Nella rassegna stampa di oggi:
1) Avvenire 10 Febbraio 2009 - Non morta, ma uccisa - Adesso però vogliamo sapere tutto
2) COMPLIMENTI NAPOLITANO - Mario Giordano, il Giornale, 10 febbraio 2009
3) NIENTE EUCARISTIA - a politici, medici, legislatori e familiari - favorevoli alla soppressione di Eluana - Intervista esclusiva a monsignor Malcolm Ranjith, Segretario della Congregazione vaticana per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
4) I VOLENTEROSI CARNEFICI DI ELUANA - E' un orrore funesto assistere a questo branco di relitti che si prosternano davanti all'idolo della morte - Editoriale di Giuliano Ferrara - (C) Il foglio - 9 febbraio 2009 - prima pagina
5) Arcivescovo Bruno Forte: l’amore è più forte della morte - Il caso di Eluana apre “un buco nero nella nostra convivenza civile”
6) Pacatamente - Autore: Morresi, Assuntina Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.stranocristiano.it - martedì 10 febbraio 2009
7) Assassini. Che il Signore li perdoni. Il padre per primo. Amen - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele Curatore: Riva, Sr. Maria Gloria - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 9 febbraio 2009
8) 10/02/2009 09:58 INDIA - Suore di Madre Teresa: disabili, non “vegetali”, ma fonte di “ricchezza” per l’umanità - di Nirmala Carvalho - Le Missionarie della Carità gestiscono un centro per bambini portatori di handicap fisici e mentali a Mumbai. I disabili non sono dei “vegetali”, ma persone con “esigenze speciali” e “fonte di benedizione per il mondo intero” che impone modelli basati sulla “produttività”.
9) ELUANA/ Cosa chiedono i politici a Napolitano - Mario Mauro - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
10) ELUANA/ 1. La vedova Coletta: un sacrificio misterioso che ci fa sperare - Redazione - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
11) ELUANA/ 2. Giannino: un appello a ciò che ci rende uomini - Oscar Giannino - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
12) LEOPARDI/ Quella misteriosa Natura che voleva tenere in vita Eluana - Luca Doninelli - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
13) BIOETICA/ Gli ibridi uomo-animale e le mani sugli embrioni umani - Augusto Pessina - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
14) SFORZO IMPONENTE PER DARLE UNA MORTE BRUTALE - Un abbandono estremo forma più grave d’eutanasia - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 10 febbraio 2009
Avvenire 10 Febbraio 2009 - Non morta, ma uccisa - Adesso però vogliamo sapere tutto
Eluana è stata uccisa. Davanti alla morte le parole tornano nude. Non consentono menzogne, non tollerano mistificazioni. E se noi – oggi – non le scrivessimo, queste parole nude e vere, se noi – oggi – non chiamassimo le cose con il loro nome, se noi – oggi – non gridassimo questa tristissima verità, non avremmo più titolo morale per parlare ai nostri lettori, ai nostri concittadini, ai nostri figli. Non saremmo cronisti, e non saremmo nemmeno uomini.
Eluana è stata uccisa. Una settimana esatta dopo essere stata strappata all’affetto e alla «competenza di vita» delle sorelle che per 15 anni, a Lecco, si erano pienamente e teneramente occupate di lei. In un momento imprecisato e oscuro del «protocollo», orribile burocratico eufemismo con il quale si è cercato di sterilizzare invano l’idea di una «competenza di morte» messa in campo, a Udine, per porre fine artificialmente ai suoi giorni.
Eluana è stata uccisa. E noi osiamo chiedere perdono a Dio per chi ha voluto e favorito questa tragedia. Per ogni singola persona che ha contribuito a fermare il respiro e il cuore di una giovane donna che per mesi era stata ostinatamente raccontata, anzi <+corsivo>sentenziata<+tondo>, come «già morta» e che morta non era. Chiediamo perdono per ognuno di loro, ma anche per noi stessi. Per non aver saputo parlare e scrivere più forte. Per essere riusciti a scalfire solo quando era troppo tardi il muro omertoso della falsa pietà. Per aver trovato solo quando nessuno ha voluto più ascoltarle le voci per Eluana (le altre voci di Eluana) che erano state nascoste. Sì, chiediamo perdono per ogni singola persona che ha voluto e favorito questa tragedia. E per noi che non abbiamo saputo gridare ancora di più sui tetti della nostra Italia la scandalosa verità sul misfatto che si stava compiendo: senza umanità, senza legge e senza giustizia.
Eluana è stata uccisa. E noi vogliamo chiedere perdono ai nostri figli e alle nostre figlie. Ci perdonino, se possono, per questo Paese che oggi ci sembra pieno di frasi vuote e di un unico gesto terribile, che li scuote e nessuno saprà mai dire quanto. Con che occhi ci guarderanno? Misurando come le loro parole, le esclamazioni? Rinunceranno, forse per paura e per sospetto, a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre e maestro e amico e gli potrebbe diventare testimone d’accusa e pubblico ministero e giudice e boia? Chi insegnerà, chi dimostrerà, loro che certe parole, che le benedette, apodittiche certezze dei vent’anni non sono necessariamente e sempre pietre che gli saranno fardello, che forse un giorno potrebbero silenziosamente lapidarli. Ci perdonino, se possono. Perché Eluana è stata uccisa.
Sì, Eluana è stata uccisa. E noi, oggi, abbiamo solo una povera tenace speranza, già assediata – se appena guardiamo nel recinto delle aule parlamentari – dalle solite cautelose sottigliezze, dalle solite sferraglianti polemiche. Eppure questa povera tenace speranza noi la rivendichiamo: che non ci sia più un altro caso così. Che Eluana non sia morta invano, e che non muoia mai più. Ci sia una legge, che la politica ci dia subito una legge. E che nessuno, almeno nel nostro Paese, sia più ucciso così: di fame e di sete.
Ma che si faccia, ora, davvero giustizia. Che s’indaghi fino in fondo, adesso che il «protocollo» è compiuto e il mistero di questa fine mortalmente c’inquieta. Non ci si risparmi nessuna domanda, signori giudici. Ci sia trasparenza finalmente, dopo l’opacità che ci è stata imposta fino a colmare la misura della sopportazione. E si risponda presto, si risponda subito, si risponda totalmente. Come è stata uccisa Eluana?
Marco Tarquinio
COMPLIMENTI NAPOLITANO - Mario Giordano, il Giornale, 10 febbraio 2009
È morta all’improvviso, è morta da sola. È morta mentre il Parlamento discuteva e i soliti noti, da Dario Fo a Umberto Eco, firmatari di ogni sciagurato appello di questo Paese, si apprestavano a scendere in piazza per un girotondo. È morta, e se non altro la sua vita non ha dovuto subire anche l’ultima offesa di Oscar Luigi Scalfaro sul palco mentre lei moriva. È morta e suo padre era lontano. È morta di fame e di sete, con il respiro ridotto a un rantolo e il corpo disidratato che cercava acqua dentro gli organi vitali.
È morta in fretta, troppo in fretta per non generare sospetti. E intanto suona tragicamente beffardo leggere adesso, a tarda sera, le parole del suo medico curante che di prima mattina assicurava: «Lo stato fisico è ottimo, Eluana è una donna sana, pochi rischi fino a giovedì». Evidentemente la conosceva poco. Troppo poco. E forse per questo ha potuto toglierle la vita. È arrivata la morte, e la morte non è presunta. La volontà di morire di Eluana sì, invece, quella era e resta presunta: l’ha decisa un tribunale, sulla base di una ricostruzione incerta e zoppicante, con una selezione innaturale di testimonianze. Tre amiche (solo tre, le altre no), la determinazione del padre, un po’ di azzeccagarbugli: tanto è bastato per decidere di ucciderla nel modo più atroce.
Ricordiamolo: nessuna proposta di legge di quelle presentate in Parlamento, neppure quelle più favorevoli all’eutanasia, prevede la possibilità di una morte così. Eluana è stata la prima esecuzione di questo genere nella storia della Repubblica. E sarà l’ultima. Forse. Arriverà la legge, e non sarà presunta. Arriverà la legge e impedirà questo scempio. Ma oggi l’affannarsi di parlamentari alla Camera e al Senato, quel rincorrersi di cavilli e regolamenti, quelle riunioni di capigruppo, l’alternarsi di dichiarazioni e di emendamenti, appare soltanto quel che in realtà è: il nulla. Nulla di nulla. Un nulla che fa venire le lacrime agli occhi, però. La corsa contro il tempo, la convocazione notturna, i calcoli sui minuti: tutto inutile. Eluana è stata uccisa. Eluana era viva e adesso non c’è più. E allora, mentre molti chiedono il silenzio solo per nascondere le loro vergogne, non può non venire voglia di urlare le responsabilità che ricadranno su chi non ha fatto niente per impedire questo orrore.
In primo luogo i medici che non hanno accettato di ridare acqua e cibo a Eluana in attesa dell’approvazione della legge, nonostante i numerosi appelli. Poi Procura di Udine e Regione Friuli che hanno giocato per due giorni a scaricabarile.
E infine, sia consentito, anche il capo dello Stato che non ha firmato il decreto legge: in questa vicenda il Quirinale ha anteposto le ragioni di palazzo alla salvezza di una ragazza, ha preferito la cultura della morte al valore della vita. Siamo sicuri che se una responsabilità del genere se la fosse assunta il presidente del Consiglio, qualcuno della sinistra in questi minuti già chiederebbe le sue dimissioni. Ora, invece, vogliono che si taccia. D’accordo, ora taceremo. Non abbiamo nemmeno più voglia di parlare. Ma prima lasciateci dire un’ultima cosa. Prima lasciateci dire: complimenti, presidente Napolitano.
NIENTE EUCARISTIA - a politici, medici, legislatori e familiari - favorevoli alla soppressione di Eluana - Intervista esclusiva a monsignor Malcolm Ranjith, Segretario della Congregazione vaticana per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Caso Englaro - Intervista esclusiva a Monsignor Malcolm Ranjith: “Niente Comunione a politici, legislatori, medici e familiari che hanno concorso all’uccisione di Eluana”
CITTA’ DEL VATICANO - Niente Comunione per i politici, i legislatori, i medici e tutti coloro che hanno concorso a vario titolo alla morte per disidratazione e denutrizione di Eluana Englaro. L’affondo, contenuto in questa intervista concessa in esclusiva al nostro giornale, è dell’Arcivescovo Albert Malcolm Ranjith, Segretario della Congregazione vaticana per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Eccellenza, domanda secca: chi ha operato per la morte di Eluana Englaro può accostarsi alla Comunione?
“Assolutamente no! Non si può concedere il Corpo di Cristo vivo a chi è per la cultura della morte. Io per primo non amministrerei l’Eucaristia a nessuna delle persone coinvolte in questa tristissima storia”.
Si può dunque dire che chi si è mosso per la morte di Eluana è, di fatto, tra virgolette, ‘scomunicato’, cioè fuori dalla comunione con la Chiesa?
"Sì, senza distinzione tra politici, medici, legislatori e familiari dell’ammalata favorevoli alla sua soppressione. Anche il punto numero 83 dell’Esortazione Apostolica ‘Sacramentum Caritatis’ del Santo Padre Benedetto XVI è molto chiaro in proposito: chi vuole accostarsi all’Eucaristia, deve tutelare la vita dal suo inizio al termine naturale. A tal riguardo, posso comunque anticipare che è allo studio un'iniziativa per fare chiarezza definitivamente proprio sull’impossibilità dei cattolici di accostarsi alla Comunione se parte attiva, a vari livelli, in casi di eutanasia”.
Monsignor Ranjith, che idea si è fatta della vicenda Englaro?
“Provo un grande, grandissimo dispiacere per questa ragazza la cui vita ha dipeso dalle decisioni degli altri. Pensi, io vengo dallo Sri Lanka, dove per la cultura locale è peccato davanti a Dio persino ucciderete un insetto… Nel mio Paese, un buddista non farebbe mai morire di fame e sete Eluana Englaro; in Italia, un Paese che si dice cristiano, in nome di una falsa pietà, si sta invece uccidendo questa inerme ragazza nel peggiore dei modi. Non c’è che dire, in Italia, così come in tutto l’Occidente, rischia di avanzare la cultura della morte”.
Cosa dice a Beppino Englaro, il padre di Eluana?
“Che la vita è sacra, sempre sacra, e lo era anche e soprattutto nel caso di Eluana; la vita è un dono di Dio e solo Dio, per le vie naturali, può riprendere indietro ciò che ha concesso”.
Come giudicherà Dio chi ha voluto la morte di Eluana?
“Non credo bene".
di Gianluca Barile
Petrus
I VOLENTEROSI CARNEFICI DI ELUANA - E' un orrore funesto assistere a questo branco di relitti che si prosternano davanti all'idolo della morte - Editoriale di Giuliano Ferrara - (C) Il foglio - 9 febbraio 2009 - prima pagina
Che branco di mascalzoni questi gentiluomini. Ci dicono pagani, golpisti, sfruttatori del dolore, mestatori nel torbido, autori di uno scempio. Questi che si dicono laici e che sono soltanto relitti del vecchio familismo amorale degli italiani, specie quando recitano il coro vomitevole di papà Beppino e di una nichilistica libertà di coscienza per giustificare l'eliminazione fisica di una disabile, una esecuzione degna dei nazisti.
Secondo loro, un piccolo popolo che ha finalmente trovato a Udine un boia asettico e clinico, saremmo noi a usare il corpo di Eluana. Noi che lo vorremmo in pace, quel sinolo di anima e corpo che appartiene a una cittadina adulta e titolare del diritto alla cura e alla vita; loro che lo hanno sequestrato alle suore misericordine di Lecco e lo hanno gettato in una tetra stanza dove decine di volenterosi carnefici piagnoni lo affamano e lo assetano in reverente obbedienza a una sentenza definitiva. Alla faccia della moratoria contro la pena di morte, quel >b>grido ipocrita della società abortista ed eutanasica ed eugenetica, quel gesto simbolico invocato contro le sentenze definitive di condanna a morte che ora viene rimproverato a noi, che vogliamo una moratoria anche per la Englaro, da questi sepolcri imbiancati.
Sarebbe il governo a fare un colpo di stato contro la Costituzione e il diritto. Bugiardi che non sono altro, calunniatori e mistificatori: è un quindicennio che i Defanti e i Mori e gli altri paranoici dell'eutanasia, insieme con i tiepidi testamentari biologici, fanno campagna sul corpo di Eluana Englaro. Una campagna disgustosa. Atrocemente sentimentale. Una campagna pubblica dissimulata nelle sordide cautele della pietà privata simulata. Che fa leva sulla paura della gente, sul pregiudizio ignorante in materia di disabilità, sulla spregevole indifferenza verso la carnalità pulsante, respirante, anelante della vita umana, quell'indifferenza morale che si dispiega nella società che loro amano, quella dell'aborto, dell'eugenetica, della distruzione della vita per migliaia e milioni di embrioni, dei protocolli che uccidono i down come le spine bifide.
