mercoledì 9 luglio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Cresce il sentimento pro-vita del popolo polacco; Intervista al Vice Presidente del Polish Federation of Pro Life Movements
2) La moschea di viale Jenner va chiusa perché è la più collusa con il terrorismo islamico: non legittimiamo i predicatori d'odio, di Magdi Cristiano Allam
3) Milano, quando la Curia parla come "Repubblica"
4) Come una profezia (con qualche dubbio), di Vittorio Messori
5) «Embrioni orfani? Sono vite umane, non si uccidono»


Cresce il sentimento pro-vita del popolo polacco; Intervista al Vice Presidente del Polish Federation of Pro Life Movements
di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 8 luglio 2008 (ZENIT.org).- Molti parlano dell’aborto come espressione dell’emancipazione feminile, indicandolo tra i frutti del progresso, ma in Polonia l’aborto legale è stato imposto prima dai nazisti e poi dalla dittatura comunista.
In una intervista a ZENIT l’ingegner Antoni Zieba, Segretario del World Prayer for Life e Vicepresidente della Polish Federation of Pro Life Movements, si chiede perchè L’ONU e la Unione Europea fanno pressione sulla Polonia per liberalizzare l’aborto, quando è il paese con il minor numero di interruzioni volontarie di gravidanza.
Pur avendo una legislazione in materia simile a quella della Spagna, la Polonia ha infatti un numero bassissimo di aborti. In Spagna nel 2006 ci sono stati 98.500 aborti, cioè 270 al giorno, mentre in Polonia nello stesso anno ci sono stati 360 aborti, meno di uno al giorno.
Qual è il segreto di questi risultati? La legge viene applicata più rigorosamente oppure è più forte la cultura della vita?
Zieba: Non conosco esattamente la situazione in Spagna. Quello che posso dire è che la società polacca è a favore della vita. Abbiamo raggiunto questo obiettivo grazie a diversi decenni di preghiere ed opere di apostolato, svolte anche durante la dominazione comunista. All’interno delle strutture della Chiesa cattolica abbiamo svolto un'intensa attività in difesa delle vita dei non nati.
Questa azione apostolica si è intensificata grazie alle attività di vari movimenti ed organizzazioni di laici che si sono formate dopo il declino del Comunismo in Polonia, avvenuto nel 1989. Con la fine della censura abbiamo potuto distribuire materiale educativo in merito alla vita dei bambini e delle bambine fin dal concepimento. Abbiamo spiegato come ridurre i danni della sindrome post-aborto, ed abbiamo fatto conoscere la vera storia della legalizzazione dell’aborto in Europa e in Polonia.
I primi a legalizzare l’aborto nel nostro Paese sono stati i nazisti nel marzo del 1943. Volevano cancellare i polacchi con l’aborto. Poi sono arrivati i comunisti, e con la promulgazione delle legge sull’aborto il 27 aprile del 1956, è iniziata la loro dittatura.
Per numerosi polacchi, particolarmente per i giovani, questi fatti dovrebbero suscitare una riflessione e un riconoscimento che l’aborto è stato legalizzato, imposto e praticato in Polonia dai suoi nemici: i nazisti ed i comunisti.
In questo contesto i libri, i depliant, i volantini, sull’aborto, distribuiti in chiesa, nelle scuole, nelle strade, hanno avuto un profondo impatto nella società polacca. A questo proposito gli insegnamenti di Giovanni Paolo II circa la protezione della vita umana dal concepimento alla morte naturale, sono stati inestimabili e decisivi per la situazione in Polonia.
Come ha risposto la soceità civile a questa campagna di sensibilizzazione?
Zieba: Nella Costituzione Polacca l’articolo 38 recita: “La repubblica di Polonia assicura la protezione legale della vita di ogni essere umano”. Alcuni parlamentari polacchi hanno presentato una petizione in cui hanno chiesto che venisse aggiunto ”dal concepimento alla morte naturale”.
Purtroppo la Camera bassa del Parlamento ha respinto la richiesta, ma secondo i sondaggi fatti dal PGB Polka Grupa Badawcza (il miglior centro di ricerca sui sondaggi), il 52 % dei polacchi è a favore di questo tipo di rafforzamento della difesa della vita nella Costituzione, mentre il 35% è contrario. Più di 506.000 persone hanno firmato la petizione, mentre meno di 2.000 hanno espresso la loro disapprovazione.
