Nella rassegna stampa di oggi:
1) Solo se va a favore della vita la libertà acquista il suo vero senso di Mons. Alessandro MaggioliniVescovo emerito di Como
2) Così sul Web difendono la vita di Eluana - Raccolte firme e blog pro e contro
3) C'è un re alla Mecca che dà lezioni di pace
4) Chi è lo Spirito Santo? Catechesi di monsignor Michele Pennisi alla GMG di Sydney
5) Lo Spirito Santo, “Maestro sommo” di cui fidarsi - Catechesi di monsignor Giuseppe Betori, Segretario della CEI
6) Il 13 luglio a Parigi Sarkozy ha annunciato la nascita dell'Unione per il Mediterraneo: è stato tutto un bluff mediatico
7) ELUANA/ Baldassarre: una sentenza "creativa", che lascia profondi dubbi di incostituzionalità
8) Questa mattina Bendetto XVI ha incontrato i giovani a Sydney - Il Papa in Australia difende la vita dal concepimento alla morte naturale
9) DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI - Molo di Barangaroo di Sydney, Giovedì, 17 luglio 2008
10) SULLE (ASSERITE) SCELTE IL DIRITTO DI POTER TORNARE INDIETRO
11) UNA PAROLA DELICATA E FRANCA PER IL SIGNOR ENGLARO - Dopo la vittoria dell’irreparabile davvero si sentirà meglio?
12) Se non della vita e della morte di cos’altro può parlare la Chiesa?, di Davide Rondoni
13) Salvatore Crisafulli: «Sentivo la fame e la sete»
14) «Chi può dire che voleva morire di fame e sete?»
Solo se va a favore della vita la libertà acquista il suo vero senso di Mons. Alessandro MaggioliniVescovo emerito di Como
Tre osservazioni brevi brevi, ma che sembrano fondamentali sul giudizio che vien dato alla probabile richiesta del signor Englaro di lasciare volontariamente morire la figlia per mancanza di nutrizione. La prima osservazione è data dal fatto che moltissimi hanno deprecato la scelta o almeno il dubbio del padre - il signor Englaro - sulla sorte della figlia che dipende dalla sua libera volontà. E qui si intuisce tutta una serie di interrogativi circa un intervento omicida, detto in termini spicciativi: e omicida nei confronti di una propria figlia, di carne della propria carne e di sangue del proprio sangue. Vi sarebbe spazio per una ripresa dantesca e shakespeariana del monologo drammatico: essere o non essere; atto di coraggio o cedimento a una sorta di vigliaccheria. E su questo tema molti hanno discusso, tirando in ballo il diritto di una libertà che ha senso se è in favore della vita, mentre si designa come delitto se si concretizza in un atto che uccide una persona.
Una seconda riflessione è data dal constatare che l’opinione pubblica si è buttata sugli aspetti umani tragici della vicenda: dimenticando, per esempio, di lasciar cadere almeno un grazie svogliato alle Suore Misericordine che hanno curato Eluana per quattordici anni: senza attendersi un riconoscimento o un grazie. Tra le tante attestazioni di stima che si esibiscono nella vita sociale, non c’è una medaglietta o un immagine stampata in economia che riconosca questo eroismo prolungato, silenzioso e immisurato?
Terza osservazione: il Codice di diritto canonico parla di scomunica comminata a chi procura un aborto, senza esclusione della madre, quando all’intervento umano segue la morte effettiva del bambino: il Codice di diritto canonico è lapidario a questo proposito: « Procurantes abortum, effecto secuto, matre non excepta » , incorrono nella scomunica ecclesiale la cui assoluzione è riservata al vescovo diocesano. Dove coloro che procurano l’aborto non sono soltanto i medici che intervengono clinicamente o farmacologicamente, ma anche coloro che promuovono una mentalità contro una vita non ancora nata, eppur esistente.
A questo punto, senza creare un vespaio di discussioni spesso a vanvera, ci si può chiedere molto chiaramente: non sono lambiti dalla scomunica ecclesiale anche coloro che preparano l’opinione a coonestare un delitto che tale rimane, nonostante tutte le opinioni contrarie?
È chiaro che questa riflessione vale per chi crede in Gesù Cristo e nella Chiesa, come motivi di salvezza e di promozione dell’uomo. Per gli scettici e i relativisti l’uccisione di un fratello, pur piccolo, ma innocente, sarebbe spazzatura da buttare tra la monnezza che distribuisce lo scempio della vita umana nelle strade o nelle fogne del nostro Paese. Rifletta chi si sente toccato da questa considerazione.
(C) Avvenire, 16-7-2008
16 luglio 2008
Così sul Web difendono la vita di Eluana - Raccolte firme e blog pro e contro
La difesa della vita di Eluana viaggia anche sul web. Ieri Scienza & vita, l’associazione che si batté per l’astensione consapevole al referendum sulla procreazione assistita, ha lanciato un appello per dire “No alla prima esecuzione capitale della storia Repubblicana italiana, no alla sentenza di morte pronunciata da alcuni giudici italiani contro Eluana Englaro”. Il testo, già sottoscritto anche da diverse organizzazioni cattoliche e/o pro life, è disponibile sul sito www.scienzaevita.org e le adesioni vanno inviate a segreteria@scienzaevita.org. La raccolta firme all’indirizzo www.firmiamo.it/eluanaenglaro, promossa dall’associazione torinese Due minuti per la vita, ha già superato quota 1500 sottoscrizioni in pochissimi giorni. “Togliere la vita ad una persona, - si legge nell’appello - solo perché malata o disabile o incosciente, é una pratica inaccettabile in ogni paese che voglia continuare a rientrare nel novero di quelli civili”.
La battaglia tra i blog pro e contro la sentenza è appena cominciata. E' nato Una bottiglia per Eluana, dove con un post è possibile lasciare la propria bottiglia: "Non posso lasciarla davanti alla chiesa, la metto qui", si legge in home page. Anche Salvatore Crisafulli, l'uomo colpito dalla sindrome Loked.in che è uscito dallo stato vegetativo dopo due anni e che qualche mese fa scrisse a Napolitano chiedendo di essere aiutato a vivere, ha dedicato a Eluana una lunga lettera sul suo sito Internet, dicendo che la sua condanna a morte "cancella le nostre speranze". Tra gli altri blog che si schierano con il diritto di Eluana a vivere, quello della Società chestertoniana italiana – il blog “dell’uomo vivo” – chiede di aderire all’appello di Scienza & vita e all’iniziativa lanciata dal Foglio. Su Facebook - il sito principe del social networking che ha conquistato anche le campagne elettorali - sono già tre i gruppi dedicati a Eluana. E se uno - che ha scelto l’ambiguo nome “pro Eluana Englaro” - sostiene il “diritto di questa povera ragazza” a morire (ovvero ad esser uccisa) come “questione di civiltà” e un altro chiede di “liberare Eluana”, i membri iscritti a “Eluana Englaro: una Vita degna!” sono arrivati a 56 in due giorni. Nella descrizione del gruppo si legge: “Per essere vicini alla sofferenza di Eluana, per far sì che la voce del valore della vita urli ‘basta’ a chi calpesta la dignità umana!”. Gli amministratori parlano di “omicidio”, di “sentenza di morte”. E dai post rilanciano l’iniziativa del Foglio “Acqua per Eluana”.
di Valentina Fizzotti
C'è un re alla Mecca che dà lezioni di pace
Un'indagine tra i pellegrini ai luoghi santi musulmani mostra che essi tornano a casa con sentimenti di maggiore tolleranza. Intanto a Madrid il re saudita dialoga con cristiani ed ebrei. A rappresentare il papa c'è il cardinale Tauran. Un importante documento
di Sandro Magister
ROMA, 17 luglio 2008 – Anche Benedetto XVI era stato invitato a partecipare. E ci sarebbe andato molto volentieri. Ma non poteva certo rinunciare alla Giornata Mondiale della Gioventù, che era nella sua agenda da tempo.
Così al posto del papa – negli stessi giorni in cui egli è in Australia – si è recato a Madrid il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
A Madrid, dal 16 al 18 luglio, è in corso la conferenza sul dialogo fra le tre religioni – l'islam, l'ebraismo e il cristianesimo – fortemente voluta da re Abdallah bin Abdulaziz Al Saud, sovrano dell'Arabia Saudita e custode dei luoghi musulmani più sacri, le moschee della Mecca e di Medina.
Re Abdallah aveva invocato questo incontro fra le tre religioni al termine della conferenza internazionale islamica tenuta alla Mecca dal 4 al 6 giugno scorso. A Madrid è lui che ha aperto i lavori, che avranno come relatori conclusivi Abdallah bin Abdul Mouhsin Al Turki, segretario generale della Lega musulmana mondiale, e il cardinale Tauran.
Prima di partire, Tauran ha detto a "L'Osservatore Romano" che la conferenza ha l'obiettivo di offrire al mondo un'immagine delle tre religioni come religioni di pace, "al servizio dell'uomo e non contro l'uomo". Questo vale in particolare per l'islam, generalmente associato a violenza e terrorismo anche per colpa di tanti suoi adepti. "Può infatti capitare – ha aggiunto il cardinale – che mentre assistiamo a quest'atto di coraggio compiuto con saggezza dal re dell'Arabia Saudita, in alcune moschee si facciano tutt'altri discorsi".
* * *
In effetti l'immagine prevalente dell'islam nel mondo è che sia portatore di violenza. Un'indagine del 2007 del Pew Forum ha riscontrato che il 45 per cento dei cittadini americani giudicano l'islam la più minacciosa delle religioni. Due anni prima erano il 36 per cento.
Un'altra idea diffusa è che i musulmani siano tanto più inclini alla violenza quanto più osservano i precetti della loro religione. Il pellegrinaggio alla Mecca – in arabo Hajj, una delle pratiche centrali dell'islam – è da molti giudicato e temuto come una scuola di intolleranza per chi vi partecipa.
Ma è proprio così? Per quanto riguarda il pellegrinaggio alla Mecca, la risposta è no. Lo prova un'indagine – una delle prime condotte in questo campo con criteri scientifici – di tre studiosi dell'università americana di Harvard su un campione di pellegrini del Pakistan.
Il Pakistan è il secondo paese al mondo per popolazione musulmana, dopo l'Indonesia. Ed è anche il più percorso dalla violenza. Intere sue province sono fuori controllo, infestate da talebani e signori della guerra. Gli attentati segnano le cronache delle grandi città. Una leader politica come Benazir Bhutto è stata uccisa in mezzo alla folla, nonostante l'imponente servizio d'ordine. Chi è accusato di offendere la religione islamica rischia la condanna a morte. Osama bin Laden ha i suoi probabili rifugi proprio sulle montagne tra il Pakistan e l'Afghanistan.
Ma i musulmani che ogni anno si recano pellegrini dal Pakistan alla Mecca non per questo ritornano più disposti alla violenza e più ostili nei confronti dell'Occidente e del cristianesimo. Quello che avviene è il contrario. Il pellegrinaggio accresce piuttosto i sentimenti di pace e di tolleranza, non solo verso i confratelli di fede ma anche verso i non musulmani.
Sono circa 2 milioni i musulmani che ogni anno compiono il pellegrinaggio alla Mecca, dall'ottavo al dodicesimo giorno dell'ultimo mese del calendario lunare islamico. Il loro numero è fissato in anticipo e proporzionato sulle popolazioni dei vari paesi. In Pakistan per essere ammessi al viaggio occorre partecipare a una pubblica lotteria. Gli estratti andranno alla Mecca, gli altri no.
I tre studiosi di Harvard – David Clingingsmith, Asim Ijaz Khwaja e Michael Kremer – hanno condotto l'indagine su un doppio campione di cittadini pakistani: su 800 che hanno fatto il pellegrinaggio e su 800 che sono rimasti a casa.
Ebbene, dall'indagine si ricava che dalla Mecca i pellegrini tornano più fervorosi. Pregano di più, vanno più spesso in moschea, osservano più fedelmente il digiuno. Viceversa, tendono ad abbandonare l'uso degli amuleti e la pratica di consuetudini non propriamente islamiche.
Migliora anche la considerazione che gli uomini hanno delle donne. Nel pellegrinaggio si sono ritrovati fianco a fianco in pari numero, compiendo gli stessi riti. E ciò ha aumentato il numero dei favorevoli a una maggiore istruzione delle ragazze e a un loro ingresso nelle professioni.
Risulta positivo anche l'impatto con i musulmani arrivati da altri paesi e da altri modi di interpretare e vivere l'islam, sciiti e sunniti. Al ritorno dalla Mecca sono numerosi quelli che ritengono possibile vivere in armonia con tutti. E questo sentimento si estende anche ai non musulmani. I pellegrini alla Mecca sono nettamente più disposti di quelli rimasti a casa a considerare i credenti in altre religioni degni di pari rispetto.
Circa il ricorso alla violenza e l'ostilità all'Occidente, i pellegrini alla Mecca si dimostrano più pacifici, rispetto ai rimasti a casa. Richiesti di dire se le finalità per le quali Osama bin Laden combatte sono giuste, i pellegrini rispondono di no in misura doppia degli altri. E richiesti di dire se i metodi impiegati da Osama bin Laden sono giusti, i no dei pellegrini sono più numerosi di quasi un terzo.
Va detto però che queste stesse risposte sono molto meno confortanti se ricondotte alle cifre assolute. Anche tra i "pacifici" pellegrini della Mecca è pur sempre molto piccolo il numero di quelli che disapprovano Osama bin Laden. Solo il 21 per cento si dissocia dai suoi metodi terroristici, e solo il 13 per cento respinge le sue finalità.
Per i non pellegrini le cifre di chi si dissocia da Osama bin Laden sono ancora più basse: rispettivamente del 16 e del 7 per cento.
Tutti gli altri, cioè la grande maggioranza, parteggiano per il principe dell'islam del terrore.
Un motivo in più per invocare – come ha fatto lo studioso musulmano Khaled Fouad Allam in un incontro a Villa Cagnola di Gazzada di cui ha riferito "L'Osservatore Romano" del 7 luglio – l'avvento di quell' "islam dei lumi al quale è possibile arrivare solo con il dialogo interreligioso".
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Il testo integrale dell'indagine condotta da David Clingingsmith, Asim Ijaz Khwaja e Michael Kremer dell'università di Harvard sugli effetti del pellegrinaggio alla Mecca, pubblicata nell'aprile del 2008:
> Estimating the Impact of the Hajj: Religion and Tolerance in Islam’s Global Gathering
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Ma c'è una Mecca anche per il cardinale Tauran
Nell'intervista data a "L'Osservatore Romano" del 16 luglio, il cardinale Jean-Louis Tauran, rappresentante del papa alla conferenza di Madrid, ha così commentato l'iniziativa del re dell'Arabia Saudita nel promuovere il dialogo fra l'ìslam, l'ebraismo e il cristianesimo:
"Io credo che una maggiore forza alla sua volontà sia derivata dall'incontro che ha avuto in Vaticano con Benedetto XVI. Ho avuto molti riscontri per i quali posso dire che è rimasto profondamente colpito dall'umanità del nostro pontefice. A ciò si deve aggiungere la sua consapevolezza che alcune frange estreme del mondo islamico, una piccola parte per la verità, hanno comunque offuscato l'immagine vera dell'islam e lui avverte profondamente il desiderio di restituire all'islam il suo volto vero, che non è quello che mostrano certi estremismi. Vuole insomma recuperare tutta la purezza della sua fede. Soprattutto vuole mostrare quanto bene possa fare all'umanità se si pone in dialogo con le altre fedi".
Ma soprattutto, nella stessa intervista, Tauran ha attribuito una grande importanza al documento pubblicato alla Mecca il 6 giugno 2008 al termine della conferenza internazionale islamica per il dialogo convocata dal re saudita e organizzata dalla Lega musulmana mondiale, la conferenza nella quale re Abdallah annunciò l'incontro di Madrid:
"L'ho letto e approfondito con molto interesse perché si tratta di un documento importante. Io direi che l'immagine più significativa che ne risulta è quella di un islam desideroso di presentarsi all'opinione pubblica mondiale con un volto diverso da quello segnato dal terrorismo estremista. Un islam aperto all'incontro con le altre religioni attraverso il quale, abbandonato il senso critico nei confronti dell'altro, si possa finalmente giungere a una più approfondita conoscenza reciproca, fondata su valori sostanzialmente comuni. C'è poi la volontà comune di riaprire l'uomo alla conoscenza di Dio, di cooperare per la salvaguardia dell'ambiente, la cui distruzione sistematica ad opera dell'uomo è da tutti riconosciuta come un peccato grave. A ciò si deve aggiungere la volontà di difendere i valori etici della vita, quelli che riguardano la vita umana prima di tutto, e la famiglia".
Chi è lo Spirito Santo? Catechesi di monsignor Michele Pennisi alla GMG di Sydney
SYDNEY, mercoledì, 16 luglio 2008 (ZENIT.org).- “Chi è lo Spirito Santo?”. E' questa la domanda fondamentale alla quale ha voluto rispondere monsignor Michele Pennisi, Vescovo di Piazza Armerina (Enna), nella catechesi che ha esposto questo mercoledì alla Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney (Australia).
“Perché questa domanda diventi interessante per noi – ha osservato il presule –, dobbiamo porci un’altra domanda: cosa c’entra lo Spirito Santo con la mia vita, con il desiderio di essere felice, di essere amato e di amare?”.
Al giorno d'oggi, ha riconosciuto, “c’è una distanza abissale fra l’annuncio dello Spirito Santo e i pensieri che si agitano nella nostra frenetica società consumistica in cui si vende e si compra o tra i giovani che si accalcano nelle discoteche immersi nel movimento di corpi, di luci e di rumori”.
Il disagio nel parlare dello Spirito Santo, ha spiegato monsignor Pennisi, “non riguarda solo i cosiddetti 'lontani', ma anche tanti giovani che frequentano le nostre parrocchie o i movimenti ecclesiali”, ai quali manca “un’intima esperienza di Dio”.
Tanti ragazzi, ha constatato, “sentono l’estremo bisogno di una sapienza pratica che dia gusto al vivere, una verità 'calda' che illumini il cammino, un amore che dischiuda le potenze del cuore e si apra ad un futuro di speranza”.
Purtroppo, migliaia di battezzati non fanno esperienza dell'azione dello Spirito né lo hanno mai invocato; “non godono appieno degli effetti della Pentecoste, perché non hanno instaurato una relazione personale con lo Spirito Santo e vivono un’esistenza cristiana insipida e rassegnata”.
