Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: IL BATTESIMO È UN DONO E UNA RESPONSABILITÀ - Discorso introduttivo alla preghiera mariana dell'Angelus
2) OMELIA DEL PAPA NELLA MESSA PER LA FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE
3) «Il Battesimo indica la strada per rispondere alla sfida educativa» di Massimo Introvigne 10-01-2011 da http://www.labussolaquotidiana.it
4) Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Ma Messori sta col Papa o col Grande Imam ? di Antonio Socci Da “Libero”, 8 gennaio 2011
5) Avvenire.it, 9 gennaio 2011 - Oltre il pessimismo, con passione - Alla radice della moralità
6) Il cardinale Biffi rompe un altro tabù. Su Dossetti - Cioè su un protagonista influentissimo del Vaticano II. Bocciato come teologo e per come si comportò allora e dopo. “C’era in lui il monaco nel politico, e il politico nel monaco”. Intanto una nuova storia del Concilio... di Sandro Magister
7) "Trasparenza, onestà e responsabilità" - Il "Motu proprio" di Benedetto XVI per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario - NOTA DI P. FEDERICO LOMBARDI, SJ - Da http://chiesa.espresso.repubblica.it/ - 30.12.2010
8) BENEDETTO XVI: I CRISTIANI SIANO PER L'UMANITÀ LA STELLA CHE GUIDÒ I MAGI - Angelus nella solennità dell'Epifania del Signore
9) OMELIA DI BENEDETTO XVI NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE
10) BENEDETTO XVI: IL NATALE CI INVITA A LASCIARCI TRASFORMARE DA DIO - All'Udienza generale del mercoledì - ROMA, giovedì, 6 gennaio 2011 (ZENIT.org)
11) Natale di sangue tra il Nilo e l'Indo - La violenza islamista ha sempre più come bersaglio i cristiani e i loro difensori. Le ultime micidiali aggressioni a Baghdad, Alessandria d'Egitto e Lahore. La "ragionevole" proposta del papa ai musulmani continua a non trovare ascolto di Sandro Magister
12) Preti pedofili, la verità e la menzogna di Andrea Tornielli 07-01-2011 da http://www.labussolaquotidiana.it
13) Le falsità sui cristiani Pigi Colognesi - lunedì 10 gennaio 2011 da ilsussidiario.net
14) CRONACA - DELITTO GENOVA/ Qual è il vero dramma degli omicidi della porta accanto? Alessandro Banfi - lunedì 10 gennaio 2011 da ilsussidiario.net
15) PAPA/ Benedetto e le stelle: avevano ragione i Magi, la ragione non basta Lucio Brunelli - venerdì 7 gennaio 2011 - ilsussidiario.net
BENEDETTO XVI: IL BATTESIMO È UN DONO E UNA RESPONSABILITÀ - Discorso introduttivo alla preghiera mariana dell'Angelus
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 9 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo le parole che il Papa ha pronunciato questa domenica a mezzogiorno affacciandosi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare la preghiera mariana dell'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini convenuti per l'occasione in piazza San Pietro.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Oggi la Chiesa celebra il Battesimo del Signore, festa che conclude il tempo liturgico del Natale. Questo mistero della vita di Cristo mostra visibilmente che la sua venuta nella carne è l’atto sublime di amore delle Tre Persone divine. Possiamo dire che da questo solenne avvenimento l’azione creatrice, redentrice e santificatrice della Santissima Trinità sarà sempre più manifesta nella missione pubblica di Gesù, nel suo insegnamento, nei miracoli, nella sua passione, morte e risurrezione. Leggiamo, infatti, nel Vangelo secondo san Matteo che «appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: "Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento"» (3,16-17). Lo Spirito Santo "dimora" sul Figlio e ne testimonia la divinità, mentre la voce del Padre, proveniente dai cieli, esprime la comunione d’amore. «La conclusione della scena del battesimo ci dice che Gesù ha ricevuto questa "unzione" autentica, che Egli è l’Unto [il Cristo] atteso» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 47-48), a conferma della profezia di Isaia: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio» (Is 42,1). È davvero il Messia, il Figlio dell’Altissimo che, uscendo dalle acque del Giordano, stabilisce la rigenerazione nello Spirito e apre, a quanti lo vogliono, la possibilità di divenire figli di Dio. Non a caso, infatti, ogni battezzato acquista il carattere di figlio a partire dal nome cristiano, segno inconfondibile che lo Spirito Santo fa nascere «di nuovo» l’uomo dal grembo della Chiesa. Il beato Antonio Rosmini afferma che «il battezzato subisce una segreta ma potentissima operazione, per la quale egli viene sollevato all’ordine soprannaturale, vien posto in comunicazione con Dio» (Del principio supremo della metodica…, Torino 1857, n. 331). Tutto questo si è nuovamente avverato questa mattina, durante la celebrazione eucaristica nella Cappella Sistina, dove ho conferito il sacramento del Battesimo a 21 neonati.
Cari amici, il Battesimo è l’inizio della vita spirituale, che trova la sua pienezza per mezzo della Chiesa. Nell’ora propizia del Sacramento, mentre la Comunità ecclesiale prega e affida a Dio un nuovo figlio, i genitori e i padrini s’impegnano ad accogliere il neo-battezzato sostenendolo nella formazione e nell’educazione cristiana. E’ questa una grande responsabilità, che deriva da un grande dono! Perciò, desidero incoraggiare tutti i fedeli a riscoprire la bellezza di essere battezzati e appartenere alla grande famiglia di Dio, e a dare gioiosa testimonianza della propria fede, affinché essa generi frutti di bene e di concordia.