Lo avevamo detto, con il professor Ratzinger, che in questo secolo si giocherà sulla vita la battaglia della ragione e del buonumore. Non pensavamo che ci saremmo trovati tanto presto, a queste tristi latitudini, di fronte a un protocollo costituzionale di morte per disidratazione. Non pensavamo che una generazione postideologica sarebbe rifluita tanto facilmente negli imperativi dell'etica nullista, e che questo vecchio popolo di sinistra sfregiato dalla distruzione della vita, della famiglia, della maternità, del sesso, dell'amore coniugale, dell'educazione, della cultura e della cura sarebbe riuscito a imporre una cappa di consenso coatto, totalitario, tale da portare in piazza gente che lotta contro la carità cristiana e la laica cura ippocratica dei malati, e che si prosterna di fronte all'idolo della morte. È un orrore funesto assistere a questa immonda accademia, uno schifo senza speranza.
Arcivescovo Bruno Forte: l’amore è più forte della morte - Il caso di Eluana apre “un buco nero nella nostra convivenza civile”
ROMA, lunedì, 9 febbraio 2009 (ZENIT.org).- “Se una sentenza può decidere di togliere acqua e cibo a qualcuno per farlo morire, stabilendo che questo è legale, mi sembra che una voragine si apra davanti a noi, un buco nero nella nostra convivenza civile”, ha scritto mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, in un articolo pubblicato il 4 febbraio su Il Messaggero.
“Chi vincerà se Eluana morirà così?”, si domandava il presule alcuni giorni fa, quando Eluana Englaro era ancora in vita. “Non certo la dignità della persona umana, di qualunque persona umana, quale che sia la sua condizione fisica o mentale, economica o sociale, la nazionalità, il colore, la storia”.
“La dignità di tante persone diversamente abili, con gradi a volte altissimi di disabilità, come di tanti pazienti in stato vegetativo, il valore della vita personale, di ogni vita personale, è qui fortemente messo in questione, è anzi perfino minacciato”, affermava mons. Forte.
Dicendosi cosciente della profonda sofferenza patita da Beppino Englaro, l’Arcivescovo affermava tuttavia: “Non comprenderò mai una Legge che consenta a un medico di porre fine alla vita di Eluana”.
“Per chi crede, quella vita viene da Dio e spetta a Lui solo chiamarla a sé – proseguiva –. Per chi non crede, quella persona viva e vitale, anche se priva di ogni apparente coscienza, è un fratello, una sorella in umanità”.
“E questo dovrebbe bastare per riconoscere che la sua vita è un assoluto davanti a cui è necessario arrestarsi con rispetto, cura e attenzione d’amore”, sottolineava con forza.
“L’amore comunica dove altrimenti non c’è che solitudine e rinuncia – scriveva –: l’amore intesse dialoghi non verbali, fatti anche soltanto del contatto di una mano sull’altra, di una prossimità attenta e discreta, di un essere accanto con la tenerezza infinita che si ha verso la creatura amata, anche quando questa vive in uno stato solo vegetativo”.
“L’amore ti fa sentire la musica che le orecchie non odono, e dire le parole che le labbra non sanno pronunciare. ‘Forte come la morte è l’amore’, dice Shir ha-Shirim, il Cantico dei Cantici (8,7)”, continuava il presule.
“E la via del dialogo attraverso cui far vincere la vita sulla morte – osservava poi –, non sono le parole, ma la prossimità: ‘Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio’”.
Pacatamente - Autore: Morresi, Assuntina Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.stranocristiano.it - martedì 10 febbraio 2009
Eluana è morta in solitudine, nella stanza in cui era stata confinata, a Udine, lontano dalle carezze delle suore e dall’ambiente familiare della clinica di Lecco. E’ morta in mani estranee, di gente che non l’aveva mai vista prima di lunedì scorso, e che si era messa a disposizione per farla morire di fame e di sete. Persone che l’hanno avvicinata, toccata, maneggiata, sapendo che dovevano lasciarla morire di fame e sete.
Non c’era suo padre - che d’altra parte in questi anni l’aveva lasciata alle suore – lui stava a Lecco, per sicurezza. Non c’era la sua specialissima curatrice, l’avvocato Franca Alessio, che, per l’appunto, si è presa tanta cura di Eluana, in questi anni. Non c’era neanche Defanti, il cosiddetto medico curante, e neppure De Monte, il responsabile del protocollo di morte. Non c’era nessuno, insomma.
Nel primo pomeriggio era stato comunicato che le sue condizioni erano stabili; sapevamo che non c’era ancora nessun blocco renale, e che non era ancora stato raggiunto il punto di non ritorno nel digiuno e nella disidratazione forzata.
Un’agenzia Ansa delle 21.08 spiega che “la situazione di Eluana Englaro e’ rimasta stabile fino al primo pomeriggio, dopodiche’ sarebbe avvenuto un improvviso peggioramento” , ma si contraddice con agenzie che un’ora dopo dicono: “Eluana, ha riferito Defanti, ha smesso di vivere improvvisamente per subentrate complicazioni respiratorie: ha cominciato a respirare male, in maniera sconnessa fino all’arresto respiratorio. “E’ stato un arresto improvviso”, conclude Defanti” (AGI, 9.02). E d’altra parte, se è morta in solitudine, se nessuno è stato avvertito in tempo e non c’erano familiari o medici in stanza, delle due l’una: o è spirata in meno di due minuti, oppure l’attenzione dei volontari che la “accudivano” era tale che nessuno si era accorto che stava male.
Eluana è morta molto prima del previsto, considerando anche che proprio oggi Defanti, quello convinto che morire disidratati è dolcissimo, ha dichiarato al Corriere che Eluana stava bene, a Lecco, i suoi esami erano perfetti.
Eluana è morta – ma guarda un po’ che fatalità, che singolare coincidenza, quando si dice il caso, l’imprevisto, l’evento improvviso ed imprevedibile, ma che sorpresa signora mia – un attimo - letteralmente un attimo - prima del voto al Senato di un Disegno di Legge che avrebbe messo in mutande l’opposizione e avrebbe schiacciato l’imparzialità del Presidente della Repubblica sulla posizione dei suoi ex compagni di partito.
Adesso si invoca la calma, il silenzio, la riflessione, si chiede di abbassare la voce, magari anche socchiudere gli occhi, chinare il capo, turarsi le orecchie e l ’avverbio del momento è “pacatamente”. Noi naturalmente siamo prontissimi a seguire gli inviti alla saggezza ed alla compostezza, e
1. Pacatamente, ricordiamo che se il Presidente della Repubblica avesse firmato il decreto venerdì scorso, adesso Eluana sarebbe viva.
2. Pacatamente, ricordiamo che gli unici a poter fermare il protocollo di morte – oltre a Giorgio Napolitano - erano il sindaco di Udine, il Presidente della regione Tondo con i suoi assessori e il Procuratore di Udine, e non l’hanno fatto.
3. Pacatamente, chiediamo al Procuratore di Udine dove sono finite le testimonianze raccolte dopo l’esposto, quelle delle compagne di scuola e degli insegnanti che dichiaravano di non aver mai sentito Eluana parlare di morte e stati vegetativi dalla mattina alla sera, fin dalla più tenera età.
4. Pacatamente, vorremmo sapere che fine ha fatto la relazione degli ispettori ministeriali, dove ci risulta scritto, tra l’altro, che Eluana era sedata anche per via orale, cioè per bocca (perché lei deglutiva, ricordiamo).
5. Pacatamente, vorremmo chiedere allo stesso procuratore come mai chi ha tanto amorevolmente sedato per bocca Eluana, non si è preoccupato anche di darle da bere, visto che era in grado di ingoiare.
6. Pacatamente, temiamo che i risultati dell’autopsia facciano la fine degli esposti e delle relazioni di cui sopra e che l’eventuale cremazione impedisca per sempre di conoscere la verità.
7. Pacatamente, ricordiamo che il Presidente della Repubblica, mesi fa, aveva risposto ad una lettera di Carlo Casini dichiarando che non sarebbe mai intervenuto nel merito del caso Englaro. Tutto il mondo politico sapeva da tempo che Giorgio Napolitano non avrebbe mai firmato un decreto per impedire la morte di Eluana, e d’altra parte, se non l’ha fatto quando già avevano iniziato il digiuno e la disidratazione forzati, figuriamoci quanto poteva essere disposto a farlo quando Eluana stava ancora a Lecco dalle suore.
8. Pacatamente, ricordiamo che il Presidente Napolitano ha contestato che ci fosse il requisito dell’urgenza, necessario a fare un decreto, quando Eluana aveva già iniziato la disidratazione forzata. Non c’era niente di urgente, secondo lui.
9. Pacatamente, ricordiamo anche che il ministro Sacconi ha emanato un atto di indirizzo lo scorso dicembre, in attesa di una legge sul fine vita, che proibiva nei fatti di uccidere Eluana. Atto di indirizzo contestato dai compagni del PD (d’ora in poi Partito Disidratato) che prima hanno accusato Sacconi di violenza (c’è anche una denuncia per violenza privata nei suoi confronti, alla Procura di Roma, proprio per l’atto di indirizzo); gli stessi del PD adesso chiedono cosa ha fatto il governo per impedire la morte di Eluana. Se tutto il Parlamento veramente avesse voluto impedire la morte di Eluana, bastava difendere l’atto di indirizzo. Semplice, no? Molto pacatamente, vorrei far notare che il decreto di urgenza del governo di venerdì scorso è stato contestato con forza dal PD, che ha chiesto un confronto parlamentare per la legge sul fine vita. Ma se confronto deve essere – com’è giusto che sia – ci vuole tempo. Provate solo ad immaginare – pacatamente – come avrebbe reagito il PD se a novembre il PdL avesse detto: bene ragazzi, vogliono far morire Eluana di fame e sete, facciamo la legge in due settimane, senza tante storie.
10. Pacatamente, vorremmo sapere perché tanta ansia del Procuratore di Trieste – superiore di quello di Udine – nel gridare per monti e per mari che mai e poi mai si stava indagando sul caso Englaro, e che mai e poi mai si sarebbero sequestrate le stanze di Eluana, e che mai e poi mai si sarebbe impedito di attuare il decreto. Il Procuratore di Trieste, Beniamino Deidda, è fra i fondatori di MD, Magistratura Democratica, d’ora in poi Magistratura Disidratata (non è colpa nostra se Democratici comincia con la D, come Disidratati).
Abbiamo tante domande da farci, pacatamente. E cercheremo di rispondere a tutte, sempre pacatamente.
Adesso vogliamo solo piangere Eluana, morta innaturalmente per una sentenza dei magistrati ma soprattutto, come ha dichiarato Gustavo Zagrebelsky, ex presidente della Corte Costituzionale, e firma pacata di Repubblica, “la premessa più importante è che ciò che è accaduto fino ad ora è legale”.
Assassini. Che il Signore li perdoni. Il padre per primo. Amen - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele Curatore: Riva, Sr. Maria Gloria - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 9 febbraio 2009
Quello che temevamo, quello per cui abbiamo in tanti agito perché non accadesse, quello che nessuno di noi ha voluto è accaduto: mentre recitavamo il S. Rosario per una vecchina morta questa mattina, e che era nelle stesse condizioni di Eluana, ma accolta, amata, servita, quasi «adorata», ci ha raggiunto la notizia della tragica morte di Eluana.
Un dolore e una preghiera, come quella del grande Paolo VI in occasione dell’assassinio di Aldo Moro: «Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il De profundis, il grido cioè ed il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce.
Signore, ascoltaci!
E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui.
Signore, ascoltaci!»
Un dolore e una preghiera, che faccia superare il grido «Assassini!» che in queste ore sale spontaneo alla gola, che sappia dare parole di perdono e di speranza.
Siamo in lutto, per Eluana, certo, ma anche per tutti quei cuori che si sono chiusi all’amore per la vita, ad una pietas che avrebbe dovuto soltanto illuminare e guidare i passi degli uomini.
Verrà anche il tempo dei bilanci, della riflessione sulla responsabilità, sui compiti educativi. Per ora ci guidi, insieme al dolore e alla preghiera, questa invocazione poetica di Eliot:
«Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perché dovrebbero amare le sue leggi? / Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare./ È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri./ Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli./ Essi cercano sempre d’evadere/ dal buio esterno e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono… Ma l’uomo che è adombrerà/ l’uomo che pretende di essere… E il Figlio dell’Uomo non fu crocefisso una volta per tutte/ il sangue dei martiri non fu versato una volta per tutte,/ le vite dei Santi non vennero donate una volta per tutte (...). E se il Tempio dev’essere abbattuto /dobbiamo prima costruire il Tempio».
«In luoghi abbandonati / Noi costruiremo con mattoni nuovi / Vi sono mani e macchine / E argilla per nuovi mattoni / E calce per nuova calcina / Dove i mattoni sono caduti / Costruiremo con pietra nuova / Dove le travi sono marcite / Costruiremo con nuovo legname / Dove parole non sono pronunciate / Costruiremo con nuovo linguaggio / C’è un lavoro comune / Una Chiesa per tutti / E un impiego per ciascuno / Ognuno al suo lavoro» [T. S. Eliot, Cori da «La Rocca»]
10/02/2009 09:58 INDIA - Suore di Madre Teresa: disabili, non “vegetali”, ma fonte di “ricchezza” per l’umanità - di Nirmala Carvalho - Le Missionarie della Carità gestiscono un centro per bambini portatori di handicap fisici e mentali a Mumbai. I disabili non sono dei “vegetali”, ma persone con “esigenze speciali” e “fonte di benedizione per il mondo intero” che impone modelli basati sulla “produttività”.
Mumbai (AsiaNews) – Accudire oltre 100 bambini abbandonati o affetti da disabilità, ritardi mentali, handicap fisici; curare i malati di Aids; garantire una morte dignitosa ai moribondi, ripudiati dalla famiglia e senza un luogo in cui trovare rifugio. È la missione delle suore che gestiscono la Casa di Asha Daan a Mumbai, fondata nel 1976 dalla Beata Teresa di Calcutta e gestita dalle Missionarie della Carità. Le religiose hanno deciso di spendere la propria vita al servizio di persone in apparenza “diverse”, ma che meritano tutto “l’amore, il rispetto e la dignità” che si deve a una “vita umana”.
