venerdì 27 febbraio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Comunicato stampa - CL: sul “fine vita” siamo col cardinale Bagnasco
2) Papa Benedetto è nell’occhio del ciclone - Il Giornale 26 febbraio 2009 - Critiche e attacchi non sono mai mancati ai Papi e a Papa Ratzinger: oggi però queste critiche e questi attacchi non provengono soltanto dai tradizionali pulpiti del dissenso, da teologi come Hans Küng o come Vito Mancuso, ma anche da alcuni esponenti dell’episcopato tradizionalmente più vicini a Benedetto XVI… - di Andrea Tornielli
3) Benedetto XVI: alla radice della crisi economica vi è l'egoismo - Durante l'incontro con i parroci e i sacerdoti di Roma
4) Küng e Mancuso: il fumo di Satana? - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 26 febbraio 2009
5) 27/02/2009 11:32 - INDIA – VATICANO - Kashmir: giovani convertite dall’Islam pregano per Benedetto XVI - di Nirmala Carvalho - Dopo un gruppo di musulmani dell’Africa del Nord e del Medio Oriente, anche giovani convertite dal Kashmir aderiscono alla preghiera per il Papa, lanciata da AsiaNews per questa Quaresima. Le tre convertite offrono le loro sofferenze ed emarginazioni, insieme al sacrificio del loro padre Bashir, assassinato da estremisti musulmani perché convertitosi al cristianesimo. Adesioni anche dall’Italia, dove si ricordano pure le umiliazioni subite da Giovanni Paolo II.
6) L’Oscar Wilde nascosto da Benigni - Pigi Colognesi - venerdì 27 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
7) CRISTIANESIMO/ John Henry Newman, la storia di una conversione - Redazione - venerdì 27 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
8) IN GIOCO LO SGUARDO SULLA VITA FERITA E UMILIATA - Compassione per Eluana dopo l’ultima ingiuria - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 27 febbraio 2009


Comunicato stampa - CL: sul “fine vita” siamo col cardinale Bagnasco
In relazione al dibattito intorno a una legge sul fine vita, Comunione e Liberazione condivide le ragioni più volte espresse dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e rese ancora più attuali dopo la morte di Eluana Englaro: «Il vero diritto di ogni persona umana, che è necessario riaffermare e garantire, è il diritto alla vita che infatti è indisponibile. Quando la Chiesa segnala che ogni essere umano ha un valore in se stesso, anche se appare fragile agli occhi dell’altro, o che sono sempre sbagliate le decisioni contro la vita, comunque questa si presenti, vengono in realtà enunciati principi che sono di massima garanzia per qualunque individuo» (Prolusione al Consiglio permanente della Cei, 26 gennaio 2009).
Lo stesso Benedetto XVI, nell’Angelus del 1° febbraio 2009, ha ricordato che «la vera risposta non può essere dare la morte, per quanto “dolce”, ma testimoniare l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano».
Per questo, di fronte alle polemiche suscitate da ambienti laici e anche da cattolici, restano per noi valide le preoccupazioni del cardinale Bagnasco e della Cei sulla necessità di «una legge sul fine vita, resasi necessaria a seguito di alcune decisioni della giurisprudenza. Con questa tecnica si sta cercando di far passare nella mentalità comune una pretesa nuova necessità, il diritto di morire, e si vorrebbe dare ad esso addirittura la copertura dell’art. 32 della Costituzione».
Chi si impegna in politica secondo ragione può trarre da queste preoccupazioni della Chiesa uno sguardo più vero alla vita degli uomini, nel difficile compito di servire il bene comune.
l’ufficio stampa di CL
Milano, 26 febbraio 2009.


Papa Benedetto è nell’occhio del ciclone - Il Giornale 26 febbraio 2009 - Critiche e attacchi non sono mai mancati ai Papi e a Papa Ratzinger: oggi però queste critiche e questi attacchi non provengono soltanto dai tradizionali pulpiti del dissenso, da teologi come Hans Küng o come Vito Mancuso, ma anche da alcuni esponenti dell’episcopato tradizionalmente più vicini a Benedetto XVI… - di Andrea Tornielli
Prima per il caso del prelato lefebvriano Richard Williamson, le cui dichiarazioni negazioniste sulle camere a gas sono state divulgate da una televisione svedese quasi in coincidenza con la pubblicazione della revoca della scomunica ai quattro vescovi consacrati nel 1988 da monsignor Lefebvre.
