Nella rassegna stampa di oggi:
1) Eluana, governo vara il decreto – dal Tgcom del 6.2.2008
2) Caso Eluana, parla l'ateo Jannacci - Autore: Fabio Cutri Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.corriere.it - venerdì 6 febbraio 2009 - Riportiamo dal Corriere della Sera questa intervista, su cui riflettere.
3) Una firma per l'Italia - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.samizdatonline.it - venerdì 6 febbraio 2009 Lettera al Presidente della Repubblica e a chi può fare qualcosa...
4) Comunicato stampa sulla vicenda di Eluana Englaro - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: La Sezione U.G.C.I. di Forlì Cesena - giovedì 5 febbraio 2009 - Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo utile intervento: UNIONE GIURISTI CATTOLICI DI FORLI’ CESENA “SAMUELE ANDREUCCI” Piazza del Popolo, 44 – Cesena Tel. 0547.611878
5) Eluana e una lista di contraddizioni - Autore: Zappa, Gianluca Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 5 febbraio 2009
6) Regno Unito: infermiera sospesa per aver proposto di pregare - Poteva essere offensivo per altri pazienti - di Nieves San Martín
7) Obama ha un grande maestro: il teologo luterano Reinhold Niebuhr - Che fu un caposcuola non del pacifismo ma del "realismo" nei rapporti tra gli stati, cioè del primato dell'interesse nazionale e dell'equilibrio tra le potenze. È uscita a Roma una suggestiva analisi del suo pensiero. Ispirato alla "Città di Dio" di sant'Agostino - di Sandro Magister
8) Relegare la religione al privato, "violazione della libertà religiosa" - Il Cardinal Bertone difende la "laicità positiva"
9) 06/02/2009 12:27 – MALAYSIA - Campagna stampa islamica contro il giornale cattolico, che non può difendersi - I media islamici cercano di provocare accusando il giornale di usare la parola “Allah” e provocare ogni male sulla nazione. L’arcivescovo di Kuala Lumpur sceglie il silenzio - forse per non provocare tensioni inutili – e attende la decisione della Corte suprema. La Chiesa ha infatti citato il governo in tribunale perché il divieto viola la libertà religiosa garantita dalla Costituzione.
10) Da padre a padre. Caro Sig. Englaro... - Mario Dupuis - venerdì 6 febbraio 2009 - Pubblichiamo la lettera aperta a Beppino Englaro scritta per ilsussidiario.net da Mario Dupuis, fondatore e presidente dell’opera Edimar (realtà educativa che accoglie ragazzi disagiati), nel 14esimo anniversario della morte della figlia Anna, cerebrolesa grave – IlSussidiario.net
11) NOTTE DI DOMANDE A 'LA QUIETE' - QUELLA TOSSE SQUASSA LE PRIME COSCIENZE - LUCIA BELLASPIGA – Avvenire, 6 febbraio 2009
Eluana, governo vara il decreto – dal Tgcom del 6.2.2008
Iniziata diminuzione dell'alimentazione
Nonostante la lettera inviata dal Quirinale che invitava il governo a non presentare decreti contro le sentenze, l'esecutivo ha varato un provvedimento sul caso di Eluana Englaro. Secondo quanto riferito dall'avvocato Franca Alessio, curatrice della donna in stato vegetativo da 17 anni, nella casa di cura di Udine "La Quiete" è però iniziata la procedura per l'interruzione dell'alimentazione artificiale.
15.28 - Berlusconi: "Napolitano non firma decreto? Camere votino legge in anticipo". Se il Presidente della Repubblica non intende firmare il decreto sullo stop alla morte di Eluana, interventano le Camere approvando misure che anticipino una legge in materia. Lo ha dichiarato il premier, Silvio Berlusconi. Il presidente del Consiglio ha poi giustificato l'esigenza del dl con l'urgenza dell'azione e con il fatto che, a suo avviso, "Eluana è persona viva". Se il Presidente della Repubblica Napolitano, "caricandosi di questa responsabilità nei confonti di una vita", non firmasse il decreto varato dal Consiglio dei ministri, "noi inviteremmo immediatamente il Parlamento a riunirsi ad horas ed approvare in pochissimo tempo, due o tre giorni, una legge che anticipasse quella legge che è già nell'iter legislativo, e cioè quella che contiene questa norma". Sono state le parole del presidente Berlusconi. Il Capo dello Stato, ha ricordato Berlusconi, "ha inviato una lettera, con cui praticamente si introduceva una innovazione, quella cioé che il Capo dello Stato in corso d'opera di un Consiglio dei ministri puo' intervenire anticipando la decisione del Cdm circa la sussitenza dei requisiti di necessità e urgenza". Per questo si è deciso all'unanimità di varare il dl e affermare con forza che il giudizio sulla necessità e urgenza è assegnato alla responsabilità del governo". In mancanza di un intervento urgente, ha chiarito il premier, "la cittadina Eluana sarebbe l'unica vittima di una situazione che non si ripeterebbe più, perchè dopo la legge tutti i cittadini avrebbero la certrezza di non vedersi sottratta in stato vegetativo l'acqua e il cibo".
15.26 - Vaticano: "Governo coraggioso". "Il governo ha fatto un gesto di grande coraggio, che sarà apprezzato dalla grande maggioranza di tutti i cittadini" è il commento di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, all'approvazione del decreto d'urgenza sul caso Englaro da parte del Governo. "Il gesto sarà apprezzato dalla grande maggioranza degli italiani - aggiunge monsignor Fisichella - che stanno seguendo questa vicenda con grande partecipazione e non riescono a capire come sia possibile che ad una ragazza che sta bene, anche se in coma, possa essere tolta l'alimentazione e l'idratazione. Pur nella differenza delle competenze che abbiamo - conclude Fisichella - ci rallegriamo che le istanze che abbiamo portato avanti in questi mesi sono state ascoltate e accolte".
15.13 - Lettera Napolitano: "Evitare contrasto formale". "Confido che una pacata considerazione delle ragioni da me indicate valga ad evitare un contrasto formale in materia di decretazione". Si conclude così, secondo quanto si e' appreso da fonti del governo, la lettera che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per invitare il governo a rinunciare a varare un decreto legge sulla vicenda di Eluana Englaro. Il capo dello Stato, nella missiva, cita una serie di precedenti di decreti legge respinti da suoi predecessori perché in contrasto con sentenze passate in giudicato.
14.45 - Berlusconi: "Siamo nel giusto". Sulla vicenda di Eluana Englaro andiamo avanti perché siamo nel giusto. Così il premier Silvio Berlusconi avrebbe spiegato in consiglio dei ministri la scelta di proseguire sulla strada del decreto nonostante lo stop del Quirinale.
14.20 - Il Cdm vara il decreto sul caso Englaro. Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto sul caso di Eluana Englaro. Lo si apprende da fonti di governo che ha votato all'unanimità.
12.46 - Napolitano contrario. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso un parere negativo sull'ipotesi di un decreto legge per intervenire sul caso di Eluana Englaro. Dopo i contatti informali che si sono tenuti stamani, il capo dello Stato ha messo nero su bianco la posizione del Colle sulla vicenda, scrivendo una lettera indirizzata a Berlusconi, della quale è stata data lettura in Consiglio dei ministri.
Caso Eluana, parla l'ateo Jannacci - Autore: Fabio Cutri Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.corriere.it - venerdì 6 febbraio 2009 - Riportiamo dal Corriere della Sera questa intervista, su cui riflettere.
Caso Eluana, parla l’ateo Jannacci: allucinante fermare le cure
«La vita è importante anche quando è inerme e indifesa. Fosse mio figlio mi basterebbe un battito di ciglio»
MILANO - Ci vorrebbe una carezza del Nazareno» dice a un certo punto, e non è per niente una frase buttata lì, nella sua voce non c’è nemmeno un filo dell’ironia che da cinquant’anni rende inconfondibili le sue canzoni. Di fronte a Eluana e a chi è nelle sue condizioni — «persone vive solo in apparenza, ma vive » — Enzo Jannacci, «ateo laico molto imprudente», invoca il Cristo perché lui, come medico, si sente soltanto di alzare le braccia: «Non staccherei mai una spina e mai sospenderei l’alimentazione a un paziente: interrompere una vita è allucinante e bestiale».
È un discorso che vale anche nei confronti di chi ha trascorso diciassette anni in stato vegetativo?
«Sono tanti, lo so, ma valgono per noi, e non sappiamo nulla di come sono vissuti da una persona in coma vigile. Nessuno può entrare nel loro sonno misterioso e dirci cosa sia davvero, perciò non è giusto misurarlo con il tempo dei nostri orologi. Ecco perché vale sempre la pena di aspettare: quando e se sarà il momento, le cellule del paziente moriranno da sole. E poi non dobbiamo dimenticarci che la medicina è una cosa meravigliosa, in grado di fare progressi straordinari e inattesi».
Ma una volta che il cervello non reagisce più, l’attesa non rischia di essere inutile?
«Piano, piano... inutile? Cervello morto? Si usano queste espressioni troppo alla leggera. Se si trattasse di mio figlio basterebbe un solo battito delle ciglia a farmelo sentire vivo. Non sopporterei l’idea di non potergli più stare accanto».
Sono considerazioni di un genitore o di un medico?
«Io da medico ragiono esattamente così: la vita è sempre importante, non soltanto quando è attraente ed emozionante, ma anche se si presenta inerme e indifesa. L’esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque. Decidere di interromperla in un ospedale non è come fare una tracheotomia...».
Cosa si sentirebbe di dire a Beppino Englaro?
«Bisogna stare molto vicini a questo padre».
Non pensa che ci possano essere delle situazioni in cui una persona abbia il diritto di anticipare la propria morte?
«Sì, quando il paziente soffre terribilmente e la medicina non riesce più ad alleviare il dolore. Ma anche in quel caso non vorrei mai essere io a dover “staccare una spina”: sono un vigliacco e confido nel fatto che ci siano medici più coraggiosi di me».
Come affronterebbe un paziente infermo che non ritiene più dignitosa la sua esistenza?
«Cercherei di convincerlo che la dignità non dipende dal proprio stato di salute ma sta nel coraggio con cui si affronta il destino. E poi direi alla sua famiglia e ai suoi amici che chi percepisce solitudine intorno a sé si arrende prima. Parlo per esperienza: conosco decide di ragazzi meravigliosi che riescono a vivere, ad amare e a farsi amare anche se devono invecchiare su un letto o una carrozzina».
Quarant’anni fa la pensava allo stesso modo?
«Alla fine degli anni Sessanta andai a specializzarmi in cardiochirurgia negli Stati Uniti. In reparto mi rimproveravano: “Lei si innamora dei pazienti, li va a trovare troppo di frequente e si interessa di cose che non c’entrano con la terapia: i dottori sono tecnici, per tutto il resto ci sono gli psicologi e i preti”. Decisero di mandarmi a lavorare in rianimazione, “così può attaccarsi a loro finché vuole”... ecco, stare dove la vita è ridotta a un filo sottile è traumatico ma può insegnare parecchie cose a un dottore. C’è anche dell’altro, però».
Che cosa?
«In questi ultimi anni la figura del Cristo è diventata per me fondamentale: è il pensiero della sua fine in croce a rendermi impossibile anche solo l’idea di aiutare qualcuno a morire. Se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo, eccome, però avremmo così tanto bisogno di una sua carezza».
Fabio Cutri
06 febbraio 2009
Una firma per l'Italia - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.samizdatonline.it - venerdì 6 febbraio 2009 Lettera al Presidente della Repubblica e a chi può fare qualcosa...
Ill.mo Presidente,
c’è davvero poco tempo perché l’irreparabile non si compia. Il riferimento ovvio è alla dolorosa vicenda della famiglia Englaro, una vicenda che sta davvero tenendo con il fiato sospeso l’intera nostra Nazione. Non c’è tempo da perdere, caro Presidente, il destino di Eluana sembra inevitabilmente segnato e in questa circostanza ci rendiamo conto che solo l’autorevolezza di cui Lei gode potrà evitare al Paese di assistere ad uno dei fatti più gravi della storia repubblicana. Siamo degli umili e onesti cittadini, padri e madri di famiglia che quotidianamente lavorano, accudiscono e educano i propri figli, si impegnano nel sociale a favore dei più sfortunati tra di noi e ciò perché siamo interessati a rendere grande la Nazione di cui siamo figli orgogliosi. Presidente Le chiediamo un atto di compassione verso tutti noi, Le chiediamo di firmare il decreto del governo che vieta l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione. Non vorremmo che, svanita l’ipotesi decreto, tutto tornasse a tacere, esso al contrario potrebbe fungere da ulteriore spinta perché finalmente si giunga ad una normativa condivisa sul fine vita.
Lei più volte ha dimostrato di tenere alle sorti del Paese più di qualunque altra cosa, siamo inoltre convinti che le sentenze e la magistratura vadano rispettate e proprio per questo Le chiediamo, come dei figli chiedono ad un padre, di non farci assistere alla morte di una povera disabile per fame e sete.
Facciamo in modo che, anche in questa vicenda drammatica, caratterizzata da una forte dialettica e contrapposizione, l’Italia rimanga quel grande Paese che è sempre stato, un Paese civile e radicato nei valori in cui crede.
Un saluto
Scriviamo (possibilmente ognuno di proprio pugno) al presidente della Repubblica:
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Comunicato stampa sulla vicenda di Eluana Englaro - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: La Sezione U.G.C.I. di Forlì Cesena - giovedì 5 febbraio 2009 - Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo utile intervento: UNIONE GIURISTI CATTOLICI DI FORLI’ CESENA “SAMUELE ANDREUCCI” Piazza del Popolo, 44 – Cesena Tel. 0547.611878
Siamo un gruppo di giuristi di Forlì e Cesena, che da poco hanno dato vita ad una sezione locale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani.
La delicata decisione assunta dal padre di Eluana Englaro di sospendere l’alimentazione e l’idratazione della figlia in situazione di coma persistente;
le modalità con cui detta decisione è stata avallata dai giudici, specie con la sentenza della Corte di Cassazione 21748/2007, a cui è seguito il decreto della Corte di Appello di Milano 9 luglio 2008, con cui la prima sezione civile ha accolto il ricorso proposto da Beppino Englaro, ed ha autorizzato l’interruzione del trattamento di sostegno vitale di Eluana, sulla base di un “presunto” consenso che avrebbe espresso la figlia a suo tempo, tratto peraltro dal suo “stile di vita”;
la recentissima sentenza del T.A.R. Lombardia, secondo la quale – una volta affermato il diritto – sarebbe obbligo dell’Amministrazione Sanitaria addirittura “indicare la struttura sanitaria dotata di requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi” tali da attuare il suo “diritto assoluto a rifiutare il trattamento sanitario”, al fine di apprestare “tutte le misure, suggerite dagli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, atte a garantire un adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio della persona, durante tutto il periodo successivo alla sospensione del trattamento di sostegno vitale”;
ma soprattutto l’odierna decisione di attuare quanto sopra presso la clinica (anzi, Azienda pubblica per i Servizi alla Persona) “La Quiete” di Udine, sicché Eluana sarà la prima persona a morire per fame e per sete in Italia (epperò con la garanzia di un “adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio”);
tutto ciò ci porta a far sentire forte la nostra voce dissenziente, anche e soprattutto dal punto di vista dell’operazione giuridica che è stata realizzata.
Nonostante quanto dichiarato dal Presidente Grechi della Corte d’Appello di Milano, secondo cui i giudici “non hanno invaso territori altrui” e consapevoli che qualunque decisione giudiziaria può essere legittimamente criticata, ci permettiamo di considerare come i magistrati abbiano – in questa vicenda – quanto meno forzato la mano: aspettando una legge sull’eutanasia che non arrivava, hanno ritenuto che ci fossero già sin d’ora le condizioni per stabilire un diritto della persona ad abbreviare la propria vita, con una decisione del tipo di quelle che si sogliono chiamare “creatrici di diritto”.
Ma vi sono, nel nostro ordinamento, norme espresse (gli articoli 579 e 580 del codice penale, che puniscono l’omicidio del consenziente e l’aiuto al suicidio; o l’art. 5 c.c. che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica) che dicono tutto il contrario
In primo luogo, quindi, non pare legittimo che la drammatica vicenda – dirompente per tutti, per le profonde questioni umane e di fede che pone – possa essere affrontata con l’introduzione per via giudiziale di un principio che (non solo in una situazione di vuoto legislativo, ma in presenza addirittura di norme penali di segno opposto) si presenta formulato come un vero e proprio comma di legge (una sorta di esimente o di deroga alle ipotesi di reato previste, riguardante una condotta legittimata dall’autorizzazione del giudice in presenza di date condizioni).
In secondo luogo, queste decisioni ci appaiono profondamente ingiuste perché vanno oltre il principio da loro stesse affermato.
