domenica 23 gennaio 2011

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Radio Vaticana, notizia del 23/01/2011, Benedetto XVI all'Angelus: Il serio impegno di conversione a Cristo è la via che conduce la Chiesa alla piena unità visibile
2)    LA LOTTA TRA LA VITA E LA MORTE - In vista della Marcia per la vita che si terrà a Washington il 24 gennaio di padre John Flynn, L.C. (ZENIT.org)
3)    NEWMAN: UNA PROPOSTA EDUCATIVA PER LA COMUNICAZIONE DI OGGI - Lectio magistralis tenuta il 21 gennaio dall'Arcivescovo di Bologna, il Cardinale Carlo Caffarra, presso l’Istituto Veritatis Splendor nell’ambito della Festa regionale di S. Francesco di Sales, Patrono dei giornalisti (ZENIT.org).
4)    LIBERTÀ RELIGIOSA - Davanti al martirio - Il card. Angelo Bagnasco ieri nella Chiesa Valdese di Genova – 22 gennaio 2011 – da http://www.agensir.it
5)    22 Gennaio 2011 - Una ripresa non solo Biopolitica - Brutto segnale se a decidere sulle questioni eticamente sensibili –quelle su vita e morte – sono i tribunali - lo stesso se a occuparsene sono i legislatori - Pubblichiamo un recente editoriale di Clementina Isimbaldi di Medicina e Persona – da http://www.comitatoveritaevita.it
6)    Avvenire.it 22 gennaio 2011 - ROTA ROMANA - Il Papa: preparare al vero matrimonio cristiano
7)    Avvenire.it, 22 gennaio 2011 – Benedetto XVI - AL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA - Evitare ammissioni facili a nozze e facili annullamenti

Radio Vaticana, notizia del 23/01/2011, Benedetto XVI all'Angelus: Il serio impegno di conversione a Cristo è la via che conduce la Chiesa alla piena unità visibile

Nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si concluderà dopodomani, Benedetto XVI ha sottolineato stamani all’Angelus che “il serio impegno di conversione” conduce la Chiesa alla piena unità. Il Papa ha anche ricordato i “cardini” su cui i cristiani devono fondare la loro vita: l’ascolto della Parola di Dio, la comunione fraterna, l’Eucaristia e la preghiera. Di seguito il testo dell'Angelus:

Cari fratelli e sorelle!

In questi giorni, dal 18 al 25 gennaio, si sta svolgendo la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Quest’anno essa ha per tema un passo del libro degli Atti degli Apostoli, che riassume in poche parole la vita della prima comunità cristiana di Gerusalemme: “Uniti nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nello spezzare il pane e nella preghiera” (At 2,42). E’ molto significativo che questo tema sia stato proposto dalle Chiese e Comunità ecclesiali di Gerusalemme, riunite in spirito ecumenico. Sappiamo quante prove debbono affrontare i fratelli e le sorelle della Terra Santa e del Medio Oriente. Il loro servizio è dunque ancora più prezioso, avvalorato da una testimonianza che, in certi casi, è arrivata fino al sacrificio della vita. Perciò, mentre accogliamo con gioia gli spunti di riflessione offerti dalle Comunità che vivono a Gerusalemme, ci stringiamo intorno ad esse, e questo diventa per tutti un ulteriore fattore di comunione.

Anche oggi, per essere nel mondo segno e strumento di intima unione con Dio e di unità tra gli uomini, noi cristiani dobbiamo fondare la nostra vita su questi quattro “cardini”: l’ascolto della Parola di Dio trasmessa nella viva Tradizione della Chiesa, la comunione fraterna, l’Eucaristia e la preghiera. Solo in questo modo, rimanendo saldamente unita a Cristo, la Chiesa può compiere efficacemente la sua missione, malgrado i limiti e le mancanze dei suoi membri, malgrado le divisioni, che già l’apostolo Paolo dovette affrontare nella comunità di Corinto, come ricorda la seconda Lettura biblica di questa domenica: “Vi esorto, fratelli – scrive san Paolo – ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire” (1,10). L’Apostolo, infatti, aveva saputo che nella comunità cristiana di Corinto erano nate discordie e divisioni; perciò, con grande fermezza, aggiunge: “E’ forse diviso il Cristo?” (1,13). Così dicendo, egli afferma che ogni divisione nella Chiesa è un’offesa a Cristo; e, al tempo stesso, che è sempre in Lui, unico Capo e Signore, che possiamo ritrovarci uniti, per la forza inesauribile della sua grazia.

Ecco allora il richiamo sempre attuale del Vangelo di oggi: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Il serio impegno di conversione a Cristo è la via che conduce la Chiesa, con i tempi che Dio dispone, alla piena unità visibile. Ne sono un segno gli incontri ecumenici che in questi giorni si moltiplicano in tutto il mondo. Qui a Roma, oltre ad essere presenti varie Delegazioni ecumeniche, inizierà domani una sessione di incontro della Commissione per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Antiche Chiese Orientali. E dopodomani concluderemo la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani con la solenne celebrazione dei Vespri nella festa della Conversione di San Paolo. Ci accompagni sempre, in questo cammino, la Vergine Maria, Madre della Chiesa.


LA LOTTA TRA LA VITA E LA MORTE - In vista della Marcia per la vita che si terrà a Washington il 24 gennaio di padre John Flynn, L.C. (ZENIT.org)

ROMA, domenica, 23 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Con l’insediamento dei nuovi membri del Congresso degli Stati Uniti, l’aborto sembra continuare a rappresentare un tema all’ordine del giorno.

Il deputato Mike Pence ha presentato un disegno di legge, insieme a 122 cofirmatari (il Title X Abortion Provider Prohibition Act), in cui si propone di porre fine al finanziamento pubblico delle strutture che praticano l’aborto, secondo quanto si legge in un articolo di Christian Newswire del 7 gennaio.

Planned Parenthood sarebbe l’organizzazione a subire le maggiori conseguenze qualora la proposta venisse approvata. Secondo Pence, Planned Parenthood ha ricevuto più di 363 milioni di dollari (270 milioni di euro) di finanziamenti federali lo scorso anno. Nello stesso periodo hanno effettuato 324.008 aborti, con un aumento del 5,8% rispetto all’anno precedente.

Pence ha dichiarato la sua opposizione all’aborto ed ha anche affermato che è “moralmente sbagliato prendere i soldi di milioni di contribuenti americani contrari all’aborto e usarli per promuovere l’aborto negli USA o all’estero”.

Planned Parenthood sta ricevendo pubblicità contraria, con la pubblicazione, questo mese, di “unPLANNED”, scritto da Abby Johnson, ex dipendente di questa clinica abortista.

Dopo otto anni in cui ha lavorato per Planned Parenthood, prima come volontaria e poi da dipendente, il suo sostegno all’aborto è improvvisamente venuto meno, il giorno in cui le è stato chiesto di aiutare in un aborto e ha visto dall’ecografia come questo bambino di 13 settimane lottava per sopravvivere, mentre era in corso l’operazione.

