lui era Purchil. Meno male che non ha vissuto fino all’incidente». La signora Jolanda, invece. Ha cominciato a morire quella stessa sera del 1992, se ne è andata tre anni dopo. »E ora la mamma, sapete?» Zia Emma scuote la testa: «Il dottore glielo ha detto tante volte, signora, provi ogni tanto a pensare a qualcos’altro. Deve. Se continua così muore prima lei». La mamma di Eluana si chiama Saturna. Avrebbe voluto chiamare la figlia Etrusca, «e Beppino figurarsi se non era d’accordo: troppo contento, lui, di avere una bambina. Ma quando è andato all’anagrafe gli hanno detto che quello non era il nome di un cristiano».

Eluana, dunque. La conoscevano il parroco, don Tarcisio, che ora prega per la sua vita davanti all’altare della chiesa che ha il campanile a cipolla, come nelle vicine terre d’oriente. Il sindaco, Aulo Maieron, che non si fa trovare per paura di dire cose troppo più grosse di questo paesino, tremila anime e qualche capannone industriale, una segheria, le villette di chi fa il pendolare con Tolmezzo e l’allevamento delle trote lungo la strada che porta al confine.

«Mio fratello morirà con lei. Lui non lo immagina, ma il giorno in cui staccheranno il sondino cominceranno a fermare anche il suo cuore, perché vorrà dire che davvero Eluana non tornerà mai più. E Beppino su questo non ha mai riflettuto. Lui pensa alla figlia come se fosse viva, e quindi sa che soffre e vuole farla smettere di soffrire. Ma se questo accadrà lui dovrà fare i conti con la sua assenza per sempre, e non sopravviverà».

Zia Emma parla piano e accarezza la fotografia che ha sistemato accanto a una bambolina, un angolo di tenerezza nel tinello della vecchia casa. Sta proprio al limitare bosco, oltre la fontana ghiacciata. L’ultima volta che lei è venuta a trovarla era con un’amica, si sono sedute sul bordo della fontana e sono restate un pomeriggio intero a ridere e a chiacchierare.

«Parlavano della scuola, della comodità dell’automobile. Maledetta automobile. Quella sera era andata a trovare un amico e lui si è offerto di accompagnarla, perché c’era ghiaccio sulle strade tra Lecco e Milano: magari gli avesse dato retta. Anch’io ho una figlia, si chiama Annarita e ha 48 anni. A volte penso che se anche Eluana fosse vissuta in Friuli, nella nostra terra... Ma sono discorsi senza senso».

Ora zia Emma piange piano, «non so cosa fare. Se scendere a Udine per salutarla l’ultima volta, e voglio vedere se non mi fanno passare: sono sua zia. Oppure se restare qui per non ferire mio fratello, perché lui lo sa che non condivido quello che sta per fare. Lo capisco perché è impazzito dal dolore, non lo giudico, trovo crudeli e ingiuste certe accuse nei suoi confronti: però è il Signore che prende e che dà, e il Signore non ha ancora deciso di prendersi l’anima di Eluana».

Quando succederà, lei verrà a riposare qui. Salirà i tornanti che da Paluzza portano a Naonina, si fermerà sul ciglione dove c’è una delle quattro chiese di don Tarcisio, costretto a celebrare la messa in ognuna delle frazioni di Paluzza, perché c’è la crisi delle vocazioni anche nel cattolicissimo Friuli. Spaleranno la neve, quel giorno. Dicono i medici che senza acqua e senza cibo Eluana morirà entro febbraio, e nel mese di febbraio nevica sempre moltissimo sulle montagne della Carnia.

Paolo Crecchi, Il Secolo XIX, 05 febbraio 2009

-----

"Con Eluana mai parlato di morte"

Ecco la testimonianza di alcune amiche di Eluana e una sua lettera inedita pubblicata per la prima volta su «Avvenire» a luglio, che riaprono la discussione sulla effettiva volontà della giovane.

«Con Eluana di queste cose non ne abbiamo mai parlato, questi argomenti non rientravano nelle nostre discussioni di adolescenti. Si parlava di feste, di uscire, di trovarsi tra amici. E questo non perché fossimo superficiali» . No, dei casi dell’amico e dello sciatore Leonardo David lei con Eluana non ha discusso. Così ha risposto Laura Magistris, una compagna di scuola di Eluana, collegata al telefono con «Porta a Porta» nella trasmissione di martedì sera. Una testimonianza in viva voce. Ma molte altre sono passate, per iscritto, sul rullo della trasmissione di Bruno Vespa. Dichiarazioni dello stesso tenore di quella di Laura, che non sono state ascoltate dai giudici che hanno deciso sul caso. Sì, si sarà parlato in classe del caso di Rosanna Benzi, la donna vissuta in un polmone d’acciaio e che allora era alle cronache, «ma non ricordo prese di posizione da parte sua o di altre compagne» , dice una ragazza. «In queste settimane ci ho pensato spesso e se Eluana allora avesse espresso queste convinzioni senz’altro me ne ricorderei» , un altro passaggio.

Le ricostruzioni del pensiero di Eluana, definita spesso «piena di vita» , sono state raccolte da Rosaria Elefante, promotrice dell’istanza alla Corte europea in nome di una serie di associazioni, che le ha inserite in un esposto. «Attraverso queste amiche abbiamo scoperto un’altra Eluana» , ha detto la Elefante.

Anche la Madre generale dell’istituto delle Misericordine, che risiede a Monza, è stata intervistata in esclusiva dal programma. Così come la professoressa di Eluana, suor Caterina Gatti. La «Rina» della lettera di auguri natalizi scritta da Eluana (e pubblicata per la prima volta da Avvenire) e letta in apertura di quinte. Uno scritto, pieno di entusiasmo per gli studi universitari intrapresi in università Cattolica, che «non è stato messo agli atti del processo, perché?» , ha chiesto il conduttore, replicando con forza alla deputata radicale Antonietta Coscioni, che lo accusava di portare solo documenti e interviste «di parte».

La lettera inedita a suor Rina. Emergono dunque nuove testimonianze su Eluana Englaro e, ancora una volta, provengono da chi l'ha frequentata e conosciuta durante i cinque anni trascorsi al Liceo linguistico "Maria Ausiliatrice" di Lecco. A parlare è suor Rina Gatti, antica insegnante di Lettere di Eluana, che in questi giorni ha ritrovato una lettera scritta dalla giovane poche settimane prima del grave incidente del 18 gennaio 1992. Nella lettera alla religiosa, oggi in servizio all'Istituto Don Bosco di Padova, la ragazza, infatti, porgeva a suor Rina gli auguri per le imminenti festività natalizie e di fine anno. «In queste due paginette - racconta suor Rina - Eluana parla della sua vecchia scuola facendo trasparire il profondo legame di amicizia che si era instaurato tra di noi». Una testimonianza che, secondo la religiosa, contrasta con quanto riportato nella sentenza della Corte d'Appello di Milano, dove si dice che la ragazza fu invece «costretta» a frequentare la scuola delle suore perchè a Lecco non c'era un Liceo linguistico pubblico.

Suor Rina obietta qualcosa anche su un altro passaggio della sentenza, là dove si legge che dalle suore la giovane si dovette «adattare ad un contesto ambientale e ad un corpo docente che, nel giudizio di Eluana, sarebbero stati del tutto refrattari al confronto e al dialogo, mentre lei considerava questi ultimi di essenziale importanza». Infine, la religiosa apprende «con dolore» che, come si legge nella riga successiva della sentenza, frequentare il Liceo dalla suore di Maria Ausiliatrice, avrebbe provocato ad Eluana una «forte crisi di rigetto e di insofferenza». «Se così fosse - protesta suor Rina Gatti - non si capisce perché, a distanza di oltre due anni dalla maturità, senta la necessità di inviarmi questa lettera dove tra l'altro, scrive: «Ho deciso di ricominciare con te che sei - dice lei - la mia educatrice». E poi: «Volevo dirti sinceramente che mi manchi». E ancora: «E adesso chi mi sgrida quando ne combino una delle mie?». A Rina non sembra proprio che si rivolga ad una persona che le aveva provocato crisi di rigetto e insofferenza.

Poche righe più sotto, Eluana comunica a suor Rina «una supernotizia». E, come riferisce la religiosa, scrive: «Ho cambiato facoltà e... per la tua gioia sono andata in Cattolica. Mi trovo molto bene! Ho professori eccezionali. Pensa te che da quando sono iniziate le lezioni, il 6 novembre, non ho perso neanche una lezione. Sono brava?». Effettivamente, dopo essersi iscritta a Giurisprudenza all'Università Statale di Milano nell'anno accademico '89/'90 e aver sostenuto l'esame di Istituzioni di Diritto romano, conseguendo una votazione di 26/30, Eluana il 10 ottobre 1991 inoltrò domanda di trasferimento all'Università Cattolica, nella facoltà di Lingue e letteratura straniere. La domanda fu protocollata alla segreteria di Largo Gemelli il 25 novembre '91 e l'ammissione fu deliberata, senza però la convalida dell'esame sostenuto in Statale, perché non coerente con il nuovo piano di studi.