Infatti, se è vero che è diritto di ogni persona quello di non essere sottoposta a trattamenti sanitari obbligatori (se non nei casi previsti dalla legge), perché questo (ma questo soltanto!) dispone l’articolo 32, secondo comma, della Costituzione, non è però vero che questo diritto possa automaticamente essere interpretato come un diritto ad ottenere prestazioni mediche che favoriscano l’eutanasia.
In particolare, si ritiene che il diritto di rifiuto delle cure sia un diritto di libertà negativa, che impedisce intrusioni altrui nella propria scelta (espressa, attuale ed informata).
Detto diritto (anche portato alle estreme conseguenze del cd. lasciarsi morire, ossia dell’eutanasia passiva, che comunque anch’essa non si ritiene rinvenibile nell’ordinamento giuridico, art. 5 richiamato) non può mai trasmutare in pretesa di un comportamento “attivo” nei confronti di terzi, chiamati a realizzare la scelta dell’interessato (quando quest’ultimo sia impossibilitato), perché detta eventuale azione di intervento attivo del terzo è (oltre che contrastante con i sacrosanti principi di deontologia medica, per cui la finalità del medico è quella di curare e salvare la vita delle persone) integrativa delle fattispecie vietate sopra richiamate.
Non può poi non accennarsi alla parte più debole delle sentenze, riguardante l’assoluta “presunzione” del consenso che è stato ritenuto valido per sospendere l’alimentazione e l’idratazione di Eluana, individuato “ricostruendo – dice la Cassazione – la decisione ipotetica che il paziente avrebbe assunto ove fosse stato capace, tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti” (si pensi che ciò si riferisce alla decisione di morire; ed ora si pensi a ciò che succederebbe se la decisione di lasciare a Tizio o a Caio una parte del patrimonio fosse desunta dalla personalità o dallo stile di vita del testatore…).
Allo stesso modo deve rilevarsi l’assoluta insufficienza di una tale presunta volontà, anche così ricostruita, a legittimare un atto di disposizione di quei “diritti personalissimi” (come quello alla vita), considerati dalla stessa giurisprudenza indisponibili ed intrasmissibili.
Ma ciò che più sconcerta, a parte le analisi tecnico giuridiche che hanno segnato il caso, è il fatto che i magistrati che sono intervenuti nel merito del caso paiono giocare con le parole.
Si ha un bel dire – sia da parte della Corte di Cassazione, che da parte del T.A.R. Lombardia – che «tale ipotesi non costituisce, secondo il nostro ordinamento, una forma di eutanasia, bensì la scelta insindacabile del malato a che la malattia segua il suo corso naturale fino all’inesorabile exitus».
Qui non si è meramente di fronte al rispetto di una scelta personalissima (come quella di non farsi curare). Rispettare una scelta, infatti, non comporta il dovere di cooperare con chi la compie per aiutarlo nel realizzarla, quando si ritiene che tale scelta sia eticamente e socialmente e deontologicamente criticabile (e soprattutto quando non si sappia con certezza se la scelta sia veramente tale).
Fermo restando poi che nel caso di Eluana Englaro non vi è alcuna condizione di malattia, né alcun trattamento terapeutico (e tanto meno “accanimento” in tal senso) in atto. Come autorevoli fonti hanno, e non solo in questi giorni, ma già da tempo, spiegato e chiarito, Eluana è perfettamente sana, ancorché in condizioni di grave disabilità e non autosufficienza. E difatti ella non abbisogna di alcuna cura o medicinale, ha regolari ritmi veglia-sonno, non ha necessità di ausilio di alcun macchinario. Semplicemente, durante le ore notturne, riceve l’alimentazione e l’idratazione attraverso un sondino (significativo, in proposito, l’articolo pubblicato su Avvenire del 3.2.2009, dal titolo “Se questa è una donna che va portata a morire”, dove viene descritta dettagliatamente la giornata di Eluana). Né si può considerare, al contrario di quanto artatamente e contraddittoriamente sostenuto dalla Corte d’Appello di Milano e dal T.A.R. Lombardina, che mai e poi mai l’alimentazione e l’idratazione, ancorché somministrati mediante sondino naso-gastrico o “p.e.g.”, possono essere considerati “atto terapeutico” o “accanimento terapeutico”: dare da mangiare e da bere ad una persona non autosufficiente non costituisce mai, senza tema di smentita e nonostante le diverse e superficiali affermazioni contenute nei provvedimenti giudiziari succedutisi, una “cura”, ma è un semplice e naturale gesto di soddisfazione di un bisogno primario di ogni individuo. Come non si può non riflettere sul dato terrificante, reso noto ieri, che la procurata morte per fame e per sete è prevista, per Eluana, nel volgere di tre settimane?! Immaginiamo solo per un momento, o proviamo a farlo, per quanto ci è dato nella nostra condizione, la sofferenza di una persona costretta per tre settimane senza cibo e acqua. Ma Eluana avverte cosa accade attorno a lei? Sente quello che viene detto? Nessuno lo sa, né lo può dire. Nessun neurologo, nessuno scienziato ha mai saputo varcare la soglia misteriosa e valutare quanta coscienza resti a persone in queste condizioni. Loro, quando ne escono, raccontano: « Sentivamo tutto, non sapevamo dirvelo».
E se anche Eluana sentisse tutto, e non sapesse dirlo?
In conclusione, la scrivente Unione locale dei giuristi cattolici italiani auspica che immediatamente vi sia ripensamento, da parte dei genitori di Eluana Englaro nonché degli amministratori dell’ASP La Quiete di Udine, sulla decisione di porre fine alla vita di Eluana procurandole la morte per fame e per sete; che altrettanto immediatamente vi sia presa di coscienza, da parte di ogni Autorità e/o amministrazione competente, che il nostro ordinamento, nonostante la “creativa” visione di alcuni giudici, non consente una conclusione della vita di Eluana come quella che si sta purtroppo delineando; che sia posto pertanto immediatamente in atto qualsiasi legittimo strumento idoneo ad impedire il compiersi di tale tragico evento; che infine il Parlamento intervenga con la massima rapidità per approvare una legge sulla fine della vita umana e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (peraltro da dimostrarsi rigorosamente), che risponda a minimi requisiti di giustizia e che, nel riconoscere il diritto al dichiarante di chiedere o rifiutare specifici trattamenti sanitari, escluda quelli che comportino eutanasia attiva o passiva (e la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione è eutanasia!).
La Sezione U.G.C.I. di Forlì Cesena
Eluana e una lista di contraddizioni - Autore: Zappa, Gianluca Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 5 febbraio 2009
Caso Eluana Englaro. Adesso che si è trovato il lager e i carnefici che daranno la morte alla donna, dopo aver scritto fiumi di parole (persino in musica), non ci resta che riassumere alcune pesanti contraddizioni della vicenda. Contraddizioni reperite a livello laico e razionale, per piacere a coloro che in casi come questo non vogliono sentire argomenti di tipo religioso.
FARMACI. Finora Eluana è stata tenuta in vita principalmente idratandola e nutrendola. Come si idrata e si nutre un qualsiasi bambino. Niente medicine. I farmaci saranno necessari d’ora in poi, per “aiutarla” a morire.
CERTEZZE 1. Il padre e il medico che farà il lavoro sporco non hanno dubbi: Eluana è morta diciassette anni fa (abbiamo tutti sentito la dichiarazione alla stampa). E’ un falso: Eluana non è morta. E’ viva e sarà portata alla morte. Se barano con le parole è solo per mettersi a posto con la coscienza.
CERTEZZE 2. Eluana, essendo morta, secondo costoro non soffrirà. Ne sono certi. Ma allora vuol dire che non soffre nemmeno adesso. E dunque, per quale dannato motivo bisogna farla morire prima del tempo?
CERTEZZE 3. Quelle che l’ineffabile Presidente della Camera, on. Fini, dice di non avere. Ovviamente si riferisce alle certezze del partito anti-eutanasia. Ma se non ci sono certezze, non sarebbe proprio il caso di lasciare tutto come sta?
PAROLE. Come suonano strane, in questo contesto! Un giornalista parla del medico che ha “in cura” Eluana. Tragico lapsus. Un’altra pesa meglio le parole: il medico che si “occuperà” di Eluana. Lessico evasivo, nel secondo caso; amaramente contraddittorio nel primo. In ogni caso, le parole non riescono più ad adattarsi alla figura di un medico. Occorrerà trovare un nuovo lessico, che attenui le atroci ed evidenti contraddizioni.
TESTAMENTO BIOLOGICO. Non c’è stato alcun testamento di questo tipo (d’altro canto non ancora previsto dalle legge italiana). Pare che Eluana, allora minorenne, abbia espresso il proprio parere davanti al caso di un suo amico. Unica fonte attendibile: il signor Englaro. In Italia una minorenne non ha il diritto di firma (a scuola, per esempio, quando fa un’assenza), né quello di condurre un’autovettura, né il diritto di voto. Ma in questo caso, in questo unico caso, ci si appella alla sua “decisione”. In realtà per lei deciderà il padre. Che confusione!
ACCANIMENTO TERAPEUTICO. Questo non è un caso di accanimento terapeutico (Eluana non è tenuta in vita artificialmente). Semmai è un caso di accanimento necrofilo. Eluana deve morire perché è già morta. E il padre non sente ragioni. Nemmeno quelle delle suorine, che l’hanno pregato e ripregato: la lasci a noi! Per quelle suorine, che l’hanno accudita fino ad oggi, Eluana non è una morta. Perché non possono continuare a vegliare su di lei?
PROSPETTIVE. Lasciamo stare la retorica mistica di quelli che tirano in ballo la religione quando fa comodo a loro, e che poeticamente ripetono “Lasciamola tornare alla casa del Padre!”. Noi non siamo Rosy Bindi, e abbiamo deciso di tenere fuori la fede. Tra due settimane Eluana andrà sotto terra, preda dei vermi e della decomposizione. Fino ad oggi è stata nutrita e accudita, nella speranza di un risveglio. Quale condizione, quale prospettiva è migliore?
SILENZIO. E’ il ritornello pietoso. Tutti zitti di fronte al dolore della famiglia. Troppo facile, farisaico, pilatesco. Quella famiglia sta combattendo con ogni mezzo per condannare a morte un essere umano. Questa è eutanasia e (con tutta la comprensione per gli Englaro) la cosa non può passare sotto silenzio. Altrimenti passa il principio che al dolore soggettivo di una persona tutto è consentito. Provate voi a declinare in tutti i casi possibili ed immaginabili un tale principio. E’ devastante!
MAGISTRATI. Giusto dire che non ce la possiamo prendere con i magistrati, perché la colpa reale è della politica che non fa le leggi. Ma questa vicenda è comunque esemplare: il sonno della politica genera mostri!
SANITA’. Le strutture sanitarie, per la prima volta nella storia dell’umanità, sono legalmente autorizzate e quasi istigate a dare la morte al paziente, invece che le cure per la vita. Purchè lo facciano con tutta la delicatezza possibile. Ad Eluana toglieranno l’alimentazione e l’idratazione, ma la sentenza prevede che ogni tanto le si bagnino le labbra. Al condannato sul patibolo non si nega la spugna imbevuta d’aceto. Non si sa se ridere o piangere!
E qui mi fermo. Ma la lista potrebbe continuare. Ai nostri lettori il compito appassionante di trovare altre laiche e razionali obiezioni a questa vicenda paradossale e disumana.
Regno Unito: infermiera sospesa per aver proposto di pregare - Poteva essere offensivo per altri pazienti - di Nieves San Martín
LONDRA, venerdì, 6 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Un'infermiera cristiana battista, sospesa per essersi offerta di pregare per una paziente, ha ricevuto questo lunedì grande sostegno da parte di organizzazioni mediche e religiose, pazienti e cappellani ospedalieri, secondo quanto rende noto il quotidiano britannico Daily Mail.
Mentre i cappellani hanno chiesto nuovi orientamenti per il sistema sanitario nazionale per quanto riguarda l'assistenza spirituale ai pazienti, il Christian Medical Fellowship ha affermato che la sospensione di Caroline Petrie è un atto di “discriminazione religiosa”.
La signora Petrie, cristiana impegnata di 45 anni, affronta un'azione disciplinare dopo essere stata accusata di non rispettare l'impegno di uguaglianza e diversità. Potrebbe essere licenziata per aver chiesto a una paziente anziana se voleva che pregasse per lei.
La paziente, May Phippen, di 79 anni, non si è sentita offesa, ma ha commentato con un'altra infermiera che poteva essere offensivo per altri pazienti.
La signora Petrie, che ha due figli, ha detto che la sua offerta di preghiera era il suo modo di augurare un miglioramento. “Non penso di aver fatto qualcosa di sbagliato – ha confessato –. Ho solo cercato di far sì che la paziente sapesse che pensavo a lei. E' il mio modo di dire 'spero che guarisca'”.
Obama ha un grande maestro: il teologo luterano Reinhold Niebuhr - Che fu un caposcuola non del pacifismo ma del "realismo" nei rapporti tra gli stati, cioè del primato dell'interesse nazionale e dell'equilibrio tra le potenze. È uscita a Roma una suggestiva analisi del suo pensiero. Ispirato alla "Città di Dio" di sant'Agostino - di Sandro Magister
ROMA, 6 febbraio 2009 – L'insediamento di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti è stato salutato dalla Santa Sede con espressioni di fiducia. Su "L'Osservatore Romano" del 28 gennaio il sacerdote e teologo newyorkese Robert Imbelli ha commentato positivamente il discorso inaugurale del nuovo presidente, in una nota in prima pagina dal titolo: "Per un vero patto di cittadinanza. Obama, Lincoln e gli angeli".
Tuttavia le righe finali della nota facevano balenare un timore. Imbelli accostava il discorso di Obama a quello di Abraham Lincoln del 1861, che terminava con una preghiera affinché prevalessero "gli angeli migliori della nostra natura". E proseguiva:
"Questa resta la speranza e la preghiera dell'America. Ma noi preghiamo anche affinché non vengano trascurati gli angeli dei bambini concepiti, ma ancora non nati. Preghiamo affinché i vincoli d'affetto della nazione raggiungano anche loro. Affinché non vengano esclusi dal patto di cittadinanza".
Imbelli è lo stesso che ha recensito con favore su "L'Osservatore Romano", la scorsa estate, il libro "Render Unto Caesar" dell'arcivescovo di Denver, Charles J. Chaput: un appello ai cattolici americani perché il loro "dare a Cesare", cioè il servire la nazione, consista nel vivere integralmente la propria fede nella vita politica.
L'arcivescovo Chaput, prima e dopo le elezioni presidenziali, è stato uno dei più decisi nel criticare il cedimento pro aborto di tanti cattolici e cristiani americani.
E i primi passi della nuova amministrazione hanno confermato i suoi timori. In un'intervista al settimanale italiano "Tempi" del 5 febbraio, alla domanda se Obama sia "un protestante da caffetteria", lui che "dice di essere cristiano ma è considerato il presidente più favorevole all'aborto di sempre", Chaput ha risposto:
"Nessuno può giustificare l'aborto e al tempo stesso proclamarsi cristiano fedele, ortodosso, protestante o cattolico che sia. [...] Penso però che il cristianesimo protestante, vista la sua grande enfasi sulla coscienza individuale, è più portato ad essere una 'caffetteria' di credenze".
Sta di fatto che, tra i primi atti della sua presidenza, Obama ha autorizzato i finanziamenti federali alle organizzazioni che promuovono l'aborto come mezzo di controllo delle nascite nei paesi poveri. Inoltre, ha annunciato il suo sostegno al Freedom of Choice Act, che toglierà i limiti all'aborto, e il finanziamento all'utilizzo delle cellule staminali embrionali.
* * *
Ciò non toglie che Obama sia, tra i presidenti americani, uno dei più espliciti nel dichiarare il fondamento religioso della propria visione.
In ripetute occasioni ha anche fatto i nomi dei suoi autori di riferimento, noti e meno noti: da Dorothy Day a Martin Luther King, da John Leland ad Al Sharpton.
Tra quelli da lui citati, ce n'è uno che ha un'importanza particolarissima: è il luterano Reinhold Niebuhr (1892-1971), professore alla Columbia University e poi allo Union Theological Seminary di New York.
Niebuhr fu anzitutto teologo, e di prima grandezzza, ma i suoi studi hanno inciso anche nel campo politico. È considerato un maestro del "realismo" nella politica internazionale, i cui massimi esponenti negli Stati Uniti, nella seconda metà del Novecento, sono stati Hans Morgenthau, George Kennan, Henry Kissinger.
Ispirarsi o no a Niebuhr – e alla sua interpretazione e attualizzazione della "Città di Dio" di sant'Agostino – è decisione che orienta in modo determinante la visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo.
Ad esempio, niente è più distante dalle posizioni di Niebuhr del pacifismo. Ma è l'insieme del pensiero di questo grande teologo che è utile approfondire.
È quanto fa, nel saggio che segue, il massimo esperto italiano di Niebuhr, Gianni Dessì, docente di filosofia e di storia delle dottrine politiche all'Università di Roma Tor Vergata.
