lunedì 24 gennaio 2011

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    24 Gennaio San Francesco di Sales da http://www.pontifex.roma.it
2)    Le ore del mattino di Angelo Busetto 24-01-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
3)    «Sposarsi in chiesa non è un diritto» - di Massimo Introvigne 24-01-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
4)    Un martire del nostro tempo: il Dottor Claudio Carosino - Autore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 23 gennaio 2011
5)    Ferri, un magistrato che tiene all'etica di Andrea Camaiora 24-01-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
6)    24/01/2011 – VATICANO - Papa: i cristiani partecipino ai social network, ma con un loro stile e testimoniando il Vangelo - Nel messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, Benedetto VI sottolinea la trasformazione anche culturale che la comunicazione via internet sta producendo. Anch’essa deve mirare al bene integrale della persona. La verità va presentata nella sua integrità, piuttosto che cercare di renderla accettabile, magari “annacquandola”.
7)    24/01/2011 – INDIA - Leader cristiani: Pericolosi i commenti della Suprema corte sull’omicidio di Graham Staines di Nirmala Carvalho - Pur confermando l’ergastolo per il principale responsabile del delitto efferato, la corte ha aggiunto alcune osservazioni su fantomatiche conversioni forzate che sembrano giustificare le violenze interreligiose e anti-cristiane. Il cardinale Gracias: “Sono preoccupato per le interpretazioni che potrebbero essere date a questo giudizio, e soprattutto per le implicazioni che questa sentenza potrebbe avere in futuro”.

24 Gennaio San Francesco di Sales da http://www.pontifex.roma.it

Francois nacque il 21 Agosto 1567 in Savoia, nel castello di Sales, presso Thorens, appartenente ad un’antica e nobile famiglia. Ricevette un’accurata educazione, studiando a Parigi e Padova e terminando gli studi con lode. Al suo ritorno fu nominato avvocato del senato di Chambery. Ma già durante gli studi andavano emergendo in lui, gli interessi teologici culminati nella vocazione sacerdotale che deluse, però le attese familiari. Nel 1593 ricevette l’ordinazione presbiterale e il 21 Dicembre di quell’anno celebrò la prima Messa. Fu un instancabile lavoratore nella vigna del Signore e si diede alla pubblicazione di fogli volanti, che appendeva alle strade o infilava sotto le porte dei fedeli, diffondendo così la verità cristiana. Visse un periodo difficile, in cui imperversava la riforma calvinista e Francesco, a cui stava a cuore la difesa dell’ortodossia della Chiesa, chiese al Vescovo di Ginevra di essere destinato a quella città, capitale del ...

... calvinismo. Stabilitosi a Ginevra, ingaggiò spesso delle sfide dottrinali con i protestanti, operando numerose conversioni anche tra i calvinisti. Ma il suo obiettivo principale era quello di sviluppare una predicazione più vicina alle persone comuni, era fermamente convinto che a supporto delle umani azioni quotidiane ci fosse sempre la protezione divina. I suoi sforzi gli meritarono la nomina a coadiutore vescovile di Ginevra nel 1599, a soli 32 anni. Solo tre anni più tardi venne nominato Vescovo e si battè subito per l’introduzione a pieno titolo delle riforme del concilio di Trento.

La città, però rimase in mano ai calvinisti e Francesco dovette trasferire la sede vescovile ad Annecy, in Savoia. Fu direttore del futuro Santo Vincenzo dè Paoli e nel 1604 a Dijon conobbe la nobildonna Giovanna Francesca Fremiot, con cui nacque una profonda amicizia, che portò anche alla fondazione dell’Ordine della Visitazione. Portò avanti la sua battaglia per l’ortodossia con l’arma della carità, piuttosto che con il rigore, illuminando le coscienze con numerosi scritti che gli valsero poi, il titolo di “dottore della Chiesa”. Le sue principali opere furono ”Introduzione alla vita devota” e “Trattato dell’amore di Dio”, testi fondamentali per la letteratura religiosa di tutti i tempi.

L’amore di Dio fu il motivo di tutta la sua vita e con questi argomenti riuscì a far rientrare in comunione con la Chiesa Cattolica i recalcitranti ugonotti. L’11 Dicembre del 1622 a Lione, ebbe l’ultimo colloquio con la sua penitente e qui morì dopo un attacco di apoplessia, il 28 dello stesso mese, nella stanzetta del cappellano del monastero delle Suore della Visitazione. Il 24 gennaio del 1623 il corpo fu traslato ad Annecy, nella Chiesa a lui dedicata, in seguito fu portato alla venerazione dei fedeli nella Basilica della Visitation, sulla collina adiacente alla città, accanto al corpo di Santa Giovanna Francesca di Chantal.

