martedì 22 luglio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Dalla sinfonia "del nuovo mondo" di Benedetto XVI. Un'antologia, di Sandro Magister
2) Solidarietà e confusione: il caso Eluana Englaro. Lettera a Giuliano Ferrara, di Massimo Introvigne (il Foglio, 17 luglio 2008)
3) Come Wojtyla, adesso è a suo agio tra le folle, di Andrea Tornielli
4) Le scimmie, la persona umana e lo zoologicamente corretto, di Giuliano Ferrara, dal Foglio.it
5) La scelta sulla propria vita è conforme al volere di Dio. Il dramma è che in questo caso manca, di Vito Mancuso dal Foglio.it
6) L’esercizio della libertà individuale è il problema, non la soluzione Perché esistono il bene, il male e la scelta tra i due. Il professore non sempre ti lascia scampo, ma da qui non si scappa, di Giuliano Ferrara


Dalla sinfonia "del nuovo mondo" di Benedetto XVI. Un'antologia
A Sydney, alla Giornata Mondiale della Gioventù, Joseph Ratzinger predica una "nuova era" dello Spirito che cambi la faccia della terra. Tre anni fa ai giovani riuniti in Germania aveva proposto una "rivoluzione". La speranza storica del papa teologo
di Sandro Magister

ROMA, 22 luglio 2008 – Del viaggio di Benedetto XVI in Australia per la Giornata Mondiale della Gioventù hanno fatto spicco sui media mondiali l'arrivo del papa via mare nella baia di Sydney, le danze degli aborigeni, le scene della Via Crucis, le miriadi di luci dei giovani nella notte, l'accorata condanna degli abusi sessuali compiuti da preti e l'incontro con quattro loro vittime.

In questa pagina c'è invece un'antologia dei passi salienti delle parole dette da Benedetto XVI nel corso del suo viaggio.

La selezione qui fatta sacrifica inevitabilmente altri brani non meno importanti dei discorsi e delle omelie del papa. Ad esempio, sarebbe d'obbligo rileggere per intero la catechesi sullo Spirito Santo fatta ai giovani nella veglia notturna di sabato 19 luglio: e si capirebbe perché, presentandola, "L'Osservatore Romano" l'abbia definita "un testo che è tra i più belli del pontificato".

Ma da questa antologia si può comunque ricavare un tratto inconfondibile di Benedetto XVI: il suo essere papa teologo. Che come sant'Agostino – citatissimo in questa trasferta australiana – vuole predicare a tutti, anche agli umili e ai semplici, le meraviglie di Dio, non facilitate, non annacquate, ma nella loro integrale e talora ardua essenzialità. E nei loro misteriosi riverberi storici.

Sia per i contenuti che per lo stile, i passi qui riportati sono anche quelli più attribuibili a Joseph Ratzinger in persona, alla sua mente e alla sua penna, piuttosto che agli uffici vaticani incaricati di preparare e corredare i discorsi pontifici.

Per chi volesse completarne la lettura, I testi integrali di tutti i discorsi, messaggi e omelie sono a disposizione in questa pagina del sito web della Santa Sede, in più lingue:

> Viaggio apostolico a Sydney, 12-21 luglio 2008

Ecco dunque la nostra antologia:
1. Quando Dio è eclissato, anche il grembo materno diventa luogo di violenza indicibile
Dal discorso d'arrivo, Sydney, Molo di Barangaroo, giovedì 17 luglio 2008

Cari giovani, [...] la vista del nostro pianeta dall’alto è stata davvero magnifica. Il luccichio del Mediterraneo, la magnificenza del deserto nordafricano, la lussureggiante foresta dell’Asia, la vastità dell’Oceano Pacifico, l’orizzonte sul quale il sole sorge e cala, il maestoso splendore della bellezza naturale dell’Australia [...]; tutto ciò suscita un profondo senso di reverente timore. È come se uno catturasse rapide immagini della storia della creazione raccontata nella Genesi: la luce e le tenebre, il sole e la luna, le acque, la terra e le creature viventi. Tutto ciò è “buono” agli occhi di Dio (Genesi 1,1–2,4). Immersi in simile bellezza, come si potrebbe non far eco alle parole del Salmista nel lodare il Creatore: “Quanto è grande il tuo nome su tutta la terra” (Salmo 8,2)?

Ma vi è di più [...]: uomini e donne creati niente di meno che ad immagine e somiglianza di Dio (Genesi 1,26). Al cuore della meraviglia della creazione ci siamo voi ed io, la famiglia umana “coronata di gloria e di onore” (Salmo 8,6). Quale meraviglia! Con il salmista sussurriamo: “Che cosa è l’uomo perché te ne curi?” (Salmo 8,5). Introdotti nel silenzio, in uno spirito di gratitudine, nella potenza della santità, noi riflettiamo.

Che cosa scopriamo? [...] Che non soltanto l’ambiente naturale, ma anche quello sociale – l’habitat che ci creiamo noi stessi – ha le sue cicatrici, [...] un veleno che minaccia di corrodere ciò che è buono, riplasmare ciò che siamo e distorcere lo scopo per il quale siamo stati creati. [...] Vi è qualcosa di sinistro che sgorga dal fatto che libertà e tolleranza sono così spesso separate dalla verità. Questo è alimentato dall’idea, oggi ampiamente diffusa, che non vi sia una verità assoluta a guidare le nostre vite. Il relativismo, dando valore in pratica indiscriminatamente a tutto, ha reso l’“esperienza” importante più di tutto. In realtà, le esperienze, staccate da ogni considerazione di ciò che è buono o vero, possono condurre non ad una genuina libertà, bensì ad una confusione morale o intellettuale, ad un indebolimento dei principi, alla perdita dell’autostima e persino alla disperazione.

Cari amici, la vita non è governata dalla sorte, non è casuale. La vostra personale esistenza è stata voluta da Dio, benedetta da lui e ad essa è stato dato uno scopo (Genesi 1,28)! La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze, per quanto utili molti di tali eventi possano essere. È una ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia. Non lasciatevi ingannare da quanti vedono in voi semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità.

Cristo offre di più! Anzi, offre tutto! Solo lui, che è la Verità, può essere la Via e pertanto anche la Vita. Così la “via” che gli apostoli recarono sino ai confini della terra è la vita in Cristo. È la vita della Chiesa. E l’ingresso in questa vita, nella via cristiana, è il Battesimo. [...]

Vi sono molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato “in panchina” e che la religione e la fede, per quanto accettabili sul piano individuale, debbano essere o escluse dalla vita pubblica o utilizzate solo per perseguire limitati scopi pragmatici. Questa visione secolarizzata tenta di spiegare la vita umana e di plasmare la società con pochi riferimenti o con nessun riferimento al Creatore. Si presenta come una forza neutrale, imparziale e rispettosa di ciascuno. In realtà, come ogni ideologia, il secolarismo impone una visione globale. Se Dio è irrilevante nella vita pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio. Ma quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire. [...]

E che dire del nostro ambiente sociale? [...] Sappiamo riconoscere che l’innata dignità di ogni individuo poggia sulla sua più profonda identità, quale immagine del Creatore, e che perciò i diritti umani sono universali, basati sulla legge naturale, e non qualcosa dipendente da negoziati o da condiscendenza, men che meno da compromesso? E così siamo condotti a riflettere su quale posto hanno nelle nostre società i poveri, i vecchi, gli immigranti, i privi di voce. Come può essere che la violenza domestica tormenti tante madri e bambini? Come può essere che lo spazio umano più mirabile e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?

Cari amici, la creazione di Dio è unica ed è buona. Le preoccupazioni per la non violenza, lo sviluppo sostenibile, la giustizia e la pace, la cura del nostro ambiente sono di vitale importanza per l’umanità. Tutto ciò non può però essere compreso a prescindere da una profonda riflessione sull’innata dignità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, una dignità che è conferita da Dio stesso e perciò inviolabile.