Il saggio è uscito pochi giorni fa sull'ultimo numero dell'edizione italiana di "30 Giorni", il mensile cattolico forse più letto dai vescovi di tutto il mondo, nelle sue edizioni in più lingue.
"30 Giorni" è diretto dall'anziano senatore Giulio Andreotti – più volte presidente del consiglio e ministro degli esteri – e si occupa spesso di politica internazionale secondo una linea che si potrebbe definire "realista moderata": una linea che coincide con quella tradizionale della diplomazia vaticana.
Se il realismo di Niebuhr arriva alla Casa Bianca
di Gianni Dessì
In un colloquio di qualche tempo fa con David Brooks, uno dei più noti tra i commentatori politici conservatori del "New York Times", il neoeletto presidente Obama ha ricordato Reinhold Niebuhr come uno dei suoi autori preferiti (1).
Niebuhr, figura poco nota in Italia, è stato un teologo protestante, insegnante di etica sociale alla Columbia University di New York, che ha avuto una grande influenza sulla cultura politica nordamericana almeno a partire dal 1932, anno nel quale pubblicò "Uomo morale e società immorale", sino al 1971, anno della sua morte. Al suo realismo politico si sono riferiti intellettuali e politici, conservatori e liberali.
Hans Morgenthau e George Kennan, i più noti tra i liberali conservatori che nell'immediato dopoguerra elaborarono quell'insieme di motivazioni che avrebbero costituito il riferimento intellettuale di molti americani negli anni della guerra fredda, della contrapposizione al blocco sovietico, si riferirono esplicitamente a Niebuhr e al suo realismo politico (2).
D'altra parte anche Martin Luther King, certamente non un conservatore, fu particolarmente sensibile alle critiche di Niebuhr all'ottimismo della cultura liberale e all'idea che la giustizia potesse essere realizzata attraverso esortazioni morali: egli riconobbe che doveva a Niebuhr la consapevolezza della profondità e della persistenza del male nella vita umana (3).
Obama, intervistato da Brooks, affermava di dovere a Niebuhr "l'idea irrefutabile che c'è il male vero, la fatica e il dolore nel mondo. Noi dovremmo essere umili e modesti nel nostro credere di poter eliminare queste cose. Ma non dovremmo usarlo come scusa per il cinismo e l'inattività".
In poche espressioni vengono sottolineati alcuni aspetti essenziali delle posizioni di Niebuhr. L'idea che dal mondo siano ineliminabili "il male vero, la fatica, il dolore" rimanda alla critica di Niebuhr all'ottimismo che egli riteneva uno dei tratti costitutivi del pensiero religioso e sociale americano; così l'idea che anche colui che agendo politicamente si trovi a lottare contro la presenza dell'ingiustizia e del male debba essere "umile", rinvia alla consapevolezza che non è possibile eliminare il male dalla storia ed è pericolosa illusione crederlo.
D'altra parte tale persistenza del male non può essere scusa per "il cinismo e l'inattività". Viene delineata una posizione che intende evitare sia "l'idealismo ingenuo" sia il "realismo amaro" (nel linguaggio di Niebuhr: sia il sentimentalismo sia il cinismo).
Come nelle opere di Niebuhr si definisce questa prospettiva? Quali i suoi riferimenti storici e culturali?
Luigi Giussani, in Italia, già dalla fine degli anni Sessanta aveva colto la rilevanza del realismo di Niebuhr nel pensiero teologico e, più in generale, nella cultura statunitense.
Giussani ricordava come nella formazione del pastore protestante avesse certamente svolto un ruolo l'esistenzialismo teologico europeo, ma una "netta originalità segna sin dagli inizi la sua produzione, la cui ispirazione e le cui tendenze chiave si formano e delineano nell'esperienza vissuta come pastore della luterana Bethel Evangelical Church di Detroit" (4).
Niebuhr, giovanissimo, si trovò a essere pastore di una piccola comunità di Detroit negli anni dello sviluppo della casa automobilistica Ford e della prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1928. Di formazione liberale, egli sperimentò l'inadeguatezza dell'ottimismo antropologico di tale concezione e della sua declinazione sociale, quella del movimento del Social Gospel, nel comprendere la persistenza del male individuale e dell'ingiustizia. Furono gli anni dell'autocritica alle proprie convinzioni liberali e ottimistiche. Di fronte alle speranze di una moralizzazione della società attraverso la predicazione religiosa egli, in un appunto del 1927, constatava che "una città costruita attorno a un processo produttivo e che solo casualmente pensa e offre un'attenzione accidentale ai propri problemi è realmente una sorta di inferno" (5). Tale autocritica trovò piena espressione nel libro "Uomo morale e società immorale". In esso, come ha scritto Giussani, la "realtà inevitabile del male [...] è affermata e documentata contro ogni ottimismo che non veda l'impossibilità esistenziale del passaggio dalla coscienza del bene, che l'individuo ha, alla realizzazione di esso, impossibilità che specialmente nella sfera del collettivo si accusa in modo inesorabile" (6).
Il libro, del 1932, scritto durante gli anni nei quali Niebuhr subì l'influenza del marxismo, rappresentò negli Stati Uniti degli anni Trenta la denuncia forse più incisiva dell'ottimismo e del moralismo, da una parte, e dell'indifferenza e del cinismo, dall'altra, che avevano caratterizzato la società americana negli anni successivi alla prima guerra mondiale. Nel breve periodo che va dal 1917, l'anno dell'entrata in guerra dell'America, al 1919, l'anno dei trattati di pace che penalizzarono fortemente le nazioni sconfitte, si consumò l'idealismo del movimento progressista e del presidente Woodrow Wilson. Le motivazioni morali che Wilson e molti intellettuali progressisti avevano indicato come ragioni della partecipazione degli americani alla guerra erano state contraddette dall'esasperato realismo dei trattati di pace che esprimevano in modo palese la sanzione dei nuovi rapporti di forza tra le potenze vincitrici e quelle sconfitte.
Nell'America degli anni Venti, proprio in reazione alle crociate ideali di Wilson, si affermò un'esigenza di ritorno alla normalità, che trovò espressione nell'elezione del presidente Warren Harding il quale a tale ideale aveva ispirato la propria campagna elettorale.
In realtà la società americana di quegli anni conobbe uno sviluppo economico mai visto, la diffusione della pubblicità e del consumo di massa, insieme a una forte polarizzazione tra ricchi e poveri.
Tale società appariva agli occhi di un attento osservatore come Niebuhr la sconfessione, o la riduzione a retorica, di ogni forma di moralismo ed era caratterizzata dall'emergere di atteggiamenti sempre più cinici e disillusi.
L'emendamento XVIII alla costituzione, che vietava la produzione, il trasporto e la vendita di alcolici sul territorio americano, può essere considerato emblematico di questa situazione: esso, approvato nel 1919, come simbolo della battaglia per la moralizzazione dei costumi, favoriva di fatto lo sviluppo di diverse forme di criminalità organizzata che proprio dal commercio illegale di alcolici traevano i maggiori profitti.
Niebuhr, in quegli anni, riteneva che una società più giusta non sarebbe stata la conseguenza di esortazioni morali o religiose, ma di concrete iniziative storiche e politiche, che proprio in quanto tali avrebbero dovuto confrontarsi con realtà poco elevate.
Egli, che dal 1928 aveva lasciato Detroit e aveva iniziato a insegnare alla Columbia University di New York, ricorderà come proprio le esigenze dell'insegnamento lo abbiano condotto ad approfondire la conoscenza di sant'Agostino. In una intervista del 1956 affermava: "Mi sorprende, in un esame retrospettivo, notare quanto tardi io abbia iniziato lo studio di Agostino: ciò è ancora più sorprendente se si tiene presente che il pensiero di questo teologo doveva rispondere a molte mie domande ancora irrisolte e liberarmi finalmente dalla nozione che la fede cristiana fosse in qualche modo identica all'idealismo morale del secolo scorso" (7).
Il riferimento a sant'Agostino è stato centrale sia per quanto riguarda la consapevolezza delle ragioni che distinguono la fede dall'idealismo, sia per superare alcune aporie che Niebuhr aveva maturato nei primi anni della propria riflessione.
Il cristianesimo appare al giovane Niebuhr segnato da un aspetto, quello dell'assoluta gratuità, che si pone oltre ogni tentativo umano di realizzare gli ideali etici. L'uomo può, con grande sincerità, impegnarsi per realizzare sfere di convivenza caratterizzate da quello che Niebuhr definisce "mutual love", amore fondato sulla reciprocità: Cristo è invece testimone di un altro tipo di amore, definito "sacrifical love". Nel 1935 in "An Interpretation of Christian Ethics" egli aveva esplicitamente richiamato tale radicale differenza scrivendo: "Le esigenze etiche poste da Gesù sono d'impossibile compimento nell'esistenza presente dell'uomo [...]. Qualunque cosa meno dell'amore perfetto nella vita umana è distruttivo della vita. Ogni vita umana sta sotto un incombente disastro perché non vive la legge dell'amore" (8).
Nel 1940, riprendendo alcune di queste riflessioni e riferendole all'ambito politico, aveva sostenuto che una concezione "che aveva semplicemente e sentimentalmente trasformato l'ideale di perfezione del Vangelo in una semplice possibilità storica" aveva prodotto una "cattiva religione" e una "cattiva politica", una religione in contrasto con il dato essenziale della fede cristiana, e una politica irrealistica, che rendeva le nazioni democratiche sempre più deboli (9).
D'altra parte, pur criticando il sentimentalismo e l'ottimismo della cultura liberale, egli constatava l'ineliminabile presenza della certezza del significato dell'esistenza, della sua positività, come tratto caratteristico di un'esistenza sana. Questa certezza, scrive, "non è qualcosa che risulti da un'analisi sofisticata delle forze e dei fatti che circondano l'esperienza umana. È qualcosa che è riconosciuto in ogni vita sana [...]. Gli uomini possono non essere in grado di definire il significato della vita e malgrado ciò vivere attraverso la semplice fede la certezza che essa ha significato" (10).
L'opera nella quale tali diverse suggestioni trovano una sintesi è "The Nature and Destiny of Man", pubblicata in due volumi tra il 1941 e il 1943. In essa si legge: "L'uomo, secondo la concezione biblica, è un'esistenza creata e finita sia nel corpo, sia nello spirito" (11).
La chiave per comprendere la natura umana è da una parte il riconoscimento della creazione: l'ottimismo essenziale che caratterizza un'esistenza sana è legato alla percezione di essere creato, voluto da Dio. Dall'altra è la libertà umana, che, come segno posto da Dio nel cuore dell'uomo, come possibilità di aderire a tale intuizione o di rifiutarla, diviene assolutamente centrale. L'uomo può (e Niebuhr sembra dire "inevitabilmente") cercare soddisfazione nei beni creati e non in Dio. Il male nasce quando l'uomo conferisce a un bene particolare un valore assoluto: è l'uso sbagliato della libertà – il peccato – che genera il male, non la sensibilità o la materialità.
La presenza di Agostino in questa che è l'opera maggiore e più sistematica di Niebuhr è evidente e costante: la concezione realistica della natura umana che Niebuhr propone rimanda esplicitamente alla concezione biblica e ai testi agostiniani.
In un saggio del 1953, "Augustine's Political Realism", incluso nel volume dello stesso anno "Christian Realism and Political Problems", Niebuhr riconosce esplicitamente il suo debito nei confronti di Agostino e precisa in quale senso il santo sia da ritenere il primo grande realista del pensiero occidentale e perché la sua prospettiva gli sembri attuale.
Niebuhr inizia questo saggio offrendo una schematica definizione del termine realismo: esso "indica la disposizione a prendere in considerazione tutti i fattori che in una situazione politica e sociale offrono resistenza alle norme stabilite, particolarmente i fattori di interesse personale e di potere". Al contrario, l'idealismo, per i suoi sostenitori, è "caratterizzato dalla fedeltà agli ideali e alle norme morali, piuttosto che al proprio interesse"; cioè, per i suoi critici, da "una disposizione a ignorare o a essere indifferenti alle forze che, nella vita umana, offrono resistenza agli ideali e alle norme universali" (12). Niebuhr precisa che idealismo e realismo in politica sono disposizioni, più che teorie. In altri termini anche il più idealista degli individui dovrà inevitabilmente confrontarsi con i fatti, con la forza di ciò che è; anche il più realista dovrà confrontarsi con la tendenza umana a ispirare l'azione a valori ideali, a ciò che deve essere (13).
Niebuhr ritiene che sant'Agostino sia stato "per riconoscimento universale il primo grande realista nella storia occidentale. Egli ha meritato questo riconoscimento perché l'immagine della realtà sociale, nella sua 'Civitas Dei', offre un'adeguata considerazione delle forze sociali, delle tensioni e competizioni che sappiamo essere quasi universali a ogni livello di comunità" (14). Per il teologo protestante il realismo di sant'Agostino si lega alla sua concezione della natura umana, e in modo particolare al giudizio sulla presenza del male nella storia. Infatti per sant'Agostino "la fonte del male è l'amor proprio, piuttosto che un qualche residuo impulso naturale che la ragione non ha ancora dominato". Il male non deriva quindi né dalla sensibilità né dalla materialità, che non sono contrapposte allo spirituale. Il fare dei propri interessi materiali o ideali un fine ultimo è una caratteristica umana che ha a che vedere con la libertà e che si esprime in ogni livello dell'esistenza umana e collettiva, dalla famiglia alla nazione all'ipotetica comunità mondiale.
Il realismo di Agostino permette inoltre di rispondere all'accusa rivolta dai liberali a coloro che sostengono una concezione non ottimistica della natura umana: all'accusa cioè di considerare nello stesso modo e quindi di approvare qualsiasi forma di potere. "Il realismo pessimistico – scrive Niebuhr – ha infatti spinto sia Hobbes sia Lutero a una inqualificabile approvazione dello stato di potere; ma questo soltanto perché non sono stati abbastanza realisti. Essi hanno visto il pericolo dell'anarchia nell'egoismo dei cittadini, ma hanno sbagliato nel percepire il pericolo della tirannia nell'egoismo dei governanti" (15).
Il realismo di sant'Agostino, in altri termini, non cede al cinismo e all'indifferenza nei confronti del potere perché "mentre l'egoismo è naturale nel senso che è universale, non è naturale nel senso che non è conforme alla natura dell'uomo". Infatti "un realismo diviene moralmente cinico o nichilistico quando assume che una caratteristica universale del comportamento umano debba essere considerata anche come normativa. La descrizione biblica del comportamento umano, sulla quale Agostino basa il suo pensiero, può rifuggire sia l'illusione sia il cinismo perché essa riconosce che la corruzione della libertà umana può rendere universale un modello di comportamento senza farlo diventare normativo" (16).
L'idea di un realismo che sia in grado di evitare l'indifferenza, il cinismo e l'approvazione incondizionata di qualsiasi forma di potere, così come il sentimentalismo, l'idealismo e le illusioni nei confronti della politica e dell'esistenza umana, emerge con forza da questa rilettura che Niebuhr propone di sant'Agostino. A questa prospettiva – che, come ricordava Niebuhr, esprime una disposizione più che una teoria – sembra riferirsi Obama.
NOTE
(1) C. Blake, "Obama and Niebuhr", in "The New Republic", 3 maggio 2007.
(2) Cfr. R.C. Good, "The National Interest and Political Realism: Niebuhr's 'Debate' with Morgenthau and Kennan", in "The Journal of Politics", n. 4, 1960, pp. 597-619.
(3) C. Carson, "Martin Luther King, Jr., and the African-American Social Gospel", in Paul E. Johnson (ed.), "African American Christianity" University of California Press, Berkeley 1994, pp. 168-170.
(4) L. Giussani, "Grandi linee della teologia protestante americana. Profilo storico dalle origini agli anni Cinquanta", Jaca Book, Milano 1988 (I edizione 1969), p. 131.
(5) R. Niebuhr, "Leaves from the Notebook of a Tamed Cynic", The World Publishing Company, Cleveland 1957 (I edizione 1929), p. 169.
(6) L. Giussani, "Teologia protestante americana", cit., p. 132.
(7) R. Niebuhr, tr.it., "Una teologia per la prassi", Queriniana, Brescia 1977, p. 55.
(8) R. Niebuhr, "An Interpretation of Christian Ethics", Scribner's, New York 1935, p. 67.
(9) R. Niebuhr, "Christianity and Power Politics", Scribner's, New York 1952 (I edizione 1940), pp. IX-X.
(10) Ibid., p. 178.
(11) R. Niebuhr, "The Nature and Destiny of Man. A Christian Interpretation. Vol. I, Human Nature", Scribner's, New York 1964 (I edizione 1941), p. 12.
(12) R. Niebuhr, tr.it., "Il realismo politico di Agostino", in G. Dessì, "Niebuhr. Antropologia cristiana e democrazia", Studium, Roma 1993, pp. 77-78.