Secondo un’intervista pubblicata l’11 gennaio sul sito Internet del National Catholic Register, Johnson ha detto che non aveva mai assistito ad un aborto vedendolo attraverso l’ecografia. In quel periodo lei era direttrice della clinica di Bryan, in Texas.

Ha spiegato che Planned Parenthood le aveva sempre detto che un feto non ha uno sviluppo sensoriale prima delle 28 settimane, un’affermazione contraddetta da ciò che ha visto sullo schermo mentre il feto lottava per evitare di essere risucchiato fuori.

Nel suo libro descrive come questa esperienza l’abbia portata ad abbandonare il suo lavoro alla clinica e racconta il suo percorso da ragazza al college fino a direttrice di una clinica abortista, e infine anti-abortista.

Planned Parenthood ha tentato di impedire la pubblicazione del suo libro con una denuncia legale finita nel nulla. La maggiore preoccupazione riguardava senza dubbio la descrizione, nel libro, delle pressioni fatte dall’organizzazione per aumentare il numero degli aborti alla clinica Johnson, fonte di lauti guadagni.

Statistiche preoccupanti

Non esistono statistiche ufficiali complessive sul numero degli aborti negli Stati Uniti. Tuttavia, un buon quadro della situazione emerge in un rapporto pubblicato l’11 gennaio dal Guttmacher Institute, un'organizzazione pro-aborto.

Secondo lo studio, basato sul censimento di tutti gli enti conosciuti in cui si pratica l’aborto, il calo degli aborti che si è registrato costantemente sin dal 1981 si è arrestato. In un comunicato stampa, l’Istituto ha detto che il dato del 2008 è di 19,6 aborti per 1.000 donne in età tra i 15 e i 44 anni. Si tratta di un lieve incremento rispetto al 19,4 del 2005.

Il numero totale degli aborti nel 2008 (1,21 milioni) è lievemente aumentato, di circa 6.000 casi. Anche il numero degli enti fornitori di aborto ha avuto una lieve variazione, passando dai 1.787 ai 1.793 tra il 2005 e il 2008.

Inoltre, dal censimento risulta un aumento nel ricorso all’aborto farmaceutico nei primi stadi di gravidanza, solitamente attraverso il farmaco abortivo RU-486.

In un articolo del Washington Post dell’11 gennaio, figurano maggiori informazioni sull’uso della pillola RU-486. Nel 2010, l’uso della pillola è aumentato del 24%, rispetto all’anno precedente, passando dai 161.000 ai 199.000 casi, e andando così a costituire il 17% di tutti gli aborti.

A commento di questi dati, il Guttmacher Institute ha auspicato un maggiore accesso ai servizi di contraccezione e anche una maggiore garanzia per le donne a poter accedere all’aborto.

Al contrario, Jeanne Monahan, direttrice del Center of Human Dignity del Family Research Council, ha auspicato un maggiore impegno per ridurre il numero degli aborti.

In un comunicato stampa dell’11 gennaio ha lodato le forze pro-vita per il loro lavoro ed ha sottolineato che dai sondaggi risulta che un crescente numero di americani si dichiara essere pro-vita.

Monahan ha criticato il Guttmacher Institute secondo cui dovrebbero essere allentate le restrizioni all’aborto. “Come possono dire che il tasso di aborto non è abbastanza alto?”, ha domandato.

Un commento sul rapporto pubblicato lo stesso giorno da LifeNews.com riguarda una dichiarazione dell’Istituto secondo cui una maggiore contraccezione ridurrebbe gli aborti.

Lo stesso rapporto – ha osservato l’articolo – mostra che la maggioranza degli aborti – il 54% – è stata effettuata dopo che la contraccezione era fallita. Questo dato è simile a quello registrato in Spagna, in cui l’aborto è in aumento mentre al contempo è stata rafforzata la promozione della pianificazione familiare.

Dato che la pillola e i metodi a barriera hanno margini di fallimento e che la gente non sempre li usa correttamente, le politiche di controllo della natalità sono semplicemente incapaci di eliminare le gravidanze indesiderate, secondo l’articolo.

Spaventoso

Poco prima della pubblicazione degli ultimi dati sull’aborto, l’Arcivescovo di New York, Timothy M. Dolan, ha auspicato una riduzione degli aborti nella città.

“Che il 41% dei bambini di New York vengano abortiti – la percentuale è persino maggiore nel Bronx e tra le comunità afroamericane – è semplicemente spaventoso”, ha dichiarato in una conferenza stampa, il 6 gennaio, ospitata dalla Chiaroscuro Foundation, presso il Penn Club di New York.

Il presule ha poi ricordato che la città di New York era nota per la sua accoglienza degli immigranti ed ha aggiunto: “stiamo tragicamente abbandonando i più piccoli, più fragili e vulnerabili: i bebè in grembo”.

Nel riferire della conferenza stampa, il New York Times del 7 gennaio ha spiegato che è stato un impegno comune di una serie di leader religiosi, coordinati dalla Chiaroscuro Foundation, un ente non profit finanziato privatamente dal suo presidente, Sean Fieler, un consulente finanziario.

Il dato del 41% è tratto da un rapporto del dipartimento della salute di New York. Le statistiche mostrano che vi sono stati 87.273 aborti nel 2009, in calo rispetto ai 94.466 del 2000. Il rapporto ha inoltre rivelato che il tasso di aborto concernente le gravidanze di donne di colore era vicino al 60%

Il tasso molto elevato di aborto tra le donne nere è qualcosa di cui non si parla spesso; qualcosa che organizzazioni come TooManyAborted.com stanno cercando di cambiare.

Secondo le informazioni pubblicate sul loro sito Internet, quasi il 40% di tutte le gravidanze di donne nere finiscono con l’aborto. Si tratta di un dato che è tre volte quello delle donne bianche e due volte quello di tutte le altre etnie messe insieme.

Il sito spiega anche che il movimento per i “diritti riproduttivi” ha avuto come origine una mentalità elitista promossa dalla fondatrice di Planned Parenthood, Margaret Sanger. Lei ed altre hanno lavorato sodo per promuovere l’aborto tra i neri e i poveri.

Queste notizie vengono fuori alla vigilia del grande evento annuale pro-vita, il March for Life (Marcia per la vita) che si terrà a Washington il 24 gennaio. La Chiesa cattolica terrà per l’occasione la National Prayer Vigil for Life dal 23 al 24 gennaio, presso la basilica del santuario nazionale dell’Immacolata Concezione.

La vigilia si aprirà con una Messa che sarà presieduta dal cardinale Daniel N. DiNardo, presidente della Commissione per le attività pro vita della Conferenza episcopale USA.

Sebbene l’evento annuale, normalmente riceva poca eco nella stampa, esso attrae grandi numeri di persone, in gran parte giovani. Il suo successo mostra quanto la piaga dell’aborto continui ad essere una questione che sensibilizza un'ampia fetta di popolazione.


