martedì 1 luglio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: l'Anno Paolino, tempo di unità ed evangelizzazione - Parole introduttive alla preghiera dell'Angelus
2) Perché difendo il ministro dell'Interno Maroni nella decisione di far prendere le impronte digitali ai rom a tutela dei bambini, di Magdi Cristiano Allam
3) Gli eurocrati odiano i popoli e le nazioni, di Claudio Risè
4) La giustizia è un'emergenza del Paese, non del premier
5) La genetica batte il cancro Ma è solo un’illusione, di Marina Corradi
6) Catella ordinato vescovo «Canterò la misericordia»


Benedetto XVI: l'Anno Paolino, tempo di unità ed evangelizzazione - Parole introduttive alla preghiera dell'Angelus
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 30 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato questa domenica da Benedetto XVI in occasione della preghiera mariana dell'Angelus recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
quest’anno la festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo ricorre di domenica, così che tutta la Chiesa, e non solo quella di Roma, la celebra in forma solenne. Tale coincidenza è propizia anche per dare maggiore risalto ad un evento straordinario: l’Anno Paolino, che ho aperto ufficialmente ieri sera, presso la tomba dell’Apostolo delle genti, e che durerà fino al 29 giugno 2009. Gli storici collocano infatti la nascita di Saulo, diventato poi Paolo, tra il 7 e il 10 dopo Cristo. Perciò, al compiersi di circa duemila anni, ho voluto indire questo speciale giubileo, che naturalmente avrà come baricentro Roma, in particolare la Basilica di San Paolo fuori le Mura e il luogo del martirio, alle Tre Fontane. Ma esso coinvolgerà la Chiesa intera, a partire da Tarso, città natale di Paolo, e dagli altri luoghi paolini meta di pellegrinaggi nell’attuale Turchia, come pure in Terra Santa, e nell’Isola di Malta, dove l’Apostolo approdò dopo un naufragio e gettò il seme fecondo del Vangelo. In realtà, l’orizzonte dell’Anno Paolino non può che essere universale, perché san Paolo è stato per eccellenza l’apostolo di quelli che rispetto agli Ebrei erano "i lontani" e che "grazie al sangue di Cristo" sono diventati "i vicini" (cfr Ef 2,13). Per questo anche oggi, in un mondo diventato più "piccolo", ma dove moltissimi ancora non hanno incontrato il Signore Gesù, il giubileo di san Paolo invita tutti i cristiani ad essere missionari del Vangelo.
Questa dimensione missionaria ha bisogno di accompagnarsi sempre a quella dell’unità, rappresentata da san Pietro, la "roccia" su cui Gesù Cristo ha edificato la sua Chiesa. Come sottolinea la liturgia, i carismi dei due grandi Apostoli sono complementari per l’edificazione dell’unico Popolo di Dio ed i cristiani non possono dare valida testimonianza a Cristo se non sono uniti tra di loro. Il tema dell’unità oggi è messo in risalto dal tradizionale rito del Pallio, che durante la santa Messa ho imposto agli Arcivescovi Metropoliti nominati durante l’ultimo anno. Sono 40, e altri due lo riceveranno nelle loro sedi. Anche ad essi va nuovamente il mio saluto cordiale. Inoltre, nell’odierna solennità è motivo di speciale gioia per il Vescovo di Roma accogliere il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, nella cara persona di Sua Santità Bartolomeo I, al quale rinnovo il mio fraterno saluto estendendolo all’intera Delegazione della Chiesa Ortodossa da lui guidata.
Anno Paolino, evangelizzazione, comunione nella Chiesa e piena unità di tutti i cristiani: preghiamo ora per queste grandi intenzioni affidandole alla celeste intercessione di Maria Santissima, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Poncarale, Torino, Ivrea, Empoli e Carmignano. Un saluto speciale rivolgo alla città di Roma e a quanti vi abitano: i santi Patroni Pietro e Paolo ottengano all'intera comunità cittadina e diocesana di custodire e valorizzare la ricchezza dei suoi tesori di fede, di storia e di arte. Buona festa a tutti!