A causa dell'incidente Eluana non potè più formalizzare l'iscrizione e così, nel giugno del '93, la procedura fu sospesa e la documentazione restituita alla Statale. Anche nella sentenza della Corte d'Appello si fa riferimento a questo cambio di facoltà, senza però specificare che la giovane transitò dalla Statale alla Cattolica. Semplicemente, si scrive che «mutò successivamente indirizzo di studi passando a frequentare una facoltà linguistica di tipo turistico-manageriale». «Perchè questa omissione» - si chiede suor Rina. Eluana era molto contenta della scelta fatta, tanto che mi scrive: «Penso finalmente di aver trovato la mia strada!!! Non ho mai amato tanto studiare e soprattutto frequentare le lezioni?. Anche in questo caso, non mi pare che Eluana fosse scontenta di frequentare un'istituzione cattolica, tutt'altro. Da questa lettera traspare invece il ritratto di una ragazza determinata e felice, soddisfatta del cammino intrapreso e desiderosa di comunicarlo a chi, come me, la conosceva bene, la stimava e le era amica».

Avvenire, 4 febbraio 2009

-----

"Ce la portano via dopo 15 anni"

Lecco - Le suore scuotono la testa. La loro era una battaglia che durava da 15 anni. Una lotta per la vita di Eluana, una resistenza per non farsela portare via, per non permettere al padre di prendere una decisione diversa da quella voluta dal Padreterno. «Eluana non è attaccata a nessuna macchina - dice suor Albina - respira in maniera autonoma, non è dipendente da altri. È viva. Non nutrirla vuol dire farla morire di fame. Che bisogno c’era di portarla via? Qualcosa c’è».

Sono due linguaggi diversi. Quello delle suore della Casa di cura Beato Talamoni di Lecco e quello del padre Beppino Englaro. Per le suore conta il linguaggio di chi ha la Fede, con la f maiuscola. Tutto ha un senso, anche se è difficile da capire come mai una ragazza di vent’anni resta in stato vegetativo permanente dopo un incidente d’auto. Per suor Albina e suor Rosangela non ci sono domande da fare, risposte da dare. È così.

Quando Eluana è arrivata in clinica, nel 1994, suo padre era già impazzito dal dolore. Chiedeva che i medici lasciassero morire la figlia e i medici lo trattavano come un uomo distrutto dal dolore. Poi Englaro è riuscito a controllare le emozioni e a mettere in fila tutte le sentenze che gli servivano per diventare tutore della figlia e far valere la sua volontà. «Elu non avrebbe mai voluto restare qui in questo stato - ha sempre detto Englaro -. Per lei questa è una tortura, uno stato innaturale, io vivo per far rispettare il suo volere». Tutti a dargli torto, anche quando i giudici della Cassazione gli hanno dato ragione. Un uomo contro il Vaticano che vede nella morte di Eluana un omicidio. Le suore questa parola non la dicono e hanno parlato solo quando hanno capito che Eluana stavano davvero per portarla via. Il primo tentativo è andato a vuoto. Nel secondo questa donna invecchiata in una clinica se ne stava andando da sola a causa di un ciclo troppo abbondante. E si è salvata. Un segno in più, se ce ne fosse stato bisogno, che secondo loro la vita di una persona non può essere cambiata da una legge e a tavolino. L’Eluana prima dell’incidente - capelli lunghi, vestiti firmati, weekend in montagna e vacanze all’estero - non avrebbe voluto una vita da vegetale. Ma l’Eluana delle suore era un esserino con i capelli corti e la camicia da notte nutrito attraverso un sondino, idratato e lavato da queste ancelle del Signore con il velo.

Non a caso le suore fanno parte dell’ordine delle Misericordine e come scrisse Manzoni nei Promessi sposi e come loro ripetono: «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per riservarne loro una più grande e certa». A loro ha scritto anche il cardinale Dionigi Tettamanzi: «So che in voi c’è sofferenza, smarrimento, angoscia. In 15 anni di cure premurose che le avete prestato con amore evangelico, all’insegna della gratuità, nel rispetto dei sentimenti della famiglia. Mi sono chiesto il perché della vostra generosa dedizione: affetto, pietà cristiana o anche profonda solidarietà umana motivata dal rispetto dovuto a ogni persona, soprattutto se fragile e debole?». Di fronte allo smarrimento delle suore il cardinale scrive: «Davanti al suo letto vuoto sembra che tutti i vostri sforzi, le vostre attese, le vostre preghiere siano state inutili. L’amore non è mai sprecato, questa vostra dedizione è e rimarrà fecondo segno di provocazione per chi ha trasformato questa persona in un caso».

Anna Savini, Il Giornale, 4 febbraio 2009

-----

"Guardatela, vi accorgerete che vive"
L'appello di suor Albina

«Ascoltate il battito del cuore di Eluana, osservate il suo respiro, accarezzatela. Vi accorgerete che è viva, che è una persona viva. Non un caso clinico». L’ultimo appello per Eluana Suor Albina Corti lo indirizza ai sanitari della casa di riposo «La Quiete» di Udine, dove la giovane donna è stata ricoverata dopo che il padre l’ha prelevata dalla casa di cura «Beato Talamoni» di Lecco. Una replica indiretta ad Amato De Monte, il medico che ha viaggiato verso Udine in ambulanza insieme alla giovane per poche ore, ma evidentemente sufficienti per fargli dichiarare che Eluana Englaro è morta 17 anni fa, nella notte del terribile incidente stradale che le procurò gravi lesioni cerebrali.

In un colloquio difficile e commovente, la direttrice della struttura lecchese rompe a fatica e per l’ultima volta la consegna del silenzio in un pomeriggio piovoso e triste. Lo fa per amore della donna in stato vegetativo che è stata curata con amore dalle suore Misericordine per 15 anni. Lo fa per raccontare la sofferenza e il dolore che stanno provando in queste ore tutti i collaboratori della struttura, dai medici al personale infermieristico. Lo fa per ribadire che Eluana è viva. Al secondo piano della clinica, nella stanza dove la donna è stata ricoverata nell’aprile 1994, Suor Rosangela, che l’ha assistita quotidianamente, sta riordinando gli ultimi effetti di Eluana. Le foto non ci sono più. Non vuole parlare con noi, non l’ha mai fatto.

La direttrice resta in piedi sulla soglia della camera e negli occhi di suor Albina si leggono tutti i ricordi, le sofferenze come i momenti belli. Passano medici e infermieri del reparto. Sono tutti rigorosamente schivi, ma con gli occhi umidi. È ancora vivo il ricordo felice della giornata di Natale, quando Suor Rosangela ha accompagnato Eluana nella cappella, giù nel giardino. È stata l’ultima volta che sono potute uscire insieme. Suor Albina confessa di non aver più avuto la forza di salire al secondo piano da quando l’ambulanza ha portato via la degente all’una e mezza di martedì mattina. Per lei, per loro Eluana è diventata una figlia ed è stata trattata, sottolineano, come una paziente normale e con la tenerezza e che si riserva a una bambina appena nata, a una persona di famiglia.

Suor Albina, cosa ricorda di quei drammatici 30 minuti in cui Eluana è stata prelevata?
Ci siamo sentite addolorate e impotenti. L’abbiamo vista partire per andare verso il patibolo, come abbiamo detto a luglio. Ma anche se eravamo preparate al peggio, non ci aspettavamo che avvenisse così all’improvviso, pensavamo che il momento fosse più in là, più lontano nel tempo. Beppino Englaro è arrivato senza preavviso in una notte tetra di pioggia con l’ambulanza. Questo ha reso il distacco ancora più brutto e triste. Sono rimasta giù a lungo davanti all’uscita a fissare il vuoto quando è partita.

Avete parlato per l’ultima volta con il padre in quelle ore convulse?
No, è stato tutto freddo. Ci ha consegnato il decreto per far dimettere Eluana. A questo punto era inutile aggiungere altro. Ripeto, non lo giudichiamo. Con lui il rapporto in questi anni è stato corretto, anche se le nostre opinioni sono opposte alle sue.

Cosa avete detto ad Eluana?
Il suo medico curante l’ha accarezzata e le ha detto di non avere paura, che l’avrebbero portata in una stanza più grande, in un posto più bello. Penso che abbia capito.

E lei, come l’ha congedata?
L’ho salutata nel modo più naturale, con un bacio. Non ho potuto dirle altro, era troppo forte il mio dolore. Le parole che non le ho detto quella notte voglio esprimerle ora e spero gliele riferiscano: "Eluana, non avere paura di quello che ti succederà. Noi ti siamo vicini e soprattutto ti è vicino un Padre che ti accoglierà nelle sue braccia e un giorno ci ritroveremo a condividere la grande gioia di stare insieme".

Vuol dire qualcosa al personale sanitario che la sta assistendo in Friuli in attesa del distacco del sondino per l’alimentazione?
Vogliamo inviare un appello ai nuovi operatori: accarezzate Eluana, osservate il suo respiro e ascoltate il battito del suo cuore. Sono i tre elementi che vi porteranno ad amarla, perché lei non è un caso, ma una persona viva.