NEWMAN: UNA PROPOSTA EDUCATIVA PER LA COMUNICAZIONE DI OGGI - Lectio magistralis tenuta il 21 gennaio dall'Arcivescovo di Bologna, il Cardinale Carlo Caffarra, presso l’Istituto Veritatis Splendor nell’ambito della Festa regionale di S. Francesco di Sales, Patrono dei giornalisti (ZENIT.org).

ROMA, sabato, 22 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la Lectio magistralis tenuta il 21 gennaio dall'Arcivescovo di Bologna, il Cardinale Carlo Caffarra, presso l’Istituto Veritatis Splendor nell’ambito della Festa regionale di S. Francesco di Sales, Patrono dei giornalisti.

* * *
Non mi è stato facile impostare la riflessione che mi avete chiesto in occasione della festa del vostro Patrono dal momento che, a mia conoscenza, il beato J. H. Newman non ha mai elaborato una trattazione sulla comunicazione sociale. Non potevo dunque esporre il suo pensiero al riguardo.
Tuttavia tutti i grandi pensatori, i pensatori essenziali - e Newman è certamente fra essi - possono essere interrogati su ogni tema seriamente attinente alla nostra vicenda umana.
Tutto ciò premesso, alla fine ho pensato di procedere nel modo seguente. Nel primo punto della mia riflessione cercherò di fare uno schizzo del profilo spirituale di Newman, o meglio, del suo itinerario interiore. Nel secondo punto cercherò di verificare quali “provocazioni” vengono da tale itinerario a chi lavora nella comunicazione sociale.


1. Schizzo del profilo spirituale
J. H. Newman scrisse l’epigrafe che doveva essere scolpita sulla sua tomba. È la seguente: Ex umbris et imaginibus in veritatem.
Se un uomo compone l’epigrafe della sua tomba, non c’è dubbio che con essa egli vuole fare la sintesi di tutta la sua vicenda umana, e darne la chiave interpretativa. Ed in realtà quell’iscrizione «è la cifra della sua intera visione del mondo, la figura secondo cui concepiva la destinazione reale della nostra intelligenza, la quale, abitando la sfera della manifestazione e della parvenza (imago, umbra), deve volere e cercare con tutta se stessa una certezza legittimata dalla verità». [P. Murray, in J. H. Newman, Scritti oratoriani, Cantagalli, Siena 2010, XIII].
L’itinerario di Newman è così delineato nella sua sostanza: è il pellegrino in cammino verso la verità che salva, oltre le apparenze e le ombre. Si noti, però, subito che non di una qualsiasi verità si tratta. È la verità che è proposta di salvezza, che è via alla salvezza definitiva, eterna. È la verità religiosa nel senso più forte. Ascoltiamo Newman: «Vi è una verità; vi è una sola verità, l’errore religioso è per sua natura immorale; (…) si deve temere l’errore; la ricerca della verità non deve essere appagamento di curiosità; l’acquisizione della verità non assomiglia in niente all’eccitazione di una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è quindi superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla» [Lo sviluppo della dottrina cristiana, Il Mulino, Bologna 1967, 377].
Prima di proseguire mi piace attirare la vostra attenzione su un fatto. Nei suoi scritti Newman non parla mai [come Agostino] del cammino verso la verità come di un’ascensione, una salita continua verso Dio dal grado inferiore al grado superiore. Egli configura il suo cammino verso la verità come un iter, un cammino, un pellegrinaggio faticoso.
L’itinerario conosce in Newman tre momenti fondamentali [ancora come Agostino]. Li richiamo molto sinteticamente.
Il primo - lo potremmo chiamare la prima conversione - è descritto nel modo seguente: «… confermandomi nella mia sfiducia nella realtà dei fenomeni materiali e facendomi riposare nel pensiero di due soli esseri assoluti e luminosamente evidenti in se stessi, me stesso e il mio Creatore» [Apologia pro vita sua, Paoline, Milano 2001, 137-138].
Newman prima di questa “scoperta” pensava che la realtà veramente consistente fosse quella in cui lo immergevano i suoi sensi. Il “reale” è ciò che è afferrabile; ciò che è misurabile e calcolabile.
Egli ci dice di aver letto alcuni saggi di Hume. Aveva copiato alcuni versi francesi di Voltaire, che negavano l’immortalità dell’anima, ed aveva pensato: “quanto è terribile, però quanto è plausibile” [cfr. ibid. pag. 136].
Nella sua prima conversione Newman riconosce che le cose stanno al contrario: le uniche realtà veramente consistenti sono Dio e l’anima, cioè il nostro essere un io spirituale. È questo il primo passaggio ex umbris et immaginibus in veritatem. Si noti bene. Non si tratta di un evento spirituale che riguarda solo e principalmente l’ambito della nostra conoscenza, ma è una nuova forma di vita che si imprime nella persona del giovane Newman. Un testo di R. Guardini può aiutarci a capire la forza di questa scoperta. “E’ l’esperienza della propria archè: la consapevolezza di provenire da Dio; di possedere le proprie radici originarie in Lui, più precisamente nella sua volontà creativa” [Etica, Morcelliana, Brescia 2001, 512]
La seconda conversione è costituita da ciò che Newman chiama il “principio dogmatico”. Così egli ne parla. «Dall’età di quindici anni il dogma è stato il principio fondamentale nella mia religione: non conosco altra religione, non riesco a capire nessun’altra specie di religione; una religione ridotta ad un semplice sentimento per me è un sogno e un inganno» [Apologia pro vita mea, cit., 187]. Per tutta la vita Newman riterrà che il più grande pericolo che la fede cristiana corre oggi è la negazione del principio dogmatico negazione che Newman chiama il principio liberale, l’idea cioè e l’esperienza di un cristianesimo costruito dal singolo a prescindere dall’oggettività della Rivelazione custodita dalla Chiesa.
Il principio dogmatico quindi prende forma concreta, obiettiva, storica, nella realtà della Chiesa. “Dio e anima” non indica quindi un itinerario di vita che consiste nell’affermazione della propria soggettività. Al contrario. È un itinerario di superamento del soggettivismo, guidato dall’obbedienza alla Rivelazione trasmessa dalla Chiesa. Il cristianesimo non denota uno stato di coscienza, ma si mostra nell’obbedienza della fede. «Così tutto il compito e il lavoro di un cristiano si organizza attorno a questi due elementi: la fede e l’obbedienza. Egli “guarda a Gesù” [Eb. 2,9]… e agisce secondo la sua volontà. Mi sembra che oggi corriamo il pericolo di non dare il peso che dovremmo a nessuno dei due. Consideriamo qualsiasi vera e accurata riflessione sul contenuto della fede come sterile ortodossia, come astruseria tecnica. Di conseguenza facciamo consistere il criterio della nostra pietà nel possesso di una cosiddetta disposizione d’animo spirituale».
Dal “principio dogmatico” deriva per Newman che il problema centrale dell’esistenza è il problema della Chiesa: dove ricevere nell’obbedienza della fede la divina Rivelazione? Quale è la vera Chiesa?
La terza conversione è quella alla Chiesa Cattolica, nel momento in cui Newman ebbe la certezza che essa era la vera Chiesa. Fu un atto di obbedienza pura alla verità che la coscienza gli indicava. «Di questo sono sicuro, che soltanto una chiamata semplice, diretta del dovere è garanzia per lasciare la nostra Chiesa; non la preferenza per un’altra Chiesa, non il gusto per la sua liturgia, non la speranza di un maggior progresso spirituale; non l’indignazione, non il disgusto per le persone e per le cose tra le quali ci troviamo nella Chiesa d’Inghilterra. L’unico interrogativo è questo: posso io (la domanda è personale; non: può qualche altro, ma posso io) salvarmi nella Chiesa d’Inghilterra? Sarei io salvo, se dovessi morire stanotte? È un peccato mortale, per me, non passare a un’altra confessione?» [Apologia pro vita mea, cit., 371]. «Fu come entrare in porto dopo essere stati nel mare in tempesta» [Apologia pro vita mea, cit., 378].
L’itinerario ex umbris et imaginibus in veritatem ha raggiunto il porto: dal mondo umbratile ed inconsistente alla verità di Dio e del proprio io; dall’inconsistenza degli stati soggettivi alla verità della divina Rivelazione trasmessa dalla Chiesa; dalla comunione anglicana alla Chiesa cattolica.
Quale è stato il dinamismo interiore che ha mosso Newman in questa ricerca? la forza che dal di dentro lo spingeva a passare ex umbris et imaginibus in veritatem? la sua coscienza. Primato della verità e primato della coscienza sono in Newman come il concavo e il convesso della stessa figura. L’avere contrapposto l’uno all’altro è stato il più esiziale degli errori moderni.
Per Newman la coscienza è la capacità di riconoscere la verità e le sue esigenze negli ambiti decisivi per il destino eterno dell’uomo: la morale e la religione. La coscienza quindi è l’originaria, permanente, imprescindibile rivelazione naturale che Dio fa di se stesso all’uomo: è la sua prima [non in senso cronologico] Parola che Dio dice all’uomo. Le conversioni di Newman sono il cammino della sua coscienza, cioè dell’obbedienza alla verità che gradualmente si mostrava alla sua persona. Il contrario di un cammino della propria soggettività che afferma se stessa in totale autonomia. Il concetto che Newman ha della coscienza è esattamente l’opposto del concetto elaborato dal soggettivismo moderno.
Penso che il fascino esercitato da Newman su quanti entrano nel suo mondo spirituale sia proprio questo: l’aver legato la coscienza alla verità, a Dio; e reciprocamente: l’avere radicato la verità morale e religiosa dentro la coscienza. La verità è la soggettività, aveva scritto il suo grande contemporaneo Kierkegaard [il tema è sviluppato nella Postilla non conclusiva alle Briciole di filosofia, II p., II sez., cap. 1] . Anche Newman pensa che sia così, ma in un senso interamente più vero. Kierkegaard ha chiuso la soggettività nel “Singolo”, staccandola dalla Chiesa che è il depositario della verità che salva.
Finisco con un pensiero di Newman che è perfettamente adeguato a questo incontro. Il primato della Verità venne sempre da Newman affermato con linguaggio appropriato, con un tono adeguato. Egli mira sempre a persuadere e convincere con umiltà, semplicità, gioia e pazienza. Così pregava S. Filippo Neri: «che il mio aspetto sia sempre aperto e allegro, e le mie parole gentili e piacevoli, come conviene a coloro che, qualunque sia lo stato della loro vita, godono del più grande di tutti i beni, del favore di Dio e dell’attesa dell’eterna felicità» [Meditazioni e preghiere, Jaka Book, Milano 2002, 193-194]. L’altare della sua cappella di Birmingham è sormontato dall’immagine di S. Francesco di Sales, il grande santo umanista. È da lui che prese il suo motto cardinalizio, “cor ad cor loquitur”.