Alla vigilia della Giornata mondiale del malato, in programma l’11 febbraio, Sr M Infanta descrive una quotidianità che è caratterizzata non solo dal dolore e dalla sofferenza, ma anche e soprattutto dal rapporto di amore e di condivisione fra le suore e gli ospiti del centro: “Ad Asha Daan vi sono 100 bambini – racconta la superiora – fra maschi e femmine, 83 dei quali portatori di handicap fisici o mentali. La loro età varia dai 3 ai 15 anni, ma sembrano così piccoli. Alcuni hanno ritardi mentali del 90%, altri dei gravissimi handicap fisici, ma ognuno di loro è un tesoro, un dono e una benedizione”.
Sr M. Infanta sottolinea che “ogni vita umana merita di essere vissuta”, anche se non sembra rispondere ai criteri di utilità o “produttività” imposti dai modelli attuali: “Questi bambini – continua la suora – sono creati per amare ed essere amati. Sono una fonte unica di benedizione per noi, per la società e per il mondo intero”.
“I portatori di handicap fisici e mentali – ammonisce – non sono dei vegetali, ma bambini con esigenze speciali: rispondono ai gesti di affetto, al contatto fisico, individui unici che sono in grado di comunicare. Lo sappiamo noi, come lo sanno i volontari che lavorano al centro, anche se queste risposte vengono manifestate con piccoli segnali”.
“Noi Missionarie della Carità – confida la suora, da 40 anni nell’ordine fondato dalla Beata Teresa di Calcutta – riceviamo grazie in abbondanza per il servizio che prestiamo ai più bisognosi. Come diceva Madre Teresa – conclude – mostra la tenerezza attraverso il tuo volto, i tuoi occhi, il tuo sorriso e il calore del tuo saluto. Devi sempre mostrare un sorriso allegro. Non prestare solo una cura, ma offri al tempo stesso il tuo cuore”.
ELUANA/ Cosa chiedono i politici a Napolitano - Mario Mauro - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
È iniziata la corsa contro il tempo per salvare la vita di Eluana Englaro. L’ha iniziata questo governo che, sin dal primo momento, ha scelto di riaffermare il più importante tra i diritti: il diritto alla vita. Il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri è un segnale chiaro della posizione sulla vicenda. Nonostante il diniego del Presidente Napolitano, si procede a predisporre un disegno di legge per affermare che Eluana non può essere fatta morire. L’impegno del presidente Silvio Berlusconi è stato determinante: con un intervento immediato ha dimostrato di voler fare il possibile perché in questo Paese non venga eseguita un’atroce sentenza che, qualora venisse portata a termine, aprirebbe voragini giuridiche e ambiguità legali. Con questo spirito con Roberto Formigoni, Francesco Cossiga, Mario Giordano e Vittorio Feltri abbiamo scritto la lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che contiene l’appello in favore di Eluana. Un appello stilato e sottoscritto da chi, consapevole che una ferita così grave non può essere inflitta a questo Paese, ha deciso di far sentire il proprio personale rifiuto rispetto a questo disegno di morte e che invitiamo, dunque, a firmare.
Si cerca oggi di introdurre ciò che dal 1999 al 2006 era stato negato: tutti i ricorsi di Beppino Englaro, respinti come inammissibili, ora sono stati accolti. Soltanto ora la pretesa del padre di fare morire la figlia è stata presa in considerazione e, stravolgendo la nostra Costituzione, quello alla morte è diventato un diritto. Eluana va a morire nel modo più atroce, privandola dell’alimentazione. L’acqua e il cibo le sono stati negati per sentenza. Questa donna non sarà la prima Terry Schiavo italiana: bisogna continuare a tentare tutte le strade legislative, giuridiche e mediche per cercare di proteggere chi non è in grado di farlo autonomamente perché affetto da malattia grave.
Non sembra, allora, un caso che nessuno di noi abbia mai potuto vedere anche una sola immagine di quella ragazza che oggi, diciassette anni dopo l’incidente, è una donna. Si è indotti così a pensare che Eluana sia un corpo privo di vita e di coscienza. Nessuna fotografia, nessun video è mai uscito dalla clinica di Lecco, il luogo in cui le Suore Misericordine hanno vegliato con infinito amore su di lei. Il suo volto è tenuto nascosto dietro quelle mura, perché altrimenti si saprebbe chi è oggi Eluana. Una donna che respira senza l’aiuto di macchinari, che apre gli occhi al levare del sole, che li richiude per il riposo notturno, che ha il ciclo mestruale e che tossisce. Il suo è un corpo che assimila il nutrimento (cibo e acqua). Un corpo che cresce e vive. Il cibo e i liquidi che oggi le sono negati le vengono somministrati col sondino, come accade a migliaia di malati colpiti da diverse patologie (quelle tumorali, ad esempio). A nessuno di loro ci si sognerebbe di negare il nutrimento.
Durante il convegno “Il Caso E in Italia – Eluana, Eutanasia, Eversione” svoltosi sabato scorso all’Università Cattolica di Milano, il centro di bioetica dell’ateneo ha invitato giuristi, personalità politiche e medici proprio con l’intenzione di discutere e svelare le contraddizioni ormai evidenti che questo caso porta con sé. Ed è stata proprio la comunità medica a sottolineare come non sia improprio definire questo progetto di morte – il famigerato “protocollo” – che pende sul capo della donna, un omicidio. In molti, infatti, si domandano perché, se secondo qualcuno Eluana è un corpo privo di vita (qualcuno l’ha addirittura definita “vegetale”), per eseguire il protocollo siano necessari trattamenti sedativi.
Stupiscono anche i commenti di una certa parte politica che chiama ingerenza l’interesse di Benedetto XVI e della Chiesa sulla vicenda. Se lo Stato non tutela il malato, stravolge la giurisprudenza e nega il diritto alla vita, non ha la Chiesa, per missione, il dovere di esprimere il proprio pensiero?
Occorre, allora, raccogliere l’appello del Santo Padre che, invitando tutti all’impegno per evitare una barbarie che una società civile e democratica non può in alcun modo tollerare, ha indicato la strada della preghiera comunitaria «per tutti i malati, specialmente quelli più gravi, che non possono in alcun modo provvedere a se stessi, ma sono totalmente dipendenti dalle cure altrui». Fa bene questo governo a portare avanti l’iter legislativo che è diventato un dovere civile, affinché non si neghino in nome di un’ingannevole pietas l’acqua e il cibo, le uniche “terapie” che per ingiusta sentenza oggi a Udine vengono negate a una donna: Eluana Englaro.
ELUANA/ 1. La vedova Coletta: un sacrificio misterioso che ci fa sperare - Redazione - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
«Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto». Basterebbe la profonda e infinita sapienza del salmista per capire che nulla è senza speranza, e che anche l’umanità più abbandonata e desolata trova accoglienza nelle braccia del Mistero. Ma non sono solo le parole dei salmi a dirci di questa speranza: c’è anche la testimonianza di persone speciali, che in quello che fanno e dicono sanno dare concretezza ed evidenza a tutto questo.
Margherita Coletta è una di queste persone. Lei sa cos’è il dolore: un marito ucciso nella strage di Nassiriyah, un figlio morto di leucemia, di cui oggi ricorrerebbe il compleanno. Solo pochi giorni fa, in un’intervista al quotidiano Avvenire, Margherita aveva parlato del proprio rapporto con Eluana, e con il padre Beppino. E degli ultimi, disperati, tentativi di distoglierlo dal suo proposito. Ora, che non rimane più nulla da fare, è il momento di ricordare, e di capire.
Margherita, che ricordo le rimane di Eluana?
Io non potrò mai dimenticare questo giorno. Non solo per il legame che avevo con Eluana, per tutto l’affetto che mi legava a lei. Ma anche perché domani (oggi, ndr) sarà il compleanno di mio figlio Paolo, morto di leucemia. Quindi questo mio legame con Eluana diventa ancor più grande, e più misterioso. Non so perché mi sia successo questo, e perché le nostre esistenze si siano intrecciate in questo modo. È un grande mistero, che mi segnerà per sempre.
Ma cosa rappresenta per tutti noi Eluana, ora che non c’è più?
Il problema ora non è più Eluana: lei stava bene prima, nelle condizioni in cui era, e sta bene anche ora, nel luogo in cui adesso si trova. Il vero problema non è lei. Il problema sono quelli che rimangono, e che hanno il peso di questo omicidio che è stato commesso. È stata una cosa disumana, e non riesco a capire come si sia potuto permettere tutto questo. Si sapeva che stava morendo, eppure non si è potuto fare nulla. Siamo dunque in balia di cosa? Chiunque da un giorno all’altro può prendere una decisione così tragica, e nessuno può fare nulla? Ma tanto, dove fallisce la legge degli uomini, non fallisce la legge di Dio.
Si è parlato molto, in tutto questo periodo, del rispetto nei confronti del dolore del padre.
Il dolore di un padre lo si può capire, perché è comprensibile che di fronte a situazioni così drammatiche si possa perdere il controllo. Ma quello che veramente non riesco a capire è la posizione di quelli che gli sono accanto.
Che cosa la ferisce maggiormente?
Quello che io intravedo di disumano è che sembra di essere tornati indietro di sessant’anni, a qualcosa di simile all’Olocausto, ma che viene eseguito in maniera più lenta. Sembra cioè che si voglia fare una selezione naturale delle persone: quelle che sono buone le teniamo, quelle che non sono buone le buttiamo via. In un paese come il nostro, che dovrebbe essere un paese civile, questo non dovrebbe accadere. Per questo mi auguro che venga approvato il disegno di legge di cui si discute in questi giorni, e che questo possa non accadere mai più
Dopo tanto dolore, come guardare al futuro?
Dobbiamo sicuramente continuare a guardare con speranza al futuro. Eluana, pur senza agire e senza dire nulla, ha comunque fatto in modo che cose del genere possano non accadere mai più. Possiamo dire che il suo è stato un vero e proprio sacrificio, che servirà per tutti i casi che sarebbero potuti accadere in futuro, e che invece ora, grazie al suo silenzioso esempio, saranno evitati.
Quindi da questa tragedia nasce una speranza?
Sì. E speriamo soprattutto che le cose che diciamo possano servire alla gente. Ma una cosa è certa: come ho detto prima, Eluana sta bene.
ELUANA/ 2. Giannino: un appello a ciò che ci rende uomini - Oscar Giannino - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Ho accompagnato negli anni più di venti giovani uomini e donne all’ultimo minuto della vita. Ventitre, per la precisione. Ogni pensiero, racconto, biasimo, disperazione, nostalgia e pentimento, di ciascuno di loro, è divenuto parte integrante della mia vita, moltiplicatore del pensiero, fomento del cuore. Infine, più e meglio del cuore solitario che all’inizio era duro, pungolo di fede. Ho fatto questo da volontario, da paziente a mia volta e da volontario al fianco di pazienti affetti da patologie incamminatesi e poi giunte allo stadio terminale. È il cancro, il male del quale ho imparato a conoscere i morsi e le insidie, fino all’estremo grado della sedazione per attenuare dolori indicibili e apparentemente oltre ogni soglia del sopportabile, fino alla perdita graduale di coscienza e poi nella più o meno lunga anticamera dell’addio, nella lunga lotta che i farmaci più avanzati consentono al progredire del male. Lo ammetto: lo stato vegetativo permanente postraumatico di Eluana Englaro non è la frontiera che ho battuto e attraversato accompagnando i miei amici, nella dolorosa cognizione del dolore. Un’esperienza che ha finito per rappresentare la parte più ricca, incommensurabilmente più rigenerativa del senso e del tessuto stesso della mia vita interiore, della radice di “me persona” e del come e del perché su questa Terra siamo chiamati gli uni agli altri, per un centuplo di quanto la mia formazione e cultura originaria individual-laicista avesse iscritto nella dimensione preminente dell’io e del sé.
Ho pensato e penso a ciascuna di queste ventitre storie, ogni momento che la vicenda di Eluana ha affocato fino allo spasimo la cronaca e la politica nazionale. Non desidero dare giudizi su Beppino, come su alcun altro della cerchia più ristretta di Eluana. Ho imparato a non darli, a non reagire nemmeno ai familiari che imprecavano maledicendo, di fronte alla disperazione di una perdita graduale ma avvertita comunque come ingiusta e inaccettabile, innanzitutto perché dolorosa e protratta, invece che improvvisa e serena.
So con certezza che il caso di Eluana non rientrava nell’ambito di una norma condenda sul testamento biologico, poiché nel suo caso mancavano inoppugnabilmente manifestazioni autentiche e inequivoche del suo pensiero in materia di accanimento terapeutico. So con altrettanta certezza che, al posto del giudice di Milano succeduto a quello di diverso avviso di Lecco, avrei ritenuto mio scrupoloso dovere ricostruire il più possibile delle convinzioni originalmente espresse da Eluana, convocando e soppesando ciascuno che fosse entrato con lei adolescente in contatto, e non solo gli amici e il perito indicati dall’istanza di parte. So con altrettanta certezza, alla luce delle mie cognizioni che ritengo sufficientemente documentate, che le nozioni cliniche in materia di morte cerebrale si sono largamente e fortunatamente evolute, rispetto a quanto venne codificato nei primi anni Settanta, poiché ancora largamente sconosciute sono le capacità “plastiche” delle diverse aree del cervello, anche a distanza di anni da interruzioni delle funzioni e reazioni corticali, subcorticali e mesencefaliche.
Il saluto silenzioso che ieri sera ci ha reso Eluana ha messo in scacco, praticamente, ogni partito tardivamente accesosi sul suo caso. Dico tardivamente perché solo un mondo che ha ablato dall’ordinaria quotidianità la cognizione del dolore e della malattia, degli stati considerati terminali come quelli di coma vegetativo, può accendersi improvvisamente quando tutto rischia di essere tardivo, com’è stato, anche sul caso che ha animato e diviso le coscienze degli italiani. Nella mia esperienza, migliaia di morti ogni anno avvengono negli ospedali senza porsi l’interrogativo che merita ogni vita umana. Ed è questo, il tormento più grande a ispirarmi il silenzio, di fronte al caso di Eluana. Ma viviamo in un mondo che ignora la quotidianità e si divide sull’eccezionalità, lo capisco benissimo. Anch’io faccio il giornalista, dunque non posso stupirmi.