E a Beppino Englaro?
Ripeto ancora una volta che, qualora cambiasse idea, nella nostra clinica c’è sempre posto per sua figlia. Lasci vivere Eluana e la lasci a noi. Non è ancora troppo tardi.

Cosa farete ora?
È l’ultima volta che parliamo di questa vicenda. Accogliamo l’appello al silenzio e alla preghiera del Cardinale Tettamanzi. Ma non smetteremo di pregare perché le menti si illuminino ed Eluana possa vivere.

Paolo Lambruschi, Avvenire, 5 febbraio 2009


07/02/2009 11:55 – VATICANO - Papa: testimoniare la carità stando vicino ai bambini che soffrono e alle loro famiglie - Nel messaggio per la Giornata mondiale del malato, che si celebra l’11 febbraio, Benedetto XVI scrive che la Chiesa “afferma con vigore l’assoluta e suprema dignità di ogni vita umana”, che “è bella e va vissuta in pienezza anche quando è debole ed avvolta dal mistero della sofferenza”. Le parole e l’esempio di Giovanni Paolo II.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Stare vicino ai bambini che soffrono non solo per le malattie, ma anche per guerre, violenze e sfruttamento, e dare conforto anche alle loro famiglie, esprime l’amore di Dio ed è quindi un impegno che i cristiani debbono sentire profondamente. E’ dedicato proprio ai bambini che soffrono il messaggio di Benedetto XVI per la 17ma Giornata mondiale del malato (che sarà celebrata l’11 febbraio), reso noto oggi.
La Chiesa che “afferma con vigore l’assoluta e suprema dignità di ogni vita umana”, che “è bella e va vissuta in pienezza anche quando è debole ed avvolta dal mistero della sofferenza” sottolinea, nel messaggio del Papa, la particolare attenzione che, sull’esempio di Gesù, va dedicato ai “piccoli esseri umani che portano nel corpo le conseguenze di malattie invalidanti, ed altri che lottano con mali oggi ancora inguaribili nonostante il progresso della medicina e l’assistenza di validi ricercatori e professionisti della salute. Ci sono bambini feriti nel corpo e nell’anima a seguito di conflitti e guerre, ed altri vittime innocenti dell’odio di insensate persone adulte. Ci sono ragazzi ‘di strada’, privati del calore di una famiglia ed abbandonati a se stessi, e minori profanati da gente abietta che ne viola l’innocenza, provocando in loro una piaga psicologica che li segnerà per il resto della vita. Non possiamo poi dimenticare – prosegue Benedetto XVI - l’incalcolabile numero dei minori che muoiono a causa della sete, della fame, della carenza di assistenza sanitaria, come pure i piccoli esuli e profughi dalla propria terra con i loro genitori alla ricerca di migliori condizioni di vita. Da tutti questi bambini - afferma il Papa - si leva un silenzioso grido di dolore che interpella la nostra coscienza di uomini e di credenti”.
E’ una testimonianza d carità che “fa parte della vita stessa di ogni comunità cristiana”. “Ma c’è di più. Poiché il bambino malato appartiene ad una famiglia che ne condivide la sofferenza spesso con gravi disagi e difficoltà, le comunità cristiane non possono non farsi carico anche di aiutare i nuclei familiari colpiti dalla malattia di un figlio o di una figlia. Sull’esempio del ‘Buon Samaritano’ occorre che ci si chini sulle persone così duramente provate e si offra loro il sostegno di una concreta solidarietà. In tal modo, l’accettazione e la condivisione della sofferenza si traduce in un utile supporto alle famiglie dei bambini malati, creando al loro interno un clima di serenità e di speranza, e facendo sentire attorno a loro una più vasta famiglia di fratelli e sorelle in Cristo”.
La compassione di Gesù per il pianto della vedova di Nain (cfr Lc 7,12-17) e per l’implorante preghiera di Giairo (cfr Lc 8,41-56) costituiscono, tra gli altri, alcuni utili punti di riferimento. Sull’esempio di Gesù, bisogna “imparare a condividere i momenti di pena fisica e morale di tante famiglie provate. Tutto ciò presuppone un amore disinteressato e generoso, riflesso e segno dell’amore misericordioso di Dio, che mai abbandona i suoi figli nella prova, ma sempre li rifornisce di mirabili risorse di cuore e di intelligenza per essere in grado di fronteggiare adeguatamente le difficoltà della vita”.
“E’ a Gesù crocifisso – scrive ancora il Papa - che dobbiamo volgere il nostro sguardo: morendo in croce Egli ha voluto condividere il dolore di tutta l’umanità. Nel suo soffrire per amore intravediamo una suprema compartecipazione alle pene dei piccoli malati e dei loro genitori. Il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, che dell’accettazione paziente della sofferenza ha offerto un esempio luminoso specialmente al tramonto della sua vita, ha scritto: ‘Sulla croce sta il «Redentore dell'uomo», l'Uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell'amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi’ (Salvifici doloris, 31)”.


Coraggio e (in)coerenza - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - venerdì 6 febbraio 2009
Secondo fonti ANSA: [Il coraggio...]
Se il governo non potesse utilizzare i decreti legge allora "ritornerei al popolo per modificare la Costituzione ed anche il governo". "Andiamo avanti con il decreto. Se io non intervenissi con un decreto, sentirei personalmente di aver compiuto una omissione di soccorso. Non possiamo far ricadere su di noi la responsabilità della morte di Eluana". Lo avrebbe detto, a quanto si apprende dai presenti in cdm, il premier Silvio Berlusconi, durante la lunga e difficile discussione in consiglio dei ministri sul caso Englaro e sulla missiva arrivata dal Quirinale per dire no ad un decreto del governo.

"Mi auguro - aggiunge Berlusconi - che di fronte a questa decisione assunta dal governo all'unanimità ci possa essere un ripensamento anche da parte di coloro che si avvicendano intorno ad Eluana. E che essi possano attendere alcuni giorni prima di immettersi in questa pratica che noi consideriamo una pratica di vera e propria uccisione di un essere umano che è ancora vivo".

Se avessimo rinunciato al varo del decreto su Eluana Englaro, continua il premier, "avremmo trasferito la responsabilità legislativa da organo governo a altro organo: e quindi è chiaro che non era possibile prendere atto e accettare una situazione di questo genere".
[e...] Ho ritrovato in questi giorni questo articolo di Antonio Stella su Gianfranco Fini. Già allora, quando si trattava di discutere sulla questione della legge 40, sulla fecondazione assistita, mi aveva colpito la sua posizione con cui prendeva le distanze dai tanti laici e cattolici che si ponevano in atteggiamento critico rispetto alla stragrande maggioranza della stampa e dei cosiddetti benpensanti. Me ne sono ricordato quando ho sentito le sue affermazioni sulla Chiesa nei riguardi dell’antisemitismo, e mi era sembrato di ascoltare le posizioni di chi, più che la verità, attribuisce agli altri le proprie incoerenze. Ed ora mi ricompare davanti di fronte alle sue affermazioni sul caso di Eluana Englaro.
«Veniva ai cortei in giacca e impermeabile. Così al primo pericolo si infilava nei negozi e si spacciava per poliziotto»: quella giacca ed impermeabile che lo possono rendere gradito ai salotti buoni, per accreditarsi come politico affidabile, soprattutto ora che riveste una grande carica istituzionale.
Noi amiamo chi ama la verità, e non ci piacciono né trasformismi, né connivenze con il potere, soprattutto mediatico. Un grande studioso di letteratura, Rocco Montano, in un bellissimo libretto su Machiavelli, ci ha ricordato che il popolo sa riconoscere ciò che è vero e che non è poi così certo che “il fine giustifica i mezzi”. Non si rimane a lungo a galla andando contro la verità e la coscienza.


Englaro/ Ruini: E' omicidio, un dovere il decreto del Governo - A Corsera:Niente prevaricazione tra poteri nè ingerenza da Chiesa
Roma, 7 feb. (Apcom) - Lasciar morire Eluana è un "omicidio", per questo l'intervento del Governo è non solo un diritto, ma "un dovere". E' l'opinione del cardinal Camillo Ruini, ex presidente della Cei, che dalle pagine del Corriere della Sera interviene sulla vicenda di Eluana Englaro: "Farla morire di fame e di sete è oggettivamente, al di là delle intenzioni di chi vuole questo, l'uccisione di un essere umano. Un omicidio", sostiene Ruini, precisando di non aver letto il decreto del Governo e respingendo l'accusa di una "prevaricazione" tra poteri dello Stato: "di prevaricazioni in questa vicenda ne sono state fatte già molte. A cominciare dai giudici", osserva il cardinale che ritiene "che lo Stato abbia il diritto, e aggiungerei il dovere, di proteggere la vita di ogni suo cittadino".
Una legge sul testamento biologico, per l'ex numero uno della Cei, "dovrebbe evitare sia l'eutanasia, sia l'accanimento terapeutico. Ma è ovvio che la nutrizione e l'idratazione non possono essere lasciate alla decisione dei singoli", precisa Ruini, puntualizzando che quella del Vaticano non è "ingerenza" ma "adempimento della missione della Chiesa". Senza contare che non appena le persone vengono informate "sulle reali condizioni di Eluana, "in pochissimi restano favorevoli a lasciarla morire". In questo senso, Ruini denuncia l'informazione partigiana dei quotidiani, "in buona parte schierati", mentre difende la tv: "Hanno dato spazio anche alle nostre ragioni".