2. Il "punto critico" a cui è giunto il movimento ecumenico
Dal discorso ai rappresentanti delle altre confessioni cristiane, Sydney, Cripta della Saint Mary's Cathedral, venerdì 18 luglio 2008

Cari amici in Cristo, penso sarete d’accordo nel ritenere che il movimento ecumenico sia giunto ad un punto critico. Per andare avanti, dobbiamo continuamente chiedere a Dio di rinnovare le nostre menti con la grazia dello Spirito Santo (Romani 12,2), che ci parla attraverso le Scritture e ci guida alla verità tutta intera (2 Pietro 1,20-21; Giovanni 16,13). Dobbiamo stare in guardia contro ogni tentazione di considerare la dottrina come fonte di divisione e perciò come impedimento a quello che sembra essere il più urgente ed immediato compito per migliorare il mondo nel quale viviamo. In realtà, la storia della Chiesa dimostra che la "praxis" non solo è inseparabile dalla "didaché", dall’insegnamento, ma anzi ne promana.


3. Ma l'Alfa e l'Omega è solo Gesù
Dal discorso ai rappresentanti delle altre religioni, Sydney, Sala Capitolare della Saint Mary's Cathedral, venerdì 18 luglio 2008

Cari amici, [...] la Chiesa si accosta al dialogo con le altre religioni nella convinzione che la vera sorgente della libertà si trova nella persona di Gesù di Nazaret. I cristiani credono che è Lui che ci rivela appieno le potenzialità umane per la virtù e il bene; è Lui che ci libera dal peccato e dalle tenebre. L’universalità dell’esperienza umana, che trascende ogni confine geografico e ogni limite culturale, rende possibile ai seguaci delle religioni di impegnarsi nel dialogo per affrontare il mistero delle gioie e delle sofferenze della vita. Da questo punto di vista, la Chiesa con passione cerca ogni opportunità per prestare ascolto alle esperienze spirituali delle altre religioni. Potremmo affermare che tutte le religioni mirano a penetrare il profondo significato dell’esistenza umana, riconducendolo ad una origine o principio esterno ad essa. Le religioni presentano un tentativo di comprensione del cosmo inteso come proveniente da e procedente verso tale origine o principio. I cristiani credono che Dio ha rivelato questa origine e principio in Gesù, che la Bibbia definisce “Alfa e Omega” (Apocalisse 1, 8; 22, 1).


4. Siate "segni di contraddizione" nel mondo
Dall'omelia della messa con i vescovi, i sacerdoti, i seminaristi e le novizie, Sydney, Saint Mary's Cathedral, sabato 19 luglio 2008

Cari fratelli e sorelle, [...] nell’odierna liturgia la Chiesa ci rammenta che, come questo altare, anche noi siamo stati consacrati, messi “a parte” per il servizio di Dio e l’edificazione del suo Regno. Troppo spesso, tuttavia, ci ritroviamo immersi in un mondo che vorrebbe mettere Dio “da parte”. Nel nome della libertà ed autonomia umane, il nome di Dio viene oltrepassato in silenzio, la religione è ridotta a devozione personale e la fede viene scansata nella pubblica piazza. Talvolta una simile mentalità, così totalmente opposta all’essenza del Vangelo, può persino offuscare la nostra stessa comprensione della Chiesa e della sua missione. Anche noi possiamo essere tentati di ridurre la vita di fede ad una questione di semplice sentimento, indebolendo così il suo potere di ispirare una visione coerente del mondo ed un dialogo rigoroso con le molte altre visioni che gareggiano per conquistarsi le menti e i cuori dei nostri contemporanei. [...]

Desidero qui [...] riconoscere la vergogna che tutti abbiamo sentito a seguito degli abusi sessuali sui minori da parte di alcuni sacerdoti e religiosi in questa nazione. Davvero, sono profondamente dispiaciuto per il dolore e la sofferenza che le vittime hanno sopportato e le assicuro che, come loro pastore, io pure condivido la loro sofferenza. Questi misfatti, che costituiscono un così grave tradimento della fiducia, devono essere condannati in modo inequivocabile. Essi hanno causato grande dolore ed hanno danneggiato la testimonianza della Chiesa. Chiedo a tutti voi di sostenere e assistere i vostri vescovi e di collaborare con loro per combattere questo male. Le vittime devono ricevere compassione e cura e i responsabili di questi mali devono essere portati davanti alla giustizia. [...]

Desidero ora rivolgermi ai seminaristi ed ai giovani religiosi che stanno fra noi con una speciale parola di affetto e di incoraggiamento. [...] Fate della celebrazione quotidiana dell’Eucaristia il centro della vostra vita. In ogni messa, quando il Corpo e il Sangue del Signore vengono elevati al termine della preghiera eucaristica, sollevate il vostro cuore e la vostra vita in Cristo, con Lui e per Lui, nell’unità dello Spirito Santo, quale amorevole sacrificio a Dio nostro Padre.

Così, cari giovani seminaristi e religiosi, voi stessi diverrete altari viventi, sui quali l’amore sacrificale di Cristo viene reso presente quale ispirazione e sorgente di nutrimento spirituale per quanti incontrerete. Abbracciando la chiamata del Signore a seguirlo in castità, povertà e obbedienza, avete intrapreso il viaggio di un discepolato radicale che vi renderà “segni di contraddizione” (Luca 2,34) per molti dei vostri contemporanei. Modellate quotidianamente la vostra vita sull’amorevole auto-oblazione del Signore stesso in obbedienza alla volontà del Padre. In tal modo scoprirete la libertà e la gioia che possono attrarre altri a quell’Amore che è oltre ogni altro amore come sua fonte e suo compimento ultimo. Non dimenticate mai che la castità per il Regno significa abbracciare una vita dedicata completamente all’amore, un amore che vi rende capaci di dedicare voi stessi senza riserve al servizio di Dio per essere pienamente presenti ai fratelli e alle sorelle, specialmente a quanti sono nel bisogno.


5. Lo Spirito Santo, la "Persona dimenticata" della Santissima Trinità

Dal discorso ai giovani nella veglia notturna, Sydney, Ippodromo di Randwick, sabato 19 luglio 2008

Carissimi giovani, [...] l’unità e la riconciliazione non possono essere raggiunte mediante i nostri sforzi soltanto. Dio ci ha fatto l’uno per l’altro (Genesi 2,24) e soltanto in Dio e nella sua Chiesa possiamo trovare quell’unità che cerchiamo. Eppure, a fronte delle imperfezioni e delle delusioni sia individuali che istituzionali, noi siamo tentati a volte di costruire artificialmente una comunità “perfetta”. Non si tratta di una tentazione nuova. La storia della Chiesa contiene molti esempi di tentativi di aggirare o scavalcare le debolezze ed i fallimenti umani per creare un’unità perfetta, un’utopia spirituale.

Tali tentativi di costruire l’unità in realtà la minano! Separare lo Spirito Santo dal Cristo presente nella struttura istituzionale della Chiesa comprometterebbe l’unità della comunità cristiana, che è precisamente il dono dello Spirito! Ciò tradirebbe la natura della Chiesa quale Tempio vivo dello Spirito Santo (1 Corinti 3,16). È lo Spirito infatti che guida la Chiesa sulla via della piena verità e la unifica nella comunione e nelle opere del ministero ("Lumen gentium", 4). Purtroppo la tentazione di “andare avanti da soli” persiste. Alcuni parlano della loro comunità locale come di un qualcosa di separato dalla cosiddetta Chiesa istituzionale, descrivendo la prima come flessibile ed aperta allo Spirito, e la seconda come rigida e priva dello Spirito. [...]