Francesco fu beatificato l’8 Gennaio del 1662 e canonizzato da Papa Alessandro VII, il 19 Aprile del 1665. Fu proclamato dottore della Chiesa nel 1877 e divenne patrono dei giornalisti nel 1923. Il martirologio riporta la sua commemorazione nel giorno della sua morte, il 28 Dicembre, ma vista l’inopportuna vicinanza con il Natale, la Chiesa ha fissato la sua memoria il 24 Gennaio, nel giorno della traslazione delle sue reliquie. San Francesco di Sales può essere considerato il padre della spiritualità moderna a cui si aggiunge il merito di aver influenzato le maggiori figure del seicento, si può definire il principale rappresentante dell’umanesimo devoto.

E’ doveroso ricordare, poi che in suo nome si sono ispirate numerose congregazioni religiose, prima fra tutte, la famiglia salesiana fondata da San Giovanni Bosco, la cui attenzione si rivolge alla crescita e all’educazione dei giovani e delle classi meno abbienti. Si è tramandata un’ orazione per il Santo: “O Dio, tu hai voluto che il santo vescovo Francesco di Sales si facesse tutto a tutti nella carità apostolica: concedi anche a noi di testimoniare sempre, nel servizio dei fratelli, la dolcezza del tuo amore.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.” [Fonte Santiebeati.it]


Le ore del mattino di Angelo Busetto 24-01-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Le ore del mattino Esci in strada al mattino e incroci qualcuno che ti saluta, con il cenno della mano o con un colpo di clakson dalla macchina o gridando il tuo nome dall’altro lato della strada. Sei già consegnato al bene della giornata.

Quanto vale un buon mattino? Suggerisco continuamente alle persone di non perdere l’inizio del giorno. Quando spalanchi la finestra, spalanchi la vita. Quando apri gli occhi, Dio è là che si alza con te dopo averti vegliato di notte. Guardalo e ringrazialo per il nuovo giorno. La preghiera dell’Angelus, impostata con l’Avvento e avviata in tutte le stagioni dell’anno, suggerisce fin da subito la giusta posizione del cuore e della mente.

E’ una grazia poter cominciare la giornata con la preghiera delle Lodi e.o con la Messa, con un tempo di silenzio e di meditazione. “O Dio, all’aurora ti cerco. Ti benedirò finché io viva. A te si stringe l’anima mia”. Quando la preghiera è proclamata in Chiesa, è lo spazio stesso a suggerirti la giusta posizione. Oggi è un privilegio riservato a pochi e da pochi riconosciuto, eppure preziosissimo. C’è chi corre in fretta alla corriera, chi si incammina musone verso scuola, chi ancora indugia pigramente in casa.

Tante mamme sono alle prese con i figli che non si alzano ancora dal letto, o devono arrabattarsi tra i compiti del piccolino da sistemare e la colazione da preparare. Anche Gesù cominciava la giornata ritirandosi in preghiera appena fuori della casa di Pietro, camminando lento sulla spiaggia del lago di Tiberiade nel primo chiarore dell’aurora o prostrandosi di fronte al Padre.

Il segreto della persona è costituito da ciò di cui uno si fa abitare l’anima. Soprattutto quando incombe un impegno gravoso o quando sei appiattito dall’abitudine, ti risveglia la Presenza di Colui che ti viene incontro e ti chiama, come il Signore Dio quando chiamò il giovane Samuele. Poi la giornata va. Ed è come se tutto si incanalasse per il sentiero giusto, dove i sassi e gli inciampi non bloccano il cammino.

Qui si rivela la sapienza della Chiesa, che ci accompagna suggerendo i tempi e i modi del vivere quotidiano. Ti desta e ti accompagna persino con il suono della campana del mattino, che appunto ti invita all’ Angelus. Non ricaviamo da soli l’energia per vivere. Non la spremiamo dalla profondità del cuore. Uno sguardo, un incontro, un messaggio, un dialogo ci chiama e ci sveglia.


«Sposarsi in chiesa non è un diritto» - di Massimo Introvigne 24-01-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Il 22 gennaio si è inaugurato l’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana. In questa occasione, come gli è consueto ogni anno, Benedetto XVI ha proposto importanti considerazioni sul tema del diritto canonico. Quest’anno il Papa è intervenuto sui rapporti fra dimensione giuridica e dimensione pastorale: un tema tutt’altro che astratto ma che ha un’immediata e diretta applicazione nel campo dei matrimoni e della loro nullità, cioè nel settore cui attengono la maggior parte delle cause trattate dalla Rota Romana.

