mercoledì 23 luglio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) No all'eutanasia e no al suicidio anche se richiesto: se relativizziamo il valore della vita sarà la fine per tutti, di Magdi Cristiano Allam
2) FEDERALISMO/Vittadini: non fermate la devolution fiscale
3) ELUANA / Il caso arriva all’Ue: la magistratura non può decidere per l’eutanasia (di M. Mauro)
4) Nicole Pasetto, tradita dal desiderio di "vivere al massimo la vita"
5) Il caso Terry Wallis, dal 1984 paralizzato e in stato vegetativo, poi in coma minimo. Giovani in stato vegetativo che tornano a parlare, diagnosi che sembrano chiudere ogni spiraglio improvvisamente smentite: ecco perché si può sperareLa medicina non sa spiegarci gli stati di incoscienza umana né sa come guarirli Ma almeno tre casi raccontati Oltreoceano provano che c’è vita


No all'eutanasia e no al suicidio anche se richiesto: se relativizziamo il valore della vita sarà la fine per tutti
Nessuno ha il diritto di sentenziare fino a che punto la vita valga la pena di essere vissuta. Se si dovesse malauguratamente accreditare questo principio, diventerà impossibile impedire che si sprofondi nel baratro del nichilismo di chi metterà in discussione il diritto alla vita per una infinità di cause reali o presunte
autore: Magdi Cristiano Allam
Cari amici,
Ancora una volta oggi le televisioni e i giornali vorrebbero accreditare il diritto all'eutanasia specie se legittimato da una manifesta volontà suicida del diritto interessato , proponendoci la drammatica dichiarazione rilasciata da Paolo Ravasin, costretto all'immobilità fisica perché da 10 anni colpito dalla Sla (sclerosi laterale amiotrofica), in cui sostiene che "se non fossi più in grado di mangiare o bere con la mia bocca oppongo il mio rifiuto ad ogni forma di alimentazione o di idratazione arificiali".
Ebbene io dico no sia all'eutanasia sia al suicidio perché la sacralità della vita non può essere messa a repentaglio né dall'arbitrio altrui né dalla propria volontà di farla finita, perché nessuno ha il diritto di sentenziare fino a che punto la vita valga la pena di essere vissuta. Se si dovesse malauguratamente accreditare questo principio, cioè la relativizzazione del valore della vita che sarebbe dipendente dalle condizioni esistenziali, diventerà impossibile impedire che si sprofondi nel baratro del nichilismo di chi metterà in discussione il diritto alla vita per una infinità di cause reali o presunte.
Cari amici,
Ci rendiamo conto che, qualunque sia la condizione fisica di una persona non può mai essere paragonata a quella di un vegetale? "Eluana non è una foglia d'insalata ma una persona", hanno detto i genitori di Salvatore Crisafulli, di 43 anni, il paziente catanese che si è risvegliato nell'ottobre 2005 dallo stato vegetativo dopo un incidente stradale avvenuto nel 2003. "A noi la speranza non è mai venuta meno e siamo stati premiati dalla confessione del nostro Salvatore", hanno detto i genitori in una dichiarazione riportata oggi dal quotidiano L'Avvenire, "Salvatore ci ha ripetuto mille volte che, mentre tutti i più grandi luminari d'Europa lo reputavano una foglia d'insalata, lui si sentiva vivo e partecipe e soffriva terribilmente senza poter comunicare all'esterno la sua atroce ed agonizzante pena. Il problema sta tutto nell'accettazione o meno dell'eutanasia. Se si vuole lasciare Eluana agonizzare di fame e di sete come la dolcissima Terri Schiavo, si abbia il coraggio di chiamare questa decisione egoistica e barbara con il nome che le compete: eutanasia".
Cari amici, andiamo avanti insieme da Protagonisti per l’Italia dei diritti e dei doveri, del bene comune e dell’interesse nazionale, promuovendo un Movimento della Verità, della Vita e della Libertà, per una riforma etica dell’informazione, della società, dell’economia, della cultura e della politica, con i miei migliori auguri di successo e di ogni bene.
Magdi Cristiano Allam