Lo chiediamo per intercessione della Beata Vergine Maria, Aiuto dei cristiani, alla quale affidiamo i genitori che si stanno preparando al Battesimo dei loro bambini, come pure i catechisti. Tutta la comunità partecipi alla gioia della rinascita dall’acqua e dallo Spirito Santo!
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Nel contesto della preghiera mariana, desidero riservare un particolare ricordo alla popolazione di Haiti, ad un anno dal terribile terremoto, a cui purtroppo ha fatto seguito anche una grave epidemia di colera. Il Cardinale Robert Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, si reca oggi nell’Isola caraibica, per esprimere la mia costante vicinanza e quella di tutta la Chiesa.
Saluto il gruppo di Parlamentari italiani, qui presenti, e li ringrazio per il loro impegno, condiviso con altri colleghi, in favore della libertà religiosa. Con loro saluto anche i fedeli copti qui presenti a cui rinnovo la mia vicinanza.
Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il Coro della città di Ala, presso Trento, con una rappresentanza della comunità parrocchiale e civile. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]
OMELIA DEL PAPA NELLA MESSA PER LA FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 9 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questa domenica da Benedetto XVI nel presiedere nella Cappella Sistina la Santa Messa durante la quale ha amministrato il Sacramento del Battesimo a 21 neonati.
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Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di darvi un cordiale benvenuto, in particolare a voi, genitori, padrini e madrine dei 21 neonati ai quali, tra poco, avrò la gioia di amministrare il Sacramento del Battesimo. Come è ormai tradizione, tale rito avviene anche quest’anno nella santa Eucaristia con cui celebriamo il Battesimo del Signore. Si tratta della Festa che, nella prima domenica dopo la solennità dell’Epifania, chiude il tempo natalizio con la manifestazione del Signore al Giordano.
Secondo il racconto dell’evangelista Matteo (3,13-17), Gesù venne dalla Galilea al fiume Giordano, per farsi battezzare da Giovanni; infatti, da tutta la Palestina accorrevano per ascoltare la predicazione di questo grande profeta, l’annuncio dell’avvento del Regno di Dio, e per ricevere il battesimo, cioè per sottoporsi a quel segno di penitenza che richiamava alla conversione dal peccato. Pur chiamandosi battesimo, esso non aveva il valore sacramentale del rito che celebriamo oggi; come ben sapete, è infatti con la sua morte e risurrezione che Gesù istituisce i Sacramenti e fa nascere la Chiesa. Quello amministrato da Giovanni, era piuttosto un atto penitenziale, un gesto che invitava all’umiltà di fronte a Dio, per un nuovo inizio: immergendosi nell’acqua, il penitente riconosceva di avere peccato, implorava da Dio la purificazione dalle proprie colpe ed era inviato a cambiare i comportamenti sbagliati.
Per questo, quando il Battista vede Gesù che, in fila con i peccatori, viene a farsi battezzare, rimane sbalordito; riconoscendo in Lui il Messia, il Santo di Dio, Colui che è senza peccato, Giovanni manifesta il suo sconcerto: egli stesso, il battezzatore avrebbe voluto farsi battezzare da Gesù. Ma Gesù lo esorta a non opporre resistenza, ad accettare di compiere questo atto, per operare ciò che è conveniente ad «adempiere ogni giustizia». Con questa espressione, Gesù manifesta di essere venuto nel mondo per fare la volontà di Colui che lo ha mandato, per compiere tutto ciò che il Padre gli chiede; è per obbedire al Padre che Egli ha accettato di farsi uomo. Questo gesto rivela anzitutto chi è Gesù: è il Figlio di Dio, vero Dio come il Padre; è Colui che "si è abbassato" per farsi uno di noi, Colui che si fatto uomo e ha accettato di umiliarsi fino alla morte di croce (cfr Fil 2,7). Il battesimo di Gesù, di cui oggi facciamo memoria, si colloca in questa logica dell’umiltà: è il gesto di Colui che vuole farsi in tutto uno di noi e si mette in fila con i peccatori; Lui, che è senza peccato, si lascia trattare come peccatore (cfr 2Cor 5,21), per portare sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità. È il "servo di Jahvè" di cui ci ha parlato il profeta Isaia nella prima lettura (cfr 42,1). La sua umiltà è dettata dal voler stabilire una comunione piena con l’umanità, dal desiderio di realizzare una vera solidarietà con l’uomo e con la sua condizione. Il gesto di Gesù anticipa la Croce, l’accettazione della morte per i peccati dell’uomo. Questo atto di abbassamento, con cui Gesù vuole uniformarsi totalmente al disegno d’amore del Padre, manifesta la piena sintonia di volontà e di intenti che vi è tra le persone della Santissima Trinità. Per tale atto d’amore, lo Spirito di Dio si manifesta come colomba e viene sopra di Lui, e in quel momento l’amore che unisce Gesù al Padre viene testimoniato, a quanti assistono al battesimo, da una voce dall’alto che tutti odono. Il Padre manifesta apertamente agli uomini la comunione profonda che lo lega al Figlio: la voce che risuona dall’alto attesta che Gesù è obbediente in tutto al Padre e che questa obbedienza è espressione dell’amore che li unisce tra di loro. Perciò, il Padre ripone il suo compiacimento in Gesù, perché riconosce nell’agire del Figlio il desiderio di seguire in tutto alla sua volontà: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (Mt 3,17). E questa parola del Padre allude anche, in anticipo, alla vittoria della risurrezione.