«Il rapporto tra il diritto e la pastorale – ha detto il Papa – è stato al centro del dibattito postconciliare sul diritto canonico. La ben nota affermazione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II [1920-2005], secondo la quale “non è vero che per essere più pastorale il diritto debba rendersi meno giuridico” (Allocuzione alla Rota Romana, 18 gennaio 1990, n. 4: AAS 82 [1990], p. 874) esprime il superamento radicale di un’apparente contrapposizione». La Chiesa – nel suo diritto e nella sua azione pastorale – ha sempre di mira anzitutto la salvezza delle anime.
Ai giudici e agli avvocati rotali Benedetto XVI ricorda come «nel mio primo incontro, che ebbi con voi nel 2006, ho cercato di evidenziare l'autentico senso pastorale dei processi di nullità del matrimonio, fondato sull'amore per la verità (cfr Allocuzione alla Rota Romana, 28 gennaio 2006: AAS 98 [2006], pp. 135-138). Oggi vorrei soffermarmi a considerare la dimensione giuridica che è insita nell'attività pastorale di preparazione e ammissione al matrimonio, per cercare di mettere in luce il nesso che intercorre tra tale attività e i processi giudiziari matrimoniali».

I matrimoni, per usare un linguaggio meno giuridico, spesso finiscono male perché cominciano male. Sono annullati perché non avrebbero mai dovuto essere celebrati in chiesa. Il Papa «osserva come nei corsi di preparazione al matrimonio le questioni canoniche occupino un posto assai modesto, se non insignificante, in quanto si tende a pensare che i futuri sposi abbiano un interesse molto ridotto per problematiche riservate agli specialisti». Inoltre, tra i sacerdoti «è diffusa la mentalità secondo cui l'esame degli sposi, le pubblicazioni matrimoniali e gli altri mezzi opportuni per compiere le necessarie investigazioni prematrimoniali (cfr ibid., can. 1067) […] costituirebbero degli adempimenti di natura esclusivamente formale». In breve, «si ritiene spesso che, nell'ammettere le coppie al matrimonio, i pastori dovrebbero procedere con larghezza, essendo in gioco il diritto naturale delle persone a sposarsi».

Ma non è sempre vero, e per comprenderlo occorre «riflettere sulla dimensione giuridica del matrimonio». Il Papa riprende la sua Allocuzione alla Rota Romana del 2007, in cui aveva affermato: «Di fronte alla relativizzazione soggettivistica e libertaria dell'esperienza sessuale, la tradizione della Chiesa afferma con chiarezza l'indole naturalmente giuridica del matrimonio, cioè la sua appartenenza per natura all'ambito della giustizia nelle relazioni interpersonali. In quest'ottica, il diritto s'intreccia davvero con la vita e con l'amore; come un suo intrinseco dover essere». E quest’anno insiste: «Non esiste, pertanto, un matrimonio della vita ed un altro del diritto: non vi è che un solo matrimonio, il quale è costitutivamente vincolo giuridico reale tra l'uomo e la donna, un vincolo su cui poggia l'autentica dinamica coniugale di vita e di amore. Il matrimonio celebrato dagli sposi, quello di cui si occupa la pastorale e quello messo a fuoco dalla dottrina canonica, sono una sola realtà naturale e salvifica, la cui ricchezza dà certamente luogo a una varietà di approcci, senza però che ne venga meno l'essenziale identità. L'aspetto giuridico è intrinsecamente legato all'essenza del matrimonio. Ciò si comprende alla luce di una nozione non positivistica del diritto, ma considerata nell'ottica della relazionalità secondo giustizia».

Il diritto a sposarsi non è dunque «una pretesa soggettiva che debba essere soddisfatta dai pastori mediante un mero riconoscimento formale, indipendentemente dal contenuto effettivo dell'unione. Il diritto a contrarre matrimonio presuppone che si possa e si intenda celebrarlo davvero, dunque nella verità della sua essenza così come è insegnata dalla Chiesa. Nessuno può vantare il diritto a una cerimonia nuziale». Quindi i sacerdoti non dovrebbero concedere il matrimonio cattolico in chiesa «laddove fosse evidente che non sussistono le premesse per il suo esercizio, se mancasse, cioè, palesemente la capacità richiesta per sposarsi, oppure la volontà si ponesse un obiettivo che è in contrasto con la realtà naturale del matrimonio».