Ciò malgrado, per me la persona vive e rappresenta un valore che viene prima e “sopra”, rispetto a ogni legge e a ogni Stato. Per questo non mi ha appassionato il pangiuridicismo contrapposto, con il quale si è affrontato senza esito il caso di Eluana. Né, tanto meno, l’esagitarsi sul preteso vulnus alla Costituzione: lasciamo questa commedia al tribalismo di cui è intessuta la miseria purtroppo persistente del bipolarismo italiano. Chi è insorto in nome della legge e della Costituzione che non si cambia, ha abbracciato nel caso di Eluana la paradossale estrema incarnazione data dai nostri tempi allo Stato etico: no allo Stato che decide la legge per mano del legislatore, sì allo Stato in cui un giudice da “bocca della legge” diventa colui che la legge la detta e la “fa”. Mi hanno insegnato al primo anno di giurisprudenza che un atto di volontaria giurisdizione, come quello della sentenza milanese confermata dalla Cassazione e infine applicata, non è affatto una sentenza ed è dunque sempre impugnabile e rivedibile. Del tramonto di ogni principio elementare di civiltà del diritto, vive la prevaricazione di chi confonde morte per decisione di un giudice con liberazione dal peso della vita.
Il mistero della morte di Eluana, per chi continuerà a viverla come simbolo e sacrificio delle nostre contraddizioni pubbliche e private, è lo scambio tra ciò che decidere non può, con chi di decidere non ha avuto per troppo tempo voglia. Uno scambio senza possibilità di ritorno. Irreversibile. Almeno per chi non ha fede. I ventitre compagni del mio cuore, comunque, dal silenzio mi inducono a pensare che, con la fede, anche questa morte ci ha aiutato. Se sapremo fare appello a ciò che ci rende uomini, invece che a ciò che ci fa gridare come animali.
LEOPARDI/ Quella misteriosa Natura che voleva tenere in vita Eluana - Luca Doninelli - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
«Un esempio di quando la ragione è in contrasto colla natura. Questo malato è assolutamente sfidato e morrà di certo fra pochi giorni. I suoi parenti per alimentarlo come richiede la malattia in questi giorni, si scomoderanno realmente nelle sostanze: essi ne soffriranno danno vero anche dopo morto il malato: e il malato non ne avrà nessun vantaggio e forse anche danno perchè soffrirà più tempo. Che cosa dice la nuda e secca ragione? Sei un pazzo se l'alimenti. Che cosa dice la natura? Sei un barbaro e uno scellerato se per alimentarlo non fai e non soffri il possibile. È da notare che la religione si mette dalla parte della natura» (G. Leopardi. Zibaldone, Luglio-Agosto 1817).
Il contesto da cui abbiamo tolto questo brano di Giacomo Leopardi è una riflessione sul contrasto che esiste tra la “ragione” (che Leopardi intende nell’accezione illuminista, “la nuda e secca ragione”) e la “natura”, che fra tutte le parole è la parola leopardiana per eccellenza.
Abbiamo scelto di presentarvi questo breve testo in giorni drammatici come quelli che stiamo vivendo non già perché desideriamo forzare le parole del grande poeta a un pensiero che non è il suo, ma perché il suo pensiero è interessante in sé.
È interessante, sommamente interessante innanzitutto perché è un pensiero ferito. A Leopardi non interessa produrre armonie, ossia discorsi in grado di dare a ogni cosa il suo posto. La frattura tra la nuda e secca ragione e la natura è insanabile. Bisogna accettare lo scandalo. Il grande genio accetta lo scacco, l’uomo modesto cerca sempre l’equilibrio, il riparo sotto l’ala del discorso giusto.
La natura è misteriosa, produce grandezza ma anche orrore, mentre la ragione nuda e secca rifugge il mistero e si limita a calcolare su quello che ha. Eppure non può non tener conto della forza della natura, pena il trasformarsi essa stessa in un sogno, il sogno delle magnifiche sorti e progressive.
La natura “è quella che spinge i grandi uomini alle grandi azioni”, scrive il grande poeta, ma al tempo stesso essa “ripugna... dall’utilità della fatica”, non solo, ma inclina anche “a moltissime altre (cose, n.d.r.) o dannose o inutili o proibite, illecite, e condannate dalla ragione”, fino “a danneggiare o a distrugger se stessa”.
Al tempo stesso, però, con grande acutezza, Leopardi osserva che “la religione si mette dalla parte della natura”, ossia di questa natura contraddittoria, intrattabile, irriducibile, che produce Aristotele e Alessandro Magno ma anche l’eruzione del Vesuvio. La religione, in altre parole, si mette dalla parte del mistero: sempre e comunque.
Mille “se”, mille “ma”, mille “però” sorgono a questo punto in noi. Se la natura si autodistrugge, cosa deve fare la religione? Accettare l’autodistruzione, o intervenire? E intervenire in nome di che? Della natura no di certo, della ragione men che meno.
Ma Leopardi a queste conseguenze non è interessato. Sono linee minori, conflitti interiori, problemi particolari. Tutti noi abbiamo però constatato la capacità di trasformazione dell’uomo che un evento tragico possiede. Tutti abbiamo visto uomini mediocri trasformarsi in giganti per l’effetto di un dolore inspiegabile, ingiusto e crudele. O, meglio: per l’effetto del “sì” detto a quel dolore, per quanto spropositato e incomprensibile. Un “sì” che rasenta la follia ma che, al tempo stesso, appare profondamente, abissalmente ragionevole.
Dopo diversi interventi, su questo o quel quotidiano, in merito al caso Eluana, una sola cosa io so: di essere pressoché una nullità. Di fronte a Eluana, di fronte a suo papà, di fronte a questa tragica vicenda, chi sono io? E chi sono io davanti a Leopardi? Nessuno. Io scrivo solo perché dico “sì” a questa circostanza in cui tante persone come me si trovano, e che domanda di parlare di Eluana. Accettando gli errori di valutazione, la superficialità, le intemperanze che sono, spesso, ben difficili da evitare.
C’è un destino che ci interpella, al quale la nuda e secca ragione non può dire di sì. Perché alimentare artificialmente questa persona? Perché impiegare personale ospedaliero quando potrebbe essere impiegato in altri casi, in cui forse la vita ha maggiori possibilità di essere salvata? La nuda e secca ragione è un “no” perenne, continuo, senza sosta, profondamente amaro. Questa ragione ha vinto ed Eluana non c'è più. La sentiremo tutti, l’amarezza, e sarà la stessa amarezza: la mia come quella di Beppino Englaro.
Per questo la religione sta dalla parte della natura, dice “sì” (e ritiene questo “sì” molto più razionale del “no”) anche nell’imminenza di uno scandalo, di un’assurdità. Dice sì perché la grandezza sta dalla parte del mistero e, con la grandezza, la felicità, la riuscita della vita, il bene. Non è un problema di valori, né di rispote consolatorie. Agitare il valore dell’intangibilità della vita non c’interessa. C’interessa il grido del nostro cuore. Noi non comprendiamo, noi non sappiamo dare un posto a tutto, la realtà ci appare come fratturata. Eppure il nostro cuore continua a gridare perché non vuole morire, perché “il respiro della vita non abbia fine”.
BIOETICA/ Gli ibridi uomo-animale e le mani sugli embrioni umani - Augusto Pessina - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
È di questi giorni la notizia data da Robert Lanza (ricercatore di grande spessore e con esperienza nel campo delle cellule staminali) che dice in sintesi che gli oociti animali non possono sostituire quelli umani per produrre cellule staminali. In molti hanno già tirato un sospiro di sollievo pensando che questo chiude definitivamente la porta alla creazione dei cosiddetti ibridi uomo-animale che i mass media hanno chiamato fantasticamente “chimere”. E questo potrebbe essere un fatto positivo.
Ma, letta per intero e nel verso giusto, questa notizia dice anche che la clonazione umana è possibile e quindi è la via da seguire. Del resto sulla medesima rivista online Cloning and Stem Cells un gruppo di ricerca cinese afferma di aver clonato cinque embrioni umani!
A pubblicare insieme a Robert Lanza, della Advanced Cell Technology (ACT) ditta privata di Worcester (Massachusetts), c’è uno stuolo di ricercatori di altri centri privati e pubblici e, guarda caso, la notizia esce proprio quando Obama sta aprendo le porte negli Usa alla ricerca con le cellule embrionali umane. La settimana scorsa la Food and Drug Administration ha autorizzato la ditta Geron a condurre test per valutare la sicurezza delle cellule embrionali in un gruppetto di pazienti che hanno ricevuto danni al midollo spinale e le azioni della Geron sono schizzate in alto (alla faccia della crisi).
Lanza è già noto per i suoi annunci. Nel 2002 aveva anche promosso attraverso i giornali di Boston una chiamata delle donne alla donazione di ovociti e la stessa cosa è stata fatta in Inghilterra dove il programma per creare ibridi (mediante Nuclear Transfer) utilizzando ovociti animali e cellule somatiche umane è stato finanziato per sopperire alla mancata donazione di oociti umani. Le donne, infatti, non hanno risposto entusiasticamente all’appello (anche perché per donare oociti queste devono sottoporsi a pesanti terapie ormonali).
Nell’agosto del 2006 Lanza annunciava sulla rivista Nature che è possibile produrre staminali utilizzando un solo blastomero estratto da un embrione. Ciò suscitò grande interesse. Richiesto di conoscere meglio i rischi insiti alla biopsia necessaria per prelevare il blastomero, Lanza interveniva su Nature online ammettendo candidamente (forse si era scordato di scriverlo!) che gli embrioni non rimanevano intatti (“did not remain intact” ). Cioè, per intenderci meglio, morivano.
Nel lavoro scientifico pubblicato pochi giorni fa sulla rivista Cloning and Stem Cells egli conclude (e c’è da credergli!) che gli oociti bovini e di coniglio non sono in grado di riprogrammare il genoma di nuclei di cellule somatiche umane mentre ciò sarebbe possibile con ovociti umani (confermando così la possibilità della clonazione umana). Naturalmente i sostenitori degli embrioni ibridi con a capo Minger (che ha avuto in Inghilterra la licenza per costruire gli ibridi uomo-animale) sostengono che questi dati non sono affatto definitivi e critica Lanza di non aver fatto esperimenti adeguati con le scimmie.
Comunque sia, il succo di tutto ciò resta quello di “un colpo al cerchio e uno alla botte”. Da una parte sottolinea che la strada dell’ibrido non è tecnicamente percorribile (almeno per ora) e dall’altra che si deve investire sulla creazione di embrioni umani per ottenere cellule staminali. E questo rafforzerà anche l’intervento di Obama al quale si apriranno tutte le porte.
Questa breve nota non ha lo scopo di ritornare sulle numerose e drammatiche controindicazioni (anche scientifiche) che tale strada apre; tuttavia vale almeno la pena ricordarci che il vero problema resta e resterà quello etico-antropologico. Il punto di tutta la questione riguarda la concezione di persona umana e il rispetto della sua dignità dal concepimento alla morte.
La radice di fondo da cui nasce questa ostinata ricerca sugli embrioni è stata bene descritta da Benedetto XVI nella sua lezione di Ratisbona e consiste nell’uso sbagliato della «ragione e della razionalità» umana. Da meraviglioso strumento per indagare e conoscere la realtà e il significato del nostro essere uomini, essa è stata ridotta a criterio di misura e di definizione della realtà stessa. Questo contribuisce alla tragica assolutizzazione della “scienza” intesa come “il massimo bene” per una “umanità” astratta e quindi incapace di riconoscere l’unicità e l’irripetibilità di ogni singolo essere umano e in particolare di quelli più indifesi.
SFORZO IMPONENTE PER DARLE UNA MORTE BRUTALE - Un abbandono estremo forma più grave d’eutanasia - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 10 febbraio 2009
Pur con tutte le sue terribili ombre, pur rendendosi responsabile di innumerevoli delitti, l’Occidente è riuscito, con sforzi straordinari e grazie all’innesto decisivo della tradizione ebraico-cristiana, ad affermare un principio assolutamente decisivo: i soggetti deboli vanno aiutati e protetti. È su questo punto, e non su altri, che si misura quel cammino che noi chiamiamo civiltà. Se questo è vero, la morte di Eluana Englaro, simbolo di quei soggetti che sono i più deboli tra i deboli, è un terribile momento di regresso in questo faticosissimo cammino. Al momento non sappiamo esattamente quali sono state le cause della morte improvvisa di Eluana, al termine di una giornata in cui erano stati diffusi comunicati che attestavano come il suo organismo possedesse ancora una normale funzionalità. Si stanno già moltiplicando le domande in merito: altri avranno il compito di dare risposte ed altri ancora di verificarne la plausibilità. A noi spetta unicamente fare una brevissima riflessione: qualunque sia la causa ultima della morte di Eluana, anche se si fosse trattato di una morte avvenuta per sopraggiunte, imprevedibili, naturalissime cause, resta il fatto incancellabile che essa è morta in una clinica, nella quale era stata portata con un’unica intenzione, quella di farla morire. Questo dato di fatto è sufficiente per farci gridare ad alta voce che è stata abbandonata, come paziente, come donna, come cittadino, come essere umano. Coloro che l’hanno abbandonata, coloro che hanno favorito o addirittura plaudito a questo abbandono, attivando strepiti mediatici e inventando sofismi giuridicocostituzionali, non riusciranno mai, probabilmente, a rendersi conto che in questo abbandono dobbiamo vedere la forma più estrema e più grave di eutanasia. Eluana infatti non è morta a causa del gesto compassionevole, estremo e disperato di un familiare o di un medico chino sul suo letto, ma dopo che era stato elaborato un 'protocollo' burocraticosanitario, finalizzato a rendere 'dolce' la sospensione di ogni forma di supporto vitale, affidato per la sua materiale applicazione a 'professionisti' e a un’associazione di 'volontari', costituita esclusivamente a questo fine. Intorno ad Eluana, ricoverata ad Udine, si è mosso quindi uno straordinario numero di persone. Eppure, la finalità oggettiva di tutte queste persone era una soltanto: non quella di starle vicino, ma quella di accompagnarla a un destino di morte. Chi così ha agito si dirà forse convinto di aver abbandonato Eluana 'al suo destino' e dichiarerà, se vorrà essere conseguente, di non provare alcun rimorso e forse nemmeno alcun turbamento per la sua morte. Nessuna critica, nessuna ammonizione riuscirà probabilmente a scalfire la coscienza di persone così sicure di sé e così narcisiste da ritenere di poter individuare lucidamente e senza alcun dubbio il 'destino' degli altri, al punto da agire perché esso possa realizzarsi fino in fondo. Mi auguro solo che queste persone cessino di chiamarsi 'laiche' o almeno che cessino di reiterare, come fanno ogni volta che ne hanno l’occasione, l’elogio del 'dubbio'. Su Eluana, né i giudici, né il padre, né gli altri che lo hanno aiutato a portare a termine il suo progetto hanno avuto alcun dubbio: essa doveva morire.
Si è cercato di impedire la tragedia finale. Non ci si è riusciti. Eluana è morta. Abbandonata.
Nessuna critica riuscirà probabilmente a scalfire la coscienza di persone così sicure di sé.