A cinquecento anni dalla nascita di Giovanni Calvino - L'uomo di fronte all'incomprensibile volontà divina - Anticipiamo ampi stralci di uno degli articoli che saranno pubblicati nel prossimo numero de "La Civiltà Cattolica". - di Jean-Blaise Fellay – L’Osservatore Romano, 7 Febbraio 2009
Non si comprende nulla del XVI secolo europeo, se si trascura l'incredibile passione religiosa che animava tutti i gruppi religiosi, protestanti, cattolici, eretici di ogni tipo. I polemisti cattolici avevano torto nel denunciare problematiche troppo umane nell'opera di Calvino. Ciò che lo appassiona è Dio, la sua gloria e la sua grandezza: Soli Deo gloria. Tale convinzione costituisce la grandezza e insieme la problematica del calvinismo.
La teologia del xv secolo si sforza di sottolineare la potenza assoluta di Dio e la sua sovrana libertà. Al contrario, la condizione umana è segnata dal tragico. La peste nera, che, nei suoi attacchi regolari, può portar via la metà della popolazione di una città o di un villaggio, conferisce alla pietà una dimensione funebre. Si moltiplicano le danze dei morti, le cappelle funerarie, le messe per i defunti. Questa tensione non risparmia i religiosi. Nel suo convento degli eremiti di sant'Agostino, a Erfurt in Germania, fratel Martin Lutero ne è tormentato, nonostante una vita molto austera. Ne è liberato in occasione di un'esperienza spirituale nella quale comprende tutta la portata di una parola di san Paolo nella Lettera ai romani: l'uomo è salvato soltanto dalla Fede, non dalle opere (cfr. 3, 28). La Fede, cioè avere fiducia nella misericordia divina, è tutto ciò che viene chiesto all'uomo di fare e tutto ciò che egli può realizzare.
Questo inizio del XVI secolo è dominato dalla teologia agostiniana e dalla lettura che Lutero fa della Lettera ai romani di san Paolo. Dopo il peccato di Adamo l'uomo è completamente corrotto ed è incapace di qualunque azione meritoria; soltanto la grazia può salvarlo. Credere nella misericordia divina e nell'azione esclusiva di Dio: questa è la Fede, questo è il Vangelo per Martin Lutero. Si è detto che il primo Lutero si domandava: come posso essere salvato? Zwingli, parroco di città, si inquietava: come riformare la mia parrocchia? E Calvino, giurista di formazione, e che non è mai stato prete, si diceva: come realizzare una città cristiana? È ciò a cui intende dedicarsi. "Prima del mio arrivo a Ginevra - dice sul letto di morte - non c'era alcuna riforma, si predicava appena un po'. (...) Non basta che ogni cittadino sia cristiano, ma bisogna che anche lo Stato lo diventi". Calvino organizza il controllo della città: una professione di fede che tutti gli abitanti devono sottoscrivere, e il concistoro, nel quale siedono pastori e magistrati. Essi sorvegliano l'ortodossia religiosa, le abitudini, i divertimenti e le forme di pietà degli abitanti. Ginevra diventa una città-Chiesa, dedita al servizio e alla gloria di Dio, un centro internazionale di esportazione ideologica.
Le stamperie, numerose, pubblicano Bibbie e opere teologiche. L'accademia forma pastori per tutta l'Europa: si pensi a un migliaio di studenti di teologia in una città di circa quindicimila abitanti. "Mandatemi del legno, e io vi manderò delle frecce", dice il riformatore alle Chiese della diaspora. Ciò procura a Ginevra un grande prestigio e suscita ammirazioni ed esecrazioni.
Al di là dell'importanza attribuita alla collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, la principale caratteristica del calvinismo è la teologia della doppia predestinazione. Ancor prima della creazione del mondo, Dio ha predestinato una maggioranza di uomini alla dannazione e una minoranza alla salvezza. Tutto ciò contribuisce alla sua gloria, poiché si mostra sommamente giusto punendo il peccato dei cattivi e sommamente misericordioso salvando gli eletti.
Parzialità urtante? Nell'Institution chrétienne Calvino risponde a chi gli obietta: "Perché Dio si sdegna contro le sue creature che non lo hanno provocato con alcuna offesa, poiché perdere e rovinare chi gli pare si addice più alla crudeltà di un tiranno che alla rettitudine di un giudice. Sembra dunque che gli uomini abbiano buoni motivi per lamentarsi di Dio se, per suo volere e senza loro colpa, sono predestinati alla morte eterna". La sua risposta a questa interpretazione è semplice: Dio non fa nulla di ingiusto, poiché la sua volontà è la regola suprema di ogni giustizia. È temerario interrogarsi sulle cause della volontà di Dio, "visto che essa è, e a buon diritto deve essere, la causa di tutte le cose che si fanno, (...) poiché la volontà di Dio è talmente la regola suprema e sovrana di giustizia, che tutto ciò che egli vuole bisogna tenerlo per giusto, poiché lo vuole lui". È l'espressione della libertà totale e sovrana della volontà divina, anche rispetto alle concezioni umane del bene e del male.
Questa teologia suscita riserve nelle Chiese sorelle e indignazione anche a Ginevra. Jérôme Bolsec, un ex-carmelitano passato alla Riforma, aderisce a questa dottrina. Arrestato, è scacciato dalla città nel 1551. Le autorità, con una decisione del Consiglio del 9 novembre 1552, dichiarano l'Institution chrétienne e il suo autore riferimento ufficiale della città.

Sébastien Castellion, già amico di Calvino, prefetto del collegio, si ribella a sua volta: "Quale uomo vorrebbe generare figli per distruggerli? Se voi che siete cattivi inorridite davanti a questa intenzione, quale empietà è attribuirla a Dio (...) Un Dio buono non può aver creato né con l'odio né per l'odio". Deve rifugiarsi a Basilea, dove è perseguitato dalla tenace esecrazione di Calvino.
Il riformatore, da parte sua, considera la predestinazione come una dottrina "consolante". Bisogna dire che la vede dal punto di vista degli eletti; quando predica sull'argomento, dice "noi". E si può capire che questa immagine di un Dio implacabile verso gli altri e attento ai suoi fedeli infiamma una comunità e le dà una particolare capacità di resistenza.
La dottrina della predestinazione diventa il cuore del calvinismo ortodosso. Dal sinodo di Dordrecht (1618) al Consensus helveticus (1674), la dottrina non fa che consolidarsi. Il capovolgimento ha inizio con il XVIii secolo. La compagnia dei pastori giudica allora che non bisogna più predicare su queste materie "oscure e difficili". Il Consensus è abolito nel 1706, e si rinuncia a chiedere ai pastori di sottoscrivere la professione di fede obbligatoria prima di salire sul pulpito (1725). È la fine delle professioni di fede ufficiali nella Chiesa protestante di Ginevra.
Era iniziata l'epoca dei Lumi, e il Dio della predestinazione acquista un volto di parzialità e di arbitrio intollerabili. Tre anni più tardi (1728), Jean-Jacques Rousseau fugge dalla città, poi si converte al cattolicesimo e sviluppa un'antropologia che rifiuta il peccato originale e difende la bontà originaria dell'essere umano. In una spiritualità naturalista e insieme evangelica, vede in Gesù un modello di umanità. Il male viene dalla società e dalla civiltà. Bisogna ascoltare la coscienza personale, luogo di espressione del divino. Essa sola apre la via alla virtù e alla felicità. Kant vede in Rousseau il Newton della morale: ha capovolto la teologia come Newton ha sconvolto la fisica. Si congratula con l'autore de La professione di fede del vicario savoiardo per la presentazione di un Dio che "preferisce infinitamente l'uomo di buona volontà all'eletto".
Nessuno oserebbe ancora parlare di servo arbitrio, di grazia invincibile, di predestinazione eterna, e soprattutto della disuguaglianza più radicale che ci sia, quella che separa gli eletti dai dannati: una differenza irrevocabile, eterna e voluta da Dio. Questa presa di distanza riguarda anche i riformati svizzeri. Nell'Encyclopédie d'Yverdon (1770-1780) Elie Bertrand scrive a proposito dei calvinisti: "Senza dubbio Calvino è per loro un dottore rispettabile (...), ma non è affatto un dottore infallibile né un maestro da seguire senza esame". Questa idea di libero esame e di tolleranza assume, in molti teologi riformati, il valore di un dogma centrale. Così Samuel Vincent (1787-1837) dichiara: "Il fondo del protestantesimo è il Vangelo; la sua forma è la libertà di esame".
A Ginevra stessa Jean-Jacques Caton Chenevière (1783-1871), professore all'Accademia, sostiene il dogma della Trinità, la divinità di Cristo, l'idea di redenzione, ma rifiuta, nei suoi Essais théologiques, il peccato originale e la predestinazione. Vuole una religione conforme alla ragione, nega la legittimità delle professioni di fede e si sforza di dimostrare che esse sono il contrario dello spirito protestante, che è quello del libero esame. Di fatto, l'evoluzione dei tempi ha corroso i princìpi di base posti da Lutero: la sola Fede, a cui si sono aggiunti le professioni di Fede, lo Stato confessionale e la sua spada, la sola grazia; poi il moralismo, il pietismo, il metodismo, l'evangelismo; il solo Cristo, poi le Chiese di Stato, le alleanze politiche e militari, la sola Bibbia, poi le scuole di interpretazione, lo scientismo, lo storicismo.
Il cuore del protestantesimo diventa il rifiuto di una mentalità caratterizzata da autorità e tradizione, identificata con il cattolicesimo, per diventare l'arte di giudicare e di criticare con tutti i mezzi della scienza e della ragione. È il programma del protestantesimo liberale, ma naturalmente non è del tutto quello di Calvino. Di fatto, il regno dell'esegesi storico-critica ha gravemente colpito l'autorità magisteriale della Bibbia. Il testo non è che il testimone di posizioni storicamente datate, in un libro che non è che la raccolta di opere disparate, con teologie a volte contraddittorie.
Nonostante gli sforzi dei biografi come Doumergue o Merle d'Aubigné, la distanza dalle tesi calviniste ha continuato a crescere. Si attribuiscono a Calvino valori più o meno anacronistici, come un orientamento verso la democrazia, il capitalismo o la libertà di coscienza. Sarebbe meglio prenderlo com'è, inserito nel suo secolo, con una concezione estremamente forte dell'onnipotenza divina e la capacità di sopportarne l'odiosità.
Uno dei temi fondamentali della predicazione di Gesù è quello dei piccoli, dei poveri e dei perseguitati come amici di Dio. Per Maurice Zundel la povertà divina è al cuore della teologia: essa traccia i limiti che si dà volontariamente l'amore del Padre nella sua relazione con la fragilità umana. È una spiritualità che ha ispirato santi contemporanei, come Madre Teresa, l'Abbé Pierre, suor Emmanuelle. Ma non mescoliamo troppo le epoche, facciamo le nostre scelte teologiche e non riscriviamo la storia.
(©L'Osservatore Romano - 7 febbraio 209)