Poi per il caso, meno eclatante ma non meno dirompente, del nuovo vescovo ausiliare di Linz, Gerhard Maria Wagner, già dimissionario perché apertamente contestato nella Chiesa austriaca a causa di alcune sue dichiarazioni sul ciclone Katrina che nel 2005 distrusse New Orleans (da lui definito un castigo di Dio), sui romanzi di Harry Potter (da lui bollati come pericolosi e diabolici), sull’omosessualità.
Proprio in seguito a questi due casi la Santa Sede attraversa un momento delicato e difficile. Critiche e attacchi non sono mai mancati ai Papi e a Papa Ratzinger: oggi però queste critiche e questi attacchi non provengono soltanto dai tradizionali pulpiti del dissenso, da teologi come Hans Küng o come Vito Mancuso, ma anche da alcuni esponenti dell’episcopato tradizionalmente più vicini a Benedetto XVI, com’è accaduto in Austria, dove tra i critici verso Roma per la nomina di Wagner quale ausiliare di Linz si ritrova il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn.
Nelle scorse settimane alcuni problemi sono stati ingigantiti, con strumentalizzazioni evidenti: si è voluto far credere che la Chiesa di Papa Ratzinger – Pontefice certamente amico degli ebrei, che da teologo ha riflettuto in modo particolare sul legame che unisce i cristiani al popolo dell’Antica Alleanza – avesse dimenticato se non rinnegato il Concilio Vaticano II, e avesse fatto marcia indietro rispetto alla ferma e inequivocabile condanna dell’antisemitismo.
È certo che Oltretevere, al di là delle strumentalizzazioni, si sono verificati intoppi e problemi, nel processo prima decisionale e quindi comunicativo, in relazione ad alcuni recenti eventi gestiti dai collaboratori di Benedetto XVI.
Tra gli inquilini dei sacri palazzi, dove peraltro non ci si nasconde l’esistenza di intoppi e problemi, c’è però chi è convinto che quella che si sta giocando in queste settimane sia una «battaglia» di dimensioni più vaste e più profonde di quanto appaia all’esterno, e che proprio i recenti episodi abbiano dato forza e riconquistata visibilità a quanti non hanno mai perdonato a Benedetto XVI di essere diventato Papa.
Gli stessi che avevano passato anni a dipingere Joseph Ratzinger come il «panzerkardinal», attribuendogli un ruolo frenante durante il pontificato di Giovanni Paolo II – una caricatura fuori dalla storia, dato che proprio Ratzinger è stato colui che più a lungo ha collaborato con Papa Wojtyla, e quest’ultimo non ha mai voluto accettare la richiesta di potersi ritirare avanzata a più riprese dal porporato – tornano ora ad affibbiargli gli stessi stereotipati cliché.
Il Giornale 26 febbraio 2009


Benedetto XVI: alla radice della crisi economica vi è l'egoismo - Durante l'incontro con i parroci e i sacerdoti di Roma
ROMA, venerdì, 27 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Le ragioni profonde della crisi economica vanno rintracciate nell'egoismo. E' quanto ha detto Benedetto XVI durante il tradizionale incontro di inizio Quaresima con i parroci e i sacerdoti della diocesi di Roma, svoltosi giovedì mattina 26 febbraio, nell'Aula della Benedizione.
Nell'incontro durato quasi due ore e caratterizzato da un clima familiare, il Papa ha risposto ad otto domande affrontando temi come: la formazione dei presbiteri, l’importanza del primo annuncio, l'emergenza educativa, l'azione caritativa, il ruolo del parroco nella società di oggi, il valore della liturgia nella vita del cristiano, il significato del ministero del Vescovo di Roma, la Parola di Dio e il Concilio Vaticano II.
