Nella rassegna stampa di oggi:
1) 09/02/2009 7.57.50 Radio Vaticana – Englaro: in Parlamento al via l’iter per il nuovo disegno di legge. La donna sedata
2) Alcune precisazioni circa la vicenda di Eluana Englaro - di Alessandro Bassi Luciani - Docente di Medicina Legale al dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Pisa
3) 9.2.2009 – IRAN - Mohammad Khatami alle elezioni presidenziali contro Ahmadinejad - È il leader islamico più aperto, fautore di un “dialogo fra le civiltà” e di maggiore libertà verso le donne. La disastrosa situazione economica del Paese potrebbe favorirlo. Fra gli elementi negativi: il controllo sociale degli ayatollah e la disillusione dei suoi antichi amici che ricordano la sua poca decisione nell’attuare le riforme durante i suoi precedenti mandati.
4) ELUANA/ 1. L'appello del padre di Terri Schiavo a Beppino Englaro - Redazione - lunedì 9 febbraio 2009 - Pubblichiamo in esclusiva la lettera aperta che Bob Schindler senior, padre di Terri Schindler Schiavo, ha indirizzato attraverso ilsussidiario.net a Beppino Englaro, il padre di Eluana – ilsussidiario.net
5) ELUANA/ 2. Olivetti (costituzionalista): la scelta di Napolitano è solo politica e di parte - Marco Olivetti - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
6) SOCIETÀ/ Quella sottile dinamica che ha portato all’abbandono della Chiesa - INT. Giuseppe Reguzzoni - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
7) SCUOLA/ Ora di religione: un'occasione troppo spesso sprecata... - Giovanni Cominelli - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
09/02/2009 7.57.50 Radio Vaticana – Englaro: in Parlamento al via l’iter per il nuovo disegno di legge. La donna sedata
Italia. In primo piano il caso di Eluana Englaro, la donna italiana da 17 anni in stato vegetativo e ricoverata dalla scorsa settimana alla clinica La Quiete di Udine. Eluana è stazionaria e sedata, dopo la sospensione di idratazione e nutrizione. Mentre si indaga su irregolarità nella degenza, il dibattito politico si sposta ora in Senato e alla Camera. La Santa Sede ha manifestato vivo apprezzamento per l’accelerazione data dal Parlamento all’approvazione del disegno di legge.
Tra i numerosi esposti al vaglio dei giudici di Udine che chiedono la sospensione del protocollo e il rapido ripristino della nutrizione per Eluana, prima dell'insorgere di danni irreveribili, Alessandro Guarasci ha sentito il prof. Gianluigi Gigli
R. - Al di là di un ragionevole tempo di attesa - che nessuno sa quanto sia esattamente, ma certamente non va oltre pochi giorni - il processo di disidratazione e di denutrizione che è in atto, e che sappiamo essere stato addirittura accelerato rispetto a quanto previsto, potrebbe portare il cervello di Eluana a subire un ulteriore oltraggio.
D. - Voi avete presentato un esposto in merito al protocollo che si sta applicando nella clinica La Quiete di Udine. Su che cosa è basato?
R. - Un esposto tendente a dimostrare la non corrispondenza tra il protocollo seguito per la morte di Eluana nella clinica La Quiete e quanto previsto dalla Corte di Cassazione, prima, e dalla Corte di Appello di Milano. Esse avevano, sì, parlato di sospendere la nutrizione e l’idratazione cosiddette artificiali, ma non di togliere tout court ogni possibilità di alimentazione e di idratazione alla paziente, altrimenti, se questo fosse stato vero, voleva dire che la Corte di Cassazione avrebbe per sua natura imposto una legislazione eutanasica in Italia.
D. - Professore, non ritiene che alcuni mezzi di comunicazione abbiano voluto far passare l’impressione, sbagliata, che su Eluana si stia facendo accanimento terapeutico?
R. - Che non si tratti di accanimento terapeutico lo ha stabilito una volta per tutte proprio questa sentenza della Cassazione, la quale nell’ottobre 2007 ha scritto nero su bianco che nel caso di specie non siamo in presenza di accanimento terapeutico e che si tratta piuttosto di cure proporzionate.
D. - Bisognerà cominciare a parlare in Italia, secondo lei, di un’adeguata legge sul fine vita che escluda la sospensione di idratazione ed alimentazione?
R. - Questo è lo sforzo che stanno cercando di fare alcuni volenterosi parlamentari. Ci auguriamo che esso arrivi presto, arrivi in tempo. Ora, dobbiamo correre perché ci sia una sospensiva a quanto sta accadendo: una sospensiva prima che si verifichino ulteriori e irreparabili danni. Bisogna evitare che Eluana diventi l’unica disabile italiana messa a morte per una sentenza.
La vicenda di Eluana Englaro riporta alla memoria quella di Luca De Nigris, il ragazzo sedicenne che - undici anni fa - si è spento dopo 8 mesi di coma e stato vegetativo, in seguito a un intervento chirurgico. Grazie a lui è nata l’associazione Amici di Luca ed è stata costruita la Casa dei Risvegli, un centro pubblico innovativo di assistenza e ricerca per giovani e adulti che si trovano nelle stesse condizioni. Nella struttura, la famiglia viene accompagnata nel lungo percorso della riabilitazione e del reinserimento sociale. Per non lasciare sole le persone in coma e chi, insieme con loro, vive questa dolorosa esperienza. Eliana Astorri ha raccolto la testimonianza di Fulvio De Nigris, direttore del Centro Studi per la ricerca sul coma “Gli amici di Luca” e padre del giovane
R. - Quando tutto sembrava che stesse andando per il meglio, purtroppo Luca una mattina non si sveglia più, e quindi al dolore comprensibile dei genitori - e quindi un dolore privato - si unì il desiderio di continuare quello che Luca ci aveva fatto capire: cioè, che si poteva essere vicini a queste persone, di creare in Italia una struttura che allora non esisteva e che oggi è questo centro-pilota, la "Casa dei Risvegli Luca De Nigris". Si tratta di un centro pubblico, che è diventato un po’ un simbolo di quello che è possibile fare per le persone che convivono con la malattia - alle quali sembra che sia tutto negato e che invece hanno grandi possibilità di recupero - compreso l'essere accompagnati poi nella vita e quindi a domicilio o in altre strutture. Dal 2005, in questa struttura hanno ricoverato una sessantina di persone e l’80% di queste persone sono tornate a casa con un buon - a volte ottimo - grado di autosufficienza. Ciò che ci conforta è il fatto che tale percorso - legato non solo agli aspetti sanitari, ma anche al volontariato, alla famiglia, a quanti vogliono accompagnare queste persone e dedicare il loro tempo nel loro tragitto - sia un progetto estremamente positivo, che dà valore anche alle storie di queste persone: storie molto spesso difficili, molto spesso dolorose.
D. - Cosa differenzia lo stato di coma da quello vegetativo?
R. – Il coma dura poche settimane. Poi, quando si aprono gli occhi, si parla di stato vegetativo, che è uno stato che può essere molto vario, può essere di minima coscienza.
D. - Quindi c’è un’attenzione all’esterno, comunque?
R. - Sì. Non in tutti i casi, però sicuramente c’è, molto spesso, un contatto con l’esterno e una possibilità, poi, di ripresa. Oggi, tutti quanti i medici tendono a dire che non esiste più lo stato vegetativo permanente, ma si dice "persistente", perché si è visto che nel corso degli anni - anche di lunghi anni - la persona che ne è colpita comunque modifica il suo rapporto con l’ambiente, e lo modifica in maniera positiva. Certamente, i risultati a volte sono molto piccoli: ma credetemi, per le famiglie sono dei grandi passi avanti rispetto a come la persona era partita.
D. - Quali sono le difficoltà pratiche di una famiglia che per lungo tempo si prende cura di una persona in stato vegetativo?
R. - Innanzitutto, ci vuole un grande sostegno psicologico, perché i primi tempi sono molto duri e la famiglia rischia di disgregarsi. Il secondo aspetto è cercare di essere sempre dentro alla vita quotidiana del problema, cercando di non fare gli infermieri, ma di essere familiari via via più esperti che accompagnano il malato in questo lungo cammino. E poi ci sono anche gli aspetti economici: noi non dobbiamo lasciar sole le famiglie, bisogna che loro sentano che c’è un percorso, che c’è un sistema, che c’è una strategia d’intervento e che ciò che loro fanno è comunque condiviso da altri.(Montaggio a cura di Maria Brigini)
Alcune precisazioni circa la vicenda di Eluana Englaro - di Alessandro Bassi Luciani - Docente di Medicina Legale al dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Pisa
ROMA, domenica, 8 febbraio 2009 (ZENIT.org).- In merito alla tragica vicenda di Eluana Englaro, ritengo di dover fare alcune sintetiche riflessioni e precisazioni: ciò perché, in particolare in questi ultimi giorni, sono comparsi articoli e lettere sia su quotidiani che diffusi per e-mail da parte di molte persone, alcune delle quali si dichiarano cattoliche e che hanno - almeno in passato - avuto un apprezzabile ruolo anche nella nostra Diocesi; articoli e lettere che sono infarciti di errori non solo sul piano antropologico-culturale e cristiano, ma anche tecnico.
E queste precisazioni le faccio come uomo e come medico, prima ancora che come cristiano, poiché le leggi in uno Stato laico non sono né cattoliche né cristiane: sono leggi, che possono recepire l'orientamento di fede dei cittadini, ma non dipendono da questa.