La testimonianza di un sacerdote in Kenya da diciassette anni - La sofferenza dei bambini - Il Vangelo tradito - di Danilo Quinto – L’Osservatore Romano, 7 Febbraio 2009
Negli ultimi dieci anni, oltre due milioni di bambini sono stati uccisi nel corso di conflitti armati, sei milioni sono rimasti invalidi, decine di migliaia sono stati mutilati dalle mine antiuomo. Trecentomila i bambini soldato, più di 4.300.000 quelli morti di Aids: ogni giorno, solo in Africa, settemila bambini sono colpiti dal virus, e si contano già quattordici milioni di orfani. La povertà resta la causa principale delle malattie dell'infanzia. Un miliardo e duecento milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno. Perfino nei Paesi più ricchi, un bambino su sei vive sotto il livello di povertà. Il trenta per cento dei bambini con meno di cinque anni soffre la fame o sono malnutriti, mentre il cinquanta per cento di tutta la popolazione dell'Africa sub-sahariana non ha accesso all'acqua potabile. Inoltre, 250.000.000 di bambini al di sotto dei quindici anni lavorano, tra essi circa sessanta milioni in condizioni di pericolo, per sei-sette giorni alla settimana, spesso in locali privi di aerazione, male illuminati e con guardie armate per evitare che fuggano. I bambini, in tutto il mondo, sono vittime di commercio sessuale, della pedofilia, e sono utilizzati - organizzati in bande - per esercitare violenza e crimini. I più esposti ai soprusi sono i minori che vivono nelle strade, per lo più allontanati dalle loro famiglie, per ragioni legate alla povertà. Sono cento-centocinquanta milioni, vivono nei quartieri più poveri delle grandi città, dediti all'elemosina, al contrabbando di sigarette, ai furti, alla prostituzione. Molti dormono nei parchi o negli antri degli palazzi, sotto i ponti o in edifici abbandonati. Spesso - capita soprattutto nell'America centrale e nell'Europa dell'Est - fanno uso di inalanti, come la colla, poco costosi e facili da procurarsi, che causano danni irreversibili al cervello e debilitazioni fisiche.
Il 13 dicembre 1994 Giovanni Paolo ii scrisse un testo bellissimo, la Lettera ai bambini nell'anno della famiglia: "(...) ai nostri tempi molti bambini, purtroppo, in varie parti del mondo soffrono e sono minacciati: patiscono la fame e la miseria, muoiono a causa delle malattie e della denutrizione, cadono vittime delle guerre, vengono abbandonati dai genitori e condannati a rimanere senza casa, privi del calore di una propria famiglia, subiscono molte forme di violenza e di prepotenza da parte degli adulti. Come è possibile rimanere indifferenti di fronte alla sofferenza di tanti bambini, specialmente quando è causata in qualche modo dagli adulti?".
Ricordando passi del Vangelo secondo Marco (10, 14) e del Vangelo secondo Matteo (18, 3; 18, 6), Giovanni Paolo ii sottolineò come "il Vangelo è profondamente permeato dalla verità sul bambino. Lo si potrebbe persino leggere nel suo insieme come il "Vangelo del bambino"" e si chiese cosa volesse dire "Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli". Affermò che Gesù pone il bambino come modello per gli adulti: chi è semplice, pieno di fiducioso abbandono, ricco di bontà e puro, come lo sono i bambini, può "ritrovare in Dio un Padre - disse il Papa - e diventare" a sua volta, "grazie a Gesù", figlio di Dio.
Da Nairobi, in Kenya, la testimonianza di padre Marino Gemma, parroco della Consolata Shrine Westlands, ci conferma come il fenomeno dei bambini di strada sia quello che preoccupa di più: "Se dessimo loro del denaro, lo userebbero per comprare colla da ciabattino, che usano come droga" racconta il sacerdote, di origini pugliesi ma in Kenya da diciassette anni. Sono più di centomila i bambini keniani costretti a vivere nei campi profughi, nella Rift Valley e intorno a Nairobi. A Eldoret - dove, nel gennaio scorso, si compì il massacro di almeno cinquanta persone, soprattutto bambini, che morirono nell'incendio appiccato all'interno della chiesa da un centinaio di persone armate di machete - circa 4.200 studenti elementari frequentano corsi scolastici improvvisati nelle strutture di accoglienza alla periferia della città, mentre una trentina di bambini sono nati nello stadio di Nakuru, che per giorni ha ospitato alcune migliaia di sfollati. Se alla povertà si aggiunge la guerra, i bambini diventano due volte vittime della situazione.
"Ci sono tre baraccopoli sotto la nostra giurisdizione e gestiamo un asilo - spiega padre Marino - attualmente frequentato da 125 bambini. Una volta alla settimana riusciamo a dare un pasto caldo ai bambini di strada, a fargli fare una doccia, a dargli dei vestiti. Tutto questo, con i pochi soldi che ci arrivano dall'Italia e con le offerte, anche queste poche, che riusciamo a raccogliere qui".
Ma chi sono i bambini di strada? "In Occidente si pensa che siano bambini abbandonati - afferma il sacerdote - in realtà non è così. Per una buona parte sono orfani, per un'altra parte vivono nelle famiglie e sono le stesse famiglie a mandarli per strada per far sì che siano queste creature a raccattare qualcosa per la sopravvivenza. Il Governo ha tentato di fare qualcosa, ma non è abbastanza per risolvere il problema". Prima di parlare dell'Africa, occorre comprendere il contesto locale. Qui le tribù sono quarantadue e ognuna ha una sua cultura e concorre a determinare un contesto sociale complessivo.
L'Occidente, rispetto al continente africano, ha le sue responsabilità, "enormi, da tutti i punti di vista" dichiara Gemma, secondo il quale "se il colonialismo in questa nazione è finito sessant'anni fa, è finito solo formalmente. Alcuni Paesi hanno ancora formidabili interessi economici in questa regione e non sono, evidentemente, interessi che si rivolgono allo sviluppo e al benessere di questo popolo". E poi c'è la guerra: "Non è certo voluta dalla gente - sottolinea il sacerdote - ma è imposta dall'alto, da chi governa il rapporto conflittuale tra le etnie, le tribù. Nella mia parrocchia si fa a gara per dare una mano ai tanti rifugiati che vivono per strada, sotto le tende. Mi commuovo nel vedere persone, che non hanno un fazzoletto per piangere la loro miseria, donare quel poco che hanno per aiutare un bambino che soffre".
(©L'Osservatore Romano - 7 febbraio 209)