(13) Riprendo questa terminologia da Alessandro Ferrara, "La forza dell'esempio. Il paradigma del giudizio", Feltrinelli, Milano 2008, pp. 17-33. Una terza grande forza, oggetto del libro, è quella di "ciò che è come dovrebbe essere".
(14) R. Niebuhr, tr.it., "Il realismo politico di Agostino", cit., p. 79.
(15) Ibid., p. 85.
(16) Ibid., p. 88.
Relegare la religione al privato, "violazione della libertà religiosa" - Il Cardinal Bertone difende la "laicità positiva"
MADRID, giovedì, 5 febbraio 2009 (ZENIT.org).- "Voler imporre, come vuole il laicismo, una fede o una religiosità strettamente privata" presuppone "un'ingerenza nel diritto della persona a vivere le proprie convinzioni religiose come desidera o come queste richiedono".
Lo ha affermato il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, nella conferenza pronunciata questo giovedì nella sede della Conferenza Episcopale Spagnola in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Nel suo discorso, il porporato ha spiegato in cosa consiste la "laicità positiva" alla quale Benedetto XVI si è riferito varie volte, basata sul rispetto della libertà religiosa "come diritto primario e inalienabile della persona".
La libertà religiosa, ha osservato, "è la base delle altre libertà, la loro ragion d'essere", perché "oltrepassa l'orizzonte che cerca di limitarla a un aspetto intimo, a una mera libertà di culto o a un'educazione ispirata ai valori cristiani, per chiedere all'ambito civile e sociale libertà affinché le confessioni religiose possano svolgere la propria missione".
"Lo Stato democratico non è neutrale rispetto alla libertà religiosa, ma, come riguardo alle altre libertà pubbliche, deve riconoscerla e creare le condizioni per il suo effettivo e pieno esercizio da parte di tutti i cittadini", ha constatato.
Proprio per questo, è necessario che sia anche "assolutamente neutrale rispetto a tutte le varie opzioni particolari che i cittadini adottano nei confronti dell'elemento religioso in virtù di questa libertà".
Citando Benedetto XVI, il Cardinal Bertone ha aggiunto che "non è espressione di laicità, ma sua degenerazione in laicismo l'ostilità contro qualsiasi forma di rilevanza politica e culturale della religione; in particolare, contro la presenza di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche".
"Non è nemmeno segno di sana laicità negare alla comunità cristiana, e a quanti la rappresentano legittimamente, il diritto di pronunciarsi sui problemi morali che oggi interpellano la coscienza di tutti gli esseri umani, soprattutto dei legislatori e dei giuristi", ha aggiunto.
Il porporato ha spiegato che quando la Chiesa si pronuncia su un tema "non si tratta di un'indebita ingerenza", ma "dell'affermazione e della difesa dei grandi valori che danno senso alla vita della persona e salvaguardano la sua dignità".
"In definitiva, si tratta di mostrare che senza Dio l'uomo è perduto, che escludere la religione dalla vita sociale, in particolare l'emarginazione del cristianesimo, mina le basi stesse della convivenza umana, perché prima di essere di ordine sociale e politico queste basi sono di ordine morale".
Rispetto reciproco
Secondo il Cardinal Bertone, la Chiesa "non rivendica il ruolo dello Stato", ma rispetta "la giusta autonomia delle realtà temporali" e "chiede lo stesso atteggiamento riguardo alla sua missione nel mondo".
"Lo Stato non può rivendicare competenze, dirette o indirette, sulle convinzioni intime delle persone né imporre o impedire la pratica pubblica della religione, soprattutto quando la libertà religiosa contribuisce in modo decisivo alla formazione di cittadini autenticamente liberi", ha aggiunto.
Il porporato ha lamentato il fatto che oggi "la libertà religiosa sia lungi dall'essere assicurata effettivamente", visto che "in alcuni casi viene negata per motivi religiosi o ideologici" e in altri, "anche se viene riconosciuta teoricamente, è ostacolata di fatto dal potere politico o, in modo più velato, dal predominio culturale dell'agnosticismo e del relativismo".
"E' quindi inconcepibile che i credenti debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi. Per poter godere dei propri diritti non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio", ha avvertito.
Il Cardinal Bertone si è infine riferito al principio dell'uguaglianza delle confessioni religiose, che non deve confondersi, sottolinea, "con l'uniformità di trattamento giuridico di queste da parte della legge civile", ma deve "rispettare le loro peculiarità, tenendo anche presente il radicamento culturale e storico che ognuna ha nella società".
"Non è un'interpretazione corretta: il principio di uguaglianza, in effetti, viene indebolito se si trattano situazioni uguali in modo diverso, ma anche se si trattano situazioni diverse nello stesso modo".
06/02/2009 12:27 – MALAYSIA - Campagna stampa islamica contro il giornale cattolico, che non può difendersi - I media islamici cercano di provocare accusando il giornale di usare la parola “Allah” e provocare ogni male sulla nazione. L’arcivescovo di Kuala Lumpur sceglie il silenzio - forse per non provocare tensioni inutili – e attende la decisione della Corte suprema. La Chiesa ha infatti citato il governo in tribunale perché il divieto viola la libertà religiosa garantita dalla Costituzione.
Kuala Lumpur (AsiaNews) – Il giornale cattolico della diocesi di Kuala Lumpur, l'Herald, sta subendo una campagna di insulti e critiche per l’uso della parola “Allah”, da parte di molta stampa malaysiana e in particolare dell’Utusan Malaysia, un quotidiano nazionale. Negli ultimi tempi, a partire dal 1° febbraio, l’Utusan ha riportato un articolo al giorno con insulti e accuse di proselitismo verso il giornale cattolico; cercando di suscitare lo scandalo della popolazione musulmana per l’uso della parola “Allah” nel definire il Dio dei cristiani; accusando la pubblicazione di voler rovinare della nazione.
Mons. Murphy Nicholas Xavier Pakiam, arcivescovo della capitale, ha pubblicato una dichiarazione in cui si afferma che la diocesi e il giornale hanno deciso di “non fare alcun commento” alla campagna stampa fino a che non vi sarà “la decisione della Corte suprema” sul caso, che avverrà “nel tempo appropriato”.
La proibizione dell’uso della parola “Allah” data da oltre un anno e l’Herald ha perfino rischiato di chiudere se non si conformava alla decisione del ministero della Sicurezza interna, che vede nell’uso una possibile fonte di confusione per i musulmani e di conflitto fra le due comunità.
La diocesi ha citato il governo a giudizio e attende il verdetto della Corte suprema perché reputa il divieto una violazione ai diritti di libertà religiosa e di professione della propria fede, garantiti dalla Costituzione.
Secondo osservatori, la campagna mediatica contro l’Herald cerca di provocare i cristiani per far nascere tensioni e conflitti, che darebbero ragione alla presa di posizione del ministero per la sicurezza interna.
Accademici e politici hanno fatto notare a più riprese che l’uso della parola “Allah” da parte dei cristiani data da molto prima dello stesso Maometto e che in Indonesia, Paese vicino a maggioranza musulmana, i cristiani usano da secoli questa parola per definire il Dio cristiano, senza che vi sia alcuno scandalo.
Da padre a padre. Caro Sig. Englaro... - Mario Dupuis - venerdì 6 febbraio 2009 - Pubblichiamo la lettera aperta a Beppino Englaro scritta per ilsussidiario.net da Mario Dupuis, fondatore e presidente dell’opera Edimar (realtà educativa che accoglie ragazzi disagiati), nel 14esimo anniversario della morte della figlia Anna, cerebrolesa grave – IlSussidiario.net
Carissimo sig. Englaro,
le parlo da padre a padre. Ho avuto una figlia, Anna, cerebrolesa gravissima dalla nascita, colpita da asfissia neonatale, il suo cervello ha smesso di funzionare per sempre. Oggi ricorre il 14mo anniversario dalla sua morte, Anna è vissuta per 15 anni, non ha mai parlato, non ha mangiato, né bevuto da sola. Era nutrita attraverso la P.E.G. e per farla respirare dovevamo somministrarle ossigeno, ogni giorno aspirarle il catarro e drenare i suoi polmoni.
Ho provato a dire “Anna è un dono di Dio, la vita ha un valore inviolabile”, ma non mi bastava, perché quando la realtà appare in tutta la sua crudezza, vuoi capire che cosa hai davanti e cosa c’entra il limite con il tuo desiderio di felicità. Si passa dalla ribellione alla rassegnazione, ma la domanda sempre più assillante e implacabile era: come faccio a guardare tutto questo senza soccombere, senza diventare cinico e rinnegare che la vita ha un significato seppure misterioso? Ferito da questa impotenza ed incompiutezza, ma allo stesso tempo leale con queste domande, non volendo eluderle con facili risposte teoriche, mi sono “attaccato” a chi guardava Anna con una “strana” profondità e un’umanità diversa, che io, che ero suo padre non avevo. Questo è stato per me, all’inizio, motivo di grande disagio, fino a destare curiosità, percepivo che quella figlia lì, chiedeva qualcosa di profondo e di grande a me prima di tutto. Anna non si accontentava di essere trattata come figlia, non voleva essere ridotta al suo “stato”, Anna voleva essere trattata come qualcosa di più grande; Anna c’era per sfidare il mio solito modo - pur comprensibile e inevitabile - di ragionare e di reagire, che però censurava un fatto evidente: nella realtà c’è un quid che va oltre quello che vediamo. Se non ci accade qualcosa nella vita, non sappiamo dare un nome a questo “quid”, ma ciò non toglie che ci sia. Era evidente che ci fosse in Anna qualcosa di più grande che non riuscivo a nascondere a me stesso solo perché non lo vedevo, mentre ciò che vedevo mi generava dolore. Così ho imparato a conoscere Anna in modo nuovo, diverso, se non fosse stato così, avrei detto come tutti: sarebbe meglio se non fosse sopravvissuta.
Quando la realtà si presenta con il pungiglione della diversità e del limite esasperato, capisco che se uno non va fino in fondo, è costretto a rinnegare la realtà, ed è costretto a “staccare”, perché non ce la fa a sopportare una cosa che non sa guardare. Non ce la fa, e così si nega l’esperienza più umana che un uomo possa fare, quella di provare a guardare il limite fino al punto di desiderare con tutto se stesso qualcosa, qualcuno che può abbracciarlo. Non è innanzitutto una questione di “fede” o di valori condivisi; per me è stata una questione di lealtà con ciò che mi accadeva. E’ come se Anna mi dicesse: “Guarda papà che se il tuo cuore è fatto per un destino di felicità, allora è fatto per questo destino anche il mio, guardami così”. Questa è una sfida da accettare, non ci si può nascondere, questa sfida è come un tunnel, va percorso tutto, la devi fare tutta la strada per poter fare un’esperienza di bellezza anche dentro lì, fino ad arrivare alla certezza di un destino di felicità dentro l’apparenza di morte. Tutto ciò mi ha cambiato fino al midollo delle ossa, Anna è morta nel momento in cui cominciava ad essere più usuale trattarla così: non come essere bisognoso di tutto, ma come una persona che per il semplice fatto che c’è, è segno evidente che c’è un Altro che la vuole e che la porta al suo destino di felicità. Altro che rassegnazione in attesa dell’al di là, perché questo destino di felicità era così evidente che chi, guardandola, ne prendeva coscienza, cambiava. Così è cambiato il mio modo di guardare tutto il reale, me stesso e i miei figli e non solo gli handicappati. è successo così anche a tutti quegli amici che ci aiutavano e che a turno venivano ogni giorno a casa nostra a darci una mano e a fare compagnia ad Anna. Così è nata Ca’ Edimar a Padova: l’opera di accoglienza per adolescenti in difficoltà, dove viviamo in due famiglie insieme a 14 ragazzi, che per un certo periodo hanno bisogno di stare lontano da casa. Dove ogni giorno altri 60-70 ragazzi vengono a scuola di cucina. Gli amici di Anna da allora si dedicano ad opere di carità e accoglienza, tutto questo è nato dalla vita “inutile” di una bimba così!
Non la voglio convincere di nulla con questa mia testimonianza, ma solo dirle che mai avrei mai potuto immaginare che da un dolore così sarebbe nato un germoglio di novità umana. È proprio vero che la realtà ci sorprende oltre quello che noi vediamo e decidiamo. È così inutile la vita di una figlia immobile, quanti si domandano oggi grazie ad Eluana il significato della loro vita, perché chiudere la partita? Mi perdoni se ho osato scriverle.
Mario
NOTTE DI DOMANDE A 'LA QUIETE' - QUELLA TOSSE SQUASSA LE PRIME COSCIENZE - LUCIA BELLASPIGA – Avvenire, 6 febbraio 2009
M ettiamoci nei suoi panni: un viaggio allucinato e allucinante. Di notte, su un’ambulanza, lui e lei da soli, costretti dallo spazio angusto a una vicinanza che non era mai avvenuta prima, per ore uno in compagnia dell’altro, muti in due silenzi diversi. Vicini, terribilmente vicini. Si sono incontrati così, Eluana e il dottor Amato De Monte, e lui ne è uscito «devastato»: per l’aspetto di Eluana – si è detto e ha fatto intuire lui stesso, ma senza spiegarsi mai troppo, lasciando vaghi i contorni della sua «devastazione» – o forse per qualcos’altro che in quel viaggio gli ha ingombrato l’anima come un fastidio sottile e insistente, che lui ha voluto scacciare ma ogni tanto ancora gli torna?
Va, l’ambulanza, incrocia gocce di acqua e neve e i fari di altre vite viaggianti nella notte, ignare di quel carico di vita trasportato a morire, mentre Eluana dorme, perché questo fa di notte, da molti anni. Avrà vegliato, invece, il dottor De Monte, e quante volte avrà guardato quel sonno forse un po’ agitato dalla mancanza di un letto, sempre lo stesso da quindici anni, del tepore di una stanza, dei rumori e degli odori sempre uguali e rassicuranti, della carezza frequente di una suora? Poi è arrivata l’alba e un cancello si è inghiottito Eluana, nessuno l’ha più vista se non i volontari e il medico, ancora lui, taciturno con i giornalisti, scuro in volto, sempre frettoloso, anche la sera quando si allontana pedalando sulla bicicletta per le strade di Udine. «Eluana è morta diciassette anni fa», aveva detto in quell’alba di martedì scorso, lasciando con sollievo l’ambulanza e quella strana compagna di viaggio che l’aveva devastato, lui, medico anestesista e rianimatore che chissà quante ne deve aver viste in vita sua... Ma dopo una notte ne segue sempre un’altra, e un altro confronto con Eluana, che morta non è e quindi si agita... Passa la prima notte, la seconda andrà meglio – si dice il medico – ma così non è, perché Eluana non pare più la stessa, poche ore fuori casa e qualcosa è già cambiato. Tossisce, Eluana. Tossisce? Sì, tossisce, e di una tosse che squassa i suoi (forti) polmoni ma forse di più l’udito e le coscienze di chi l’ascolta e non sa che fare. Tossisce, si scuote, quasi si strozza e intanto, proprio come farebbe ciascuno di noi, tende e tirarsi su, cerca aria, solleva le spalle ma non riesce. Dove sono quelle mani che a Lecco sapevano sempre cosa fare? Perché non accorre chi immediatamente compiva quel piccolo gesto che dava sollievo? Eluana tossisce sempre più, una tosse che accenna ad essere ribellione di un corpo, che è richiesta, che è grido. Una tosse che, beffarda, sembra fare il verso a chi dice 'Eluana è morta diciassette anni fa': no, un morto non si agita nel letto sconosciuto.
Gli infermieri-volontari provano di tutto, ma appartengono all’équipe di De Monte, conoscono a memoria il protocollo per farla morire, che ne sanno ora dei piccoli gesti che sono propri di una vita, di quella vita? Come si gestisce una «morta» che fa i capricci e nel solo modo che conosce pesta i piedi? Dovevano essere devastati anche loro, l’altra notte, se alla fine si decidono a fare il fatidico numero di Lecco e con nuova umiltà chiedono al medico curante di Eluana: come facevate a farla stare bene? Il dottore deve aver provato a spiegare come mai in quindici anni non era stato necessario aspirare il catarro (l’incubo dei disabili come lei), avrà indicato al collega le mosse da fare, ma il resto non poteva spiegarlo: accarezzatela, osservate il suo respiro e ascoltate il battito del suo cuore – si erano tanto raccomandati da Lecco quella notte lasciandola partire per Udine –, sono i tre elementi che vi porteranno ad amarla... Ma questo nel protocollo non sta scritto e nessuno lo può insegnare. Questo raccontano tra i sussurri dalla «Quiete», la casa di riposo in cui la notte è passata agitata un po’ per tutti.
Inutile invece chiedere conferme alla clinica di Lecco: medici e suore hanno giurato silenzio e quella è gente che ha una sola parola. Tacciono e pregano. Ma a Udine avevano giurato sul protocollo di morte, mentre quella tosse di vita «devasta» già le prime coscienze.