1) Richiesta di pietoso silenzio: il silenzio non può calare ora, dopo che proprio la famiglia Englaro, al fine di acquisire consensi alla sua tesi, ha per anni coinvolto l'opinione pubblica, i mass-media e le autorità (sanitarie, politiche, magistratura, ecc.) proprio al fine di rendere "pubblico" il caso di Eluana, che io "scoprii" una decina di anni fa in occasione di un dibattito - di fatto a senso unico - organizzato da una ASL toscana con gli Englaro.
2) È del tutto legittimo non con dividere decisione della Magistratura, perché è politica e non giuridica (si ricordi che quella della Corte di Appello di Milano non è una sentenza, ma solo un decreto).
3) Come medico legale posso affermare che stupisce non poco che i magistrati milanesi possano aver emesso un decreto di questa portata senza far sottoporre la Englaro a perizia medico-legale, ma solo basandosi su certificazione di parte, ovvero prodotta solo dalla famiglia. Normalmente decisioni in merito alla salute delle persone (ad esempio in casi di compatibilità o meno tra salute e regime di detenzione) vengono prese dopo perizia medico-legale disposta dall'Ufficio.
4) Il Ministro Maurizio Sacconi, come la On. Eugenia Roccella, non hanno ricattato nessuno: si limitano a ribadire quali sono i compiti del Ministero della Salute.
5) Come uomo, mi pongo anche io degli interrogativi quando vengono date "certe risposte etiche", e non da ora, ma ormai da 35 anni (iniziai a dubitare della giustezza etica, e del comportamento e della incoerenza di tante persone che si dichiarano cattoliche), quando furono promulgate leggi che non rispettano l'uomo, prima fra tutte quella relativa all'aborto.
6) Eluana Englaro non è in agonia: come si può leggere su qualunque vocabolario, il termine "agonia" ha altro significato: è la condizione di lenta ed inesorabile diminuzione delle forze vitali che precede la morte; una "agonia" di 17 anni è di per sé una contraddizione! Se si attribuiscono nuovi significati alle parole esistenti, si torna alla babele (non mancano recenti esempi eclatanti). Inoltre la condizione di Eluana non è "dolorosa" per lei, poiché non ha sofferenze fisiche, non abbisognando di alcun farmaco che abbatta il dolore e che invece, per paradosso, le verrebbe somministrato al momento in cui dovesse essere costretta alla morte per inanizione e disidratazione, proprio per evitarle sofferenze fisiche (si pensi all'ipocrisia di umettare le mucose, perché altrimenti si screpolerebbero!). E se vuole attribuire il termine "dolorosa" alla sofferenza della psiche per la sua condizione, vorrebbe dire che la donna percepisce la sua condizione, ovvero che è consapevole! Senza dubbio la sua condizione è dolorosa per molti, anche se non sembra lo sia per tutti: certamente lo è per chi chiede che possa continuare a vivere.
7) Eluana non è sottoposta ad alcun accanimento, il quale, per essere tale, necessiterebbe di terapie mediche che, invece, non vengono eseguite semplicemente perché non ne ha bisogno (non va dimenticato che quando, pochi mesi fa, ebbe una grave emorragia che la portò, questa sì, vicina alla morte, a causa della ripresa del ciclo ovario - segno di inizio di regolarizzazione della sue funzioni fisiologiche? - non fu attuata nessuna terapia, né medica, né farmacologica, né trasfusionale (e da quella emergenza si riprese spontaneamente con una incredibile rapidità).
8) È invece vero che non vi è niente di terapeutico, poiché non sono "terapeutiche" le pratiche igieniche che le vengono praticate, né lo sono le passeggiate, in carrozzina, che le fanno fare le persone che la accudiscono.
9) L'alimentazione che viene somministrata ad Eluana non è né artificiale - poiché viene nutrita per bocca, con cibi fluidi e calibrati, tramite un sondino naso-gastrico che viene frequentemente rimosso (credo dopo ogni pasto) e non tramite stomia addomino-gastrica "PEG" - né forzata: se vogliamo dare il giusto significato alle parole, per evitare la babele di cui sopra, l'alimentazione è semplicemente "assistita".
10) Si legge sulla stampa che Eluana "ha espresso i suoi desideri ... in piena lucidità", ma questo non corrisponde certo al concetto di "consenso informato" che, in forza all'art. 32 della Costituzione, è alla base di ogni trattamento sanitario, sia accettato che rifiutato. Come medico legale dedico, in tutti i corsi in cui insegno, più ore di lezione per spiegare il significato del consenso informato, e ciò non come cristiano, ma solo ed esclusivamente come docente universitario, medico specializzato in medicina legale. Il consenso informato è qualche cosa di diverso rispetto al desiderio espresso in piena lucidità perché richiede una ben diversa informazione, e, soprattutto, un coinvolgimento personale che non può basarsi sull'aver saputo (od anche visto? le notizie della stampa non mi sembrano essere state esaustive in proposito) della compromissione neurologica di un amico che, credo, fosse in stato di "coma", e non in condizione di stato vegetativo persistente.
11) Negli ultimi tempi è stato sempre più adottato il termine di stato vegetativo permanente, devo ricordare che questa definizione è errata, poiché, in medicina, è permanente ciò di cui si sa non possa più guarire (ovvero irreversibile), mentre la condizione delle persone come Eluana è stato vegetativo persistente: non è una differenza da poco, se si riflette bene. Di fatto, continuare ad utilizzare l'aggettivo permanente significa rifarsi a letteratura scientifica ormai obsoleta che è ritenuta da molti antiscientifica e che, non solo in questo caso, può svelare un certo pregiudizio ideologico. Anche in questo caso, la babele del mass-media ha le sue responsabilità.
12) Ovviamente la drammaticità del caso Englaro, e delle altre centinaia e centinaia che sono presenti in Italia, non si esaurisce qui. Quello che dovremmo cercare di fare, anzi "battagliare" (nel senso più pacifico del termine), è di promuovere una sempre maggiore accoglienza verso questi fratelli (o meglio, cittadini, per evitare di essere negativamente etichettati come cristiani) che versano in condizioni così difficili. È ovvio che ciò ha un costo, e sembra che alcuni (o tanti, ma non certamente tutti) portino avanti questa "battaglia" per far morire di inanizione l'Englaro per scopi tutt'altro di etica, ma più semplicemente per scopi di bilancio. Ma se, per motivi economici, diventa "eticamente accettabile" sopprimere un invalido come Eluana, fra non molto potrebbe essere "eticamente accettabile" sopprimere anche chi ha minori invalidità, ma comunque non produce più per la società, e, chissà, si potrebbe forse arrivare, con sollievo per i bilanci della Sanità, a fare anche qualche pensierino sui tanti pensionati non più produttivi che, seriamente ammalati, sono abbisognevoli di costanti, costose e lunghe terapie. E questa non è una stupida o riprovevole ironia: fatta la strada, questa procede, con gli anni, ma procede: se ne può essere certi. Lo insegnano le precedenti esperienze: nella storia e ai nostri giorni (vedi la costante eliminazione nel grembo delle madri dei bambini Down e talassemici, che "costano" alla società somme ingenti).
13) Le preghiere, come ci insegna il Vangelo, possono anche essere pubbliche, specie quando "pubblico" è l'oggetto della preghiera e, comunque, scrivere che sono "strombazzate" è un'offesa al concetto di preghiera cristiana.
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* Docente di Medicina Legale al dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Pisa
9.2.2009 – IRAN - Mohammad Khatami alle elezioni presidenziali contro Ahmadinejad - È il leader islamico più aperto, fautore di un “dialogo fra le civiltà” e di maggiore libertà verso le donne. La disastrosa situazione economica del Paese potrebbe favorirlo. Fra gli elementi negativi: il controllo sociale degli ayatollah e la disillusione dei suoi antichi amici che ricordano la sua poca decisione nell’attuare le riforme durante i suoi precedenti mandati.
Teheran (AsiaNews/Agenzie) – Mohammad Khatami, ex presidente dell’Iran, ha deciso di partecipare alle elezioni presidenziali che si terranno nel paese il prossimo 12 giugno. Khatami è stato presidente dal 1997 al 2005 e rappresenta un Iran moderato e aperto alla comunità internazionale. Durante il suo doppio mandato il puritanesimo degli ayatollah è stato mitigato e anche i media sono divenuti più aperti. Sebbene vi fossero ancora le regole islamiche del vestire, molte donne hanno cominciato a usare non solo il nero, il marrone e l’azzurro, ma anche altri colori e altre forme di abito.
Ahmadinejad ha lanciato varie volte un ritorno alla purità islamica, sebbene vi sia sempre più resistenza soprattutto fra i giovani. Molti giornali sono stati chiusi.
Khatami è fautore di un “dialogo fra le civiltà”; ha espresso solidarietà agli Stati Uniti per l’11 settembre 2001 ed è stato fra i pochi leader islamici a non criticare Benedetto XVI per il suo discorso di Regensburg.
Nella sua campagna, Khatami ha detto che vuole che la ricchezza del paese sia diffusa anche fra tutte le fasce della popolazione. Nella situazione attuale, le sanzioni contro l’Iran e il suo programma nucleare, le cattive relazioni con la comunità internazionale e il controllo sull’economia da parte di ayatollah e conservatori ha determinato un’inflazione del 30% e una diffusa povertà, pur essendo il Paese fra i massimi produttori di petrolio.
Khatami ha sottolineato che è necessario che le elezioni siano “libere” e che tutti possano esprimere il loro voto. Le difficoltà che si presentano per la sua elezioni sono dovute in parte al controllo sociale esercitato dagli ayatollah e dai conservatori, in parte alla disillusione di molti suoi sostenitori, che lo hanno criticato in passato per non operare con decisione e celerità l
ELUANA/ 1. L'appello del padre di Terri Schiavo a Beppino Englaro - Redazione - lunedì 9 febbraio 2009 - Pubblichiamo in esclusiva la lettera aperta che Bob Schindler senior, padre di Terri Schindler Schiavo, ha indirizzato attraverso ilsussidiario.net a Beppino Englaro, il padre di Eluana – ilsussidiario.net
Caro Signor Englaro,
Mi presento: sono Bob Schindler, il padre di Terri (Schindler) Schiavo.