Dopo il discorso tenuto dal nuovo Cardinale vicario, Agostino Vallini, il Papa – secondo quanto riferito dalla “Radio Vaticana” – ha risposto ad un sacerdote della zona periferica di Tor Bella Monaca, dove si fa particolarmente sentire la crisi economica, accennando alla sua prossima Enciclica sociale e ribadendo che la Chiesa ha il dovere di denunciare i fallimenti del sistema economico-finanziario senza ricorrere a moralismi.
La Chiesa, ha detto il Papa, è chiamata a "denunciare questi errori fondamentali che si sono adesso dimostrati nel crollo delle grandi banche americane – ha detto –: l’avarizia umana è idolatria che va contro il vero Dio e la falsificazione dell’immagine di Dio con un altro dio – Mammona; dobbiamo denunciare con coraggio ma anche con concretezza, perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostenuti dalla conoscenza della realtà, che aiuta anche a capire che cosa si può in concreto fare!".

A livello microeconomico, invece, il Pontefice – secondo quanto riferito da “L'Osservatore Romano” – ha ricordato che i grandi progetti di riforma non possono realizzarsi compiutamente senza un cambiamento di rotta individuale. Se non ci sono i giusti - ha ammonito - non ci può essere neanche la giustizia.
Da qui l'invito a intensificare il lavoro umile e quotidiano della conversione dei cuori: un lavoro - ha evidenziato il Papa - che coinvolge soprattutto le parrocchie. La cui attività, alla fine, non è limitata solo alla comunità locale ma si apre all'intera umanità.
Il Papa ha quindi esortato il clero romano a unire gli studi di teologia con l’esperienza concreta per tradurre la Parola di Dio all’uomo di oggi. Non dobbiamo perdere la semplicità della Verità, ha detto ancora, che non può essere assimilata ad una filosofia.
Benedetto XVI ha poi posto l’accento sul ruolo del parroco che, ha affermato, come nessun altro conosce l’uomo nella sua profondità, al di là dei ruoli che ricopre nella società.

"Per l’annuncio abbiamo bisogno dei due elementi: testimonianza e parola – ha detto –. E’ necessaria la parola, che fa apparire la verità di Dio, la presenza di Dio in Cristo e quindi l’annuncio è una cosa assolutamente indispensabile, fondamentale, ma è necessaria anche la testimonianza che dà credibilità a questa parola, perché non appaia solo come una bella filosofia, una utopia”.
“E in questo senso mi sembra che la testimonianza della comunità credente sia di grandissima importanza. Dobbiamo aprire, in quanto possiamo, luoghi di esperienza della fede".

Il Pontefice ha quindi affrontato il tema dell’emergenza educativa, sottolineato il compito dei sacerdoti fin dall’oratorio di offrire ai giovani una formazione umana integrale.
Successivamente, ha ribadito che oggi viviamo in un mondo dove molte persone hanno tante conoscenze ma senza orientamento interiore etico. Per questo, la Chiesa ha il dovere di proporre una formazione umana illuminata dalla fede. Aprirsi dunque alla cultura del nostro tempo, ma indicando criteri di discernimento.
Nell’incontro non sono mancati momenti simpatici come quando un parroco del quartiere della Casilina ha declamato un sonetto in romanesco per celebrare la prossima visita di Benedetto XVI in Campidoglio.

"Grazie! Abbiamo sentito parlare il cuore romano, che è un cuore di poesia – ha detto il Papa –. E’ molto bello sentire un po’ di romanesco e sentire che la poesia è profondamente radicata nel cuore romano. Questo forse è un privilegio naturale che il Signore ha dato ai romani, è un carisma naturale che precede i privilegi ecclesiali …".

Nel colloquio con il clero romano, il Papa ha anche parlato della liturgia ribadendo che imparare a celebrare significa conoscere Gesù Cristo, entrare in contatto con Lui. La Liturgia, è stata la sua riflessione, deve sempre più essere il cuore del nostro essere cristiani.
Il Pontefice ha quindi indicato la peculiarità della Chiesa di Roma, chiamata a presiedere nella Carità. Un dono, ha affermato, che riguarda tutti i fedeli di Roma. Il ministero petrino, ha poi aggiunto, deve garantire l’unità e la ricchezza della Chiesa, prevenendo ogni assolutizzazione ed escludendo ogni particolarismo.