Lo Spirito appare quindi come “un 'grande sconosciuto', un 'dio ignoto'”, “un concetto astratto, fumoso, etereo”.
Se infatti “è più facile vedere in Gesù un amico, è più arduo, invece, accostarsi allo Spirito Santo, a un misterioso dono, apparentemente impalpabile, incorporeo e inconsistente, che rimanda direttamente ad un altro immenso mistero: la Trinità”.
Secondo monsignor Pennisi, l’opera dello Spirito Santo è quella di “rendere continuamente presente il Cristo nella vita degli uomini”.
Accostarsi a Lui significa quindi “entrare nel rapporto fra il Padre e il Figlio e permettere che il loro modo di rapportarsi dia migliore significato alla nostra vita e alle relazioni che essa contiene, con noi stessi, con i fratelli, con il creato”.
Se è necessario conoscere personalmente lo Spirito, ha proseguito il presule, questo non basta: occorre infatti accoglierlo “come guida delle nostre anime, come il 'Maestro interiore'”.
“Lo Spirito Santo è il grande, unico, immenso Dono, un regalo gratuito del Padre, che, attraverso la Chiesa, rifrange in tanti doni diversi che sono i carismi, come la luce che, a seconda dei corpi sui quali piove, suscita colori diversi. Il Dono unico si divide in tanti doni per tornare a ricomporsi in unità nella Chiesa, per la quale tutti i doni sono dati”.
“Noi non potremmo fare nulla, se non avessimo lo Spirito Santo – ha constatato –. Una persona senza la presenza dello Spirito Santo è come una macchina senza benzina”.
Nella sua catechesi, il Vescovo ha anche ricordato l'importanza della santità, “necessaria al mondo come all’uomo l’aria che respira” e che “discende da una scelta che ogni giorno incrocia la nostra coscienza e la nostra volontà: tras-formato in Cristo o con-formato al mondo?”.
“Siamo capaci di praticare una santità di pensiero, una santità di parole, una santità di opere che testimonino come lo Spirito – che è Santo e ci fa santi – vive in noi?”, ha chiesto. “L’effusione dello Spirito, mediante la quale abbiamo preso coscienza del nostro 'santo destino', ci ha veramente innestati nel “cammino di santità” che la Chiesa propone prima di ogni altra cosa?”.
Il secolo nel quale la Provvidenza ci ha posti, ha osservato, “reclama 'cristiani veramente cristiani', felici di 'riconoscersi santi' nella realtà ideologica e sociale che ci avvolge e ci sconvolge”.
Per questo, è necessario affidarsi allo Spirito, che “toglie dal cuore dei credenti tristezze, polemiche, preoccupazioni, svogliatezze, legami con il peccato, malattie fisiche e spirituali, qualsivoglia angustia che possa appesantire la nostra 'vista' del Signore, talvolta sino a rendere i nostri 'occhi incapaci di riconoscerlo' (Lc 24, 17)”.
“Lo Spirito è il segreto della Chiesa di oggi come lo è stato per la Chiesa delle origini”, “è l’amore, è colui che riempie le nostre fragilità anche di eroismo, di continuità quotidiane. E’ l’ospite di un cuore che non si sente mai solo, di un amore che non è mai sterile, di una affettività che si allarga all’amore per tutti, soprattutto di chi sperimenta la solitudine”.
“E’ il fuoco che brucia i nostri tradimenti e purifica i nostri pensieri e soprattutto fa battere il nostro cuore per Gesù il pastore, che vorremmo essere per il nostro popolo”, ha concluso.
Lo Spirito Santo, “Maestro sommo” di cui fidarsi - Catechesi di monsignor Giuseppe Betori, Segretario della CEI
SYDNEY, mercoledì, 16 luglio 2008 (ZENIT.org).- Lo Spirito Santo è il “Maestro sommo” in cui si può avere fiducia e che è capace di guidarci lungo la retta via, ha affermato questo mercoledì monsignor Giuseppe Betori, Segretario della Conferenza Episcopale Italiana, nella catechesi che ha pronunciato nella parrocchia di St Christopher Holsworthy di Sydney in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù.
Conoscere lo Spirito Santo e il suo ruolo nella nostra vita cristiana “non è un compito facile”, ha riconosciuto, “non solo perché si tratta di entrare in contatto con il mistero stesso di Dio e cercare di balbettare qualcosa su di lui, ma prima ancora perché dense nebbie oscurano oggi il concetto stesso di 'spirito'”.
“Troppa è infatti la distanza che separa lo Spirito, come realtà divina, dalle varie idee di 'spirito' diffuse nella cultura” odierna come lo spiritismo, ha osservato.
Anche se già nell'Antico Testamento ci sono pagine che prefigurano in vari modi il volto dello Spirito Santo, ha ricordato monsignor Betori, Gesù è il primo a parlarne propriamente.
“La stessa presenza di Gesù tra noi ci viene descritta come opera dello Spirito, che discendendo su Maria rende possibile il farsi uomo del Figlio di Dio. E già in questa prima pagina dei Vangeli capiamo che lo Spirito Santo richiede il nostro libero assenso e la nostra imitazione”.
La presenza e l’azione dello Spirito, ha aggiunto, “è anche la compagnia fedele di Gesù nel suo soggiorno tra gli uomini” e “corrobora il suo operare guarigioni e ispira la parola del suo insegnamento”.
Per comprendere chi sia lo Spirito Santo in noi, ha osservato monsignor Betori, “dobbiamo seguire il percorso che ce ne rivela l’identità nella persona stessa di Gesù e nella sua vicenda terrena e di risorto”.
“Se credere è avere accesso a Dio, al suo mistero, il nostro cammino si incrocia pertanto non solo con Gesù, il rivelatore del Padre, ma anche con lo Spirito, colui che ci permette di entrare nella pienezza della verità che Gesù ci ha rivelato”.
Il segretario generale della CEI ha affermato che non è facile “restare fedeli al progetto di vita buona che viene dallo Spirito”, e la difficoltà “è spesso accresciuta dal dimenticare che tutto ciò non è l’esito di una nostra opera, ma il dono che scaturisce da una appartenenza: essere 'di Cristo Gesù'”.
“È lo Spirito di Gesù che ci rende capaci di vivere l’amore; e l’esempio dei santi, a cominciare dai giovani santi, ci dice che ciò è possibile, se ci lasciamo plasmare da lui”, ha osservato.
La grandezza del cristiano, constata, sta “nella coscienza che l’amore di Dio ha preso possesso di lui e lo ha trasformato in un figlio amato”.
“La fiducia che Dio ha mostrato nei nostri confronti e che offre anche agli altri ci rende capaci di aprirci agli altri con fiducia, di considerare gli altri come fratelli”.
Se è vero che solo la luce dello Spirito ci permette di entrare nella pienezza del mistero di Cristo e quindi del Padre, ha proseguito, “è però anche vero che solo dalla consuetudine con Cristo ci è dato l’accesso allo Spirito che fa nuove tutte le cose, che ci rigenera secondo il nostro vero volto”.
“La vera novità non sta nell’anticonformismo puramente esteriore che in realtà ricicla gli standard imposti dai 'padroni' delle mode e delle tendenze, nell’eccesso ad ogni costo e con ogni mezzo, che ripete sempre le stesse esperienze accentuando solo la sofferenza”, denuncia.
“La vera novità sta invece nel lasciarsi ricondurre alla verità di sé e del mondo, che solo lo Spirito di Dio ci può assicurare, perché egli era presente quando il Padre ci ha pensato e creato, quando ha preso forma il suo progetto d’amore per noi; e può indirizzarci a individuarne le forme attraverso le parole del Figlio, il rivelatore”.
Monsignor Betori ha ricordato che c'è “un tracciato preciso che ci aiuta a scoprire la voce dello Spirito ed è quello che possiamo incontrare nell’ascolto dell’unica parola che veramente cerca il nostro interesse: la parola di Dio”.
“Frequentare le pagine del Vangelo, dedicarci con assiduità alla lectio divina è modalità concreta di ascolto dello Spirito e costruzione di una personalità cristiana da lui ispirata e rafforzata”, perché lo Spirito “non è solo luce per la nostra vita ma anche forza che sostiene il nostro cammino”.
“Abbiamo bisogno di maestri per imparare a parlare, a vivere, ad amare – ha concluso –: di questo Maestro sommo che è lo Spirito possiamo fidarci, perché ci conosce meglio di noi stessi, perché non ci cerca per sottometterci ma per arricchirci di sé, perché solo lui può introdurci nel mistero d’amore di Dio, che prende figura nella Santissima Trinità”.
Il 13 luglio a Parigi Sarkozy ha annunciato la nascita dell'Unione per il Mediterraneo: è stato tutto un bluff mediatico
E' stata una grande e grave messinscena a cui si sono prestati 43 capi di stato in ossequio al presidente di turno dell'Unione Europea in cerca di un recupero di popolarità, strumentalizzando il potere ipnotico dei media e facendo leva sulla nostra disponibilità a farci raggirare accettando come verità tutto ciò che ci inculcano i politici e le televisioni
autore: Magdi Cristiano Allam
Cari amici,
L'"Unione per il Mediterraneo" che ci è stata presentata in pompa magna il 13 luglio a Parigi dal presidente francese Nicolas Sarkozy alla presenza dei leader di ben 43 stati, i 27 dell'Unione Europea e 16 della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo, si è già dissolta come uno straordinario numero del più insidioso e perfido prestigiatore della nostra epoca: i mezzi di comunicazione di massa. I dubbi erano tanti sin dalla vigilia, visti gli esiti fallimentari delle precedenti esperienze nei rapporti tra le varie sponde del Mediterraneo, in particolare tra l'Europa e i paesi arabi.
Ebbene ora abbiamo la certezza che è stato tutto un bluff, una grande e grave messinscena a cui si sono prestati i capi di stato in ossequio al presidente di turno dell'Unione Europea in cerca di un recupero di popolarità, strumentalizzando il potere ipnotico dei media e facendo leva sulla nostra disponibilità a farci raggirare accettando come verità tutto ciò che ci inculcano i politici e le televisioni.
Il fallimento del vertice di Parigi è testimoniato dal fatto più elementare, il rifiuto dei 43 leader di posare insieme per la classica foto di famiglia, affinché non rimanga alcuna traccia dell'evento, e ciò si deve principalmente al rifiuto ideologico e pregiudiziale degli arabi di comparire al fianco di Israele. Come sia possibile che nel giro di 24 ore nasca e muoia un progetto politico che altro non è che un inganno mediatico, che i capi di stato di 43 stati siano complici in questa truffa ai danni dei loro cittadini, che la stampa internazionale sia connivente nell'alimentare il raggiro delle nostre menti, che molti di noi ci siamo rivelati terreno fertile per essere adescati alla stregua di creduloni pronti a bere tutto e il contrario di tutto.
All'indomani della seconda guerra del Golfo, scatenata dall'occupazione irachena del Kuwait il 2 agosto 1990 e risoltasi con la liberazione dell'emirato arabo grazie all'intervento armato di una poderosa armata multinazionale capeggiata dagli Stati Uniti, il presidente Bush senior avviò il progetto di una partnership economica per il Medio Oriente, battezzata con un incontro al vertice a Casablanca nel 1993 con l'impegno di stanziare 5 miliardi di dollari per favorire l'emergere della piccola e media impresa nei paesi arabi e affermare la presenza di un ceto medio liberale e sensibile ai diritti fondamentali dell'uomo. Ebbene quel progetto fallì per l'opposizione dei paesi arabi, a cominciare dal moderato Egitto, alla presenza di Israele di fatto alla guida della locomotiva trainante della rinascita economica del Medio Oriente.
Nel 1995 fu la volta dell'Unione Europea con la Dichiarazione e la Conferenza di Barcellona che rilanciò la volontà di pervenire a un'intesa globale con i paesi arabi al fine di realizzare, entro il 2005, a una zona di libero scambio nel Mediterraneo. Il risultato, anche in questo caso, è stato un insuccesso e, anche in questo caso, a causa del rifiuto arabo di scendere a patti con Israele. Pensate che il vertice dei capi di Stato aderenti alla Conferenza di Barcellona, svoltosi nel 2005 nel capoluogo catalano, fallì sonoramente per il rifiuto dei paesi arabi di condannare il terrorismo palestinese e quello iracheno, da loro nobilitato alla stregua di "resistenza", ciò che non consentì neppure di concordare il testo di una dichiarazione finale comune.
Ed è in questo contesto del tutto negativo che l'iniziativa di Sarkozy si presentava come una sorta di miracolo operato da un uomo della provvidenza in grado di risolvere tutto e di accontentare tutti. Invece nuovamente gli arabi si sono opposti ad essere affiancati agli israeliani, nonostante che lo faccia tranquillamente il leader dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, sconfessando il vecchio luogo comune che se i palestinesi avessero trattato con gli israeliani anche gli arabi avrebbero fatto altrettanto, e confermando come all'opposto Israele era e resta la valvola di sfogo ideologica vitale per stornare l'attenzione delle opinioni pubbliche arabe dalla malefatte dei loro regimi autoritari e corrotti.
Noi tutti siamo complici e corresponsabili di questo inganno mediatico che certamente non servirà al bene dei popoli e alla causa della pace in Medio Oriente e, forse, non servirà neppure a risollevare le quotazioni di Sarkozy sulla scena interna francese. I veri vincitori che hanno tratto beneficio da questo bluff sono alcune aziende francesi che incrementeranno il loro giro d'affari nei paesi arabi e i dittatori arabi che sono stati sdoganati accogliendoli in pompa magna all'Eliseo e invitandoli a presenziare alla solenne parata militare del 14 luglio. Ci rendiamo conto di ciò che stiamo combinando? Riflettiamoci.
Cari amici, andiamo avanti insieme da Protagonisti per l’Italia dei diritti e dei doveri, del bene comune e dell’interesse nazionale, promuovendo un Movimento della Verità, della Vita e della Libertà, per una riforma etica dell’informazione, della società, dell’economia, della cultura e della politica, con i miei migliori auguri di successo e di ogni bene.
Magdi Cristiano Allam
ELUANA/ Baldassarre: una sentenza "creativa", che lascia profondi dubbi di incostituzionalità
Int. a Antonio Baldassarre16/07/2008
Autore(i): Int. a Antonio Baldassarre. Pubblicato il 16/07/2008 – IlSussidiario.net
Non si può «consumare una vita sulla base di una sentenza». Le parole del Card. Bagnasco sono ieri cadute come un giudizio pesante e al tempo stesso molto circostanziato sulla vicenda di Eluana Englaro, entrando nel merito del reale valore di quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Milano. Può una sentenza parlare, e per di più in maniera discutibile, di una sorta di testamento biologico, su cui ancora non esiste nessuna legge? Si può riconoscere il diritto di morire?
Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte Costituzionale, è convinto di no, e ritiene pertanto che la sentenza susciti «profondissimi dubbi di incostituzionalità».
Presidente Baldassarre, la sentenza della Corte d’Appello di Milano salta in un colpo solo tutto il dibattito, che deve avvenire in sede legislativa, sul tema del testamento biologico: che problemi crea questo in termini di conflitto di attribuzione?
Non parlerei espressamente di conflitto di attribuzioni, che è materia molto complessa. Certamente però ci troviamo di fronte a una sentenza che si potrebbe definire “creativa”, e che assume delle decisioni senza base giuridica. Gli estensori di questa sentenza sostanzialmente si sono spinti troppo in là rispetto a quello che dovrebbe essere il campo d’azione di un esponente del potere giudiziario.
Se Eluana morisse e la Cassazione rivedesse quella sentenza, che conseguenze ci sarebbero?
Quella non è una sentenza definitiva, e questo impone a tutti scelte molto ponderate. Se si dovesse procedere mettendo in atto l’interruzione dell’alimentazione, che porterebbe alla morte di Eluana, sulla base di questa sentenza e con un’impugnazione ancora pendente, si verrebbero a creare i presupposti per responsabilità abbastanza gravi. Per sua cautela consiglierei dunque estrema prudenza al padre di Eluana, e quantomeno di attendere la sentenza definitiva.
Che valore ha dal punto di vista giuridico il riferimento al volere di Eluana? Può la testimonianza dell’amica di Eluana avere il valore di prova?
Questa è una sentenza che è stata fatta molto male, perché si presume fondata sulla volontà del soggetto interessato, il quale però non può parlare. La testimonianza su cui si basa poi il “ragionamento” della sentenza non ha alcun valore giuridico, per il semplice motivo che la materia non è regolata. È una testimonianza che non prova nulla nel senso che non c’è nulla da provare, non essendoci materia giuridica. Il testamento biologico nel nostro ordinamento non è disciplinato, e non esiste certo la libertà di decidere per il suicidio: se anche dovessi arrivare a dimostrare che una persona vuole farlo, questo non mi autorizzerebbe certo a metterlo in atto. Nella teoria, la testimonianza è una prova, ma in questo caso si prova che cosa? Si prova, o si proverebbe, una cosa che non ha alcuna rilevanza giuridica ai fini della decisione. Potrà magari valere sul piano morale, ma non certo sul piano giuridico.
Bisognerebbe anche sapere se Eluana avrebbe accettato questo tipo di morte, che potrebbe durare diversi giorni e provocare molto dolore.
Certo, ci sono tutta una serie di cose che sfuggono e che non possono essere dedotte da questa testimonianza. Ma, ripeto, il punto essenziale è quello dell’insussistenza di tutto il discorso: se anche la prova fosse affidabilissima – e non lo è – non avremmo comunque l’autorizzazione a mettere in atto alcunché, non essendo la materia regolata. Prima deve esserci un pronunciamento su questa materia in sede legislativa, per quanto riguarda il cosiddetto testamento biologico. Oltretutto io mi auguro che quando il legislatore regolerà questa materia non voglia affidarsi a simili mezzi di prova, che mi sembrano essere molto discutibili e decisamente aleatori.
Ha secondo lei una certa rilevanza anche dal punto di vista giuridico l’appello delle suore della clinica di Lecco, le quali dicono «lasciate Eluana a noi»?
No, direi che rimaniamo comunque nell’ambito etico-morale, non in quello giuridico. Sono i genitori a decidere della collocazione del corpo della figlia; resta però fuor di dubbio che non possono invece decidere della sua morte. E se dovessero farlo, non essendo la sentenza definitiva, ripeto che a mio avviso ci sarebbero serie responsabilità penali. Non siamo certamente in presenza di un accanimento terapeutico, quindi interrompere il trattamento significherebbe compiere un atto di eutanasia, il che naturalmente non è ammesso.