Lei è Segretario del World Prayer for Life. Che lavoro svolge questa associazione pro-life?
Zieba: Parlando della protezione della vita, bisogna menzionare il grande e decisivo ruolo svolto dalle preghiere. In Polonia si è sviluppato un movimento di massa orante e dedito all’adozione spirituale dei bambini non nati. Una vera e propria crociata per le protezione dei concepiti. Queste preghiere hanno cambiato il cuore e la mente dei nostri concittadini ed hanno rafforzato il rispetto per la vita.
Il World Prayer for Life assume l’adozione spirituale dei bambini concepiti. Il movimento ha avuto origine nel 1980, quando ancora eravamo sotto la dominazione comunista. L’idea della preghiera per i non nati è stata direttamente ispirata dal Servo di Dio il Pontefice Giovanni Paolo II, durante il suo viaggio in Polonia il 7 giugno 1979.
Nel santuario mariano di Kalwaria Zebrzydowska, il Santo Padre fece un importante discorso in cui chiese preghiere per i bambini non nati, spiegando che l’uomo non vive di solo pane, e che deve essere sempre presente un gruppo di persone che prega il Signore.
Quante sono le associazioni pro-vita polacche? Come sono ccordinate? In che rapporto sono con la Chiesa cattolica? Quali funzioni di assistenza svolgono?
Zieba: In Polonia ci sono circa 160 tra organizzazioni, fondazioni e gruppi informali, a favore della vita nascente e attivi nella protezione di mamme e bambini. La Federazione Polacca dei Movimenti pro vita è guidata dal dottor Paweł Wosicki e raccoglie crica 130 organizzazioni e gruppi (www.prolife.com.pl/federacja).
La cooperazione tra la Federazione e la Chiesa Cattolica è splendida. Gli incontri tra dirigenti laici, Vescovi e sacerdoti è frequente. Attualmente la Federazione non ha rapporti con le altre Chiese non cattoliche.
Nella recente riunione dei Movimenti per la Vita Europei svoltasi a Roma lei ha proposto di celebrare una giornata per la vita a carattere mondiale, esattamente il 25 marzo. Dedicandola alla preghiera per la vita. Può spiegarci meglio il senso e la finalità della sua proposta?
Zieba: La preghiera è la pietra angolare delle buone azioni. Nella sua enciclica Evangelium Vitae, il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha scritto che “è urgente una grande preghiera per la vita, che attraversi il mondo intero”. Questa preghiera deve essere svolta tutto l’anno ma sono convinto che il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, del concepimento di Gesù nel corpo di Maria, dovrebbe diventare la giornata mondiale per la preghiera in difesa della vita.
La giornata della vita si svolge in diversi paesi, in differenti date. Propongo di fare del 25 marzo la giornata mondiale in protezione della vita. Senza rinunciare alla giornata della vita nazionale.
Questo giorno dell’anno in cui in tutto il mondo prega, riflette e svolge apostolati per l’incondizionata protezione della vita di ogni persona, dal concepimento alla morte naturale, può rappresentare un giorno di unità per tutti i militanti pro-life e per gli uomini e le donne di buona volontà.
Tra i tanti movimenti per la vita è stata sollevata anche la proposta di chiedere a tutti i Paesi e alle istituzioni internazionali di avere almeno un giorno senza aborti e cioè il 25 marzo. Qual è il suo parere in proposito?
Zieba: Questa è una grande idea. Noi sosterremo questa proposta e raccoglieremo le firme in una petizione da sottoporre alla autorità polacche richiedendo il sostegno a questa proposta quando verrà sottoposta alle Nazioni Unite.
Raccogliere firme è una buona occasione per ricordare a ognuno che i bambini non ancora nati sono esseri umani protetti dalla Dichiarazione Universale dei Ditti dell’Uomo che all’articolo 3 afferma che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”.
Mentre in Europa c’è un aborto ogni 27 secondi ed un divorzio ogni trenta, in Polonia aborti e divorzi sono al minimo. Eppure una certa cultura relativista, molto influente nelle istituzioni europee sta esercitando pressioni sul vostro Paese perché promuova legislazioni radical-socialiste. Cosa può dirci in proposito?
Zieba: La Polonia è il primo Paese del mondo che democraticamente ha respinto una legge che autorizzava l’aborto e ne ha introdotto una che protegge la vita umana fin dal concepimento. Eppure varie organizzazioni come le Nazioni Unite o l’Unione Europea stano facendo pressioni alla Polonia perchè cambi la propria legge sull’aborto.