Malgrado noi veniamo da due continenti diversi con differenti culture, abbiamo molte cose in comune. Entrambi siamo padri ed entrambi abbiamo avuto dallo stesso Dio il dono dei figli. Nel mio caso tre. La nascita di Sua figlia e di mia figlia Terri non sono solo accadute, sono state un atto di Dio.
Mi ricordo di quando mia figlia Terri era bambina e di come ero orgoglioso dei commenti della gente su quanto fosse carina. Fui altrettanto orgoglioso quando fece i primi passi e disse le sue prime parole. Lo stesso orgoglio mi ha accompagnato per tutta la sua adolescenza fino a quando è diventata una persona adulta.
Entrambi abbiamo una figlia che ha sofferto gravi danni cerebrali e io so molto bene quali profondi effetti questo può causare alla persona colpita e alla sua famiglia. Entrambi abbiamo fatto esperienza della stessa disgrazia e dello stesso dolore. Tuttavia, vi è una differenza. Sua figlia è ancora viva, la mia non più. Lei ha ancora il controllo sul futuro di Eluana, io non ho potuto far nulla per Terri.
Quando mia figlia Terri subì il trauma cerebrale, le promisi che le avrei fatto avere le cure appropriate. Ho fallito. Ho combattuto senza successo i tribunali e suo marito per poter intervenire nel suo trattamento e riportarla a casa. Ciò non è accaduto e oggi io sono afflitto per il mio fallimento, perché ha portato alla sua morte.
La mia famiglia e io siamo addolorati per la perdita di Terri e io in particolare lo sono per il modo in cui lei è stata messa a morte. È morta per fame e sete.
Questo tipo di morte è crudele e barbarico. I sostenitori dell’eutanasia Le diranno che far morire di fame e di sete una persona con danni cerebrali non causa dolore. Sono stato testimone di questo tipo di esecuzione e posso dire che è falso. È di gran lunga la morte più dolorosa che un essere umano possa sperimentare. Questa è la ragione per cui accade sempre nella più stretta riservatezza, al riparo di testimoni e cineprese.
Se Lei ha intenzione di fare questo a Sua figlia, Le consiglio di prepararsi a come soffrirà. Verrà ridotta a pelle e ossa. Gli occhi usciranno dalle orbite. I suoi denti diventeranno sporgenti in un modo abnorme e i suoi zigomi si ingrandiranno. Non c’è bisogno che Le dica altro, sua figlia soffrirà in un modo incredibile.
Mia figlia sembrava un detenuto di quelli che si vedono nei documentari sui campi di sterminio nazisti. Negli ultimissimi giorni della sua vita, quando chiesi che i media potessero essere testimoni della sua morte, mi fu negato. Non voglio che nessun altro muoia in questo modo.
Dio ha dato a Lei e a me la responsabilità di insegnare principi morali ai nostri figli e di tenerli fuori dalla cattiva strada. Far morire di fame e di sete Sua figlia è lontano da ciò che Dio desidera.
Bob Schindler Sr
ELUANA/ 2. Olivetti (costituzionalista): la scelta di Napolitano è solo politica e di parte - Marco Olivetti - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Il rifiuto del Presidente della Repubblica Napolitano di firmare – venerdì 6 febbraio – un decreto legge predisposto dal IV governo Berlusconi, nel quale si disponeva l’obbligatorietà di garantire i trattamenti di idratazione ed alimentazione ai malati in stato vegetativo permanente, nell’attesa dell’approvazione di una legge in materia, ha riproposto la non nuova questione del rapporto fra Governo e Capo dello Stato in materia di decreti-legge.
Per comprendere il problema, occorre muovere dalla caratteristica di fondo della forma di governo italiana: quella di un regime parlamentare razionalizzato (sia pure in misura debole). In tale sistema la determinazione dell’indirizzo politico – e quindi delle scelte legislative – spetta al cosiddetto continuum fra corpo elettorale, maggioranza parlamentare e governo, con un ruolo-chiave del Presidente del Consiglio all’interno di quest’ultimo. Ciò non vuol dire che non esistano contropoteri, sia interni alla forma di governo (il Presidente della Repubblica anzitutto, ma anche le minoranze parlamentari), sia esterni ad essa (la Corte costituzionale, la magistratura, e più in generale la società civile). Nel nostro sistema parlamentare questo assetto di fondo è stato a lungo segnato dalla debolezza degli esecutivi, causata dalla frammentazione delle coalizioni che li sostenevano. Una debolezza, peraltro, che appare in buona misura consegnata al passato, almeno per quanto riguarda l’attuale governo.
Fra gli strumenti per attuare il proprio indirizzo politico di cui un governo dispone, la nostra Costituzione prevede i decreti-legge. E’ noto che i costituenti immaginavano un uso raro ed estremo di tale istituto e lo hanno per questo circondato di varie cautele, previste nell’art. 77, fra le quali la decadenza ab origine in caso di mancata conversione in legge entro sessanta giorni dall’emanazione. La Costituzione è tuttavia chiara nel precisare che le scelte in materia di decreti legge spettano al Governo e al governo soltanto: essi sono adottati “sotto la sua responsabilità”. Al Capo dello Stato spetta solo il potere di emanarli, dopo che essi sono stati deliberati dal Consiglio dei Ministri. Ma in che cosa consiste tale potere di emanazione? Si traduce esso in un potere di controllo che può mettere capo ad un rifiuto di emanare un decreto legge deliberato dal Consiglio dei Ministri?
Giustamente, nei giorni scorsi, si è sottolineato da più parti che il Presidente della Repubblica non è un “passacarte”. Il momento dell’emanazione introduce infatti una preziosa risorsa nel procedimento di formazione del decreto-legge (nonché del decreto legislativo delegato e del regolamento governativo). Esso offre al Presidente della Repubblica l’opportunità di formulare al Governo una serie di rilievi circa il contenuto del decreto e riguardo alla sussistenza dei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza. Tali rilievi vanno formulati anzitutto in via riservata, e possono – a nostro avviso – essere proposti anche preventivamente alla delibera del Consiglio dei Ministri, nel contesto di un dialogo fra governo e Capo dello Stato che è necessario in un regime parlamentare. C’è di più: il Presidente della Repubblica può spingersi a chiedere al governo di riconsiderare un decreto da esso già deliberato e di sottoporglielo di nuovo e può rendere pubblica la propria posizione, chiamando l’opinione pubblica a sostegno della sua tesi. Ed in effetti vi è una serie di precedenti in questo senso, in alcuni dei quali il governo in carica pro tempore ha accolto i rilievi presidenziali o ritirato il decreto (si pensi al decreto Conso su Tangentopoli, che il governo Amato non ripresentò al Presidente Scalfaro dopo un invito di questi a riconsiderarlo).
Se tutto ciò è vero – e conferma che il Presidente non è affatto un passacarte – appare invece da escludere che egli possa rifiutare in via assoluta di firmare un decreto legge deliberato dal Consiglio dei Ministri (eventualmente dopo che tale organo abbia preso atto dei rilievi presidenziali): e mi pare manchino nella nostra esperienza costituzionale precedenti di questo tipo: i precedenti citati da Napolitano per giustificare il suo rifiuto di firmare rientrano piuttosto fra gli inviti a riconsiderare il decreto, che vennero accolti dai governi in carica.
L’eventualità, invece, di un rifiuto assoluto di emanazione dovrebbe essere ristretta ad ipotesi-limite, consistenti in un vero e proprio attentato alla Costituzione, mirando a mutarne la forma di governo, o in una lesione irreparabile dei diritti fondamentali. Per altri casi di sospetta incostituzionalità del decreto legge (a prescindere dalla legittimità di un tale dubbio, che nel caso dello scontro fra Berlusconi e Napolitano, a nostro avviso, non sussiste) l’ordinamento prevede infatti appositi rimedi, che vanno dal controllo parlamentare in sede di conversione del decreto in legge al giudizio di costituzionalità, e prima ancora, alla interpretazione (non necessariamente “creativa”) del decreto stesso da parte dei giudici in sede di applicazione concreta di esso.
E’ bene, dunque, riflettere pacatamente sul caso verificatosi venerdì 6 febbraio: in esso vi è un vulnus alla Costituzione che consiste in un ingiustificato ed abusivo esercizio delle prerogative presidenziali in sede di emanazione di un decreto-legge. Un vulnus di cui qualcuno potrebbe un giorno pentirsi, magari a cariche istituzionali invertite.
In questa occasione, il Presidente Napolitano ha fatto un uso quantomeno scorretto dei poteri che la Carta costituzionale gli attribuisce: un uso che contrasta sia con l’interpretazione letterale della Costituzione, sia con la logica (il regime parlamentare) che la ispira e la sorregge. Ciò vale indipendentemente dalle motivazioni addotte dal capo dello Stato circa una presunta illegittimità costituzionale del decreto legge: quest’ultima, infatti, non sussiste, ma, anche ove esistesse, la Carta costituzionale non attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di decidere in maniera vincolante su di essa, con le sole eccezioni sopra ricordate.
La scelta di Napolitano va restituita alla sua essenza specifica: quella di un atto politico, ideologicamente partigiano, e non a funzioni di garanzia della Costituzione. La quale non è certo “sovietica”, come si è inopportunamente sbilanciato a dire ieri il Presidente del Consiglio, anche se qualche ombra sovietica aleggia su taluni suoi interpreti o sedicenti garanti.