1) Eluana, governo vara il decreto – dal Tgcom del 6.2.2008
2) Caso Eluana, parla l'ateo Jannacci - Autore: Fabio Cutri Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.corriere.it - venerdì 6 febbraio 2009 - Riportiamo dal Corriere della Sera questa intervista, su cui riflettere.
3) Una firma per l'Italia - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.samizdatonline.it - venerdì 6 febbraio 2009 Lettera al Presidente della Repubblica e a chi può fare qualcosa...
4) Comunicato stampa sulla vicenda di Eluana Englaro - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: La Sezione U.G.C.I. di Forlì Cesena - giovedì 5 febbraio 2009 - Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo utile intervento: UNIONE GIURISTI CATTOLICI DI FORLI’ CESENA “SAMUELE ANDREUCCI” Piazza del Popolo, 44 – Cesena Tel. 0547.611878
5) Eluana e una lista di contraddizioni - Autore: Zappa, Gianluca Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 5 febbraio 2009
6) Regno Unito: infermiera sospesa per aver proposto di pregare - Poteva essere offensivo per altri pazienti - di Nieves San Martín
7) Obama ha un grande maestro: il teologo luterano Reinhold Niebuhr - Che fu un caposcuola non del pacifismo ma del "realismo" nei rapporti tra gli stati, cioè del primato dell'interesse nazionale e dell'equilibrio tra le potenze. È uscita a Roma una suggestiva analisi del suo pensiero. Ispirato alla "Città di Dio" di sant'Agostino - di Sandro Magister
8) Relegare la religione al privato, "violazione della libertà religiosa" - Il Cardinal Bertone difende la "laicità positiva"
9) 06/02/2009 12:27 – MALAYSIA - Campagna stampa islamica contro il giornale cattolico, che non può difendersi - I media islamici cercano di provocare accusando il giornale di usare la parola “Allah” e provocare ogni male sulla nazione. L’arcivescovo di Kuala Lumpur sceglie il silenzio - forse per non provocare tensioni inutili – e attende la decisione della Corte suprema. La Chiesa ha infatti citato il governo in tribunale perché il divieto viola la libertà religiosa garantita dalla Costituzione.
10) Da padre a padre. Caro Sig. Englaro... - Mario Dupuis - venerdì 6 febbraio 2009 - Pubblichiamo la lettera aperta a Beppino Englaro scritta per ilsussidiario.net da Mario Dupuis, fondatore e presidente dell’opera Edimar (realtà educativa che accoglie ragazzi disagiati), nel 14esimo anniversario della morte della figlia Anna, cerebrolesa grave – IlSussidiario.net
11) NOTTE DI DOMANDE A 'LA QUIETE' - QUELLA TOSSE SQUASSA LE PRIME COSCIENZE - LUCIA BELLASPIGA – Avvenire, 6 febbraio 2009
Eluana, governo vara il decreto – dal Tgcom del 6.2.2008
Iniziata diminuzione dell'alimentazione
Nonostante la lettera inviata dal Quirinale che invitava il governo a non presentare decreti contro le sentenze, l'esecutivo ha varato un provvedimento sul caso di Eluana Englaro. Secondo quanto riferito dall'avvocato Franca Alessio, curatrice della donna in stato vegetativo da 17 anni, nella casa di cura di Udine "La Quiete" è però iniziata la procedura per l'interruzione dell'alimentazione artificiale.
15.28 - Berlusconi: "Napolitano non firma decreto? Camere votino legge in anticipo". Se il Presidente della Repubblica non intende firmare il decreto sullo stop alla morte di Eluana, interventano le Camere approvando misure che anticipino una legge in materia. Lo ha dichiarato il premier, Silvio Berlusconi. Il presidente del Consiglio ha poi giustificato l'esigenza del dl con l'urgenza dell'azione e con il fatto che, a suo avviso, "Eluana è persona viva". Se il Presidente della Repubblica Napolitano, "caricandosi di questa responsabilità nei confonti di una vita", non firmasse il decreto varato dal Consiglio dei ministri, "noi inviteremmo immediatamente il Parlamento a riunirsi ad horas ed approvare in pochissimo tempo, due o tre giorni, una legge che anticipasse quella legge che è già nell'iter legislativo, e cioè quella che contiene questa norma". Sono state le parole del presidente Berlusconi. Il Capo dello Stato, ha ricordato Berlusconi, "ha inviato una lettera, con cui praticamente si introduceva una innovazione, quella cioé che il Capo dello Stato in corso d'opera di un Consiglio dei ministri puo' intervenire anticipando la decisione del Cdm circa la sussitenza dei requisiti di necessità e urgenza". Per questo si è deciso all'unanimità di varare il dl e affermare con forza che il giudizio sulla necessità e urgenza è assegnato alla responsabilità del governo". In mancanza di un intervento urgente, ha chiarito il premier, "la cittadina Eluana sarebbe l'unica vittima di una situazione che non si ripeterebbe più, perchè dopo la legge tutti i cittadini avrebbero la certrezza di non vedersi sottratta in stato vegetativo l'acqua e il cibo".
15.26 - Vaticano: "Governo coraggioso". "Il governo ha fatto un gesto di grande coraggio, che sarà apprezzato dalla grande maggioranza di tutti i cittadini" è il commento di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, all'approvazione del decreto d'urgenza sul caso Englaro da parte del Governo. "Il gesto sarà apprezzato dalla grande maggioranza degli italiani - aggiunge monsignor Fisichella - che stanno seguendo questa vicenda con grande partecipazione e non riescono a capire come sia possibile che ad una ragazza che sta bene, anche se in coma, possa essere tolta l'alimentazione e l'idratazione. Pur nella differenza delle competenze che abbiamo - conclude Fisichella - ci rallegriamo che le istanze che abbiamo portato avanti in questi mesi sono state ascoltate e accolte".
15.13 - Lettera Napolitano: "Evitare contrasto formale". "Confido che una pacata considerazione delle ragioni da me indicate valga ad evitare un contrasto formale in materia di decretazione". Si conclude così, secondo quanto si e' appreso da fonti del governo, la lettera che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per invitare il governo a rinunciare a varare un decreto legge sulla vicenda di Eluana Englaro. Il capo dello Stato, nella missiva, cita una serie di precedenti di decreti legge respinti da suoi predecessori perché in contrasto con sentenze passate in giudicato.
14.45 - Berlusconi: "Siamo nel giusto". Sulla vicenda di Eluana Englaro andiamo avanti perché siamo nel giusto. Così il premier Silvio Berlusconi avrebbe spiegato in consiglio dei ministri la scelta di proseguire sulla strada del decreto nonostante lo stop del Quirinale.
14.20 - Il Cdm vara il decreto sul caso Englaro. Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto sul caso di Eluana Englaro. Lo si apprende da fonti di governo che ha votato all'unanimità.
12.46 - Napolitano contrario. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso un parere negativo sull'ipotesi di un decreto legge per intervenire sul caso di Eluana Englaro. Dopo i contatti informali che si sono tenuti stamani, il capo dello Stato ha messo nero su bianco la posizione del Colle sulla vicenda, scrivendo una lettera indirizzata a Berlusconi, della quale è stata data lettura in Consiglio dei ministri.
Caso Eluana, parla l'ateo Jannacci - Autore: Fabio Cutri Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.corriere.it - venerdì 6 febbraio 2009 - Riportiamo dal Corriere della Sera questa intervista, su cui riflettere.
Caso Eluana, parla l’ateo Jannacci: allucinante fermare le cure
«La vita è importante anche quando è inerme e indifesa. Fosse mio figlio mi basterebbe un battito di ciglio»
MILANO - Ci vorrebbe una carezza del Nazareno» dice a un certo punto, e non è per niente una frase buttata lì, nella sua voce non c’è nemmeno un filo dell’ironia che da cinquant’anni rende inconfondibili le sue canzoni. Di fronte a Eluana e a chi è nelle sue condizioni — «persone vive solo in apparenza, ma vive » — Enzo Jannacci, «ateo laico molto imprudente», invoca il Cristo perché lui, come medico, si sente soltanto di alzare le braccia: «Non staccherei mai una spina e mai sospenderei l’alimentazione a un paziente: interrompere una vita è allucinante e bestiale».
È un discorso che vale anche nei confronti di chi ha trascorso diciassette anni in stato vegetativo?
«Sono tanti, lo so, ma valgono per noi, e non sappiamo nulla di come sono vissuti da una persona in coma vigile. Nessuno può entrare nel loro sonno misterioso e dirci cosa sia davvero, perciò non è giusto misurarlo con il tempo dei nostri orologi. Ecco perché vale sempre la pena di aspettare: quando e se sarà il momento, le cellule del paziente moriranno da sole. E poi non dobbiamo dimenticarci che la medicina è una cosa meravigliosa, in grado di fare progressi straordinari e inattesi».
Ma una volta che il cervello non reagisce più, l’attesa non rischia di essere inutile?
«Piano, piano... inutile? Cervello morto? Si usano queste espressioni troppo alla leggera. Se si trattasse di mio figlio basterebbe un solo battito delle ciglia a farmelo sentire vivo. Non sopporterei l’idea di non potergli più stare accanto».
Sono considerazioni di un genitore o di un medico?
«Io da medico ragiono esattamente così: la vita è sempre importante, non soltanto quando è attraente ed emozionante, ma anche se si presenta inerme e indifesa. L’esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque. Decidere di interromperla in un ospedale non è come fare una tracheotomia...».
Cosa si sentirebbe di dire a Beppino Englaro?
«Bisogna stare molto vicini a questo padre».
Non pensa che ci possano essere delle situazioni in cui una persona abbia il diritto di anticipare la propria morte?
«Sì, quando il paziente soffre terribilmente e la medicina non riesce più ad alleviare il dolore. Ma anche in quel caso non vorrei mai essere io a dover “staccare una spina”: sono un vigliacco e confido nel fatto che ci siano medici più coraggiosi di me».
Come affronterebbe un paziente infermo che non ritiene più dignitosa la sua esistenza?
«Cercherei di convincerlo che la dignità non dipende dal proprio stato di salute ma sta nel coraggio con cui si affronta il destino. E poi direi alla sua famiglia e ai suoi amici che chi percepisce solitudine intorno a sé si arrende prima. Parlo per esperienza: conosco decide di ragazzi meravigliosi che riescono a vivere, ad amare e a farsi amare anche se devono invecchiare su un letto o una carrozzina».
Quarant’anni fa la pensava allo stesso modo?
«Alla fine degli anni Sessanta andai a specializzarmi in cardiochirurgia negli Stati Uniti. In reparto mi rimproveravano: “Lei si innamora dei pazienti, li va a trovare troppo di frequente e si interessa di cose che non c’entrano con la terapia: i dottori sono tecnici, per tutto il resto ci sono gli psicologi e i preti”. Decisero di mandarmi a lavorare in rianimazione, “così può attaccarsi a loro finché vuole”... ecco, stare dove la vita è ridotta a un filo sottile è traumatico ma può insegnare parecchie cose a un dottore. C’è anche dell’altro, però».
Che cosa?
«In questi ultimi anni la figura del Cristo è diventata per me fondamentale: è il pensiero della sua fine in croce a rendermi impossibile anche solo l’idea di aiutare qualcuno a morire. Se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo, eccome, però avremmo così tanto bisogno di una sua carezza».
Fabio Cutri
06 febbraio 2009
Una firma per l'Italia - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.samizdatonline.it - venerdì 6 febbraio 2009 Lettera al Presidente della Repubblica e a chi può fare qualcosa...
Ill.mo Presidente,
c’è davvero poco tempo perché l’irreparabile non si compia. Il riferimento ovvio è alla dolorosa vicenda della famiglia Englaro, una vicenda che sta davvero tenendo con il fiato sospeso l’intera nostra Nazione. Non c’è tempo da perdere, caro Presidente, il destino di Eluana sembra inevitabilmente segnato e in questa circostanza ci rendiamo conto che solo l’autorevolezza di cui Lei gode potrà evitare al Paese di assistere ad uno dei fatti più gravi della storia repubblicana. Siamo degli umili e onesti cittadini, padri e madri di famiglia che quotidianamente lavorano, accudiscono e educano i propri figli, si impegnano nel sociale a favore dei più sfortunati tra di noi e ciò perché siamo interessati a rendere grande la Nazione di cui siamo figli orgogliosi. Presidente Le chiediamo un atto di compassione verso tutti noi, Le chiediamo di firmare il decreto del governo che vieta l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione. Non vorremmo che, svanita l’ipotesi decreto, tutto tornasse a tacere, esso al contrario potrebbe fungere da ulteriore spinta perché finalmente si giunga ad una normativa condivisa sul fine vita.
Lei più volte ha dimostrato di tenere alle sorti del Paese più di qualunque altra cosa, siamo inoltre convinti che le sentenze e la magistratura vadano rispettate e proprio per questo Le chiediamo, come dei figli chiedono ad un padre, di non farci assistere alla morte di una povera disabile per fame e sete.
Facciamo in modo che, anche in questa vicenda drammatica, caratterizzata da una forte dialettica e contrapposizione, l’Italia rimanga quel grande Paese che è sempre stato, un Paese civile e radicato nei valori in cui crede.
Un saluto
Scriviamo (possibilmente ognuno di proprio pugno) al presidente della Repubblica:
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Comunicato stampa sulla vicenda di Eluana Englaro - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: La Sezione U.G.C.I. di Forlì Cesena - giovedì 5 febbraio 2009 - Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo utile intervento: UNIONE GIURISTI CATTOLICI DI FORLI’ CESENA “SAMUELE ANDREUCCI” Piazza del Popolo, 44 – Cesena Tel. 0547.611878
Siamo un gruppo di giuristi di Forlì e Cesena, che da poco hanno dato vita ad una sezione locale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani.
La delicata decisione assunta dal padre di Eluana Englaro di sospendere l’alimentazione e l’idratazione della figlia in situazione di coma persistente;
le modalità con cui detta decisione è stata avallata dai giudici, specie con la sentenza della Corte di Cassazione 21748/2007, a cui è seguito il decreto della Corte di Appello di Milano 9 luglio 2008, con cui la prima sezione civile ha accolto il ricorso proposto da Beppino Englaro, ed ha autorizzato l’interruzione del trattamento di sostegno vitale di Eluana, sulla base di un “presunto” consenso che avrebbe espresso la figlia a suo tempo, tratto peraltro dal suo “stile di vita”;
la recentissima sentenza del T.A.R. Lombardia, secondo la quale – una volta affermato il diritto – sarebbe obbligo dell’Amministrazione Sanitaria addirittura “indicare la struttura sanitaria dotata di requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi” tali da attuare il suo “diritto assoluto a rifiutare il trattamento sanitario”, al fine di apprestare “tutte le misure, suggerite dagli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, atte a garantire un adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio della persona, durante tutto il periodo successivo alla sospensione del trattamento di sostegno vitale”;
ma soprattutto l’odierna decisione di attuare quanto sopra presso la clinica (anzi, Azienda pubblica per i Servizi alla Persona) “La Quiete” di Udine, sicché Eluana sarà la prima persona a morire per fame e per sete in Italia (epperò con la garanzia di un “adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio”);
tutto ciò ci porta a far sentire forte la nostra voce dissenziente, anche e soprattutto dal punto di vista dell’operazione giuridica che è stata realizzata.
Nonostante quanto dichiarato dal Presidente Grechi della Corte d’Appello di Milano, secondo cui i giudici “non hanno invaso territori altrui” e consapevoli che qualunque decisione giudiziaria può essere legittimamente criticata, ci permettiamo di considerare come i magistrati abbiano – in questa vicenda – quanto meno forzato la mano: aspettando una legge sull’eutanasia che non arrivava, hanno ritenuto che ci fossero già sin d’ora le condizioni per stabilire un diritto della persona ad abbreviare la propria vita, con una decisione del tipo di quelle che si sogliono chiamare “creatrici di diritto”.
Ma vi sono, nel nostro ordinamento, norme espresse (gli articoli 579 e 580 del codice penale, che puniscono l’omicidio del consenziente e l’aiuto al suicidio; o l’art. 5 c.c. che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica) che dicono tutto il contrario
In primo luogo, quindi, non pare legittimo che la drammatica vicenda – dirompente per tutti, per le profonde questioni umane e di fede che pone – possa essere affrontata con l’introduzione per via giudiziale di un principio che (non solo in una situazione di vuoto legislativo, ma in presenza addirittura di norme penali di segno opposto) si presenta formulato come un vero e proprio comma di legge (una sorta di esimente o di deroga alle ipotesi di reato previste, riguardante una condotta legittimata dall’autorizzazione del giudice in presenza di date condizioni).
In secondo luogo, queste decisioni ci appaiono profondamente ingiuste perché vanno oltre il principio da loro stesse affermato.