2. Newman e la comunicazione
Che cosa dice a voi che lavorate nei mass-media questa persona ed il suo itinerario spirituale?
Desidero partire dall’ultima considerazione. Il motto cardinalizio preso da S. Francesco di Sales denota in primo luogo un metodo di comunicazione. Newman è, nelle sue opere, un “compagno di viaggio”. Egli si mette a fianco del suo lettore o uditore per condurlo con argomentazioni semplici e profonde alla scoperta della verità. La sua scrittura affascina non solo dal punto di vista della chiarezza espositiva, ma perché ti fa “sentire” la vicinanza di un maestro che ti guida.
Nel quinto sermone predicato nella chiesa universitaria di Oxford il 21 gennaio 1832, Newman si chiede come, nonostante tutte le difficoltà, la predicazione apostolica ebbe grande successo: “quale è quella qualità nascosta della verità, e come fa a prevalere da sola su numerosi e multiformi errori dai quali viene simultaneamente e incessantemente attaccata?” [J.H. Newman, Scritti filosofici, Bompiani, Milano 2005, 165].
E continua: “Rispondo che nel mondo essa è stata sostenuta non come un sistema, non da libri, né da argomentazioni, né dal potere temporale, ma dall’influenza personale di uomini (…) che ne sono nello stesso tempo i maestri e i modelli” [ibid. 191].
Trovo ancora una singolare sintonia con Kierkegaard. La forma per comunicare la verità che salva è quella di “esserci dentro”, ovvero di “presentarsi in carattere”.
Tutto il tema meriterebbe lunga riflessione. Non dovete essere “produttori a qualunque costo del consenso” di chi vi legge, vede, o ascolta. Non è la persuasione il vostro compito primo, ma la convinzione. E la convinzione è il risultato di una argomentazione razionale, semplice e cordiale, mite e luminosa.
Ma tutto questo non è tutto; anzi non è neppure il più importante. Come abbiamo visto, tutto l’itinerario di Newman è stato il cammino del pellegrino verso la verità. Egli ha scritto: “la verità in quanto tale deve guidare tanto la condotta politica che quella privata”. Il vostro è un servizio alla coscienza perché giudichi con verità. E’ quanto insegna S. Paolo: “rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti ad ogni coscienza, al cospetto di Dio” [2 Cor 4,2].
Si può scrivere davanti alla piazza; si può scrivere davanti al potente di turno: Newman ci insegna a scrivere e parlare “davanti ad ogni coscienza”: “al cospetto di Dio”.
Detto in altri termini. Si può fare un uso strumentale della propria ragione, quando si parla o si scrive. Uso strumentale significa che non intendo giudicare lo scopo che mi prefiggo; mi preme solo trovare la modalità comunicativa per raggiungerlo. Un uso strumentale della ragione comporta non raramente interloquire non con la coscienza ma con le passioni e/o gli interessi dell’interlocutore.
Certamente o molto probabilmente altri vi diranno o anche voi sarete tentati di pensare che questa posizione non la si può tenere nell’agorà della comunicazione; che chi la tenesse alla fine scomparirebbe dalla scena: “ammiriamo la vostra semplicità, ma non vi invidiamo la follia” [Tucidide, Storia della guerra del Peloponneso V, 105, 20], direbbe chi conosce il mondo.
Concludo allora con le parole di Newman “Che tutti coloro, dunque, che riconoscono la voce di Dio che parla dentro di loro e li incita verso il cielo, aspettino con pazienza la Fine, esercitandosi e operando diligentemente, in attesa di quel giorno in cui saranno aperti i libri e tutto il disordine degli affari umani riesaminato e messo in ordine (…); quando i saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre” [op. cit., 202-203].