[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


Perché difendo il ministro dell'Interno Maroni nella decisione di far prendere le impronte digitali ai rom a tutela dei bambini
La mia denuncia della censura del Corriere della Sera che ha eliminato un riferimento critico a taluni esponenti della Chiesa cattolica ed organizzazioni cristiane ammalate di relativismo, buonismo e politicamente coretto
autore: Magdi Cristiano Allam (Corriere della Sera,1-7-08)
Cari amici,
Vi propongo la versione integrale del mio commento pubblicato oggi, martedì primo luglio, sul Corriere della Sera a pagina 38 dal titolo "Quanta ipocrisia negli attacchi a Maroni". E' l'unico di quattro interventi odierni del Corriere della Sera a difesa dell'iniziativa del ministro dell'Interno Roberto Maroni di far prendere le impronte digitali a tutti i rom residenti in Italia, compresi i minorenni, al fine di salvaguardare proprio i bambini dalle aberranti condizioni esistenziali a cui sono costretti, nella gran parte dei casi sottratti al dovere della scuola dell'obbligo e ridotti nella schiavitù di chi mendica, ruba o si prostituisce per volontà degli stessi familiari.
Al tempo stesso auspico che, così come d'altro canto è già previsto dal governo con la nuova carta d'identità elettronica a partire dal 2009, che le tecnologie biometriche di identificazione individuale facciale o dell'iride, si applichino a tutti, cittadini e immigrati, indistintamente.
Il Corriere della Sera ha ritenuto, con una decisione che non condivido e che considero lesiva della mia libertà d'espressione, censurare un passaggio del mio commento in cui critico alcuni esponenti della Chiesa cattolica e organizzazioni cristiane. Questo è il testo originale:
"Ciò è avvenuto con l’indecorosa complicità di taluni prelati della Chiesa cattolica ed organizzazioni cristiane impegnate nel sociale che sbandierano a senso unico il vessillo della dignità umana e della giustizia, come se fossero dei valori ad esclusivo appannaggio degli immigrati;".
E questo è il testo pubblicato dal Corriere della Sera:
"Ciò è avvenuto con prese di posizione che sbandierano a senso unico il vessillo della dignità umana e della giustizia, come se fossero dei valori ad esclusivo appannaggio degli immigrati;".
Il Corriere della Sera ha voluto quindi eliminare del tutto il riferimento alla Chiesa cattolica e alle organizzazioni cristiane. Mi è stato spiegato che avrebbe potuto irritare il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, che aveva definito una "violazione dei diritti umani" lo sgombero dei campi dei rom. La mia critica era in realtà molto più ampia perché purtroppo, l'ideologia deleteria del relativismo, del buonismo e del politicamente corretto è alquanto diffusa in diversi ambienti ecclesiali e cristiani. Penso ad esempio alle sortite della Caritas, della Fondazione Migrantes, della Comunità di S. Egidio, del settimanale "Famiglia Cristiana".
Mi domando come sia possibile che proprio io, che ho aderito liberamente e convintamente alla fede cristiana e ho avuto il dono del battesimo dalle mani del Santo Padre tre mesi fa, venga censurato per delle legittime e documentate critiche ad alcuni esponenti della Chiesa, mentre il Corriere della Sera che non è mai stato un giornale con particolari simpatie per la Chiesa cattolica ricorra alla censura per non irritare la suscettibilità di questo o di tal altro esponente cattolico o cristiano? Mi domando come mai quando ero musulmano laico e liberale mi si permetteva di criticare anche duramente le posizioni degli integralisti, estremisti e terroristi islamici, mentre oggi - animato dallo stesso spirito libero - mi ritrovo nell'impossibilità di criticare quella parte della Chiesa e della Cristianità che è ammalata di relativismo, buonismo e politicamente corretto?
Cari amici, potrete leggere all'interno il testo originario e integrale del mio commento.
Prima sull’introduzione del reato di immigrazione clandestina e poi sul rilevamento delle impronte digitali dei rom, compresi i minorenni, l’Italia ha dato prova di una grave lacuna del senso dello Stato, della cultura della verità, del bene comune e dell’interesse della collettività. Mettendo in scena l’ennesima vergogna nazionale, a suon di menzogne, insulti e criminalizzazione della controparte da parte di una sinistra, presente nella politica, nella magistratura, nelle forze dell’ordine e nel mondo intellettuale ed accademico, che non riesce a guarire del tutto dal velleitarismo e dal massimalismo ideologico. Ciò è avvenuto con l’indecorosa complicità di taluni prelati della Chiesa cattolica ed organizzazioni cristiane impegnate nel sociale che sbandierano a senso unico il vessillo della dignità umana e della giustizia, come se fossero dei valori ad esclusivo appannaggio degli immigrati; di esponenti della comunità ebraica che hanno evocato la tragedia dell’Olocausto facendo un parallelismo quantomeno azzardato tra Hitler e Berlusconi; di agenzie delle Nazioni Unite che dovrebbero risolvere il dramma degli immigrati, la catastrofe alimentare e la difficile infanzia nel mondo, ma che sono i primi a dare un pessimo esempio sul piano dell’integrità etica e dell’efficienza organizzativa.