Queste pressioni stanno suscitando obiezioni e disappunto da parte della popolazione, che nelle classi più anziane, ricorda come la prima legge a favore dell’aborto fu imposta dai nazisti nel 1943, e la seconda legge sull’aborto fu promulgata dalla dittatura comunista il 27 aprile 1956.
Come si può chiedere alla Polonia di restaurare una legge favorevole all’aborto, imposta dalle due peggiori dittature del ventesimo secolo? Tale richiesta diventa ancora più inaccettabile se si pensa che in 15 anni di applicazione della legge a favore della vita ha generato ottimi risultati. Il numero degli aborti si mantiene ad un livello molto basso, 360 nel 2006.
Mentre negli anni Novanta il numero di aborti registrati era di 100.000 l’anno, durante gli anni della dittatura comunista si stima che il numero totale fosse di più di 600.000 l’anno.
La salute delle donne incinte sta continuamente migliorando, con una diminuzione costante delle morti correlate al parto. La mortalità infantile e il numero di aborti spontanei è in costante diminuzione.
Perchè dovremmo cambiare una legge che funziona così bene?


La moschea di viale Jenner va chiusa perché è la più collusa con il terrorismo islamico: non legittimiamo i predicatori d'odio, di Magdi Cristiano Allam
La semplice trattativa in corso tra le istituzioni dello Stato e i responsabili della moschea del terrore e, ancor di più, l’eventuale accordo per il trasferimento ad altra sede, si tradurrebbe nella legittimazione ufficiale dei predicatori d’odio e degli apologeti del terrorismo islamico
autore: Magdi Cristiano Allam
Cari amici,
Ha veramente dell’incredibile e mi preoccupa assai la vicenda che vede nuovamente al centro dell’interesse nazionale la moschea di viale Jenner a Milano, di cui si stanno occupando il ministero dell’Interno, la Regione Lombardia, la Provincia e il Comune di Milano con l’obiettivo dichiarato di trasferirla ad un’altra sede. Pur trattandosi della moschea più collusa con il terrorismo islamico internazionale, di cui si sono ripetutamente occupati i magistrati e gli organi di sicurezza, con sentenze anche definitive e provvedimenti che attestano inequivocabilmente che si tratta di un centro di predicazione d’odio, violenza, morte e dove si pratica il lavaggio di cervello per trasformare delle persone in robot della morte, non vi è stata finora una sola voce, persino mezza voce, che abbia chiarito questa verità cristallina che rappresenta correttamente la realtà dei fatti.
La conseguenza inevitabile è che la semplice trattativa in corso tra le istituzioni dello Stato e i responsabili della moschea del terrore e, ancor di più, l’eventuale accordo per il trasferimento ad altra sede, si tradurrebbe nella legittimazione ufficiale dei predicatori d’odio e degli apologeti del terrorismo islamico.
Si tratta della deriva etica e politica in cui si precipita quando si rifiuta la verità dei fatti o si fa finta di non vederla e quando non si hanno delle certezze valoriali e identitarie che sostanziano un modello complessivo di convivenza sociale. Anziché procedere, cosa che sarebbe dovuta accadere già vent’anni fa, alla chiusura della moschea del terrore, all’arresto e all’espulsione dei burattinai del terrorismo, si tratta con loro una soluzione di compromesso onde evitare lo scontro con gli estremisti islamici. Lasciandosi facilmente abbindolare dal fatto che loro, astutamente, mandano avanti a trattare una faccia apparentemente pulita e incensurata che copre, ma solo per chi non occhi da vedere e intelletto per intendere, la realtà di estremismo e terrorismo islamico della moschea di viale Jenner.