LIBERTÀ RELIGIOSA - Davanti al martirio - Il card. Angelo Bagnasco ieri nella Chiesa Valdese di Genova – 22 gennaio 2011 – da http://www.agensir.it

Essere testimoni veri ed autentici della fede ricevuta e non considerare mai la propria fede come un'abitudine, come qualcosa di scontato, soprattutto davanti al martirio di tanti fratelli in Cristo che vivono in Paesi dove il solo fatto di proclamarsi cristiani può essere un fatto che mette a rischio la propria vita ogni giorno. È l'invito che l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, ha rivolto ieri sera nella Chiesa Valdese di Genova, in occasione dell'incontro organizzato per la "Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani".

Un dato di fatto non solo un principio. La libertà religiosa deve essere "un dato di fatto e non soltanto un principio enunciato" ha spiegato il porporato, al suo arrivo, ai cronisti che lo attendevano. In merito ai recenti attacchi subiti dai cristiani in diversi Paesi, il cardinale ha quindi espresso il proprio "dolore per tutti i nostri fratelli che hanno offerto la loro vita a Dio, per amore di Cristo e della Chiesa, sotto la violenza della illiberalità religiosa" unitamente alla propria "vicinanza ai loro parenti ed ai loro amici". Il card. Bagnasco ha poi espresso "l'auspicio che questo diritto fondamentale, che è la libertà religiosa, la libertà di coscienza, possa veramente essere un dato di fatto e non soltanto un principio enunciato perché sta alla radice ed alla base di ogni altro diritto". "Quindi - ha concluso - ci auguriamo che anche in questi Paesi e in queste zone del mondo, dove questo diritto è ancora conculcato, possa diventare una realtà per il bene di tutti".

Un dono da coltivare. Nel discorso pronunciato durante la celebrazione, il cardinale ha parlato nuovamente della "persecuzione dei cristiani nel mondo, una situazione che, in questo momento della nostra storia, si è fatta particolarmente acuta e dolorosa, e che ci sollecita a pregare". "Il pensiero del martirio di tanti nostri fratelli - ha proseguito il card. Bagnasco - mi fa pensare al dono della fede, alla grandezza ed alla grazia di avere la fede, perché la fede non è merito nostro, anche se è un dono che dobbiamo coltivare perché altrimenti rischia di spegnersi". "La fede è una grande grazia - ha aggiunto - è un dono di Dio, il dono più grande dopo la vita fisica" anche se, "a volte, non siamo abbastanza contenti e riconoscenti della nostra fede". Viviamo, infatti, "in un mondo secolarizzato" dove "la fede è vissuta spesso in modo abitudinario, opaco, debole e scontato". Per questo i cristiani devono sempre più riconoscere la propria fede quale "tesoro nascosto, quale perla preziosa" e "chiedere al Signore di diventare sempre più messaggeri ed annunziatori di questo dono". "Il mondo - ha affermato ancora il porporato nell'omelia - ha verso di noi un diritto: il diritto di avere la parola della fede che, anche se a volte sembra così contestata e disattesa, in fondo al cuore è desiderata".

Il cuore dell’uomo. Infatti, ha proseguito il cardinale, "il cuore dell'uomo moderno è allegro e festaiolo, in apparenza, ma è triste nel suo segreto e attende una parola di luce e di speranza" perché "un mondo senza fede, senza la luce, è un mondo buio". "Il cuore dell'uomo - ha sottolineato il card. Bagnasco - attende una parola di luce, di speranza, una parola che non è umana, ma parola di Dio, perché soltanto Dio ha parole di vita eterna". Per questo, l'invito che l'arcivescovo ha rivolto ai fedeli presenti - cattolici, anglicani, ortodossi e protestanti - è di "andare per le strade della nostra città, del nostro lavoro, dei nostri ambienti di vita, delle nostre famiglie, ed umilmente, ma convintamente, con gioia, annunciare che Dio è con noi, che Dio è tanto grande, tanto infinito, che non ha paura di occuparsi delle nostre piccole cose". In un altro passaggio della sua omelia, il card. Bagnasco, ha ricordato che il Vangelo ci invita ad essere "come i fiori del campo" ossia a "vivere affidati al Signore". "Siamo nel mondo - ha continuato il porporato - viviamo 'nel' mondo, con le sue gioie e le sue preoccupazioni, ma non dobbiamo essere 'del' mondo". Per questo ha invitato i fedeli a "non fondare noi stessi, la nostra vita, la nostra sicurezza, sulle cose del mondo ma sulla Parola di Dio" perché i cristiani sanno che il fondamento ultimo della loro esistenza è il cielo "ed è questo che ci fa vivere amorevolmente sulla terra". All'inizio del suo discorso, salutando i presenti, il cardinale aveva anche affermato che, nello svolgimento di un anno, la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani "può sembrare una piccola cosa, ma è invece un momento grande ed importante perché, come ha ricordato il Santo Padre nel messaggio per la giornata della pace di quest'anno, la preghiera è l'arma della pace, della fraternità e della riconciliazione".