La sentenza solleva dubbi anche in termini di incostituzionalità?
La Cosituzione, all’articolo 2, riconosce il diritto alla vita, come ha chiaramente detto la Corte Costituzionale; non c’è invece il diritto a morire. Dal punto di vista costituzionale quindi la sentenza lascia profondissimi dubbi.
17 luglio 2008
Questa mattina Bendetto XVI ha incontrato i giovani a Sydney - Il Papa in Australia difende la vita dal concepimento alla morte naturale
"Come può essere che lo spazio umano più bello e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?"
PAPA: 'GREMBO MATERNO E' SACRO, VIOLARLO E' VIOLENZA INDICIBILE' Il mondo è stanco di falsi idoli e di risposte ipocrite Sydney, 17 lug. (Apcom) - "Come può essere che lo spazio umano più bello e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?". È il grido di Benedetto XVI contro l'aborto; è l'inno alla vita proclamato di fronte a oltre 140mila giovani radunati nella baia di Barangaroo, a Sydney, in occasione della festa di accoglienza per la Giornata Mondiale della Gioventù. "Sappiamo riconoscere che l'innata dignità di ogni individuo poggia sulla sua più profonda identità, quale immagine del Creatore, e che perciò - afferma il Papa - i diritti umani sono universali, basati sulla legge naturale, e non qualcosa dipendente da negoziati o da condiscendenza, men che meno da compromesso? E così siamo condotti a riflettere su quale posto hanno nelle nostre società i poveri, i vecchi, gli immigranti, i privi di voce. Come può essere che la violenza domestica tormenti tante madri e bambini?", si interroga Joseph Ratzinger. E prosegue: "Come può essere che lo spazio umano più bello e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?". Forte l'appello del Papa alla tutela della "vita umana dal concepimento fino alla morte naturale"; ma anche alla "dignità che è conferita da Dio stesso e perciò inviolabile". "Il nostro mondo si è stancato dell'avidità, dello sfruttamento e della divisione, del tedio di falsi idoli e di risposte ipocrite, e della pena di false promesse - conclude Benedetto XVI - il nostro cuore e la nostra mente anelano ad una visione della vita dove regni l'amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l'unità, dove la libertà trovi il proprio significato nella verità, e dove l'identità sia fondata in una comunione rispettosa". Da qui, il testimone che il Papa lascia ai giovani: "Sia questo il messaggio che voi portate da Sydney al mondo!".
VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A SYDNEY (AUSTRALIA) IN OCCASIONE DELLA XXIII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ (13 - 21 LUGLIO 2008)
FESTA DI ACCOGLIENZA DEI GIOVANI
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI - Molo di Barangaroo di Sydney, Giovedì, 17 luglio 2008
Cari giovani,
quale gioia è potervi salutare qui a Barangaroo, sulle sponde della magnifica baia di Sydney, con il famoso ponte e l’Opera House. Molti di voi sono di questo Paese, dall’interno o dalle dinamiche comunità multiculturali delle città australiane. Altri di voi sono giunti dalle isole sparse dell’Oceania, altri ancora dall’Asia, dal Medio Oriente, dall’Africa e dalle Americhe. Un certo numero di voi, in verità, è arrivato da così lontano quanto me, dall’Europa! Qualunque sia il Paese da cui proveniamo, finalmente siamo qui, a Sydney! E insieme siamo presenti in questo nostro mondo come famiglia di Dio, quali discepoli di Cristo, confermati dal suo Spirito per essere testimoni del suo amore e della sua verità davanti a tutti.
Desidero anzitutto ringraziare gli Anziani degli Aborigeni che mi hanno dato il benvenuto prima che io salissi sul battello nella Rose Bay. Sono profondamente commosso di trovarmi nella vostra terra, sapendo delle sofferenze e delle ingiustizie che essa ha sopportato, ma cosciente anche del risanamento e della speranza ora in atto, di cui giustamente tutti i cittadini australiani possono essere fieri. Ai giovani indigeni – aborigeni e abitanti delle Isole dello Stretto di Torres – e Tokelauani esprimo il mio grazie per il toccante benvenuto. Attraverso di voi, invio cordiali saluti ai vostri popoli.
Signor Cardinale Pell e Mons. Arcivescovo Wilson: vi ringrazio per le vostre calde espressioni di benvenuto. So che i vostri sentimenti riecheggiano nel cuore dei giovani qui radunati questa sera, e perciò vi ringrazio tutti. Di fronte a me vedo un’immagine vibrante della Chiesa universale. La varietà di Nazioni e di culture dalle quali voi provenite dimostra che davvero la Buona Novella di Cristo è per tutti e per ciascuno; essa ha raggiunto i confini della terra. E tuttavia so anche che un buon numero fra voi è tuttora alla ricerca di una patria spirituale. Alcuni fra voi, assolutamente benvenuti tra noi, non sono cattolici o cristiani. Altri tra voi, forse, si muovono ai confini della vita della parrocchia e della Chiesa. A voi desidero offrire il mio incoraggiamento: avvicinatevi all’amorevole abbraccio di Cristo; riconoscete la Chiesa come vostra casa. Nessuno è obbligato a rimanere all’esterno, poiché dal giorno di Pentecoste la Chiesa è una e universale.
Questa sera desidero includere anche quanti non sono presenti fra di noi. Penso specialmente ai malati o ai disabili psichici, ai giovani in prigione, a quanti faticano ai margini delle nostre società ed a coloro che per una qualche ragione si sentono alienati dalla Chiesa. A loro dico: Gesù ti è vicino! Sperimenta il suo abbraccio che guarisce, la sua compassione, la sua misericordia!
Quasi duemila anni orsono gli Apostoli, radunati nella sala superiore della casa insieme con Maria (cfr At 1,14) e con alcune donne fedeli, furono riempiti di Spirito Santo (cfr At 2,4). In quello straordinario momento, che segnò la nascita della Chiesa, la confusione e la paura che avevano afferrato i discepoli di Cristo si trasformarono in una vigorosa convinzione e in consapevolezza di uno scopo. Si sentirono spinti a parlare del loro incontro con Gesù risorto, che oramai chiamavano affettuosamente il Signore. In molti modi gli Apostoli erano persone ordinarie. Nessuno poteva affermare di essere il discepolo perfetto. Avevano mancato di riconoscere Cristo (cfr Lc 24,13-32), avevano dovuto vergognarsi della loro ambizione (cfr Lc 22,24-27), lo avevano anche rinnegato (cfr Lc 22,54-62). E tuttavia, quando furono ripieni di Spirito Santo, furono trafitti dalla verità del Vangelo di Cristo e ispirati a proclamarlo senza timore. Rinfrancati, gridarono: pentitevi, fatevi battezzare, ricevete lo Spirito Santo (cfr At 2,37-38)! Fondata sull’insegnamento degli Apostoli, sull’adesione a loro, sullo spezzare il pane e sulla preghiera (cfr At 2,42), la giovane comunità cristiana si fece avanti per opporsi alla perversità della cultura che la circondava (cfr At 2,40), per prendersi cura dei propri membri (cfr At 2,44-47), per difendere la propria fede in Gesù di fronte alle ostilità (cfr At 4,33) e per guarire i malati (cfr At 5,12-16). E in adempimento del comando di Cristo stesso, partirono, testimoniando la storia più grande di tutti i tempi: quella che Dio si è fatto uno di noi, che il divino è entrato nella storia umana per poterla trasformare, e che siamo chiamati ad immergerci nell’amore salvifico di Cristo che trionfa sul male e sulla morte. Nel suo famoso discorso all’areopago, san Paolo introdusse il messaggio così: Dio dona ogni cosa, compresa la vita e il respiro, a ciascuno, così che tutte le Nazioni possano ricercare Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni. Infatti egli non è lontano da ciascuno di noi, poiché in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (cfr At 17, 25-28).
Da quel momento, uomini e donne sono usciti fuori per raccontare la stessa vicenda, testimoniando l’amore e la verità di Cristo, e contribuendo alla missione della Chiesa. Oggi pensiamo a quei pionieri – sacerdoti, suore e frati - che giunsero a questi lidi e in altre parti del Pacifico, dall’Irlanda, dalla Francia, dalla Gran Bretagna e da altre parti d’Europa. La maggior parte di loro erano giovani, alcuni persino non ancora ventenni, e quando salutarono per sempre i genitori, i fratelli, le sorelle, gli amici, ben sapevano che sarebbe stato improbabile per loro ritornare a casa. Le loro vite furono una testimonianza cristiana priva di interessi egoistici. Divennero umili ma tenaci costruttori di così gran parte dell’eredità sociale e spirituale che ancora oggi reca bontà, compassione e scopo a queste Nazioni. E furono capaci di ispirare un’altra generazione. Viene alla mente immediatamente la fede che sostenne la beata Mary MacKillop nella sua decisa determinazione di educare specialmente i poveri, e il beato Peter To Rot nella sua ferma convinzione che la guida di una comunità deve sempre rifarsi al Vangelo. Pensate anche ai vostri nonni e ai vostri genitori, i vostri primi maestri nella fede. Anch’essi hanno fatto innumerevoli sacrifici di tempo e di energia, mossi dall’amore per voi. Con il sostegno dei sacerdoti e degli insegnanti della vostra parrocchia, essi hanno il compito, non sempre facile ma altamente gratificante, di guidarvi verso tutto ciò che è buono e vero, mediante il loro esempio personale, il loro modo di insegnare e di vivere la fede cristiana.
Oggi è il mio turno. Ad alcuni di noi può sembrare di essere giunti alla fine del mondo! Per le persone della vostra età, comunque, ogni volo è una prospettiva eccitante. Ma per me, questo volo è stato in qualche misura causa di apprensione. E tuttavia la vista del nostro pianeta dall’alto è stata davvero magnifica. Il luccichio del Mediterraneo, la magnificenza del deserto nordafricano, la lussureggiante foresta dell’Asia, la vastità dell’Oceano Pacifico, l’orizzonte sul quale il sole sorge e cala, il maestoso splendore della bellezza naturale dell’Australia, di cui ho potuto godere nei trascorsi due giorni; tutto ciò suscita un profondo senso di reverente timore. È come se uno catturasse rapide immagini della storia della creazione raccontata nella Genesi: la luce e le tenebre, il sole e la luna, le acque, la terra e le creature viventi. Tutto ciò è “buono” agli occhi di Dio (cfr Gn 1,1–2,4). Immersi in simile bellezza, come si potrebbe non far eco alle parole del Salmista nel lodare il Creatore: “Quanto è grande il tuo nome su tutta la terra” (Sal 8,2)?
Ma vi è di più, qualcosa di difficile percezione dall’alto dei cieli: uomini e donne creati niente di meno che ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,26). Al cuore della meraviglia della creazione ci siamo voi ed io, la famiglia umana “coronata di gloria e di onore” (cfr Sal 8,6). Quale meraviglia! Con il Salmista sussurriamo: “Che cosa è l’uomo perché te ne curi?” (cfr Sal 8,5). Introdotti nel silenzio, in uno spirito di gratitudine, nella potenza della santità, noi riflettiamo.
Che cosa scopriamo? Forse con riluttanza giungiamo ad ammettere che vi sono anche delle ferite che segnano la superficie della terra: l’erosione, la deforestazione, lo sperpero delle risorse minerali e marine per alimentare un insaziabile consumismo. Alcuni di voi giungono da isole-Stato, la cui esistenza stessa è minacciata dall’aumento dei livelli delle acque; altri da Nazioni che soffrono gli effetti di siccità devastanti. La meravigliosa creazione di Dio viene talvolta sperimentata come una realtà quasi ostile per i suoi custodi, persino come qualcosa di pericoloso. Come può ciò che è “buono” apparire così minaccioso?
E c’è di più. Che dire dell’uomo, del vertice della creazione di Dio? Ogni giorno incontriamo il genio delle conquiste umane. Dai progressi nelle scienze mediche e dalla sapiente applicazione della tecnologia fino alla creatività riflessa nelle arti, in molti modi cresce costantemente la qualità e la soddisfazione della vita della gente. Anche tra voi vi è una pronta disponibilità ad accogliere le abbondanti opportunità che vi vengono offerte. Alcuni di voi eccellono negli studi, nello sport, nella musica, o nella danza e nel teatro, altri tra voi hanno un acuto senso della giustizia sociale e dell’etica e molti di voi si assumono impegni di servizio e di volontariato. Tutti noi, giovani e vecchi, abbiamo momenti nei quali la bontà innata della persona umana - percepibile forse nel gesto di un piccolo bambino o nella disponibilità di un adulto a perdonare - ci riempie di profonda gioia e gratitudine.
E tuttavia tali momenti non durano a lungo. Perciò, ancora, riflettiamo. E scopriamo che non soltanto l’ambiente naturale, ma anche quello sociale - l’habitat che ci creiamo noi stessi - ha le sue cicatrici; ferite che stanno ad indicare che qualcosa non è a posto. Anche qui nelle nostre vite personali e nelle nostre comunità possiamo incontrare ostilità a volte pericolose; un veleno che minaccia di corrodere ciò che è buono, riplasmare ciò che siamo e distorcere lo scopo per il quale siamo stati creati. Gli esempi abbondano, come voi ben sapete. Fra i più in evidenza vi sono l’abuso di alcool e di droghe, l’esaltazione della violenza e il degrado sessuale, presentati spesso dalla televisione e da internet come divertimento. Mi domando come potrebbe uno che fosse posto faccia a faccia con persone che soffrono realmente violenza e sfruttamento sessuale spiegare che queste tragedie, riprodotte in forma virtuale, sono da considerare semplicemente come “divertimento”.
Vi è anche qualcosa di sinistro che sgorga dal fatto che libertà e tolleranza sono così spesso separate dalla verità. Questo è alimentato dall’idea, oggi ampiamente diffusa, che non vi sia una verità assoluta a guidare le nostre vite. Il relativismo, dando valore in pratica indiscriminatamente a tutto, ha reso l’“esperienza” importante più di tutto. In realtà, le esperienze, staccate da ogni considerazione di ciò che è buono o vero, possono condurre non ad una genuina libertà, bensì ad una confusione morale o intellettuale, ad un indebolimento dei principi, alla perdita dell’autostima e persino alla disperazione.
Cari amici, la vita non è governata dalla sorte, non è casuale. La vostra personale esistenza è stata voluta da Dio, benedetta da lui e ad essa è stato dato uno scopo (cfr Gn 1,28)! La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze, per quanto utili molti di tali eventi possano essere. È una ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia. Non lasciatevi ingannare da quanti vedono in voi semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità.
Cristo offre di più! Anzi, offre tutto! Solo lui, che è la Verità, può essere la Via e pertanto anche la Vita. Così la “via” che gli Apostoli recarono sino ai confini della terra è la vita in Cristo. È la vita della Chiesa. E l’ingresso in questa vita, nella via cristiana, è il Battesimo.
Questa sera desidero pertanto ricordare brevemente qualcosa della nostra comprensione del Battesimo, prima di considerare domani lo Spirito Santo. Nel giorno del Battesimo Dio vi ha introdotto nella sua santità (cfr 2 Pt 1,4). Siete stati adottati quali figli e figlie del Padre e siete stati incorporati in Cristo. Siete divenuti abitazione del suo Spirito (cfr 1 Cor 6,19). Perciò, verso la fine del rito del Battesimo, il sacerdote si è rivolto ai vostri genitori e ai partecipanti, e chiamandovi per nome ha detto: “Sei diventato nuova creatura” (Rito del Battesimo, 99).
Cari amici, a casa, a scuola, all’università, nei luoghi di lavoro e di svago, ricordatevi che siete creature nuove. Come cristiani, voi siete in questo mondo sapendo che Dio ha un volto umano – Gesù Cristo – la “via” che soddisfa ogni anelito umano, e la “vita” della quale siamo chiamati a dare testimonianza, camminando sempre nella sua luce (cfr ibid., 100). Il compito di testimone non è facile. Vi sono molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato “in panchina” e che la religione e la fede, per quanto accettabili sul piano individuale, debbano essere o escluse dalla vita pubblica o utilizzate solo per perseguire limitati scopi pragmatici. Questa visione secolarizzata tenta di spiegare la vita umana e di plasmare la società con pochi riferimenti o con nessun riferimento al Creatore. Si presenta come una forza neutrale, imparziale e rispettosa di ciascuno. In realtà, come ogni ideologia, il secolarismo impone una visione globale. Se Dio è irrilevante nella vita pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio. Ma quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire. Ciò che ostentatamente è stato promosso come umana ingegnosità si è ben presto manifestato come follia, avidità e sfruttamento egoistico. E così ci siamo resi sempre più conto del bisogno di umiltà di fronte alla delicata complessità del mondo di Dio.
E che dire del nostro ambiente sociale? Siamo ugualmente vigili quanto ai segni del nostro volgere le spalle alla struttura morale di cui Dio ha dotato l’umanità (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2007, 8)? Sappiamo riconoscere che l’innata dignità di ogni individuo poggia sulla sua più profonda identità, quale immagine del Creatore, e che perciò i diritti umani sono universali, basati sulla legge naturale, e non qualcosa dipendente da negoziati o da condiscendenza, men che meno da compromesso? E così siamo condotti a riflettere su quale posto hanno nelle nostre società i poveri, i vecchi, gli immigranti, i privi di voce. Come può essere che la violenza domestica tormenti tante madri e bambini? Come può essere che lo spazio umano più mirabile e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?
Cari amici, la creazione di Dio è unica ed è buona. Le preoccupazioni per la non violenza, lo sviluppo sostenibile, la giustizia e la pace, la cura del nostro ambiente sono di vitale importanza per l’umanità. Tutto ciò non può però essere compreso a prescindere da una profonda riflessione sull’innata dignità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, una dignità che è conferita da Dio stesso e perciò inviolabile. Il nostro mondo si è stancato dell’avidità, dello sfruttamento e della divisione, del tedio di falsi idoli e di risposte parziali, e della pena di false promesse. Il nostro cuore e la nostra mente anelano ad una visione della vita dove regni l’amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l’unità, dove la libertà trovi il proprio significato nella verità, e dove l’identità sia trovata in una comunione rispettosa. Questa è opera dello Spirito Santo! Questa è la speranza offerta dal Vangelo di Gesù Cristo! È per rendere testimonianza a questa realtà che siete stati ricreati nel Battesimo e rafforzati mediante i doni dello Spirito nella Cresima. Sia questo il messaggio che voi portate da Sydney al mondo!