1) Avvenire 10 Febbraio 2009 - Non morta, ma uccisa - Adesso però vogliamo sapere tutto
2) COMPLIMENTI NAPOLITANO - Mario Giordano, il Giornale, 10 febbraio 2009
3) NIENTE EUCARISTIA - a politici, medici, legislatori e familiari - favorevoli alla soppressione di Eluana - Intervista esclusiva a monsignor Malcolm Ranjith, Segretario della Congregazione vaticana per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
4) I VOLENTEROSI CARNEFICI DI ELUANA - E' un orrore funesto assistere a questo branco di relitti che si prosternano davanti all'idolo della morte - Editoriale di Giuliano Ferrara - (C) Il foglio - 9 febbraio 2009 - prima pagina
5) Arcivescovo Bruno Forte: l’amore è più forte della morte - Il caso di Eluana apre “un buco nero nella nostra convivenza civile”
6) Pacatamente - Autore: Morresi, Assuntina Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.stranocristiano.it - martedì 10 febbraio 2009
7) Assassini. Che il Signore li perdoni. Il padre per primo. Amen - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele Curatore: Riva, Sr. Maria Gloria - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 9 febbraio 2009
8) 10/02/2009 09:58 INDIA - Suore di Madre Teresa: disabili, non “vegetali”, ma fonte di “ricchezza” per l’umanità - di Nirmala Carvalho - Le Missionarie della Carità gestiscono un centro per bambini portatori di handicap fisici e mentali a Mumbai. I disabili non sono dei “vegetali”, ma persone con “esigenze speciali” e “fonte di benedizione per il mondo intero” che impone modelli basati sulla “produttività”.
9) ELUANA/ Cosa chiedono i politici a Napolitano - Mario Mauro - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
10) ELUANA/ 1. La vedova Coletta: un sacrificio misterioso che ci fa sperare - Redazione - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
11) ELUANA/ 2. Giannino: un appello a ciò che ci rende uomini - Oscar Giannino - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
12) LEOPARDI/ Quella misteriosa Natura che voleva tenere in vita Eluana - Luca Doninelli - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
13) BIOETICA/ Gli ibridi uomo-animale e le mani sugli embrioni umani - Augusto Pessina - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
14) SFORZO IMPONENTE PER DARLE UNA MORTE BRUTALE - Un abbandono estremo forma più grave d’eutanasia - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 10 febbraio 2009
Avvenire 10 Febbraio 2009 - Non morta, ma uccisa - Adesso però vogliamo sapere tutto
Eluana è stata uccisa. Davanti alla morte le parole tornano nude. Non consentono menzogne, non tollerano mistificazioni. E se noi – oggi – non le scrivessimo, queste parole nude e vere, se noi – oggi – non chiamassimo le cose con il loro nome, se noi – oggi – non gridassimo questa tristissima verità, non avremmo più titolo morale per parlare ai nostri lettori, ai nostri concittadini, ai nostri figli. Non saremmo cronisti, e non saremmo nemmeno uomini.
Eluana è stata uccisa. Una settimana esatta dopo essere stata strappata all’affetto e alla «competenza di vita» delle sorelle che per 15 anni, a Lecco, si erano pienamente e teneramente occupate di lei. In un momento imprecisato e oscuro del «protocollo», orribile burocratico eufemismo con il quale si è cercato di sterilizzare invano l’idea di una «competenza di morte» messa in campo, a Udine, per porre fine artificialmente ai suoi giorni.
Eluana è stata uccisa. E noi osiamo chiedere perdono a Dio per chi ha voluto e favorito questa tragedia. Per ogni singola persona che ha contribuito a fermare il respiro e il cuore di una giovane donna che per mesi era stata ostinatamente raccontata, anzi <+corsivo>sentenziata<+tondo>, come «già morta» e che morta non era. Chiediamo perdono per ognuno di loro, ma anche per noi stessi. Per non aver saputo parlare e scrivere più forte. Per essere riusciti a scalfire solo quando era troppo tardi il muro omertoso della falsa pietà. Per aver trovato solo quando nessuno ha voluto più ascoltarle le voci per Eluana (le altre voci di Eluana) che erano state nascoste. Sì, chiediamo perdono per ogni singola persona che ha voluto e favorito questa tragedia. E per noi che non abbiamo saputo gridare ancora di più sui tetti della nostra Italia la scandalosa verità sul misfatto che si stava compiendo: senza umanità, senza legge e senza giustizia.
Eluana è stata uccisa. E noi vogliamo chiedere perdono ai nostri figli e alle nostre figlie. Ci perdonino, se possono, per questo Paese che oggi ci sembra pieno di frasi vuote e di un unico gesto terribile, che li scuote e nessuno saprà mai dire quanto. Con che occhi ci guarderanno? Misurando come le loro parole, le esclamazioni? Rinunceranno, forse per paura e per sospetto, a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre e maestro e amico e gli potrebbe diventare testimone d’accusa e pubblico ministero e giudice e boia? Chi insegnerà, chi dimostrerà, loro che certe parole, che le benedette, apodittiche certezze dei vent’anni non sono necessariamente e sempre pietre che gli saranno fardello, che forse un giorno potrebbero silenziosamente lapidarli. Ci perdonino, se possono. Perché Eluana è stata uccisa.
Sì, Eluana è stata uccisa. E noi, oggi, abbiamo solo una povera tenace speranza, già assediata – se appena guardiamo nel recinto delle aule parlamentari – dalle solite cautelose sottigliezze, dalle solite sferraglianti polemiche. Eppure questa povera tenace speranza noi la rivendichiamo: che non ci sia più un altro caso così. Che Eluana non sia morta invano, e che non muoia mai più. Ci sia una legge, che la politica ci dia subito una legge. E che nessuno, almeno nel nostro Paese, sia più ucciso così: di fame e di sete.
Ma che si faccia, ora, davvero giustizia. Che s’indaghi fino in fondo, adesso che il «protocollo» è compiuto e il mistero di questa fine mortalmente c’inquieta. Non ci si risparmi nessuna domanda, signori giudici. Ci sia trasparenza finalmente, dopo l’opacità che ci è stata imposta fino a colmare la misura della sopportazione. E si risponda presto, si risponda subito, si risponda totalmente. Come è stata uccisa Eluana?
Marco Tarquinio
COMPLIMENTI NAPOLITANO - Mario Giordano, il Giornale, 10 febbraio 2009
È morta all’improvviso, è morta da sola. È morta mentre il Parlamento discuteva e i soliti noti, da Dario Fo a Umberto Eco, firmatari di ogni sciagurato appello di questo Paese, si apprestavano a scendere in piazza per un girotondo. È morta, e se non altro la sua vita non ha dovuto subire anche l’ultima offesa di Oscar Luigi Scalfaro sul palco mentre lei moriva. È morta e suo padre era lontano. È morta di fame e di sete, con il respiro ridotto a un rantolo e il corpo disidratato che cercava acqua dentro gli organi vitali.
È morta in fretta, troppo in fretta per non generare sospetti. E intanto suona tragicamente beffardo leggere adesso, a tarda sera, le parole del suo medico curante che di prima mattina assicurava: «Lo stato fisico è ottimo, Eluana è una donna sana, pochi rischi fino a giovedì». Evidentemente la conosceva poco. Troppo poco. E forse per questo ha potuto toglierle la vita. È arrivata la morte, e la morte non è presunta. La volontà di morire di Eluana sì, invece, quella era e resta presunta: l’ha decisa un tribunale, sulla base di una ricostruzione incerta e zoppicante, con una selezione innaturale di testimonianze. Tre amiche (solo tre, le altre no), la determinazione del padre, un po’ di azzeccagarbugli: tanto è bastato per decidere di ucciderla nel modo più atroce.
Ricordiamolo: nessuna proposta di legge di quelle presentate in Parlamento, neppure quelle più favorevoli all’eutanasia, prevede la possibilità di una morte così. Eluana è stata la prima esecuzione di questo genere nella storia della Repubblica. E sarà l’ultima. Forse. Arriverà la legge, e non sarà presunta. Arriverà la legge e impedirà questo scempio. Ma oggi l’affannarsi di parlamentari alla Camera e al Senato, quel rincorrersi di cavilli e regolamenti, quelle riunioni di capigruppo, l’alternarsi di dichiarazioni e di emendamenti, appare soltanto quel che in realtà è: il nulla. Nulla di nulla. Un nulla che fa venire le lacrime agli occhi, però. La corsa contro il tempo, la convocazione notturna, i calcoli sui minuti: tutto inutile. Eluana è stata uccisa. Eluana era viva e adesso non c’è più. E allora, mentre molti chiedono il silenzio solo per nascondere le loro vergogne, non può non venire voglia di urlare le responsabilità che ricadranno su chi non ha fatto niente per impedire questo orrore.
In primo luogo i medici che non hanno accettato di ridare acqua e cibo a Eluana in attesa dell’approvazione della legge, nonostante i numerosi appelli. Poi Procura di Udine e Regione Friuli che hanno giocato per due giorni a scaricabarile.
E infine, sia consentito, anche il capo dello Stato che non ha firmato il decreto legge: in questa vicenda il Quirinale ha anteposto le ragioni di palazzo alla salvezza di una ragazza, ha preferito la cultura della morte al valore della vita. Siamo sicuri che se una responsabilità del genere se la fosse assunta il presidente del Consiglio, qualcuno della sinistra in questi minuti già chiederebbe le sue dimissioni. Ora, invece, vogliono che si taccia. D’accordo, ora taceremo. Non abbiamo nemmeno più voglia di parlare. Ma prima lasciateci dire un’ultima cosa. Prima lasciateci dire: complimenti, presidente Napolitano.
NIENTE EUCARISTIA - a politici, medici, legislatori e familiari - favorevoli alla soppressione di Eluana - Intervista esclusiva a monsignor Malcolm Ranjith, Segretario della Congregazione vaticana per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Caso Englaro - Intervista esclusiva a Monsignor Malcolm Ranjith: “Niente Comunione a politici, legislatori, medici e familiari che hanno concorso all’uccisione di Eluana”
CITTA’ DEL VATICANO - Niente Comunione per i politici, i legislatori, i medici e tutti coloro che hanno concorso a vario titolo alla morte per disidratazione e denutrizione di Eluana Englaro. L’affondo, contenuto in questa intervista concessa in esclusiva al nostro giornale, è dell’Arcivescovo Albert Malcolm Ranjith, Segretario della Congregazione vaticana per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Eccellenza, domanda secca: chi ha operato per la morte di Eluana Englaro può accostarsi alla Comunione?
“Assolutamente no! Non si può concedere il Corpo di Cristo vivo a chi è per la cultura della morte. Io per primo non amministrerei l’Eucaristia a nessuna delle persone coinvolte in questa tristissima storia”.
Si può dunque dire che chi si è mosso per la morte di Eluana è, di fatto, tra virgolette, ‘scomunicato’, cioè fuori dalla comunione con la Chiesa?
"Sì, senza distinzione tra politici, medici, legislatori e familiari dell’ammalata favorevoli alla sua soppressione. Anche il punto numero 83 dell’Esortazione Apostolica ‘Sacramentum Caritatis’ del Santo Padre Benedetto XVI è molto chiaro in proposito: chi vuole accostarsi all’Eucaristia, deve tutelare la vita dal suo inizio al termine naturale. A tal riguardo, posso comunque anticipare che è allo studio un'iniziativa per fare chiarezza definitivamente proprio sull’impossibilità dei cattolici di accostarsi alla Comunione se parte attiva, a vari livelli, in casi di eutanasia”.
Monsignor Ranjith, che idea si è fatta della vicenda Englaro?
“Provo un grande, grandissimo dispiacere per questa ragazza la cui vita ha dipeso dalle decisioni degli altri. Pensi, io vengo dallo Sri Lanka, dove per la cultura locale è peccato davanti a Dio persino ucciderete un insetto… Nel mio Paese, un buddista non farebbe mai morire di fame e sete Eluana Englaro; in Italia, un Paese che si dice cristiano, in nome di una falsa pietà, si sta invece uccidendo questa inerme ragazza nel peggiore dei modi. Non c’è che dire, in Italia, così come in tutto l’Occidente, rischia di avanzare la cultura della morte”.
Cosa dice a Beppino Englaro, il padre di Eluana?
“Che la vita è sacra, sempre sacra, e lo era anche e soprattutto nel caso di Eluana; la vita è un dono di Dio e solo Dio, per le vie naturali, può riprendere indietro ciò che ha concesso”.
Come giudicherà Dio chi ha voluto la morte di Eluana?
“Non credo bene".
di Gianluca Barile
Petrus
I VOLENTEROSI CARNEFICI DI ELUANA - E' un orrore funesto assistere a questo branco di relitti che si prosternano davanti all'idolo della morte - Editoriale di Giuliano Ferrara - (C) Il foglio - 9 febbraio 2009 - prima pagina
Che branco di mascalzoni questi gentiluomini. Ci dicono pagani, golpisti, sfruttatori del dolore, mestatori nel torbido, autori di uno scempio. Questi che si dicono laici e che sono soltanto relitti del vecchio familismo amorale degli italiani, specie quando recitano il coro vomitevole di papà Beppino e di una nichilistica libertà di coscienza per giustificare l'eliminazione fisica di una disabile, una esecuzione degna dei nazisti.
Secondo loro, un piccolo popolo che ha finalmente trovato a Udine un boia asettico e clinico, saremmo noi a usare il corpo di Eluana. Noi che lo vorremmo in pace, quel sinolo di anima e corpo che appartiene a una cittadina adulta e titolare del diritto alla cura e alla vita; loro che lo hanno sequestrato alle suore misericordine di Lecco e lo hanno gettato in una tetra stanza dove decine di volenterosi carnefici piagnoni lo affamano e lo assetano in reverente obbedienza a una sentenza definitiva. Alla faccia della moratoria contro la pena di morte, quel >b>grido ipocrita della società abortista ed eutanasica ed eugenetica, quel gesto simbolico invocato contro le sentenze definitive di condanna a morte che ora viene rimproverato a noi, che vogliamo una moratoria anche per la Englaro, da questi sepolcri imbiancati.
Sarebbe il governo a fare un colpo di stato contro la Costituzione e il diritto. Bugiardi che non sono altro, calunniatori e mistificatori: è un quindicennio che i Defanti e i Mori e gli altri paranoici dell'eutanasia, insieme con i tiepidi testamentari biologici, fanno campagna sul corpo di Eluana Englaro. Una campagna disgustosa. Atrocemente sentimentale. Una campagna pubblica dissimulata nelle sordide cautele della pietà privata simulata. Che fa leva sulla paura della gente, sul pregiudizio ignorante in materia di disabilità, sulla spregevole indifferenza verso la carnalità pulsante, respirante, anelante della vita umana, quell'indifferenza morale che si dispiega nella società che loro amano, quella dell'aborto, dell'eugenetica, della distruzione della vita per migliaia e milioni di embrioni, dei protocolli che uccidono i down come le spine bifide.