Cari genitori, il Battesimo che voi oggi chiedete per i vostri bambini, li inserisce in questo scambio d’amore reciproco che vi è in Dio tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; per questo gesto che sto per compiere, si riversa su di loro l’amore di Dio, inondandoli dei suoi doni. Attraverso il lavacro dell’acqua, i vostri figli vengono inseriti nella vita stessa di Gesù, che è morto sulla croce per liberarci dal peccato e risorgendo ha vinto la morte. Perciò, immersi spiritualmente nella sua morte e resurrezione, essi vengono liberati dal peccato originale ed in loro ha inizio la vita della grazia, che è la vita stessa di Gesù Risorto. «Egli - afferma San Paolo - ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone» (Tt 2,14).
Cari amici, donandoci la fede, il Signore ci ha dato ciò che vi è di più prezioso nella vita, e cioè il motivo più vero e più bello per cui vivere: è per grazia che abbiamo creduto in Dio, che abbiamo conosciuto il suo amore, con cui vuole salvarci e liberarci dal male. Ora voi, cari genitori, padrini e madrine, chiedete alla Chiesa di accogliere nel suo seno questi bambini, di dare loro il Battesimo; e questa richiesta la fate in ragione del dono della fede che voi stessi avete, a vostra volta, ricevuto. Con il profeta Isaia, ogni cristiano può ripetere: "il Signore mi ha plasmato suo servo fin dal seno materno" (cfr 49,5); così, cari genitori, i vostri figli sono un dono prezioso del Signore, il quale ha riservato per sé il loro cuore, per poterlo ricolmare del suo amore. Attraverso il sacramento del Battesimo, oggi li consacra e li chiama a seguire Gesù, attraverso la realizzazione della loro vocazione personale secondo quel particolare disegno d’amore che il Padre ha in mente per ciascuno di essi; meta di questo pellegrinaggio terreno sarà la piena comunione con Lui nella felicità eterna.
Ricevendo il Battesimo, questi bambini ottengono in dono un sigillo spirituale indelebile, il "carattere", che segna per sempre la loro appartenenza al Signore e li rende membra vive del suo corpo mistico, che è la Chiesa. Mentre entrano a far parte del Popolo di Dio, per questi bambini, inizia oggi un cammino di santità e di conformazione a Gesù, una realtà che è posta in loro come il seme di uno splendido albero, che deve essere fatto crescere. Perciò, comprendendo la grandezza di questo dono, fin dai primi secoli si ha avuto la premura di dare il Battesimo ai bambini appena nati. Certamente, ci sarà poi bisogno di un’adesione libera e consapevole a questa vita di fede e d’amore, ed è per questo che è necessario che, dopo il Battesimo, essi vengano educati nella fede, istruiti secondo la sapienza della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa, così che cresca in loro il germe della fede che oggi ricevono e possano raggiungere la piena maturità cristiana. La Chiesa, che li accoglie tra i suoi figli, deve farsi carico, assieme ai genitori e ai padrini, di accompagnarli in questo cammino di crescita. La collaborazione tra comunità cristiana e famiglia è quanto mai necessaria nell’attuale contesto sociale, in cui l’istituto familiare è minacciato da più parti e si trova a far fronte a non poche difficoltà nella sua missione di educare alla fede. Il venir meno di stabili riferimenti culturali e la rapida trasformazione a cui è continuamente sottoposta la società, rendono davvero arduo l’impegno educativo. Perciò, è necessario che le parrocchie si adoperino sempre più nel sostenere le famiglie, piccole Chiese domestiche, nel loro compito di trasmissione della fede.
Carissimi genitori, ringrazio con voi il Signore per il dono del Battesimo di questi vostri figlioli; nell’elevare la nostra preghiera per loro, invochiamo abbondante il dono dello Spirito Santo, che oggi li consacra ad immagine di Cristo sacerdote, re e profeta. Affidandoli alla materna intercessione di Maria Santissima, chiediamo per loro vita e salute, perché possano crescere e maturare nella fede, e portare, con la loro vita, frutti di santità e d’amore. Amen!
[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]
«Il Battesimo indica la strada per rispondere alla sfida educativa» di Massimo Introvigne 10-01-2011 da http://www.labussolaquotidiana.it
«Come è ormai tradizione», Benedetto XVI nella festa del Battesimo del Signore, il 9 gennaio, ha amministrato il sacramento del Battesimo a ventuno neonati nella Cappella Sistina. Sul significato del Battesimo è tornato anche nell’ Angelus domenicale.
Si può dire che sia anche diventato consueto il collegamento nel Magistero di Benedetto XVI tra il Battesimo e quella che nella Lettera alla diocesi e alla città di Roma del 21 gennaio 2008 il Papa chiamava «emergenza educativa». In quella lettera il Papa spiegava che, se educare non è mai stato facile, oggi viviamo in una situazione di crisi particolare dell’educazione, a causa di «un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana [e] del significato stesso della verità e del bene». In occasione dei battesimi del 9 gennaio, il Papa ha ripetuto che «il venir meno di stabili riferimenti culturali, e la rapida trasformazione a cui è continuamente sottoposta la società, rendono davvero arduo l’impegno educativo».
Con il Battesimo dei bambini «una realtà […] è posta in loro come il seme di un albero splendido», che però «deve essere fatto crescere». Il Battesimo è uno straordinario punto di partenza, anche per i ventuno neonati della Cappella Sistina. All’Angelus il Papa ha citato «il beato Antonio Rosmini [1797-1855] [il quale] afferma che “il battezzato subisce una segreta ma potentissima operazione, per la quale egli viene sollevato all’ordine soprannaturale, vien posto in comunicazione con Dio” (Del principio supremo della metodica…, Torino 1857, n. 331)». Ma il Battesimo non basta. «È necessario che, dopo il Battesimo, essi vengano educati nella fede, istruiti secondo la sapienza della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa, così che cresca in loro questo germe della fede che oggi ricevono e possano raggiungere la piena maturità cristiana».