SOCIETÀ/ Quella sottile dinamica che ha portato all’abbandono della Chiesa - INT. Giuseppe Reguzzoni - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Che il nostro mondo sia definito dalla «secolarizzazione», cioè dalla «emancipazione dalla simbiosi con il fatto cristiano» sembra ormai un luogo comune. Ma cosa significa esattamente secolarizzazione?
Quella di secolarizzazione è una delle categorie più complesse e più equivoche oggi in uso per definire il rapporto tra il Sacro e la società. Nell’uso comune il termine ha una valenza metaforica. Del resto il suo primo significato, mutuato dalla storia del diritto canonico, indica il passaggio allo stato laicale di un chierico. Quindi, la secolarizzazione ha a che fare con una storia vissuta, ma non sempre o non pienamente riconosciuta, con qualcosa di cui si dovrebbe rendere conto, ma che si cerca invece di rimuovere. Su questo hanno ragione Donoso Cortés e Carl Schmitt: tutti i moderni concetti della dottrina dello stato sono concetti teologici secolarizzati, rispetto ai quali, diceva Guardini, l’età moderna si pone con slealtà, non ammettendo la propria origine, rifiutandosi di fare i conti con essa. Di per sé la secolarizzazione è un processo storico e sociale, che sarebbe opportuno distinguere dal secolarismo, che è la lotta aperta e ideologica contro il Cristianesimo portata avanti da partiti, lobbies o gruppi di potere.
Nella sua ricerca lei sottolinea che la secolarizzazione ha una valenza culturale ed una seconda istituzionale. Cosa si intende esattamente?
Sul piano tecnico, nella storia delle istituzioni, la parola secolarizzazione per lungo tempo ha indicato principalmente il processo di soppressione e confisca dei beni ecclesiastici da parte delle istituzioni statali. In questo senso, già prima della Riforma protestante c’erano state “secolarizzazioni” di monasteri o di proprietà ecclesiastiche, senza che questo mettesse in dubbio l’esistenza della “cristianità”, cioè di una società europea di cui il Cristianesimo era il sostrato comune; ma è soprattutto dopo la Riforma e, in seguito, in epoca illuministica, che le “secolarizzazioni” divengono una prassi quasi comune, con la punta massima delle soppressioni napoleoniche e che, soprattutto, acquistano il significato di lotta contro l’identità cristiana dell’Europa, venendo in gran parte a coincidere con ciò che comunemente si chiama “secolarismo”.
Dal punto di vista culturale, anche prescindendo dalle forme più radicali di questo fenomeno, la secolarizzazione si presenta come una neutralizzazione, il tentativo di rendere inoffensivo e accettabile per tutti qualcosa che prima era sentito come di parte e conflittuale. Rispetto a una situazione di scontro, si pensi ai cosiddetti conflitti di religione, si va a cercare qualcosa che sia “neutro”, né da una parte né dall’altra, su cui si possa costruire la convivenza civile. La storia istituzionale dello stato moderno è in gran parte storia di neutralizzazione e secolarizzazione. Solo che, sul piano culturale, di neutralizzazione in neutralizzazione si arriva al predominio assoluto della tecnica e, soprattutto all’incapacità di scoprire dei valori comuni condivisi e aggreganti, salvo quella poltiglia incolore utile ai potenti di turno che è il “politicamente corretto”.
Il dibattito sul «ruolo sociale» della religione cristiana è oggi di estrema attualità. In base alla sua ricerca come lo valuta?
Sul piano storico e sociale la “neutralizzazione” è un fenomeno necessariamente parziale e a tratti anche contraddittorio, si pensi anche solo al ruolo simbolico del calendario cristiano e alla percezione del tempo che esso implica. A furia di “neutralizzare”, non ci si trova in mano più nulla. Oltre al livello della presenza e della testimonianza personale e comunitaria, in un contesto di laicità positiva il “ruolo sociale” della religione cristiana consiste nel generare valori “pre-politici”, nel senso di valori intorno a cui la “polis”, la comunità sociale possa riconoscersi. Credo che proprio qui stia il senso ultimo e più vero della “laicità positiva” che emerge, per esempio, dal dialogo tra Habermas e l’allora card. Ratzinger. Gran parte delle battaglie etiche portate avanti dalle chiese e comunità cristiane in Europa in realtà sono battaglie per valori semplicemente umani.
Un capitolo del suo studio è dedicato a Ernst-Wolfgang Böckenförde, che è stato citato anche da Benedetto XVI. Potrebbe spiegare la posizione di questo autore?
Ernst- Wolfgang Böckenförde non è solo uno storico del diritto; come membro della corte costituzionale tedesca si è occupato delle numerose contraddizioni insite nella nozione di stato “neutrale” (come la questione del velo islamico). La sua è una posizione di “laicità positiva”, che prende le mosse dalla tesi per cui lo stato moderno, secolarizzato e liberale, vive di presupposti che non è in grado di garantire. Si tratta di una posizione fortemente critica, che muove da domande drammatiche: di che cosa vive lo stato? Come difendere la nostra libertà dall’uso improprio di chi vuole usare le nostre leggi democratiche per minare la democrazia? In che senso la democrazia, la libertà, sono “valori”?
L’altro aspetto ha a che fare con quello che prima abbiamo chiamato il significato istituzionale della secolarizzazione, dunque con la domanda circa la permanenza di un residuo cristiano nella definizione delle istituzioni su cui tale stato si fonda. Questa riflessione ha portato Böckenförde a firmare il manifesto dei giuristi tedeschi per l’inserimento delle radici cristiane nel preambolo della costituzione europea, con il conseguente abbandono della tesi della neutralità assoluta.
SCUOLA/ Ora di religione: un'occasione troppo spesso sprecata... - Giovanni Cominelli - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Dal 1984 la formula che regola l’insegnamento della religione cattolica è la seguente: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado». I Nuovi programmi dell’IRC (Insegnamento della Religione Cattolica) precisano, all’art. 2: «Con riguardo al particolare momento di vita degli studenti e in vista del loro inserimento nel mondo del lavoro e civile, l'IRC offre contenuti e strumenti specifici per una lettura della realtà storico - culturale in cui essi vivono; viene incontro ad esigenze di verità e di ricerca del senso della vita, contribuisce alla formazione della coscienza morale e offre elementi per scelte consapevoli e responsabili di fronte al problema religioso». Da allora l’insegnamento non è più obbligatorio, come invece previsto dal Concordato del 1929: le famiglie e i loro ragazzi possono decidere di avvalersi o non avvalersi. Nell’anno scolastico 2008/09 il 91,8% dei ragazzi ha deciso di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. Ora, si avvicina la data delle iscrizioni all’anno scolastico 2009-10. E’ piuttosto probabile che la percentuale, ancorché in lenta diminuzione da anni, si mantenga alta. Ma la data invita a qualche riflessione ad alta voce, non trionfalistica. Infatti l’osservazione empirica propone almeno due constatazioni: l’ignoranza diffusa e crescente della storia del Cristianesimo e della Chiesa nella società italiana e tra i ragazzi; la riduzione dell’ora di religione a un’ora di etica o di psicologia applicata. Forse esiste tra i due fatti una qualche correlazione. In mezzo sta l’interrogativo sulla preparazione culturale degli insegnanti di religione.
Vero è che l’insegnamento della religione non è una catechesi, non si propone la conversione cristiana degli alunni. Da un tale insegnamento ci si attende semplicemente, ma essenzialmente che la domanda di senso dell’esistenza venga allo scoperto nei ragazzi e venga radicata in una cultura e in una storia. Se la domanda religiosa è ontologicamente fondata, l’insegnamento della religione le dovrebbe offrire l’ancoraggio storico, la strumentazione culturale, una mappa di ricerca. Dalla domanda religiosa alla storicità del Cristianesimo alla sua valenza civile e culturale nell’Europa di oggi il passo non è né spontaneo né breve. La civiltà secolarizzata, la “morte di Dio”, i progetti di onnipotenza che hanno devastato l’umanità del ’900 hanno ottuso quella domanda. Diversamente che nel 1929, anno del Concordato, oggi i credenti sono minoranza: perciò farle strada e darle voce richiede di andare controcorrente. I singoli e la vita pubblica hanno bisogno che il senso religioso sia tenuto aperto, perché esso fornisce all’azione individuale e storica la percezione del limite, è un ostacolo al dispiegarsi della ubris umana, all’istinto di onnipotenza sul mondo. Tenerlo aperto nella scuola pubblica vuol dire raccontarne la storia lungo la freccia del tempo: vuol dire parlare del Cristo storico, del Cristianesimo, della Chiesa. Viceversa, all’ora di religione viene chiesta “una prestazione” di tipo diverso dal senso comune e dal potere politico “democratico”: quella di fornire elementi di etica pubblica, di etica della cittadinanza, persino di educazione sessuale. L’impressione, del tutto “nasometrica” e perciò da verificare con metodi scientifici più attendibili, è che spesso gli insegnanti di religione finiscano per (ac-)cedere a questo livello. Così l’ora di religione si trasforma in discussione sociologica o politica o psicologica. Nei sistemi educativi europei, compreso quello italiano, all’urgenza di fondare l’etica pubblica su qualcosa di saldo, dentro una società che non ha più Dio quale fondamento degli obblighi morali, si viene rispondendo rendendo obbligatoria l’ora di etica o di cittadinanza. Il penultimo caso è quello italiano, l’ultimo caso è quello del Land di Berlino, che rende obbligatoria l’ora di etica per tutti e facoltativa quella di religione. Quali che siano i contenuti dell’etica pubblica, una cosa è certa: l’ora di religione ha un altro scopo. A chi decide di avvalersene, non è opportuno fornire dei surrogati.