Lo avevamo detto, con il professor Ratzinger, che in questo secolo si giocherà sulla vita la battaglia della ragione e del buonumore. Non pensavamo che ci saremmo trovati tanto presto, a queste tristi latitudini, di fronte a un protocollo costituzionale di morte per disidratazione. Non pensavamo che una generazione postideologica sarebbe rifluita tanto facilmente negli imperativi dell'etica nullista, e che questo vecchio popolo di sinistra sfregiato dalla distruzione della vita, della famiglia, della maternità, del sesso, dell'amore coniugale, dell'educazione, della cultura e della cura sarebbe riuscito a imporre una cappa di consenso coatto, totalitario, tale da portare in piazza gente che lotta contro la carità cristiana e la laica cura ippocratica dei malati, e che si prosterna di fronte all'idolo della morte. È un orrore funesto assistere a questa immonda accademia, uno schifo senza speranza.
Arcivescovo Bruno Forte: l’amore è più forte della morte - Il caso di Eluana apre “un buco nero nella nostra convivenza civile”
ROMA, lunedì, 9 febbraio 2009 (ZENIT.org).- “Se una sentenza può decidere di togliere acqua e cibo a qualcuno per farlo morire, stabilendo che questo è legale, mi sembra che una voragine si apra davanti a noi, un buco nero nella nostra convivenza civile”, ha scritto mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, in un articolo pubblicato il 4 febbraio su Il Messaggero.
“Chi vincerà se Eluana morirà così?”, si domandava il presule alcuni giorni fa, quando Eluana Englaro era ancora in vita. “Non certo la dignità della persona umana, di qualunque persona umana, quale che sia la sua condizione fisica o mentale, economica o sociale, la nazionalità, il colore, la storia”.
“La dignità di tante persone diversamente abili, con gradi a volte altissimi di disabilità, come di tanti pazienti in stato vegetativo, il valore della vita personale, di ogni vita personale, è qui fortemente messo in questione, è anzi perfino minacciato”, affermava mons. Forte.
Dicendosi cosciente della profonda sofferenza patita da Beppino Englaro, l’Arcivescovo affermava tuttavia: “Non comprenderò mai una Legge che consenta a un medico di porre fine alla vita di Eluana”.
“Per chi crede, quella vita viene da Dio e spetta a Lui solo chiamarla a sé – proseguiva –. Per chi non crede, quella persona viva e vitale, anche se priva di ogni apparente coscienza, è un fratello, una sorella in umanità”.
“E questo dovrebbe bastare per riconoscere che la sua vita è un assoluto davanti a cui è necessario arrestarsi con rispetto, cura e attenzione d’amore”, sottolineava con forza.
“L’amore comunica dove altrimenti non c’è che solitudine e rinuncia – scriveva –: l’amore intesse dialoghi non verbali, fatti anche soltanto del contatto di una mano sull’altra, di una prossimità attenta e discreta, di un essere accanto con la tenerezza infinita che si ha verso la creatura amata, anche quando questa vive in uno stato solo vegetativo”.
“L’amore ti fa sentire la musica che le orecchie non odono, e dire le parole che le labbra non sanno pronunciare. ‘Forte come la morte è l’amore’, dice Shir ha-Shirim, il Cantico dei Cantici (8,7)”, continuava il presule.
“E la via del dialogo attraverso cui far vincere la vita sulla morte – osservava poi –, non sono le parole, ma la prossimità: ‘Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio’”.
Pacatamente - Autore: Morresi, Assuntina Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.stranocristiano.it - martedì 10 febbraio 2009
Eluana è morta in solitudine, nella stanza in cui era stata confinata, a Udine, lontano dalle carezze delle suore e dall’ambiente familiare della clinica di Lecco. E’ morta in mani estranee, di gente che non l’aveva mai vista prima di lunedì scorso, e che si era messa a disposizione per farla morire di fame e di sete. Persone che l’hanno avvicinata, toccata, maneggiata, sapendo che dovevano lasciarla morire di fame e sete.
Non c’era suo padre - che d’altra parte in questi anni l’aveva lasciata alle suore – lui stava a Lecco, per sicurezza. Non c’era la sua specialissima curatrice, l’avvocato Franca Alessio, che, per l’appunto, si è presa tanta cura di Eluana, in questi anni. Non c’era neanche Defanti, il cosiddetto medico curante, e neppure De Monte, il responsabile del protocollo di morte. Non c’era nessuno, insomma.
Nel primo pomeriggio era stato comunicato che le sue condizioni erano stabili; sapevamo che non c’era ancora nessun blocco renale, e che non era ancora stato raggiunto il punto di non ritorno nel digiuno e nella disidratazione forzata.
Un’agenzia Ansa delle 21.08 spiega che “la situazione di Eluana Englaro e’ rimasta stabile fino al primo pomeriggio, dopodiche’ sarebbe avvenuto un improvviso peggioramento” , ma si contraddice con agenzie che un’ora dopo dicono: “Eluana, ha riferito Defanti, ha smesso di vivere improvvisamente per subentrate complicazioni respiratorie: ha cominciato a respirare male, in maniera sconnessa fino all’arresto respiratorio. “E’ stato un arresto improvviso”, conclude Defanti” (AGI, 9.02). E d’altra parte, se è morta in solitudine, se nessuno è stato avvertito in tempo e non c’erano familiari o medici in stanza, delle due l’una: o è spirata in meno di due minuti, oppure l’attenzione dei volontari che la “accudivano” era tale che nessuno si era accorto che stava male.
Eluana è morta molto prima del previsto, considerando anche che proprio oggi Defanti, quello convinto che morire disidratati è dolcissimo, ha dichiarato al Corriere che Eluana stava bene, a Lecco, i suoi esami erano perfetti.
Eluana è morta – ma guarda un po’ che fatalità, che singolare coincidenza, quando si dice il caso, l’imprevisto, l’evento improvviso ed imprevedibile, ma che sorpresa signora mia – un attimo - letteralmente un attimo - prima del voto al Senato di un Disegno di Legge che avrebbe messo in mutande l’opposizione e avrebbe schiacciato l’imparzialità del Presidente della Repubblica sulla posizione dei suoi ex compagni di partito.
Adesso si invoca la calma, il silenzio, la riflessione, si chiede di abbassare la voce, magari anche socchiudere gli occhi, chinare il capo, turarsi le orecchie e l ’avverbio del momento è “pacatamente”. Noi naturalmente siamo prontissimi a seguire gli inviti alla saggezza ed alla compostezza, e
1. Pacatamente, ricordiamo che se il Presidente della Repubblica avesse firmato il decreto venerdì scorso, adesso Eluana sarebbe viva.
2. Pacatamente, ricordiamo che gli unici a poter fermare il protocollo di morte – oltre a Giorgio Napolitano - erano il sindaco di Udine, il Presidente della regione Tondo con i suoi assessori e il Procuratore di Udine, e non l’hanno fatto.
3. Pacatamente, chiediamo al Procuratore di Udine dove sono finite le testimonianze raccolte dopo l’esposto, quelle delle compagne di scuola e degli insegnanti che dichiaravano di non aver mai sentito Eluana parlare di morte e stati vegetativi dalla mattina alla sera, fin dalla più tenera età.
4. Pacatamente, vorremmo sapere che fine ha fatto la relazione degli ispettori ministeriali, dove ci risulta scritto, tra l’altro, che Eluana era sedata anche per via orale, cioè per bocca (perché lei deglutiva, ricordiamo).
5. Pacatamente, vorremmo chiedere allo stesso procuratore come mai chi ha tanto amorevolmente sedato per bocca Eluana, non si è preoccupato anche di darle da bere, visto che era in grado di ingoiare.
6. Pacatamente, temiamo che i risultati dell’autopsia facciano la fine degli esposti e delle relazioni di cui sopra e che l’eventuale cremazione impedisca per sempre di conoscere la verità.
7. Pacatamente, ricordiamo che il Presidente della Repubblica, mesi fa, aveva risposto ad una lettera di Carlo Casini dichiarando che non sarebbe mai intervenuto nel merito del caso Englaro. Tutto il mondo politico sapeva da tempo che Giorgio Napolitano non avrebbe mai firmato un decreto per impedire la morte di Eluana, e d’altra parte, se non l’ha fatto quando già avevano iniziato il digiuno e la disidratazione forzati, figuriamoci quanto poteva essere disposto a farlo quando Eluana stava ancora a Lecco dalle suore.
8. Pacatamente, ricordiamo che il Presidente Napolitano ha contestato che ci fosse il requisito dell’urgenza, necessario a fare un decreto, quando Eluana aveva già iniziato la disidratazione forzata. Non c’era niente di urgente, secondo lui.
9. Pacatamente, ricordiamo anche che il ministro Sacconi ha emanato un atto di indirizzo lo scorso dicembre, in attesa di una legge sul fine vita, che proibiva nei fatti di uccidere Eluana. Atto di indirizzo contestato dai compagni del PD (d’ora in poi Partito Disidratato) che prima hanno accusato Sacconi di violenza (c’è anche una denuncia per violenza privata nei suoi confronti, alla Procura di Roma, proprio per l’atto di indirizzo); gli stessi del PD adesso chiedono cosa ha fatto il governo per impedire la morte di Eluana. Se tutto il Parlamento veramente avesse voluto impedire la morte di Eluana, bastava difendere l’atto di indirizzo. Semplice, no? Molto pacatamente, vorrei far notare che il decreto di urgenza del governo di venerdì scorso è stato contestato con forza dal PD, che ha chiesto un confronto parlamentare per la legge sul fine vita. Ma se confronto deve essere – com’è giusto che sia – ci vuole tempo. Provate solo ad immaginare – pacatamente – come avrebbe reagito il PD se a novembre il PdL avesse detto: bene ragazzi, vogliono far morire Eluana di fame e sete, facciamo la legge in due settimane, senza tante storie.
10. Pacatamente, vorremmo sapere perché tanta ansia del Procuratore di Trieste – superiore di quello di Udine – nel gridare per monti e per mari che mai e poi mai si stava indagando sul caso Englaro, e che mai e poi mai si sarebbero sequestrate le stanze di Eluana, e che mai e poi mai si sarebbe impedito di attuare il decreto. Il Procuratore di Trieste, Beniamino Deidda, è fra i fondatori di MD, Magistratura Democratica, d’ora in poi Magistratura Disidratata (non è colpa nostra se Democratici comincia con la D, come Disidratati).
Abbiamo tante domande da farci, pacatamente. E cercheremo di rispondere a tutte, sempre pacatamente.
Adesso vogliamo solo piangere Eluana, morta innaturalmente per una sentenza dei magistrati ma soprattutto, come ha dichiarato Gustavo Zagrebelsky, ex presidente della Corte Costituzionale, e firma pacata di Repubblica, “la premessa più importante è che ciò che è accaduto fino ad ora è legale”.
Assassini. Che il Signore li perdoni. Il padre per primo. Amen - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele Curatore: Riva, Sr. Maria Gloria - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 9 febbraio 2009
Quello che temevamo, quello per cui abbiamo in tanti agito perché non accadesse, quello che nessuno di noi ha voluto è accaduto: mentre recitavamo il S. Rosario per una vecchina morta questa mattina, e che era nelle stesse condizioni di Eluana, ma accolta, amata, servita, quasi «adorata», ci ha raggiunto la notizia della tragica morte di Eluana.
Un dolore e una preghiera, come quella del grande Paolo VI in occasione dell’assassinio di Aldo Moro: «Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il De profundis, il grido cioè ed il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce.
Signore, ascoltaci!
E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui.
Signore, ascoltaci!»
Un dolore e una preghiera, che faccia superare il grido «Assassini!» che in queste ore sale spontaneo alla gola, che sappia dare parole di perdono e di speranza.
Siamo in lutto, per Eluana, certo, ma anche per tutti quei cuori che si sono chiusi all’amore per la vita, ad una pietas che avrebbe dovuto soltanto illuminare e guidare i passi degli uomini.
Verrà anche il tempo dei bilanci, della riflessione sulla responsabilità, sui compiti educativi. Per ora ci guidi, insieme al dolore e alla preghiera, questa invocazione poetica di Eliot:
«Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perché dovrebbero amare le sue leggi? / Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare./ È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri./ Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli./ Essi cercano sempre d’evadere/ dal buio esterno e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono… Ma l’uomo che è adombrerà/ l’uomo che pretende di essere… E il Figlio dell’Uomo non fu crocefisso una volta per tutte/ il sangue dei martiri non fu versato una volta per tutte,/ le vite dei Santi non vennero donate una volta per tutte (...). E se il Tempio dev’essere abbattuto /dobbiamo prima costruire il Tempio».
«In luoghi abbandonati / Noi costruiremo con mattoni nuovi / Vi sono mani e macchine / E argilla per nuovi mattoni / E calce per nuova calcina / Dove i mattoni sono caduti / Costruiremo con pietra nuova / Dove le travi sono marcite / Costruiremo con nuovo legname / Dove parole non sono pronunciate / Costruiremo con nuovo linguaggio / C’è un lavoro comune / Una Chiesa per tutti / E un impiego per ciascuno / Ognuno al suo lavoro» [T. S. Eliot, Cori da «La Rocca»]
10/02/2009 09:58 INDIA - Suore di Madre Teresa: disabili, non “vegetali”, ma fonte di “ricchezza” per l’umanità - di Nirmala Carvalho - Le Missionarie della Carità gestiscono un centro per bambini portatori di handicap fisici e mentali a Mumbai. I disabili non sono dei “vegetali”, ma persone con “esigenze speciali” e “fonte di benedizione per il mondo intero” che impone modelli basati sulla “produttività”.
Mumbai (AsiaNews) – Accudire oltre 100 bambini abbandonati o affetti da disabilità, ritardi mentali, handicap fisici; curare i malati di Aids; garantire una morte dignitosa ai moribondi, ripudiati dalla famiglia e senza un luogo in cui trovare rifugio. È la missione delle suore che gestiscono la Casa di Asha Daan a Mumbai, fondata nel 1976 dalla Beata Teresa di Calcutta e gestita dalle Missionarie della Carità. Le religiose hanno deciso di spendere la propria vita al servizio di persone in apparenza “diverse”, ma che meritano tutto “l’amore, il rispetto e la dignità” che si deve a una “vita umana”.