Occorre, afferma il Papa, restituire serietà ai corsi prematrimoniali e anche all’«esame prematrimoniale. Tale esame ha uno scopo principalmente giuridico: accertare che nulla si opponga alla valida e lecita celebrazione delle nozze. Giuridico non vuol dire però formalistico, come se fosse un passaggio burocratico consistente nel compilare un modulo sulla base di domande rituali. Si tratta invece di un'occasione pastorale unica».

Il Papa chiede una vera «prevenzione delle nullità matrimoniali». Molti matrimoni finiscono con l’annullamento perché i sacerdoti li hanno celebrati senza accertarsi con il necessario scrupolo che gli sposi volessero davvero contrarre il matrimonio cristiano. «Bisogna adoperarsi – insiste Benedetto XVI – affinché si interrompa, nella misura del possibile, il circolo vizioso che spesso si verifica tra un'ammissione scontata al matrimonio, senza un’adeguata preparazione e un esame serio dei requisiti previsti per la sua celebrazione, e una dichiarazione giudiziaria talvolta altrettanto facile, ma di segno inverso». Non è materia da canonisti soltanto, ma da parroci, i quali non possono addurre come scusa il fatto di non essere specialisti del diritto: è «importante che vi sia una presa di coscienza ancora più incisiva circa la responsabilità in questa materia di coloro che hanno cura d'anime. Il diritto canonico in generale, e in specie quello matrimoniale e processuale, richiedono certamente una preparazione particolare, ma la conoscenza degli aspetti basilari e di quelli immediatamente pratici del diritto canonico, relativi alle proprie funzioni, costituisce un'esigenza formativa di primaria rilevanza per tutti gli operatori pastorali, in particolare per coloro che agiscono nella pastorale familiare».

Il Papa ribadisce il suo no agli annullamenti troppo facili: «bisogna resistere alla tentazione di trasformare le semplici mancanze degli sposi nella loro esistenza coniugale in difetti di consenso». Ma molti annullamenti sono inevitabili, perché, inventando un diritto a sposarsi in chiesa che come tale non esiste senza preparazione e retta intenzione, si è concesso il matrimonio religioso a chi era lontanissimo dalla sua comprensione. In questo senso, il Papa torna «a considerare il rapporto tra diritto e pastorale. Esso è spesso oggetto di fraintendimenti, a scapito del diritto, ma anche della pastorale. Occorre invece favorire in tutti i settori, e in modo particolare nel campo del matrimonio e della famiglia, una dinamica di segno opposto, di armonia profonda tra pastoralità e giuridicità, che certamente si rivelerà feconda nel servizio reso a chi si avvicina al matrimonio».


Un martire del nostro tempo: il Dottor Claudio Carosino - Autore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 23 gennaio 2011

Non conoscevo il Dottor Claudio Carosino; me ne hanno parlato due amici che lo avevano incontrato negli anni della giovinezza durante l’esperienza universitaria. La sua storia ha dell’incredibile. 59 anni, medico di base in quel di Busseto. Uomo di grande fede, si occupava di adozioni a distanza e di formazione sanitaria per i giovani. Ma soprattutto, come ha detto di lui la figlia: “Non faceva il medico, “era” medico”. Parliamo al passato: perché il Dottor Carosino è stato ucciso. Una domenica pomeriggio, tornando per l’ennesima volta a visitare un anziano paziente che lo aveva chiamato, si è trovato di fronte una doppietta spianata: uno solo colpo in pieno petto.
Sono passati tre mesi da questa morte apparentemente assurda, senza spiegazioni, se non rovistando nei misteri oscuri della mente umana e delle sue aberrazioni. Eppure da quel giorno la sua figura luminosa è diventata una testimonianza per molti. Domenica pomeriggio – era la Giornata Missionaria Mondiale – momento da dedicare alla quiete domestica, allo svago, al riposo. Il Dottore era così: non si risparmiava, “la carità non conosce ore”. E’ morto sul campo, proprio in questi tempi in cui la professione medica è sottoposta di frequente a dure accuse di “malasanità”.
E il suo funerale è stato un’apoteosi. Le cronache parlano di una fiumana di persone mai vista prima nella solenne Collegiata di san Bartolomeo a Busseto: tanto da straripare nel sagrato, nei portici, nella piazza vicina. E di un susseguirsi ininterrotto di messaggi di gratitudine, di lacrime sincere, di rimpianto per la sua eccezionale statura umana. Tra le varie testimonianze, una in particolare, quella dell’assessore Mazzera: “In ogni persona sapeva vedere Cristo sofferente. Il Dottor Carosino non è diventato un eroe ora, ma lo è sempre stato in tutta la sua esistenza”.
Lo collochiamo tra i martiri del nostro tempo così segnato dalla violenza e dalla perdita del significato. La sua limpida figura ci testimonia che “si può vivere così”, partecipando alla croce di Cristo fino a dare la propria vita per i fratelli.