Vi sono momenti nei quali possiamo essere tentati di ricercare un certo appagamento fuori di Dio. Gesù stesso chiese ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?” (Giovanni 6,67). Un tale allontanamento magari offre l’illusione della libertà. Ma dove ci porta? Da chi possiamo noi andare? Nei nostri cuori, infatti, sappiamo che solo il Signore ha “parole di vita eterna” (Giovanni 6,67-69). L’allontanamento da lui è solo un futile tentativo di fuggire da noi stessi (S. Agostino, "Confessioni" VIII,7). Dio è con noi nella realtà della vita e non nella fantasia! Affrontare la realtà, non di sfuggirla: è questo ciò che noi cerchiamo! Perciò lo Spirito Santo con delicatezza, ma anche con risolutezza ci attira a ciò che è reale, a ciò che è durevole, a ciò che è vero. È lo Spirito che ci riporta alla comunione con la Trinità Santissima!

Lo Spirito Santo è stato in vari modi la Persona dimenticata della Santissima Trinità. Una chiara comprensione di lui sembra quasi fuori della nostra portata. E tuttavia quando ero ancora ragazzino, i miei genitori, come i vostri, mi insegnarono il segno della Croce e così giunsi presto a capire che c’è un Dio in tre Persone, e che la Trinità è al centro della fede e della vita cristiana. Quando crebbi in modo da avere una certa comprensione di Dio Padre e di Dio Figlio – i nomi significavano già parecchio – la mia comprensione della terza Persona della Trinità rimaneva molto carente. Perciò, da giovane sacerdote incaricato di insegnare teologia, decisi di studiare i testimoni eminenti dello Spirito nella storia della Chiesa. Fu in questo itinerario che mi ritrovai a leggere, tra gli altri, il grande sant’Agostino.

La sua comprensione dello Spirito Santo si sviluppò in modo graduale; fu una lotta. Da giovane aveva seguito il manicheismo, uno di quei tentativi, che ho menzionato prima, di creare un’utopia spirituale separando le cose dello spirito da quelle della carne. Di conseguenza, all’inizio egli era sospettoso di fronte all’insegnamento cristiano sull’incarnazione di Dio. E tuttavia la sua esperienza dell’amore di Dio presente nella Chiesa lo portò a cercarne la fonte nella vita del Dio uno e trino. Questo lo portò a tre particolari intuizioni sullo Spirito Santo come vincolo di unità all’interno della Santissima Trinità: unità come comunione, unità come amore durevole, unità come donante e dono. Queste tre intuizioni non sono soltanto teoriche. Esse aiutano a spiegare come opera lo Spirito. In un mondo in cui sia gli individui sia le comunità spesso soffrono dell’assenza di unità e di coesione, tali intuizioni ci aiutano a rimanere sintonizzati con lo Spirito e ad estendere e chiarire l’ambito della nostra testimonianza. [...]

Ciò che costituisce la nostra fede non è in primo luogo ciò che facciamo, ma ciò che riceviamo. Dopo tutto, molte persone generose che non sono cristiane possono realizzare ben di più di ciò che facciamo noi. Amici, accettate di essere introdotti nella vita trinitaria di Dio? Accettate di essere introdotti nella sua comunione d’amore?

I doni dello Spirito che operano in noi imprimono la direzione e danno la definizione della nostra testimonianza. Orientati per loro natura all’unità, i doni dello Spirito ci vincolano ancor più strettamente all’insieme del Corpo di Cristo ("Lumen gentium", 11), mettendoci meglio in grado di edificare la Chiesa, per servire così il mondo (Efesini 4,13). Ci chiamano ad un’attiva e gioiosa partecipazione alla vita della Chiesa [...]. Sì, la Chiesa deve crescere nell’unità, deve rafforzarsi nella santità, ringiovanirsi, e costantemente rinnovarsi ("Lumen gentium", 4). Ma secondo quali criteri? Quelli dello Spirito Santo! Volgetevi a lui, cari giovani, e scoprirete il vero senso del rinnovamento.


6. Una "nuova era" che rinnovi il mondo e la Chiesa

Dall'omelia della messa con i giovani, Sydney, Ippodromo di Randwick, domenica 20 luglio 2008

Cari amici, [...] “avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi”. Queste parole del Signore Risorto hanno uno speciale significato per quei giovani che saranno confermati, segnati con il dono dello Spirito Santo, durante questa santa messa. Ma queste parole sono anche indirizzate ad ognuno di noi, a tutti coloro cioè che hanno ricevuto il dono dello Spirito di riconciliazione e della nuova vita nel Battesimo, che lo hanno accolto nei loro cuori come loro aiuto e guida nella Confermazione e che quotidianamente crescono nei suoi doni di grazia mediante la santa Eucaristia. In ogni messa, infatti, lo Spirito Santo discende nuovamente, invocato nella solenne preghiera della Chiesa, non solo per trasformare i nostri doni del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue del Signore, ma anche per trasformare le nostre vite, per fare di noi, con la sua forza, “un solo corpo ed un solo spirito in Cristo”.

Ma che cosa è questo “potere” dello Spirito Santo? È il potere della vita di Dio! È il potere dello stesso Spirito che si librò sulle acque all’alba della creazione e che, nella pienezza dei tempi, rialzò Gesù dalla morte. È il potere che conduce noi e il nostro mondo verso l’avvento del Regno di Dio. Nel Vangelo di oggi, Gesù annuncia che è iniziata una nuova era, nella quale lo Spirito Santo sarà effuso sull’umanità intera (Luca 4,21). Egli stesso, concepito per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria, è venuto tra noi per portarci questo Spirito. Come sorgente della nostra nuova vita in Cristo, lo Spirito Santo è anche, in un modo molto vero, l’anima della Chiesa, l’amore che ci lega al Signore e tra di noi e la luce che apre i nostri occhi per vedere le meraviglie della grazia di Dio intorno a noi. [...]

Questa forza, la grazia dello Spirito, non è qualcosa che possiamo meritare o conquistare; possiamo solamente riceverla come puro dono. L’amore di Dio può effondere la sua forza solo quando gli permettiamo di cambiarci dal di dentro. Noi dobbiamo permettergli di penetrare nella dura crosta della nostra indifferenza, della nostra stanchezza spirituale, del nostro cieco conformismo allo spirito di questo nostro tempo. Solo allora possiamo permettergli di accendere la nostra immaginazione e plasmare i nostri desideri più profondi. Ecco perché la preghiera è così importante: la preghiera quotidiana, quella privata nella quiete dei nostri cuori e davanti al Santissimo Sacramento e la preghiera liturgica nel cuore della Chiesa. Essa è pura ricettività della grazia di Dio, amore in azione, comunione con lo Spirito che dimora in noi e ci conduce, attraverso Gesù, nella Chiesa, al nostro Padre celeste. Nella potenza del suo Spirito, Gesù è sempre presente nei nostri cuori, aspettando quietamente che ci disponiamo nel silenzio accanto a Lui per sentire la sua voce, restare nel suo amore e ricevere la “forza che proviene dall’alto”, una forza che ci abilita ad essere sale e luce per il nostro mondo. [...]

La forza dello Spirito Santo non ci illumina soltanto né solo ci consola. Ci indirizza anche verso il futuro, verso l’avvento del Regno di Dio. Che magnifica visione di una umanità redenta e rinnovata noi scorgiamo nella nuova era promessa dal Vangelo odierno! San Luca ci dice che Gesù Cristo è il compimento di tutte le promesse di Dio, il Messia che possiede in pienezza lo Spirito Santo per comunicarlo all’intera umanità. L’effusione dello Spirito di Cristo sull’umanità è un pegno di speranza e di liberazione contro tutto quello che ci impoverisce. Tale effusione dona nuova vista al cieco, manda liberi gli oppressi, e crea unità nella e con la diversità (Luca 4,18-19; Isaia 61,1-2). Questa forza può creare un mondo nuovo: può “rinnovare la faccia della terra” (Salmo 104, 30)!

Rafforzata dallo Spirito e attingendo ad una ricca visione di fede, una nuova generazione di cristiani è chiamata a contribuire all’edificazione di un mondo in cui la vita sia accolta, rispettata e curata amorevolmente, non respinta o temuta come una minaccia e perciò distrutta. Una nuova era in cui l’amore non sia avido ed egoista, ma puro, fedele e sinceramente libero, aperto agli altri, rispettoso della loro dignità, un amore che promuova il loro bene e irradi gioia e bellezza. Una nuova era nella quale la speranza ci liberi dalla superficialità, dall’apatia e dall’egoismo che mortificano le nostre anime e avvelenano i rapporti umani. Cari giovani amici, il Signore vi sta chiedendo di essere profeti di questa nuova era, messaggeri del suo amore, capaci di attrarre la gente verso il Padre e di costruire un futuro di speranza per tutta l’umanità.