Alla vigilia della Giornata mondiale del malato, in programma l’11 febbraio, Sr M Infanta descrive una quotidianità che è caratterizzata non solo dal dolore e dalla sofferenza, ma anche e soprattutto dal rapporto di amore e di condivisione fra le suore e gli ospiti del centro: “Ad Asha Daan vi sono 100 bambini – racconta la superiora – fra maschi e femmine, 83 dei quali portatori di handicap fisici o mentali. La loro età varia dai 3 ai 15 anni, ma sembrano così piccoli. Alcuni hanno ritardi mentali del 90%, altri dei gravissimi handicap fisici, ma ognuno di loro è un tesoro, un dono e una benedizione”.
Sr M. Infanta sottolinea che “ogni vita umana merita di essere vissuta”, anche se non sembra rispondere ai criteri di utilità o “produttività” imposti dai modelli attuali: “Questi bambini – continua la suora – sono creati per amare ed essere amati. Sono una fonte unica di benedizione per noi, per la società e per il mondo intero”.
“I portatori di handicap fisici e mentali – ammonisce – non sono dei vegetali, ma bambini con esigenze speciali: rispondono ai gesti di affetto, al contatto fisico, individui unici che sono in grado di comunicare. Lo sappiamo noi, come lo sanno i volontari che lavorano al centro, anche se queste risposte vengono manifestate con piccoli segnali”.
“Noi Missionarie della Carità – confida la suora, da 40 anni nell’ordine fondato dalla Beata Teresa di Calcutta – riceviamo grazie in abbondanza per il servizio che prestiamo ai più bisognosi. Come diceva Madre Teresa – conclude – mostra la tenerezza attraverso il tuo volto, i tuoi occhi, il tuo sorriso e il calore del tuo saluto. Devi sempre mostrare un sorriso allegro. Non prestare solo una cura, ma offri al tempo stesso il tuo cuore”.
ELUANA/ Cosa chiedono i politici a Napolitano - Mario Mauro - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
È iniziata la corsa contro il tempo per salvare la vita di Eluana Englaro. L’ha iniziata questo governo che, sin dal primo momento, ha scelto di riaffermare il più importante tra i diritti: il diritto alla vita. Il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri è un segnale chiaro della posizione sulla vicenda. Nonostante il diniego del Presidente Napolitano, si procede a predisporre un disegno di legge per affermare che Eluana non può essere fatta morire. L’impegno del presidente Silvio Berlusconi è stato determinante: con un intervento immediato ha dimostrato di voler fare il possibile perché in questo Paese non venga eseguita un’atroce sentenza che, qualora venisse portata a termine, aprirebbe voragini giuridiche e ambiguità legali. Con questo spirito con Roberto Formigoni, Francesco Cossiga, Mario Giordano e Vittorio Feltri abbiamo scritto la lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che contiene l’appello in favore di Eluana. Un appello stilato e sottoscritto da chi, consapevole che una ferita così grave non può essere inflitta a questo Paese, ha deciso di far sentire il proprio personale rifiuto rispetto a questo disegno di morte e che invitiamo, dunque, a firmare.
Si cerca oggi di introdurre ciò che dal 1999 al 2006 era stato negato: tutti i ricorsi di Beppino Englaro, respinti come inammissibili, ora sono stati accolti. Soltanto ora la pretesa del padre di fare morire la figlia è stata presa in considerazione e, stravolgendo la nostra Costituzione, quello alla morte è diventato un diritto. Eluana va a morire nel modo più atroce, privandola dell’alimentazione. L’acqua e il cibo le sono stati negati per sentenza. Questa donna non sarà la prima Terry Schiavo italiana: bisogna continuare a tentare tutte le strade legislative, giuridiche e mediche per cercare di proteggere chi non è in grado di farlo autonomamente perché affetto da malattia grave.
Non sembra, allora, un caso che nessuno di noi abbia mai potuto vedere anche una sola immagine di quella ragazza che oggi, diciassette anni dopo l’incidente, è una donna. Si è indotti così a pensare che Eluana sia un corpo privo di vita e di coscienza. Nessuna fotografia, nessun video è mai uscito dalla clinica di Lecco, il luogo in cui le Suore Misericordine hanno vegliato con infinito amore su di lei. Il suo volto è tenuto nascosto dietro quelle mura, perché altrimenti si saprebbe chi è oggi Eluana. Una donna che respira senza l’aiuto di macchinari, che apre gli occhi al levare del sole, che li richiude per il riposo notturno, che ha il ciclo mestruale e che tossisce. Il suo è un corpo che assimila il nutrimento (cibo e acqua). Un corpo che cresce e vive. Il cibo e i liquidi che oggi le sono negati le vengono somministrati col sondino, come accade a migliaia di malati colpiti da diverse patologie (quelle tumorali, ad esempio). A nessuno di loro ci si sognerebbe di negare il nutrimento.
Durante il convegno “Il Caso E in Italia – Eluana, Eutanasia, Eversione” svoltosi sabato scorso all’Università Cattolica di Milano, il centro di bioetica dell’ateneo ha invitato giuristi, personalità politiche e medici proprio con l’intenzione di discutere e svelare le contraddizioni ormai evidenti che questo caso porta con sé. Ed è stata proprio la comunità medica a sottolineare come non sia improprio definire questo progetto di morte – il famigerato “protocollo” – che pende sul capo della donna, un omicidio. In molti, infatti, si domandano perché, se secondo qualcuno Eluana è un corpo privo di vita (qualcuno l’ha addirittura definita “vegetale”), per eseguire il protocollo siano necessari trattamenti sedativi.
Stupiscono anche i commenti di una certa parte politica che chiama ingerenza l’interesse di Benedetto XVI e della Chiesa sulla vicenda. Se lo Stato non tutela il malato, stravolge la giurisprudenza e nega il diritto alla vita, non ha la Chiesa, per missione, il dovere di esprimere il proprio pensiero?
Occorre, allora, raccogliere l’appello del Santo Padre che, invitando tutti all’impegno per evitare una barbarie che una società civile e democratica non può in alcun modo tollerare, ha indicato la strada della preghiera comunitaria «per tutti i malati, specialmente quelli più gravi, che non possono in alcun modo provvedere a se stessi, ma sono totalmente dipendenti dalle cure altrui». Fa bene questo governo a portare avanti l’iter legislativo che è diventato un dovere civile, affinché non si neghino in nome di un’ingannevole pietas l’acqua e il cibo, le uniche “terapie” che per ingiusta sentenza oggi a Udine vengono negate a una donna: Eluana Englaro.
ELUANA/ 1. La vedova Coletta: un sacrificio misterioso che ci fa sperare - Redazione - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
«Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto». Basterebbe la profonda e infinita sapienza del salmista per capire che nulla è senza speranza, e che anche l’umanità più abbandonata e desolata trova accoglienza nelle braccia del Mistero. Ma non sono solo le parole dei salmi a dirci di questa speranza: c’è anche la testimonianza di persone speciali, che in quello che fanno e dicono sanno dare concretezza ed evidenza a tutto questo.
Margherita Coletta è una di queste persone. Lei sa cos’è il dolore: un marito ucciso nella strage di Nassiriyah, un figlio morto di leucemia, di cui oggi ricorrerebbe il compleanno. Solo pochi giorni fa, in un’intervista al quotidiano Avvenire, Margherita aveva parlato del proprio rapporto con Eluana, e con il padre Beppino. E degli ultimi, disperati, tentativi di distoglierlo dal suo proposito. Ora, che non rimane più nulla da fare, è il momento di ricordare, e di capire.
Margherita, che ricordo le rimane di Eluana?
Io non potrò mai dimenticare questo giorno. Non solo per il legame che avevo con Eluana, per tutto l’affetto che mi legava a lei. Ma anche perché domani (oggi, ndr) sarà il compleanno di mio figlio Paolo, morto di leucemia. Quindi questo mio legame con Eluana diventa ancor più grande, e più misterioso. Non so perché mi sia successo questo, e perché le nostre esistenze si siano intrecciate in questo modo. È un grande mistero, che mi segnerà per sempre.
Ma cosa rappresenta per tutti noi Eluana, ora che non c’è più?
Il problema ora non è più Eluana: lei stava bene prima, nelle condizioni in cui era, e sta bene anche ora, nel luogo in cui adesso si trova. Il vero problema non è lei. Il problema sono quelli che rimangono, e che hanno il peso di questo omicidio che è stato commesso. È stata una cosa disumana, e non riesco a capire come si sia potuto permettere tutto questo. Si sapeva che stava morendo, eppure non si è potuto fare nulla. Siamo dunque in balia di cosa? Chiunque da un giorno all’altro può prendere una decisione così tragica, e nessuno può fare nulla? Ma tanto, dove fallisce la legge degli uomini, non fallisce la legge di Dio.
Si è parlato molto, in tutto questo periodo, del rispetto nei confronti del dolore del padre.
Il dolore di un padre lo si può capire, perché è comprensibile che di fronte a situazioni così drammatiche si possa perdere il controllo. Ma quello che veramente non riesco a capire è la posizione di quelli che gli sono accanto.
Che cosa la ferisce maggiormente?
Quello che io intravedo di disumano è che sembra di essere tornati indietro di sessant’anni, a qualcosa di simile all’Olocausto, ma che viene eseguito in maniera più lenta. Sembra cioè che si voglia fare una selezione naturale delle persone: quelle che sono buone le teniamo, quelle che non sono buone le buttiamo via. In un paese come il nostro, che dovrebbe essere un paese civile, questo non dovrebbe accadere. Per questo mi auguro che venga approvato il disegno di legge di cui si discute in questi giorni, e che questo possa non accadere mai più
Dopo tanto dolore, come guardare al futuro?
Dobbiamo sicuramente continuare a guardare con speranza al futuro. Eluana, pur senza agire e senza dire nulla, ha comunque fatto in modo che cose del genere possano non accadere mai più. Possiamo dire che il suo è stato un vero e proprio sacrificio, che servirà per tutti i casi che sarebbero potuti accadere in futuro, e che invece ora, grazie al suo silenzioso esempio, saranno evitati.
Quindi da questa tragedia nasce una speranza?
Sì. E speriamo soprattutto che le cose che diciamo possano servire alla gente. Ma una cosa è certa: come ho detto prima, Eluana sta bene.
ELUANA/ 2. Giannino: un appello a ciò che ci rende uomini - Oscar Giannino - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Ho accompagnato negli anni più di venti giovani uomini e donne all’ultimo minuto della vita. Ventitre, per la precisione. Ogni pensiero, racconto, biasimo, disperazione, nostalgia e pentimento, di ciascuno di loro, è divenuto parte integrante della mia vita, moltiplicatore del pensiero, fomento del cuore. Infine, più e meglio del cuore solitario che all’inizio era duro, pungolo di fede. Ho fatto questo da volontario, da paziente a mia volta e da volontario al fianco di pazienti affetti da patologie incamminatesi e poi giunte allo stadio terminale. È il cancro, il male del quale ho imparato a conoscere i morsi e le insidie, fino all’estremo grado della sedazione per attenuare dolori indicibili e apparentemente oltre ogni soglia del sopportabile, fino alla perdita graduale di coscienza e poi nella più o meno lunga anticamera dell’addio, nella lunga lotta che i farmaci più avanzati consentono al progredire del male. Lo ammetto: lo stato vegetativo permanente postraumatico di Eluana Englaro non è la frontiera che ho battuto e attraversato accompagnando i miei amici, nella dolorosa cognizione del dolore. Un’esperienza che ha finito per rappresentare la parte più ricca, incommensurabilmente più rigenerativa del senso e del tessuto stesso della mia vita interiore, della radice di “me persona” e del come e del perché su questa Terra siamo chiamati gli uni agli altri, per un centuplo di quanto la mia formazione e cultura originaria individual-laicista avesse iscritto nella dimensione preminente dell’io e del sé.
Ho pensato e penso a ciascuna di queste ventitre storie, ogni momento che la vicenda di Eluana ha affocato fino allo spasimo la cronaca e la politica nazionale. Non desidero dare giudizi su Beppino, come su alcun altro della cerchia più ristretta di Eluana. Ho imparato a non darli, a non reagire nemmeno ai familiari che imprecavano maledicendo, di fronte alla disperazione di una perdita graduale ma avvertita comunque come ingiusta e inaccettabile, innanzitutto perché dolorosa e protratta, invece che improvvisa e serena.
So con certezza che il caso di Eluana non rientrava nell’ambito di una norma condenda sul testamento biologico, poiché nel suo caso mancavano inoppugnabilmente manifestazioni autentiche e inequivoche del suo pensiero in materia di accanimento terapeutico. So con altrettanta certezza che, al posto del giudice di Milano succeduto a quello di diverso avviso di Lecco, avrei ritenuto mio scrupoloso dovere ricostruire il più possibile delle convinzioni originalmente espresse da Eluana, convocando e soppesando ciascuno che fosse entrato con lei adolescente in contatto, e non solo gli amici e il perito indicati dall’istanza di parte. So con altrettanta certezza, alla luce delle mie cognizioni che ritengo sufficientemente documentate, che le nozioni cliniche in materia di morte cerebrale si sono largamente e fortunatamente evolute, rispetto a quanto venne codificato nei primi anni Settanta, poiché ancora largamente sconosciute sono le capacità “plastiche” delle diverse aree del cervello, anche a distanza di anni da interruzioni delle funzioni e reazioni corticali, subcorticali e mesencefaliche.
Il saluto silenzioso che ieri sera ci ha reso Eluana ha messo in scacco, praticamente, ogni partito tardivamente accesosi sul suo caso. Dico tardivamente perché solo un mondo che ha ablato dall’ordinaria quotidianità la cognizione del dolore e della malattia, degli stati considerati terminali come quelli di coma vegetativo, può accendersi improvvisamente quando tutto rischia di essere tardivo, com’è stato, anche sul caso che ha animato e diviso le coscienze degli italiani. Nella mia esperienza, migliaia di morti ogni anno avvengono negli ospedali senza porsi l’interrogativo che merita ogni vita umana. Ed è questo, il tormento più grande a ispirarmi il silenzio, di fronte al caso di Eluana. Ma viviamo in un mondo che ignora la quotidianità e si divide sull’eccezionalità, lo capisco benissimo. Anch’io faccio il giornalista, dunque non posso stupirmi.