Ferri, un magistrato che tiene all'etica di Andrea Camaiora 24-01-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Magistratura indipendente (Mi), il secondo gruppo associativo tra i magistrati italiani, votato da un togato su quattro, ha un nuovo leader. Cattolico. Cosimo Maria Ferri, 39 anni, già componente del Consiglio superiore della Magistratura dal 2006 al 2010 è stato eletto con una maggioranza schiacciante, oltre il 72%, e un programma chiaro.

Il nuovo segretario ha una visione molto chiara del rapporto tra legislatore e magistratura: «Vedo con preoccupazione affiorare – più ancora, forse, che su temi di rilievo politico, su quelli cosiddetti “eticamente sensibili” – la tendenza di certi settori della magistratura a sentirsi investiti di una funzione che trascende l’interpretazione ed applicazione delle norme di legge, per abbandonarsi, spesso sulla base di forzate letture del testo costituzionale o del diritto sovranazionale, ad una funzione “creativa”, questa sì non in linea con il dettato costituzionale. Sono profondamente convinto – ha detto Ferri concludendo l’intervento con il quale ha presentato la propria candidatura alla segreteria nazionale – che la magistratura debba rifuggire da questa tentazione, e con essa da quella – sempre affiorante – di farsi interprete di una (presunta) parte più “evoluta”, “culturalmente avanzata” o persino semplicemente “moralmente più degna”, della società . In un sistema democratico – è il lascito prezioso di uno dei grandi costituzionalisti del ‘900,  Edoardo Ruffini, in quel piccolo gioiello che è Il principio maggioritario – è sempre e solo il principio della “màior pars”, e non della “sànior pars”, ciò su cui si fonda la legittimità di quell’atto espressione di volontà generale che è la legge».

Ferri non è nuovo a simili prese di posizione, peraltro tipiche del dna moderato di Magistratura indipendente. In occasione della sentenza sul caso di Eluana Englaro non ebbe timori ad esprimere una posizione decisamente pro life: «In un ordinamento giuridico come il nostro caratterizzato da principi che richiedono espresse e formali dichiarazioni di volontà di ciascun individuo affinché possano prodursi persino effetti di incremento del suo patrimonio, è lecito nutrire giustificate riserve sul riconoscimento, al tutore del soggetto incapace, di poteri destinati ad investire la sfera, non solo patrimoniale, ma anche personalissima del soggetto assistito, alla condizione – individuata dai provvedimenti giurisdizionali intervenuti sul controverso caso della giovane – che egli decida “con l’incapace”, esprimendone una ipotetica volontà.  Non resta, dunque, che formulare l’auspicio che un’eventuale disciplina legislativa della materia del “fine-vita” sia fondata su adeguati punti di equilibrio fra i fondamentali beni costituzionali coinvolti».

Inutile dire che quando al Consiglio superiore della magistratura approdò la proposta di deliberare una “pratica a tutela” dei colleghi togati che si erano espressi sulla sorte di Eluana, Ferri non esitò a sottolineare alcune distinzioni per lui innegabili rispetto a posizioni più semplici, volte a rappresentare le critiche a quei magistrati come il semplice frutto dello scontro permanente tra politica e magistratura. In quell’occasione, il leader di Mi spiegò: «Insieme ai colleghi di Magistratura Indipendente ho firmato una proposta alternativa alla delibera a tutela dei magistrati coinvolti nel caso Englaro, così come è stata avanzata dalla Prima Commissione del CSM, perché ritengo che non tutte le critiche alle sentenze intervenute sul “caso Englaro” siano realmente denigratorie. Per questa ragione ho avvertito l’esigenza di riconoscere da un lato la gravità delle accuse rivolte ai magistrati della Cassazione, ma dall’altro dare atto del caso di eccezionalità rappresentata dalla drammatica fine di Eluana Englaro che ha interrogato profondamente il Paese sollevando riflessioni e critiche che hanno investito tutte le massime istituzioni della nostra Repubblica. Mi sia consentita una digressione personale a proposito di questa pratica. Essa fa riferimento, certo, ad espressioni forti, irriguardose dell’operato di colleghi magistrati. Su questo aspetto non ho dubbi, tanto che io stesso ho apposto la firma per l’apertura di questa pratica a tutela. Tuttavia, riflettendo, ho maturato la ferma convinzione che esse vadano considerate alla luce dell’argomento in questione: il diritto alla vita. Non possiamo quindi far finta di ignorare che il caso Englaro ha diviso il Paese e le coscienze degli uomini che, per professione o vocazione, sono stati chiamati a seguirlo, direttamente o indirettamente: penso ai magistrati, ai medici, agli avvocati, ai politici, ai sacerdoti, ai giornalisti. Nello specifico, infatti, vi è più di un dubbio che il caso Englaro si possa configurare come un trionfo dell’autodeterminazione del malato, così come qualcuno l’ha inteso. Conseguentemente è legittimo il dubbio che le pronunce abbiano dato attuazione alla volontà di Eluana di essere lasciata morire».