Küng e Mancuso: il fumo di Satana? - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 26 febbraio 2009
Ho letto con attenzione gli interventi del 25 febbraio 2009, mercoledì delle Ceneri, di Küng (sulla Stampa) e di Mancuso (su Repubblica): mi sembra che siano il segno di quella posizione – oramai abbondantemente diffusa – di coloro che riducono il cristianesimo alle proprie idee, desiderosi di essere loro i giudici e i critici del Magistero pontificio. Sport nobilissimo, e soprattutto ben remunerato, in fama e monete. Già Paolo VI nel 1972 affermava (e riporto la sintesi che ne dà il sito del Vaticano): «Riferendosi alla situazione della Chiesa di oggi, il Santo Padre [Paolo VI – ndr] afferma di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio. Gli scienziati sono coloro che più pensosamente e più dolorosamente curvano la fronte. E finiscono per insegnare: «Non so, non sappiamo, non possiamo sapere». La scuola diventa palestra di confusione e di contraddizioni talvolta assurde. Si celebra il progresso per poterlo poi demolire con le rivoluzioni più strane e più radicali, per negare tutto ciò che si è conquistato, per ritornare primitivi dopo aver tanto esaltato i progressi del mondo moderno. Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli. Come è avvenuto questo? Il Papa confida ai presenti un suo pensiero: che ci sia stato l’intervento di un potere avverso. Il suo nome è il diavolo, questo misterioso essere cui si fa allusione anche nella Lettera di S. Pietro. Tante volte, d’altra parte, nel Vangelo, sulle labbra stesse di Cristo, ritorna la menzione di questo nemico degli uomini. «Crediamo - osserva il Santo Padre - in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico, e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno della gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé. Appunto per questo vorremmo essere capaci, più che mai in questo momento, di esercitare la funzione assegnata da Dio a Pietro, di confermare nella Fede i fratelli. Noi vorremmo comunicarvi questo carisma della certezza che il Signore dà a colui che lo rappresenta anche indegnamente su questa terra». La fede ci dà la certezza, la sicurezza, quando è basata sulla Parola di Dio accettata e trovata consenziente con la nostra stessa ragione e con il nostro stesso animo umano. Chi crede con semplicità, con umiltà, sente di essere sulla buona strada, di avere una testimonianza interiore che lo conforta nella difficile conquista della verità.»
Parole gravi, parole accorate e cariche di dolore, da unire a queste altre (dette a Jean Guitton l’8 settembre del 1977): «C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: ‘Quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?’. Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. [...] Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia».
Parole che indicano il compito da vivere in quest’ora drammatica del mondo, e dentro la Chiesa: la fedeltà a Cristo deve essere anche fedeltà al magistero, solo così si servirà l’uomo. E questo aprirà alla missione, verso tutti gli uomini, compito che troppi intellettuali non sanno più vivere.
N.B. per Küng: mi pare che sia ossessionato da quelli che in dialetto si chiamavano i «peccati di braghetta». La battaglia da fare oggi credo abbia un orizzonte più vasto.


27/02/2009 11:32 - INDIA – VATICANO - Kashmir: giovani convertite dall’Islam pregano per Benedetto XVI - di Nirmala Carvalho - Dopo un gruppo di musulmani dell’Africa del Nord e del Medio Oriente, anche giovani convertite dal Kashmir aderiscono alla preghiera per il Papa, lanciata da AsiaNews per questa Quaresima. Le tre convertite offrono le loro sofferenze ed emarginazioni, insieme al sacrificio del loro padre Bashir, assassinato da estremisti musulmani perché convertitosi al cristianesimo. Adesioni anche dall’Italia, dove si ricordano pure le umiliazioni subite da Giovanni Paolo II.
Mumbai (AsiaNews) – Alcuni giovani ex musulmani convertiti al cattolicesimo esprimono la loro adesione a pregare per il papa in questa Quaresima. Shabnam (21 anni), Saira (17) e Adil (16), insieme alla loro madre Ameena, che vive ancora in Kashmir, desiderano che Benedetto XVI sappia che essi pregano per lui e offrono le loro sofferenze e umiliazioni per la sua missione. “Preghiamo che sia forte – dice Shabnam - e continui ad essere il faro della verità e dell’amore per tutto il mondo”.