Ciò malgrado, per me la persona vive e rappresenta un valore che viene prima e “sopra”, rispetto a ogni legge e a ogni Stato. Per questo non mi ha appassionato il pangiuridicismo contrapposto, con il quale si è affrontato senza esito il caso di Eluana. Né, tanto meno, l’esagitarsi sul preteso vulnus alla Costituzione: lasciamo questa commedia al tribalismo di cui è intessuta la miseria purtroppo persistente del bipolarismo italiano. Chi è insorto in nome della legge e della Costituzione che non si cambia, ha abbracciato nel caso di Eluana la paradossale estrema incarnazione data dai nostri tempi allo Stato etico: no allo Stato che decide la legge per mano del legislatore, sì allo Stato in cui un giudice da “bocca della legge” diventa colui che la legge la detta e la “fa”. Mi hanno insegnato al primo anno di giurisprudenza che un atto di volontaria giurisdizione, come quello della sentenza milanese confermata dalla Cassazione e infine applicata, non è affatto una sentenza ed è dunque sempre impugnabile e rivedibile. Del tramonto di ogni principio elementare di civiltà del diritto, vive la prevaricazione di chi confonde morte per decisione di un giudice con liberazione dal peso della vita.
Il mistero della morte di Eluana, per chi continuerà a viverla come simbolo e sacrificio delle nostre contraddizioni pubbliche e private, è lo scambio tra ciò che decidere non può, con chi di decidere non ha avuto per troppo tempo voglia. Uno scambio senza possibilità di ritorno. Irreversibile. Almeno per chi non ha fede. I ventitre compagni del mio cuore, comunque, dal silenzio mi inducono a pensare che, con la fede, anche questa morte ci ha aiutato. Se sapremo fare appello a ciò che ci rende uomini, invece che a ciò che ci fa gridare come animali.
LEOPARDI/ Quella misteriosa Natura che voleva tenere in vita Eluana - Luca Doninelli - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
«Un esempio di quando la ragione è in contrasto colla natura. Questo malato è assolutamente sfidato e morrà di certo fra pochi giorni. I suoi parenti per alimentarlo come richiede la malattia in questi giorni, si scomoderanno realmente nelle sostanze: essi ne soffriranno danno vero anche dopo morto il malato: e il malato non ne avrà nessun vantaggio e forse anche danno perchè soffrirà più tempo. Che cosa dice la nuda e secca ragione? Sei un pazzo se l'alimenti. Che cosa dice la natura? Sei un barbaro e uno scellerato se per alimentarlo non fai e non soffri il possibile. È da notare che la religione si mette dalla parte della natura» (G. Leopardi. Zibaldone, Luglio-Agosto 1817).
Il contesto da cui abbiamo tolto questo brano di Giacomo Leopardi è una riflessione sul contrasto che esiste tra la “ragione” (che Leopardi intende nell’accezione illuminista, “la nuda e secca ragione”) e la “natura”, che fra tutte le parole è la parola leopardiana per eccellenza.
Abbiamo scelto di presentarvi questo breve testo in giorni drammatici come quelli che stiamo vivendo non già perché desideriamo forzare le parole del grande poeta a un pensiero che non è il suo, ma perché il suo pensiero è interessante in sé.
È interessante, sommamente interessante innanzitutto perché è un pensiero ferito. A Leopardi non interessa produrre armonie, ossia discorsi in grado di dare a ogni cosa il suo posto. La frattura tra la nuda e secca ragione e la natura è insanabile. Bisogna accettare lo scandalo. Il grande genio accetta lo scacco, l’uomo modesto cerca sempre l’equilibrio, il riparo sotto l’ala del discorso giusto.
La natura è misteriosa, produce grandezza ma anche orrore, mentre la ragione nuda e secca rifugge il mistero e si limita a calcolare su quello che ha. Eppure non può non tener conto della forza della natura, pena il trasformarsi essa stessa in un sogno, il sogno delle magnifiche sorti e progressive.
La natura “è quella che spinge i grandi uomini alle grandi azioni”, scrive il grande poeta, ma al tempo stesso essa “ripugna... dall’utilità della fatica”, non solo, ma inclina anche “a moltissime altre (cose, n.d.r.) o dannose o inutili o proibite, illecite, e condannate dalla ragione”, fino “a danneggiare o a distrugger se stessa”.
Al tempo stesso, però, con grande acutezza, Leopardi osserva che “la religione si mette dalla parte della natura”, ossia di questa natura contraddittoria, intrattabile, irriducibile, che produce Aristotele e Alessandro Magno ma anche l’eruzione del Vesuvio. La religione, in altre parole, si mette dalla parte del mistero: sempre e comunque.
Mille “se”, mille “ma”, mille “però” sorgono a questo punto in noi. Se la natura si autodistrugge, cosa deve fare la religione? Accettare l’autodistruzione, o intervenire? E intervenire in nome di che? Della natura no di certo, della ragione men che meno.
Ma Leopardi a queste conseguenze non è interessato. Sono linee minori, conflitti interiori, problemi particolari. Tutti noi abbiamo però constatato la capacità di trasformazione dell’uomo che un evento tragico possiede. Tutti abbiamo visto uomini mediocri trasformarsi in giganti per l’effetto di un dolore inspiegabile, ingiusto e crudele. O, meglio: per l’effetto del “sì” detto a quel dolore, per quanto spropositato e incomprensibile. Un “sì” che rasenta la follia ma che, al tempo stesso, appare profondamente, abissalmente ragionevole.
Dopo diversi interventi, su questo o quel quotidiano, in merito al caso Eluana, una sola cosa io so: di essere pressoché una nullità. Di fronte a Eluana, di fronte a suo papà, di fronte a questa tragica vicenda, chi sono io? E chi sono io davanti a Leopardi? Nessuno. Io scrivo solo perché dico “sì” a questa circostanza in cui tante persone come me si trovano, e che domanda di parlare di Eluana. Accettando gli errori di valutazione, la superficialità, le intemperanze che sono, spesso, ben difficili da evitare.
C’è un destino che ci interpella, al quale la nuda e secca ragione non può dire di sì. Perché alimentare artificialmente questa persona? Perché impiegare personale ospedaliero quando potrebbe essere impiegato in altri casi, in cui forse la vita ha maggiori possibilità di essere salvata? La nuda e secca ragione è un “no” perenne, continuo, senza sosta, profondamente amaro. Questa ragione ha vinto ed Eluana non c'è più. La sentiremo tutti, l’amarezza, e sarà la stessa amarezza: la mia come quella di Beppino Englaro.
Per questo la religione sta dalla parte della natura, dice “sì” (e ritiene questo “sì” molto più razionale del “no”) anche nell’imminenza di uno scandalo, di un’assurdità. Dice sì perché la grandezza sta dalla parte del mistero e, con la grandezza, la felicità, la riuscita della vita, il bene. Non è un problema di valori, né di rispote consolatorie. Agitare il valore dell’intangibilità della vita non c’interessa. C’interessa il grido del nostro cuore. Noi non comprendiamo, noi non sappiamo dare un posto a tutto, la realtà ci appare come fratturata. Eppure il nostro cuore continua a gridare perché non vuole morire, perché “il respiro della vita non abbia fine”.
BIOETICA/ Gli ibridi uomo-animale e le mani sugli embrioni umani - Augusto Pessina - martedì 10 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
È di questi giorni la notizia data da Robert Lanza (ricercatore di grande spessore e con esperienza nel campo delle cellule staminali) che dice in sintesi che gli oociti animali non possono sostituire quelli umani per produrre cellule staminali. In molti hanno già tirato un sospiro di sollievo pensando che questo chiude definitivamente la porta alla creazione dei cosiddetti ibridi uomo-animale che i mass media hanno chiamato fantasticamente “chimere”. E questo potrebbe essere un fatto positivo.
Ma, letta per intero e nel verso giusto, questa notizia dice anche che la clonazione umana è possibile e quindi è la via da seguire. Del resto sulla medesima rivista online Cloning and Stem Cells un gruppo di ricerca cinese afferma di aver clonato cinque embrioni umani!
A pubblicare insieme a Robert Lanza, della Advanced Cell Technology (ACT) ditta privata di Worcester (Massachusetts), c’è uno stuolo di ricercatori di altri centri privati e pubblici e, guarda caso, la notizia esce proprio quando Obama sta aprendo le porte negli Usa alla ricerca con le cellule embrionali umane. La settimana scorsa la Food and Drug Administration ha autorizzato la ditta Geron a condurre test per valutare la sicurezza delle cellule embrionali in un gruppetto di pazienti che hanno ricevuto danni al midollo spinale e le azioni della Geron sono schizzate in alto (alla faccia della crisi).
Lanza è già noto per i suoi annunci. Nel 2002 aveva anche promosso attraverso i giornali di Boston una chiamata delle donne alla donazione di ovociti e la stessa cosa è stata fatta in Inghilterra dove il programma per creare ibridi (mediante Nuclear Transfer) utilizzando ovociti animali e cellule somatiche umane è stato finanziato per sopperire alla mancata donazione di oociti umani. Le donne, infatti, non hanno risposto entusiasticamente all’appello (anche perché per donare oociti queste devono sottoporsi a pesanti terapie ormonali).
Nell’agosto del 2006 Lanza annunciava sulla rivista Nature che è possibile produrre staminali utilizzando un solo blastomero estratto da un embrione. Ciò suscitò grande interesse. Richiesto di conoscere meglio i rischi insiti alla biopsia necessaria per prelevare il blastomero, Lanza interveniva su Nature online ammettendo candidamente (forse si era scordato di scriverlo!) che gli embrioni non rimanevano intatti (“did not remain intact” ). Cioè, per intenderci meglio, morivano.
Nel lavoro scientifico pubblicato pochi giorni fa sulla rivista Cloning and Stem Cells egli conclude (e c’è da credergli!) che gli oociti bovini e di coniglio non sono in grado di riprogrammare il genoma di nuclei di cellule somatiche umane mentre ciò sarebbe possibile con ovociti umani (confermando così la possibilità della clonazione umana). Naturalmente i sostenitori degli embrioni ibridi con a capo Minger (che ha avuto in Inghilterra la licenza per costruire gli ibridi uomo-animale) sostengono che questi dati non sono affatto definitivi e critica Lanza di non aver fatto esperimenti adeguati con le scimmie.
Comunque sia, il succo di tutto ciò resta quello di “un colpo al cerchio e uno alla botte”. Da una parte sottolinea che la strada dell’ibrido non è tecnicamente percorribile (almeno per ora) e dall’altra che si deve investire sulla creazione di embrioni umani per ottenere cellule staminali. E questo rafforzerà anche l’intervento di Obama al quale si apriranno tutte le porte.
Questa breve nota non ha lo scopo di ritornare sulle numerose e drammatiche controindicazioni (anche scientifiche) che tale strada apre; tuttavia vale almeno la pena ricordarci che il vero problema resta e resterà quello etico-antropologico. Il punto di tutta la questione riguarda la concezione di persona umana e il rispetto della sua dignità dal concepimento alla morte.
La radice di fondo da cui nasce questa ostinata ricerca sugli embrioni è stata bene descritta da Benedetto XVI nella sua lezione di Ratisbona e consiste nell’uso sbagliato della «ragione e della razionalità» umana. Da meraviglioso strumento per indagare e conoscere la realtà e il significato del nostro essere uomini, essa è stata ridotta a criterio di misura e di definizione della realtà stessa. Questo contribuisce alla tragica assolutizzazione della “scienza” intesa come “il massimo bene” per una “umanità” astratta e quindi incapace di riconoscere l’unicità e l’irripetibilità di ogni singolo essere umano e in particolare di quelli più indifesi.
SFORZO IMPONENTE PER DARLE UNA MORTE BRUTALE - Un abbandono estremo forma più grave d’eutanasia - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 10 febbraio 2009
Pur con tutte le sue terribili ombre, pur rendendosi responsabile di innumerevoli delitti, l’Occidente è riuscito, con sforzi straordinari e grazie all’innesto decisivo della tradizione ebraico-cristiana, ad affermare un principio assolutamente decisivo: i soggetti deboli vanno aiutati e protetti. È su questo punto, e non su altri, che si misura quel cammino che noi chiamiamo civiltà. Se questo è vero, la morte di Eluana Englaro, simbolo di quei soggetti che sono i più deboli tra i deboli, è un terribile momento di regresso in questo faticosissimo cammino. Al momento non sappiamo esattamente quali sono state le cause della morte improvvisa di Eluana, al termine di una giornata in cui erano stati diffusi comunicati che attestavano come il suo organismo possedesse ancora una normale funzionalità. Si stanno già moltiplicando le domande in merito: altri avranno il compito di dare risposte ed altri ancora di verificarne la plausibilità. A noi spetta unicamente fare una brevissima riflessione: qualunque sia la causa ultima della morte di Eluana, anche se si fosse trattato di una morte avvenuta per sopraggiunte, imprevedibili, naturalissime cause, resta il fatto incancellabile che essa è morta in una clinica, nella quale era stata portata con un’unica intenzione, quella di farla morire. Questo dato di fatto è sufficiente per farci gridare ad alta voce che è stata abbandonata, come paziente, come donna, come cittadino, come essere umano. Coloro che l’hanno abbandonata, coloro che hanno favorito o addirittura plaudito a questo abbandono, attivando strepiti mediatici e inventando sofismi giuridicocostituzionali, non riusciranno mai, probabilmente, a rendersi conto che in questo abbandono dobbiamo vedere la forma più estrema e più grave di eutanasia. Eluana infatti non è morta a causa del gesto compassionevole, estremo e disperato di un familiare o di un medico chino sul suo letto, ma dopo che era stato elaborato un 'protocollo' burocraticosanitario, finalizzato a rendere 'dolce' la sospensione di ogni forma di supporto vitale, affidato per la sua materiale applicazione a 'professionisti' e a un’associazione di 'volontari', costituita esclusivamente a questo fine. Intorno ad Eluana, ricoverata ad Udine, si è mosso quindi uno straordinario numero di persone. Eppure, la finalità oggettiva di tutte queste persone era una soltanto: non quella di starle vicino, ma quella di accompagnarla a un destino di morte. Chi così ha agito si dirà forse convinto di aver abbandonato Eluana 'al suo destino' e dichiarerà, se vorrà essere conseguente, di non provare alcun rimorso e forse nemmeno alcun turbamento per la sua morte. Nessuna critica, nessuna ammonizione riuscirà probabilmente a scalfire la coscienza di persone così sicure di sé e così narcisiste da ritenere di poter individuare lucidamente e senza alcun dubbio il 'destino' degli altri, al punto da agire perché esso possa realizzarsi fino in fondo. Mi auguro solo che queste persone cessino di chiamarsi 'laiche' o almeno che cessino di reiterare, come fanno ogni volta che ne hanno l’occasione, l’elogio del 'dubbio'. Su Eluana, né i giudici, né il padre, né gli altri che lo hanno aiutato a portare a termine il suo progetto hanno avuto alcun dubbio: essa doveva morire.
Si è cercato di impedire la tragedia finale. Non ci si è riusciti. Eluana è morta. Abbandonata.
Nessuna critica riuscirà probabilmente a scalfire la coscienza di persone così sicure di sé.