«Noi sappiamo che la natura di questione privata – anzi di questione in cui si verte in materia di diritti personalissimi – è stata la strada individuata dalla Cassazione nell’ultima sentenza, quella del 13 novembre 2008, per dichiarare inammissibile il ricorso del pm: poiché il pubblico ministero rappresenta l’interesse pubblico al contenuto di determinate decisioni giudiziarie la Cassazione, ricorrendo ad un’interpretazione del codice di procedura civile, ha stabilito che il pm poteva intervenire nel giudizio ma non poteva proporre ricorso per Cassazione. Va osservato tuttavia senza mezzi termini come, nel caso in questione, la giurisdizione, in una materia quale quella del fine vita e del testamento biologico tanto difficile quanto sensibile ed incerta, si sia trovata ad operare in un quadro di incertezza. Tenuto conto dell’iter parlamentare, un pronunciamento del Plenum che censurasse le pur dure reazioni alla sentenza sul destino di Eluana Englaro, potrebbe apparire come un’inopportuna e cronologicamente infelice azione dell’organo costituzionale che rappresentiamo nei confronti della potestà e libertà legislativa del Parlamento».

Da allora Ferri non ha cambiato opinione e questo fa ben sperare chi chiede che all’interno della magistratura, nelle sue diverse articolazioni associative e istituzionali, vi siano voci capaci di rappresentare l'esigenza di coniugare il diritto con l'etica.


24/01/2011 – VATICANO - Papa: i cristiani partecipino ai social network, ma con un loro stile e testimoniando il Vangelo - Nel messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, Benedetto VI sottolinea la trasformazione anche culturale che la comunicazione via internet sta producendo. Anch’essa deve mirare al bene integrale della persona. La verità va presentata nella sua integrità, piuttosto che cercare di renderla accettabile, magari “annacquandola”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Partecipare “con fiducia e con consapevole e responsabile creatività” ai nuovi social network che “non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa, per cui si può affermare che si è di fronte ad una vasta trasformazione culturale”. E’ l’invito che Benedetto XVI rivolge ai cristiani, chiamati a unirsi alla rete “non semplicemente per soddisfare il desiderio di essere presenti, ma perché questa rete è parte integrante della vita umana”, a esserci con un proprio “stile” e a “testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita”.

Si intitola infatti "Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale" il messaggio del Papa per la 45ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali - che quest’anno si celebra domenica 5 giugno - reso pubblico oggi.

Con le nuove tecnolgie, nota Benedetto XVI, “sta nascendo un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione”, ma tenendo presente che “il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livelli della nostra vita”.

Ciò malgrado, con le nuove tecnologie “si prospettano traguardi fino a qualche tempo fa impensabili, che suscitano stupore per le possibilità offerte dai nuovi mezzi e, al tempo stesso, impongono in modo sempre più pressante una seria riflessione sul senso della comunicazione nell'era digitale”, in quanto “come ogni altro frutto dell'ingegno umano, le nuove tecnologie della comunicazione chiedono di essere poste al servizio del bene integrale della persona e dell'umanità intera. Se usate saggiamente, esse possono contribuire a soddisfare il desiderio di senso, di verità e di unità che rimane l'aspirazione più profonda dell'essere umano”.
 