1) 09/02/2009 7.57.50 Radio Vaticana – Englaro: in Parlamento al via l’iter per il nuovo disegno di legge. La donna sedata
2) Alcune precisazioni circa la vicenda di Eluana Englaro - di Alessandro Bassi Luciani - Docente di Medicina Legale al dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Pisa
3) 9.2.2009 – IRAN - Mohammad Khatami alle elezioni presidenziali contro Ahmadinejad - È il leader islamico più aperto, fautore di un “dialogo fra le civiltà” e di maggiore libertà verso le donne. La disastrosa situazione economica del Paese potrebbe favorirlo. Fra gli elementi negativi: il controllo sociale degli ayatollah e la disillusione dei suoi antichi amici che ricordano la sua poca decisione nell’attuare le riforme durante i suoi precedenti mandati.
4) ELUANA/ 1. L'appello del padre di Terri Schiavo a Beppino Englaro - Redazione - lunedì 9 febbraio 2009 - Pubblichiamo in esclusiva la lettera aperta che Bob Schindler senior, padre di Terri Schindler Schiavo, ha indirizzato attraverso ilsussidiario.net a Beppino Englaro, il padre di Eluana – ilsussidiario.net
5) ELUANA/ 2. Olivetti (costituzionalista): la scelta di Napolitano è solo politica e di parte - Marco Olivetti - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
6) SOCIETÀ/ Quella sottile dinamica che ha portato all’abbandono della Chiesa - INT. Giuseppe Reguzzoni - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
7) SCUOLA/ Ora di religione: un'occasione troppo spesso sprecata... - Giovanni Cominelli - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
09/02/2009 7.57.50 Radio Vaticana – Englaro: in Parlamento al via l’iter per il nuovo disegno di legge. La donna sedata
Italia. In primo piano il caso di Eluana Englaro, la donna italiana da 17 anni in stato vegetativo e ricoverata dalla scorsa settimana alla clinica La Quiete di Udine. Eluana è stazionaria e sedata, dopo la sospensione di idratazione e nutrizione. Mentre si indaga su irregolarità nella degenza, il dibattito politico si sposta ora in Senato e alla Camera. La Santa Sede ha manifestato vivo apprezzamento per l’accelerazione data dal Parlamento all’approvazione del disegno di legge.
Tra i numerosi esposti al vaglio dei giudici di Udine che chiedono la sospensione del protocollo e il rapido ripristino della nutrizione per Eluana, prima dell'insorgere di danni irreveribili, Alessandro Guarasci ha sentito il prof. Gianluigi Gigli
R. - Al di là di un ragionevole tempo di attesa - che nessuno sa quanto sia esattamente, ma certamente non va oltre pochi giorni - il processo di disidratazione e di denutrizione che è in atto, e che sappiamo essere stato addirittura accelerato rispetto a quanto previsto, potrebbe portare il cervello di Eluana a subire un ulteriore oltraggio.
D. - Voi avete presentato un esposto in merito al protocollo che si sta applicando nella clinica La Quiete di Udine. Su che cosa è basato?
R. - Un esposto tendente a dimostrare la non corrispondenza tra il protocollo seguito per la morte di Eluana nella clinica La Quiete e quanto previsto dalla Corte di Cassazione, prima, e dalla Corte di Appello di Milano. Esse avevano, sì, parlato di sospendere la nutrizione e l’idratazione cosiddette artificiali, ma non di togliere tout court ogni possibilità di alimentazione e di idratazione alla paziente, altrimenti, se questo fosse stato vero, voleva dire che la Corte di Cassazione avrebbe per sua natura imposto una legislazione eutanasica in Italia.
D. - Professore, non ritiene che alcuni mezzi di comunicazione abbiano voluto far passare l’impressione, sbagliata, che su Eluana si stia facendo accanimento terapeutico?
R. - Che non si tratti di accanimento terapeutico lo ha stabilito una volta per tutte proprio questa sentenza della Cassazione, la quale nell’ottobre 2007 ha scritto nero su bianco che nel caso di specie non siamo in presenza di accanimento terapeutico e che si tratta piuttosto di cure proporzionate.
D. - Bisognerà cominciare a parlare in Italia, secondo lei, di un’adeguata legge sul fine vita che escluda la sospensione di idratazione ed alimentazione?
R. - Questo è lo sforzo che stanno cercando di fare alcuni volenterosi parlamentari. Ci auguriamo che esso arrivi presto, arrivi in tempo. Ora, dobbiamo correre perché ci sia una sospensiva a quanto sta accadendo: una sospensiva prima che si verifichino ulteriori e irreparabili danni. Bisogna evitare che Eluana diventi l’unica disabile italiana messa a morte per una sentenza.
La vicenda di Eluana Englaro riporta alla memoria quella di Luca De Nigris, il ragazzo sedicenne che - undici anni fa - si è spento dopo 8 mesi di coma e stato vegetativo, in seguito a un intervento chirurgico. Grazie a lui è nata l’associazione Amici di Luca ed è stata costruita la Casa dei Risvegli, un centro pubblico innovativo di assistenza e ricerca per giovani e adulti che si trovano nelle stesse condizioni. Nella struttura, la famiglia viene accompagnata nel lungo percorso della riabilitazione e del reinserimento sociale. Per non lasciare sole le persone in coma e chi, insieme con loro, vive questa dolorosa esperienza. Eliana Astorri ha raccolto la testimonianza di Fulvio De Nigris, direttore del Centro Studi per la ricerca sul coma “Gli amici di Luca” e padre del giovane
R. - Quando tutto sembrava che stesse andando per il meglio, purtroppo Luca una mattina non si sveglia più, e quindi al dolore comprensibile dei genitori - e quindi un dolore privato - si unì il desiderio di continuare quello che Luca ci aveva fatto capire: cioè, che si poteva essere vicini a queste persone, di creare in Italia una struttura che allora non esisteva e che oggi è questo centro-pilota, la "Casa dei Risvegli Luca De Nigris". Si tratta di un centro pubblico, che è diventato un po’ un simbolo di quello che è possibile fare per le persone che convivono con la malattia - alle quali sembra che sia tutto negato e che invece hanno grandi possibilità di recupero - compreso l'essere accompagnati poi nella vita e quindi a domicilio o in altre strutture. Dal 2005, in questa struttura hanno ricoverato una sessantina di persone e l’80% di queste persone sono tornate a casa con un buon - a volte ottimo - grado di autosufficienza. Ciò che ci conforta è il fatto che tale percorso - legato non solo agli aspetti sanitari, ma anche al volontariato, alla famiglia, a quanti vogliono accompagnare queste persone e dedicare il loro tempo nel loro tragitto - sia un progetto estremamente positivo, che dà valore anche alle storie di queste persone: storie molto spesso difficili, molto spesso dolorose.
D. - Cosa differenzia lo stato di coma da quello vegetativo?
R. – Il coma dura poche settimane. Poi, quando si aprono gli occhi, si parla di stato vegetativo, che è uno stato che può essere molto vario, può essere di minima coscienza.
D. - Quindi c’è un’attenzione all’esterno, comunque?
R. - Sì. Non in tutti i casi, però sicuramente c’è, molto spesso, un contatto con l’esterno e una possibilità, poi, di ripresa. Oggi, tutti quanti i medici tendono a dire che non esiste più lo stato vegetativo permanente, ma si dice "persistente", perché si è visto che nel corso degli anni - anche di lunghi anni - la persona che ne è colpita comunque modifica il suo rapporto con l’ambiente, e lo modifica in maniera positiva. Certamente, i risultati a volte sono molto piccoli: ma credetemi, per le famiglie sono dei grandi passi avanti rispetto a come la persona era partita.
D. - Quali sono le difficoltà pratiche di una famiglia che per lungo tempo si prende cura di una persona in stato vegetativo?
R. - Innanzitutto, ci vuole un grande sostegno psicologico, perché i primi tempi sono molto duri e la famiglia rischia di disgregarsi. Il secondo aspetto è cercare di essere sempre dentro alla vita quotidiana del problema, cercando di non fare gli infermieri, ma di essere familiari via via più esperti che accompagnano il malato in questo lungo cammino. E poi ci sono anche gli aspetti economici: noi non dobbiamo lasciar sole le famiglie, bisogna che loro sentano che c’è un percorso, che c’è un sistema, che c’è una strategia d’intervento e che ciò che loro fanno è comunque condiviso da altri.(Montaggio a cura di Maria Brigini)
Alcune precisazioni circa la vicenda di Eluana Englaro - di Alessandro Bassi Luciani - Docente di Medicina Legale al dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Pisa
ROMA, domenica, 8 febbraio 2009 (ZENIT.org).- In merito alla tragica vicenda di Eluana Englaro, ritengo di dover fare alcune sintetiche riflessioni e precisazioni: ciò perché, in particolare in questi ultimi giorni, sono comparsi articoli e lettere sia su quotidiani che diffusi per e-mail da parte di molte persone, alcune delle quali si dichiarano cattoliche e che hanno - almeno in passato - avuto un apprezzabile ruolo anche nella nostra Diocesi; articoli e lettere che sono infarciti di errori non solo sul piano antropologico-culturale e cristiano, ma anche tecnico.
E queste precisazioni le faccio come uomo e come medico, prima ancora che come cristiano, poiché le leggi in uno Stato laico non sono né cattoliche né cristiane: sono leggi, che possono recepire l'orientamento di fede dei cittadini, ma non dipendono da questa.
1) Richiesta di pietoso silenzio: il silenzio non può calare ora, dopo che proprio la famiglia Englaro, al fine di acquisire consensi alla sua tesi, ha per anni coinvolto l'opinione pubblica, i mass-media e le autorità (sanitarie, politiche, magistratura, ecc.) proprio al fine di rendere "pubblico" il caso di Eluana, che io "scoprii" una decina di anni fa in occasione di un dibattito - di fatto a senso unico - organizzato da una ASL toscana con gli Englaro.