Soggetti di questa azione educativa sono – prima ancora della scuola – la Chiesa e la famiglia. «La Chiesa, che li accoglie tra i suoi figli, deve farsi carico, assieme ai genitori e ai padrini, di accompagnarli in questo cammino di crescita». Quanto alla famiglia, un’azione a suo favore di aiuto e di sostegno «è necessaria nell’attuale contesto sociale, in cui l’istituto familiare è minacciato da più parti e si trova a far fronte a non poche difficoltà nella sua missione di educare».
Tra i contenuti dell’educazione cristiana, il Papa ha voluto insistere sul senso del peccato. Nell’omelia nella Cappella Sistina ha fatto notare che Gesù, che è senza peccato, al Giordano «si mette realmente in fila con i peccatori». Gesù non ha bisogno del Battesimo. Dobbiamo dunque vedere nel suo umiliarsi di fronte a Giovanni Battista un altro significato. «Il gesto di Gesù anticipa la Croce, l’accettazione della morte per i peccati dell’uomo» e dunque la Redenzione.
Il senso del peccato e della Redenzione, che deve caratterizzare ogni autentica educazione cristiana, è anche connesso al mistero della Trinità. L’«atto di abbassamento» del Battesimo sul Giordano, «con cui Gesù vuole uniformarsi totalmente al disegno d’amore del Padre e conformarsi con noi, manifesta la piena sintonia di volontà e di intenti che vi è tra le persone della Santissima Trinità. Per tale atto d’amore, lo Spirito di Dio si manifesta e viene come una colomba sopra di Lui, e in quel momento l’amore che unisce Gesù al Padre viene testimoniato a quanti assistono al battesimo da una voce dall’alto che tutti odono. Il Padre manifesta apertamente agli uomini, a noi, la comunione profonda che lo lega al Figlio: la voce che risuona dall’alto attesta che Gesù è obbediente in tutto al Padre e che questa obbedienza è espressione dell’amore che li unisce tra di loro».
Per ogni battezzato, ha detto il Papa «inizia un cammino che dovrebbe essere un cammino di santità e di conformazione a Gesù […]. Perciò, comprendendo la grandezza di questo dono, fin dai primi secoli si ha avuto la premura di dare il Battesimo ai bambini appena nati». Ma con il Battesimo «i genitori e i padrini s’impegnano ad accogliere il neo-battezzato sostenendolo nella formazione e nell’educazione cristiana». In epoca di emergenza educativa, si tratta di un compito difficile. Ma un forte senso del peccato e della Redenzione può conferire a questo compito il suo significato ultimo e, insieme, dare la forza per realizzarlo.
Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Ma Messori sta col Papa o col Grande Imam ? di Antonio Socci Da “Libero”, 8 gennaio 2011
Non desidero polemizzare con Vittorio Messori, nutrendo per lui amicizia e stima. Purtroppo però a volte nella polemica si è trascinati nostro malgrado, per un dovere di testimonianza alla verità: così anni fa insorsi per i giudizi (che ritenni non generosi) espressi da Messori su Giovanni Paolo II, subito dopo la sua morte.
E oggi mi sento costretto a farlo per il dovere di verità che abbiamo verso i martiri cristiani che sono stati massacrati anche in questi giorni.
“Amor mi mosse che mi fa parlare”: l’articolo di Vittorio uscito ieri sul Corriere della sera davvero fa un pessimo servizio ai cristiani. Ma soprattutto fa un pessimo servizio alla verità storica.
Lasciamo perdere le discutibilissime escursioni nel VII secolo, sull’invasione araba dell’Egitto e del Nord Africa.
Ho cercato ansiosamente nel testo messoriano almeno una frase che mettesse in rilievo il cuore del problema (come benissimo lo enunciò il Papa a Ratisbona), cioè l’irrisolto rapporto dell’Islam con la violenza, questione certamente nota a Messori, questione che ha orrende ricadute non solo sui cristiani, ma sui rapporti dei musulmani con tutte le altre religioni e civiltà, oltreché su varie questioni sociali (penso alle condizioni delle donne).
Ma purtroppo questa frase non l’ho trovata. Una condanna senza appello si trova nell’articolo, ma non è rivolta contro l’irrisolta commistione fra Islam e violenza.
No. La condanna sembra toccare al “sionismo” (accusato di “violenta intrusione”), sionismo che non c’entra assolutamente niente con l’attentato alla cattedrale cristiana di Alessandria (forse Messori qui intendeva descrivere l’ideologia islamista, ma non sembra dissociarsi da quel giudizio sul sionismo).
Fra i cattivi senza attenuanti Messori cita pure il solito Bush (con gli amerikani). Anche i cristiani sono da lui rappresentati in modo tutt’altro che lusinghiero.
Quello con cui invece l’intellettuale cattolico concorda è il Grande Imam del Cairo, Al Tayyeb, secondo cui l’attentato “non è un attacco ai cristiani, ma all’Egitto intero”.
Ora, questo Ahmed Al Tayyeb è il tipo che ha accusato il Papa di “ingerenza” negli affari interni egiziani quando il Pontefice ha condannato la strage di cristiani alla messa del 1° gennaio.