Mi rivolgo ora con affetto ai giovani di lingua italiana. Cari amici, anche questa volta avete risposto numerosi al mio invito, nonostante le difficoltà dovute alla distanza. Vi ringrazio, e voglio salutare anche i vostri coetanei che dall’Italia sono spiritualmente uniti a noi. Vi invito a vivere con grande impegno interiore queste giornate: aprite il cuore al dono dello Spirito Santo, per essere rafforzati nella fede e nella capacità di rendere testimonianza al Signore risorto. Arrivederci!
SULLE (ASSERITE) SCELTE IL DIRITTO DI POTER TORNARE INDIETRO
GIUSEPPE DALLA TORRE
Avvenire, 17 luglio 2008
Il dibattito sul doloroso caso di Eluana Englaro ha dimenticato, forse, due aspetti giuridici non del tutto marginali.
Il primo attiene all’asserita volontà di lasciarsi morire. A prescindere dalla considerazione che altro è parlare, salottieramente, di che cosa si vorrebbe fare in simili circostanze, quando si sta bene e si fantastica solo un’evenienza ipotetica, altro è parlare di vita o di morte nell’imminenza di decisioni fondamentali ed irreversibili, rimane pur sempre il nodo giuridico centrale della volontà di lasciarsi morire. Sembra infatti davvero strano che a fronte di un diritto indisponibile com’è quello alla vita, come tale non esercitabile tramite rappresentanti, fossero anche i più prossimi congiunti, non si richieda una volontà libera, consapevole, attuale da parte del suo titolare. Per atti giuridici di assai minore rilevanza, come banali contratti, l’ordinamento richiede una manifestazione di volontà che abbia tali requisiti, pena la invalidità di quanto si compie. Ora sembra sfidare eccessivamente la logica ritenere che essi ricorrano nel nostro caso.
Ma c’è un elemento in più da considerare. Dato e non concesso che la povera Eluana abbia davvero, sedici o più anni fa, manifestato una volontà libera, consapevole, responsabile, di interrompere non le terapie, ma la stessa alimentazione ed idratazione, rimane un nodo irrisolto: tale volontà è ancora attuale? La giurisprudenza, in particolare la Cassazione, si è in passato e più volte pronunciata a difesa dello jus poenitendi, del diritto di pentirsi delle proprie scelte ideologiche, politiche o religiose, così come delle proprie scelte di vita. Un diritto, questo, considerato come fondamentale, in quanto espressione della fondamentale libertà propria di ogni essere umano. Ma come garantire, qui ed ora, ad Eluana il diritto di pentirsi delle (asserite) scelte di allora? Perché negare proprio a lei questo diritto fondamentale? E perché negarglielo proprio nel momento in cui massima è la sua condizione di debolezza e di dipendenza? Perché soprattutto negaglielo proprio sul terreno del diritto alla vita, il più fondamentale di ogni diritto, il presupposto degli altri diritti fondamentali, il cui esercizio può essere caratterizzato dalla irreversibilità?
In secondo luogo, si è fondato il diritto di autodeterminazione a lasciarsi morire sull’articolo 32 della Costituzione. Il riferimento è erroneo, perché questa disposizione riguarda il rifiuto di trattamenti sanitari, mentre nel nostro caso si è davanti al rifiuto dell’alimentazione ed idratazione, che propriamente terapie non sono. Ci si dovrebbe semmai riferire all’articolo 2 della Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili della persona e, quindi, quella sua radicale libertà che può anche indurre alla scelta – pur eticamente riprovevole – del lasciarsi morire. Ma se si vuole richiamare l’articolo 2 della Costituzione, lo si deve fare per intero; e questo articolo, nella seconda parte, richiede a tutti i consociati l’adempimento dei doveri – che con forza sono qualificati come 'inderogabili' – di solidarietà.
Non è che nel caso di Eluana si rischia di violare questa disposizione costituzionale? Che proprio nel caso di una persona estremamente debole, indifesa, dipendente da noi, veniamo meno ad uno dei valori su cui abbiamo convenuto, tra le diversità culturali che pur connotano la nostra società pluralista, di fondare la comune convivenza?
UNA PAROLA DELICATA E FRANCA PER IL SIGNOR ENGLARO - Dopo la vittoria dell’irreparabile davvero si sentirà meglio?
Avvenire, 17 luglio 2008
DON MICHELE ARAMINI
T rovare la via del dialogo è veramente arduo quando prospettive differenti si scontrano nella valutazione delle esperienze fondamentali dell’uomo. Ma la parola di cui noi uomini siamo dotati, se pronunciata nella verità e nell’amore, permette di avvicinare pensieri diversi. È in base a questa convinzione che mi permetto di rivolgere, in punta di penna, una parola al padre di Eluana, a lei signor Beppino Englaro. In questi anni la cura concreta di sua figlia è stata svolta con grande competenza e amore dalle suore Misericordine, ma su di lei è rimasto un enorme peso. Prima il dolore dell’incidente, la delusione per il mancato risveglio, la perdita della speranza e poi chissà quante domande sulla vita di Eluana (è viva? è ancora persona? che cosa bisogna fare?) e sul perché di tutto questo. Lei afferma che Eluana è morta al momento dell’incidente, ma le chiedo se è veramente riuscito a elaborare il lutto per sua figlia. Non è curiosità la mia.
Coloro che hanno perduto i loro cari senza poterne curare il corpo e la tomba, testimoniano di sentirsi come sospesi, in un’attesa dolorosa.
Prova anche lei questa sospensione logorante?
Se la provasse sarebbe umanamente del tutto comprensibile. Molti genitori soffrono perché i loro figli sono sbandati, sono drogati o altro.
Ciascuno di noi soffre per qualcun altro che ama o che amava. Nello stesso tempo dovrebbe essere chiaro a tutti che non si può eliminare una esperienza dolorosa agendo negativamente sulla persona che sembra provocarla. Ma lei dice che la motivazione della sua insistenza nel chiedere alla magistratura l’autorizzazione a sospendere l’alimentazione e l’idratazione a Eluana consiste nel rispetto della volontà espressa da sua figlia. È un’affermazione netta, precisa, indiscutibile. Sembra che Eluana avesse parlato con lei, una volta, dell’argomento.
Magari in un momento di sofferenza dovuta alla vista di un amico che aveva avuto un incidente.
Pian piano questa parola è cresciuta ed è diventata un motivo dominante: Eluana non voleva vivere in 'quelle condizioni', come una nullità. Ma forse che aveva detto di voler morire come sta succedendo oggi? Eluana è vissuta in questi anni come una nullità? O piuttosto non è stata accudita con competenza e affetto, proprio come merita una persona umana? Lei si rende conto bene che intorno a sua figlia si giocano delle questioni umane, sociali, morali molto importanti non solo per lei, ma per tutta la società. Occorre decidere se l’idratazione e l’alimentazione sono cure che si possono sospendere o sostegni vitali da garantire sempre; occorre decidere qual è il ruolo della volontà del paziente nell’ambito della terapia medica; sotto ogni questione fa capolino la terribile richiesta di introdurre l’eutanasia. Tutte cose note. Ma nella vicenda di Eluana c’è la questione somma: chi è l’uomo? Chi è la persona umana? Forse lei si è convinto che la persona umana è solo quella che ha le capacità relazionali forti. Ma è mai possibile che un corpo che vive autonomamente sia un oggetto inutile? Lei pensa che il rispetto della volontà di Eluana possa portare a cambiare lo stesso concetto di persona? Il passaggio è quello che va da un concetto che vede l’uomo là dove c’è il suo corpo e che perciò lo protegge anche quando è debole e silente, a un concetto in cui l’uomo è valutato per quello che sa dire o che sa fare, una concezione quantitativa, che pensa lecito sbarazzarsi dei deboli, di quelli che hanno quantità troppo piccole per essere utili al mondo-mercato.
Infine, vorrei chiederle se non teme che, dopo questo momento di vittoria legale, una volta accaduto l’irreparabile, non possa avere altri sentimenti. Mi pare che questo sia un momento parossistico. Dopo tante battaglie legali, finalmente si può procedere. Ma dopo che succederà? L’umanità fa sempre sentire la sua voce e rivendica i suoi diritti. Perciò mi chiedo che cosa può succedere se un padre diventa l’artefice della morte di sua figlia. Lei comprende bene che non concordo con la sua attuale scelta, che spero non definitiva o per un suo stesso ripensamento o per un nuovo intervento della magistratura, ma sappia che le sono vicino come uomo. Penso infatti che probabilmente lei soffrirà sia nel caso che Eluana dovesse restare in cura presso le Suore sia nel caso della sua scomparsa perché lasciata morire.
Se non della vita e della morte di cos’altro può parlare la Chiesa?
Avvenire, 17 luglio 2008
DAVIDE RONDONI
A volte ci si ritrova come viandanti intorno a un bivacco. Perché la vita è un viaggio pieno di imprevisti. E ogni tanto ci si ritrova, venendo da strade diverse, a conversare. Sono i momenti come questo, quando tutti colpiti da una vicenda come quella di Eluana si sente la necessità di parlarne. E sempre stato così, intorno a bivacchi antichi, e anche nelle soste della più frenetica vita moderna. Che ha sì ritmi diversi, ma è pur sempre un viaggio. Durante il quale accade che gli uomini si trovino davanti a speciali eventi, che richiamano i grandi temi della vita e della morte. Allora in quei bivacchi, in quei ritrovi si parla anche di questo. Si cessa per un po’ di parlare di soldi, di amori, si smette di chiacchierare e si discorre del senso della vita, e della morte. Ognuno dei viandanti lo fa a modo suo, venendo dalla sua strada.
Portando i pensieri della vita che lo ha condotto fin lì. E vista la difficoltà, la serietà, la grandiosità del tema, sono ben accolti i suggerimenti, le proposte, le domande di tutti. Si parla piano, in genere davanti a certe cose immense.
In genere chi alza la voce lo fa per nascondere un disagio, o una insicurezza travestita da intolleranza.
Anche nel bivacco che si è costituito in questa circostanza della vita pubblica italiana, sotto le vaste stelle di un problema delicato che riguarda il confine tra la vita e la morte, ci sono state molte voci, quasi tutte discrete, attente. In molti hanno preso parola.
Naturalmente i protagonisti principali.
Che attorno al silenzio di Eluana hanno provato sinceramente a interpretare cosa sia meglio fare. Con discrezione e passione. Ma qua e là si è sentito, nel grande ritrovo di viandanti intorno a questo tema straziante e centrale, anche lo strano vociare di chi pretende che la Chiesa taccia, che non parli, che solo lei – mentre parlano giornalisti, scrittori, cantanti – non si azzardi a dire la sua. E proprio perché, dicono qua e là queste voci, quando si parla di vita e di morte, dei fatti più 'propri' della vita di un uomo e di ciascuno, la Chiesa secondo costoro dovrebbe tacere. E ascoltano o riportano infastiditi, ad esempio, le parole misurate e pensose del cardinale Bagnasco. È strana questa volontà di esclusione dal bivacco e dalla conversazione. Uno strano, serpeggiante segno di nervosismo.
Forse perché la Chiesa – che non è solo la voce di un ecclesiastico (per quanto significativo) ma anche la vita, la fede, la speranza di milioni di persone – ha proprio da dire qualcosa su vita e morte quando molti altri si fermano in vaniloqui o retoriche cascanti.
Vorrebbero che lei tacesse, che non 'si intromettesse' là dove molti si intromettono, proprio perché la Chiesa, che non è un sacro palazzo, ma la vita di una trafila interminabile di gente, la fede e la carità di una folla di ignoti e di illustri e soprattutto di gente normale, insomma, forse proprio perché la vita della Chiesa ha scoperto, guardando Gesù, delle cose che illuminano meglio di altro, più ragionevolmente di altro, il mistero della morte, e il mistero della esistenza. E chi la vorrebbe allontanare dal bivacco degli uomini, dai tavoli dove si conversa della vita e della morte, lo fa forse per nascondere una voce scomoda, una voce che non si accontenta del sentimentalismo né del razionalismo. Una voce così umana, che richiama gli uomini a essere se stessi. A non trasformarsi nella propria maschera. Davvero se mancasse quella voce introno al bivacco, al ritrovo sotto le stelle di fronte alle grandi questioni dell’esistenza, saremmo più liberi, più attenti e più tesi a camminare secondo la nostra eretta statura? Davvero, senza la voce che viene da quel vento di secoli e di fede e carità, di arte e di pensiero, saremmo più umili e attenti in questo difficile viaggio?
la testimonianza
Salvatore Crisafulli: «Sentivo la fame e la sete»
Avvenire, 17 luglio 2008
DA ROMA
«L a definizione di stato vegetativo permanente si riferisce a una prognosi sottoposta a gravi margini di errore: la sentenza di morte emessa nei confronti di Eluana Englaro è veramente agghiacciante, fa venire i brividi cancellando definitivamente le nostre speranze e condannando duramente tutti i disabili gravissimi». A parlare è Salvatore Crisafulli, l’uomo che nel 2005, dopo due anni di coma e numerose diagnosi di stato vegetativo permanente, si risvegliò raccontando di aver trascorso quei due anni comprendendo e capendo tutto ciò che gli accadeva intorno. Oggi chiede al presidente della Repubblica un intervento per «evitare ulteriori richieste di eutanasia», affermando che altrimenti si dovrebbero chiudere tutti i reparti di rianimazione.
«Non esistono parametri e criteri validi per accertare l’irreversibilità dello stato vegetativo permanente», dice Crisafulli dal suo letto, dove vive paralizzato ma comunicando attraverso un computer. «Dal mio letto di quasi resuscitato alla vita, voglio gridare a tutto il mondo il mio straziante e silenzioso urlo: questa sentenza di morte emessa nei confronti di Eluana Englaro è una sentenza agghiacciante. Se applicata, si inizia la nuova era dell’eutanasia con l’eliminazione di tutti i disabili gravissimi che aspettano e sperano anche nella scienza. Staccare il sondino sarà una morte veramente atroce, orribile». «Il mio – continua Crisafulli – è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita ma era ancora vivo, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere ». Crisafulli si dice poi «scioccato dal duello» tra il signor Englaro e la Chiesa che «esclude noi protagonisti direttamente coinvolti ». L’uomo ringrazia oggi chi «anche durante la mia vita vegetale, mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre: dove sarebbe finita – domanda – l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico?
«Durante il mio stato vegetativo io avvertivo e sentivo di avere fame e sete, non avvertivo solamente il sapore del cibo. Io sentivo – continua – ma nessuno mi capiva: capivo cosa mi succedeva intorno, ma non potevo parlare, non riuscivo a muovere le gambe, le braccia e qualsiasi cosa volevo fare, ero imprigionato nel mio corpo proprio come lo sono oggi. Sentivo i medici dire che la mia morte era solo questione di tempo, che ero un vegetale, che i miei movimenti oculari erano solo casuali, che non ero cosciente».
«La vita – conclude Salvatore Crisafulli– è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato»
Nel 2005 è uscito da due anni di coma «Una sentenza che fa venire i brividi»
«Chi può dire che voleva morire di fame e sete?»
Avvenire, 17 luglio 2008
DAL NOSTRO INVIATO A LECCO
ENRICO NEGROTTI
Come è stata accertata la volontà di Eluana? Come è stato stabilito che il suo stato è irreversibile? Sono due interrogativi sollevati nell’incontro pubblico svoltosi l’altra sera al Teatro Sociale di Lecco, gremito ben oltre i 460 posti ufficiali, per interrogarsi sul compito della medicina e su poteri e limiti del diritto. Al confronto, organizzato da «Medicina& persona» e da Comunione e Liberazione, hanno preso parte Claudia Mazzucato, ricercatrice di Diritto penale all’Università Cattolica di Milano, e Giancarlo Cesana, docente di Igiene generale e applicata all’Università di Milano-Bicocca.
Il medico ha tracciato un veloce quadro delle conoscenze scientifiche su questi pazienti: «Non sono in coma – ha spiegato Cesana – hanno il ritmo veglia-sonno. Si parla di veglia senza coscienza, ma studi recenti con sistemi sofisticati, come la risonanza magnetica funzionale, hanno evidenziato l’attivazione di aree cerebrali in alcuni pazienti ». «Impossibile fare prognosi. Dopo un anno dall’incidente, il 30% dei pazienti muore, il 20% resta in stato vegetativo e il 50% si riprende spesso con grosse alterazioni. Peraltro va anche sottolineato che alimentazione e idratazione non sono un trattamento medico: di solito sono svolti da un infermiere, o anche da un famiiare ». «Quando si tocca il bene vita – ha puntualizzato Claudia Mazzucato – l’ordinamento giuridico viene trasformato, si crea un precedente: qualcosa è cambiato anche senza l’intervento del Parlamento ». La giurista ha ricordato che nel nostro ordinamento è vietato uccidere anche se c’è il consenso della vittima: sono puniti sia l’omicidio del consenziente, sia l’aiuto al suicidio, ma in questo caso ci si è riferiti alla libertà di decidere se essere curati: «Una persona non può essere costretta a ricevere le cure: per questo è importante stabilire se mangiare e bere sono cure». Il rifiuto delle cure è tema complesso, ha osservato Claudia Mazzucato, cui si aggiunge una questione ulteriore, il consenso presunto: «Le sentenze dicono che la sua volontà è ricavata dalla sua personalità e da episodi riferiti da testimoni. Ma la morte è un evento irreversibile e la presunzione è un criterio abbastanza debole». In più, e decisiva, c’è un’altra domanda: «Non solo la volontà espressa non è più attuale, ma non ci si è interrogati abbastanza su “quale” volontà: quella di non vivere in stato vegetativo, o quella di non essere curata, o quella di non essere alimentata e idratata? È un punto decisivo che manca in questo decreto della Corte d’Appello: possiamo fermarci alla volontà di non vivere così o il procedimento giudiziario deve piuttosto accertare la volontà di morire così?». Altro punto da approfondire, ha osservato Claudia Mazzucato, è la natura dell’atto medico: «Non solo da questo decreto della Corte d’Appello, ma anche da altre sentenze, sta diventando normale una concezione un tempo impensabile: la medicina ha una natura intrinsecamente illecita salvo il consenso dell’interessato. Una visione alternativa a quella tradizionale, che vede lecito l’atto medico fin quando non c’è dissenso del malato. In questo caso si capisce perché c’è il dovere di soccorrere e perché abbiamo un servizio sanitario nazionale». Viceversa, se consideriamo illecito curare salvo consenso, «il rifiuto delle cure diventa un diritto, e si crea una contraddizione con il diritto alla vita. In più – conclude la giurista – se la medicina è illecita, che senso ha la deontologia?».