I tre giovani e la loro madre aderiscono alla proposta fatta da AsiaNews ieri, che durante la Quaresima i cristiani preghino per il pontefice, al centro di una “guerra” mediatica contro il suo ministero. La proposta viene da un suggerimento giunto alla redazione di AsiaNews da parte di un gruppo di centinaia di ex musulmani dell’Africa del Nord e del Medio oriente, che hanno lanciato novene di preghiera per il Papa, che essi vedono come un “segno dell’amore di Gesù e un difensore dei deboli”.
Adil, la più giovane delle figlie, che quest’anno farà gli esami della maturità, vede una profonda unità fra le loro sofferenze e umiliazioni di convertite dall’Islam e le umiliazioni che il papa subisce: “Sono stata battezzata molto giovane ed è stato sempre molto difficile: rimproveri, sarcasmo, ricatti, discriminazioni e ostracismo sociale ci hanno causato molta sofferenza. Ma ogni dolore ci insegna qualcosa e la nostre fede si rafforza, ci appoggiamo a Cristo ed è Lui che ci guida in tempi difficili”.
“Santo e amato Padre, non perda mai di vista la sua missione, non dimentichi il motivo per cui Dio l’ha eletto, guidi le generazioni alla verità e Dio sia sempre con lei”.
Bashir Ahmad Tantray, il padre di Shabnam, Saira e Adil, è stato ucciso da militanti islamici nel novembre 2006 in pieno giorno. Si era convertito al cristianesimo nel 1995 ed era fuggito dal suo villaggio dopo aver ricevuto minacce da gruppi islamici estremisti. Anni dopo vi era ritornato per curare suo padre che stava morendo ed è stato ucciso.
Bashir era un ingegnere della J&K Power Development Dept e il coordinatore regionale del Global Council of Indian Christians in Kashmir. “Dalla morte di nostro padre in poi – racconta Shabnam – è stato orribile. Pochi possono capire il nostro dolore e abbandono. Noi siamo fuggite a Mumbai, ma nostra madre è ancora in Kashmir. La vediamo solo durante le vacanze. Per lei ogni giorno è una continua lotta e un continuo dolore”.
Fra le adesioni alla proposta di preghiera per Benedetto XVI giunte alla redazione di AsiaNews, vi è anche quella di una signora italiana, che si firma col nome di Paola.
“Aderisco senza riserva all'iniziativa – scrive Paola -; pregherò per il Papa, come ho sempre fatto dal 1978”.
E ricorda che anche Giovanni Paolo II è stato spesso attaccato (perfino ora da morto): “Per annunciare all'umanità che solo in Cristo l'uomo ritrova se stesso, per cercare l'unità tra i Cristiani, Papa Wojtyla non ha esitato, anche allo stremo delle forze, di affrontare viaggi estenuanti, incontri quasi impossibili, persino critiche da parte di quanti gli erano vicini. Ci siamo mai chiesti quanto dolore provasse di fronte alle accuse di Küng o dei lefebvriani? Che dire poi degli attacchi radicali o della solitudine di fronte ai suoi innumerevoli appelli contro la guerra, contro l'aborto, contro i pericoli di un'umanità senza Dio?”.
“Sì – conclude - io pregherò per papa Benedetto XVI, anzi, lo affiderò all'intercessione del suo ‘piccolo grande predecessore’, ma invito anche a pregare in modo più convinto affinché quel ‘Santo subito’ possa trovare compimento”.


L’Oscar Wilde nascosto da Benigni - Pigi Colognesi - venerdì 27 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Oscar Wilde, citato in modo parziale e strumentale da Roberto Benigni durante la serata inaugurale del Festival di Sanremo, ha scritto in carcere un’opera straordinaria: De profundis. Si tratta della lunga lettera che il romanziere e commediografo di successo – almeno fino al processo del 1895 e la successiva prigionia, che hanno stroncato la sua carriera e la sua stessa vita – ha indirizzato ad Alfred Douglas, la causa di tutte le sue disgrazie. Disgrazie fatali. Il capo dei carcerieri aveva previsto: «Morirà entro due anni». Wilde completò il periodo di detenzione il 19 maggio 1897 e morì, quarantaseienne, poco più di tre anni dopo, il 30 novembre 1900.