ELUANA/ 1. Zanon: formalismi a parte, salvare una vita non giustifica un'urgenza? - Nicolò Zanon - sabato 7 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
L’articolo 77 della Costituzione è chiarissimo nell’attribuire alla responsabilità politica e giuridica del Governo la scelta sul ricorso alla decretazione d’urgenza. Per parte sua, il Capo dello Stato non ha, in sede di emanazione di un decreto, gli stessi poteri di cui dispone in sede di promulgazione di una legge. Può rifiutarsi di emanare un decreto-legge solo se ritenga manifestamente assenti i presupposti di necessità e urgenza che la Costituzione richiede. Che questo fosse il caso del decreto su Eluana, sommessamente, mi pare discutibile in fatto e in diritto.
La vicenda di Eluana è per il Presidente solo una vicenda singola, pur drammatica, ma non in grado da sola di legittimare il ricorso alla decretazione d’urgenza. Vi è qui un certo grado di formalismo: salvare una vita umana, anche una sola, non giustifica forse un provvedimento d’urgenza, anche ad personam? E poi: la vicenda Englaro è stata in realtà consapevolmente utilizzata come caso esemplare, emblematico di una tendenza culturale dotata di evidente significato generale e forza espansiva. L’urgenza del caso Eluana, si potrebbe dire, trascende di gran lunga la vicenda singola.
Ancora: il Capo dello Stato ritiene che il decreto della Corte d’appello, sulla cui base il tutore è autorizzato a chiedere il distacco del sondino, sia una decisione definitiva dell’autorità giudiziaria. Il rispetto del principio della separazione dei poteri gli impedirebbe perciò di avallare un decreto dell’esecutivo che ne paralizzi l’esecuzione. Ma anche questo argomento è controvertibile, perché, per definizione, i provvedimenti assunti in sede di giurisdizione volontaria non contenziosa non hanno forza di giudicato, e sono anzi revocabili e modificabili dal giudice in ogni momento, proprio perché preordinati all’esigenza prioritaria della tutela dei diritti di soggetti deboli.
La nota del Quirinale sostiene invece che il provvedimento in questione avrebbe forza di giudicato, perché sarebbe scaturito da un procedimento in contraddittorio, concluso con una decisione che si impone su contrapposte posizioni di diritto soggettivo. Ma dov’era, nel caso di Eluana, il contraddittorio e dov’erano le contrapposte posizioni di diritto soggettivo? Tutti sanno che, in ogni passaggio giudiziario di questa vicenda, il curatore speciale, nominato proprio per dare spazio a interessi divergenti rispetto a quelli del tutore (il padre), ha sempre appoggiato tutte le scelte di quest’ultimo!
E’ comunque obiettivamente controvertibile che nel nostro caso una sentenza passata davvero in giudicato vi sia, e che un atto del governo teso a paralizzarne l’esecuzione configuri realmente una lesione delle prerogative del potere giudiziario. Ed è dunque difficile convertire questa controversa questione in una ragione di manifesta inesistenza dei presupposti di necessità e urgenza.
Infine: siamo tutti d’accordo sul fatto che questa non sia materia da decreto-legge, e che sulle questioni di fine vita sia molto meglio un accordo il più ampio possibile in Parlamento. Ma l’ultima versione del decreto-legge, quella poi approvata, non pregiudicava in nulla il futuro lavoro parlamentare: avrebbe solo attuato, ragionevolmente, un principio di precauzione, impedendo qualunque sospensione del sostegno vitale ai soggetti non in grado di provvedere a sé stessi, fino all’approvazione della nuova legge, qualunque ne sia il contenuto.


ELUANA/ 2. Il braccio di ferro di Berlusconi e Napolitano tra politica e morale - Redazione - sabato 7 febbraio 2009 – IlSussidiario.net
E’ cominciato ieri il protocollo concordato tra La Quiete, l’Azienda Sanitaria 4 Medio Friuli e l’associazione "Per Eluana" per sospendere l’alimentazione e l’idratazione ad Eluana Englaro. A differenza di quanto previsto dal protocollo proposto dalla clinica "Città di Udine", che prevedeva una riduzione graduale del flusso del sondino (prima ridotto del 50% e nel giro di due giorni completamente arrestato) qui - a quanto si apprende, contrariamente alle prime notizie diffuse da diversi organi di informazione - non ci sono tappe intermedie. Da ieri Eluana è senza cibo né acqua.
Questo il quadro entro cui si colloca la convulsa giornata politica di ieri, culminata in uno scontro tra il premier Silvio Berlusconi e il capo dello stato Giorgio Napolitano sul decreto che il governo emana - ignorando la contrarietà espressa in una lettera al premier dal capo dello Stato, secondo il quale non sussistono i presupposti di necessità e urgenza necessari per promulgare un decreto legge - per fermare i medici guidati dall’anestesista Amato De monte. Napolitano «rammaricato» non controfirma, invocando il rispetto della Costituzione, mentre Berlusconi si spinge fino a promettere un ritorno al popolo ed al voto per chiedere «il cambiamento della Costituzione e del governo», se non potrà far ricorso come vuole ai decreti, strumento «fondamentale» per governare.
Alla fine, il governo approva un disegno di legge con lo stesso testo del decreto rifiutato dal Quirinale, Napolitano autorizza la presentazione alle Camere. E Berlusconi chiede al presidente del Senato Renato Schifani la «immediata convocazione» di Palazzo Madama per convertirlo in legge. I capigruppo si riuniranno lunedì per mettere il ddl all'ordine del giorno. «Spero non sia troppo tardi», chiosa il premier.
Per tutto il giorno, va in scena l'ennesima sfida sulla decretazione d'urgenza, con Berlusconi che, anticipando le conseguenze della mancata firma di Napolitano, chiama in causa il Parlamento e lo invita a «riunirsi ad horas per approvare in pochissimo tempo, due giorni o tre, una legge» sul testamento biologico. Ma se Gianfranco Fini si schiera subito con il capo dello Stato («Preoccupa fortemente che il Cdm non abbia accolto l'invito del capo dello Stato, ampiamente motivato sotto il profilo costituzionale e giuridico», afferma il presidente della Camera), Schifani si muove per favorire «un iter il più spedito possibile» al disegno di legge.
Lo strappo avviene al mattino, quando arriva in Consiglio dei ministri la lettera del capo dello Stato che invita il governo a non varare un «inappropriato» decreto legge, disattendendo una sentenza passata in giudicato. Napolitano anticipa che, nel rispetto della Costituzione, non lo firmerebbe, non ravvedendo i requisiti di necessità ed urgenza.
Il premier reagisce: «Eluana è una persona viva, con cellule cerebrali vive, che potrebbe anche in ipotesi generare un figlio». E' vero che Berlusconi sentirebbe di compiere non intervenendo «una personale omissione di soccorso nei confronti di una persona in pericolo di vita».
Ma lo strappo non è “soltanto” a questo livello. Berlusconi pone un problema serio di governabilità e di uso dello strumento del decreto legge come opzione per esercitare i diritti acquisiti dalle urne.
Ai suoi ministri (e poi più tardi in conferenza stampa) spiega che «non si può governare il Paese senza la decretazione d'urgenza», perché «senza la possibilità di ricorrere ai decreti bisognerebbe tornare dal popolo per chiedere di cambiare la Costituzione ed il governo». Su questi argomenti ottiene l'unanimità del governo, che vara il decreto.
Ma Napolitano non arretra. E non firma il decreto, costringendo il premier a mettere in moto un 'piano b': il varo tempestivo di un provvedimento in Parlamento. Lo scontro è in atto. E Walter Veltroni non manca di rimarcarlo: «Esprimo a Napolitano tutta la mia solidarietà - afferma il leader del Pd - Per fortuna c'é chi, come il capo dello Stato, garantisce il rispetto della Costituzione e delle istituzioni, mentre c'é chi vuol farle saltare». La politica segue i suoi drammi, mentre Eluana Englaro vive il sui secondo giorno senza cibo e acqua.