1) Solo se va a favore della vita la libertà acquista il suo vero senso di Mons. Alessandro MaggioliniVescovo emerito di Como
2) Così sul Web difendono la vita di Eluana - Raccolte firme e blog pro e contro
3) C'è un re alla Mecca che dà lezioni di pace
4) Chi è lo Spirito Santo? Catechesi di monsignor Michele Pennisi alla GMG di Sydney
5) Lo Spirito Santo, “Maestro sommo” di cui fidarsi - Catechesi di monsignor Giuseppe Betori, Segretario della CEI
6) Il 13 luglio a Parigi Sarkozy ha annunciato la nascita dell'Unione per il Mediterraneo: è stato tutto un bluff mediatico
7) ELUANA/ Baldassarre: una sentenza "creativa", che lascia profondi dubbi di incostituzionalità
8) Questa mattina Bendetto XVI ha incontrato i giovani a Sydney - Il Papa in Australia difende la vita dal concepimento alla morte naturale
9) DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI - Molo di Barangaroo di Sydney, Giovedì, 17 luglio 2008
10) SULLE (ASSERITE) SCELTE IL DIRITTO DI POTER TORNARE INDIETRO
11) UNA PAROLA DELICATA E FRANCA PER IL SIGNOR ENGLARO - Dopo la vittoria dell’irreparabile davvero si sentirà meglio?
12) Se non della vita e della morte di cos’altro può parlare la Chiesa?, di Davide Rondoni
13) Salvatore Crisafulli: «Sentivo la fame e la sete»
14) «Chi può dire che voleva morire di fame e sete?»
Solo se va a favore della vita la libertà acquista il suo vero senso di Mons. Alessandro MaggioliniVescovo emerito di Como
Tre osservazioni brevi brevi, ma che sembrano fondamentali sul giudizio che vien dato alla probabile richiesta del signor Englaro di lasciare volontariamente morire la figlia per mancanza di nutrizione. La prima osservazione è data dal fatto che moltissimi hanno deprecato la scelta o almeno il dubbio del padre - il signor Englaro - sulla sorte della figlia che dipende dalla sua libera volontà. E qui si intuisce tutta una serie di interrogativi circa un intervento omicida, detto in termini spicciativi: e omicida nei confronti di una propria figlia, di carne della propria carne e di sangue del proprio sangue. Vi sarebbe spazio per una ripresa dantesca e shakespeariana del monologo drammatico: essere o non essere; atto di coraggio o cedimento a una sorta di vigliaccheria. E su questo tema molti hanno discusso, tirando in ballo il diritto di una libertà che ha senso se è in favore della vita, mentre si designa come delitto se si concretizza in un atto che uccide una persona.
Una seconda riflessione è data dal constatare che l’opinione pubblica si è buttata sugli aspetti umani tragici della vicenda: dimenticando, per esempio, di lasciar cadere almeno un grazie svogliato alle Suore Misericordine che hanno curato Eluana per quattordici anni: senza attendersi un riconoscimento o un grazie. Tra le tante attestazioni di stima che si esibiscono nella vita sociale, non c’è una medaglietta o un immagine stampata in economia che riconosca questo eroismo prolungato, silenzioso e immisurato?
Terza osservazione: il Codice di diritto canonico parla di scomunica comminata a chi procura un aborto, senza esclusione della madre, quando all’intervento umano segue la morte effettiva del bambino: il Codice di diritto canonico è lapidario a questo proposito: « Procurantes abortum, effecto secuto, matre non excepta » , incorrono nella scomunica ecclesiale la cui assoluzione è riservata al vescovo diocesano. Dove coloro che procurano l’aborto non sono soltanto i medici che intervengono clinicamente o farmacologicamente, ma anche coloro che promuovono una mentalità contro una vita non ancora nata, eppur esistente.
A questo punto, senza creare un vespaio di discussioni spesso a vanvera, ci si può chiedere molto chiaramente: non sono lambiti dalla scomunica ecclesiale anche coloro che preparano l’opinione a coonestare un delitto che tale rimane, nonostante tutte le opinioni contrarie?
È chiaro che questa riflessione vale per chi crede in Gesù Cristo e nella Chiesa, come motivi di salvezza e di promozione dell’uomo. Per gli scettici e i relativisti l’uccisione di un fratello, pur piccolo, ma innocente, sarebbe spazzatura da buttare tra la monnezza che distribuisce lo scempio della vita umana nelle strade o nelle fogne del nostro Paese. Rifletta chi si sente toccato da questa considerazione.
(C) Avvenire, 16-7-2008
16 luglio 2008
Così sul Web difendono la vita di Eluana - Raccolte firme e blog pro e contro
La difesa della vita di Eluana viaggia anche sul web. Ieri Scienza & vita, l’associazione che si batté per l’astensione consapevole al referendum sulla procreazione assistita, ha lanciato un appello per dire “No alla prima esecuzione capitale della storia Repubblicana italiana, no alla sentenza di morte pronunciata da alcuni giudici italiani contro Eluana Englaro”. Il testo, già sottoscritto anche da diverse organizzazioni cattoliche e/o pro life, è disponibile sul sito www.scienzaevita.org e le adesioni vanno inviate a segreteria@scienzaevita.org. La raccolta firme all’indirizzo www.firmiamo.it/eluanaenglaro, promossa dall’associazione torinese Due minuti per la vita, ha già superato quota 1500 sottoscrizioni in pochissimi giorni. “Togliere la vita ad una persona, - si legge nell’appello - solo perché malata o disabile o incosciente, é una pratica inaccettabile in ogni paese che voglia continuare a rientrare nel novero di quelli civili”.
La battaglia tra i blog pro e contro la sentenza è appena cominciata. E' nato Una bottiglia per Eluana, dove con un post è possibile lasciare la propria bottiglia: "Non posso lasciarla davanti alla chiesa, la metto qui", si legge in home page. Anche Salvatore Crisafulli, l'uomo colpito dalla sindrome Loked.in che è uscito dallo stato vegetativo dopo due anni e che qualche mese fa scrisse a Napolitano chiedendo di essere aiutato a vivere, ha dedicato a Eluana una lunga lettera sul suo sito Internet, dicendo che la sua condanna a morte "cancella le nostre speranze". Tra gli altri blog che si schierano con il diritto di Eluana a vivere, quello della Società chestertoniana italiana – il blog “dell’uomo vivo” – chiede di aderire all’appello di Scienza & vita e all’iniziativa lanciata dal Foglio. Su Facebook - il sito principe del social networking che ha conquistato anche le campagne elettorali - sono già tre i gruppi dedicati a Eluana. E se uno - che ha scelto l’ambiguo nome “pro Eluana Englaro” - sostiene il “diritto di questa povera ragazza” a morire (ovvero ad esser uccisa) come “questione di civiltà” e un altro chiede di “liberare Eluana”, i membri iscritti a “Eluana Englaro: una Vita degna!” sono arrivati a 56 in due giorni. Nella descrizione del gruppo si legge: “Per essere vicini alla sofferenza di Eluana, per far sì che la voce del valore della vita urli ‘basta’ a chi calpesta la dignità umana!”. Gli amministratori parlano di “omicidio”, di “sentenza di morte”. E dai post rilanciano l’iniziativa del Foglio “Acqua per Eluana”.
di Valentina Fizzotti
C'è un re alla Mecca che dà lezioni di pace
Un'indagine tra i pellegrini ai luoghi santi musulmani mostra che essi tornano a casa con sentimenti di maggiore tolleranza. Intanto a Madrid il re saudita dialoga con cristiani ed ebrei. A rappresentare il papa c'è il cardinale Tauran. Un importante documento
di Sandro Magister
ROMA, 17 luglio 2008 – Anche Benedetto XVI era stato invitato a partecipare. E ci sarebbe andato molto volentieri. Ma non poteva certo rinunciare alla Giornata Mondiale della Gioventù, che era nella sua agenda da tempo.
Così al posto del papa – negli stessi giorni in cui egli è in Australia – si è recato a Madrid il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
A Madrid, dal 16 al 18 luglio, è in corso la conferenza sul dialogo fra le tre religioni – l'islam, l'ebraismo e il cristianesimo – fortemente voluta da re Abdallah bin Abdulaziz Al Saud, sovrano dell'Arabia Saudita e custode dei luoghi musulmani più sacri, le moschee della Mecca e di Medina.
Re Abdallah aveva invocato questo incontro fra le tre religioni al termine della conferenza internazionale islamica tenuta alla Mecca dal 4 al 6 giugno scorso. A Madrid è lui che ha aperto i lavori, che avranno come relatori conclusivi Abdallah bin Abdul Mouhsin Al Turki, segretario generale della Lega musulmana mondiale, e il cardinale Tauran.
Prima di partire, Tauran ha detto a "L'Osservatore Romano" che la conferenza ha l'obiettivo di offrire al mondo un'immagine delle tre religioni come religioni di pace, "al servizio dell'uomo e non contro l'uomo". Questo vale in particolare per l'islam, generalmente associato a violenza e terrorismo anche per colpa di tanti suoi adepti. "Può infatti capitare – ha aggiunto il cardinale – che mentre assistiamo a quest'atto di coraggio compiuto con saggezza dal re dell'Arabia Saudita, in alcune moschee si facciano tutt'altri discorsi".
* * *
In effetti l'immagine prevalente dell'islam nel mondo è che sia portatore di violenza. Un'indagine del 2007 del Pew Forum ha riscontrato che il 45 per cento dei cittadini americani giudicano l'islam la più minacciosa delle religioni. Due anni prima erano il 36 per cento.
Un'altra idea diffusa è che i musulmani siano tanto più inclini alla violenza quanto più osservano i precetti della loro religione. Il pellegrinaggio alla Mecca – in arabo Hajj, una delle pratiche centrali dell'islam – è da molti giudicato e temuto come una scuola di intolleranza per chi vi partecipa.
Ma è proprio così? Per quanto riguarda il pellegrinaggio alla Mecca, la risposta è no. Lo prova un'indagine – una delle prime condotte in questo campo con criteri scientifici – di tre studiosi dell'università americana di Harvard su un campione di pellegrini del Pakistan.
Il Pakistan è il secondo paese al mondo per popolazione musulmana, dopo l'Indonesia. Ed è anche il più percorso dalla violenza. Intere sue province sono fuori controllo, infestate da talebani e signori della guerra. Gli attentati segnano le cronache delle grandi città. Una leader politica come Benazir Bhutto è stata uccisa in mezzo alla folla, nonostante l'imponente servizio d'ordine. Chi è accusato di offendere la religione islamica rischia la condanna a morte. Osama bin Laden ha i suoi probabili rifugi proprio sulle montagne tra il Pakistan e l'Afghanistan.
Ma i musulmani che ogni anno si recano pellegrini dal Pakistan alla Mecca non per questo ritornano più disposti alla violenza e più ostili nei confronti dell'Occidente e del cristianesimo. Quello che avviene è il contrario. Il pellegrinaggio accresce piuttosto i sentimenti di pace e di tolleranza, non solo verso i confratelli di fede ma anche verso i non musulmani.
Sono circa 2 milioni i musulmani che ogni anno compiono il pellegrinaggio alla Mecca, dall'ottavo al dodicesimo giorno dell'ultimo mese del calendario lunare islamico. Il loro numero è fissato in anticipo e proporzionato sulle popolazioni dei vari paesi. In Pakistan per essere ammessi al viaggio occorre partecipare a una pubblica lotteria. Gli estratti andranno alla Mecca, gli altri no.
I tre studiosi di Harvard – David Clingingsmith, Asim Ijaz Khwaja e Michael Kremer – hanno condotto l'indagine su un doppio campione di cittadini pakistani: su 800 che hanno fatto il pellegrinaggio e su 800 che sono rimasti a casa.
Ebbene, dall'indagine si ricava che dalla Mecca i pellegrini tornano più fervorosi. Pregano di più, vanno più spesso in moschea, osservano più fedelmente il digiuno. Viceversa, tendono ad abbandonare l'uso degli amuleti e la pratica di consuetudini non propriamente islamiche.
Migliora anche la considerazione che gli uomini hanno delle donne. Nel pellegrinaggio si sono ritrovati fianco a fianco in pari numero, compiendo gli stessi riti. E ciò ha aumentato il numero dei favorevoli a una maggiore istruzione delle ragazze e a un loro ingresso nelle professioni.
Risulta positivo anche l'impatto con i musulmani arrivati da altri paesi e da altri modi di interpretare e vivere l'islam, sciiti e sunniti. Al ritorno dalla Mecca sono numerosi quelli che ritengono possibile vivere in armonia con tutti. E questo sentimento si estende anche ai non musulmani. I pellegrini alla Mecca sono nettamente più disposti di quelli rimasti a casa a considerare i credenti in altre religioni degni di pari rispetto.
Circa il ricorso alla violenza e l'ostilità all'Occidente, i pellegrini alla Mecca si dimostrano più pacifici, rispetto ai rimasti a casa. Richiesti di dire se le finalità per le quali Osama bin Laden combatte sono giuste, i pellegrini rispondono di no in misura doppia degli altri. E richiesti di dire se i metodi impiegati da Osama bin Laden sono giusti, i no dei pellegrini sono più numerosi di quasi un terzo.
Va detto però che queste stesse risposte sono molto meno confortanti se ricondotte alle cifre assolute. Anche tra i "pacifici" pellegrini della Mecca è pur sempre molto piccolo il numero di quelli che disapprovano Osama bin Laden. Solo il 21 per cento si dissocia dai suoi metodi terroristici, e solo il 13 per cento respinge le sue finalità.
Per i non pellegrini le cifre di chi si dissocia da Osama bin Laden sono ancora più basse: rispettivamente del 16 e del 7 per cento.
Tutti gli altri, cioè la grande maggioranza, parteggiano per il principe dell'islam del terrore.
Un motivo in più per invocare – come ha fatto lo studioso musulmano Khaled Fouad Allam in un incontro a Villa Cagnola di Gazzada di cui ha riferito "L'Osservatore Romano" del 7 luglio – l'avvento di quell' "islam dei lumi al quale è possibile arrivare solo con il dialogo interreligioso".
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Il testo integrale dell'indagine condotta da David Clingingsmith, Asim Ijaz Khwaja e Michael Kremer dell'università di Harvard sugli effetti del pellegrinaggio alla Mecca, pubblicata nell'aprile del 2008:
> Estimating the Impact of the Hajj: Religion and Tolerance in Islam’s Global Gathering
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Ma c'è una Mecca anche per il cardinale Tauran
Nell'intervista data a "L'Osservatore Romano" del 16 luglio, il cardinale Jean-Louis Tauran, rappresentante del papa alla conferenza di Madrid, ha così commentato l'iniziativa del re dell'Arabia Saudita nel promuovere il dialogo fra l'ìslam, l'ebraismo e il cristianesimo:
"Io credo che una maggiore forza alla sua volontà sia derivata dall'incontro che ha avuto in Vaticano con Benedetto XVI. Ho avuto molti riscontri per i quali posso dire che è rimasto profondamente colpito dall'umanità del nostro pontefice. A ciò si deve aggiungere la sua consapevolezza che alcune frange estreme del mondo islamico, una piccola parte per la verità, hanno comunque offuscato l'immagine vera dell'islam e lui avverte profondamente il desiderio di restituire all'islam il suo volto vero, che non è quello che mostrano certi estremismi. Vuole insomma recuperare tutta la purezza della sua fede. Soprattutto vuole mostrare quanto bene possa fare all'umanità se si pone in dialogo con le altre fedi".
Ma soprattutto, nella stessa intervista, Tauran ha attribuito una grande importanza al documento pubblicato alla Mecca il 6 giugno 2008 al termine della conferenza internazionale islamica per il dialogo convocata dal re saudita e organizzata dalla Lega musulmana mondiale, la conferenza nella quale re Abdallah annunciò l'incontro di Madrid:
"L'ho letto e approfondito con molto interesse perché si tratta di un documento importante. Io direi che l'immagine più significativa che ne risulta è quella di un islam desideroso di presentarsi all'opinione pubblica mondiale con un volto diverso da quello segnato dal terrorismo estremista. Un islam aperto all'incontro con le altre religioni attraverso il quale, abbandonato il senso critico nei confronti dell'altro, si possa finalmente giungere a una più approfondita conoscenza reciproca, fondata su valori sostanzialmente comuni. C'è poi la volontà comune di riaprire l'uomo alla conoscenza di Dio, di cooperare per la salvaguardia dell'ambiente, la cui distruzione sistematica ad opera dell'uomo è da tutti riconosciuta come un peccato grave. A ciò si deve aggiungere la volontà di difendere i valori etici della vita, quelli che riguardano la vita umana prima di tutto, e la famiglia".
Chi è lo Spirito Santo? Catechesi di monsignor Michele Pennisi alla GMG di Sydney
SYDNEY, mercoledì, 16 luglio 2008 (ZENIT.org).- “Chi è lo Spirito Santo?”. E' questa la domanda fondamentale alla quale ha voluto rispondere monsignor Michele Pennisi, Vescovo di Piazza Armerina (Enna), nella catechesi che ha esposto questo mercoledì alla Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney (Australia).
“Perché questa domanda diventi interessante per noi – ha osservato il presule –, dobbiamo porci un’altra domanda: cosa c’entra lo Spirito Santo con la mia vita, con il desiderio di essere felice, di essere amato e di amare?”.
Al giorno d'oggi, ha riconosciuto, “c’è una distanza abissale fra l’annuncio dello Spirito Santo e i pensieri che si agitano nella nostra frenetica società consumistica in cui si vende e si compra o tra i giovani che si accalcano nelle discoteche immersi nel movimento di corpi, di luci e di rumori”.
Il disagio nel parlare dello Spirito Santo, ha spiegato monsignor Pennisi, “non riguarda solo i cosiddetti 'lontani', ma anche tanti giovani che frequentano le nostre parrocchie o i movimenti ecclesiali”, ai quali manca “un’intima esperienza di Dio”.
Tanti ragazzi, ha constatato, “sentono l’estremo bisogno di una sapienza pratica che dia gusto al vivere, una verità 'calda' che illumini il cammino, un amore che dischiuda le potenze del cuore e si apra ad un futuro di speranza”.
Purtroppo, migliaia di battezzati non fanno esperienza dell'azione dello Spirito né lo hanno mai invocato; “non godono appieno degli effetti della Pentecoste, perché non hanno instaurato una relazione personale con lo Spirito Santo e vivono un’esistenza cristiana insipida e rassegnata”.