Ed è così che in modo assolutamente pretestuoso, all’indirizzo del ministro dell’Interno Roberto Maroni, sono volate delle pesanti condanne, qualificando la decisione di far prendere le impronte digitale dei rom come “nazista”, “xenofoba”, “razzista”, “barbara”. Quanta mistificazione della realtà dei fatti dal momento che si tratta di un provvedimento ampiamente adottato dalle democrazie occidentali, al pari del reato di immigrazione clandestina che esiste in tutti i paesi europei. Quale degenerazione etica all’insegna del buonismo che è esattamente l’opposto del bene comune, traducendosi in un male che è tale sia per gli italiani sia per gli immigrati. E che aberrazione sul piano operativo l’orientamento a imbrigliare, impantanare e affossare l’azione del governo, con l’unico scopo di poter trasformare la sua sconfitta politica in un vantaggio mediatico monetizzabile in un accresciuto consenso popolare per vincere alle prossime elezioni.
L’ipocrisia denunciata da Maroni è l’atteggiamento di chi non vuole vedere che si tratta di un provvedimento che mira ad emancipare i piccoli rom da una diffusa situazione di degrado materiale e di sfruttamento disumano, o di chi limitandosi ad enfatizzare il coinvolgimento di bambini nella strategia della sicurezza nazionale, finisce per far credere che in Italia non ci sarebbe un’emergenza legata alla criminalità e dal deleterio impatto ambientale legati alla presenza dei rom. Eppure si tratta di una realtà a tal punto vera e a tal punto pericolosa che oggi anche i sindaci delle città più buoniste d’Italia, a cominciare da Bologna, Firenze e Torino, non a caso delle tradizionali roccaforti della sinistra, si sono riconvertiti in paladini della “tolleranza zero” nei confronti dell’illegalità. Mentre i sindaci delle città che buoniste non lo sono affatto, a cominciare da Treviso, Verona e Cittadella, guarda caso amministrate dalla Lega Nord, emergono sempre più come un modello a cui far riferimento a livello nazionale perché sono riusciti, ed è questo il risultato veramente significativo, a migliorare la qualità di vita sia degli italiani sia degli immigrati. Perché, questa è la lezione da trarre, solo le regole certe e rispettate tutelano il bene comune e l’interesse della collettività.
Purtroppo l’Italia è diventato il Paese senza regole. Come è possibile che dei circa 160 mila rom insediati sul territorio nazionale, in 70 mila hanno ottenuto la cittadinanza italiana senza conoscere adeguatamente la lingua italiana, ignorando la cultura italiana, disprezzando i nostri valori e violando sistematicamente le nostre leggi? Come è possibile che del 70% dei rom che nascono in Italia, ben il 37% finisce in un piano di inserimento sociale per una condotta di chi si considera non solo estraneo ma persino ostile alla società che gli dà la cittadinanza e l’insieme dei mezzi materiali per sopravvivere?
Ebbene se proprio non ci piacciono le impronte digitali perché evocano la scena del criminale arrestato e sottoposto a crudeli interrogatori, la tecnologia biometrica oggi ci offre una molteplicità di alternative, dal riconoscimento facciale e dell’iride, per nulla invasive. Ed è bene che questa moderna identificazione individuale concerni tutti noi indistintamente. Ma l’importante è agire bene e subito per affrontare e risolvere i problemi seri e attuali che ci riguardano indipendentemente dal fatto che siamo di destra o di sinistra.
Cari amici, andiamo avanti insieme da Protagonisti per l’Italia dei diritti e dei doveri, del bene comune e dell’interesse nazionale, promuovendo un Movimento della Verità, della Vita e della Libertà, per una riforma etica dell’informazione, della società, dell’economia, della cultura e della politica, con i miei migliori auguri di successo e di ogni bene.