La lunga lettera – Wilde voleva intitolarla Epistola: In Carcere et Vinculis; il titolo attuale gli è stato dato da Robert Ross, che l’ha parzialmente pubblicata nel 1905 – non può certo essere ridotta a qualche battuta smagliante, del tipo di quelle per cui Wilde era celebre, sull’omosessualità.
Essa è anzitutto e soprattutto una riflessione sulla sofferenza. Dice Wilde di sé: «Gli dèi m’avevano concesso quasi tutto. Possedevo la genialità, un nome illustre, un’alta posizione sociale, una mente brillante e ardimentosa. Qualsiasi cosa toccassi la rendevo bella d’un nuovo genere di bellezza». E adesso? « Le cose esteriori dell’esistenza non possiedono per me alcuna importanza, ora».
Cos’era successo? Wilde aveva colto, in carcere, il significato del patire: «La sofferenza, per quanto ti possa apparire strano, è il nostro modo d’esistere, poiché è l’unico modo a nostra disposizione per diventare consapevoli della vita. Là dove cresce il Dolore è terra benedetta. Gli ecclesiastici e tutti quelli che discorrono a vanvera parlano a volte della sofferenza come d’un mistero. In realtà è una rivelazione».
Come è stato possibile? Attraverso l’immedesimazione con le sofferenze di Cristo. Egli, scrive Wilde, «con una prodigiosa larghezza d’immaginazione che ci riempie quasi di religioso timore, si scelse per regno tutto il mondo dell’inespresso, il mondo senza voce del dolore, e gli prestò in eterno la propria voce». Cristo, «come tutte le nature poetiche amava gli ignoranti. Sapeva che nell’anima d’un ignorante una grande idea trova sempre il suo posto. Ma non poteva sopportare gli sciocchi, specialmente quelli che son resi tali dall’istruzione». Amava, Cristo, anche i peccatori: «Trasformare un ladro interessante in un noioso onest’uomo non era la sua più alta aspirazione. La conversione di un pubblicano in un fariseo non gli sarebbe parsa un gran risultato». Egli «non insegna nulla ad alcuno, ma chi venga semplicemente condotto al suo cospetto, diventa qualcosa».
Cristo, dunque, è stato il vero artista, ciò che Wilde aveva cercato di essere nel successo e stava scoprendo nel carcere: «Il proponimento d’essere più buoni è un bell’esempio d’ipocrita retorica, esser diventati più profondi è il privilegio di quanti hanno sofferto».
Partendo daquesta esperienza di dolore redento, Wilde è in grado di giudicare il mondo che lo circonda. La sua ipocrisia: «Una faccia di bronzo è la cosa più importante da ostentare davanti al mondo ma, se di quando in quando ti capita di restare solo, dovrai bene toglierti la maschera, suppongo, se non altro per respirare. Altrimenti, infatti, finiresti per soffocare». Il suo sentimentalismo: «Un sentimentale è semplicemente uno che vuol godere il lusso di un’emozione senza pagare. Il sentimentalismo è la festa legale del cinismo». La sua menzogna: «La verità è una cosa penosissima a dire. Ma esser costretti a mentire è molto peggio».
La lettera si conclude sullo stesso accento da cui era partita: con una richiesta di perdono. Il suo ultimo insegnamento suona infatti così: «Il momento supremo per un uomo è quello in cui s’inginocchia nella polvere, e si batte il petto, e confessa tutti i peccati della sua esistenza». Perciò, Wilde consiglia a lord Douglas e a ciascuno di noi: «Non aver paura del passato. Se la gente ti dice che è irrevocabile, non crederci. Il passato, il presente e il futuro son solo un momento agli occhi di Dio, alla vista del quale dovremo cercare di vivere sempre».