Lo Spirito appare quindi come “un 'grande sconosciuto', un 'dio ignoto'”, “un concetto astratto, fumoso, etereo”.
Se infatti “è più facile vedere in Gesù un amico, è più arduo, invece, accostarsi allo Spirito Santo, a un misterioso dono, apparentemente impalpabile, incorporeo e inconsistente, che rimanda direttamente ad un altro immenso mistero: la Trinità”.
Secondo monsignor Pennisi, l’opera dello Spirito Santo è quella di “rendere continuamente presente il Cristo nella vita degli uomini”.
Accostarsi a Lui significa quindi “entrare nel rapporto fra il Padre e il Figlio e permettere che il loro modo di rapportarsi dia migliore significato alla nostra vita e alle relazioni che essa contiene, con noi stessi, con i fratelli, con il creato”.
Se è necessario conoscere personalmente lo Spirito, ha proseguito il presule, questo non basta: occorre infatti accoglierlo “come guida delle nostre anime, come il 'Maestro interiore'”.
“Lo Spirito Santo è il grande, unico, immenso Dono, un regalo gratuito del Padre, che, attraverso la Chiesa, rifrange in tanti doni diversi che sono i carismi, come la luce che, a seconda dei corpi sui quali piove, suscita colori diversi. Il Dono unico si divide in tanti doni per tornare a ricomporsi in unità nella Chiesa, per la quale tutti i doni sono dati”.
“Noi non potremmo fare nulla, se non avessimo lo Spirito Santo – ha constatato –. Una persona senza la presenza dello Spirito Santo è come una macchina senza benzina”.
Nella sua catechesi, il Vescovo ha anche ricordato l'importanza della santità, “necessaria al mondo come all’uomo l’aria che respira” e che “discende da una scelta che ogni giorno incrocia la nostra coscienza e la nostra volontà: tras-formato in Cristo o con-formato al mondo?”.
“Siamo capaci di praticare una santità di pensiero, una santità di parole, una santità di opere che testimonino come lo Spirito – che è Santo e ci fa santi – vive in noi?”, ha chiesto. “L’effusione dello Spirito, mediante la quale abbiamo preso coscienza del nostro 'santo destino', ci ha veramente innestati nel “cammino di santità” che la Chiesa propone prima di ogni altra cosa?”.
Il secolo nel quale la Provvidenza ci ha posti, ha osservato, “reclama 'cristiani veramente cristiani', felici di 'riconoscersi santi' nella realtà ideologica e sociale che ci avvolge e ci sconvolge”.
Per questo, è necessario affidarsi allo Spirito, che “toglie dal cuore dei credenti tristezze, polemiche, preoccupazioni, svogliatezze, legami con il peccato, malattie fisiche e spirituali, qualsivoglia angustia che possa appesantire la nostra 'vista' del Signore, talvolta sino a rendere i nostri 'occhi incapaci di riconoscerlo' (Lc 24, 17)”.
“Lo Spirito è il segreto della Chiesa di oggi come lo è stato per la Chiesa delle origini”, “è l’amore, è colui che riempie le nostre fragilità anche di eroismo, di continuità quotidiane. E’ l’ospite di un cuore che non si sente mai solo, di un amore che non è mai sterile, di una affettività che si allarga all’amore per tutti, soprattutto di chi sperimenta la solitudine”.
“E’ il fuoco che brucia i nostri tradimenti e purifica i nostri pensieri e soprattutto fa battere il nostro cuore per Gesù il pastore, che vorremmo essere per il nostro popolo”, ha concluso.
Lo Spirito Santo, “Maestro sommo” di cui fidarsi - Catechesi di monsignor Giuseppe Betori, Segretario della CEI
SYDNEY, mercoledì, 16 luglio 2008 (ZENIT.org).- Lo Spirito Santo è il “Maestro sommo” in cui si può avere fiducia e che è capace di guidarci lungo la retta via, ha affermato questo mercoledì monsignor Giuseppe Betori, Segretario della Conferenza Episcopale Italiana, nella catechesi che ha pronunciato nella parrocchia di St Christopher Holsworthy di Sydney in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù.
Conoscere lo Spirito Santo e il suo ruolo nella nostra vita cristiana “non è un compito facile”, ha riconosciuto, “non solo perché si tratta di entrare in contatto con il mistero stesso di Dio e cercare di balbettare qualcosa su di lui, ma prima ancora perché dense nebbie oscurano oggi il concetto stesso di 'spirito'”.
“Troppa è infatti la distanza che separa lo Spirito, come realtà divina, dalle varie idee di 'spirito' diffuse nella cultura” odierna come lo spiritismo, ha osservato.
Anche se già nell'Antico Testamento ci sono pagine che prefigurano in vari modi il volto dello Spirito Santo, ha ricordato monsignor Betori, Gesù è il primo a parlarne propriamente.
“La stessa presenza di Gesù tra noi ci viene descritta come opera dello Spirito, che discendendo su Maria rende possibile il farsi uomo del Figlio di Dio. E già in questa prima pagina dei Vangeli capiamo che lo Spirito Santo richiede il nostro libero assenso e la nostra imitazione”.
La presenza e l’azione dello Spirito, ha aggiunto, “è anche la compagnia fedele di Gesù nel suo soggiorno tra gli uomini” e “corrobora il suo operare guarigioni e ispira la parola del suo insegnamento”.
Per comprendere chi sia lo Spirito Santo in noi, ha osservato monsignor Betori, “dobbiamo seguire il percorso che ce ne rivela l’identità nella persona stessa di Gesù e nella sua vicenda terrena e di risorto”.
“Se credere è avere accesso a Dio, al suo mistero, il nostro cammino si incrocia pertanto non solo con Gesù, il rivelatore del Padre, ma anche con lo Spirito, colui che ci permette di entrare nella pienezza della verità che Gesù ci ha rivelato”.
Il segretario generale della CEI ha affermato che non è facile “restare fedeli al progetto di vita buona che viene dallo Spirito”, e la difficoltà “è spesso accresciuta dal dimenticare che tutto ciò non è l’esito di una nostra opera, ma il dono che scaturisce da una appartenenza: essere 'di Cristo Gesù'”.
“È lo Spirito di Gesù che ci rende capaci di vivere l’amore; e l’esempio dei santi, a cominciare dai giovani santi, ci dice che ciò è possibile, se ci lasciamo plasmare da lui”, ha osservato.
La grandezza del cristiano, constata, sta “nella coscienza che l’amore di Dio ha preso possesso di lui e lo ha trasformato in un figlio amato”.
“La fiducia che Dio ha mostrato nei nostri confronti e che offre anche agli altri ci rende capaci di aprirci agli altri con fiducia, di considerare gli altri come fratelli”.
Se è vero che solo la luce dello Spirito ci permette di entrare nella pienezza del mistero di Cristo e quindi del Padre, ha proseguito, “è però anche vero che solo dalla consuetudine con Cristo ci è dato l’accesso allo Spirito che fa nuove tutte le cose, che ci rigenera secondo il nostro vero volto”.
“La vera novità non sta nell’anticonformismo puramente esteriore che in realtà ricicla gli standard imposti dai 'padroni' delle mode e delle tendenze, nell’eccesso ad ogni costo e con ogni mezzo, che ripete sempre le stesse esperienze accentuando solo la sofferenza”, denuncia.
“La vera novità sta invece nel lasciarsi ricondurre alla verità di sé e del mondo, che solo lo Spirito di Dio ci può assicurare, perché egli era presente quando il Padre ci ha pensato e creato, quando ha preso forma il suo progetto d’amore per noi; e può indirizzarci a individuarne le forme attraverso le parole del Figlio, il rivelatore”.
Monsignor Betori ha ricordato che c'è “un tracciato preciso che ci aiuta a scoprire la voce dello Spirito ed è quello che possiamo incontrare nell’ascolto dell’unica parola che veramente cerca il nostro interesse: la parola di Dio”.
“Frequentare le pagine del Vangelo, dedicarci con assiduità alla lectio divina è modalità concreta di ascolto dello Spirito e costruzione di una personalità cristiana da lui ispirata e rafforzata”, perché lo Spirito “non è solo luce per la nostra vita ma anche forza che sostiene il nostro cammino”.
“Abbiamo bisogno di maestri per imparare a parlare, a vivere, ad amare – ha concluso –: di questo Maestro sommo che è lo Spirito possiamo fidarci, perché ci conosce meglio di noi stessi, perché non ci cerca per sottometterci ma per arricchirci di sé, perché solo lui può introdurci nel mistero d’amore di Dio, che prende figura nella Santissima Trinità”.
Il 13 luglio a Parigi Sarkozy ha annunciato la nascita dell'Unione per il Mediterraneo: è stato tutto un bluff mediatico
E' stata una grande e grave messinscena a cui si sono prestati 43 capi di stato in ossequio al presidente di turno dell'Unione Europea in cerca di un recupero di popolarità, strumentalizzando il potere ipnotico dei media e facendo leva sulla nostra disponibilità a farci raggirare accettando come verità tutto ciò che ci inculcano i politici e le televisioni
autore: Magdi Cristiano Allam
Cari amici,
L'"Unione per il Mediterraneo" che ci è stata presentata in pompa magna il 13 luglio a Parigi dal presidente francese Nicolas Sarkozy alla presenza dei leader di ben 43 stati, i 27 dell'Unione Europea e 16 della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo, si è già dissolta come uno straordinario numero del più insidioso e perfido prestigiatore della nostra epoca: i mezzi di comunicazione di massa. I dubbi erano tanti sin dalla vigilia, visti gli esiti fallimentari delle precedenti esperienze nei rapporti tra le varie sponde del Mediterraneo, in particolare tra l'Europa e i paesi arabi.
Ebbene ora abbiamo la certezza che è stato tutto un bluff, una grande e grave messinscena a cui si sono prestati i capi di stato in ossequio al presidente di turno dell'Unione Europea in cerca di un recupero di popolarità, strumentalizzando il potere ipnotico dei media e facendo leva sulla nostra disponibilità a farci raggirare accettando come verità tutto ciò che ci inculcano i politici e le televisioni.
Il fallimento del vertice di Parigi è testimoniato dal fatto più elementare, il rifiuto dei 43 leader di posare insieme per la classica foto di famiglia, affinché non rimanga alcuna traccia dell'evento, e ciò si deve principalmente al rifiuto ideologico e pregiudiziale degli arabi di comparire al fianco di Israele. Come sia possibile che nel giro di 24 ore nasca e muoia un progetto politico che altro non è che un inganno mediatico, che i capi di stato di 43 stati siano complici in questa truffa ai danni dei loro cittadini, che la stampa internazionale sia connivente nell'alimentare il raggiro delle nostre menti, che molti di noi ci siamo rivelati terreno fertile per essere adescati alla stregua di creduloni pronti a bere tutto e il contrario di tutto.
All'indomani della seconda guerra del Golfo, scatenata dall'occupazione irachena del Kuwait il 2 agosto 1990 e risoltasi con la liberazione dell'emirato arabo grazie all'intervento armato di una poderosa armata multinazionale capeggiata dagli Stati Uniti, il presidente Bush senior avviò il progetto di una partnership economica per il Medio Oriente, battezzata con un incontro al vertice a Casablanca nel 1993 con l'impegno di stanziare 5 miliardi di dollari per favorire l'emergere della piccola e media impresa nei paesi arabi e affermare la presenza di un ceto medio liberale e sensibile ai diritti fondamentali dell'uomo. Ebbene quel progetto fallì per l'opposizione dei paesi arabi, a cominciare dal moderato Egitto, alla presenza di Israele di fatto alla guida della locomotiva trainante della rinascita economica del Medio Oriente.
Nel 1995 fu la volta dell'Unione Europea con la Dichiarazione e la Conferenza di Barcellona che rilanciò la volontà di pervenire a un'intesa globale con i paesi arabi al fine di realizzare, entro il 2005, a una zona di libero scambio nel Mediterraneo. Il risultato, anche in questo caso, è stato un insuccesso e, anche in questo caso, a causa del rifiuto arabo di scendere a patti con Israele. Pensate che il vertice dei capi di Stato aderenti alla Conferenza di Barcellona, svoltosi nel 2005 nel capoluogo catalano, fallì sonoramente per il rifiuto dei paesi arabi di condannare il terrorismo palestinese e quello iracheno, da loro nobilitato alla stregua di "resistenza", ciò che non consentì neppure di concordare il testo di una dichiarazione finale comune.
Ed è in questo contesto del tutto negativo che l'iniziativa di Sarkozy si presentava come una sorta di miracolo operato da un uomo della provvidenza in grado di risolvere tutto e di accontentare tutti. Invece nuovamente gli arabi si sono opposti ad essere affiancati agli israeliani, nonostante che lo faccia tranquillamente il leader dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, sconfessando il vecchio luogo comune che se i palestinesi avessero trattato con gli israeliani anche gli arabi avrebbero fatto altrettanto, e confermando come all'opposto Israele era e resta la valvola di sfogo ideologica vitale per stornare l'attenzione delle opinioni pubbliche arabe dalla malefatte dei loro regimi autoritari e corrotti.
Noi tutti siamo complici e corresponsabili di questo inganno mediatico che certamente non servirà al bene dei popoli e alla causa della pace in Medio Oriente e, forse, non servirà neppure a risollevare le quotazioni di Sarkozy sulla scena interna francese. I veri vincitori che hanno tratto beneficio da questo bluff sono alcune aziende francesi che incrementeranno il loro giro d'affari nei paesi arabi e i dittatori arabi che sono stati sdoganati accogliendoli in pompa magna all'Eliseo e invitandoli a presenziare alla solenne parata militare del 14 luglio. Ci rendiamo conto di ciò che stiamo combinando? Riflettiamoci.
Cari amici, andiamo avanti insieme da Protagonisti per l’Italia dei diritti e dei doveri, del bene comune e dell’interesse nazionale, promuovendo un Movimento della Verità, della Vita e della Libertà, per una riforma etica dell’informazione, della società, dell’economia, della cultura e della politica, con i miei migliori auguri di successo e di ogni bene.
Magdi Cristiano Allam
ELUANA/ Baldassarre: una sentenza "creativa", che lascia profondi dubbi di incostituzionalità
Int. a Antonio Baldassarre16/07/2008
Autore(i): Int. a Antonio Baldassarre. Pubblicato il 16/07/2008 – IlSussidiario.net
Non si può «consumare una vita sulla base di una sentenza». Le parole del Card. Bagnasco sono ieri cadute come un giudizio pesante e al tempo stesso molto circostanziato sulla vicenda di Eluana Englaro, entrando nel merito del reale valore di quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Milano. Può una sentenza parlare, e per di più in maniera discutibile, di una sorta di testamento biologico, su cui ancora non esiste nessuna legge? Si può riconoscere il diritto di morire?
Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte Costituzionale, è convinto di no, e ritiene pertanto che la sentenza susciti «profondissimi dubbi di incostituzionalità».
Presidente Baldassarre, la sentenza della Corte d’Appello di Milano salta in un colpo solo tutto il dibattito, che deve avvenire in sede legislativa, sul tema del testamento biologico: che problemi crea questo in termini di conflitto di attribuzione?
Non parlerei espressamente di conflitto di attribuzioni, che è materia molto complessa. Certamente però ci troviamo di fronte a una sentenza che si potrebbe definire “creativa”, e che assume delle decisioni senza base giuridica. Gli estensori di questa sentenza sostanzialmente si sono spinti troppo in là rispetto a quello che dovrebbe essere il campo d’azione di un esponente del potere giudiziario.
Se Eluana morisse e la Cassazione rivedesse quella sentenza, che conseguenze ci sarebbero?
Quella non è una sentenza definitiva, e questo impone a tutti scelte molto ponderate. Se si dovesse procedere mettendo in atto l’interruzione dell’alimentazione, che porterebbe alla morte di Eluana, sulla base di questa sentenza e con un’impugnazione ancora pendente, si verrebbero a creare i presupposti per responsabilità abbastanza gravi. Per sua cautela consiglierei dunque estrema prudenza al padre di Eluana, e quantomeno di attendere la sentenza definitiva.
Che valore ha dal punto di vista giuridico il riferimento al volere di Eluana? Può la testimonianza dell’amica di Eluana avere il valore di prova?
Questa è una sentenza che è stata fatta molto male, perché si presume fondata sulla volontà del soggetto interessato, il quale però non può parlare. La testimonianza su cui si basa poi il “ragionamento” della sentenza non ha alcun valore giuridico, per il semplice motivo che la materia non è regolata. È una testimonianza che non prova nulla nel senso che non c’è nulla da provare, non essendoci materia giuridica. Il testamento biologico nel nostro ordinamento non è disciplinato, e non esiste certo la libertà di decidere per il suicidio: se anche dovessi arrivare a dimostrare che una persona vuole farlo, questo non mi autorizzerebbe certo a metterlo in atto. Nella teoria, la testimonianza è una prova, ma in questo caso si prova che cosa? Si prova, o si proverebbe, una cosa che non ha alcuna rilevanza giuridica ai fini della decisione. Potrà magari valere sul piano morale, ma non certo sul piano giuridico.
Bisognerebbe anche sapere se Eluana avrebbe accettato questo tipo di morte, che potrebbe durare diversi giorni e provocare molto dolore.
Certo, ci sono tutta una serie di cose che sfuggono e che non possono essere dedotte da questa testimonianza. Ma, ripeto, il punto essenziale è quello dell’insussistenza di tutto il discorso: se anche la prova fosse affidabilissima – e non lo è – non avremmo comunque l’autorizzazione a mettere in atto alcunché, non essendo la materia regolata. Prima deve esserci un pronunciamento su questa materia in sede legislativa, per quanto riguarda il cosiddetto testamento biologico. Oltretutto io mi auguro che quando il legislatore regolerà questa materia non voglia affidarsi a simili mezzi di prova, che mi sembrano essere molto discutibili e decisamente aleatori.
Ha secondo lei una certa rilevanza anche dal punto di vista giuridico l’appello delle suore della clinica di Lecco, le quali dicono «lasciate Eluana a noi»?
No, direi che rimaniamo comunque nell’ambito etico-morale, non in quello giuridico. Sono i genitori a decidere della collocazione del corpo della figlia; resta però fuor di dubbio che non possono invece decidere della sua morte. E se dovessero farlo, non essendo la sentenza definitiva, ripeto che a mio avviso ci sarebbero serie responsabilità penali. Non siamo certamente in presenza di un accanimento terapeutico, quindi interrompere il trattamento significherebbe compiere un atto di eutanasia, il che naturalmente non è ammesso.
La sentenza solleva dubbi anche in termini di incostituzionalità?