FEDERALISMO/Vittadini: non fermate la devolution fiscale
Giorgio Vittadini22/07/2008
Autore(i): Giorgio Vittadini. Pubblicato il 22/07/2008 – IlSussidiario.net
Sembra imminente da parte del governo il varo del federalismo fiscale. I teorici del vecchio statalismo hanno già cominciato a ripetere che aumenterà la spesa pubblica complessiva, incentiverà la creazione di nuova burocrazia, spezzerà il Paese tra regioni ricche e povere, aumenterà il malaffare.
Anche i bambini, invece, possono capire che il primo rimedio all’inefficienza della macchina pubblica è non ripianare gli sprechi a chi li fa. Oggi invece, con il finanziamento alle Regioni in base alla spesa storica, chi più spende più è premiato e chi ha gestioni virtuose è penalizzato. Il rimedio non è, come vorrebbe qualcuno, tornare al centralismo. Gli sprechi centrali sono enormi e sotto gli occhi di tutti: in questi anni si è superata la cifra di due milioni di dipendenti statali a livello centrale a tempo indeterminato (in Spagna sono poco più di 500.000).
Federalismo, autonomia e responsabilità non sono mai veramente cominciate perché le Regioni non sono responsabili finanziariamente dei loro atti. Il federalismo fiscale, attuato insieme a sistemi di valutazione e controllo, può essere uno strumento in tal senso.
E non si dica che le Regioni più povere sarebbero svantaggiate. Cosa si potrebbe fare infatti in termini di necessaria perequazione tra Regioni se si recuperassero le immense somme oggi sprecate in un assistenzialismo dove spesso si annidano anche fenomeni di illegalità?
Certo, il federalismo fiscale deve considerare alcuni principi cardine. Occorre un criterio di finanziamento basato sul costo standard delle prestazioni, in modo da sollecitare gli enti che hanno costi superiori a politiche che tendano all’efficienza. È importante inoltre che alle Regioni e agli enti locali sia assegnata una adeguata autonomia impositiva, sia riguardo ai tributi propri che a quelli ceduti.
Occorre infine che il federalismo fiscale diventi uno strumento utile a sviluppare politiche innovative di attuazione della sussidiarietà orizzontale che, in quanto fondata sulla scelta della gente, è l’unico rimedio al malaffare. Allora potrà accadere che i cittadini, che secondo il Rapporto sulla sussidiarietà 2007 vogliono il federalismo e il federalismo fiscale, tornino ad accodare quel consenso che oggi, sempre secondo il medesimo Rapporto, non sembrano voler più concedere a quelle Regioni che si prendono le loro responsabilità solo a metà.
(Pubblicato su Il Giornale del 19 Luglio 2008)
Foto: Fotolia