CRISTIANESIMO/ John Henry Newman, la storia di una conversione - Redazione - venerdì 27 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Accostarsi a John Henry Newman (1801-1890), il grande intellettuale e parroco anglicano di Oxford convertitosi al cattolicesimo nel 1845 (di cui quest’anno ricorrono i 130 anni dall’ingresso nel Sacro Collegio dei Cardinali), non è come leggere un autore tra i tanti: chi ha avuto l’opportunità di conoscere la sua opera (pubblicando un volume sull’argomento) ha infatti sentito dentro di sé quel cambiamento che solo i grandi spiriti sanno comunicare, in quanto sono stati proprio loro a non aver temuto di mettere in discussione se stessi.
«In religione tutte le strade hanno ostacoli; questa ha una robusta cancellata, quella attraversa una palude. Non per questo non si deve prenderla; la religione non deve essere un punto morto, il cristianesimo non deve morire. Dove si va, altrimenti?», scriveva Newman in Loss and Gain (1848), il primo romanzo cattolico in lingua inglese. Charles Reding (incarnazione narrativa dell’autore) fece proprie queste parole pronunciate da un suo amico, lasciando la Chiesa anglicana e passando alla Chiesa di Roma, proprio per evitare che il cristianesimo morisse, che non avesse cioè più nulla da dire alla sua coscienza. Infatti, gli studi che Newman aveva intrapreso all’interno del Movimento di Oxford (importante iniziativa di carattere teologico finalizzata ad un rinnovamento della Chiesa anglicana) erano stati concepiti per difendere l’anglicanesimo dall’azione legislativa del governo liberale, ma grazie ad essi, egli si convinse del carattere scismatico della Chiesa anglicana e del fatto che la pienezza dell’ortodossia risiedeva non a Canterbury, ma a Roma.
La sua conversione al cattolicesimo fu quindi l’unica possibilità di ritorno all’origine cattolica della quale, secondo lui, viveva non solo l’anglicanesimo, ma anche il torismo, qualora fosse stato inteso nel suo autentico significato, cioè come l’insieme dei valori tradizionali dell’Inghilterra: «Siamo stati fedeli alla tradizione di quindici secoli. Tutto ciò fu chiamato Torismo, e gli uomini si gloriavano nel suo nome; ora viene chiamato Papismo e lo si vilipende», si legge nella Lettera al duca di Norfolk (1874), l’ultima grande opera di Newman, scritta per rispondere al Primo Ministro inglese uscente William Gladstone (che accusava i cattolici di non essere buoni sudditi a motivo dalla loro presunta rassegnazione al magistero del papa) e nella quale l’accusa poté essere girata allo Stato. Mentre infatti il cattolico godeva di una libertà di coscienza che lo legava solo a Dio, il vero problema non era tanto la mancata fedeltà dei cattolici inglesi al potere civile, quanto la coscienza del potere civile in Inghilterra (the conscience of the State), che, se non riconosceva la propria dipendenza da Dio, avrebbe coartato la libertà della persona.
La battaglia culturale che Newman aveva deciso di combattere fin dagli anni oxoniensi era infatti, a suo giudizio, il tentativo di salvaguardare un’idea di ragione (poi spiegata da un punto di vista filosofico nella Grammatica dell’assenso del 1870) che poteva essere garantita solo se non fosse andato perso il riferimento religioso della persona: si trattava di una vera e propria emergenza educativa alla quale egli poté dare risposta all’indomani della conversione, nella celebre Idea di Università (1852-1859), dove spiegò che il cattolicesimo era il senso autentico dell’educazione liberale su cui l’Università doveva fondarsi. Secondo Newman, la ragione, intesa in tutta la sua ampiezza, non era un’opinione da sala per le conferenze (a lecture-room opinion) e quindi non poteva essere separata dalla totalità dei fattori dell’umano: «Non era la logica a spingermi avanti», scriveva nell’Apologia pro vita sua (1864), «tanto varrebbe dire che è il mercurio del barometro a far cambiare il tempo. Si ragiona con tutto l’essere, nella sua concretezza. Passa un certo numero di anni e mi avvedo che il mio pensiero non è più al punto di prima: come mai? Si muove l’uomo tutto intero; la logica scritta è solo una testimonianza di questo movimento».
Coscienza, ragione e persona: per difendere questo patrimonio Newman scalò le vette più alte della tradizione, oltrepassando il crinale del vecchio mondo.