Magdi Cristiano Allam


Gli eurocrati odiano i popoli e le nazioni
Bisogna essere davvero molto testardi e arroganti nei confronti del “popolo bue” per non accorgersi che forse c’è qualcosa che non va nel modo di concepire l’Europa da parte del personale politico europeo…
di Claudio Risé
Sorprendente, nella bocciatura irlandese dell’Europa, è stata la reazione dei politici e dirigenti europei. Si è andati dal «chi non è contento se ne vada» al «che vergogna sputare nel piatto in cui si mangia».
Il massimo di autocritica è venuto dai pochi che hanno pensato a un errore di comunicazione. Eppure più volte gli europei hanno bocciato le “carte” dei politici: l’Irlanda nel 2001 il Trattato di Nizza, nel 2005 Francia e Olanda la nuova costituzione, e adesso l’Irlanda quella di Lisbona, l’ultimo “trattato” costituzionale Ue.
Bisogna essere davvero molto testardi e arroganti nei confronti del “popolo bue” per non accorgersi che forse c’è qualcosa che non va nel modo di concepire l’Europa da parte del personale politico europeo. Hanno anche una strana idea di democrazia, questi politici e tecnocrati che quando il popolo dice loro che stanno sbagliando pensano che è il popolo ad essere scemo.
Infatti molti di loro si sono formati all’interno di partiti marxisti, che hanno appoggiato fino in fondo il lungo e sanguinoso totalitarismo sovietico, e molti altri vengono dalla burocrazia delle organizzazioni internazionali: i popoli non li conoscono, e non li interessano. Sono persone (li conosco bene perché anche la mia prima formazione si è svolta lì) cresciute nei circoli cosmopoliti delle burocrazie internazionali, nei quartieri e luoghi più asettici e distanti dalla cultura locale di città come Bruxelles, Ginevra, Strasburgo, New York, dove hanno perso in fretta ogni rapporto con le comunità e le famiglie d’origine. Nella loro vita s/radicata, lontana da ogni tradizione vivente, finiscono per odiarle tutte, le tradizioni: quelle famigliari, quelle del territorio, quelle alimentari, linguistiche, di costume, sessuali.
Le organizzazioni internazionali sono una cosa nuova che non ha ancora cent’anni, la prima fu la Società delle nazioni, nel 1919. Non hanno mai funzionato tanto bene, e i popoli non le hanno mai amate, proprio per questo essere “fuori” dalle tradizioni, che le porta però a essere fuori anche dalla realtà del vivente, e certamente da quella dei popoli fatti di carne e sangue, e non disegnati dagli stilisti che hanno ideato le divise dei “caschi blu” dell’Onu.
Finché la Ue continuerà a pensarsi come un’organizzazione sovranazionale avrà tutte le debolezze e le futilità dell’Onu, senza averne l’unico punto di forza: la tendenziale universalità.
L’Europa non può che essere una comunità di nazioni. Per diventarlo deve però riscoprire il senso e la funzione della Nazione, comunità molto più antica e forte, nella psiche collettiva, dello Stato moderno: il secondo legato alla conquista e gestione del potere, la prima legata all’identità e rappresentazione dei popoli.
Idee vecchie, conservatrici, un po’ fasciste? Ma no. Eurocrati e politici ex comunisti si leggano i libri del senatore democratico di New York, Patrick Moynihan (lo stesso citato da Obama nel suo inno al ritorno del padre). Insomma studino, invece di rifriggere la paccottiglia ideologica anni Settanta. Poi se ne riparla.
Tempi 27 giugno 2008


La giustizia è un'emergenza del Paese, non del premier



LA SELEZIONE PRE- IMPIANTO DI UNA FAMIGLIA INGLESE
La genetica batte il cancro Ma è solo un’illusione
Avvenire, 1 luglio 2008
MARINA CORRADI
« L ondra, la genetica batte il cancro», titolano i giornali. Una coppia inglese nella cui famiglia si sono ripetuti casi mortali di cancro al seno ha ottenuto la selezione pre-impianto. Degli undici embrioni concepiti in provetta, cinque sono risultati non portatori di quell’eredità. Quattro sono stati congelati e uno impiantato in utero. Gli altri sei, sono stati buttati via.