Questo Grande Imam è anche il tipo che sempre all’indomani della strage, intervistato dal Corriere della sera, di nuovo – come ha notato Ippolito sullo stesso Corriere – “si è sentito in dovere di rimbeccare il Papa che chiedeva protezione per i fedeli in Oriente”, sostenendo testualmente che tale “appello del Pontefice alla difesa dei fedeli può creare malintesi”.
Il Grande Imam è arrivato fino al punto di esigere dal papa “un gesto distensivo verso i musulmani, come se sull’altra sponda del Mediterraneo a essere minacciati fossero i seguaci del Corano”.
Questi rilievi critici sono sempre di Ippolito. E stupisce che non si trovino invece nell’editoriale di Messori uscito ieri. Egli non fa alcun riferimento critico a quelle incredibili dichiarazioni del Grande Imam. Anzi, lo cita per dire che in quella frase (sull’attentato come attacco all’Egitto) “non ha torto”.
Personalmente invece ritengo anche quella una frase molto ambigua.
Par di capire che, secondo Al Tayyeb, l’Islam, anche egiziano, sarebbe una meraviglia e i terroristi sarebbero un corpo estraneo che viene a far traballare questo idilliaco mondo musulmano e lo stato egiziano.
E da cosa sarebbe provocata la violenza di tali terroristi? Ecco la risposta che Messori dà (assai condivisa fra i musulmani) dopo aver avallato la frase dell’Imam:
“Tutti i governi di tutte le nazioni islamiche sono sotto lo tsunami che ha avuto come detonatore l’intrusione violenta del sionismo che è giunto a porre la sua capitale a Gerusalemme, città santa per i credenti quasi pari alla Mecca. Ira, umiliazione, senso di impotenza hanno dato avvio a un panislamismo che intende demolire le frontiere e i regimi attuali per giungere a un blocco comune e ferreo di fedeli nel Corano. Una sorta di superpotenza che possa sfidare persino gli Stati Uniti, padrini di Israele”.
A chiunque appare evidente che il teorema di Messori non sta in piedi: se il problema fosse davvero il sionismo, perché massacrano i copti che sono cittadini egiziani sempre stati fedeli allo stato egiziano?
Se il problema fosse davvero la fondazione dello stato di Israele, nel 1948, perché da quattordici secoli l’Islam cerca di conquistare e sottomettere i paesi cristiani (sono arrivati fino a Vienna, fino alla Sicilia e fino ai Pirenei, prima di essere respinti)?
E’ noto del resto che certi gruppi islamisti si sentono orfani della Palestina tanto quanto si sentono defraudati dell’Andalusia e magari domani della Sicilia: che facciamo, gliele ridiamo?
Chiedo ancora: perché il genocidio turco degli armeni cristiani (il primo del Novecento) avvenne decenni prima della nascita di Israele?
E perché, infine, i “Fratelli musulmani” esistono dal 1928-1929?
E perché sono riemersi con fanatismo solo negli anni Ottanta anziché nel 1948?
E potrebbe spiegare, Messori, come e perché il regime islamista di Karthoum, in Sudan, per venti anni, dal 1980, ha massacrato i cristiani e gli animisti neri del Sud, provocando una strage di due milioni di vittime?
Glielo dico io: perché rifiutavano l’imposizione della sharia, non perché – migliaia di chilometri lontano da loro – esisteva lo Stato di Israele.
E perché, all’altro capo del mondo, il regime indonesiano ha invaso Timor est e ha massacrato un’enorme porzione della popolazione cristiana di Timor est, senza che nessuno – né Indonesia, né abitanti di Timor est, si fossero mai interessati a Israele e Palestina?
La verità è ben altra. Sentiamola da due storici (peraltro non cattolici). “Per quasi mille anni” ha scritto Bernard Lewis “dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’Islam”.
Samuel Huntington ha ricordato inoltre che “l’Islam è l’unica civiltà ad aver messo in serio pericolo e per ben due volte, la sopravvivenza dell’Occidente”.
Stante questa duratura utopia imperialistica dell’Islam, dove religione e politica sono una cosa sola, il grande trauma del mondo islamico è stato rappresentato dalla fine dell’Impero Ottomano, dopo la prima guerra mondiale.
Quello è stato il detonatore.
Poi, dalla decolonizzazione, le élites arabe hanno puntato su movimenti politici laici, di ideologia socialista e/o nazionalista.
Questi regimi sono stati i primi ad affossare la possibilità di uno stato palestinese e, con l’ideologia panaraba e antisionista, si sono lanciati in una serie di guerre per l’eliminazione di Israele uscendone a pezzi.
Così i loro regimi illiberali, spesso corrotti e perlopiù fallimentari – per cercare un nemico esterno da additare alle folle fanatizzate – hanno alimentato l’odio anti-israeliano e anti-occidentale, ancor più forte quanto più il nostro modello di vita e di benessere è da quei popoli agognato.
Odio che – dopo la rivoluzione sciita iraniana degli anni Settanta – si è espresso in una rinascita dell’islamismo fondamentalista.
Il vero problema è il mancato appuntamento dei paesi arabi e islamici con la democrazia e il riconoscimento dei diritti dell’uomo. E il mancato appuntamento dell’Islam con il ripudio di ogni violenza.
L’invito del Papa ad Assisi è l’altra faccia di Ratisbona: il tentativo da parte dei cristiani di aiutare chi vuole liberare il sentimento religioso, che si esprime nelle varie religioni, dalla violenza e dall’intolleranza.
Un’ultima nota: il titolo dell’articolo di Messori era “Le radici dell’odio contro i cristiani”.