(Giuseppe Bonvegna)


IN GIOCO LO SGUARDO SULLA VITA FERITA E UMILIATA - Compassione per Eluana dopo l’ultima ingiuria - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 27 febbraio 2009
Qualcosa in noi insorge. Sì, nel vedere le notizie circa le foto scattate alla povera Eluana poco prima che morisse da coloro che avevano avviato il 'protocollo' per porre fine alla sua vita. Foto clandestine, e non solo per infrazione al suddetto macabro 'protocollo' ma per lo strano dispregio che avvertiamo in quel gesto fatto furtivamente, addirittura in presenza di chi è medico e di chi è pagato coi soldi di noi contribuenti per lavorare a un’informazione imparziale che proprio in quei giorni imparziale fu per niente.
Qualcosa insorge, forte, inutile negarlo.
Una specie di ira. O di sgomento che vorrebbe trovare le parole per non esprimere solo rabbia. È una specie di magone che vorrebbero farci dimenticare in fretta per la vita di quella ragazza, e che erompe in una amara incredulità. Come hanno potuto? Non ce l’hanno voluta far vedere, mentre di lei, del suo corpo e dell’onore della sua persona si discuteva in tutto il Paese. E mentre i medici che la curavano a Lecco testimoniavano di un 'buono stato' del suo fisico, il medico che la 'prendeva in consegna' a Udine parlava di devastazione, e ne parlavano giornalisti compiacenti. Mentre, come curiosi che passano di fronte a qualche vip o a qualche strano fatto, la fotografano morente. Non ce l’hanno fatta vedere vivente, e poi l’hanno fotografata durante le ultime ore di agonia. Ancora qualcosa che non torna in questa vicenda che ha segnato la coscienza collettiva. La magistratura a tamburo battente ha già ingiunto ai carabinieri di restituire le foto, ma il tribunale interiore della nostra umanità non può che condannare quel gesto. Dicono di esser stati spinti da motivi di documentazione. Ancora una volta evocano nobili scuse per un gesto fatto furtivamente, lontano dagli occhi di tutti noi, mentre contro i nostri occhi veniva gettato il fumo di parole distorte, di mezze notizie, di grandi menzogne.
Ma noi, ancora una volta, soprattutto tremiamo per lei, per Eluana, la ragazza che ora sappiamo sempre meglio è stata usata per una battaglia ideologica sulla vita umana. Usata fino alla fine. Fino a rubarle foto in punto di morte. E dunque qualcosa insorge, una specie di ira.
Eppure vogliamo, ancora una volta, che l’ultima parola non sia dell’ira ma della pietà. Per lei, e quindi per noi tutti, per la nostra fragile condizione umana, quella condizione che per certuni è solo occasione di scandalo ed è da occultare, far sparire, eliminare, e che invece per noi è fonte di apertura al mistero, fonte di pensiero, e, infine, di pietà. Vogliamo ancora una volta che domini non l’ira per la violenza di alcuni ma la passione per il destino di lei. La compassione. E quindi sapere che ha subìto anche quest’ultima ingiuria ce la fa sentire più cara, più importante, più indifesa. Che ne abbiano fatto oggetto anche di questa ultima violazione di dignità (cosa è fotografare un morente? ci sembra di vederli, furtivi…) fa aumentare ai nostri occhi la dignità della sua persona, e del suo sacrificio. E le parole che sarebbero solo d’ira si trasformano, per quanto duramente, in parole di onore per lei. In silenzio di preghiera per lei, che era la 'cosa' importante, la 'cosa' centrale, la 'cosa' non da fotografare ma da amare e accudire. E per quanto quella oscura lobby della morte ha lavorato per violare il significato delle parole, per divaricarle dal loro reale significato, per confonderle, noi proveremo ancora a riportare le parole dall’ira alla pietà, dallo scontro alla ricerca dell’incontro. E dal disonore all’onore.
Oggi più di ieri c’è in gioco per tutti – anche per coloro che su questa vicenda hanno avuto pensieri e posizioni diversi dai nostri – lo sguardo con cui guardiamo la vita ferita, la vita colpita.
Se con il distacco cinico di chi fotografa chi sta morendo o con la passione di chi non lascia nulla di intentato, nel rispetto della dignità e del valore invisibile e infinito della vita di ogni persona.