ELUANA/ Il caso arriva all’Ue: la magistratura non può decidere per l’eutanasia (di M. Mauro)I>www.ilsussidiario.net- 21 lulgio 2008, La Corte d'appello civile di Milano, sulla base di una sentenza della Cassazione del 16 ottobre 2007, si è pronunciata il 9 luglio 2008 autorizzando il padre di Eluana Englaro, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione e alimentazione artificiale che tiene in vita la figlia da sedici anni.
L'idea che qualcuno possa decidere per un altro se la vita vale la pena di essere vissuta è un criterio inaccettabile. L'Unione europea è uno spazio dove non c'è la pena di morte e all’interno del quale il rispetto e la tutela per la vita e la dignità umana devono essere incondizionati.
In questi giorni è stata depositata un'interrogazione scritta alla Commissione europea e al Consiglio nella quale viene chiesto quali siano gli stili di vita compatibili con trattamenti sanitari, quali l'alimentazione e l'idratazione artificiale e se, in presenza di un vuoto legislativo in materia, può essere considerata dalla magistratura come chiara e convincente espressione della presunta volontà di una persona in stato di incoscienza la dichiarazione orale di un momento antecedente allo stato vegetativo.
Alla Commissione e al Consiglio è stato ricordato che l'articolo 32 della Costituzione italiana sancisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e, garantendo la possibilità al malato di accettare o meno un trattamento sanitario, sottolinea che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Il Tribunale di Lecco aveva dichiarato in precedenza inammissibile il ricorso del padre di Eluana sul presupposto che ai sensi degli articoli 2 e 32 della Costituzione «un trattamento terapeutico o di alimentazione, anche invasivo, indispensabile a tenere in vita una persona non capace di prestarvi consenso, non solo è lecito, ma dovuto in quanto espressione del dovere di solidarietà posto a carico dei consociati, tanto più pregnante quando, come nella specie, il soggetto interessato non sia in grado di manifestare la sua volontà».
La Corte d'appello civile di Milano, sulla base della sentenza n° 21748 della Cassazione, ha ritenuto che l'interruzione delle cure può essere giustificata quando la ricerca della presunta volontà della persona in stato di incoscienza è ricostruita alla stregua di chiari, univoci e convincenti elementi di prova anche sulla base dello stile e del carattere della sua vita. La sentenza della Corte d'appello civile di Milano rappresenta un pericoloso precedente volto ad orientare fatalmente il legislatore verso l'eutanasia. Approfittando di un vuoto legislativo, si arroga il diritto di decidere su chi deve vivere e chi deve morire nel nostro Paese.
Cosa sappiamo noi di quello che una persona in queste condizioni sente, cosa sappiamo di cosa c’è dentro il cuore di queste persone? Quale esperto potrebbe dichiarare, allo stato attuale, l'irreversibilità della condizione di stato vegetativo? E soprattutto, come si può considerare la dichiarazione di un momento come parametro per presumere la volontà di Eluana? La vita va difesa fino alla sua naturale conclusione e con essa va difeso altresì il principio dell’indisponibilità della vita stessa.
Una delle motivazioni che si danno in favore dell’eutanasia e al suicidio assistito è che servano per alleviare le sofferenze delle persone, ma spesso queste nascondono una richiesta d’aiuto contro la solitudine, contro il fatto di sentirsi un peso per gli altri. Hanno bisogno di assistenza, di essere ascoltati, dell’affetto e della vicinanza dei loro cari e di un’équipe assistenziale per tollerare la loro sofferenza con dignità. Le istituzioni, da chi fa le leggi a chi controlla la loro applicazione, dovrebbero quindi occuparsi del problema alla base, di aiutare chi soffre con cure sempre migliori, personale qualificato e sostenere le famiglie degli assistiti.


Nicole Pasetto, tradita dal desiderio di "vivere al massimo la vita"
Autore: Buggio, Nerella
Fonte: CulturaCattolica.it
martedì 22 luglio 2008
Nicole 16 anni di Rovigo morta per aver assunto al Lido di Venezia, una pastiglia di Mdma
Un professore che l’aveva conosciuta alle scuole medie, assicura che Nicole Pasetto era una ragazza “con la testa sulle spalle”.
Era in vacanza con i suoi genitori a Sottomarina e si era portata i libri per ripassare, anche se non aveva debiti da riparare.
Nel suo diario sul web Nicole si descrive come un’adolescente come tante, romantica, che ama l’alba e il tramonto, non beve birra, ma fuma molto e spera presto di poter prendere la patente, racconta che cerca amicizia, che quando si annoia fuma e si racconta così: «...c'era una volta una piccola bambina di nome Nicole. Era sempre triste, chiusa in se stessa e voleva sempre e solo la sua mamma; amava stare da sola... col tempo il suo carattere è cambiato molto facendola diventare una ragazzina ribelle che non aveva paura di niente e che odiava il mondo che la circondava, poi gli anni sono passati fino a che la ‘piccola Nichi’ è diventata un'adolescente con tanta voglia di vivere al massimo la vita, tanta voglia di divertirsi, di fare tutte le esperienze possibili e di essere sempre lei stessa».

Parole che potrebbero scrivere tanti adolescenti, la voglia di “vivere al massimo” di provare tutte le esperienze possibili e allo stesso tempo di rimanere se stessi.