Il mondo ha bisogno di questo rinnovamento! In molte nostre società, accanto alla prosperità materiale, si sta allargando il deserto spirituale: un vuoto interiore, una paura indefinibile, un nascosto senso di disperazione. Quanti dei nostri contemporanei si sono scavati cisterne screpolate e vuote (Geremia 2,13) in una disperata ricerca di significato, di quell’ultimo significato che solo l’amore può dare? Questo è il grande e liberante dono che il Vangelo porta con sé: esso rivela la nostra dignità di uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio. Rivela la sublime chiamata dell’umanità, che è quella di trovare la propria pienezza nell’amore. Esso dischiude la verità sull’uomo, la verità sulla vita.

Anche la Chiesa ha bisogno di questo rinnovamento! Ha bisogno della vostra fede, del vostro idealismo e della vostra generosità, così da poter essere sempre giovane nello Spirito ("Lumen gentium", 4). Nella seconda Lettura di oggi, l’apostolo Paolo ci ricorda che ogni singolo Cristiano ha ricevuto un dono che deve essere usato per edificare il Corpo di Cristo.


7. Quel "sì" che cambia la storia

Dall'Angelus al termine della messa con i giovani, Sydney, Ippodromo di Randwick, domenica 20 luglio 2008


Cari giovani amici, [...] nell’Antico Testamento Dio si era rivelato in modo parziale, in modo graduale, come tutti noi facciamo nei nostri rapporti personali. Ci volle tempo perché il popolo eletto approfondisse il suo rapporto con Dio. L’alleanza con Israele fu come un periodo di corteggiamento, un lungo fidanzamento. Venne quindi il momento definitivo, il momento del matrimonio, la realizzazione di una nuova ed eterna alleanza. In quel momento Maria, davanti al Signore, rappresentava tutta l’umanità. Nel messaggio dell’angelo, era Dio ad avanzare una proposta di matrimonio con l’umanità. E a nome nostro, Maria disse di sì.

Nelle fiabe, i racconti terminano qui, e tutti “da quel momento vivono contenti e felici”. Nella vita reale non è così facile. Molte furono le difficoltà con cui Maria dovette cimentarsi nell’affrontare le conseguenze di quel "sì" detto al Signore. Simeone profetizzò che una spada le avrebbe trafitto il cuore. Quando Gesù ebbe dodici anni, ella sperimentò i peggiori incubi che ogni genitore può provare, quando, per tre giorni, suo figlio si era smarrito. E dopo la sua attività pubblica, ella soffrì l’agonia di essere presente alla sua crocifissione e morte. Attraverso le varie prove ella rimase sempre fedele alla sua promessa, sostenuta dallo Spirito di fortezza. E ne fu ricompensata con la gloria.

Cari giovani, anche noi dobbiamo rimanere fedeli al "sì" con cui abbiamo accolto l’offerta di amicizia da parte del Signore. Sappiamo che egli non ci abbandonerà mai. Sappiamo che Egli ci sosterrà sempre con i doni dello Spirito. Maria ha accolto la proposta del Signore a nome nostro. [...] Maria è il nostro esempio e la nostra ispirazione; Ella intercede per noi presso il suo Figlio, e con amore materno ci protegge dai pericoli.


Solidarietà e confusione: il caso Eluana Englaro. Lettera a Giuliano Ferrara, di Massimo Introvigne (il Foglio, 17 luglio 2008)
Caro Direttore,
voglio esprimerLe, insieme all'adesione all'iniziativa"Acqua per Eluana Englaro", il ringraziamento per avere - insieme a pochi altri, e purtroppo non a tutti coloro che pure si dicono pubblicamente cattolici - fatto finalmente chiarezza sulla natura della questione di cui stiamo parlando.
Il caso di Eluana non c'entra nulla con il diritto a rifiutare cure mediche o forme di accanimento terapeutico, perché l'alimentazione e l'idratazione - mangiare e bere - non sono cure mediche. Anche sul testamento biologico è giusto che ciascuno esponga chiaramente le sue posizioni, ma senza inganni e senza giri di parole. Possiamo discutere sull'esatta natura, giuridica e morale, di un testamento biologico dove si chieda anticipatamente di sospendere talune cure mediche in caso di malattia terminale senza speranza di guarigione. Possiamo anche discutere su un documento dove nel caso di certe malattie si chieda anticipatamente l'interruzione della somministrazione di acqua e cibo. Quello che non dovremmo fare è definire pudicamente il documento, in questo secondo caso, "testamento biologico", perché si tratta a tutti gli effetti di un consenso anticipato all'eutanasia, che - precisamente come temono i vescovi - introdurrebbe nel nostro ordinamento giuridico l'eutanasia senza chiamarla con il suo nome.
Il 1° agosto 2007 la Congregazione per la dottrina della fede nel documento "Risposta a quesiti della Conferenza
Episcopale Statunitense circa l'alimentazione e l'idratazione artificiali" aveva appunto pazientemente spiegato che l'interruzione della somministrazione di cibo e acqua non costituisce interruzione di cure mediche ma soppressione deliberata di una vita umana, cioè eutanasia.
All'epoca del documento alcuni "cattolici adulti" nostrani avevano avanzato la solita obiezione: la Congregazione per la dottrina della fede si occupi dei cattolici ma non pretenda d'ingerirsi negli affari dello Stato. In altre parole - si diceva - i cattolici sono liberi di non chiedere la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione per sé e per i loro cari ma non possono impedire che la chiedano altri, non credenti, che ragionano in base a principi morali diversi.
Ma anche qui - a chiamare le cose con il loro nome - tutto si chiarisce. Basta sostituire le parole "sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione" con la parola "omicidio" (in effetti, si può certamente commettere un omicidio per omissione: se una madre smette di dare da mangiare e da bere a un neonato che non è in grado di procurarsi cibo e bevande da solo, il neonato muore). Neppure il più forsennato dei relativisti sottoscriverebbe una frase come: "I cattolici sono liberi di non commettere omicidi ma non possono impedire che li commettano altri, che ragionano in base a principi morali diversi".
La verità è che quando il Papa, i vescovi e la Congregazione per la dottrina della fede ricordano che somministare cibo e bevande non è una cura medica non desumono questo dato da un versetto della Bibbia ma dalla ragione e dal semplice buon senso. E i dati di ragione e di buon senso fanno parte di quelle regole del gioco su cui si regge la società, e che obbligano tutti: cattolici e buddhisti, credenti e non credenti. Se viene meno questa che il Papa chiama "grammatica della vita sociale" viene meno, propriamente, la società e il diritto della ragione è sostituito dalla semplice violenza del più forte. Che il più forte, qualche volta, sia vestito da giudice non cambia la sostanza delle cose.