22 Gennaio 2011 - Una ripresa non solo Biopolitica - Brutto segnale se a decidere sulle questioni eticamente sensibili –quelle su vita e morte – sono i tribunali - lo stesso se a occuparsene sono i legislatori - Pubblichiamo un recente editoriale di Clementina Isimbaldi di Medicina e Persona – da http://www.comitatoveritaevita.it

La ripresa dell’inizio del nuovo anno, è all’insegna della biopolitica. Lo scontro politico è ora tutto su contenuti “bioetici” riguardanti l’inizio vita – la decisione del TAR di bocciare le Linee Guida lombarde sulla 194 – (Atto di indirizzo della Regione Lombardia; “Non ci servono giudici in corsia” di B. Frigerio, Tempi 12/01/2011) e del fine vita. “Brutto segnale se a decidere sulle questioni eticamente sensibili –quelle su vita e morte – sono i tribunali”. Così Avvenire il 4/01 (194 due pesi due misure). E noi aggiungiamo: lo stesso se a occuparsene sono i legislatori, cioè il Parlamento. Non vogliamo con questo ribadire con altri quella che ormai è una evidenza, cioè che i temi etici – con contenuti limati e patteggiati ad hoc - sono divenuti pretesto e “collante” per alleanze politiche, per mettere insieme una maggioranza altrimenti non recuperabile su progetti politici reali, di pertinenza prettamente politica (le riforme). La politica è l’arte della mediazione.
Regolamentare la vita e la morte “patteggiandole” significa averne già accettata la relativizzazione rispetto a quell’epoca storica in cui se ne discute. Certo fa specie che sia un Parlamento a dover dissertare di temi che esulano totalmente dalla sua competenza, come quando si discute di quale assistenza sia dovuta a un uomo malato, alla fine della sua vita. Chi cura e assiste i malati sa bene che solo la condizione clinica di ciascun paziente può determinare la scelta del medico che lo assiste. Dopo l’approvazione della norma di legge l’agire del medico sarà inevitabilmente condizionato da essa, da un foglio di carta o dal parere di “fiduciari”, presi a sicuri interpreti della volontà del malato. Il testo di legge attuale - pur nel tentativo di difendere la dignità della vita (“idratazione e alimentazione sono sostegno vitale e non si possono sospendere”) -, è inevitabilmente a rischio di legittimazione dell’abbandono terapeutico (cioè di eutanasia passiva) nei punti in cui prevede la loro sospensione in caso di assistenza a un “malato terminale” (oggi non c’è in letteratura una definizione univoca su chi è malato terminale, Eluana non lo era eppure è stata diagnosticata tale) e nei casi in cui il medico dissente dalle volontà anticipate del paziente, venendo così sostituito da una commissione di “esperti”. Accadrebbe per legge quello che si è verificato nei giorni scorsi a Firenze (Biotestamento, sì del Tribunale - Il Corriere della Sera 13/01/2011).
In America la spesa sanitaria per pazienti che hanno scelto la gestione del proprio fine vita con le direttive anticipate è di molto inferiore a quella di chi non ha dato disposizioni: “Patients without advance directives have significantly higher terminal hospitalization charges than those with advance directives. Our investigation suggests that the preferences of patients with advance directives are to limit care and these preferences influence the cost of terminal hospitalization”.
(Arch Intern Med. 1994;154:2077-2083). La differenza di spesa è un dato indiretto circa il tipo di non trattamento che i primi possono aver ricevuto, pur in un paese ricco come l’America, che tuttavia da sempre non considera l’assistenza sanitaria tra i diritti fondamentali.
E’ questo il difetto delle leggi di oggi. Si vogliono regolamentare materie che non sono proprie del livello legislativo, ma della responsabilità di ognuno nella vita quotidiana, ad esempio della medicina e della professionalità di ogni medico. Questa responsabilità non la supplisce una legge, occorre altro. Si cura un paziente non perché lo dice una legge, ma perché questo è lo scopo della medicina. Oggi serve una nuova medicina, che affronti i bisogni emergenti; necessita la formazione di medici ancora motivati allo scopo della loro professione, è necessario lo sviluppo delle cure palliative. I malati cronici e fragili diverranno sempre più numerosi e una nuova modalità di accoglienza con nuove strutture, a più basso livello tecnologico e maggior carico assistenziale saranno l’unica soluzione di rispetto della vita e quindi anche del fine vita. Come dice Papa Benedetto XVI: “La volontà politica in definitiva non può divenire efficace sin tanto che non nascerà nell’intera umanità una nuova e più profonda coscienza morale, una concreta disponibilità alla rinuncia che per il singolo diventi criterio morale che decida del proprio stile di vita. […] Sin tanto che questo non accadrà, la politica sarà impotente” (da Luce del mondo)
Buona ripresa a tutti.
Editoriale a cura di C. Isimbaldi


Avvenire.it 22 gennaio 2011 - ROTA ROMANA - Il Papa: preparare al vero matrimonio cristiano

«Non vi è che un solo matrimonio, il quale è costitutivamente vincolo giuridico reale tra l'uomo e la donna, un vincolo su cui poggia l'autentica dinamica coniugale di vita e di amore». Lo ha detto Papa Benedetto XVI, ricevendo in udienza, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, i prelati uditori, gli officiali e gli avvocati del Tribunale della Rota Romana in occasione dell'inaugurazione dell'Anno giudiziario.

«Il diritto a contrarre matrimonio presuppone che si possa e si intenda celebrarlo davvero, dunque nella verità della sua essenza così come è insegnata dalla Chiesa - ha detto il Papa - Nessuno può vantare il diritto a una cerimonia nuziale. Lo ius connubii, infatti, si riferisce al diritto di celebrare un autentico matrimonio».

«Non si negherebbe, quindi, lo ius connubii laddove fosse evidente che non sussistono le premesse per il suo esercizio - ha aggiunto - se mancasse, cioè, palesemente la capacità richiesta per sposarsi, oppure la volontà si ponesse un obiettivo che è in contrasto con la realtà naturale del matrimonio».

«Bisogna adoperarsi affinchè si interrompa, nella misura del possibile, il circolo vizioso che spesso si verifica tra un'ammissione scontata al matrimonio, senza un'adeguata preparazione e un esame serio dei requisiti previsti per la sua celebrazione, e una dichiarazione giudiziaria talvolta altrettanto facile, ma di segno inverso, in cui lo stesso matrimonio viene considerato nullo solamente in base alla costatazione del suo fallimento».

«È vero che non tutti i motivi di un'eventuale dichiarazione di nullità possono essere individuati oppure manifestati nella preparazione al matrimonio - ha sottolineato il Papa - ma, parimenti, non sarebbe giusto ostacolare l'accesso alle nozze sulla base di presunzioni infondate, come quella di ritenere che, al giorno d'oggi, le persone sarebbero generalmente incapaci o avrebbero una volontà solo apparentemente matrimoniale. In questa prospettiva appare importante che vi sia una presa di coscienza ancora più incisiva circa la responsabilità in questa materia di coloro che hanno cura d'anime».
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Avvenire.it, 22 gennaio 2011 – Benedetto XVI - AL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA - Evitare ammissioni facili a nozze e facili annullamenti

Cari Componenti del Tribunale della Rota Romana!

Sono lieto di incontrarvi per questo annuale appuntamento in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Un cordiale saluto rivolgo al Collegio dei Prelati Uditori, iniziando dal Decano, Mons. Antoni Stankiewicz, che ringrazio per le cortesi parole. Saluto gli Officiali, gli Avvocati e gli altri collaboratori di codesto Tribunale, come pure tutti i presenti. Questo momento mi offre l’opportunità di rinnovare la mia stima per l’opera che svolgete al servizio della Chiesa e di incoraggiarvi ad un sempre maggiore impegno in un settore così delicato ed importante per la pastorale e per la salus animarum.