2) È del tutto legittimo non con dividere decisione della Magistratura, perché è politica e non giuridica (si ricordi che quella della Corte di Appello di Milano non è una sentenza, ma solo un decreto).
3) Come medico legale posso affermare che stupisce non poco che i magistrati milanesi possano aver emesso un decreto di questa portata senza far sottoporre la Englaro a perizia medico-legale, ma solo basandosi su certificazione di parte, ovvero prodotta solo dalla famiglia. Normalmente decisioni in merito alla salute delle persone (ad esempio in casi di compatibilità o meno tra salute e regime di detenzione) vengono prese dopo perizia medico-legale disposta dall'Ufficio.
4) Il Ministro Maurizio Sacconi, come la On. Eugenia Roccella, non hanno ricattato nessuno: si limitano a ribadire quali sono i compiti del Ministero della Salute.
5) Come uomo, mi pongo anche io degli interrogativi quando vengono date "certe risposte etiche", e non da ora, ma ormai da 35 anni (iniziai a dubitare della giustezza etica, e del comportamento e della incoerenza di tante persone che si dichiarano cattoliche), quando furono promulgate leggi che non rispettano l'uomo, prima fra tutte quella relativa all'aborto.
6) Eluana Englaro non è in agonia: come si può leggere su qualunque vocabolario, il termine "agonia" ha altro significato: è la condizione di lenta ed inesorabile diminuzione delle forze vitali che precede la morte; una "agonia" di 17 anni è di per sé una contraddizione! Se si attribuiscono nuovi significati alle parole esistenti, si torna alla babele (non mancano recenti esempi eclatanti). Inoltre la condizione di Eluana non è "dolorosa" per lei, poiché non ha sofferenze fisiche, non abbisognando di alcun farmaco che abbatta il dolore e che invece, per paradosso, le verrebbe somministrato al momento in cui dovesse essere costretta alla morte per inanizione e disidratazione, proprio per evitarle sofferenze fisiche (si pensi all'ipocrisia di umettare le mucose, perché altrimenti si screpolerebbero!). E se vuole attribuire il termine "dolorosa" alla sofferenza della psiche per la sua condizione, vorrebbe dire che la donna percepisce la sua condizione, ovvero che è consapevole! Senza dubbio la sua condizione è dolorosa per molti, anche se non sembra lo sia per tutti: certamente lo è per chi chiede che possa continuare a vivere.
7) Eluana non è sottoposta ad alcun accanimento, il quale, per essere tale, necessiterebbe di terapie mediche che, invece, non vengono eseguite semplicemente perché non ne ha bisogno (non va dimenticato che quando, pochi mesi fa, ebbe una grave emorragia che la portò, questa sì, vicina alla morte, a causa della ripresa del ciclo ovario - segno di inizio di regolarizzazione della sue funzioni fisiologiche? - non fu attuata nessuna terapia, né medica, né farmacologica, né trasfusionale (e da quella emergenza si riprese spontaneamente con una incredibile rapidità).
8) È invece vero che non vi è niente di terapeutico, poiché non sono "terapeutiche" le pratiche igieniche che le vengono praticate, né lo sono le passeggiate, in carrozzina, che le fanno fare le persone che la accudiscono.
9) L'alimentazione che viene somministrata ad Eluana non è né artificiale - poiché viene nutrita per bocca, con cibi fluidi e calibrati, tramite un sondino naso-gastrico che viene frequentemente rimosso (credo dopo ogni pasto) e non tramite stomia addomino-gastrica "PEG" - né forzata: se vogliamo dare il giusto significato alle parole, per evitare la babele di cui sopra, l'alimentazione è semplicemente "assistita".
10) Si legge sulla stampa che Eluana "ha espresso i suoi desideri ... in piena lucidità", ma questo non corrisponde certo al concetto di "consenso informato" che, in forza all'art. 32 della Costituzione, è alla base di ogni trattamento sanitario, sia accettato che rifiutato. Come medico legale dedico, in tutti i corsi in cui insegno, più ore di lezione per spiegare il significato del consenso informato, e ciò non come cristiano, ma solo ed esclusivamente come docente universitario, medico specializzato in medicina legale. Il consenso informato è qualche cosa di diverso rispetto al desiderio espresso in piena lucidità perché richiede una ben diversa informazione, e, soprattutto, un coinvolgimento personale che non può basarsi sull'aver saputo (od anche visto? le notizie della stampa non mi sembrano essere state esaustive in proposito) della compromissione neurologica di un amico che, credo, fosse in stato di "coma", e non in condizione di stato vegetativo persistente.
11) Negli ultimi tempi è stato sempre più adottato il termine di stato vegetativo permanente, devo ricordare che questa definizione è errata, poiché, in medicina, è permanente ciò di cui si sa non possa più guarire (ovvero irreversibile), mentre la condizione delle persone come Eluana è stato vegetativo persistente: non è una differenza da poco, se si riflette bene. Di fatto, continuare ad utilizzare l'aggettivo permanente significa rifarsi a letteratura scientifica ormai obsoleta che è ritenuta da molti antiscientifica e che, non solo in questo caso, può svelare un certo pregiudizio ideologico. Anche in questo caso, la babele del mass-media ha le sue responsabilità.
12) Ovviamente la drammaticità del caso Englaro, e delle altre centinaia e centinaia che sono presenti in Italia, non si esaurisce qui. Quello che dovremmo cercare di fare, anzi "battagliare" (nel senso più pacifico del termine), è di promuovere una sempre maggiore accoglienza verso questi fratelli (o meglio, cittadini, per evitare di essere negativamente etichettati come cristiani) che versano in condizioni così difficili. È ovvio che ciò ha un costo, e sembra che alcuni (o tanti, ma non certamente tutti) portino avanti questa "battaglia" per far morire di inanizione l'Englaro per scopi tutt'altro di etica, ma più semplicemente per scopi di bilancio. Ma se, per motivi economici, diventa "eticamente accettabile" sopprimere un invalido come Eluana, fra non molto potrebbe essere "eticamente accettabile" sopprimere anche chi ha minori invalidità, ma comunque non produce più per la società, e, chissà, si potrebbe forse arrivare, con sollievo per i bilanci della Sanità, a fare anche qualche pensierino sui tanti pensionati non più produttivi che, seriamente ammalati, sono abbisognevoli di costanti, costose e lunghe terapie. E questa non è una stupida o riprovevole ironia: fatta la strada, questa procede, con gli anni, ma procede: se ne può essere certi. Lo insegnano le precedenti esperienze: nella storia e ai nostri giorni (vedi la costante eliminazione nel grembo delle madri dei bambini Down e talassemici, che "costano" alla società somme ingenti).
13) Le preghiere, come ci insegna il Vangelo, possono anche essere pubbliche, specie quando "pubblico" è l'oggetto della preghiera e, comunque, scrivere che sono "strombazzate" è un'offesa al concetto di preghiera cristiana.
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* Docente di Medicina Legale al dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Pisa
9.2.2009 – IRAN - Mohammad Khatami alle elezioni presidenziali contro Ahmadinejad - È il leader islamico più aperto, fautore di un “dialogo fra le civiltà” e di maggiore libertà verso le donne. La disastrosa situazione economica del Paese potrebbe favorirlo. Fra gli elementi negativi: il controllo sociale degli ayatollah e la disillusione dei suoi antichi amici che ricordano la sua poca decisione nell’attuare le riforme durante i suoi precedenti mandati.
Teheran (AsiaNews/Agenzie) – Mohammad Khatami, ex presidente dell’Iran, ha deciso di partecipare alle elezioni presidenziali che si terranno nel paese il prossimo 12 giugno. Khatami è stato presidente dal 1997 al 2005 e rappresenta un Iran moderato e aperto alla comunità internazionale. Durante il suo doppio mandato il puritanesimo degli ayatollah è stato mitigato e anche i media sono divenuti più aperti. Sebbene vi fossero ancora le regole islamiche del vestire, molte donne hanno cominciato a usare non solo il nero, il marrone e l’azzurro, ma anche altri colori e altre forme di abito.
Ahmadinejad ha lanciato varie volte un ritorno alla purità islamica, sebbene vi sia sempre più resistenza soprattutto fra i giovani. Molti giornali sono stati chiusi.
Khatami è fautore di un “dialogo fra le civiltà”; ha espresso solidarietà agli Stati Uniti per l’11 settembre 2001 ed è stato fra i pochi leader islamici a non criticare Benedetto XVI per il suo discorso di Regensburg.
Nella sua campagna, Khatami ha detto che vuole che la ricchezza del paese sia diffusa anche fra tutte le fasce della popolazione. Nella situazione attuale, le sanzioni contro l’Iran e il suo programma nucleare, le cattive relazioni con la comunità internazionale e il controllo sull’economia da parte di ayatollah e conservatori ha determinato un’inflazione del 30% e una diffusa povertà, pur essendo il Paese fra i massimi produttori di petrolio.
Khatami ha sottolineato che è necessario che le elezioni siano “libere” e che tutti possano esprimere il loro voto. Le difficoltà che si presentano per la sua elezioni sono dovute in parte al controllo sociale esercitato dagli ayatollah e dai conservatori, in parte alla disillusione di molti suoi sostenitori, che lo hanno criticato in passato per non operare con decisione e celerità l
ELUANA/ 1. L'appello del padre di Terri Schiavo a Beppino Englaro - Redazione - lunedì 9 febbraio 2009 - Pubblichiamo in esclusiva la lettera aperta che Bob Schindler senior, padre di Terri Schindler Schiavo, ha indirizzato attraverso ilsussidiario.net a Beppino Englaro, il padre di Eluana – ilsussidiario.net
Caro Signor Englaro,
Mi presento: sono Bob Schindler, il padre di Terri (Schindler) Schiavo.