Con stima
Massimo Introvigne


Come Wojtyla, adesso è a suo agio tra le folle
I giovani seguono «il» Papa in quanto vicario, testimone e annunciatore di una Persona viva e presente da duemila anni, la risposta alle attese più profonde del cuore dell’uomo…
di Andrea Tornielli
A piccoli passi, vincendo la preoccupazione per un viaggio lungo, temuto e per sua stessa ammissione «logorante», l’ottantunenne Benedetto XVI ha scritto un altro importante capitolo del suo pontificato. Si era discusso non poco sull’opportunità di questa trasferta transoceanica, un volo lungo un giorno intero con un’unica breve sosta a Darwin. Joseph Ratzinger, che soffre particolarmente il cambiamento di fuso orario e fin dai primi anni Novanta ha avuto problemi cardio-circolatori, ha superato questo scoglio, grazie ai provvidenziali primi tre giorni di riposo, nonostante il successivo programma denso di celebrazioni, incontri e discorsi. Ha sopportato bene le lunghe cerimonie, mostrando di saper misurare le forze.
Si era detto, subito dopo la sua elezione, nell’aprile 2005, che il successore del Papa globetrotter Giovanni Paolo II avrebbe viaggiato poco, a causa dell’età: da allora non solo ha visitato vari Paesi europei, ma ha fatto viaggi in Brasile, Stati Uniti e ora in Australia. In settembre andrà a Parigi e Lourdes, e per l’anno prossimo sono allo studio trasferte in Messico (per il raduno mondiale delle famiglie) e in Africa. È noto il desiderio del Pontefice di potersi recare in Giordania, Israele e Territori palestinesi, ovviamente se le condizioni per un tale viaggio si realizzeranno; come pure c’è chi prospetta la possibilità di un viaggio in India. Allo stesso modo, il Papa che non ama le messe oceaniche e i raduni-spettacolo, ha fatto esperienza della bontà dell’intuizione del suo predecessore e ha appena finito di celebrare la sua seconda Giornata mondiale della Gioventù, con una messa dove si è cantato anche in gregoriano, ma durante la quale abbiamo assistito a una suggestiva processione del vangelo accompagnato da canti e danze di aborigeni con la gonna di paglia.
Sempre timido davanti alle folle, sempre sorpreso, come il primo giorno, dell’affetto dei giovani, che magari hanno fatto un po’ difficoltà a seguire la veloce lettura dei suoi discorsi in inglese, ma lo acclamano come acclamavano Wojtyla, Papa Ratzinger prima ha detto «addio» ai 350mila ragazzi nell’ippodromo di Randwick, poi ha corretto con un «arrivederci», concludendo: «Spero di rivedervi fra tre anni», a Madrid.
Dopo questi giorni vissuti a Sydney è ancora più evidente che le centinaia di migliaia di giovani pacifici e festanti, che hanno «invaso» la città senza creare alcun incidente, che l’hanno percorsa a piedi in lungo e in largo, che hanno pregato e ascoltato catechesi, rappresentano una forza straordinaria. E non seguono questo o quel Papa, ma «il» Papa, in quanto vicario, testimone e annunciatore di una persona viva e presente da duemila anni, la risposta alle attese più profonde del cuore dell’uomo.
Il Giornale n. 29 2008-07-21


22 luglio 2008
Le scimmie, la persona umana e lo zoologicamente corretto, di Giuliano Ferrara, dal Foglio.it
Nel 1993 lo studioso di Princeton Peter Singer, con la sua collaboratrice Paola Cavalieri, fondò il Great Ape Project, il Progetto Grandi Scimmie. Singer è un bioeticista e animalista. Pensa che gli scimpanzè, gli orango (da orang-utan, in malese, per uomo della foresta) e i gorilla siano dotati di pensiero, qualunque cosa il termine “pensiero” stia ad indicare, e che abbiano una vita emozionale sviluppata, incardinata sull’autocoscienza personale: in quanto esseri sensibili, e nostri cugini primi dal punto di vista genetico, questi animali si prestano al ruolo di portabandiera della liberazione animalista, e sono i campioni giusti per la lotta zoologicamente corretta contro la schiavitù animale, contro lo specismo, una variante del razzismo altrettanto obbrobriosa. Un mese fa la commissione ambiente delle Cortes spagnole ha preso in carico il Great Ape Project e così, per la prima volta, un Parlamento nazionale ha stabilito le condizioni di libertà o di custodia al solo scopo conservativo, insomma i diritti civili, degli animali non umani dai quali secondo Darwin l’uomo discende.
Osservatori di vario conio conservatore hanno commentato: e al toro quando cominceremo a pensarci, caballeros? Ma se l’ironia è una cifra possibile, in realtà la faccenda è più complicata di quanto sembri. L’animalismo liberazionista, insomma l’ideologia radicale di tutela degli altri animali, quelli non umani, ha per sé certamente lo spirito del tempo. E pensa ai cavalli, che non dovrebbero più tirare le carrozze. Alle galline, che non dovrebbero essere ridotte in schiavitù, ovvero ristrette nei pollai e nei pollai industriali, per fare le uova che mangiamo. Ai conigli, i cui allevamenti da carne vanno distrutti. Che la faccenda si complichi anche politicamente, a sentire la denuncia dello stesso Peter Singer, lo si vede dal caso austriaco, con dieci leader animalisti detenuti da oltre un mese in condizioni legali curiose o decisamente ambigue. Non abbiamo dimenticato, d’altra parte, quella muta icona contemporanea che è l’assassino di Pim Fortuyn, un militante animalista e vegetariano integrale che non ha mai spiegato perché si sia accanito a morte contro un difensore umanista della civiltà occidentale come il politico olandese libertario e dandy. Forse non c’era alcunché da spiegare, era tutto molto chiaro.
La vicenda ideologica e militante dell’animalismo radicale va seguita meglio di quanto non si sia finora riusciti a fare, per la semplice ragione che l’amore portato al concetto di animalità o di vivente non umano, compresa la mistica del romanticismo verde, è direttamente proporzionale al disprezzo per la persona umana di cui il nostro tempo è testimone. Vi abbiamo raccontato in passato le idee di Singer sulla bioetica, ma si può e si deve fare meglio. Gli animalisti integrali sono l’avanguardia pensante, e che non ha affatto l’aria di scherzare, di un’orda barbarica capace di rinnovare la nostra civiltà. L’umanesimo è considerato una vecchia inservibile scarpa spaiata. Alla corposa e giocosa parte in commedia di uomini donne e bambini, che divorano uova e vanno allo zoo, si va sostituendo un qualche nuovo copione. Da leggere.