Cari amici, con la moschea di viale Jenner si sta ripetendo la stessa vergognosa sceneggiata messa in atto dalle istituzioni nazionali e locali con la sedicente scuola islamica che nacque, guarda caso, proprio in seno a questa moschea. Poi si trasferì per la necessità di disporre di locali più capienti nella sede della moschea-scuola islamica di via Quaranta. Si trattava di una realtà illegale, dal momento che operava senza alcuna autorizzazione e distraeva impunemente circa 500 bambini dalla scuola dell’obbligo, così come si trattava di una realtà eversiva che inculcava nei bambini un’ideologia di odio nei confronti della civiltà cristiana ed occidentale e li indottrinava alla cosiddetta fede nel “martirio” islamico esaltando i terroristi suicidi. Eppure, quando finalmente si procedette alla chiusura di questa sedicente scuola islamica, lo si fece non perché illegale ed eversiva, ma per “inagibilità dei locali”. Il risultato fu che la struttura fu chiusa e riaprì da un’altra parte, in una nuova sede messa a disposizione nientemeno che dalle Acli, il sindacato cattolico con dichiarate simpatie di sinistra. Ebbene grazie a questo atteggiamento ipocrita e connivente delle istituzioni, i predicatori d’odio oggi sono legittimati nell’opera di lavaggio del cervello di bambini che nascono e crescono in Italia. Se tra dieci anni qualcuno di loro si farà esplodere nella metropolitana di Milano, così come è già avvenuto a Londra da parte di ragazzi musulmani britannici il 7 luglio 2005, dovremo biasimare soltanto la nostra incoscienza, pavidità e collusione ideologica con i nostri aspiranti carnefici.
Che orrore sentire la Curia milanese, che opera quasi fosse un contro-Vaticano ostile all’autorità dottrinale e morale del papa Benedetto XVI e da sempre ammalata di relativismo religioso e succube dell’islamicamente corretto, prendere le difese della moschea del terrore e accusare di “fascismo e populismo” il ministro dell’Interno Maroni! Che vergogna la reiterazione da parte della solita sinistra del disco logoro della difesa della libertà religiosa dei musulmani, inalberando un principio di per sé ineccepibile ma senza voler entrare nel merito della realtà della moschea del terrore che pone una insopprimibile priorità di sicurezza e di salvaguardia dei nostri valori e della nostra civiltà! Ma anche che errore l’atteggiamento di quanti, a nome del governo o facendo parte della maggioranza governativa, si stanno facendo in quattro per offrire su un vassoio d’argento ai predicatori d’odio una sede alternativa alla moschea del terrore!
Cari amici, il problema non è affatto l’esercizio della libertà di culto dei musulmani dal momento che in Italia, fino al 2007, c’erano già oltre 730 luoghi di preghiera a fronte di un totale di circa 50 mila fedeli che frequentano abitualmente le moschee. Il problema non può essere limitato all’occupazione abusiva dei marciapiedi contigui alla moschea del terrore nella giornata del venerdì, quando le sale interne non consentono di accogliere tutti i fedeli, creando un serio disagio alla popolazione e accentuando il drastico calo del valore degli immobili della zona. Il problema vero è la nostra volontà e la nostra capacità di affermare la nostra piena sovranità nazionale, il primato delle nostre leggi, la condivisione dei valori inalienabili e non negoziabili che sostanziano la nostra umanità, il rispetto della fede cristiana che rappresenta la nostra verità spirituale e storica, assumendo un atteggiamento chiaro e risoluto nei confronti dell’estremismo e del terrorismo islamico nonché nei confronti di quanti tra noi ammalati di relativismo e del politicamente corretto si prestano a fiancheggiarli e a favorirli.
Cari amici, andiamo avanti insieme da Protagonisti per l’Italia dei diritti e dei doveri, del bene comune e dell’interesse nazionale, promuovendo un Movimento della Verità, della Vita e della Libertà, per una riforma etica dell’informazione, della società, dell’economia, della cultura e della politica, con i miei migliori auguri di successo e di ogni bene.