Ma i cristiani sono stati odiati, perseguitati e massacrati, negli ultimi duecento anni, sotto tutti i regimi e le ideologie. E lo sono tuttora, per esempio in tutti i regimi comunisti.
Dunque la “radice dell’odio” non può essere nell’esistenza di Israele. E Messori lo sa. Allora perché non dirlo? Perché scrivere editoriali di quel genere?
Avvenire.it, 9 gennaio 2011 - Oltre il pessimismo, con passione - Alla radice della moralità
È pressoché comune sentire che il momento storico che vive il nostro Paese, nel contesto della vicenda internazionale, sia difficile e preoccupante. Un noto editorialista, qualche giorno fa, tracciando il bilancio dell’anno appena concluso, scriveva: «Non vanno bene le cose per l’Italia», ed elencava criticità, ritardi e difetti, invitando a dire la verità al Paese. Non gli si può dare torto. Concordano sostanzialmente gli analisti più acuti, lo conferma la gente comune, scontenta e delusa, che con fatica affronta tanti problemi ogni giorno. Sono in sofferenza ambiti essenziali del vivere sociale, primo fra tutti il lavoro, quello giovanile in particolare. È un punto critico veramente serio. Il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica deve fare riflettere tutti.
Le famiglie non sono tranquille e cresce il malessere sociale. Si tocca con mano. Ma attenti al pessimismo! Lo sviluppo dell’Italia, dal dopoguerra ad oggi, frutto della laboriosità e della parsimonia del nostro popolo è fuori discussione ed è un dato culturale, ma proprio per questo le nuove generazioni sono disorientate e inquiete dinanzi alla crisi. Naturalmente la crisi è globale, nessuno lo nega, ma la giustizia sociale sbandierata da tutti, senza fatti conseguenti diventa una parola vuota, che fa crescere la rabbia e la protesta.
Perché l’analisi della situazione non resti esercitazione retorica, capace soltanto di accrescere lo sconforto e la sterile rassegnazione, a me pare che si dovrebbe avere il coraggio di andare al fondo del problema, che non è politico ma morale. Se la passione per il bene comune si affievolisce e la coscienza del dovere è sopraffatta dalla logica del proprio interesse, se dilaga la corruzione dalle forme più vistose a quelle più nascoste, se si evade tranquillamente il fisco (prassi ritenuta ormai una forma di risarcimento), se cresce la delinquenza organizzata, se c’è chi pur avendo tutto non si contenta mai, sottraendo spazi di lavoro e di guadagno a chi non ne ha alcuno, se la scaltrezza e la furbizia sembrano essere virtù necessarie per vivere nella società di oggi, se in definitiva cresce la mentalità individualista, allora si possono anche escogitare formule politiche innovative e meccanismi raffinati di coercibilità, forse si limiteranno i danni, ma il benessere della società sarà un miraggio. «Il vero problema in questo momento della storia – ha scritto il Papa – è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi si manifestano sempre di più».
L’immoralità affonda le sue radici nel cuore dell’uomo che si fa misura di se stesso e del suo agire («Dal cuore degli uomini escono impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza»: Mc. 7, 21–22). Se il cuore dell’uomo resta di “pietra” e non diventa di “carne”, per dirla con il profeta Ezechiele, la società non migliorerà mai. Al contrario, la moralità pubblica e privata, che genera comportamenti e stili di vita virtuosi ha bisogno di alimentarsi di Dio e della sua Parola, da cui attingere luce, energia e vita. Senza Cristo, fondamento di valori imprescindibili, non c’è salvezza per l’uomo, tutto intero, persona singola e corpo sociale. Questa credo che sia la verità ultima che vada detta anche al Paese. E, per la sua parte, la responsabilità della Chiesa è grande.
Agostino Vallini
Il cardinale Biffi rompe un altro tabù. Su Dossetti - Cioè su un protagonista influentissimo del Vaticano II. Bocciato come teologo e per come si comportò allora e dopo. “C’era in lui il monaco nel politico, e il politico nel monaco”. Intanto una nuova storia del Concilio... di Sandro Magister
ROMA, 3 gennaio 2011 – Lo storico cattolico Roberto de Mattei ha dato recentemente alle stampe una nuova storia del Concilio Vaticano II che fa molto discutere, per il metodo e le conclusioni.
Quanto al metodo, de Mattei si attiene strettamente ai fatti storici, allo svolgimento dell'evento conciliare, poiché – sostiene – i documenti del Concilio possono essere capiti e giudicati solo alla luce delle vicende che li hanno prodotti.
Quanto alle conclusioni, de Mattei ricava dalla ricostruzione di tale vicenda che i documenti del Concilio Vaticano II sono effettivamente qua e là in contrasto con la precedente dottrina. Chiede quindi al papa attuale di promuovere "un approfondito esame" di tali documenti, "per dissipare le ombre e i dubbi".
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Fermandoci alla ricostruzione storica fatta da de Mattei, colpisce l'enorme peso che alcuni individui e gruppi hanno avuto nel determinare lo svolgimento del Concilio e la genesi dei suoi documenti.
Uno dei più influenti è stato sicuramente l'italiano Giuseppe Dossetti (1919-1996, nella foto), nella sua qualità di perito del cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna.
Prima di farsi monaco, Dossetti aveva studiato diritto ecclesiastico, aveva militato nella guerra partigiana contro fascisti e tedeschi, aveva partecipato alla stesura della nuova costituzione italiana ed era stato un politico di prima grandezza nel partito che governò l'Italia del dopoguerra, la Democrazia Cristiana, dove eccelleva nella padronanza dei meccanismi assembleari.