Infatti, se è vero che è diritto di ogni persona quello di non essere sottoposta a trattamenti sanitari obbligatori (se non nei casi previsti dalla legge), perché questo (ma questo soltanto!) dispone l’articolo 32, secondo comma, della Costituzione, non è però vero che questo diritto possa automaticamente essere interpretato come un diritto ad ottenere prestazioni mediche che favoriscano l’eutanasia.
In particolare, si ritiene che il diritto di rifiuto delle cure sia un diritto di libertà negativa, che impedisce intrusioni altrui nella propria scelta (espressa, attuale ed informata).
Detto diritto (anche portato alle estreme conseguenze del cd. lasciarsi morire, ossia dell’eutanasia passiva, che comunque anch’essa non si ritiene rinvenibile nell’ordinamento giuridico, art. 5 richiamato) non può mai trasmutare in pretesa di un comportamento “attivo” nei confronti di terzi, chiamati a realizzare la scelta dell’interessato (quando quest’ultimo sia impossibilitato), perché detta eventuale azione di intervento attivo del terzo è (oltre che contrastante con i sacrosanti principi di deontologia medica, per cui la finalità del medico è quella di curare e salvare la vita delle persone) integrativa delle fattispecie vietate sopra richiamate.
Non può poi non accennarsi alla parte più debole delle sentenze, riguardante l’assoluta “presunzione” del consenso che è stato ritenuto valido per sospendere l’alimentazione e l’idratazione di Eluana, individuato “ricostruendo – dice la Cassazione – la decisione ipotetica che il paziente avrebbe assunto ove fosse stato capace, tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti” (si pensi che ciò si riferisce alla decisione di morire; ed ora si pensi a ciò che succederebbe se la decisione di lasciare a Tizio o a Caio una parte del patrimonio fosse desunta dalla personalità o dallo stile di vita del testatore…).
Allo stesso modo deve rilevarsi l’assoluta insufficienza di una tale presunta volontà, anche così ricostruita, a legittimare un atto di disposizione di quei “diritti personalissimi” (come quello alla vita), considerati dalla stessa giurisprudenza indisponibili ed intrasmissibili.
Ma ciò che più sconcerta, a parte le analisi tecnico giuridiche che hanno segnato il caso, è il fatto che i magistrati che sono intervenuti nel merito del caso paiono giocare con le parole.
Si ha un bel dire – sia da parte della Corte di Cassazione, che da parte del T.A.R. Lombardia – che «tale ipotesi non costituisce, secondo il nostro ordinamento, una forma di eutanasia, bensì la scelta insindacabile del malato a che la malattia segua il suo corso naturale fino all’inesorabile exitus».
Qui non si è meramente di fronte al rispetto di una scelta personalissima (come quella di non farsi curare). Rispettare una scelta, infatti, non comporta il dovere di cooperare con chi la compie per aiutarlo nel realizzarla, quando si ritiene che tale scelta sia eticamente e socialmente e deontologicamente criticabile (e soprattutto quando non si sappia con certezza se la scelta sia veramente tale).
Fermo restando poi che nel caso di Eluana Englaro non vi è alcuna condizione di malattia, né alcun trattamento terapeutico (e tanto meno “accanimento” in tal senso) in atto. Come autorevoli fonti hanno, e non solo in questi giorni, ma già da tempo, spiegato e chiarito, Eluana è perfettamente sana, ancorché in condizioni di grave disabilità e non autosufficienza. E difatti ella non abbisogna di alcuna cura o medicinale, ha regolari ritmi veglia-sonno, non ha necessità di ausilio di alcun macchinario. Semplicemente, durante le ore notturne, riceve l’alimentazione e l’idratazione attraverso un sondino (significativo, in proposito, l’articolo pubblicato su Avvenire del 3.2.2009, dal titolo “Se questa è una donna che va portata a morire”, dove viene descritta dettagliatamente la giornata di Eluana). Né si può considerare, al contrario di quanto artatamente e contraddittoriamente sostenuto dalla Corte d’Appello di Milano e dal T.A.R. Lombardina, che mai e poi mai l’alimentazione e l’idratazione, ancorché somministrati mediante sondino naso-gastrico o “p.e.g.”, possono essere considerati “atto terapeutico” o “accanimento terapeutico”: dare da mangiare e da bere ad una persona non autosufficiente non costituisce mai, senza tema di smentita e nonostante le diverse e superficiali affermazioni contenute nei provvedimenti giudiziari succedutisi, una “cura”, ma è un semplice e naturale gesto di soddisfazione di un bisogno primario di ogni individuo. Come non si può non riflettere sul dato terrificante, reso noto ieri, che la procurata morte per fame e per sete è prevista, per Eluana, nel volgere di tre settimane?! Immaginiamo solo per un momento, o proviamo a farlo, per quanto ci è dato nella nostra condizione, la sofferenza di una persona costretta per tre settimane senza cibo e acqua. Ma Eluana avverte cosa accade attorno a lei? Sente quello che viene detto? Nessuno lo sa, né lo può dire. Nessun neurologo, nessuno scienziato ha mai saputo varcare la soglia misteriosa e valutare quanta coscienza resti a persone in queste condizioni. Loro, quando ne escono, raccontano: « Sentivamo tutto, non sapevamo dirvelo».
E se anche Eluana sentisse tutto, e non sapesse dirlo?
In conclusione, la scrivente Unione locale dei giuristi cattolici italiani auspica che immediatamente vi sia ripensamento, da parte dei genitori di Eluana Englaro nonché degli amministratori dell’ASP La Quiete di Udine, sulla decisione di porre fine alla vita di Eluana procurandole la morte per fame e per sete; che altrettanto immediatamente vi sia presa di coscienza, da parte di ogni Autorità e/o amministrazione competente, che il nostro ordinamento, nonostante la “creativa” visione di alcuni giudici, non consente una conclusione della vita di Eluana come quella che si sta purtroppo delineando; che sia posto pertanto immediatamente in atto qualsiasi legittimo strumento idoneo ad impedire il compiersi di tale tragico evento; che infine il Parlamento intervenga con la massima rapidità per approvare una legge sulla fine della vita umana e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (peraltro da dimostrarsi rigorosamente), che risponda a minimi requisiti di giustizia e che, nel riconoscere il diritto al dichiarante di chiedere o rifiutare specifici trattamenti sanitari, escluda quelli che comportino eutanasia attiva o passiva (e la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione è eutanasia!).
La Sezione U.G.C.I. di Forlì Cesena
Eluana e una lista di contraddizioni - Autore: Zappa, Gianluca Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 5 febbraio 2009
Caso Eluana Englaro. Adesso che si è trovato il lager e i carnefici che daranno la morte alla donna, dopo aver scritto fiumi di parole (persino in musica), non ci resta che riassumere alcune pesanti contraddizioni della vicenda. Contraddizioni reperite a livello laico e razionale, per piacere a coloro che in casi come questo non vogliono sentire argomenti di tipo religioso.
FARMACI. Finora Eluana è stata tenuta in vita principalmente idratandola e nutrendola. Come si idrata e si nutre un qualsiasi bambino. Niente medicine. I farmaci saranno necessari d’ora in poi, per “aiutarla” a morire.
CERTEZZE 1. Il padre e il medico che farà il lavoro sporco non hanno dubbi: Eluana è morta diciassette anni fa (abbiamo tutti sentito la dichiarazione alla stampa). E’ un falso: Eluana non è morta. E’ viva e sarà portata alla morte. Se barano con le parole è solo per mettersi a posto con la coscienza.
CERTEZZE 2. Eluana, essendo morta, secondo costoro non soffrirà. Ne sono certi. Ma allora vuol dire che non soffre nemmeno adesso. E dunque, per quale dannato motivo bisogna farla morire prima del tempo?
CERTEZZE 3. Quelle che l’ineffabile Presidente della Camera, on. Fini, dice di non avere. Ovviamente si riferisce alle certezze del partito anti-eutanasia. Ma se non ci sono certezze, non sarebbe proprio il caso di lasciare tutto come sta?
PAROLE. Come suonano strane, in questo contesto! Un giornalista parla del medico che ha “in cura” Eluana. Tragico lapsus. Un’altra pesa meglio le parole: il medico che si “occuperà” di Eluana. Lessico evasivo, nel secondo caso; amaramente contraddittorio nel primo. In ogni caso, le parole non riescono più ad adattarsi alla figura di un medico. Occorrerà trovare un nuovo lessico, che attenui le atroci ed evidenti contraddizioni.
TESTAMENTO BIOLOGICO. Non c’è stato alcun testamento di questo tipo (d’altro canto non ancora previsto dalle legge italiana). Pare che Eluana, allora minorenne, abbia espresso il proprio parere davanti al caso di un suo amico. Unica fonte attendibile: il signor Englaro. In Italia una minorenne non ha il diritto di firma (a scuola, per esempio, quando fa un’assenza), né quello di condurre un’autovettura, né il diritto di voto. Ma in questo caso, in questo unico caso, ci si appella alla sua “decisione”. In realtà per lei deciderà il padre. Che confusione!
ACCANIMENTO TERAPEUTICO. Questo non è un caso di accanimento terapeutico (Eluana non è tenuta in vita artificialmente). Semmai è un caso di accanimento necrofilo. Eluana deve morire perché è già morta. E il padre non sente ragioni. Nemmeno quelle delle suorine, che l’hanno pregato e ripregato: la lasci a noi! Per quelle suorine, che l’hanno accudita fino ad oggi, Eluana non è una morta. Perché non possono continuare a vegliare su di lei?
PROSPETTIVE. Lasciamo stare la retorica mistica di quelli che tirano in ballo la religione quando fa comodo a loro, e che poeticamente ripetono “Lasciamola tornare alla casa del Padre!”. Noi non siamo Rosy Bindi, e abbiamo deciso di tenere fuori la fede. Tra due settimane Eluana andrà sotto terra, preda dei vermi e della decomposizione. Fino ad oggi è stata nutrita e accudita, nella speranza di un risveglio. Quale condizione, quale prospettiva è migliore?
SILENZIO. E’ il ritornello pietoso. Tutti zitti di fronte al dolore della famiglia. Troppo facile, farisaico, pilatesco. Quella famiglia sta combattendo con ogni mezzo per condannare a morte un essere umano. Questa è eutanasia e (con tutta la comprensione per gli Englaro) la cosa non può passare sotto silenzio. Altrimenti passa il principio che al dolore soggettivo di una persona tutto è consentito. Provate voi a declinare in tutti i casi possibili ed immaginabili un tale principio. E’ devastante!
MAGISTRATI. Giusto dire che non ce la possiamo prendere con i magistrati, perché la colpa reale è della politica che non fa le leggi. Ma questa vicenda è comunque esemplare: il sonno della politica genera mostri!
SANITA’. Le strutture sanitarie, per la prima volta nella storia dell’umanità, sono legalmente autorizzate e quasi istigate a dare la morte al paziente, invece che le cure per la vita. Purchè lo facciano con tutta la delicatezza possibile. Ad Eluana toglieranno l’alimentazione e l’idratazione, ma la sentenza prevede che ogni tanto le si bagnino le labbra. Al condannato sul patibolo non si nega la spugna imbevuta d’aceto. Non si sa se ridere o piangere!
E qui mi fermo. Ma la lista potrebbe continuare. Ai nostri lettori il compito appassionante di trovare altre laiche e razionali obiezioni a questa vicenda paradossale e disumana.
Regno Unito: infermiera sospesa per aver proposto di pregare - Poteva essere offensivo per altri pazienti - di Nieves San Martín
LONDRA, venerdì, 6 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Un'infermiera cristiana battista, sospesa per essersi offerta di pregare per una paziente, ha ricevuto questo lunedì grande sostegno da parte di organizzazioni mediche e religiose, pazienti e cappellani ospedalieri, secondo quanto rende noto il quotidiano britannico Daily Mail.
Mentre i cappellani hanno chiesto nuovi orientamenti per il sistema sanitario nazionale per quanto riguarda l'assistenza spirituale ai pazienti, il Christian Medical Fellowship ha affermato che la sospensione di Caroline Petrie è un atto di “discriminazione religiosa”.
La signora Petrie, cristiana impegnata di 45 anni, affronta un'azione disciplinare dopo essere stata accusata di non rispettare l'impegno di uguaglianza e diversità. Potrebbe essere licenziata per aver chiesto a una paziente anziana se voleva che pregasse per lei.
La paziente, May Phippen, di 79 anni, non si è sentita offesa, ma ha commentato con un'altra infermiera che poteva essere offensivo per altri pazienti.
La signora Petrie, che ha due figli, ha detto che la sua offerta di preghiera era il suo modo di augurare un miglioramento. “Non penso di aver fatto qualcosa di sbagliato – ha confessato –. Ho solo cercato di far sì che la paziente sapesse che pensavo a lei. E' il mio modo di dire 'spero che guarisca'”.
Obama ha un grande maestro: il teologo luterano Reinhold Niebuhr - Che fu un caposcuola non del pacifismo ma del "realismo" nei rapporti tra gli stati, cioè del primato dell'interesse nazionale e dell'equilibrio tra le potenze. È uscita a Roma una suggestiva analisi del suo pensiero. Ispirato alla "Città di Dio" di sant'Agostino - di Sandro Magister
ROMA, 6 febbraio 2009 – L'insediamento di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti è stato salutato dalla Santa Sede con espressioni di fiducia. Su "L'Osservatore Romano" del 28 gennaio il sacerdote e teologo newyorkese Robert Imbelli ha commentato positivamente il discorso inaugurale del nuovo presidente, in una nota in prima pagina dal titolo: "Per un vero patto di cittadinanza. Obama, Lincoln e gli angeli".
Tuttavia le righe finali della nota facevano balenare un timore. Imbelli accostava il discorso di Obama a quello di Abraham Lincoln del 1861, che terminava con una preghiera affinché prevalessero "gli angeli migliori della nostra natura". E proseguiva:
"Questa resta la speranza e la preghiera dell'America. Ma noi preghiamo anche affinché non vengano trascurati gli angeli dei bambini concepiti, ma ancora non nati. Preghiamo affinché i vincoli d'affetto della nazione raggiungano anche loro. Affinché non vengano esclusi dal patto di cittadinanza".
Imbelli è lo stesso che ha recensito con favore su "L'Osservatore Romano", la scorsa estate, il libro "Render Unto Caesar" dell'arcivescovo di Denver, Charles J. Chaput: un appello ai cattolici americani perché il loro "dare a Cesare", cioè il servire la nazione, consista nel vivere integralmente la propria fede nella vita politica.
L'arcivescovo Chaput, prima e dopo le elezioni presidenziali, è stato uno dei più decisi nel criticare il cedimento pro aborto di tanti cattolici e cristiani americani.
E i primi passi della nuova amministrazione hanno confermato i suoi timori. In un'intervista al settimanale italiano "Tempi" del 5 febbraio, alla domanda se Obama sia "un protestante da caffetteria", lui che "dice di essere cristiano ma è considerato il presidente più favorevole all'aborto di sempre", Chaput ha risposto:
"Nessuno può giustificare l'aborto e al tempo stesso proclamarsi cristiano fedele, ortodosso, protestante o cattolico che sia. [...] Penso però che il cristianesimo protestante, vista la sua grande enfasi sulla coscienza individuale, è più portato ad essere una 'caffetteria' di credenze".
Sta di fatto che, tra i primi atti della sua presidenza, Obama ha autorizzato i finanziamenti federali alle organizzazioni che promuovono l'aborto come mezzo di controllo delle nascite nei paesi poveri. Inoltre, ha annunciato il suo sostegno al Freedom of Choice Act, che toglierà i limiti all'aborto, e il finanziamento all'utilizzo delle cellule staminali embrionali.
* * *
Ciò non toglie che Obama sia, tra i presidenti americani, uno dei più espliciti nel dichiarare il fondamento religioso della propria visione.
In ripetute occasioni ha anche fatto i nomi dei suoi autori di riferimento, noti e meno noti: da Dorothy Day a Martin Luther King, da John Leland ad Al Sharpton.
Tra quelli da lui citati, ce n'è uno che ha un'importanza particolarissima: è il luterano Reinhold Niebuhr (1892-1971), professore alla Columbia University e poi allo Union Theological Seminary di New York.
Niebuhr fu anzitutto teologo, e di prima grandezzza, ma i suoi studi hanno inciso anche nel campo politico. È considerato un maestro del "realismo" nella politica internazionale, i cui massimi esponenti negli Stati Uniti, nella seconda metà del Novecento, sono stati Hans Morgenthau, George Kennan, Henry Kissinger.
Ispirarsi o no a Niebuhr – e alla sua interpretazione e attualizzazione della "Città di Dio" di sant'Agostino – è decisione che orienta in modo determinante la visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo.
Ad esempio, niente è più distante dalle posizioni di Niebuhr del pacifismo. Ma è l'insieme del pensiero di questo grande teologo che è utile approfondire.
È quanto fa, nel saggio che segue, il massimo esperto italiano di Niebuhr, Gianni Dessì, docente di filosofia e di storia delle dottrine politiche all'Università di Roma Tor Vergata.