21 luglio 2008
La scelta sulla propria vita è conforme al volere di Dio. Il dramma è che in questo caso manca, di Vito Mancuso dal Foglio.it
Tre premesse fondamentali. La prima è che io, personalmente, sono contrario a che si interrompa l’alimentazione di Eluana, e se mi trovassi a vivere una condizione del genere, vorrei rimanere al mio posto di combattimento, anche con la sola vita vegetale ma comunque al mio posto nel grande ventre dell’essere: nessun accanimento terapeutico, ma vivere fino in fondo la vita, secondo la tradizionale visione cattolica della morale della vita fisica. La seconda premessa è che adesso non si tratta di me ma di Eluana, e che ciò che è un valore per me non è detto che lo sia per lei: ciò che per uno può essere edificazione, per un altro che la pensa diversamente si può tramutare in tortura. Una diversa concezione della vita produce una diversa etica, e da una diversa etica discende una diversa valutazione delle situazioni concrete. La terza premessa è che lo stato laico deve produrre, a partire dalle diverse etiche dei suoi cittadini, un diritto unico, tale da essere per quanto possibile la casa di tutti, dove tutti vedano riconosciuta la possibilità di vivere e di morire secondo la propria concezione del mondo, realizzando con questo la giustizia, che, com’è noto, consiste nel dare a ciascuno il suo. La distinzione tra etica e diritto è decisiva.
Fatte queste tre premesse mi posso concentrare sulla dimensione teologica del caso Eluana. Nel suo articolo al riguardo (un articolo profondo e riflessivo, in grado di generare capacità di giudizio nelle coscienze, uno dei compiti principali dei pastori della Chiesa) il cardinal Tettamanzi ha fatto riferimento al miracolo di Gesù che riporta in vita la figlia di uno dei capi della sinagoga di una città nei pressi del Lago di Tiberiade (cf. Marco 5, 21-43). Purtroppo qui da noi non ci sono molte possibilità che Gesù si presenti alla clinica Beato Luigi Talamoni di Lecco, prenda per mano Eluana e le dica Talità kum, “fanciulla alzati”. Sarebbe giusto, oltre che bello. Eluana e la sua famiglia se lo meriterebbero dopo anni di sofferenze, sarebbe anche un segno che porterebbe alla fede tanti uomini. Ma è abbastanza improbabile che avverrà. Anche quei poteri di guarigione che Gesù aveva lasciato agli apostoli (“guarite gli infermi, risuscitate i morti”, Matteo 10, 8; cf. anche Marco 16, 17-18; Luca 9, 1-2 e 6) col tempo sembrano svaniti. Sta scritto che san Pietro guariva al solo passare perché era sufficiente che la sua ombra ricoprisse i malati (cf. Atti degli apostoli 5, 15-16), ma da secoli per i suoi successori non risulta nulla del genere. Sta scritto anche: “Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà” (Giovanni 16, 23), e io sono sicuro che le suore Misericordine quotidianamente pregano per Eluana, e con le suore chissà quanti altri pregano nel nome di Gesù chiedendo il ritorno di Eluana alla vita normale, ma non accade nulla di quanto richiesto.
Quello che accade è un’altra cosa. Che cosa? Chi crede in Dio e insieme guarda al mondo per quello che è, non può fare a meno di vedere lo svolgimento di un dramma sul corpo di quella giovane donna i cui protagonisti principali sono il suo padre terreno e il suo Padre celeste. Sul rapporto tra Eluana e il padre terreno sono state scritte molte cose, soprattutto da parte di alcuni cattolici che manifestano in questi giorni un interesse e un affetto che si pretendono persino superiori a quelli del padre terreno e della madre terrena. Ho letto parole sprezzanti verso il signor Englaro, ho letto dichiarazioni che parlano di “uccisione”, di “omicidio”. E siccome dietro la sentenza della Corte di appello di Milano c’è la richiesta del padre terreno di Eluana, è logico concludere che per qualcuno i genitori terreni vorrebbero “uccidere” la figlia. L’ideologia può accecare. Anche l’ideologia che deriva dalla degenerazione della fede acceca. Si tratta di un fenomeno già riscontrato nella storia della Chiesa: con lo stesso zelo che oggi intende difendere la vita, nei secoli passati si seminava morte mettendo al rogo chi la pensava diversamente. Un tempo i roghi, oggi le insinuazioni di omicidio verso il padre e la madre di Eluana: io non vedo una significativa differenza per quanto attiene alla qualità della violenza.
Ma vengo al rapporto tra Eluana e il Padre celeste. Come ho imparato da un anziano professore di teologia morale, procedo secondo uno schema forse un po’ rigido ma certamente in grado di contribuire alla chiarezza e al rigore del ragionamento. Di fronte a qualunque evento, quindi anche di fronte al caso Eluana, occorre chiedersi se Dio lo vuole o non lo vuole. La domanda quindi è: Dio ha voluto l’incidente stradale del 18 gennaio 1992 che ha condotto Eluana alle condizioni a tutti note, e vuole da allora che questa giovane donna viva così come vive, senza favorirne la guarigione? Alla domanda si può rispondere sì o no, e a seconda della risposta discende una particolare teologia e poi una particolare etica.
A partire dalla rivelazione depositata nella Bibbia entrambe le risposte sono possibili. Chi sostiene che Dio lo vuole si può rifare a Isaia 45, 7: “Io sono il Signore e non ve n’è alcun altro. Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo”. Questo testo biblico afferma che Dio provoca la sciagura: quindi anche quella del 18 gennaio 1992 ha in lui la sua causa. Nulla infatti può avvenire nella storia che sia contrario alla volontà di Dio. Tanto più se si tratta dell’uomo, oggetto di cura privilegiata: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri” (Matteo 10,29-31). Ogni giorno molti “passeri” cadono a terra: avvengono decine di incidenti sulla strada e sul lavoro, fioriscono malattie di ogni tipo (solo di tumori ce ne sono almeno un centinaio di specie), nascono bambini malformati (le malattie genetiche censite sono oltre seimila)… se si dovessero elencare i mali che colpiscono quotidianamente il genere umano non basterebbe l’intero giornale. Dio però secondo questa visione governa i singoli eventi con onnipotenza, egli è all’origine di ogni cosa che nel bene e nel male avviene nel mondo, soprattutto per noi, “suo popolo e gregge del suo pascolo” (Salmo 100,3). Egli è il Signore, e non ce n’è un altro: non c’è “il caso”, cui ricondurre almeno qualche evento. La volontà divina manifesta se stessa nella fisicità di ogni evento, il legame tra il Dio personale e il mondo è diretto, forte, assoluto.
Alla domanda se Dio abbia voluto l’incidente stradale del 18 gennaio 1992 e ciò che ne è seguito si può anche rispondere no, risposta altrettanto legittima alla luce della rivelazione depositata nella Bibbia. Quasi in diretta contrapposizione col testo di Isaia citato sopra che attribuisce a Dio la luce e le tenebre, la Prima Lettera di Giovanni afferma che “Dio è luce e in lui non ci sono tenebre” (1 Giovanni 1, 5), arrivando poi per due volte a dire che “Dio è amore” (1 Giovanni 4, 8 e 4, 16). Il testo non dice che Dio ha amore, ma che “è” amore, nel senso che l’essenza di Dio è l’amore, e quindi egli non può che volere e operare secondo l’amore, come il padre di cui parla Gesù nella famosa parabola di Luca 15. Ma occorre andare oltre, perché tale amore che è Dio ha assunto carne umana, prefigurando così il paradigma ontologico ed etico in base al quale il bene è sempre il bene dell’uomo concreto. Dopo l’Incarnazione non si può più rimandare a un bene misterioso che l’uomo concreto nella sua carne non comprenderebbe. No, dopo l’Incarnazione il bene è sempre il bene dell’uomo concreto.
Tra le due ipotesi io sostengo la seconda, cioè che Dio non abbia voluto l’incidente e non voglia mantenere ancora adesso Eluana nelle condizioni a tutti note senza favorirne il risveglio alla vita normale (e intendo per normale una vita umana che, oltre alla dimensione vegetativa, conosca la dimensione sensitiva e quella razionale e sia in grado di aprirsi alla dimensione spirituale). Mentre chi sceglie la prima alternativa ha il problema di come pensare l’essenza divina in quanto amore, il problema per me a questo punto è come pensare l’onnipotenza di Dio. Dio non vuole che alcuni eventi accadano, e tuttavia essi accadono; Dio non ha voluto l’incidente e tuttavia l’incidente è avvenuto; Dio presumibilmente vuole la guarigione e tuttavia la guarigione non arriva. Cosa pensare? Anche qui sono possibili due risposte. La prima nega che Dio sia onnipotente ed è un’ipotesi oggi seguita da molti in teologia. A mio avviso però si tratta di un’argomentazione infondata perché l’onnipotenza è un attributo peculiare della divinità, un Dio impotente non è divino ma solo una consolatoria proiezione.
La seconda risposta, che è la mia, riconduce l’onnipotenza divina al farsi della libertà del mondo, nel senso che l’onnipotenza divina dispiega se stessa nel costruire un mondo libero, unica condizione perché possa nascere lo spirito e da qui il vero amore che è il fine della creazione (senza libertà, infatti, niente amore). L’onnipotenza divina è funzionale alla libertà, vuole che il mondo giunga alla libertà. Dio crea il mondo (anche adesso lo crea perché la creazione è “continua”) secondo la sua essenza, la quale è libertà compiuta come amore; quindi Dio, creando secondo la sua essenza, non può che creare un mondo libero. Ne viene che l’onnipotenza divina manifesta se stessa nel portare alla nascita della libertà, a partire dalla vita primordiale (dove la libertà si manifesta come caso e come mutazione) fino al dispiegamento effettivo nell’uomo della piena libertà, la libertà consapevole di essere tale e che vuole rimanere tale. Dio quindi vuole la libertà e l’esercizio della libertà è il medium che ci lega a lui. A questo punto possiamo tirare le fila del discorso a livello etico. Secondo la prima impostazione (Dio lo vuole, l’onnipotenza di Dio si manifesta in ogni singola foglia che si muove, perché se lui non volesse nessuna foglia si muoverebbe) la propria vita non è disponibile all’uomo. Il fine della creazione non è la libertà, ma è l’obbedienza, e si dà gloria a Dio in quanto gli si obbedisce sempre e comunque. Dio non vuole figli liberi, vuole servi obbedienti, e per questo “la tua vita non è tua”. L’islam è la perfezione di questo paradigma.
Nella seconda prospettiva invece il fine della creazione è la libertà, e la più alta dignità che l’uomo possa mai esercitare è proprio l’esercizio della libertà consapevole. Essere a immagine e somiglianza di Dio significa essere liberi, liberi veramente non per finta, non fino a un certo punto, liberi anche di deliberare su di sé, sul proprio corpo, perché “la tua vita è tua per davvero”, è un dono totale, non un dono a metà (come quelli che ti regalano una cosa o ti fanno del bene, e poi te lo rinfacciano in ogni momento a mo’ di sottile ricatto). Ne viene che la decisione sulla propria esistenza non è mai formalmente contraria alla volontà di Dio. E’ chiaro che Dio non vuole direttamente la morte di nessuno, anzi egli ha creato ogni cosa per la vita, ed è la vita che celebra la gloria di Dio. Ma più ancora della vita fisica, egli vuole la vita libera. Questo è l’obiettivo del mondo. Se non fosse così, se non fosse la libertà il principale obiettivo, il mondo dovrebbe essere molto diverso: dovrebbe essere ordinato in ogni suo dettaglio, non dovrebbe conoscere il disordine e il male, e nessun incidente stradale sarebbe mai capitato il 18 gennaio 1992 perché una mano sapiente dall’alto avrebbe girato impercettibilmente il volante al momento opportuno. Vi è poi da considerare che se fosse la vita fisica l’obiettivo primario di Dio, si dovrebbe concludere, alla luce dello stato del mondo, che egli è o un grande sconfitto oppure un grande sadico da cui stare prudentemente alla larga. L’obiettivo divino però, ancor più della vita fisica, è la vita libera, e in questa prospettiva Dio realizza veramente il suo piano, perché il mondo che si dispiega ogni minuto sotto i nostri occhi è un immenso esperimento che raggiunge il suo obiettivo, cioè la terribile e insieme meravigliosa alchimia della libertà.
Quindi la deliberazione della libertà sulla propria vita è conforme al volere di Dio, anzi è esattamente ciò che Dio vuole. Naturalmente parlo della “propria” vita, non di quella di altri. Per questo l’aborto è sempre eticamente condannabile, per questo gli embrioni umani sono e devono restare indisponibili. Ma sulla propria esistenza si può deliberare, anzi direi che si deve deliberare, il senso di tutta l’esistenza è una continua ripetizione dell’esercizio della libertà, a partire da quando abbiamo mosso i primi passi, con nostra madre dietro, incerta se sorreggerci o lasciarci, e nostro padre davanti, pronto a prenderci tra le sue braccia. In questa prospettiva ricordo le parole del cardinal Martini: “E’ importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all’uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona… La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto”. Il principio primo e assoluto è la dignità della vita umana e questa si compie nella libertà personale.
La tragedia, nel caso di Eluana, consiste nel fatto che non si dispone di un documento giuridicamente valido dove sia attestata la sua deliberazione su di sé. Anche per questo ritengo il testamento biologico un opportuno strumento di libertà. Ognuno vi scriverà la sua volontà, sia chi vorrà essere mantenuto in vita anche in assenza di consapevolezza e nutrito artificialmente (e io sarò tra questi, a lode alla creazione divina), sia chi non lo vorrà. E ognuno vivrà la sua morte nel modo più conforme allo stile dell’intera sua vita. Non mi sembra che uno stato liberale e democratico possa fare di meglio per i suoi cittadini. E alla luce di come va il mondo, sono abbastanza sicuro che questo dispiegamento della libertà sia anche quello che il Padre celeste vuole di più per ognuno dei suoi figli. Se sono vere le cose che di lui ci ha insegnato Gesù, egli comunque ci attende tutti nella gloria della dimora celeste con immutabile amore, un amore di cui possiamo farci un’idea pensando a quello con cui il signor Englaro, ormai tanti anni fa, seguiva i primi passi della figlia che gli si rifugiava tra le braccia, felice.