La Cosituzione, all’articolo 2, riconosce il diritto alla vita, come ha chiaramente detto la Corte Costituzionale; non c’è invece il diritto a morire. Dal punto di vista costituzionale quindi la sentenza lascia profondissimi dubbi.
17 luglio 2008
Questa mattina Bendetto XVI ha incontrato i giovani a Sydney - Il Papa in Australia difende la vita dal concepimento alla morte naturale
"Come può essere che lo spazio umano più bello e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?"
PAPA: 'GREMBO MATERNO E' SACRO, VIOLARLO E' VIOLENZA INDICIBILE' Il mondo è stanco di falsi idoli e di risposte ipocrite Sydney, 17 lug. (Apcom) - "Come può essere che lo spazio umano più bello e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?". È il grido di Benedetto XVI contro l'aborto; è l'inno alla vita proclamato di fronte a oltre 140mila giovani radunati nella baia di Barangaroo, a Sydney, in occasione della festa di accoglienza per la Giornata Mondiale della Gioventù. "Sappiamo riconoscere che l'innata dignità di ogni individuo poggia sulla sua più profonda identità, quale immagine del Creatore, e che perciò - afferma il Papa - i diritti umani sono universali, basati sulla legge naturale, e non qualcosa dipendente da negoziati o da condiscendenza, men che meno da compromesso? E così siamo condotti a riflettere su quale posto hanno nelle nostre società i poveri, i vecchi, gli immigranti, i privi di voce. Come può essere che la violenza domestica tormenti tante madri e bambini?", si interroga Joseph Ratzinger. E prosegue: "Come può essere che lo spazio umano più bello e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?". Forte l'appello del Papa alla tutela della "vita umana dal concepimento fino alla morte naturale"; ma anche alla "dignità che è conferita da Dio stesso e perciò inviolabile". "Il nostro mondo si è stancato dell'avidità, dello sfruttamento e della divisione, del tedio di falsi idoli e di risposte ipocrite, e della pena di false promesse - conclude Benedetto XVI - il nostro cuore e la nostra mente anelano ad una visione della vita dove regni l'amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l'unità, dove la libertà trovi il proprio significato nella verità, e dove l'identità sia fondata in una comunione rispettosa". Da qui, il testimone che il Papa lascia ai giovani: "Sia questo il messaggio che voi portate da Sydney al mondo!".
VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A SYDNEY (AUSTRALIA) IN OCCASIONE DELLA XXIII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ (13 - 21 LUGLIO 2008)
FESTA DI ACCOGLIENZA DEI GIOVANI
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI - Molo di Barangaroo di Sydney, Giovedì, 17 luglio 2008
Cari giovani,
quale gioia è potervi salutare qui a Barangaroo, sulle sponde della magnifica baia di Sydney, con il famoso ponte e l’Opera House. Molti di voi sono di questo Paese, dall’interno o dalle dinamiche comunità multiculturali delle città australiane. Altri di voi sono giunti dalle isole sparse dell’Oceania, altri ancora dall’Asia, dal Medio Oriente, dall’Africa e dalle Americhe. Un certo numero di voi, in verità, è arrivato da così lontano quanto me, dall’Europa! Qualunque sia il Paese da cui proveniamo, finalmente siamo qui, a Sydney! E insieme siamo presenti in questo nostro mondo come famiglia di Dio, quali discepoli di Cristo, confermati dal suo Spirito per essere testimoni del suo amore e della sua verità davanti a tutti.
Desidero anzitutto ringraziare gli Anziani degli Aborigeni che mi hanno dato il benvenuto prima che io salissi sul battello nella Rose Bay. Sono profondamente commosso di trovarmi nella vostra terra, sapendo delle sofferenze e delle ingiustizie che essa ha sopportato, ma cosciente anche del risanamento e della speranza ora in atto, di cui giustamente tutti i cittadini australiani possono essere fieri. Ai giovani indigeni – aborigeni e abitanti delle Isole dello Stretto di Torres – e Tokelauani esprimo il mio grazie per il toccante benvenuto. Attraverso di voi, invio cordiali saluti ai vostri popoli.
Signor Cardinale Pell e Mons. Arcivescovo Wilson: vi ringrazio per le vostre calde espressioni di benvenuto. So che i vostri sentimenti riecheggiano nel cuore dei giovani qui radunati questa sera, e perciò vi ringrazio tutti. Di fronte a me vedo un’immagine vibrante della Chiesa universale. La varietà di Nazioni e di culture dalle quali voi provenite dimostra che davvero la Buona Novella di Cristo è per tutti e per ciascuno; essa ha raggiunto i confini della terra. E tuttavia so anche che un buon numero fra voi è tuttora alla ricerca di una patria spirituale. Alcuni fra voi, assolutamente benvenuti tra noi, non sono cattolici o cristiani. Altri tra voi, forse, si muovono ai confini della vita della parrocchia e della Chiesa. A voi desidero offrire il mio incoraggiamento: avvicinatevi all’amorevole abbraccio di Cristo; riconoscete la Chiesa come vostra casa. Nessuno è obbligato a rimanere all’esterno, poiché dal giorno di Pentecoste la Chiesa è una e universale.
Questa sera desidero includere anche quanti non sono presenti fra di noi. Penso specialmente ai malati o ai disabili psichici, ai giovani in prigione, a quanti faticano ai margini delle nostre società ed a coloro che per una qualche ragione si sentono alienati dalla Chiesa. A loro dico: Gesù ti è vicino! Sperimenta il suo abbraccio che guarisce, la sua compassione, la sua misericordia!
Quasi duemila anni orsono gli Apostoli, radunati nella sala superiore della casa insieme con Maria (cfr At 1,14) e con alcune donne fedeli, furono riempiti di Spirito Santo (cfr At 2,4). In quello straordinario momento, che segnò la nascita della Chiesa, la confusione e la paura che avevano afferrato i discepoli di Cristo si trasformarono in una vigorosa convinzione e in consapevolezza di uno scopo. Si sentirono spinti a parlare del loro incontro con Gesù risorto, che oramai chiamavano affettuosamente il Signore. In molti modi gli Apostoli erano persone ordinarie. Nessuno poteva affermare di essere il discepolo perfetto. Avevano mancato di riconoscere Cristo (cfr Lc 24,13-32), avevano dovuto vergognarsi della loro ambizione (cfr Lc 22,24-27), lo avevano anche rinnegato (cfr Lc 22,54-62). E tuttavia, quando furono ripieni di Spirito Santo, furono trafitti dalla verità del Vangelo di Cristo e ispirati a proclamarlo senza timore. Rinfrancati, gridarono: pentitevi, fatevi battezzare, ricevete lo Spirito Santo (cfr At 2,37-38)! Fondata sull’insegnamento degli Apostoli, sull’adesione a loro, sullo spezzare il pane e sulla preghiera (cfr At 2,42), la giovane comunità cristiana si fece avanti per opporsi alla perversità della cultura che la circondava (cfr At 2,40), per prendersi cura dei propri membri (cfr At 2,44-47), per difendere la propria fede in Gesù di fronte alle ostilità (cfr At 4,33) e per guarire i malati (cfr At 5,12-16). E in adempimento del comando di Cristo stesso, partirono, testimoniando la storia più grande di tutti i tempi: quella che Dio si è fatto uno di noi, che il divino è entrato nella storia umana per poterla trasformare, e che siamo chiamati ad immergerci nell’amore salvifico di Cristo che trionfa sul male e sulla morte. Nel suo famoso discorso all’areopago, san Paolo introdusse il messaggio così: Dio dona ogni cosa, compresa la vita e il respiro, a ciascuno, così che tutte le Nazioni possano ricercare Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni. Infatti egli non è lontano da ciascuno di noi, poiché in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (cfr At 17, 25-28).
Da quel momento, uomini e donne sono usciti fuori per raccontare la stessa vicenda, testimoniando l’amore e la verità di Cristo, e contribuendo alla missione della Chiesa. Oggi pensiamo a quei pionieri – sacerdoti, suore e frati - che giunsero a questi lidi e in altre parti del Pacifico, dall’Irlanda, dalla Francia, dalla Gran Bretagna e da altre parti d’Europa. La maggior parte di loro erano giovani, alcuni persino non ancora ventenni, e quando salutarono per sempre i genitori, i fratelli, le sorelle, gli amici, ben sapevano che sarebbe stato improbabile per loro ritornare a casa. Le loro vite furono una testimonianza cristiana priva di interessi egoistici. Divennero umili ma tenaci costruttori di così gran parte dell’eredità sociale e spirituale che ancora oggi reca bontà, compassione e scopo a queste Nazioni. E furono capaci di ispirare un’altra generazione. Viene alla mente immediatamente la fede che sostenne la beata Mary MacKillop nella sua decisa determinazione di educare specialmente i poveri, e il beato Peter To Rot nella sua ferma convinzione che la guida di una comunità deve sempre rifarsi al Vangelo. Pensate anche ai vostri nonni e ai vostri genitori, i vostri primi maestri nella fede. Anch’essi hanno fatto innumerevoli sacrifici di tempo e di energia, mossi dall’amore per voi. Con il sostegno dei sacerdoti e degli insegnanti della vostra parrocchia, essi hanno il compito, non sempre facile ma altamente gratificante, di guidarvi verso tutto ciò che è buono e vero, mediante il loro esempio personale, il loro modo di insegnare e di vivere la fede cristiana.
Oggi è il mio turno. Ad alcuni di noi può sembrare di essere giunti alla fine del mondo! Per le persone della vostra età, comunque, ogni volo è una prospettiva eccitante. Ma per me, questo volo è stato in qualche misura causa di apprensione. E tuttavia la vista del nostro pianeta dall’alto è stata davvero magnifica. Il luccichio del Mediterraneo, la magnificenza del deserto nordafricano, la lussureggiante foresta dell’Asia, la vastità dell’Oceano Pacifico, l’orizzonte sul quale il sole sorge e cala, il maestoso splendore della bellezza naturale dell’Australia, di cui ho potuto godere nei trascorsi due giorni; tutto ciò suscita un profondo senso di reverente timore. È come se uno catturasse rapide immagini della storia della creazione raccontata nella Genesi: la luce e le tenebre, il sole e la luna, le acque, la terra e le creature viventi. Tutto ciò è “buono” agli occhi di Dio (cfr Gn 1,1–2,4). Immersi in simile bellezza, come si potrebbe non far eco alle parole del Salmista nel lodare il Creatore: “Quanto è grande il tuo nome su tutta la terra” (Sal 8,2)?
Ma vi è di più, qualcosa di difficile percezione dall’alto dei cieli: uomini e donne creati niente di meno che ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,26). Al cuore della meraviglia della creazione ci siamo voi ed io, la famiglia umana “coronata di gloria e di onore” (cfr Sal 8,6). Quale meraviglia! Con il Salmista sussurriamo: “Che cosa è l’uomo perché te ne curi?” (cfr Sal 8,5). Introdotti nel silenzio, in uno spirito di gratitudine, nella potenza della santità, noi riflettiamo.
Che cosa scopriamo? Forse con riluttanza giungiamo ad ammettere che vi sono anche delle ferite che segnano la superficie della terra: l’erosione, la deforestazione, lo sperpero delle risorse minerali e marine per alimentare un insaziabile consumismo. Alcuni di voi giungono da isole-Stato, la cui esistenza stessa è minacciata dall’aumento dei livelli delle acque; altri da Nazioni che soffrono gli effetti di siccità devastanti. La meravigliosa creazione di Dio viene talvolta sperimentata come una realtà quasi ostile per i suoi custodi, persino come qualcosa di pericoloso. Come può ciò che è “buono” apparire così minaccioso?
E c’è di più. Che dire dell’uomo, del vertice della creazione di Dio? Ogni giorno incontriamo il genio delle conquiste umane. Dai progressi nelle scienze mediche e dalla sapiente applicazione della tecnologia fino alla creatività riflessa nelle arti, in molti modi cresce costantemente la qualità e la soddisfazione della vita della gente. Anche tra voi vi è una pronta disponibilità ad accogliere le abbondanti opportunità che vi vengono offerte. Alcuni di voi eccellono negli studi, nello sport, nella musica, o nella danza e nel teatro, altri tra voi hanno un acuto senso della giustizia sociale e dell’etica e molti di voi si assumono impegni di servizio e di volontariato. Tutti noi, giovani e vecchi, abbiamo momenti nei quali la bontà innata della persona umana - percepibile forse nel gesto di un piccolo bambino o nella disponibilità di un adulto a perdonare - ci riempie di profonda gioia e gratitudine.
E tuttavia tali momenti non durano a lungo. Perciò, ancora, riflettiamo. E scopriamo che non soltanto l’ambiente naturale, ma anche quello sociale - l’habitat che ci creiamo noi stessi - ha le sue cicatrici; ferite che stanno ad indicare che qualcosa non è a posto. Anche qui nelle nostre vite personali e nelle nostre comunità possiamo incontrare ostilità a volte pericolose; un veleno che minaccia di corrodere ciò che è buono, riplasmare ciò che siamo e distorcere lo scopo per il quale siamo stati creati. Gli esempi abbondano, come voi ben sapete. Fra i più in evidenza vi sono l’abuso di alcool e di droghe, l’esaltazione della violenza e il degrado sessuale, presentati spesso dalla televisione e da internet come divertimento. Mi domando come potrebbe uno che fosse posto faccia a faccia con persone che soffrono realmente violenza e sfruttamento sessuale spiegare che queste tragedie, riprodotte in forma virtuale, sono da considerare semplicemente come “divertimento”.
Vi è anche qualcosa di sinistro che sgorga dal fatto che libertà e tolleranza sono così spesso separate dalla verità. Questo è alimentato dall’idea, oggi ampiamente diffusa, che non vi sia una verità assoluta a guidare le nostre vite. Il relativismo, dando valore in pratica indiscriminatamente a tutto, ha reso l’“esperienza” importante più di tutto. In realtà, le esperienze, staccate da ogni considerazione di ciò che è buono o vero, possono condurre non ad una genuina libertà, bensì ad una confusione morale o intellettuale, ad un indebolimento dei principi, alla perdita dell’autostima e persino alla disperazione.
Cari amici, la vita non è governata dalla sorte, non è casuale. La vostra personale esistenza è stata voluta da Dio, benedetta da lui e ad essa è stato dato uno scopo (cfr Gn 1,28)! La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze, per quanto utili molti di tali eventi possano essere. È una ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia. Non lasciatevi ingannare da quanti vedono in voi semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità.
Cristo offre di più! Anzi, offre tutto! Solo lui, che è la Verità, può essere la Via e pertanto anche la Vita. Così la “via” che gli Apostoli recarono sino ai confini della terra è la vita in Cristo. È la vita della Chiesa. E l’ingresso in questa vita, nella via cristiana, è il Battesimo.
Questa sera desidero pertanto ricordare brevemente qualcosa della nostra comprensione del Battesimo, prima di considerare domani lo Spirito Santo. Nel giorno del Battesimo Dio vi ha introdotto nella sua santità (cfr 2 Pt 1,4). Siete stati adottati quali figli e figlie del Padre e siete stati incorporati in Cristo. Siete divenuti abitazione del suo Spirito (cfr 1 Cor 6,19). Perciò, verso la fine del rito del Battesimo, il sacerdote si è rivolto ai vostri genitori e ai partecipanti, e chiamandovi per nome ha detto: “Sei diventato nuova creatura” (Rito del Battesimo, 99).
Cari amici, a casa, a scuola, all’università, nei luoghi di lavoro e di svago, ricordatevi che siete creature nuove. Come cristiani, voi siete in questo mondo sapendo che Dio ha un volto umano – Gesù Cristo – la “via” che soddisfa ogni anelito umano, e la “vita” della quale siamo chiamati a dare testimonianza, camminando sempre nella sua luce (cfr ibid., 100). Il compito di testimone non è facile. Vi sono molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato “in panchina” e che la religione e la fede, per quanto accettabili sul piano individuale, debbano essere o escluse dalla vita pubblica o utilizzate solo per perseguire limitati scopi pragmatici. Questa visione secolarizzata tenta di spiegare la vita umana e di plasmare la società con pochi riferimenti o con nessun riferimento al Creatore. Si presenta come una forza neutrale, imparziale e rispettosa di ciascuno. In realtà, come ogni ideologia, il secolarismo impone una visione globale. Se Dio è irrilevante nella vita pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio. Ma quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire. Ciò che ostentatamente è stato promosso come umana ingegnosità si è ben presto manifestato come follia, avidità e sfruttamento egoistico. E così ci siamo resi sempre più conto del bisogno di umiltà di fronte alla delicata complessità del mondo di Dio.
E che dire del nostro ambiente sociale? Siamo ugualmente vigili quanto ai segni del nostro volgere le spalle alla struttura morale di cui Dio ha dotato l’umanità (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2007, 8)? Sappiamo riconoscere che l’innata dignità di ogni individuo poggia sulla sua più profonda identità, quale immagine del Creatore, e che perciò i diritti umani sono universali, basati sulla legge naturale, e non qualcosa dipendente da negoziati o da condiscendenza, men che meno da compromesso? E così siamo condotti a riflettere su quale posto hanno nelle nostre società i poveri, i vecchi, gli immigranti, i privi di voce. Come può essere che la violenza domestica tormenti tante madri e bambini? Come può essere che lo spazio umano più mirabile e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?
Cari amici, la creazione di Dio è unica ed è buona. Le preoccupazioni per la non violenza, lo sviluppo sostenibile, la giustizia e la pace, la cura del nostro ambiente sono di vitale importanza per l’umanità. Tutto ciò non può però essere compreso a prescindere da una profonda riflessione sull’innata dignità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, una dignità che è conferita da Dio stesso e perciò inviolabile. Il nostro mondo si è stancato dell’avidità, dello sfruttamento e della divisione, del tedio di falsi idoli e di risposte parziali, e della pena di false promesse. Il nostro cuore e la nostra mente anelano ad una visione della vita dove regni l’amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l’unità, dove la libertà trovi il proprio significato nella verità, e dove l’identità sia trovata in una comunione rispettosa. Questa è opera dello Spirito Santo! Questa è la speranza offerta dal Vangelo di Gesù Cristo! È per rendere testimonianza a questa realtà che siete stati ricreati nel Battesimo e rafforzati mediante i doni dello Spirito nella Cresima. Sia questo il messaggio che voi portate da Sydney al mondo!