Magdi Cristiano Allam


Milano, quando la Curia parla come "Repubblica"
Molti cattolici hanno spesso l’impressione di una Curia milanese che su tanti temi parla un linguaggio diverso da Roma; una Curia che cerca il facile applauso di quel milieu progressista ben rappresentato dal gruppo Repubblica-Espresso, un modo di pensare che non sarà maggioritario nel Paese ma lo è, eccome, in quello della cultura perbene…
di Michele Brambilla
Quanto dolore prova un cattolico nel sentire un monsignore di Curia che attinge al più tristo vocabolario sessantottino per bollare come «fascista» una cosa che ritiene sbagliata, o più semplicemente che non gli piace. Con un «fascista» negli anni Settanta si marchiava tutto ciò che faceva schifo: erano «fascisti» i violenti e i prepotenti a prescindere dalle loro idee politiche, era «fascista» qualsiasi autorità, le insufficienze a scuola, la mano morta sul tram, il formaggio andato a male. L’altro giorno monsignor Gianfranco Bottoni, responsabile delle relazioni ecumeniche e interreligiose della diocesi di Milano, ha riesumato l’epiteto, ormai in disuso anche presso i sinceri democratici dei girotondi, e ha bollato così, come «fascista», l’intenzione del ministro Maroni di spostare i quattromila musulmani che ogni venerdì riempiono per la preghiera i marciapiedi di viale Jenner a Milano. Si badi che quella preghiera del venerdì è una situazione ritenuta «illegale» (cito testualmente da Repubblica di ieri) anche dal presidente della Provincia di Milano Filippo Penati, che «fascista» non lo è neanche alla lontana, essendo un ex comunista duro e puro oggi militante del Pd. Eppure proprio così ha detto monsignor Bottoni: «fascista», e l’ha detto in nome della libertà di culto. Tenga conto il lettore, a proposito di libertà di culto, che non è passato molto tempo da quando la diocesi di Milano ha rispedito al mittente il motu proprio con il quale papa Benedetto XVI ha autorizzato la celebrazione della messa pre conciliare in latino. Ci sono cattolici, nella diocesi milanese, che vorrebbero partecipare alla messa con quel rito - in una chiesa, non sui marciapiedi - ma non possono perché la stessa Curia di monsignor Bottoni glielo impedisce. Decisione «fascista»? Di certo una decisione che ha creato parecchia irritazione in Vaticano.
C’è qualcosa di paradossale nella querelle in corso tra la Curia milanese e la Lega. In fondo, questi due contendenti così distanti sono anche così vicini nella rivendicazione di una propria autonomia locale. È da più di mezzo secolo che - a torto o a ragione - la diocesi di Milano viene considerata un modello di federalismo religioso. Ripeto: a torto o a ragione. Saranno stati anche i giornali a dipingere il cardinal Martini come un anti-papa, almeno nei primi dieci anni di Giovanni Paolo II. L’ha fatto Repubblica, in particolare. Interpretazione abusiva? Lo speriamo. Però i giornali si possono anche smentire con atteggiamenti chiari, si possono smentire non alimentando equivoci. E invece. Del cardinal Martini si ricordano, negli ultimi tempi, tre interventi: 1) ha pubblicamente preso le distanze da Benedetto XVI proprio sulla messa in latino; 2) ha contestato al cardinal Ruini i mancati funerali a Welby; 3) ha pubblicato sull’Espresso (stesso editore di Repubblica) un lungo dialogo con il medico e senatore del Pd Ignazio Marino esponendo sulla bioetica tesi ben diverse da quelle del magistero.
E così è stato per anni e anni. C’è chi ricorda ancora il 13 aprile 1997, una domenica. Al Palavobis di Milano era in programma una grande convention a favore della scuola cattolica. Era organizzata da tutte le associazioni e si chiamava «Difendiamo il futuro». Da Roma partirono due telegrammi di sostegno: uno da parte di Giovanni Paolo II, uno del cardinal Ruini: dovevano essere letti in apertura dei lavori. I telegrammi arrivarono in Curia al sabato, ma furono recapitati agli organizzatori solo il lunedì: non c’era nessuno in portineria al Palavobis, fu la giustificazione.
Con l’arrivo del cardinal Tettamanzi molti pensavano a un nuovo corso. Ma nel mondo cattolico si continua ad avere l’impressione di un doppio binario tra Roma e Milano. Come tre anni fa, in piena campagna sul referendum per la procreazione assistita. Furono in molti, nel volontariato cattolico che aveva raccolto l’invito del cardinal Ruini (ma anche del Papa) a battersi per l’astensione, a restarci malissimo per l’intervista che il cardinal Tettamanzi rilasciò al Corriere della Sera: una frase, riportata nel titolo («Evitiamo scomuniche tra i cattolici»), fu presa come un minimizzare. E così via fino alle uscite più recenti, come quella contro il Comune di Milano per la questione delle iscrizioni all’asilo dei figli dei clandestini.