«Quella bambina non si ammalerà di cancro al seno», esultano i quotidiani inglesi. E già si disegna lo scenario venturo: selezioni pre-impianto mirate contro il tipo di patologia ricorrente in famiglia. Fecondazione in vitro, analisi, selezione, ammissione al grembo materno del solo figlio sano.
Naturalmente, la eliminazione degli embrioni “difettosi” è inaccettabile in una prospettiva cristiana; è eugenetica, e il fatto che si tratti di un’eugenetica privata, familiare, e non di Stato, non basta a cambiarne la sostanza. Ma per un momento andiamo oltre l’etica, e guardiamo semplicemente alla razionalità di questa scelta inglese.
Anche volendo tacere su quei sei embrioni prodotti ed eliminati, a noi questa storia pare sommamente non razionale. Intanto il gene di cui si parla aumenta fortemente il rischio della malattia, ma non necessariamente la induce. Per contro, i tumori di origine ereditaria sono, secondo i genetisti, appena il 5 per cento del totale; quanto al resto, incidono cause ambientali e altre, che ancora non si è riusciti a scoprire. In sostanza, tutta la complicata e spietata alchimia dell’operazione attuata a Londra – sei cancellati, quattro sospesi nel gelo in attesa di un ignoto destino, uno avviato a una gravidanza di esito purtroppo non così certo, visto che l’analisi preimpianto può produrre danni – potrà nel migliore dei casi evitare a quella bambina “quel” tipo di cancro. Rimarrà, come per ogni essere umano che nasce, aperta la infinita gamma di “altri” cancri e altre malattie.
È come, vivendo in un castello che abbia cento porte, arrovellarsi per sbarrarne una sola, sopprimendo, a questo scopo, anche delle vite umane. E le altre novantanove? L’aver sbarrato quell’una ci garantisce forse dai nemici appostati appena fuori dagli altro cento ingressi?
Certo, anche le vaccinazioni infantili chiudono alcune porte e ne lasciano sguarnite altre. Ma si tratta di difendersi contro malattie spesso contagiose e un tempo responsabili di ampie epidemie, con vaccini statisticamente quasi privi di rischi, e senza sacrificare la vita di nessuno. Qui, la razionalità della scelta è evidente.
A Londra, no. «Non potrei tollerare» – dice la futura madre della bambina “selezionata” – «il dolore di vedere mia figlia morire della stessa malattia che ci ha già dato tanta sofferenza». Umana, comprensibile ansia. Ma, avrà pensato quella madre a quante incognite minacciano la vita di ogni uomo che nasce? A che vuol dire selezionare il più “perfetto” dei figli, se due minuti di anossia cerebrale al parto bastano a farne un handicappato? Sembrano avere, quei genitori, concentrato tutte le loro paure su un conosciuto nemico; senza osare andar oltre, e riconoscere che ciò che temono di non potere tollerare non è il cancro al seno, ma il dolore e la morte. Sembrano avere escogitato, con l’aiuto della scienza, un’operazione rasserenante – “quel” cancro, no – ma così inutile, nelle pretesa impossibile di garantirsi contro il dolore. (Avere un figlio appare a tanti oggi sempre più una follia. E se fosse malato? E se soffrisse? Nell’impossibilità di un dimenticato affidamento a Dio, molti rinunciano a un azzardo che ritengono insostenibile. Qualcuno chiede alla scienza di sottoscrivere polizze rassicuranti, ma fallaci. La garanzia che vorrebbero, non è nelle mani degli uomini).


SUCCESSORI DEGLI APOSTOLI
Richiama al perdono di Dio il motto del nuovo presule casalese, già rettore del santuario mariano di Oropa. Alla sua consacrazione la gioia dell’intera Chiesa piemontese. E non solo.