Mi rivolgo ora con affetto ai giovani di lingua italiana. Cari amici, anche questa volta avete risposto numerosi al mio invito, nonostante le difficoltà dovute alla distanza. Vi ringrazio, e voglio salutare anche i vostri coetanei che dall’Italia sono spiritualmente uniti a noi. Vi invito a vivere con grande impegno interiore queste giornate: aprite il cuore al dono dello Spirito Santo, per essere rafforzati nella fede e nella capacità di rendere testimonianza al Signore risorto. Arrivederci!
SULLE (ASSERITE) SCELTE IL DIRITTO DI POTER TORNARE INDIETRO
GIUSEPPE DALLA TORRE
Avvenire, 17 luglio 2008
Il dibattito sul doloroso caso di Eluana Englaro ha dimenticato, forse, due aspetti giuridici non del tutto marginali.
Il primo attiene all’asserita volontà di lasciarsi morire. A prescindere dalla considerazione che altro è parlare, salottieramente, di che cosa si vorrebbe fare in simili circostanze, quando si sta bene e si fantastica solo un’evenienza ipotetica, altro è parlare di vita o di morte nell’imminenza di decisioni fondamentali ed irreversibili, rimane pur sempre il nodo giuridico centrale della volontà di lasciarsi morire. Sembra infatti davvero strano che a fronte di un diritto indisponibile com’è quello alla vita, come tale non esercitabile tramite rappresentanti, fossero anche i più prossimi congiunti, non si richieda una volontà libera, consapevole, attuale da parte del suo titolare. Per atti giuridici di assai minore rilevanza, come banali contratti, l’ordinamento richiede una manifestazione di volontà che abbia tali requisiti, pena la invalidità di quanto si compie. Ora sembra sfidare eccessivamente la logica ritenere che essi ricorrano nel nostro caso.
Ma c’è un elemento in più da considerare. Dato e non concesso che la povera Eluana abbia davvero, sedici o più anni fa, manifestato una volontà libera, consapevole, responsabile, di interrompere non le terapie, ma la stessa alimentazione ed idratazione, rimane un nodo irrisolto: tale volontà è ancora attuale? La giurisprudenza, in particolare la Cassazione, si è in passato e più volte pronunciata a difesa dello jus poenitendi, del diritto di pentirsi delle proprie scelte ideologiche, politiche o religiose, così come delle proprie scelte di vita. Un diritto, questo, considerato come fondamentale, in quanto espressione della fondamentale libertà propria di ogni essere umano. Ma come garantire, qui ed ora, ad Eluana il diritto di pentirsi delle (asserite) scelte di allora? Perché negare proprio a lei questo diritto fondamentale? E perché negarglielo proprio nel momento in cui massima è la sua condizione di debolezza e di dipendenza? Perché soprattutto negaglielo proprio sul terreno del diritto alla vita, il più fondamentale di ogni diritto, il presupposto degli altri diritti fondamentali, il cui esercizio può essere caratterizzato dalla irreversibilità?
In secondo luogo, si è fondato il diritto di autodeterminazione a lasciarsi morire sull’articolo 32 della Costituzione. Il riferimento è erroneo, perché questa disposizione riguarda il rifiuto di trattamenti sanitari, mentre nel nostro caso si è davanti al rifiuto dell’alimentazione ed idratazione, che propriamente terapie non sono. Ci si dovrebbe semmai riferire all’articolo 2 della Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili della persona e, quindi, quella sua radicale libertà che può anche indurre alla scelta – pur eticamente riprovevole – del lasciarsi morire. Ma se si vuole richiamare l’articolo 2 della Costituzione, lo si deve fare per intero; e questo articolo, nella seconda parte, richiede a tutti i consociati l’adempimento dei doveri – che con forza sono qualificati come 'inderogabili' – di solidarietà.
Non è che nel caso di Eluana si rischia di violare questa disposizione costituzionale? Che proprio nel caso di una persona estremamente debole, indifesa, dipendente da noi, veniamo meno ad uno dei valori su cui abbiamo convenuto, tra le diversità culturali che pur connotano la nostra società pluralista, di fondare la comune convivenza?
UNA PAROLA DELICATA E FRANCA PER IL SIGNOR ENGLARO - Dopo la vittoria dell’irreparabile davvero si sentirà meglio?
Avvenire, 17 luglio 2008
DON MICHELE ARAMINI
T rovare la via del dialogo è veramente arduo quando prospettive differenti si scontrano nella valutazione delle esperienze fondamentali dell’uomo. Ma la parola di cui noi uomini siamo dotati, se pronunciata nella verità e nell’amore, permette di avvicinare pensieri diversi. È in base a questa convinzione che mi permetto di rivolgere, in punta di penna, una parola al padre di Eluana, a lei signor Beppino Englaro. In questi anni la cura concreta di sua figlia è stata svolta con grande competenza e amore dalle suore Misericordine, ma su di lei è rimasto un enorme peso. Prima il dolore dell’incidente, la delusione per il mancato risveglio, la perdita della speranza e poi chissà quante domande sulla vita di Eluana (è viva? è ancora persona? che cosa bisogna fare?) e sul perché di tutto questo. Lei afferma che Eluana è morta al momento dell’incidente, ma le chiedo se è veramente riuscito a elaborare il lutto per sua figlia. Non è curiosità la mia.
Coloro che hanno perduto i loro cari senza poterne curare il corpo e la tomba, testimoniano di sentirsi come sospesi, in un’attesa dolorosa.
Prova anche lei questa sospensione logorante?
Se la provasse sarebbe umanamente del tutto comprensibile. Molti genitori soffrono perché i loro figli sono sbandati, sono drogati o altro.
Ciascuno di noi soffre per qualcun altro che ama o che amava. Nello stesso tempo dovrebbe essere chiaro a tutti che non si può eliminare una esperienza dolorosa agendo negativamente sulla persona che sembra provocarla. Ma lei dice che la motivazione della sua insistenza nel chiedere alla magistratura l’autorizzazione a sospendere l’alimentazione e l’idratazione a Eluana consiste nel rispetto della volontà espressa da sua figlia. È un’affermazione netta, precisa, indiscutibile. Sembra che Eluana avesse parlato con lei, una volta, dell’argomento.
Magari in un momento di sofferenza dovuta alla vista di un amico che aveva avuto un incidente.
Pian piano questa parola è cresciuta ed è diventata un motivo dominante: Eluana non voleva vivere in 'quelle condizioni', come una nullità. Ma forse che aveva detto di voler morire come sta succedendo oggi? Eluana è vissuta in questi anni come una nullità? O piuttosto non è stata accudita con competenza e affetto, proprio come merita una persona umana? Lei si rende conto bene che intorno a sua figlia si giocano delle questioni umane, sociali, morali molto importanti non solo per lei, ma per tutta la società. Occorre decidere se l’idratazione e l’alimentazione sono cure che si possono sospendere o sostegni vitali da garantire sempre; occorre decidere qual è il ruolo della volontà del paziente nell’ambito della terapia medica; sotto ogni questione fa capolino la terribile richiesta di introdurre l’eutanasia. Tutte cose note. Ma nella vicenda di Eluana c’è la questione somma: chi è l’uomo? Chi è la persona umana? Forse lei si è convinto che la persona umana è solo quella che ha le capacità relazionali forti. Ma è mai possibile che un corpo che vive autonomamente sia un oggetto inutile? Lei pensa che il rispetto della volontà di Eluana possa portare a cambiare lo stesso concetto di persona? Il passaggio è quello che va da un concetto che vede l’uomo là dove c’è il suo corpo e che perciò lo protegge anche quando è debole e silente, a un concetto in cui l’uomo è valutato per quello che sa dire o che sa fare, una concezione quantitativa, che pensa lecito sbarazzarsi dei deboli, di quelli che hanno quantità troppo piccole per essere utili al mondo-mercato.
Infine, vorrei chiederle se non teme che, dopo questo momento di vittoria legale, una volta accaduto l’irreparabile, non possa avere altri sentimenti. Mi pare che questo sia un momento parossistico. Dopo tante battaglie legali, finalmente si può procedere. Ma dopo che succederà? L’umanità fa sempre sentire la sua voce e rivendica i suoi diritti. Perciò mi chiedo che cosa può succedere se un padre diventa l’artefice della morte di sua figlia. Lei comprende bene che non concordo con la sua attuale scelta, che spero non definitiva o per un suo stesso ripensamento o per un nuovo intervento della magistratura, ma sappia che le sono vicino come uomo. Penso infatti che probabilmente lei soffrirà sia nel caso che Eluana dovesse restare in cura presso le Suore sia nel caso della sua scomparsa perché lasciata morire.
Se non della vita e della morte di cos’altro può parlare la Chiesa?
Avvenire, 17 luglio 2008
DAVIDE RONDONI
A volte ci si ritrova come viandanti intorno a un bivacco. Perché la vita è un viaggio pieno di imprevisti. E ogni tanto ci si ritrova, venendo da strade diverse, a conversare. Sono i momenti come questo, quando tutti colpiti da una vicenda come quella di Eluana si sente la necessità di parlarne. E sempre stato così, intorno a bivacchi antichi, e anche nelle soste della più frenetica vita moderna. Che ha sì ritmi diversi, ma è pur sempre un viaggio. Durante il quale accade che gli uomini si trovino davanti a speciali eventi, che richiamano i grandi temi della vita e della morte. Allora in quei bivacchi, in quei ritrovi si parla anche di questo. Si cessa per un po’ di parlare di soldi, di amori, si smette di chiacchierare e si discorre del senso della vita, e della morte. Ognuno dei viandanti lo fa a modo suo, venendo dalla sua strada.
Portando i pensieri della vita che lo ha condotto fin lì. E vista la difficoltà, la serietà, la grandiosità del tema, sono ben accolti i suggerimenti, le proposte, le domande di tutti. Si parla piano, in genere davanti a certe cose immense.
In genere chi alza la voce lo fa per nascondere un disagio, o una insicurezza travestita da intolleranza.
Anche nel bivacco che si è costituito in questa circostanza della vita pubblica italiana, sotto le vaste stelle di un problema delicato che riguarda il confine tra la vita e la morte, ci sono state molte voci, quasi tutte discrete, attente. In molti hanno preso parola.
Naturalmente i protagonisti principali.
Che attorno al silenzio di Eluana hanno provato sinceramente a interpretare cosa sia meglio fare. Con discrezione e passione. Ma qua e là si è sentito, nel grande ritrovo di viandanti intorno a questo tema straziante e centrale, anche lo strano vociare di chi pretende che la Chiesa taccia, che non parli, che solo lei – mentre parlano giornalisti, scrittori, cantanti – non si azzardi a dire la sua. E proprio perché, dicono qua e là queste voci, quando si parla di vita e di morte, dei fatti più 'propri' della vita di un uomo e di ciascuno, la Chiesa secondo costoro dovrebbe tacere. E ascoltano o riportano infastiditi, ad esempio, le parole misurate e pensose del cardinale Bagnasco. È strana questa volontà di esclusione dal bivacco e dalla conversazione. Uno strano, serpeggiante segno di nervosismo.
Forse perché la Chiesa – che non è solo la voce di un ecclesiastico (per quanto significativo) ma anche la vita, la fede, la speranza di milioni di persone – ha proprio da dire qualcosa su vita e morte quando molti altri si fermano in vaniloqui o retoriche cascanti.
Vorrebbero che lei tacesse, che non 'si intromettesse' là dove molti si intromettono, proprio perché la Chiesa, che non è un sacro palazzo, ma la vita di una trafila interminabile di gente, la fede e la carità di una folla di ignoti e di illustri e soprattutto di gente normale, insomma, forse proprio perché la vita della Chiesa ha scoperto, guardando Gesù, delle cose che illuminano meglio di altro, più ragionevolmente di altro, il mistero della morte, e il mistero della esistenza. E chi la vorrebbe allontanare dal bivacco degli uomini, dai tavoli dove si conversa della vita e della morte, lo fa forse per nascondere una voce scomoda, una voce che non si accontenta del sentimentalismo né del razionalismo. Una voce così umana, che richiama gli uomini a essere se stessi. A non trasformarsi nella propria maschera. Davvero se mancasse quella voce introno al bivacco, al ritrovo sotto le stelle di fronte alle grandi questioni dell’esistenza, saremmo più liberi, più attenti e più tesi a camminare secondo la nostra eretta statura? Davvero, senza la voce che viene da quel vento di secoli e di fede e carità, di arte e di pensiero, saremmo più umili e attenti in questo difficile viaggio?
la testimonianza
Salvatore Crisafulli: «Sentivo la fame e la sete»
Avvenire, 17 luglio 2008
DA ROMA
«L a definizione di stato vegetativo permanente si riferisce a una prognosi sottoposta a gravi margini di errore: la sentenza di morte emessa nei confronti di Eluana Englaro è veramente agghiacciante, fa venire i brividi cancellando definitivamente le nostre speranze e condannando duramente tutti i disabili gravissimi». A parlare è Salvatore Crisafulli, l’uomo che nel 2005, dopo due anni di coma e numerose diagnosi di stato vegetativo permanente, si risvegliò raccontando di aver trascorso quei due anni comprendendo e capendo tutto ciò che gli accadeva intorno. Oggi chiede al presidente della Repubblica un intervento per «evitare ulteriori richieste di eutanasia», affermando che altrimenti si dovrebbero chiudere tutti i reparti di rianimazione.
«Non esistono parametri e criteri validi per accertare l’irreversibilità dello stato vegetativo permanente», dice Crisafulli dal suo letto, dove vive paralizzato ma comunicando attraverso un computer. «Dal mio letto di quasi resuscitato alla vita, voglio gridare a tutto il mondo il mio straziante e silenzioso urlo: questa sentenza di morte emessa nei confronti di Eluana Englaro è una sentenza agghiacciante. Se applicata, si inizia la nuova era dell’eutanasia con l’eliminazione di tutti i disabili gravissimi che aspettano e sperano anche nella scienza. Staccare il sondino sarà una morte veramente atroce, orribile». «Il mio – continua Crisafulli – è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita ma era ancora vivo, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere ». Crisafulli si dice poi «scioccato dal duello» tra il signor Englaro e la Chiesa che «esclude noi protagonisti direttamente coinvolti ». L’uomo ringrazia oggi chi «anche durante la mia vita vegetale, mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre: dove sarebbe finita – domanda – l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico?
«Durante il mio stato vegetativo io avvertivo e sentivo di avere fame e sete, non avvertivo solamente il sapore del cibo. Io sentivo – continua – ma nessuno mi capiva: capivo cosa mi succedeva intorno, ma non potevo parlare, non riuscivo a muovere le gambe, le braccia e qualsiasi cosa volevo fare, ero imprigionato nel mio corpo proprio come lo sono oggi. Sentivo i medici dire che la mia morte era solo questione di tempo, che ero un vegetale, che i miei movimenti oculari erano solo casuali, che non ero cosciente».
«La vita – conclude Salvatore Crisafulli– è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato»
Nel 2005 è uscito da due anni di coma «Una sentenza che fa venire i brividi»
«Chi può dire che voleva morire di fame e sete?»
Avvenire, 17 luglio 2008
DAL NOSTRO INVIATO A LECCO
ENRICO NEGROTTI
Come è stata accertata la volontà di Eluana? Come è stato stabilito che il suo stato è irreversibile? Sono due interrogativi sollevati nell’incontro pubblico svoltosi l’altra sera al Teatro Sociale di Lecco, gremito ben oltre i 460 posti ufficiali, per interrogarsi sul compito della medicina e su poteri e limiti del diritto. Al confronto, organizzato da «Medicina& persona» e da Comunione e Liberazione, hanno preso parte Claudia Mazzucato, ricercatrice di Diritto penale all’Università Cattolica di Milano, e Giancarlo Cesana, docente di Igiene generale e applicata all’Università di Milano-Bicocca.
Il medico ha tracciato un veloce quadro delle conoscenze scientifiche su questi pazienti: «Non sono in coma – ha spiegato Cesana – hanno il ritmo veglia-sonno. Si parla di veglia senza coscienza, ma studi recenti con sistemi sofisticati, come la risonanza magnetica funzionale, hanno evidenziato l’attivazione di aree cerebrali in alcuni pazienti ». «Impossibile fare prognosi. Dopo un anno dall’incidente, il 30% dei pazienti muore, il 20% resta in stato vegetativo e il 50% si riprende spesso con grosse alterazioni. Peraltro va anche sottolineato che alimentazione e idratazione non sono un trattamento medico: di solito sono svolti da un infermiere, o anche da un famiiare ». «Quando si tocca il bene vita – ha puntualizzato Claudia Mazzucato – l’ordinamento giuridico viene trasformato, si crea un precedente: qualcosa è cambiato anche senza l’intervento del Parlamento ». La giurista ha ricordato che nel nostro ordinamento è vietato uccidere anche se c’è il consenso della vittima: sono puniti sia l’omicidio del consenziente, sia l’aiuto al suicidio, ma in questo caso ci si è riferiti alla libertà di decidere se essere curati: «Una persona non può essere costretta a ricevere le cure: per questo è importante stabilire se mangiare e bere sono cure». Il rifiuto delle cure è tema complesso, ha osservato Claudia Mazzucato, cui si aggiunge una questione ulteriore, il consenso presunto: «Le sentenze dicono che la sua volontà è ricavata dalla sua personalità e da episodi riferiti da testimoni. Ma la morte è un evento irreversibile e la presunzione è un criterio abbastanza debole». In più, e decisiva, c’è un’altra domanda: «Non solo la volontà espressa non è più attuale, ma non ci si è interrogati abbastanza su “quale” volontà: quella di non vivere in stato vegetativo, o quella di non essere curata, o quella di non essere alimentata e idratata? È un punto decisivo che manca in questo decreto della Corte d’Appello: possiamo fermarci alla volontà di non vivere così o il procedimento giudiziario deve piuttosto accertare la volontà di morire così?». Altro punto da approfondire, ha osservato Claudia Mazzucato, è la natura dell’atto medico: «Non solo da questo decreto della Corte d’Appello, ma anche da altre sentenze, sta diventando normale una concezione un tempo impensabile: la medicina ha una natura intrinsecamente illecita salvo il consenso dell’interessato. Una visione alternativa a quella tradizionale, che vede lecito l’atto medico fin quando non c’è dissenso del malato. In questo caso si capisce perché c’è il dovere di soccorrere e perché abbiamo un servizio sanitario nazionale». Viceversa, se consideriamo illecito curare salvo consenso, «il rifiuto delle cure diventa un diritto, e si crea una contraddizione con il diritto alla vita. In più – conclude la giurista – se la medicina è illecita, che senso ha la deontologia?».