ESITO DA SCONGIURARE - PIÙ BUIO ATTORNO A NOI. E LA VITA PIÙ INSIDIATA - ANGELO BAGNASCO – Avvenire, 7 Febbraio 2009
Eluana ha cominciato il cam­mino forzato verso la morte perché iniquamente privata del cibo e dell’acqua. E se non avver­ranno fatti nuovi, questo appare il suo ingiusto destino. Benché or­mai molti riconoscano che per quanto in stato vegetativo persi­stente, la giovane donna non è at­taccata ad alcuna macchina, re­spira cioè liberamente. Per cui non c’è ' nessuna spina da stac­care' come si cerca di far credere, ma per vivere avrebbe bisogno ­come tutti - solo di essere ali­mentata, non potendo farlo da so­la. Resta però un’altra 'spina', de­stinata ad acutizzarsi nella nostra società. E non solo tra i credenti o dentro la medesima sensibilità culturale, ma in corrispondenza a una domanda che non può esse­re censurata: come è possibile far morire una persona in nome di u­na sentenza? Come si può tollera­re che passi nella mentalità co­mune una pretesa nuova neces­sità, e cioè il diritto di morire, in­vece di sostenere e garantire, an­che nelle situazioni estreme, il di­ritto alla vita? Giacchè qui non si può che far riferimento all’euta­nasia, che 'è una falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell’uomo', come ha ricordato di recente Be­nedetto XVI, il quale ha aggiunto che 'la vera risposta non può es­sere infatti dare la morte, per quanto ’dolce’, ma testimoniare l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo uma­no' ( Angelus del 1° febbraio 2009). In verità, una domanda si affac­cia insistente alla coscienza: non dare più il cibo e l’acqua ad una persona, come si deve chiamare se non omicidio? Di fronte al dramma della vita debole o ferita, l’unica risposta ragionevole e u­mana che traduce lo struggi­mento interiore che tutti prende è quella delle Suore di Lecco. Per quindici anni esse hanno accolto amorevolmente Eluana, veglian­dola giorno e notte ed esprimen­do fino alla fine il desiderio di ge­nerarla ancora ogni giorno con l’a­more. Così hanno mostrato, non a parole, come si reagisce all’im­prevedibilità del dolore e come si attesta l’indisponibilità della vita. Una luce si sta spegnendo, la lu­ce di una vita. E l’Italia è più buia. Un grande vuoto aleggia, desti­nato ad accrescersi nei giorni che seguiranno. E non solo perché E­luana non sarà più tra noi, ma perché la cultura egemone avrà ancora una volta negato la realtà, quella del limite, la realtà del do­lore che la ragione – pur cercan­do di alleviarlo – ha sempre con­siderato parte stessa della vita. La realtà della sofferenza che la fede non esalta in sé, ma che nella cro­ce di Cristo si illumina di signifi­cato e di valore. Si percepisce la sensazione che la fiducia reci­proca venga meno perché di fat­to è venuto meno quel favor vi­tae,
che è da sempre alla base del­le relazioni interpersonali. Una parola tuttavia di grave preoccu­pazione dobbiamo dirla circa la concatenazione di circostanze che vanno producendo un tale i­naccettabile esito.
Questa vicenda dolorosa, che ve­de al centro una persona che tut­ti sentiamo affettuosamente 'no­stra', ci ha resi più insicuri. Non perdiamo l’occasione per riaffer­mare in modo più convinto e co­rale il sì alla vita; per fare, come società, un passo decisivo ed e­semplare sulla via di un umanesi­mo reale e non parolaio. Per que­sto non possiamo tacere.


DALLA MAGISTRATURA UNILATERALITÀ INGENUA E TRAGICA - L’eutanasia s’è insediata nel nostro sistema sanitario - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 7 febbraio 1009
La magistratura triestina 'non attuerà alcuna iniziativa che possa eludere o ritardare la doverosa attuazione di quanto disposto dalla Cassazione': lo ha detto il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Trieste, Beniamino Deidda. Ebbene, cosa aveva disposto la Cassazione e che sarebbe 'doveroso' attuare? Il distacco del sondino naso-gastrico di Eluana? Assolutamente no. Rileggiamo il punto 8 delle motivazioni della sentenza del 16 ottobre 2007, n.21748: '…al giudice non può essere richiesto di ordinare il distacco del sondino naso-gastrico: una pretesa di tal fatta non è configurabile di fronte ad un trattamento sanitario…che rappresenta un presidio proporzionato, rivolto al mantenimento del soffio vitale (…). Piuttosto, l’intervento del giudice esprime una forma di controllo della legittimità della scelta nell’interesse dell’incapace e…si estrinseca nell’autorizzare o meno la scelta compiuta dal tutore'. La scelta del signor Englaro non è quindi sotto alcun profilo doverosa e non è nemmeno del tutto priva di condizioni, dato che la Cassazione l’ha legittimata solo nel caso in cui lo stato vegetativo sia 'irreversibile' e sempre che tale scelta 'sia realmente espressiva… della voce del rappresentato'.
Come giurista, anche se non sono tra coloro che hanno apprezzato questa sentenza, ritenendola profondamente sbagliata, sto e starò sempre dalla parte di coloro che chiedono il massimo rispetto per la magistratura e in particolare per le pronunce della Cassazione. Mi piacerebbe però che si riconoscesse con onestà intellettuale che queste pronunce hanno di fatto introdotto l’eutanasia nel nostro sistema sanitario (se ne sono resi conto i magistrati?). Leggiamo le ammissioni, sia pur indirette, del neurologo dell’Englaro, l’ormai celebre prof. Defanti. Egli ha spiegato a 'Repubblica' (5 febbraio, p. 7) come la morte per disidratazione (quella che stanno preparando nella clinica di Udine per la povera ragazza) non sia dolorosa: Eluana, garantisce Defanti, 'avrà una morte dolcissima'. Eu-tanasia significa, lo sappiamo tutti, 'morte dolce': per Eluana si sta quindi programmando una morte iper-eutanasica. Il problema (l’immenso problema) è tutto qui.
Rispettare la Cassazione, peraltro, implica anche prendere sul serio ciò che essa ha detto e non ciò che le si vorrebbe far dire. La Cassazione pretende che si accerti che lo stato vegetativo di Eluana sia 'irreversibile'; ma questo accertamento è impossibile, se non appiattendo arbitrariamente il concetto di 'irreversibilità' su quello di 'alta improbabilità'. La Cassazione ha preteso che si accertasse rigorosamente la volontà della paziente di non essere alimentata; perché non prestare un minimo di attenzione a tutti i pesanti materiali di prova in senso contrario fino ad ora trascurati (ivi compresa l’impressionante testimonianza di Pietro Crisafulli sull’attendibilità delle dichiarazioni del signor Englaro). Questi materiali sono a disposizione di tutti, dato che Avvenire li sta da tempo pazientemente raccogliendo, ma vengono sistematicamente ignorati, in particolare da quasi tutti gli altri organi nazionali di stampa.
Nessuno chiede ai magistrati di non dare il dovuto peso alla Cassazione e a qualunque altra autorità giudiziaria in merito. Ciò che chiediamo loro è di entrare nei dibattiti bioetici di fine vita rinunciando alla tentazione di dare credito a una sola tra le diverse opinioni in materia (quella che, per essere concreto, chiamerò pro-eutanasica) illudendosi che sia consolidata e prevalente. Ciò che chiediamo ai magistrati è che, quando siano chiamati a pronunciarsi su casi estremi come quelli di fine vita, caratterizzati da incertezze tragicissime, essi assumano il 'favor vitae' come loro stella polare: nel dubbio, c’è una sola scelta non potrà mai essere sbagliata, quella a favore della vita.