Come perito conciliare, Dossetti mise a frutto queste sue capacità. Il 10 novembre 1962, un altro celebre perito, il teologo domenicano Marie-Dominique Chenu, annotò nel suo diario questa frase di Dossetti: "La battaglia efficace si gioca sulla procedura. È sempre per questa via che ho vinto".
Il suo apogeo fu nel 1963, nella seconda sessione del Concilio, quando per alcuni mesi Dossetti operò di fatto come segretario dei quattro cardinali "moderatori", uno dei quali era Lercaro, divenendo il perno dell'intera assise.
Era lui a scrivere i quesiti su cui i padri conciliari dovevano pronunciarsi. Il 16 ottobre 1963 quattro di tali quesiti – sulla questione della collegialità episcopale – uscirono, prima ancora d'essere consegnati ai padri, sul giornale di Bologna "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle, amico strettissimo di Dossetti e Lercaro. Irritato, Paolo VI ordinò il ritiro delle 3000 copie di questo giornale che, come ogni mattina, stavano per essere distribuite gratuitamente ai padri.
Anche dopo il Concilio Dossetti continuò ad esercitare una profonda influenza sulla cultura cattolica non solo italiana.
È lui che diede vita – con alcuni storici suoi seguaci di cui il primo fu Giuseppe Alberigo – a quell'interpretazione del Vaticano II che ha avuto fino ad oggi più fortuna in tutto il mondo, condensata in cinque volumi di "Storia" tradotti in più lingue.
Non solo. Dossetti è stato per molti anche un grande ispiratore di visione teologica e politica insieme. Con un forte ascendente tra il clero, tra i vescovi e tra i cattolici politicamente attivi, a sinistra.
Ma mentre la sua maniera di interpretare il Concilio Vaticano II è da qualche tempo sottoposta a critica crescente – specie dopo il memorabile discorso, a ciò dedicato, di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 –, nessuno, fino a poche settimane fa, aveva osato mettere in dubbio, con autorità e in pubblico, la solidità della sua visione teologica.
A rompere il tabù è stato il cardinale e teologo Giacomo Biffi, che dal 1984 al 2003 è stato arcivescovo di Bologna, la diocesi di Dossetti.
Nella seconda edizione delle sue "Memorie e digressioni di un italiano cardinale", pubblicata lo scorso autunno, Biffi ha dedicato a Dossetti una ventina di pagine sferzanti.
Nelle quali mette a nudo le gravi insufficienze della sua teologia, a partire dal modo con cui egli agì nel Concilio Vaticano II e nei decenni successivi.
Ecco qui di seguito i passaggi salienti della critica del cardinale Biffi a Dossetti e ai "dossettiani" di ieri e di oggi.
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LA "TEOLOGIA" DI DOSSETTI
da Giacomo Biffi, "Memorie", seconda edizione, pp. 485-493
Giuseppe Dossetti è stato un autentico uomo di Dio, un asceta esemplare, un discepolo generoso del Signore che ha cercato di spendere totalmente per lui la sua unica vita. Sotto questo profilo egli resta un raro esempio di coerenza cristiana, un modello prezioso seppur non facile da imitare.
È stato anche un vero teologo e un affidabile maestro nella “sacra doctrina”?
La questione non è semplice, data la complessa personalità del protagonista, e richiede un discorso articolato. Mi limiterò, richiamando qualche notizia utile, a formulare alcune osservazioni che riguarderanno prima di tutto l’ecclesiologia, poi la cristologia e infine la metodologia propria e inderogabile della “sacra doctrina”.
UNA ECCLESIOLOGIA POLITICA
Il 19 novembre 1984, in una lunga conversazione con Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, don Dossetti si è lasciato andare a qualche considerazione che deve renderci avvertiti. Egli legge sorprendentemente il suo apporto al Concilio Vaticano II alla luce della sua partecipazione ai lavori della [Assemblea Nazionale] Costituente [tra il 1946 e il 1948]: "Nel momento decisivo proprio la mia esperienza assembleare ha capovolto le sorti del Concilio stesso". [...]
Di più, nella stessa circostanza Dossetti addirittura si compiace di aver "portato al Concilio – anche se non fu trionfante – una certa ecclesiologia che era riflesso anche dell’esperienza politica fatta". Ma che tipo di “ecclesiologia” poteva scaturire da una tale ispirazione e da queste premesse “mondane”?
“Anche se non fu trionfante”: questo inciso, sommesso e un po’ reticente, evoca con discrezione la fine della attività conciliare di don Giuseppe; e merita che lo si chiarifichi nella sua rilevanza.
Egli era stato introdotto nell’assise vaticana con la qualifica di esperto personale dell’arcivescovo di Bologna [Giacomo Lercaro]. Il 12 settembre 1963 il nuovo papa, Paolo VI, comunica la sua decisione di designare quattro “moderatori”, nelle persone dei cardinali Lercaro, Suenens, Döpfner e Agagianian, con il compito di presiedere a turno l’assemblea conciliare per conto del papa. Era, come si vede, un incarico che ciascuno dei designati avrebbe dovuto esercitare soltanto singolarmente.
Lercaro persuade invece i suoi colleghi ad accettare don Dossetti come loro comune segretario; e con questa nomina si configura in pratica una specie di “Consiglio dei moderatori”, che finisce con l’avere indebitamente una funzione molto diversa da quella prevista e intesa, con un’autorità ben più ampia della sua indole originaria.
È il momento della massima influenza di Dossetti; ma non poteva durare. Si trattava, in fondo, di un arbitrario colpo di mano che alterava la struttura legittimamente stabilita. Il Concilio aveva già una segreteria generale, presieduta dal vescovo Pericle Felici, il quale non tarda a lamentarsi della situazione irregolare che si era creata.