Il rapporto tra il diritto e la pastorale è stato al centro del dibattito postconciliare sul diritto canonico. La ben nota affermazione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II, secondo la quale «non è vero che per essere più pastorale il diritto debba rendersi meno giuridico» (Allocuzione alla Rota Romana, 18 gennaio 1990, n. 4: AAS 82 [1990], p. 874) esprime il superamento radicale di un’apparente contrapposizione. «La dimensione giuridica e quella pastorale – diceva – sono inseparabilmente unite nella Chiesa pellegrina su questa terra. Anzitutto, vi è una loro armonia derivante dalla comune finalità: la salvezza delle anime» (ibidem). Nel mio primo incontro, che ebbi con voi nel 2006, ho cercato di evidenziare l'autentico senso pastorale dei processi di nullità del matrimonio, fondato sull'amore per la verità (cfr Allocuzione alla Rota Romana, 28 gennaio 2006: AAS 98 [2006], pp. 135-138). Oggi vorrei soffermarmi a considerare la dimensione giuridica che è insita nell'attività pastorale di preparazione e ammissione al matrimonio, per cercare di mettere in luce il nesso che intercorre tra tale attività e i processi giudiziari matrimoniali.

La dimensione canonica della preparazione al matrimonio forse non è un elemento di immediata percezione. In effetti, da una parte si osserva come nei corsi di preparazione al matrimonio le questioni canoniche occupino un posto assai modesto, se non insignificante, in quanto si tende a pensare che i futuri sposi abbiano un interesse molto ridotto per problematiche riservate agli specialisti. Dall'altra, pur non sfuggendo a nessuno la necessità delle attività giuridiche che precedono il matrimonio, rivolte ad accertare che «nulla si oppone alla sua celebrazione valida e lecita» (CIC, can. 1066), è diffusa la mentalità secondo cui l'esame degli sposi, le pubblicazioni matrimoniali e gli altri mezzi opportuni per compiere le necessarie investigazioni prematrimoniali (cfr ibid., can. 1067), tra i quali si collocano i corsi di preparazione al matrimonio, costituirebbero degli adempimenti di natura esclusivamente formale. Infatti, si ritiene spesso che, nell'ammettere le coppie al matrimonio, i pastori dovrebbero procedere con larghezza, essendo in gioco il diritto naturale delle persone a sposarsi.

È bene, in proposito, riflettere sulla dimensione giuridica del matrimonio stesso. È un argomento a cui ho fatto cenno nel contesto di una riflessione sulla verità del matrimonio, nella quale affermavo, tra l'altro: «Di fronte alla relativizzazione soggettivistica e libertaria dell'esperienza sessuale, la tradizione della Chiesa afferma con chiarezza l'indole naturalmente giuridica del matrimonio, cioè la sua appartenenza per natura all'ambito della giustizia nelle relazioni interpersonali. In quest'ottica, il diritto s'intreccia davvero con la vita e con l'amore; come un suo intrinseco dover essere» (Allocuzione alla Rota Romana, 27 gennaio 2007, AAS 99 [2007], p. 90). Non esiste, pertanto, un matrimonio della vita ed un altro del diritto: non vi è che un solo matrimonio, il quale è costitutivamente vincolo giuridico reale tra l'uomo e la donna, un vincolo su cui poggia l'autentica dinamica coniugale di vita e di amore. Il matrimonio celebrato dagli sposi, quello di cui si occupa la pastorale e quello messo a fuoco dalla dottrina canonica, sono una sola realtà naturale e salvifica, la cui ricchezza dà certamente luogo a una varietà di approcci, senza però che ne venga meno l'essenziale identità. L'aspetto giuridico è intrinsecamente legato all'essenza del matrimonio. Ciò si comprende alla luce di una nozione non positivistica del diritto, ma considerata nell'ottica della relazionalità secondo giustizia.

Il diritto a sposarsi, o ius connubii, va visto in tale prospettiva. Non si tratta, cioè, di una pretesa soggettiva che debba essere soddisfatta dai pastori mediante un mero riconoscimento formale, indipendentemente dal contenuto effettivo dell'unione. Il diritto a contrarre matrimonio presuppone che si possa e si intenda celebrarlo davvero, dunque nella verità della sua essenza così come è insegnata dalla Chiesa. Nessuno può vantare il diritto a una cerimonia nuziale. Lo ius connubii, infatti, si riferisce al diritto di celebrare un autentico matrimonio. Non si negherebbe, quindi, lo ius connubii laddove fosse evidente che non sussistono le premesse per il suo esercizio, se mancasse, cioè, palesemente la capacità richiesta per sposarsi, oppure la volontà si ponesse un obiettivo che è in contrasto con la realtà naturale del matrimonio.

! questo proposito vorrei ribadire quanto ho scritto dopo il Sinodo dei Vescovi sull'Eucaristia: «Data la complessità del contesto culturale in cui vive la Chiesa in molti Paesi, il Sinodo ha, poi, raccomandato di avere la massima cura pastorale nella formazione dei nubendi e nella previa verifica delle loro convinzioni circa gli impegni irrinunciabili per la validità del sacramento del Matrimonio. Un serio discernimento a questo riguardo potrà evitare che impulsi emotivi o ragioni superficiali inducano i due giovani ad assumere responsabilità che non sapranno poi onorare (cfr Propositio 40). Troppo grande è il bene che la Chiesa e l'intera società s'attendono dal matrimonio e dalla famiglia su di esso fondata per non impegnarsi a fondo in questo specifico ambito pastorale. Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato ad esse è di fatto una ferita che si arreca alla convivenza umana come tale» (Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis, 22 febbraio 2007, n. 29: AAS 99 [2007], p. 130).

La preparazione al matrimonio, nelle sue varie fasi descritte dal Papa Giovanni Paolo II nell'Esortazione apostolica Familiaris consortio, ha certamente delle finalità che trascendono la dimensione giuridica, poiché il suo orizzonte è costituito dal bene integrale, umano e cristiano, dei coniugi e dei loro futuri figli (cfr n. 66: AAS 73 [1981], pp. 159-162), volto in definitiva alla santità della loro vita (cfr CIC, can. 1063,2°). Non bisogna mai dimenticare, tuttavia, che l'obiettivo immediato di tale preparazione è quello di promuovere la libera celebrazione di un vero matrimonio, la costituzione cioè di un vincolo di giustizia ed amore tra i coniugi, con le caratteristiche dell’unità ed indissolubilità, ordinato al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole, e che tra battezzati costituisce uno dei sacramenti della Nuova Alleanza. Con ciò non viene rivolto alla coppia un messaggio ideologico estrinseco, né tanto meno viene imposto un modello culturale; piuttosto, i fidanzati vengono posti in grado di scoprire la verità di un'inclinazione naturale e di una capacità di impegnarsi che essi portano inscritte nel loro essere relazionale uomo-donna. È da lì che scaturisce il diritto quale componente essenziale della relazione matrimoniale, radicato in una potenzialità naturale dei coniugi che la donazione consensuale attualizza. Ragione e fede concorrono a illuminare questa verità di vita, dovendo comunque rimanere chiaro che, come ha insegnato ancora il Venerabile Giovanni Paolo II, «la Chiesa non rifiuta la celebrazione delle nozze a chi è bene dispositus, anche se imperfettamente preparato dal punto di vista soprannaturale, purché abbia la retta intenzione di sposarsi secondo la realtà naturale della c@niugalità» (Allocuzione alla Rota Romana, 30 gennaio 2003, n. 8: AAS 95 [2003], p. 397). In questa prospettiva, una cura particolare deve essere posta nell’accompagnare la preparazione al matrimonio sia remota, sia prossima, sia immediata (cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 22 novembre 1981, n. 66: AAS 73 [1981], pp. 159-162)