Il saggio è uscito pochi giorni fa sull'ultimo numero dell'edizione italiana di "30 Giorni", il mensile cattolico forse più letto dai vescovi di tutto il mondo, nelle sue edizioni in più lingue.
"30 Giorni" è diretto dall'anziano senatore Giulio Andreotti – più volte presidente del consiglio e ministro degli esteri – e si occupa spesso di politica internazionale secondo una linea che si potrebbe definire "realista moderata": una linea che coincide con quella tradizionale della diplomazia vaticana.
Se il realismo di Niebuhr arriva alla Casa Bianca
di Gianni Dessì
In un colloquio di qualche tempo fa con David Brooks, uno dei più noti tra i commentatori politici conservatori del "New York Times", il neoeletto presidente Obama ha ricordato Reinhold Niebuhr come uno dei suoi autori preferiti (1).
Niebuhr, figura poco nota in Italia, è stato un teologo protestante, insegnante di etica sociale alla Columbia University di New York, che ha avuto una grande influenza sulla cultura politica nordamericana almeno a partire dal 1932, anno nel quale pubblicò "Uomo morale e società immorale", sino al 1971, anno della sua morte. Al suo realismo politico si sono riferiti intellettuali e politici, conservatori e liberali.
Hans Morgenthau e George Kennan, i più noti tra i liberali conservatori che nell'immediato dopoguerra elaborarono quell'insieme di motivazioni che avrebbero costituito il riferimento intellettuale di molti americani negli anni della guerra fredda, della contrapposizione al blocco sovietico, si riferirono esplicitamente a Niebuhr e al suo realismo politico (2).
D'altra parte anche Martin Luther King, certamente non un conservatore, fu particolarmente sensibile alle critiche di Niebuhr all'ottimismo della cultura liberale e all'idea che la giustizia potesse essere realizzata attraverso esortazioni morali: egli riconobbe che doveva a Niebuhr la consapevolezza della profondità e della persistenza del male nella vita umana (3).
Obama, intervistato da Brooks, affermava di dovere a Niebuhr "l'idea irrefutabile che c'è il male vero, la fatica e il dolore nel mondo. Noi dovremmo essere umili e modesti nel nostro credere di poter eliminare queste cose. Ma non dovremmo usarlo come scusa per il cinismo e l'inattività".
In poche espressioni vengono sottolineati alcuni aspetti essenziali delle posizioni di Niebuhr. L'idea che dal mondo siano ineliminabili "il male vero, la fatica, il dolore" rimanda alla critica di Niebuhr all'ottimismo che egli riteneva uno dei tratti costitutivi del pensiero religioso e sociale americano; così l'idea che anche colui che agendo politicamente si trovi a lottare contro la presenza dell'ingiustizia e del male debba essere "umile", rinvia alla consapevolezza che non è possibile eliminare il male dalla storia ed è pericolosa illusione crederlo.
D'altra parte tale persistenza del male non può essere scusa per "il cinismo e l'inattività". Viene delineata una posizione che intende evitare sia "l'idealismo ingenuo" sia il "realismo amaro" (nel linguaggio di Niebuhr: sia il sentimentalismo sia il cinismo).
Come nelle opere di Niebuhr si definisce questa prospettiva? Quali i suoi riferimenti storici e culturali?
Luigi Giussani, in Italia, già dalla fine degli anni Sessanta aveva colto la rilevanza del realismo di Niebuhr nel pensiero teologico e, più in generale, nella cultura statunitense.
Giussani ricordava come nella formazione del pastore protestante avesse certamente svolto un ruolo l'esistenzialismo teologico europeo, ma una "netta originalità segna sin dagli inizi la sua produzione, la cui ispirazione e le cui tendenze chiave si formano e delineano nell'esperienza vissuta come pastore della luterana Bethel Evangelical Church di Detroit" (4).
Niebuhr, giovanissimo, si trovò a essere pastore di una piccola comunità di Detroit negli anni dello sviluppo della casa automobilistica Ford e della prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1928. Di formazione liberale, egli sperimentò l'inadeguatezza dell'ottimismo antropologico di tale concezione e della sua declinazione sociale, quella del movimento del Social Gospel, nel comprendere la persistenza del male individuale e dell'ingiustizia. Furono gli anni dell'autocritica alle proprie convinzioni liberali e ottimistiche. Di fronte alle speranze di una moralizzazione della società attraverso la predicazione religiosa egli, in un appunto del 1927, constatava che "una città costruita attorno a un processo produttivo e che solo casualmente pensa e offre un'attenzione accidentale ai propri problemi è realmente una sorta di inferno" (5). Tale autocritica trovò piena espressione nel libro "Uomo morale e società immorale". In esso, come ha scritto Giussani, la "realtà inevitabile del male [...] è affermata e documentata contro ogni ottimismo che non veda l'impossibilità esistenziale del passaggio dalla coscienza del bene, che l'individuo ha, alla realizzazione di esso, impossibilità che specialmente nella sfera del collettivo si accusa in modo inesorabile" (6).
Il libro, del 1932, scritto durante gli anni nei quali Niebuhr subì l'influenza del marxismo, rappresentò negli Stati Uniti degli anni Trenta la denuncia forse più incisiva dell'ottimismo e del moralismo, da una parte, e dell'indifferenza e del cinismo, dall'altra, che avevano caratterizzato la società americana negli anni successivi alla prima guerra mondiale. Nel breve periodo che va dal 1917, l'anno dell'entrata in guerra dell'America, al 1919, l'anno dei trattati di pace che penalizzarono fortemente le nazioni sconfitte, si consumò l'idealismo del movimento progressista e del presidente Woodrow Wilson. Le motivazioni morali che Wilson e molti intellettuali progressisti avevano indicato come ragioni della partecipazione degli americani alla guerra erano state contraddette dall'esasperato realismo dei trattati di pace che esprimevano in modo palese la sanzione dei nuovi rapporti di forza tra le potenze vincitrici e quelle sconfitte.
Nell'America degli anni Venti, proprio in reazione alle crociate ideali di Wilson, si affermò un'esigenza di ritorno alla normalità, che trovò espressione nell'elezione del presidente Warren Harding il quale a tale ideale aveva ispirato la propria campagna elettorale.
In realtà la società americana di quegli anni conobbe uno sviluppo economico mai visto, la diffusione della pubblicità e del consumo di massa, insieme a una forte polarizzazione tra ricchi e poveri.
Tale società appariva agli occhi di un attento osservatore come Niebuhr la sconfessione, o la riduzione a retorica, di ogni forma di moralismo ed era caratterizzata dall'emergere di atteggiamenti sempre più cinici e disillusi.
L'emendamento XVIII alla costituzione, che vietava la produzione, il trasporto e la vendita di alcolici sul territorio americano, può essere considerato emblematico di questa situazione: esso, approvato nel 1919, come simbolo della battaglia per la moralizzazione dei costumi, favoriva di fatto lo sviluppo di diverse forme di criminalità organizzata che proprio dal commercio illegale di alcolici traevano i maggiori profitti.
Niebuhr, in quegli anni, riteneva che una società più giusta non sarebbe stata la conseguenza di esortazioni morali o religiose, ma di concrete iniziative storiche e politiche, che proprio in quanto tali avrebbero dovuto confrontarsi con realtà poco elevate.
Egli, che dal 1928 aveva lasciato Detroit e aveva iniziato a insegnare alla Columbia University di New York, ricorderà come proprio le esigenze dell'insegnamento lo abbiano condotto ad approfondire la conoscenza di sant'Agostino. In una intervista del 1956 affermava: "Mi sorprende, in un esame retrospettivo, notare quanto tardi io abbia iniziato lo studio di Agostino: ciò è ancora più sorprendente se si tiene presente che il pensiero di questo teologo doveva rispondere a molte mie domande ancora irrisolte e liberarmi finalmente dalla nozione che la fede cristiana fosse in qualche modo identica all'idealismo morale del secolo scorso" (7).
Il riferimento a sant'Agostino è stato centrale sia per quanto riguarda la consapevolezza delle ragioni che distinguono la fede dall'idealismo, sia per superare alcune aporie che Niebuhr aveva maturato nei primi anni della propria riflessione.
Il cristianesimo appare al giovane Niebuhr segnato da un aspetto, quello dell'assoluta gratuità, che si pone oltre ogni tentativo umano di realizzare gli ideali etici. L'uomo può, con grande sincerità, impegnarsi per realizzare sfere di convivenza caratterizzate da quello che Niebuhr definisce "mutual love", amore fondato sulla reciprocità: Cristo è invece testimone di un altro tipo di amore, definito "sacrifical love". Nel 1935 in "An Interpretation of Christian Ethics" egli aveva esplicitamente richiamato tale radicale differenza scrivendo: "Le esigenze etiche poste da Gesù sono d'impossibile compimento nell'esistenza presente dell'uomo [...]. Qualunque cosa meno dell'amore perfetto nella vita umana è distruttivo della vita. Ogni vita umana sta sotto un incombente disastro perché non vive la legge dell'amore" (8).
Nel 1940, riprendendo alcune di queste riflessioni e riferendole all'ambito politico, aveva sostenuto che una concezione "che aveva semplicemente e sentimentalmente trasformato l'ideale di perfezione del Vangelo in una semplice possibilità storica" aveva prodotto una "cattiva religione" e una "cattiva politica", una religione in contrasto con il dato essenziale della fede cristiana, e una politica irrealistica, che rendeva le nazioni democratiche sempre più deboli (9).
D'altra parte, pur criticando il sentimentalismo e l'ottimismo della cultura liberale, egli constatava l'ineliminabile presenza della certezza del significato dell'esistenza, della sua positività, come tratto caratteristico di un'esistenza sana. Questa certezza, scrive, "non è qualcosa che risulti da un'analisi sofisticata delle forze e dei fatti che circondano l'esperienza umana. È qualcosa che è riconosciuto in ogni vita sana [...]. Gli uomini possono non essere in grado di definire il significato della vita e malgrado ciò vivere attraverso la semplice fede la certezza che essa ha significato" (10).
L'opera nella quale tali diverse suggestioni trovano una sintesi è "The Nature and Destiny of Man", pubblicata in due volumi tra il 1941 e il 1943. In essa si legge: "L'uomo, secondo la concezione biblica, è un'esistenza creata e finita sia nel corpo, sia nello spirito" (11).
La chiave per comprendere la natura umana è da una parte il riconoscimento della creazione: l'ottimismo essenziale che caratterizza un'esistenza sana è legato alla percezione di essere creato, voluto da Dio. Dall'altra è la libertà umana, che, come segno posto da Dio nel cuore dell'uomo, come possibilità di aderire a tale intuizione o di rifiutarla, diviene assolutamente centrale. L'uomo può (e Niebuhr sembra dire "inevitabilmente") cercare soddisfazione nei beni creati e non in Dio. Il male nasce quando l'uomo conferisce a un bene particolare un valore assoluto: è l'uso sbagliato della libertà – il peccato – che genera il male, non la sensibilità o la materialità.
La presenza di Agostino in questa che è l'opera maggiore e più sistematica di Niebuhr è evidente e costante: la concezione realistica della natura umana che Niebuhr propone rimanda esplicitamente alla concezione biblica e ai testi agostiniani.
In un saggio del 1953, "Augustine's Political Realism", incluso nel volume dello stesso anno "Christian Realism and Political Problems", Niebuhr riconosce esplicitamente il suo debito nei confronti di Agostino e precisa in quale senso il santo sia da ritenere il primo grande realista del pensiero occidentale e perché la sua prospettiva gli sembri attuale.
Niebuhr inizia questo saggio offrendo una schematica definizione del termine realismo: esso "indica la disposizione a prendere in considerazione tutti i fattori che in una situazione politica e sociale offrono resistenza alle norme stabilite, particolarmente i fattori di interesse personale e di potere". Al contrario, l'idealismo, per i suoi sostenitori, è "caratterizzato dalla fedeltà agli ideali e alle norme morali, piuttosto che al proprio interesse"; cioè, per i suoi critici, da "una disposizione a ignorare o a essere indifferenti alle forze che, nella vita umana, offrono resistenza agli ideali e alle norme universali" (12). Niebuhr precisa che idealismo e realismo in politica sono disposizioni, più che teorie. In altri termini anche il più idealista degli individui dovrà inevitabilmente confrontarsi con i fatti, con la forza di ciò che è; anche il più realista dovrà confrontarsi con la tendenza umana a ispirare l'azione a valori ideali, a ciò che deve essere (13).
Niebuhr ritiene che sant'Agostino sia stato "per riconoscimento universale il primo grande realista nella storia occidentale. Egli ha meritato questo riconoscimento perché l'immagine della realtà sociale, nella sua 'Civitas Dei', offre un'adeguata considerazione delle forze sociali, delle tensioni e competizioni che sappiamo essere quasi universali a ogni livello di comunità" (14). Per il teologo protestante il realismo di sant'Agostino si lega alla sua concezione della natura umana, e in modo particolare al giudizio sulla presenza del male nella storia. Infatti per sant'Agostino "la fonte del male è l'amor proprio, piuttosto che un qualche residuo impulso naturale che la ragione non ha ancora dominato". Il male non deriva quindi né dalla sensibilità né dalla materialità, che non sono contrapposte allo spirituale. Il fare dei propri interessi materiali o ideali un fine ultimo è una caratteristica umana che ha a che vedere con la libertà e che si esprime in ogni livello dell'esistenza umana e collettiva, dalla famiglia alla nazione all'ipotetica comunità mondiale.
Il realismo di Agostino permette inoltre di rispondere all'accusa rivolta dai liberali a coloro che sostengono una concezione non ottimistica della natura umana: all'accusa cioè di considerare nello stesso modo e quindi di approvare qualsiasi forma di potere. "Il realismo pessimistico – scrive Niebuhr – ha infatti spinto sia Hobbes sia Lutero a una inqualificabile approvazione dello stato di potere; ma questo soltanto perché non sono stati abbastanza realisti. Essi hanno visto il pericolo dell'anarchia nell'egoismo dei cittadini, ma hanno sbagliato nel percepire il pericolo della tirannia nell'egoismo dei governanti" (15).
Il realismo di sant'Agostino, in altri termini, non cede al cinismo e all'indifferenza nei confronti del potere perché "mentre l'egoismo è naturale nel senso che è universale, non è naturale nel senso che non è conforme alla natura dell'uomo". Infatti "un realismo diviene moralmente cinico o nichilistico quando assume che una caratteristica universale del comportamento umano debba essere considerata anche come normativa. La descrizione biblica del comportamento umano, sulla quale Agostino basa il suo pensiero, può rifuggire sia l'illusione sia il cinismo perché essa riconosce che la corruzione della libertà umana può rendere universale un modello di comportamento senza farlo diventare normativo" (16).
L'idea di un realismo che sia in grado di evitare l'indifferenza, il cinismo e l'approvazione incondizionata di qualsiasi forma di potere, così come il sentimentalismo, l'idealismo e le illusioni nei confronti della politica e dell'esistenza umana, emerge con forza da questa rilettura che Niebuhr propone di sant'Agostino. A questa prospettiva – che, come ricordava Niebuhr, esprime una disposizione più che una teoria – sembra riferirsi Obama.
NOTE
(1) C. Blake, "Obama and Niebuhr", in "The New Republic", 3 maggio 2007.
(2) Cfr. R.C. Good, "The National Interest and Political Realism: Niebuhr's 'Debate' with Morgenthau and Kennan", in "The Journal of Politics", n. 4, 1960, pp. 597-619.
(3) C. Carson, "Martin Luther King, Jr., and the African-American Social Gospel", in Paul E. Johnson (ed.), "African American Christianity" University of California Press, Berkeley 1994, pp. 168-170.
(4) L. Giussani, "Grandi linee della teologia protestante americana. Profilo storico dalle origini agli anni Cinquanta", Jaca Book, Milano 1988 (I edizione 1969), p. 131.
(5) R. Niebuhr, "Leaves from the Notebook of a Tamed Cynic", The World Publishing Company, Cleveland 1957 (I edizione 1929), p. 169.
(6) L. Giussani, "Teologia protestante americana", cit., p. 132.
(7) R. Niebuhr, tr.it., "Una teologia per la prassi", Queriniana, Brescia 1977, p. 55.
(8) R. Niebuhr, "An Interpretation of Christian Ethics", Scribner's, New York 1935, p. 67.
(9) R. Niebuhr, "Christianity and Power Politics", Scribner's, New York 1952 (I edizione 1940), pp. IX-X.
(10) Ibid., p. 178.
(11) R. Niebuhr, "The Nature and Destiny of Man. A Christian Interpretation. Vol. I, Human Nature", Scribner's, New York 1964 (I edizione 1941), p. 12.
(12) R. Niebuhr, tr.it., "Il realismo politico di Agostino", in G. Dessì, "Niebuhr. Antropologia cristiana e democrazia", Studium, Roma 1993, pp. 77-78.