È inutile che andiamo avanti con gli esempi. Il fatto è che molti cattolici - per la terza volta: a torto o a ragione - hanno spesso l’impressione di una Curia milanese che su tanti temi parla un linguaggio diverso da Roma; una Curia che cerca il facile applauso di quel milieu progressista ben rappresentato dal gruppo Repubblica-Espresso, un modo di pensare che non sarà maggioritario nel Paese ma lo è, eccome, in quello della cultura perbene; una Curia che sembra avere una sorta di inferiority complex nei confronti «del mondo»: basta fare un giro nelle parrocchie per vedere quante meditazioni sul Natale o sulla Pasqua sono affidate ai Giorello e agli Erri De Luca, ai Galimberti e ai Severino.
Chi scrive, tutto questo lo scrive con immenso dispiacere, e facendo salva la buona fede di tutti. Forse, quando si vede che le chiese si svuotano e che il mondo va da un’altra parte, si ha la tentazione di inseguirlo nell’illusione di fermarlo almeno un po’. Ma forse è proprio in quel momento che bisognerebbe ricordarsi dell’ammonimento di Gesù: «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi», soprattutto se quei «tutti» sono da anni i portatori della più anticristiana delle culture.
Il Giornale n. 161 del 2008-07-08


Come una profezia (con qualche dubbio), di Vittorio Messori
Ieri nell'edizione web del New York Times si dava grande rilievo a quello che veniva definito «un nuovo testo di Qumran non su papiro ma su pietra». La pietra è in realtà un frammento mutilo, alto tre piedi (una novantina di centimetri) con un testo non scolpito bensì dipinto con una sorta d' inchiostro: 87 righe in ebraico , alcune delle quali indecifrabili proprio nella parte centrale. Stando alla lettura che ne hanno fatto alcuni, vi si parlerebbe di un Messia che dovrà morire e risorgere dopo tre giorni, ma vi sono paleografi che contestano questa interpretazione.
La provenienza del reperto non è chiara, anche se la tesi ufficiosa la vorrebbe proveniente dalla zona del Mar Morto, dunque dalla regione di Qumran dove, sessant'anni fa, cominciarono le scoperte dei manoscritti attribuiti agli Esseni.
Questa setta radicale dell'ebraismo, prima di fuggire all'approssimarsi delle legioni romane in marcia verso Gerusalemme — distrutta poi nel 70 — nascose la sua biblioteca in grotte inaccessibili. A partire dal 1947, grazie a un giovane beduino che cercava una capra smarrita, il deposito fu scoperto, alimentando non solo gli studi biblici ma anche una quantità tale di interpretazioni, di illazioni, spesso di bufale da indurre Umberto Eco a enunciare una sua legge. Legge che è stata confermata, tra l'altro, dal successo mondiale degli sciocchezzai di Dan Brown e imitatori. Insomma, l'asserita provenienza da Qumran del frammento di pietra è scontata , soprattutto quando l'oggetto in questione è messo sul mercato antiquario.
Succede, infatti (ecco il retro-scoop) che il reperto non è emerso ora dalle sabbie del deserto, ma da ben dieci anni passa da un acquirente all'altro. Chi conosce il mondo dell'archeologia biblica sa come esista un mercato clandestino a servizio di ricchissimi collezionisti, talvolta veri e propri maniaci religiosi — quasi sempre anglosassoni membri di sette protestanti o ebrei della Diaspora — pronti a pagare milioni di dollari un lacerto di papiro o un frammento di pietra incisa. Naturale, dunque , che una simile domanda alimenti una fiorente industria del falso.
Quanto al testo: viste le pessime condizioni delle 87 righe è, lo dicevamo, da supporre più che da leggere. In ogni caso, tra le poche certezze sugli Esseni, vi è quella che annunciavano a breve l'arrivo del Messia e proprio per attenderlo si erano ritirati in penitenza nel deserto. Un Messia che (pare), a differenza di quello del giudaismo ufficiale sarebbe stato sì trionfante, ma attraverso la sofferenza e la prova.
Quanto alla risurrezione dopo tre giorni: gli specialisti interpellati dal quotidiano americano dicono di non essere certi di questo, visto che il testo è troppo malandato per darne una versione sicura.
In ogni caso, un esperto cristiano potrebbe replicare: «Se anche fosse? Sarebbe una profezia realizzata in più, dunque un'ulteriore conferma della verità del vangelo. In ogni caso, il Nuovo Testamento non annuncia un futuro ritorno alla vita di Gesù: raccoglie la testimonianza unanime e ferrea degli apostoli che quella risurrezione è davvero avvenuta ed essi l'hanno constatata al di là di ogni possibilità di dubbio».