21 luglio 2008
L’esercizio della libertà individuale è il problema, non la soluzione Perché esistono il bene, il male e la scelta tra i due. Il professore non sempre ti lascia scampo, ma da qui non si scappa, di Giuliano Ferrara
Mi permetto, “per amore”, qualche glossa alle osservazioni del teologo e nostro collaboratore Vito Mancuso (1). La questione posta dalla sentenza che autorizza la disidratazione del corpo di Eluana, e la sua messa a morte, ci appassiona tutti. Sentiamo e pensiamo, con profonda convinzione ma senza arroganza o disprezzo per chi non è d’accordo, che non si tratta di una questione privata, dei termini di esecuzione di un lascito testamentario, un affare che si possa sbrigare in famiglia e dal notaio. Per ragioni troppo evidenti per essere richiamate in esteso. Ne faccio solo un breve accenno.
C’è una società in cui il capo dello stato rende visita al paziente Andreatta, in stato vegetativo da molti anni, e la sua famiglia attende la fine nella speranza cristiana, come attende la fine il sistema di cura e di relazioni, di assistenza e carità. Su tutte queste faccende tra la vita e la morte si stende il velo pietoso della discrezione, del discernimento umano e razionale, per sua natura flessibile. Ma qui campeggia l’idea caritatevole del primato assoluto della persona e della vita sulla legge, sul criterio scientifico probabilistico, su ogni altro possibile criterio compresa la disposizione testamentaria (intesa come omicidio pietoso del consenziente). E c’è una società, un’altra società, in cui la persona vivente ma non vigile viene spenta sull’onda dell’amore disperato di un padre, della sua famiglia o di parte della sua famiglia (come nel caso di Terry Schiavo), viene spenta per convinzione, per amore e anche per convenzione culturale, giudiziaria, domani legale (il testamento biologico o la sua sinistra cugina, l’eutanasia). Qui leggi e sentenze fissano con rigidità una “conclusione per il nulla” che diventa il simbolo della nostra libertà.
Sono due società diverse, la società della speranza e quella della disperazione. Possono convivere e convivono nei cuori, nelle teste, nelle aspettative di tanta buona gente convinta che la sofferenza e la morte vadano esorcizzate con l’appello alla dignità del morire “come vi piace”, e di tanti che al contrario a sofferenza e morte attribuiscono un significato. Ma sono e restano società diverse, in naturale e filosofico e storico conflitto. Per il professor Mancuso il conflitto etico discende da quello teologico: da una parte la libertà umana di scegliere per sé e disporre della propria vita, perché Dio è amore, perché l’Incarnazione rende concreto il problema dell’uomo, perché l’onnipotenza divina si realizza attraverso la libertà della creatura, e dall’altra l’obbedienza senza riserve al codice della natura o ai comandamenti di un Dio personale, onnisciente onnipotente e provvidente. E il conflitto lo risolve il diritto laico concedendo a ciascuno di fare quel che crede.
E invece a me sembra che il conflitto sia quello tra carità e legge, il tipico e primigenio conflitto che sta all’origine stessa del messianismo cristiano: come per l’aborto, il diritto potrà stabilire mille volte che, se lo vuoi, tu puoi staccare un sondino nasogastrico e procedere, ma tu non devi farlo. Puoi farlo, non devi. Per la semplice ragione che non sei creatore ma creatura, e il solo disporre della vita come di un prodotto della tua volonta è una manomissione dell’esistenza razionale, della dignità spirituale e razionale della persona umana, sia quella che “stacca” sia quella che è staccata.
E’ significativo che le note del professor Mancuso sul caso di Eluana, piene di cura amorevole, di rispetto umano, di attenzione filosofica e teologica ai passaggi più impervi del caso, si aprano con un paio di fulminanti dichiarazioni relativiste. Non esistono per lui queste due società in conflitto, non esiste una discussione di etica pubblica in funzione della quale ci si attesta su usi, costumi ricevuti, norme riconosciute o date (le tavole, per esempio). Esiste soltanto la libertà individuale, che si certifica attraverso una concezione della vita irriducibile a un criterio comune, a una verifica tra i soggetti umani. A ciascuno la propria libera idea della dignità (2).
Osserva dunque Mancuso, dopo aver dichiarato la personale intenzione di lasciare libero corso alla sua vita naturale: “Ciò che è un valore per me non è detto che lo sia per lei [per Eluana, ndr]”. Aggiunge: “Una diversa concezione della vita produce una diversa etica” e “lo stato laico deve produrre, a partire dalle diverse etiche dei suoi cittadini, un diritto unico, tale da essere per quanto possibile la casa di tutti”, perché “la distinzione tra etica e diritto è decisiva”.
Ammiro la semplicità diretta e franca con cui il teologo cristiano abbraccia la forma radicale moderna e positivista della liberaldemocrazia o la sua variante procedurale del socialismo ciudadano in cui contano le maggioranze e le procedure, e basta (un liberale religioso come John Locke, per non parlare di Edmund Burke, non sottoscriverebbe mai quelle affermazioni). Venuto come sono da una giovinezza totalitaria, la mia decisione per la libertà è definitiva. Ma più invecchio più la sento fragile, ancora tutta da spiegare. E di fronte alla laïcité rigorosa, proceduralistica, di un Mancuso, mi viene sofisticamente da obiettare che: primo, se i tuoi valori sono sempre inferiori al valore della loro convivenza con valori opposti, allora non sono valori né relativi né assoluti, sono opinioni fuggevoli; secondo, come si faccia a concepire la vita e poi a produrre un’etica, io non lo so, per me si arriva a concepire la vita mentre si scopre, si rinviene, si riconosce un fondamento etico della vita stessa, poiché l’etica è una religione o una filosofia o perfino una incerta narrazione, ma non un’ideologia; terzo, il diritto è una serie di caselle particolari, che riconoscono la distinzione ma non la dissociazione tra etica e legge, caselle normative fondate su una norma fondamentale derivata dall’osservazione razionale della natura, della sua struttura creaturale e metafisica, e da principi dati, tramandati o rivelati, altrimenti il diritto si trasforma in un mostro onnipotente autoreferenziale come il Leviatano contrattualista, il contratto sociale giacobino, lo stato etico, lo stato autosufficiente del positivismo giuridico eccetera, fino al partito unico e alla classe, se vogliamo.
La parte più direttamente teologica dello scritto di Vito Mancuso è molto bella, conduce a conclusioni sentite con intensità e ragionate con grande intelligenza della cosa. Mi stupisce però. Mi stupisce come non credente, tanto per cominciare, il cristianesimo come implausibilità assoluta. Mancuso dice che nessun Cristo e nessun Pietro riscatterà dal suo dolore o dalla sua condizione vegetativa Eluana, come avvenne per la figlia di Giairo nel vangelo secondo Marco (l’episodio è rammentato dal cardinal Tettamanzi). Hai voglia a pregare, “non accade nulla di quanto richiesto”.
I miracoli sono cose successe tanti anni fa, e oltre tutto più che cose sono segni, questo è vero; ma che cosa resta della fede, sia pure di una fede da rifondare come quella che professa il teologo laico Mancuso, quando la sostanza di cose sperate si dissolve nell’implausibile, si scioglie nella corrosione acida dell’inverosimile? In che cosa si è salvi, di grazia, nella speranza o nel testamento biologico? E quanto alla ragione, che è quel che mi interessa come non credente, devo dunque rassegnarmi a restringerla ai dati sperimentali, alle diagnosi e alle prognosi piuttosto fallibili del possibile tecnico-scientifico, alla dimensione utilitaria che si disinteressa della verità? E l’impulso di allargarne lo spazio fino a comprendere la nozione di fede come elemento cruciale della condizione umana e della storia sociale del mio tempo, che debbo fare, debbo bruciarlo sull’altare del realismo, del relativismo e della solita vecchia morte di Dio? Certe volte il professore non ti lascia scampo.
Le teologie danno sempre il meglio di sé quando trattano la figura del padre, e lo scritto di Mancuso anche in questa ultima parte, dedicata al padre terreno e a quello celeste di Eluana, non fa eccezione (3). Mi fermo sulla soglia di questa definizione del divino, di questa teodicea complessa e sottile, semplice e beata, che Mancuso porta per mano a conclusioni da spirito assoluto hegeliano, conclusioni trionfanti e felici che parlano di “esercizio della libertà consapevole” come soluzione finale del problema, come happy ending. Mi limito a questa osservazione. L’esercizio della libertà consapevole non è la scelta etica che noi facciamo per risolvere il problema della distinzione del bene e del male, non del bene e del male per noi ma del bene morale in sé e per sé: l’esercizio consapevole della libertà è il problema, è il dilemma, è il metodo che si autotrascende accettando il tabù della vita indisponibile o realizzando la possente signoria dell’uomo sull’uomo. Il professore non sempre ti lascia scampo, ma qui non si scappa.