Se stessi? Il guaio è che spesso gli adolescenti non sanno chi sono, le esperienze possibili che incontrano sulla loro strada sono esperienze di sesso, droga, sballo, e non esistono persone capaci di indicare loro altre strade, di dire loro che per trovare se stessi bisogna misurarsi con la vita e non con la fuga da essa.

Sono finite le generazioni dell’impegno politico o sociale, gli adolescenti come Nicole guardano Uomini e Donne, sognando di innamorarsi di un bel fusto che gioca a fare l’innamorato per raggiungere per una via che spera breve fama e denaro.

Poi arriva una sera d’estate, la tradizionale Festa del Redentore, molti ragazzi come da tradizione si ritrovano sulla spiaggia del Lido di Venezia, ci sono anche Nicole e le sue amiche, pare abbiano fatto una colletta per acquistare la droga della morte.
Nicole si accascia sulla spiaggia, inutile la corsa all’ospedale di Dolo, Nicole non ce la fa.

La sua vita al massimo, il suo desiderio di provare tutto l’ha tradita e noi siamo qui a chiederci perché, dove abbiamo sbagliato, dove non abbiamo capito, e i giornali ci chiedono di rispondere ad un sondaggio - sei favorevole o contrario al test antidroga fornito alle famiglie per sapere se il proprio figlio nel fine settimana si droga.

Ma il problema non è nemmeno la droga, né l’adolescenza, non è la libertà, il problema è la mancanza di educazione alla responsabilità.
Responsabilità verso se stessi, verso gli altri, chi parla più ai giovani di responsabilità?
Chi li educa ad assumersi degli impegni, a mantenerli, a prendersi cura degli altri?
I nostri ragazzi sono privi di proposte positive con cui confrontarsi, misurarsi ed affrontare la quotidianità e nella migliore delle ipotesi diventano apatici, solitari, oppure aggressivi, cinici.

Diceva una madre l’altro giorno, che gli oratori feriali non le sembravano un posto sicuro, perché gli “educatori” sono poco più che adolescenti che si prendono cura dei bambini più piccoli, meglio la professionalità dei centri gestiti da professionisti, sarà, ma io mi chiedo, in quale altro luogo s’insegna la gratuità? Il prendersi cura di chi è più piccolo gratuitamente? In quale posto si cresce guardando “i grandi” che giocano con te, che ti preparano la merenda, ti medicano il ginocchio sbucciato, altri che sudano su un campo da calcio, che sedano le liti, ti precedono in montagna e ti segnano la via, gratuitamente?
E lo fanno bene, con impegno, con la consapevolezza di "andare al massimo" e i più piccoli guardano e imparano la responsabilità.


Usa, risveglio dopo 19 anni Un mistero per la scienza
Il caso Terry Wallis, dal 1984 paralizzato e in stato vegetativo, poi in coma minimo.
Giovani in stato vegetativo che tornano a parlare, diagnosi che sembrano chiudere ogni spiraglio improvvisamente smentite: ecco perché si può sperare
La medicina non sa spiegarci gli stati di incoscienza umana né sa come guarirli Ma almeno tre casi raccontati Oltreoceano provano che c’è vita