Tra i mezzi per accertare che il progetto dei nubendi sia realmente coniugale spicca l'esame prematrimoniale. Tale esame ha uno scopo principalmente giuridico: accertare che nulla si opponga alla valida e lecita celebrazione delle nozze. Giuridico non vuol dire però formalistico, come se fosse un passaggio burocratico consistente nel compilare un modulo sulla base di domande rituali. Si tratta invece di un'occasione pastorale unica - da valorizzare con tutta la serietà e l’attenzione che richiede - nella quale, attraverso un dialogo pieno di rispetto e di cordialità, il pastore cerca di aiutare la persona a porsi seriamente dinanzi alla verità su se stessa e sulla propria vocazione umana e cristiana al matrimonio. In questo senso il dialogo, sempre condotto separatamente con ciascuno dei due fidanzati - senza sminuire la convenienza di altri colloqui con la coppia - richiede un clima di piena sincerità, nel quale si dovrebbe far leva sul fatto che gli stessi contraenti sono i primi interessati e i primi obbligati in coscienza a celebrare un matrimonio valido.

In questo modo, con i vari mezzi a disposizione per un’accurata preparazione e verifica, si può sviluppare un'efficace azione pastorale volta alla prevenzione delle nullità matrimoniali. Bisogna adoperarsi affinché si interrompa, nella misura del possibile, il circolo vizioso che spesso si verifica tra un'ammissione scontata al matrimonio, senza un’adeguata preparazione e un esame serio dei requisiti previsti per la sua celebrazione, e una dichiarazione giudiziaria talvolta altrettanto facile, ma di segno inverso, in cui lo stesso matrimonio viene considerato nullo solamente in base alla costatazione del suo fallimento. È vero che non tutti i motivi di un’eventuale dichiarazione di nullità possono essere individuati oppure manifestati nella preparazione al matrimonio, ma, parimenti, non sarebbe giusto ostacolare l'accesso alle nozze sulla base di presunzioni infondate, come quella di ritenere che, al giorno d'oggi, le persone sarebbero generalmente incapaci o avrebbero una volontà solo apparentemente matrimoniale. In questa prospettiva appare importante che vi sia una presa di coscienza ancora più incisiva circa la responsabilità in questa materia di coloro che hanno cura d'anime. Il diritto canonico in generale, e in specie quello matrimoniale e processuale, richiedono certamente una preparazione particolare, ma la conoscenza degli aspetti basilari e di quelli immediatamente pratici del diritto canonico, relativi alle proprie funzioni, costituisce un'esigenza formativa di primaria rilevanza per tutti gli operatori pastorali, in particolare per coloro che agiscono nella pastorale familiare.

Tutto ciò richiede, inoltre, che l'operato dei tribunali ecclesiastici trasmetta un messaggio univoco circa ciò che è essenziale nel matrimonio, in sintonia con il Magistero e la legge canonica, parlando ad una sola voce. Attesa la necessità dell'unità della giurisprudenza, affidata alla cura di codesto Tribunale, gli altri tribunali ecclesiastici debbono adeguarsi alla giurisprudenza rotale (cfr Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 17 gennaio 1998, n. 4: AAS 90 [1998], p. 783). Di recente ho insistito sulla necessità di giudicare rettamente le cause relative all'incapacità consensuale (cfr Allocuzione alla Rota Romana, 29 gennaio 2009: AAS 101 [2009], pp. 124-128). La questione continua ad essere molto attuale, e purtroppo permangono ancora posizioni non corrette, come quella di identificare la discrezione di giudizio richiesta per il matrimonio (cfr CIC, can. 1095, n. 2) con l’auspicata prudenza nella decisione di sposarsi, confondendo così una questione di capacità con un'altra che non intacca la validità, poiché concerne il grado di saggezza pratica con cui si è presa una decisione che è, comunque, veramente matrimoniale. Più grave ancora sarebbe il fraintendimento se si volesse attribuire efficacia invalidante alle scelte imprudenti compiute durante la vita matrimoniale.

Nell'ambito delle nullità per l'esclusione dei beni essenziali del matrimonio (cfr ibid., can. 1101, § 2) occorre altresì un serio impegno perché le pronunce giudiziarie rispecchino la verità sul matrimonio, la stessa che deve illuminare il momento dell'ammissione alle nozze. Penso, in modo particolare, alla questione dell'esclusione del bonum coniugum. In relazione a tale esclusione sembra ripetersi lo stesso pericolo che minaccia la retta applicazione delle norme sull'incapacità, e cioè quello di cercare dei motivi di nullità nei comportamenti che non riguardano la costituzione del vincolo coniugale bensì la sua realizzazione nella vita. Bisogna resistere alla tentazione di trasformare le semplici mancanze degli sposi nella loro esistenza coniugale in difetti di consenso. La vera esclusione può verificarsi infatti solo quando viene intaccata l'ordinazione al bene dei coniugi (cfr ibid., can. 1055, § 1), esclusa con un atto positivo di volontà. Senz'altro sono del tutto eccezionali i casi in cui viene a mancare il riconoscimento dell'altro come coniuge, oppure viene esclusa l'ordinazione essenziale della comunità di vita coniugale al bene dell'altro. La precisazione di queste ipotesi di esclusione del bonum coniugum dovrà essere attentamente vagliata dalla giurisprudenza della Rota Romana.

Nel concludere queste mie riflessioni, torno a considerare il rapporto tra diritto e pastorale. Esso è spesso oggetto di fraintendimenti, a scapito del diritto, ma anche della pastorale. Occorre invece favorire in tutti i settori, e in modo particolare nel campo del matrimonio e della famiglia, una dinamica di segno opposto, di armonia profonda tra pastoralità e giuridicità, che certamente si rivelerà feconda nel servizio reso a chi si avvicina al matrimonio.

Cari Componenti del Tribunale della Rota Romana, affido tutti voi alla potente intercessione della Beata Vergine Maria, affinché non vi venga mai a mancare l’assistenza divina nello svolgere con fedeltà, spirito di servizio e frutto il vostro quotidiano lavoro, e ben volentieri imparto a tutti una speciale Benedizione Apostolica.
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