Nel mondo digitale, poi, si perde sempre di più la distinzione tra chi produce e chi “consuma” informazione e “la comunicazione vorrebbe essere non solo uno scambio di dati, ma sempre più anche condivisione. Questa dinamica ha contribuito ad una rinnovata valutazione del comunicare, considerato anzitutto come dialogo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive. D'altro canto, ciò si scontra con alcuni limiti tipici della comunicazione digitale: la parzialità dell'interazione, la tendenza a comunicare solo alcune parti del proprio mondo interiore, il rischio di cadere in una sorta di costruzione dell'immagine di sé, che può indulgere all'autocompiacimento”.

E’ un rischio particolarmente presente nei social network, particolarmente utilizzati dai giovani, il coinvolgimento nei quali “conduce a stabilire nuove forme di relazione interpersonale, influisce sulla percezione di sé e pone quindi, inevitabilmente, la questione non solo della correttezza del proprio agire, ma anche dell'autenticità del proprio essere. La presenza in questi spazi virtuali può essere il segno di una ricerca autentica di incontro personale con l'altro se si fa attenzione ad evitarne i pericoli, quali il rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo, o l'eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ricerca di condivisione, di ‘amicizie’, ci si trova di fronte alla sfida dell'essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all'illusione di costruire artificialmente il proprio ‘profilo’ pubblico”.

“Anche nell'era digitale, ciascuno è posto di fronte alla necessità di essere persona autentica e riflessiva. Del resto, le dinamiche proprie dei social network mostrano che una persona è sempre coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali. Ne consegue che esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell'altro. Comunicare il Vangelo attraverso i nuovi media significa non solo inserire contenuti dichiaratamente religiosi sulle piattaforme dei diversi mezzi, ma anche testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita. Del resto, anche nel mondo digitale non vi può essere annuncio di un messaggio senza una coerente testimonianza da parte di chi annuncia. Nei nuovi contesti e con le nuove forme di espressione, il cristiano è ancora una volta chiamato ad offrire una risposta a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui (cfr 1Pt 3,15)”.

“L'impegno per una testimonianza al Vangelo nell'era digitale richiede a tutti di essere particolarmente attenti agli aspetti di questo messaggio che possono sfidare alcune delle logiche tipiche del web. Anzitutto dobbiamo essere consapevoli che la verità che cerchiamo di condividere non trae il suo valore dalla sua ‘popolarità’ o dalla quantità di attenzione che riceve. Dobbiamo farla conoscere nella sua integrità, piuttosto che cercare di renderla accettabile, magari ‘annacquandola’. Deve diventare alimento quotidiano e non attrazione di un momento. La verità del Vangelo non è qualcosa che possa essere oggetto di consumo, o di fruizione superficiale, ma è un dono che chiede una libera risposta. Essa, pur proclamata nello spazio virtuale della rete, esige sempre di incarnarsi nel mondo reale e in rapporto ai volti concreti dei fratelli e delle sorelle con cui condividiamo la vita quotidiana. Per questo rimangono sempre fondamentali le relazioni umane dirette nella trasmissione della fede!”.

“II web – la conclusione del Papa - sta contribuendo allo sviluppo di nuove e più complesse forme di coscienza intellettuale e spirituale, di consapevolezza condivisa. Anche in questo campo siamo chiamati ad annunciare la nostra fede che Cristo è Dio, il Salvatore dell'uomo e della storia, Colui nel quale tutte le cose raggiungono il loro compimento (cfr Ef 1,10). La proclamazione del Vangelo richiede una forma rispettosa e discreta di comunicazione, che stimola il cuore e muove la coscienza; una forma che richiama lo stile di Gesù risorto quando si fece compagno nel cammino dei discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35), i quali furono condotti gradualmente alla comprensione del mistero mediante il suo farsi vicino, il suo dialogare con loro, il far emergere con delicatezza ciò che c'era nel loro cuore”.


24/01/2011 – INDIA - Leader cristiani: Pericolosi i commenti della Suprema corte sull’omicidio di Graham Staines di Nirmala Carvalho - Pur confermando l’ergastolo per il principale responsabile del delitto efferato, la corte ha aggiunto alcune osservazioni su fantomatiche conversioni forzate che sembrano giustificare le violenze interreligiose e anti-cristiane. Il cardinale Gracias: “Sono preoccupato per le interpretazioni che potrebbero essere date a questo giudizio, e soprattutto per le implicazioni che questa sentenza potrebbe avere in futuro”.