(1) Come ha detto con altre parole il cardinal Ruini nella sua straordinaria conversazione con Marco Burini (Il Foglio, 17 luglio), la teologia laica di Vito Mancuso rompe la forma cattolica ma si propone come modello di pensiero e di scrittura alternativo a una teologia accademica, irrilevante o inerte. Questo intervento del professor Mancuso sul caso di Eluana Englaro, la giovane donna priva da molti anni di coscienza vigile, del cui diritto di continuare a “vivere così” o di lasciare il mondo si sta discutendo oggi in Italia, dimostra che Ruini ha ragione.

(2) In tema di relativismo etico è anche significativa la citazione gloriosa e finale dal cardinal Martini, influente uomo di chiesa convinto che debba essere difeso lo spazio di un relativismo cristiano, anche nella tempesta veritativa scatenata da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a coronamento del dramma novecentesco del Concilio. Dice il Martini citato da Mancuso che la dignità del vivere è più importante del vivere. Ora il bios, il vivere biologico, ha un ancoraggio materiale e oggettivo all’essere e al divenire, perché si coglie la differenza tra un corpo caldo e uno freddo, tra un occhio che si apre al mattino e un occhio che non si aprirà mai più; mentre la dignità del vivere è letteralmente disancorata, galleggia nel mare dello spirito, nella decisione di coscienza del soggetto umano libero. La dignità del vivere in opposizione alla vita biologica ha per sé forse la più vera e bella delle realtà cristiane, l’affermazione dello spirito contro la carne, ma è anche equivocabile, è esposta ai sofismi dell’Anticristo e alle lusinghe della disperazione, che cristiana non è, e alle seduzioni del nulla.

(3) E’ un errore, secondo me, attribuire lo spirito maligno dell’insinuazione personale, frutto per di più di odio teologico deviato e dunque di fanatismo arcaico, da rogo inquisitoriale, a coloro che criticano duramente come “condanna a morte” la sentenza voluta dal padre di Eluana. E’ un punto a cui tengo molto, riemerso sempre maldestramente in tutte le polemiche sull’aborto di questi mesi (sei contro l’aborto e allora dici che le donne sono assassine). Io non sono d’accordo con la critica all’amore di padre di Beppino Englaro, che è al di sopra di ogni considerazione, in quanto tale, in quanto amore. Ma le cose vanno nominate con il loro nome. Una sentenza che toglie la vita è una condanna a morte, come la distruzione di un feto nel grembo materno è un omicidio. Il che non implica affatto la responsabilità personale dei giudici o del padre ricorrente o della gestante. Mi viene da dire: magari fosse tutto risolvibile in termini di responsabilità personali. Qui è in atto una dialettica di grazia e peccato, da una parte, come nella vita di ciascuno di noi, e una guerra culturale del tutto impersonale all’inservibile concetto di persona umana, un avanzo del cristianesimo che il secolarismo ideologico tende a gettare nella discarica dei suoi incubi.