Malgrado noi veniamo da due continenti diversi con differenti culture, abbiamo molte cose in comune. Entrambi siamo padri ed entrambi abbiamo avuto dallo stesso Dio il dono dei figli. Nel mio caso tre. La nascita di Sua figlia e di mia figlia Terri non sono solo accadute, sono state un atto di Dio.
Mi ricordo di quando mia figlia Terri era bambina e di come ero orgoglioso dei commenti della gente su quanto fosse carina. Fui altrettanto orgoglioso quando fece i primi passi e disse le sue prime parole. Lo stesso orgoglio mi ha accompagnato per tutta la sua adolescenza fino a quando è diventata una persona adulta.
Entrambi abbiamo una figlia che ha sofferto gravi danni cerebrali e io so molto bene quali profondi effetti questo può causare alla persona colpita e alla sua famiglia. Entrambi abbiamo fatto esperienza della stessa disgrazia e dello stesso dolore. Tuttavia, vi è una differenza. Sua figlia è ancora viva, la mia non più. Lei ha ancora il controllo sul futuro di Eluana, io non ho potuto far nulla per Terri.
Quando mia figlia Terri subì il trauma cerebrale, le promisi che le avrei fatto avere le cure appropriate. Ho fallito. Ho combattuto senza successo i tribunali e suo marito per poter intervenire nel suo trattamento e riportarla a casa. Ciò non è accaduto e oggi io sono afflitto per il mio fallimento, perché ha portato alla sua morte.
La mia famiglia e io siamo addolorati per la perdita di Terri e io in particolare lo sono per il modo in cui lei è stata messa a morte. È morta per fame e sete.
Questo tipo di morte è crudele e barbarico. I sostenitori dell’eutanasia Le diranno che far morire di fame e di sete una persona con danni cerebrali non causa dolore. Sono stato testimone di questo tipo di esecuzione e posso dire che è falso. È di gran lunga la morte più dolorosa che un essere umano possa sperimentare. Questa è la ragione per cui accade sempre nella più stretta riservatezza, al riparo di testimoni e cineprese.
Se Lei ha intenzione di fare questo a Sua figlia, Le consiglio di prepararsi a come soffrirà. Verrà ridotta a pelle e ossa. Gli occhi usciranno dalle orbite. I suoi denti diventeranno sporgenti in un modo abnorme e i suoi zigomi si ingrandiranno. Non c’è bisogno che Le dica altro, sua figlia soffrirà in un modo incredibile.
Mia figlia sembrava un detenuto di quelli che si vedono nei documentari sui campi di sterminio nazisti. Negli ultimissimi giorni della sua vita, quando chiesi che i media potessero essere testimoni della sua morte, mi fu negato. Non voglio che nessun altro muoia in questo modo.
Dio ha dato a Lei e a me la responsabilità di insegnare principi morali ai nostri figli e di tenerli fuori dalla cattiva strada. Far morire di fame e di sete Sua figlia è lontano da ciò che Dio desidera.
Bob Schindler Sr
ELUANA/ 2. Olivetti (costituzionalista): la scelta di Napolitano è solo politica e di parte - Marco Olivetti - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Il rifiuto del Presidente della Repubblica Napolitano di firmare – venerdì 6 febbraio – un decreto legge predisposto dal IV governo Berlusconi, nel quale si disponeva l’obbligatorietà di garantire i trattamenti di idratazione ed alimentazione ai malati in stato vegetativo permanente, nell’attesa dell’approvazione di una legge in materia, ha riproposto la non nuova questione del rapporto fra Governo e Capo dello Stato in materia di decreti-legge.
Per comprendere il problema, occorre muovere dalla caratteristica di fondo della forma di governo italiana: quella di un regime parlamentare razionalizzato (sia pure in misura debole). In tale sistema la determinazione dell’indirizzo politico – e quindi delle scelte legislative – spetta al cosiddetto continuum fra corpo elettorale, maggioranza parlamentare e governo, con un ruolo-chiave del Presidente del Consiglio all’interno di quest’ultimo. Ciò non vuol dire che non esistano contropoteri, sia interni alla forma di governo (il Presidente della Repubblica anzitutto, ma anche le minoranze parlamentari), sia esterni ad essa (la Corte costituzionale, la magistratura, e più in generale la società civile). Nel nostro sistema parlamentare questo assetto di fondo è stato a lungo segnato dalla debolezza degli esecutivi, causata dalla frammentazione delle coalizioni che li sostenevano. Una debolezza, peraltro, che appare in buona misura consegnata al passato, almeno per quanto riguarda l’attuale governo.
Fra gli strumenti per attuare il proprio indirizzo politico di cui un governo dispone, la nostra Costituzione prevede i decreti-legge. E’ noto che i costituenti immaginavano un uso raro ed estremo di tale istituto e lo hanno per questo circondato di varie cautele, previste nell’art. 77, fra le quali la decadenza ab origine in caso di mancata conversione in legge entro sessanta giorni dall’emanazione. La Costituzione è tuttavia chiara nel precisare che le scelte in materia di decreti legge spettano al Governo e al governo soltanto: essi sono adottati “sotto la sua responsabilità”. Al Capo dello Stato spetta solo il potere di emanarli, dopo che essi sono stati deliberati dal Consiglio dei Ministri. Ma in che cosa consiste tale potere di emanazione? Si traduce esso in un potere di controllo che può mettere capo ad un rifiuto di emanare un decreto legge deliberato dal Consiglio dei Ministri?
Giustamente, nei giorni scorsi, si è sottolineato da più parti che il Presidente della Repubblica non è un “passacarte”. Il momento dell’emanazione introduce infatti una preziosa risorsa nel procedimento di formazione del decreto-legge (nonché del decreto legislativo delegato e del regolamento governativo). Esso offre al Presidente della Repubblica l’opportunità di formulare al Governo una serie di rilievi circa il contenuto del decreto e riguardo alla sussistenza dei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza. Tali rilievi vanno formulati anzitutto in via riservata, e possono – a nostro avviso – essere proposti anche preventivamente alla delibera del Consiglio dei Ministri, nel contesto di un dialogo fra governo e Capo dello Stato che è necessario in un regime parlamentare. C’è di più: il Presidente della Repubblica può spingersi a chiedere al governo di riconsiderare un decreto da esso già deliberato e di sottoporglielo di nuovo e può rendere pubblica la propria posizione, chiamando l’opinione pubblica a sostegno della sua tesi. Ed in effetti vi è una serie di precedenti in questo senso, in alcuni dei quali il governo in carica pro tempore ha accolto i rilievi presidenziali o ritirato il decreto (si pensi al decreto Conso su Tangentopoli, che il governo Amato non ripresentò al Presidente Scalfaro dopo un invito di questi a riconsiderarlo).
Se tutto ciò è vero – e conferma che il Presidente non è affatto un passacarte – appare invece da escludere che egli possa rifiutare in via assoluta di firmare un decreto legge deliberato dal Consiglio dei Ministri (eventualmente dopo che tale organo abbia preso atto dei rilievi presidenziali): e mi pare manchino nella nostra esperienza costituzionale precedenti di questo tipo: i precedenti citati da Napolitano per giustificare il suo rifiuto di firmare rientrano piuttosto fra gli inviti a riconsiderare il decreto, che vennero accolti dai governi in carica.
L’eventualità, invece, di un rifiuto assoluto di emanazione dovrebbe essere ristretta ad ipotesi-limite, consistenti in un vero e proprio attentato alla Costituzione, mirando a mutarne la forma di governo, o in una lesione irreparabile dei diritti fondamentali. Per altri casi di sospetta incostituzionalità del decreto legge (a prescindere dalla legittimità di un tale dubbio, che nel caso dello scontro fra Berlusconi e Napolitano, a nostro avviso, non sussiste) l’ordinamento prevede infatti appositi rimedi, che vanno dal controllo parlamentare in sede di conversione del decreto in legge al giudizio di costituzionalità, e prima ancora, alla interpretazione (non necessariamente “creativa”) del decreto stesso da parte dei giudici in sede di applicazione concreta di esso.
E’ bene, dunque, riflettere pacatamente sul caso verificatosi venerdì 6 febbraio: in esso vi è un vulnus alla Costituzione che consiste in un ingiustificato ed abusivo esercizio delle prerogative presidenziali in sede di emanazione di un decreto-legge. Un vulnus di cui qualcuno potrebbe un giorno pentirsi, magari a cariche istituzionali invertite.
In questa occasione, il Presidente Napolitano ha fatto un uso quantomeno scorretto dei poteri che la Carta costituzionale gli attribuisce: un uso che contrasta sia con l’interpretazione letterale della Costituzione, sia con la logica (il regime parlamentare) che la ispira e la sorregge. Ciò vale indipendentemente dalle motivazioni addotte dal capo dello Stato circa una presunta illegittimità costituzionale del decreto legge: quest’ultima, infatti, non sussiste, ma, anche ove esistesse, la Carta costituzionale non attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di decidere in maniera vincolante su di essa, con le sole eccezioni sopra ricordate.
La scelta di Napolitano va restituita alla sua essenza specifica: quella di un atto politico, ideologicamente partigiano, e non a funzioni di garanzia della Costituzione. La quale non è certo “sovietica”, come si è inopportunamente sbilanciato a dire ieri il Presidente del Consiglio, anche se qualche ombra sovietica aleggia su taluni suoi interpreti o sedicenti garanti.