(13) Riprendo questa terminologia da Alessandro Ferrara, "La forza dell'esempio. Il paradigma del giudizio", Feltrinelli, Milano 2008, pp. 17-33. Una terza grande forza, oggetto del libro, è quella di "ciò che è come dovrebbe essere".
(14) R. Niebuhr, tr.it., "Il realismo politico di Agostino", cit., p. 79.
(15) Ibid., p. 85.
(16) Ibid., p. 88.
Relegare la religione al privato, "violazione della libertà religiosa" - Il Cardinal Bertone difende la "laicità positiva"
MADRID, giovedì, 5 febbraio 2009 (ZENIT.org).- "Voler imporre, come vuole il laicismo, una fede o una religiosità strettamente privata" presuppone "un'ingerenza nel diritto della persona a vivere le proprie convinzioni religiose come desidera o come queste richiedono".
Lo ha affermato il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, nella conferenza pronunciata questo giovedì nella sede della Conferenza Episcopale Spagnola in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Nel suo discorso, il porporato ha spiegato in cosa consiste la "laicità positiva" alla quale Benedetto XVI si è riferito varie volte, basata sul rispetto della libertà religiosa "come diritto primario e inalienabile della persona".
La libertà religiosa, ha osservato, "è la base delle altre libertà, la loro ragion d'essere", perché "oltrepassa l'orizzonte che cerca di limitarla a un aspetto intimo, a una mera libertà di culto o a un'educazione ispirata ai valori cristiani, per chiedere all'ambito civile e sociale libertà affinché le confessioni religiose possano svolgere la propria missione".
"Lo Stato democratico non è neutrale rispetto alla libertà religiosa, ma, come riguardo alle altre libertà pubbliche, deve riconoscerla e creare le condizioni per il suo effettivo e pieno esercizio da parte di tutti i cittadini", ha constatato.
Proprio per questo, è necessario che sia anche "assolutamente neutrale rispetto a tutte le varie opzioni particolari che i cittadini adottano nei confronti dell'elemento religioso in virtù di questa libertà".
Citando Benedetto XVI, il Cardinal Bertone ha aggiunto che "non è espressione di laicità, ma sua degenerazione in laicismo l'ostilità contro qualsiasi forma di rilevanza politica e culturale della religione; in particolare, contro la presenza di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche".
"Non è nemmeno segno di sana laicità negare alla comunità cristiana, e a quanti la rappresentano legittimamente, il diritto di pronunciarsi sui problemi morali che oggi interpellano la coscienza di tutti gli esseri umani, soprattutto dei legislatori e dei giuristi", ha aggiunto.
Il porporato ha spiegato che quando la Chiesa si pronuncia su un tema "non si tratta di un'indebita ingerenza", ma "dell'affermazione e della difesa dei grandi valori che danno senso alla vita della persona e salvaguardano la sua dignità".
"In definitiva, si tratta di mostrare che senza Dio l'uomo è perduto, che escludere la religione dalla vita sociale, in particolare l'emarginazione del cristianesimo, mina le basi stesse della convivenza umana, perché prima di essere di ordine sociale e politico queste basi sono di ordine morale".
Rispetto reciproco
Secondo il Cardinal Bertone, la Chiesa "non rivendica il ruolo dello Stato", ma rispetta "la giusta autonomia delle realtà temporali" e "chiede lo stesso atteggiamento riguardo alla sua missione nel mondo".
"Lo Stato non può rivendicare competenze, dirette o indirette, sulle convinzioni intime delle persone né imporre o impedire la pratica pubblica della religione, soprattutto quando la libertà religiosa contribuisce in modo decisivo alla formazione di cittadini autenticamente liberi", ha aggiunto.
Il porporato ha lamentato il fatto che oggi "la libertà religiosa sia lungi dall'essere assicurata effettivamente", visto che "in alcuni casi viene negata per motivi religiosi o ideologici" e in altri, "anche se viene riconosciuta teoricamente, è ostacolata di fatto dal potere politico o, in modo più velato, dal predominio culturale dell'agnosticismo e del relativismo".
"E' quindi inconcepibile che i credenti debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi. Per poter godere dei propri diritti non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio", ha avvertito.
Il Cardinal Bertone si è infine riferito al principio dell'uguaglianza delle confessioni religiose, che non deve confondersi, sottolinea, "con l'uniformità di trattamento giuridico di queste da parte della legge civile", ma deve "rispettare le loro peculiarità, tenendo anche presente il radicamento culturale e storico che ognuna ha nella società".
"Non è un'interpretazione corretta: il principio di uguaglianza, in effetti, viene indebolito se si trattano situazioni uguali in modo diverso, ma anche se si trattano situazioni diverse nello stesso modo".
06/02/2009 12:27 – MALAYSIA - Campagna stampa islamica contro il giornale cattolico, che non può difendersi - I media islamici cercano di provocare accusando il giornale di usare la parola “Allah” e provocare ogni male sulla nazione. L’arcivescovo di Kuala Lumpur sceglie il silenzio - forse per non provocare tensioni inutili – e attende la decisione della Corte suprema. La Chiesa ha infatti citato il governo in tribunale perché il divieto viola la libertà religiosa garantita dalla Costituzione.
Kuala Lumpur (AsiaNews) – Il giornale cattolico della diocesi di Kuala Lumpur, l'Herald, sta subendo una campagna di insulti e critiche per l’uso della parola “Allah”, da parte di molta stampa malaysiana e in particolare dell’Utusan Malaysia, un quotidiano nazionale. Negli ultimi tempi, a partire dal 1° febbraio, l’Utusan ha riportato un articolo al giorno con insulti e accuse di proselitismo verso il giornale cattolico; cercando di suscitare lo scandalo della popolazione musulmana per l’uso della parola “Allah” nel definire il Dio dei cristiani; accusando la pubblicazione di voler rovinare della nazione.
Mons. Murphy Nicholas Xavier Pakiam, arcivescovo della capitale, ha pubblicato una dichiarazione in cui si afferma che la diocesi e il giornale hanno deciso di “non fare alcun commento” alla campagna stampa fino a che non vi sarà “la decisione della Corte suprema” sul caso, che avverrà “nel tempo appropriato”.
La proibizione dell’uso della parola “Allah” data da oltre un anno e l’Herald ha perfino rischiato di chiudere se non si conformava alla decisione del ministero della Sicurezza interna, che vede nell’uso una possibile fonte di confusione per i musulmani e di conflitto fra le due comunità.
La diocesi ha citato il governo a giudizio e attende il verdetto della Corte suprema perché reputa il divieto una violazione ai diritti di libertà religiosa e di professione della propria fede, garantiti dalla Costituzione.
Secondo osservatori, la campagna mediatica contro l’Herald cerca di provocare i cristiani per far nascere tensioni e conflitti, che darebbero ragione alla presa di posizione del ministero per la sicurezza interna.
Accademici e politici hanno fatto notare a più riprese che l’uso della parola “Allah” da parte dei cristiani data da molto prima dello stesso Maometto e che in Indonesia, Paese vicino a maggioranza musulmana, i cristiani usano da secoli questa parola per definire il Dio cristiano, senza che vi sia alcuno scandalo.
Da padre a padre. Caro Sig. Englaro... - Mario Dupuis - venerdì 6 febbraio 2009 - Pubblichiamo la lettera aperta a Beppino Englaro scritta per ilsussidiario.net da Mario Dupuis, fondatore e presidente dell’opera Edimar (realtà educativa che accoglie ragazzi disagiati), nel 14esimo anniversario della morte della figlia Anna, cerebrolesa grave – IlSussidiario.net
Carissimo sig. Englaro,
le parlo da padre a padre. Ho avuto una figlia, Anna, cerebrolesa gravissima dalla nascita, colpita da asfissia neonatale, il suo cervello ha smesso di funzionare per sempre. Oggi ricorre il 14mo anniversario dalla sua morte, Anna è vissuta per 15 anni, non ha mai parlato, non ha mangiato, né bevuto da sola. Era nutrita attraverso la P.E.G. e per farla respirare dovevamo somministrarle ossigeno, ogni giorno aspirarle il catarro e drenare i suoi polmoni.
Ho provato a dire “Anna è un dono di Dio, la vita ha un valore inviolabile”, ma non mi bastava, perché quando la realtà appare in tutta la sua crudezza, vuoi capire che cosa hai davanti e cosa c’entra il limite con il tuo desiderio di felicità. Si passa dalla ribellione alla rassegnazione, ma la domanda sempre più assillante e implacabile era: come faccio a guardare tutto questo senza soccombere, senza diventare cinico e rinnegare che la vita ha un significato seppure misterioso? Ferito da questa impotenza ed incompiutezza, ma allo stesso tempo leale con queste domande, non volendo eluderle con facili risposte teoriche, mi sono “attaccato” a chi guardava Anna con una “strana” profondità e un’umanità diversa, che io, che ero suo padre non avevo. Questo è stato per me, all’inizio, motivo di grande disagio, fino a destare curiosità, percepivo che quella figlia lì, chiedeva qualcosa di profondo e di grande a me prima di tutto. Anna non si accontentava di essere trattata come figlia, non voleva essere ridotta al suo “stato”, Anna voleva essere trattata come qualcosa di più grande; Anna c’era per sfidare il mio solito modo - pur comprensibile e inevitabile - di ragionare e di reagire, che però censurava un fatto evidente: nella realtà c’è un quid che va oltre quello che vediamo. Se non ci accade qualcosa nella vita, non sappiamo dare un nome a questo “quid”, ma ciò non toglie che ci sia. Era evidente che ci fosse in Anna qualcosa di più grande che non riuscivo a nascondere a me stesso solo perché non lo vedevo, mentre ciò che vedevo mi generava dolore. Così ho imparato a conoscere Anna in modo nuovo, diverso, se non fosse stato così, avrei detto come tutti: sarebbe meglio se non fosse sopravvissuta.
Quando la realtà si presenta con il pungiglione della diversità e del limite esasperato, capisco che se uno non va fino in fondo, è costretto a rinnegare la realtà, ed è costretto a “staccare”, perché non ce la fa a sopportare una cosa che non sa guardare. Non ce la fa, e così si nega l’esperienza più umana che un uomo possa fare, quella di provare a guardare il limite fino al punto di desiderare con tutto se stesso qualcosa, qualcuno che può abbracciarlo. Non è innanzitutto una questione di “fede” o di valori condivisi; per me è stata una questione di lealtà con ciò che mi accadeva. E’ come se Anna mi dicesse: “Guarda papà che se il tuo cuore è fatto per un destino di felicità, allora è fatto per questo destino anche il mio, guardami così”. Questa è una sfida da accettare, non ci si può nascondere, questa sfida è come un tunnel, va percorso tutto, la devi fare tutta la strada per poter fare un’esperienza di bellezza anche dentro lì, fino ad arrivare alla certezza di un destino di felicità dentro l’apparenza di morte. Tutto ciò mi ha cambiato fino al midollo delle ossa, Anna è morta nel momento in cui cominciava ad essere più usuale trattarla così: non come essere bisognoso di tutto, ma come una persona che per il semplice fatto che c’è, è segno evidente che c’è un Altro che la vuole e che la porta al suo destino di felicità. Altro che rassegnazione in attesa dell’al di là, perché questo destino di felicità era così evidente che chi, guardandola, ne prendeva coscienza, cambiava. Così è cambiato il mio modo di guardare tutto il reale, me stesso e i miei figli e non solo gli handicappati. è successo così anche a tutti quegli amici che ci aiutavano e che a turno venivano ogni giorno a casa nostra a darci una mano e a fare compagnia ad Anna. Così è nata Ca’ Edimar a Padova: l’opera di accoglienza per adolescenti in difficoltà, dove viviamo in due famiglie insieme a 14 ragazzi, che per un certo periodo hanno bisogno di stare lontano da casa. Dove ogni giorno altri 60-70 ragazzi vengono a scuola di cucina. Gli amici di Anna da allora si dedicano ad opere di carità e accoglienza, tutto questo è nato dalla vita “inutile” di una bimba così!
Non la voglio convincere di nulla con questa mia testimonianza, ma solo dirle che mai avrei mai potuto immaginare che da un dolore così sarebbe nato un germoglio di novità umana. È proprio vero che la realtà ci sorprende oltre quello che noi vediamo e decidiamo. È così inutile la vita di una figlia immobile, quanti si domandano oggi grazie ad Eluana il significato della loro vita, perché chiudere la partita? Mi perdoni se ho osato scriverle.
Mario
NOTTE DI DOMANDE A 'LA QUIETE' - QUELLA TOSSE SQUASSA LE PRIME COSCIENZE - LUCIA BELLASPIGA – Avvenire, 6 febbraio 2009
M ettiamoci nei suoi panni: un viaggio allucinato e allucinante. Di notte, su un’ambulanza, lui e lei da soli, costretti dallo spazio angusto a una vicinanza che non era mai avvenuta prima, per ore uno in compagnia dell’altro, muti in due silenzi diversi. Vicini, terribilmente vicini. Si sono incontrati così, Eluana e il dottor Amato De Monte, e lui ne è uscito «devastato»: per l’aspetto di Eluana – si è detto e ha fatto intuire lui stesso, ma senza spiegarsi mai troppo, lasciando vaghi i contorni della sua «devastazione» – o forse per qualcos’altro che in quel viaggio gli ha ingombrato l’anima come un fastidio sottile e insistente, che lui ha voluto scacciare ma ogni tanto ancora gli torna?
Va, l’ambulanza, incrocia gocce di acqua e neve e i fari di altre vite viaggianti nella notte, ignare di quel carico di vita trasportato a morire, mentre Eluana dorme, perché questo fa di notte, da molti anni. Avrà vegliato, invece, il dottor De Monte, e quante volte avrà guardato quel sonno forse un po’ agitato dalla mancanza di un letto, sempre lo stesso da quindici anni, del tepore di una stanza, dei rumori e degli odori sempre uguali e rassicuranti, della carezza frequente di una suora? Poi è arrivata l’alba e un cancello si è inghiottito Eluana, nessuno l’ha più vista se non i volontari e il medico, ancora lui, taciturno con i giornalisti, scuro in volto, sempre frettoloso, anche la sera quando si allontana pedalando sulla bicicletta per le strade di Udine. «Eluana è morta diciassette anni fa», aveva detto in quell’alba di martedì scorso, lasciando con sollievo l’ambulanza e quella strana compagna di viaggio che l’aveva devastato, lui, medico anestesista e rianimatore che chissà quante ne deve aver viste in vita sua... Ma dopo una notte ne segue sempre un’altra, e un altro confronto con Eluana, che morta non è e quindi si agita... Passa la prima notte, la seconda andrà meglio – si dice il medico – ma così non è, perché Eluana non pare più la stessa, poche ore fuori casa e qualcosa è già cambiato. Tossisce, Eluana. Tossisce? Sì, tossisce, e di una tosse che squassa i suoi (forti) polmoni ma forse di più l’udito e le coscienze di chi l’ascolta e non sa che fare. Tossisce, si scuote, quasi si strozza e intanto, proprio come farebbe ciascuno di noi, tende e tirarsi su, cerca aria, solleva le spalle ma non riesce. Dove sono quelle mani che a Lecco sapevano sempre cosa fare? Perché non accorre chi immediatamente compiva quel piccolo gesto che dava sollievo? Eluana tossisce sempre più, una tosse che accenna ad essere ribellione di un corpo, che è richiesta, che è grido. Una tosse che, beffarda, sembra fare il verso a chi dice 'Eluana è morta diciassette anni fa': no, un morto non si agita nel letto sconosciuto.
Gli infermieri-volontari provano di tutto, ma appartengono all’équipe di De Monte, conoscono a memoria il protocollo per farla morire, che ne sanno ora dei piccoli gesti che sono propri di una vita, di quella vita? Come si gestisce una «morta» che fa i capricci e nel solo modo che conosce pesta i piedi? Dovevano essere devastati anche loro, l’altra notte, se alla fine si decidono a fare il fatidico numero di Lecco e con nuova umiltà chiedono al medico curante di Eluana: come facevate a farla stare bene? Il dottore deve aver provato a spiegare come mai in quindici anni non era stato necessario aspirare il catarro (l’incubo dei disabili come lei), avrà indicato al collega le mosse da fare, ma il resto non poteva spiegarlo: accarezzatela, osservate il suo respiro e ascoltate il battito del suo cuore – si erano tanto raccomandati da Lecco quella notte lasciandola partire per Udine –, sono i tre elementi che vi porteranno ad amarla... Ma questo nel protocollo non sta scritto e nessuno lo può insegnare. Questo raccontano tra i sussurri dalla «Quiete», la casa di riposo in cui la notte è passata agitata un po’ per tutti.
Inutile invece chiedere conferme alla clinica di Lecco: medici e suore hanno giurato silenzio e quella è gente che ha una sola parola. Tacciono e pregano. Ma a Udine avevano giurato sul protocollo di morte, mentre quella tosse di vita «devasta» già le prime coscienze.