Mumbai (AsiaNews) – La Suprema corte ha confermato l’ergastolo per Dara Singh (nella foto), responsabile dell’omicidio del pastore Graham Staines e di suoi due bambini nel 1999. (21/01/2011 Confermato l'ergastolo per Dara Singh, assassino del pastore Graham Staines). Ma alcune osservazioni a lato della sentenza appaiono ambigue e pericolose perché sembrano giustificare la violenza interreligiosa e anti-cristiana. Il cardinal Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale dell’India, ha espresso profonda preoccupazione per le osservazioni della Suprema corte relative all’assassinio di Graham Staines e dei suoi due bambini, in cui si dichiara che “l’intenzione era quella di dare una lezione a Graham Staines per le sue attività religiose, in particolare convertire i poveri tribali al cristianesimo”.

Parlando ad AsiaNews  il cardinale afferma: “Mentre sono felice della decisione dei giudici di non comminare la pena di morte, perché sono contrario alla pena di morte, sono preoccupato per le implicazioni e interpretazioni delle loro osservazioni. Da un punto di vista legale, la parola “intenzione” è preoccupante, e potrebbe risultare pericolosa. Sono preoccupato per le interpretazioni che potrebbero essere date a questo giudizio, e soprattutto per le implicazioni che questa sentenza potrebbe avere in futuro. C’è la possibilità che sia interpretata come qualcosa che da’ la licenza ad altri; e l’altra possibile interpretazione è che uno possa non rispettare le garanzie costituzionali e di libertà date a tutti e ciascuno dei cittadini di questo paese, inclusi i nostri fratelli e sorelle Dalit e tribali”.

Il presidente della Conferenza episcopale indiana continua: “Il fatto è che la Commissione ha rilevato che non c’è stato nessun incremento significativo nel numero dei cristiani, e soprattutto che Graham Staines stava rendendo servizio ai malati di lebbra, e che non c’è assolutamente nessuna evidenza di qualsiasi tipo di ‘conversione forzata’; e la Chiesa è assolutamente contraria alla conversione forzata. Così sono profondamente preoccupato per le implicazioni di questa sentenza. Dal punto di vista della libertà di religione ciascuno è libero costituzionalmente di praticare, predicare e propagare la sua fede e i suoi convincimenti. La libertà religiosa è un diritto umano, e soprattutto è un diritto umano di ciascuno la possibilità di presentare la sua fede agli altri, ed è un diritto umano di ogni persona la possibilità di accettare liberamente una fede religiosa e praticarla”.

Anche i gruppi cristiani per i diritti umani – - All India Christian Council, il Global Council of Indian Christians (GCIC)  e Civil Society – esprimono preoccupazione per i commenti dei giudici sui casi di violenza interreligiosa legati alla conversione. Civil Society in particolare critica questa osservazione della Suprema corte: “E’ fuori discussione - si dice - che non c’è nessuna giustificazione per interferire nella fede di qualcuno con ‘l’uso della forza’, la provocazione, la conversione, l’incitamento o in base all’erronea premessa che una religione è migliore di un’altra. Questo colpisce le radici stesse di una società ordinata, quella che i Padri fondatori della nostra Costituzione hanno sognato”. In tal modo la corte lascia trasparire lo spauracchio di fantomatiche conversioni forzate.

“Questa dichiarazione - afferma Civil Society - è chiaramente incostituzionale e va contro le garanzie di libertà di fede, da una parte, e dall’altra sembra riconoscere il diritto di un’azione di controllo a criminali come Dara Singh, che hanno voluto ‘impartire una lezione’ a persone che si occupvano di lebbrosi e di poveri”. Civil society si chiede se la Suprema corte ha preso in considerazione il rapporto della Commissione Wadhwa, istituita per investigare sull’assassinio di Graham Staines, che ha osservato che “non c’è stato nessun incremento di popolazione cristiana nel distretto di Keonjhar fra il 1991 e il 1998. La popolazione è cresciuta di 596 unità in questo periodo, e questo probabilmente è avvenuto per crescita naturale”.

Secondo Civil Society , “la sentenza della Suprema corte può mandare segnali sbagliati ai tribunali che giudicano casi di violenza interreligiosa in Kandhamal e in altri luoghi. E tende a prevenire le contestazioni contro ‘leggi nere’ emanate da molti stati sotto la forma di Leggi sulla libertà religiosa. L’India laica guarda alla Suprema corte e all’apparato giudiziario come l’ultima speranza di mantenere le garanzie costituzionali per le minoranze religiose e gli altri gruppi marginalizzati. Lo Stato non può abdicare alle sue responsabilità nel difendere il tessuto laico del Paese. Ci attendiamo che il governo chiede alla Suprema corte di espungere quelle osservazioni non necessarie, non opportune e incostituzionali”.