Avvenire, 23 luglio 2008

L’americano Terry Wallis ebbe un terribile incidente stradale nel luglio 1984, aveva 20 anni. Nel 2003 si è risvegliato e ha chiamato la madre.
ha parlato nel 2003 Il neurologo Giacino: «Diagnosi affrettate, prevale il nichilismo»
DA MILANO PAOLO LAMBRUSCHI
Risvegli miracolosi, nuova sfi­da per la ricerca scientifica. Negli Usa alcuni medici stanno lavorando per offrire spe­ranze anche a chi è in stato vegeta­tivo, ribaltando il concetto di irre­versibilità che spesso sigilla tali vi­cende. Per le attuali conoscenze, do­po due anni è raro risvegliarsi. Tut­tavia alcune storie di pazienti in sta­to vegetativo, la diagnosi di Eluana, confermano che è possibile.
Il caso più famoso al mondo è quel­lo di Terry Wallis, 44 anni, meccani­co di Ozark, Arkansas, che ebbe un terribile incidente stradale il 13 luglio del 1984. Si risvegliò l’11 giugno del 2003. Un miracolo che ha fatto il gi­ro del globo, raccontato anche da un documentario televisivo, «L’uomo che ha dormito per 19 anni» tra­smesso da diverse stazioni. Non in I­talia. Al momento dell’incidente Terry aveva appena compiuto 20 an­ni, era sposato e aveva una figlia di sei mesi. Arrivò in ospedale in coma. Lentamente le sue condizioni mi­gliorarono, dopo più di un anno gli venne diagnosticata la paralisi degli arti e lo stato vegetativo permanente. Respirava autonomamente e doveva essere nutrito artificialmente. I medici non gli davano speranze. Wallis venne trasferito in una centro vicino a casa, dove i genitori hanno continuato a prendersi cura di lui. Niente fisioterapia, troppo costosa, ma ogni giorno per 18 anni lo hanno lavato, girato per evitargli le piaghe, gli hanno parlato e fatto ascoltare musica. La madre Angilee non ha ascoltato chi le suggeriva di staccare il sondino dell’alimentazione. Sentiva che il figlio era vivo. Nel 2002 l’equipe del Jfk Center per i traumi cranici del New Jersey, che speri­menta nuove terapie, aveva esami­nato con tecniche più raffinate il suo cervello. Una scala messa a punto dal professor Joe Giacino lo aveva classificato in «coma minimo», gradino superiore allo stato vegetativo. Era in grado di rispondere ad alcu­ne sollecitazioni. L’anno dopo, a sor­presa, Terry si svegliò e pronunciò la prima parola: «Mamma». Il caso re­sta inspiegabile. Secondo Giacino, al momento dell’incidente la medicina non aveva infatti le conoscenze sufficienti per classificarlo adeguata­mente. Impossibile quindi rico­struire l’evoluzione cerebrale che lo ha portato a uscire dallo stato vege­tativo, passando al coma minimo per poi risvegliarsi. Forse il processo era iniziato dieci anni prima, quando i neuroni dei lobi cerebrali avevano ricostituito i circuiti lesionati. Terry sa contare e parla. Non ha riacqui­stato la capacità di memorizzare, è rimasto al 1984. Per lui il presidente è Reagan e Bruce Springsteen canta «Born in the Usa».
È stato Joe Giacino, ad aprile, a un convegno internazionale a Lisbona, a riflettere sulla lezione impartita alla scienza dal caso Wallis. Il luminare, la cui equipe sta sperimentando nuove terapie per questi pazienti, ha dichiarato al celebre programma te­levisivo «Good morning America» sulla rete Abc che gli stati vegetativi vengono diagnosticati troppo in fretta, magari su pressione delle com­pagnie assicurative. I malati rara­mente vengono visitati da neurolo­gi dopo la diagnosi e, al sito del di­partimento federale della Sanità, l’anno scorso, ha aggiunto: «Una vi­sione nichilista nella medicina paf­ferma che, quando il cervello è gra­vemente danneggiato, non c’è nulla da fare. Le ricerche dimostrano il contrario, bisogna approfondire».
Sul New York Times del 28 marzo 2003, la sua equipe aveva racconta­to la vicenda di un’altra paziente, a­nonima per volontà dei parenti e in stato vegetativo da 25 anni, la quale periodicamente parlava senza ri­prendere coscienza. I macchinari le avevano rilevato l’energia cerebrale di una persona in anestesia.
Viene infine dal Colorado il terzo, in­spiegabile, caso raccontato dal neu­rologo Randall Bjork alla «Gazette» di Colorado Springs l’8 marzo 2007. U­na donna di 50 anni, Christa Lily Smith, la cui diagnosi è «stato vege­tativo » periodicamente si risveglia. Piombata in coma nel 2000 per un attacco cardiaco, è migliorata fino a venire alimentata artificialmente. Si è svegliata finora cinque volte, al­trettante è tornata in stato vegetati­vo. Segnali che confermano come la scintilla della vita riesca a resistere anche in frontiere ignote. E che, se non si ha una visione nichilista, ten­gono accesa la speranza.