SCONTRO ISTITUZIONALE - Baldassarre: uno scontro che poteva essere evitato Mirabelli: nessun problema di costituzionalità Vari: ci sono i presupposti per il provvedimento Olivetti: il presidente è uscito dalle sue funzioni - «Decreto ineccepibile non andava bloccato» - Costituzionalisti d’accordo: era urgente e necessario - DA ROMA GIANNI SANTAMARIA – Avvenire, 7 febbraio 2009
Sull’urgenza e la necessità di un decreto­legge e ancor più sulla sua costituziona­lità ci sono tutta una serie di controlli ai quali il presidente della Repubblica non può sostituirsi. C’è il Parlamento, che sul primo punto può esprimersi in sede di conversione entro 60 giorni. C’è soprattutto la Corte costi­tuzionale, se viene investita della questione. Ed è proprio da alcuni ex presidenti della Con­sulta e da esperti di questa branca del diritto che arrivano perplessità sull’operato del Col­le. Non tanto sul suo tentativo di persuasione affinché non fosse utilizzato lo strumento del­la decretazione d’urgenza, quanto sul rifiuto di adeguarsi alla decisione del Governo. Secondo l’articolo 77 è l’esecutivo ad avere l’e­sclusiva responsabilità, ricordano. E a chi, co­me il costituzionalista del Pd Stefano Ceccan­ti, invoca l’articolo 87 della Carta per dare al Ca­po dello Stato la possibilità di non firmare, l’ex presidente della Consulta Antonio Baldassar­re ricorda che «quell’articolo va interpretato in armonia con altri, come appunto il 77. Iso­larlo dal resto non mi pare un metodo corret­to ». Per Baldassarre «quello che accade è gra­ve, perché introduce un confitto che si risol­verà con la delegittimazione dell’uno o del­l’altro potere. Una cosa di cui l’Italia non sen­tiva proprio il bisogno e che poteva essere e­vitata con un po’ di ragionevolezza». Anche un altro ex presidente della Consulta, Cesare Mi­rabelli, ritiene lo scontro «molto forte». In più non ravvisa nel testo licenziato dal Consiglio dei ministri problemi di costituzionalità. «Ha una funzione in qualche misura dilatoria, non si contrappone alla decisione giudiziale e non la vanifica. È una sorta di moratoria e garan­zia. Tanto più in un settore come quello della volontaria giurisdizione, nel quale ci sono provvedimenti e autorizzazioni che non pas­sano in giudicato». «Non v’è dubbio che il pre­sidente abbia il potere di suggerire e consi­gliare, indipendentemente dalle forme. Ma, con tutto il rispetto per la sua altissima figura, i presupposti per l’emanazione del decreto ci sono», afferma l’ex vicepresidente della Corte Massimo Vari. «Davanti a una formale delibe­razione dell’esecutivo è normale che il presi­dente proceda all’emanazione. Siamo, dun­que, davanti a un deliberato rifiuto e a un fat­to gravissimo. Il presidente è chiaramente u­scito dalle sue funzioni. Ha mancato a un suo dovere costituzionale», è l’opinione di Marco Olivetti, docente di Diritto costituzionale all’U­niversità di Foggia. Sul fatto che il Quirinale non potesse interve­nire a bloccare il decreto è netto anche Bal­dassarre: «Basta leggersi i classici della mate­ria, a partire dal saggio sul decreto legge di E­sposito, un maestro», spiega. «Piena libertà di far conoscere le sue perplessità. Soprattutto prima. E, quindi, di persuadere il governo. Ma questo ha la fiducia della maggioranza e la le­gittimazione democratica, quindi deve avere la parola definitiva. Non il presidente, che non è la Corte costituzionale», prosegue Olivetti. Mirabelli, poi, giudica i rilievi del Colle «non tali da escludere un provvedimento d’urgen­za ». Anche perché, sostiene, «una cosa è det­tare una disciplina sostanziale, nella quale si regolano diritti fondamentali, altro è un prov­vedimento che introduce un elemento di cau­tela e garanzia». Come appare essere invece il decreto, il quale, ultimo rilievo, «pur na­scendo evidentemente dalla situazione che si è creata, è impostato come lettura di caratte­re generale che riguarda tutte le persone in quelle condizioni e quelle che devono com­piere atti su di esse». Non, insomma, un in­tervento ad personam.
Sull’aspetto dell’urgenza su un caso singolo Vari, poi, non concorda sul fatto che esso non basterebbe a motivare la necessità di un de­creto. «A parte il valore assoluto di una vita, c’è una giurisprudenza della Corte che definisce la straordinarietà: eventi naturali, comporta­menti umani, o anche atti e provvedimenti di pubblici poteri. È nel contesto della vita so­ciale, non nel dibattito parlamentare che va ricercata la situazione da tutelare nelle more dell’emanazione di una legge». Infine, «quan­do ci sono in ballo lesioni gravissime alla Co­stituzione si può giustificare una presa di po­sizione del Quirinale. Però, sugli articoli cita­ti – 3, 13 e 32 – ci sono due punti di vista». E anche la vita è un valore costituzionalmente garantito.
Anche su uno dei precedenti di lettere invia- te per rifiutare un decreto – resi noti ieri dal Quirinale – Baldassarre ha da obiettare. Casi di divergenze «ci sono stati, ma si sono risol­ti bonariamente. Non è il governo che si deve adeguare. Nel caso dell’intervento di Pertini si realizzava un vulnus gravissimo della Co­stituzione, perché senza di esso non si sa­rebbe tenuto un referendum che era piena­mente legittimo. Ma non è questo il caso». Napolitano invece, conclude Olivetti, i de­creti «finora li aveva sempre emanati. Tran­ne in un caso, all’epoca del governo Prodi, che accolse i suoi rilievi in materia di Giusti­zia. C’è probabilmente una ragione ideologi­ca per questo rifiuto e ciò fa sì che il Capo del­lo Stato venga meno alla sua funzione di ga­rante della Costituzione per ritornare ad es­sere uomo di parte».


Da martedì in libreria il ritratto del «padre» di Cl scritto da un testimone d’eccezione: Massimo Camisasca Don Giussani, genio dell’educazione - DI MARINA CORRADI – Avvenire, 7 febbraio 2009
Nell’omelia del funerale nel Duomo di Milano, il 24 febbraio 2005, l’allora car­dinale Ratzinger usò questa e­spressione: era un uomo «ferito dal desiderio della bellezza». Quattro anni dopo la morte di don Luigi Giussani uno di quelli che gli furo­no più a lungo vicini, don Massimo Camisasca, fondatore della Frater­nità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo, parte da qui per una 'biografia spirituale' del fondatore di Comunione e Libera­zione.
Don Giussani. La sua esperienza dell’uomo e di Dio (San Paolo) è l’itinerario del pensiero del sacerdote lombardo, da quando a 14 anni in seminario recitava come preghiere di ringraziamento, fra l’inquietudine dei superiori, le poesie di Leopardi, agli anni di Gs, all’allargarsi in decine di Paesi della Fraternità di Cl, alla morte.
Camisasca scrive anche e forse prima di tutto per chi conosce poco Giussani, ma, anche, ricostruisce, grazie alla lettura di testi ancora inediti, la parabola del suo pensiero. Quel desiderio ferito di una Bel­lezza non da poco, anzi della Bel­lezza assoluta, procede, dice, in Giussani attraverso una ragione in grado di riconoscere nel bello la strada della ve­rità, e dunque in­fine del Verbo stesso. Il giovane sacerdote ne era certo: «La vita si muove solo per una passione, e una passione si muove solo per u­na bellezza incontrata».
Quando sale per la prima volta le scale del Liceo Berchet di Milano, dove rinunciando alla teologia ini­zierà la sua opera educativa, si è già accorto che per molti ragazzi in quegli anni Cinquanta il cristiane­simo non è più 'interessante'. Oc­corre ripresentarlo vivo e operante, qui e ora, esattamente come al tempo degli Apostoli. E questo contro, sottolinea Camisasca, il lai­cismo che avanza, e pretende che non esista alcuna verità; e contro, anche, l’autoritarismo che segnava allora la trasmissione educativa.
Giussani capisce che le nuove ge­nerazioni non aderiranno a ciò che è semplicemente imposizione di un’eredità del passato. Vogliono di più: ragioni verificate nella concre­tezza quotidiana. Sarà, la battaglia per un rinnovamento dell’educa­zione cristiana, appassionata, e non priva di incomprensioni all’in­terno della stessa Chiesa. E sfidata poi dagli anni tumultuosi della contestazione, quando non pochi dei primi che avevano seguito Gio­ventù Studentesca prendono altre strade.
Il rischio educativo e poi Il senso re­ligioso, tradotto in tutto il mondo, segnano il fulcro della passione u­mana e cristiana di Giussani: nel­l’ansia di riscoprire, quasi far rie­mergere la domanda originale di felicità dell’uomo, e di mostrare u­na risposta che sia, di tale doman­da, all’altezza. Osando affermare – tesi scandalosa in anni in cui 'pa­dre 'e 'obbedienza' erano diven­tati parole impronunciabili – che il vertice della ragione sta proprio nel riconoscimento della dipendenza da Dio, e che nel seguirne il dise­gno, dunque in una obbedienza, è la strada per una felicità piena.
Controcorrente è una pedagogia che pure non inventa nulla, ma ri­scopre, come un tesoro ossidato dal tempo nella lucentezza, la grande tradizione cristiana, da A­gostino ad Ambrogio attraverso Mölher e Scheeben fino a Guardi­ni. Con un tenace attaccamento – che Camisasca attribuisce anche al padre di Giussani, operaio sociali­sta – alla ragione e alla realtà, da osservare per come è e non in un pregiudizio ideologico. Quella realtà che Giussani, come nella tra­dizione del cristianesimo medioe­vale, insiste essere 'segno', simbo­lo che rimanda, sempre, ad altro – ad un Altro.
L’autore annota che nel ’88, parec­chio prima che si cominciasse a parlare di 'emer­genza educativa', già il padre di Cl vede una genera­zione che «non riesce più a co­gliere la promessa che è contenuta nelle cose, a sta­bilire un rapporto fra le proprie atte­se più profonde e i segni che Dio ha disseminato nel mondo. Vive spesso solo a livello di reazione superficiale (..) Il potere fa le veci di padre e madre, e in ulti­ma analisi, fa le veci di Dio».
Uno che vedeva lontano e profeti­camente, prima degli altri, è l’uo­mo che emerge dal libro di Cami­sasca. Un pessimista allora? Asso­lutamente no. «Negli ultimi anni di vita la sua parola – scrive – «sgorga dallo stupore per l’Incarnazione».
Che la salvezza sia passata per il sì di una donna lo commuove, e la maternità di Maria, dice, «è un a­bisso ». Il cammino umano del pre­te appassionato, polemico, profon­damente 'dentro' le passioni degli uomini, volge verso la fine in uno sguardo sbalordito e grato alla mi­sericordia di Dio. «Abbiamo a esse­re misericordiosi, a avere miseri­cordia gli uni verso gli altri.. Di fronte a tutti i peccati della Terra sarebbe ovvio dire: Dio distrugga un mondo così! Invece Dio muore per un mondo così, diventa uomo e muore fra gli uomini, tanto che questa misericordia rappresenta il senso ultimo del Mistero».
Con testi ancora inediti il libro mette in luce l’intuizione precoce dell’«emergenza educativa» e di una nuova pedagogia cristiana