Vittorio Messori
CorSera 07 luglio 2008


INTERVISTA A ROCCELLA
Il sottosegretario alla Salute: chiedere di usarli fa parte della strategia per scardinare i principi della legge 40
«Embrioni orfani? Sono vite umane, non si uccidono»
DA MILANO ENRICO NEGROTTI
A i temi eticamente sensibili in ambito sanita­rio il governo ha dedicato un sottosegretario specifico, l’onorevole Eugenia Roccella. No­nostante quindi l’accorpamento del ministero della Salute con quelli del Lavoro e delle Politiche sociali, che ha rallentato l’avvio dell’attività, l’attenzione non è mai venuta meno – sottolinea Eugenia Roccella – come prova l’ordinanza di rinvio della norma del decreto “milleproroghe” dedicata alla con­servazione del sangue del cordone ombelicale: «Mancava il tempo per predisporre le complesse norme tecniche». Ma l’attualità offre con­tinui motivi di riflessione, come – la settimana scorsa – al convegno dei ricercatori italiani di cellule stami­nali embrionali, il confronto sugli embrioni «soprannumerari» e sul­le modalità di finanziamento della ricerca scientifica.
Onorevole Roccella, alcuni ricer­catori, e qualche politico (tra cui il senatore Ignazio Marino), chiedo­no di prendere una decisione sugli embrioni abbandonati (orfani), perché conservarli indefinitamen­te significa comunque condan­narli a morte. Il governo intende assumere qualche decisione?
La questione è molto complessa, e la legge 40 ha già posto il rimedio essenziale: gli em­brioni in sovrannumero non vanno più prodotti. Que­sto spiega il divieto di fecondare più di tre ovociti e l’in­dicazione, anche se non c’è un obbligo, di impiantar­li tutti in utero. Chiedere di utilizzare a scopo di ricer­ca quelli già esistenti e abbandonati, è un modo per sollecitare una successiva produzione. Il tutto fa par­te di una strategia che da tempo viene messa in atto per scardinare la legge 40: per esempio attraverso l’am­missione, nelle Linee guida emanate dall’ex ministro Livia Turco, della diagnosi preimpianto. Ma la legge dice chiaramente che l’embrione è una vita umana che non si può manipolare né distruggere.
L’ordinanza dell’ex ministro Girolamo Sirchia sul tra­sferimento degli embrioni orfani alla Biobanca del Policlinico di Milano non è stata ancora messa in atto. Ma quale sarà il destino di questi em­brioni?
Manca solo un ultimo passaggio per operare il loro trasferimento a Milano. Certamente il pro­blema del loro destino è bruciante, ma non cre­do che si possa considerare una soluzione asse­gnarli alla ricerca, perché sono destinati a mo­rire. Allo stesso modo allora anche persone in stato ve­getativo o malati terminali potrebbero finire con l’es­sere considerati solo materiale per la ricerca. Personalmente sarei fa­vorevole alla soluzione indicata dal Comitato nazionale per la bioetica di una adozione per la nascita, con le opportune garanzie che non si va­da incontro a un commercio. L’a­dozione indicherebbe una volta di più che si tratta di individui umani, non di materiale biologico.
Sull’assegnazione dei fondi per la ricerca, vale la pena di puntare sul sistema del peer review, cioè della valutazione da parte di scienziati e­sperti del settore?
Sebbene sia un sistema molto va­lido per valutare le pubblicazioni scientifiche, non credo che sia sem­pre in grado di assicurare traspa­renza ed efficienza: per esempio, difficilmente lo è in settori specia­listici dove le persone competenti sono veramente poche e c’è un forte rischio di an­dare incontro a una autoreferenzialità dei ricercato­ri. Inoltre per alcuni questo sistema sembra prefigu­rare una Agenzia per la valutazione, luogo decisio­nale autonomo. Ma la politica deve sapersi prende­re le responsabilità che le spettano: oggi che la tec­noscienza interviene su processi quali la vita e la mor­te o i nuovi farmaci personalizzati, le valutazioni non possono essere compito di un organo tecnico piut­tosto che una mera scelta di indirizzo scientifico. Su decisioni che coinvolgono temi delicatissimi per la vita democratica quali l’equo accesso alle cure, o la commerciabilità di parti del corpo umano, non si può restare sganciati dalla valutazione dell’opinione pubblica.
«Per finanziare la ricerca non basta una valutazione tra scienziati, serve un controllo