Catella ordinato vescovo «Canterò la misericordia»
Domenica scorsa nella Cattedrale di Biella l’ordinazione episcopale del nuovo «pastore» di Casale Monferrato. Il rito presieduto dal cardinale Poletto: un ministero che nasce nel segno di Maria

DAL NOSTRO INVIATO A BIELLA
Avvenire, 1 luglio 2008
MAURIZIO CARUCCI
«Il tuo episcopato nasce nel segno di Maria. Esso è idealmente tracciato da tre grandi santuari mariani: Fatima, dove il 20 no­vembre scorso volò improvvisamente al cielo il caro monsignor Germano Zaccheo; Oropa, dove tu fosti per anni rettore; infine, Crea, che per i casalesi è il loro sacro monte». Lo ha detto nell’omelia il cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino, rivolto a monsignor Alceste Catella, ordinandolo vescovo di Casale Monferrato. Il rito, nella solennità degli apostoli Pietro e Paolo, è stato presieduto nella Cattedrale di Biella dall’arcivescovo di Torino mentre coconsacranti erano l’arcivescovo di Vercelli Enrico Masseroni, e il vescovo di Biella Gabriele Mana. Erano presenti i ve­scovi del Piemonte con i gli emeriti Massimo Giu­stetti, Luigi Bettazzi, Fernando Charrier e il vescovo di Piacenza-Bobbio Gianni Ambrosio nativo di Ver­celli. Monsignor Catella è stato chiamato a guidare la diocesi casalese dopo la morte improvvisa di Zaccheo avvenuta nel santuario del Portogallo.
«Questo è un momento di gioia e di festa, ma soprat­tutto di fede e di preghiera – ha detto Poletto all’omelia –. È festa per la diocesi di Casale, qui ben rappresen­tata da molti sacerdoti e fedeli. È festa anche per la diocesi di Biella perché un membro insigne del suo presbiterio è elevato all’episcopato. È festa anche per noi vescovi della Conferenza episcopale del Piemon­te e della Valle d’Aosta perché accogliamo un nuovo confratello ad arricchire la nostra fraterna comunio­ne portando il suo contributo affinché il nostro ser­vizio alle Chiese piemontesi sia sempre più genero­so e qualificato». C’erano anche Mario Rino Sivieri, ve­scovo della diocesi di Proprià, in Brasile, e l’abate di Santa Giustina (Padova), Innocenzo Negrato. Nella Cattedrale di Santo Stefano e anche all’esterno, con l’aiuto di un maxi-schermo, numerosi fedeli hanno seguito la celebrazione. Nemmeno la pioggia, che a tratti si è abbattuta su Biella, ha impedito di vivere in maniera gioiosa questo evento della Chiesa locale. Un momento emozionante è stato quando il vesco­vo appena ordinato ha benedetto l’assemblea per­correndo la navata centrale e le affollate cappelle la­terali. Strette di mano e applausi lo hanno accolto. E lui ha risposto con un sorriso ai fedeli provenienti da Casale e di Biella.
Come motto episcopale monsignor Catella ha scelto un versetto tratto dal Salmo 89: «Misericordias Domini cantabo». Nel suo stemma lo scudo diviso in quattro parti raffigura: la rosa, simbolo mariano che vuol ri­cordare i due santuari mariani di Oropa e di Crea; il libro aperto è l’attività pastorale che annuncia la Pa­rola, che con il pane spezzato celebra l’Eucaristia; in­fine il galletto richiama Casale Monferrato con le sue vicende storiche e religiose.
Durante la celebrazione sono stati numerosi i doni ri­cevuti: la croce pettorale dai suoi compaesani di Ta­vigliano, l’anello dal cardinale Poletto, la mitra dal Ca­pitolo della Cattedrale di Biella. Il pastorale usato per l’ordinazione è appartenuto al suo predecessore, monsignor Albino Pella. Dal sindaco di Biella, poi, u­na scultura raffigurante un orso, simbolo della città; alcune stampe dal vicepresidente della Provincia di Biella e una mitra dall’Istituto di Santa Giustina di Pa­dova.
Il cardinale Poletto ha invitato «don Alceste a guar­dare avanti, al tempo in cui comincerai il tuo mini­stero nella cara Chiesa di Casale, non solo per dirti che non ti mancherà mai la preghiera, l’amicizia e il so­stegno di tutti noi confratelli vescovi, ma soprattutto per garantirti che a Casale ti ritroverai bene e sarai molto amato». Il vescovo Catella, nelle sue parole di saluto, ha voluto ricordare come «il principale perso­naggio della celebrazione fosse la Trinità». Poi ha rin­graziato i vescovi, che «accolgono un nuovo membro in comunione con il Papa», i «presbiteri, i papà, le mamme, i poveri e i piccoli». L’ingresso solenne nel­la diocesi di Casale Monferrato è stato fissato per do­menica 7 settembre.