SOCIETÀ/ Quella sottile dinamica che ha portato all’abbandono della Chiesa - INT. Giuseppe Reguzzoni - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Che il nostro mondo sia definito dalla «secolarizzazione», cioè dalla «emancipazione dalla simbiosi con il fatto cristiano» sembra ormai un luogo comune. Ma cosa significa esattamente secolarizzazione?
Quella di secolarizzazione è una delle categorie più complesse e più equivoche oggi in uso per definire il rapporto tra il Sacro e la società. Nell’uso comune il termine ha una valenza metaforica. Del resto il suo primo significato, mutuato dalla storia del diritto canonico, indica il passaggio allo stato laicale di un chierico. Quindi, la secolarizzazione ha a che fare con una storia vissuta, ma non sempre o non pienamente riconosciuta, con qualcosa di cui si dovrebbe rendere conto, ma che si cerca invece di rimuovere. Su questo hanno ragione Donoso Cortés e Carl Schmitt: tutti i moderni concetti della dottrina dello stato sono concetti teologici secolarizzati, rispetto ai quali, diceva Guardini, l’età moderna si pone con slealtà, non ammettendo la propria origine, rifiutandosi di fare i conti con essa. Di per sé la secolarizzazione è un processo storico e sociale, che sarebbe opportuno distinguere dal secolarismo, che è la lotta aperta e ideologica contro il Cristianesimo portata avanti da partiti, lobbies o gruppi di potere.
Nella sua ricerca lei sottolinea che la secolarizzazione ha una valenza culturale ed una seconda istituzionale. Cosa si intende esattamente?
Sul piano tecnico, nella storia delle istituzioni, la parola secolarizzazione per lungo tempo ha indicato principalmente il processo di soppressione e confisca dei beni ecclesiastici da parte delle istituzioni statali. In questo senso, già prima della Riforma protestante c’erano state “secolarizzazioni” di monasteri o di proprietà ecclesiastiche, senza che questo mettesse in dubbio l’esistenza della “cristianità”, cioè di una società europea di cui il Cristianesimo era il sostrato comune; ma è soprattutto dopo la Riforma e, in seguito, in epoca illuministica, che le “secolarizzazioni” divengono una prassi quasi comune, con la punta massima delle soppressioni napoleoniche e che, soprattutto, acquistano il significato di lotta contro l’identità cristiana dell’Europa, venendo in gran parte a coincidere con ciò che comunemente si chiama “secolarismo”.
Dal punto di vista culturale, anche prescindendo dalle forme più radicali di questo fenomeno, la secolarizzazione si presenta come una neutralizzazione, il tentativo di rendere inoffensivo e accettabile per tutti qualcosa che prima era sentito come di parte e conflittuale. Rispetto a una situazione di scontro, si pensi ai cosiddetti conflitti di religione, si va a cercare qualcosa che sia “neutro”, né da una parte né dall’altra, su cui si possa costruire la convivenza civile. La storia istituzionale dello stato moderno è in gran parte storia di neutralizzazione e secolarizzazione. Solo che, sul piano culturale, di neutralizzazione in neutralizzazione si arriva al predominio assoluto della tecnica e, soprattutto all’incapacità di scoprire dei valori comuni condivisi e aggreganti, salvo quella poltiglia incolore utile ai potenti di turno che è il “politicamente corretto”.
Il dibattito sul «ruolo sociale» della religione cristiana è oggi di estrema attualità. In base alla sua ricerca come lo valuta?
Sul piano storico e sociale la “neutralizzazione” è un fenomeno necessariamente parziale e a tratti anche contraddittorio, si pensi anche solo al ruolo simbolico del calendario cristiano e alla percezione del tempo che esso implica. A furia di “neutralizzare”, non ci si trova in mano più nulla. Oltre al livello della presenza e della testimonianza personale e comunitaria, in un contesto di laicità positiva il “ruolo sociale” della religione cristiana consiste nel generare valori “pre-politici”, nel senso di valori intorno a cui la “polis”, la comunità sociale possa riconoscersi. Credo che proprio qui stia il senso ultimo e più vero della “laicità positiva” che emerge, per esempio, dal dialogo tra Habermas e l’allora card. Ratzinger. Gran parte delle battaglie etiche portate avanti dalle chiese e comunità cristiane in Europa in realtà sono battaglie per valori semplicemente umani.
Un capitolo del suo studio è dedicato a Ernst-Wolfgang Böckenförde, che è stato citato anche da Benedetto XVI. Potrebbe spiegare la posizione di questo autore?
Ernst- Wolfgang Böckenförde non è solo uno storico del diritto; come membro della corte costituzionale tedesca si è occupato delle numerose contraddizioni insite nella nozione di stato “neutrale” (come la questione del velo islamico). La sua è una posizione di “laicità positiva”, che prende le mosse dalla tesi per cui lo stato moderno, secolarizzato e liberale, vive di presupposti che non è in grado di garantire. Si tratta di una posizione fortemente critica, che muove da domande drammatiche: di che cosa vive lo stato? Come difendere la nostra libertà dall’uso improprio di chi vuole usare le nostre leggi democratiche per minare la democrazia? In che senso la democrazia, la libertà, sono “valori”?
L’altro aspetto ha a che fare con quello che prima abbiamo chiamato il significato istituzionale della secolarizzazione, dunque con la domanda circa la permanenza di un residuo cristiano nella definizione delle istituzioni su cui tale stato si fonda. Questa riflessione ha portato Böckenförde a firmare il manifesto dei giuristi tedeschi per l’inserimento delle radici cristiane nel preambolo della costituzione europea, con il conseguente abbandono della tesi della neutralità assoluta.
SCUOLA/ Ora di religione: un'occasione troppo spesso sprecata... - Giovanni Cominelli - lunedì 9 febbraio 2009 – ilsussidiario.net
Dal 1984 la formula che regola l’insegnamento della religione cattolica è la seguente: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado». I Nuovi programmi dell’IRC (Insegnamento della Religione Cattolica) precisano, all’art. 2: «Con riguardo al particolare momento di vita degli studenti e in vista del loro inserimento nel mondo del lavoro e civile, l'IRC offre contenuti e strumenti specifici per una lettura della realtà storico - culturale in cui essi vivono; viene incontro ad esigenze di verità e di ricerca del senso della vita, contribuisce alla formazione della coscienza morale e offre elementi per scelte consapevoli e responsabili di fronte al problema religioso». Da allora l’insegnamento non è più obbligatorio, come invece previsto dal Concordato del 1929: le famiglie e i loro ragazzi possono decidere di avvalersi o non avvalersi. Nell’anno scolastico 2008/09 il 91,8% dei ragazzi ha deciso di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. Ora, si avvicina la data delle iscrizioni all’anno scolastico 2009-10. E’ piuttosto probabile che la percentuale, ancorché in lenta diminuzione da anni, si mantenga alta. Ma la data invita a qualche riflessione ad alta voce, non trionfalistica. Infatti l’osservazione empirica propone almeno due constatazioni: l’ignoranza diffusa e crescente della storia del Cristianesimo e della Chiesa nella società italiana e tra i ragazzi; la riduzione dell’ora di religione a un’ora di etica o di psicologia applicata. Forse esiste tra i due fatti una qualche correlazione. In mezzo sta l’interrogativo sulla preparazione culturale degli insegnanti di religione.
Vero è che l’insegnamento della religione non è una catechesi, non si propone la conversione cristiana degli alunni. Da un tale insegnamento ci si attende semplicemente, ma essenzialmente che la domanda di senso dell’esistenza venga allo scoperto nei ragazzi e venga radicata in una cultura e in una storia. Se la domanda religiosa è ontologicamente fondata, l’insegnamento della religione le dovrebbe offrire l’ancoraggio storico, la strumentazione culturale, una mappa di ricerca. Dalla domanda religiosa alla storicità del Cristianesimo alla sua valenza civile e culturale nell’Europa di oggi il passo non è né spontaneo né breve. La civiltà secolarizzata, la “morte di Dio”, i progetti di onnipotenza che hanno devastato l’umanità del ’900 hanno ottuso quella domanda. Diversamente che nel 1929, anno del Concordato, oggi i credenti sono minoranza: perciò farle strada e darle voce richiede di andare controcorrente. I singoli e la vita pubblica hanno bisogno che il senso religioso sia tenuto aperto, perché esso fornisce all’azione individuale e storica la percezione del limite, è un ostacolo al dispiegarsi della ubris umana, all’istinto di onnipotenza sul mondo. Tenerlo aperto nella scuola pubblica vuol dire raccontarne la storia lungo la freccia del tempo: vuol dire parlare del Cristo storico, del Cristianesimo, della Chiesa. Viceversa, all’ora di religione viene chiesta “una prestazione” di tipo diverso dal senso comune e dal potere politico “democratico”: quella di fornire elementi di etica pubblica, di etica della cittadinanza, persino di educazione sessuale. L’impressione, del tutto “nasometrica” e perciò da verificare con metodi scientifici più attendibili, è che spesso gli insegnanti di religione finiscano per (ac-)cedere a questo livello. Così l’ora di religione si trasforma in discussione sociologica o politica o psicologica. Nei sistemi educativi europei, compreso quello italiano, all’urgenza di fondare l’etica pubblica su qualcosa di saldo, dentro una società che non ha più Dio quale fondamento degli obblighi morali, si viene rispondendo rendendo obbligatoria l’ora di etica o di cittadinanza. Il penultimo caso è quello italiano, l’ultimo caso è quello del Land di Berlino, che rende obbligatoria l’ora di etica per tutti e facoltativa quella di religione. Quali che siano i contenuti dell’etica pubblica, una cosa è certa: l’ora di religione ha un altro scopo. A chi decide di avvalersene, non è opportuno fornire dei surrogati.