Di più, l’attivismo del segretario sopraggiunto e le tesi innovative da lui propugnate cominciano a suscitare qualche naturale inquietudine. “Quello non è il posto di don Dossetti”, è il commento del papa. “Alla fine don Dossetti – afferma il cardinale Suenens – a causa dell’atmosfera ostile e per tatto verso il papa, si ritirò spontaneamente evitandoci una situazione imbarazzante”. [...]
Le apprensioni di Paolo VI però non erano soltanto di natura procedurale e organizzativa. Egli sentiva acutamente la sua responsabilità di salvaguardare in pienezza, pur nella cordiale accettazione della collegialità episcopale, la verità di fede del primato di Pietro e del suo totale, incondizionato e libero esercizio. Questa è la ragione che lo spinge a proporre la famosa "Nota esplicativa previa", nella quale offriva alcuni criteri interpretativi inderogabili di lettura e comprensione del capitolo III della "Lumen gentium" (che pur veniva da lui accolto integralmente). Così tranquillizzò tutti i padri sinodali e ottenne l’approvazione praticamente unanime del documento nella votazione del 21 novembre 1964: 2151 "placet" e solo 5 "non placet". Con il suo intervento diretto e risoluto aveva evitato il rischio di possibili future interpretazioni contrarie alla dottrina tradizionale; e aveva salvato il Concilio. [...]
UNA CRISTOLOGIA IMPROPONIBILE
Alla fine di ottobre del 1991 Dossetti mi ha cortesemente portato da leggere il discorso che gli avevo commissionato per il centenario della nascita di Lercaro. "Lo esamini, lo modifichi, aggiunga, tolga con libertà", mi ha detto. Ed era certamente sincero: in quel momento parlava l’uomo di Dio e il presbitero fedele.
Purtroppo, qualcosa che non andava ho effettivamente trovato. Ed era l’idea, presentata da Dossetti con favore, che, come Gesù è il Salvatore dei cristiani, così la Torah, la legge mosaica, è anche attualmente la strada alla salvezza per gli ebrei. L’asserzione era mutuata da un autore tedesco contemporaneo, ed era cara a Dossetti probabilmente perché ne intravedeva l’utilità ai fini del dialogo ebraico-cristiano.
Ma come primo responsabile dell’ortodossia nella mia Chiesa, non avrei mai potuto accettare che si mettesse in dubbio la verità rivelata che Gesù Cristo è l’unico Salvatore di tutti. [...]
"Don Giuseppe, – gli dissi – ma non ha mai letto le pagine di san Paolo e la narrazione degli Atti degli Apostoli? Non le pare che nella prima comunità cristiana il problema fosse addirittura quello contrario? In quei giorni era indubbio e pacifico che Gesù fosse il Redentore degli ebrei; si discuteva caso mai se anche i gentili potessero essere pienamente raggiunti dalla sua azione salvifica".
Basterebbe tra l’altro – mi dicevo tra me – non dimenticare una piccola frase della lettera ai Romani, là dove dice che il Vangelo di Cristo “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco” (cfr. Rm 1, 16).
Dossetti non era solito rinunciare a nessuno dei suoi convincimenti. Qui alla fine cedette davanti alla mia avvertenza che, nel caso, l’avrei interrotto e pubblicamente contraddetto; e accondiscese a pronunciare questa sola espressione: "Non pare che sia conforme al pensiero di san Paolo dire che la strada della salvezza per i cristiani è Cristo, e per gli ebrei è la Legge mosaica". Non c’era più niente di errato in questa frase, e non ho mosso obiezioni, anche se ciò che avrei preferito sarebbe stato di non accennare nemmeno a un parere teologicamente tanto aberrante.
Questo “incidente” mi ha fatto molto riflettere e l’ho giudicato sùbito di un’estrema gravità, pur se non ne ho parlato allora con nessuno. Ogni alterazione della cristologia fatalmente compromette tutta la prospettiva nella “sacra doctrina”. In un uomo di fede e di sincera vita religiosa, come don Dossetti, era verosimile che l’abbaglio fosse conseguenza di una ambigua e inesatta impostazione metodologica generale.
DUE TRAGUARDI, UNA SOLA TENSIONE
“C’era in Dossetti il monaco nel politico, e il politico nel monaco”. Questa breve espressione, enunciata dal professor Achille Ardigò che gli è stato per diverso tempo vicino e ha collaborato con lui, coglie con rapida sintesi una personalità singolare e complessa.
Chi ne ha studiato la lunga e multiforme vicenda non può non riconoscere la validità e la pertinenza di tali parole. [...] La coesistenza, se non l’identificazione dei due traguardi – quello “politico” e quello “teologico” –, inseguiti da lui simultaneamente e col medesimo impegno, è all’origine di qualche incresciosa confusione metodologica. Dossetti proponeva le sue intuizioni politiche con la stessa intransigenza del teologo che deve difendere le verità divine; ed elaborava le sue prospettive teologiche mirando a finalità “politiche”, sia pure di “politica ecclesiastica”.
E qui c’è anche il limite intrinseco del suo pensiero e del suo insegnamento. Perché la teologia autentica è essenzialmente contemplazione gratuita e ammirata del disegno concepito dal Padre prima di tutti i secoli per la nostra salvezza e per il nostro vero bene; e solo in quel disegno si trovano e vanno esplorate le luci e gli impulsi che potranno davvero giovare alla Sposa del Signore Gesù, che è pellegrina nella storia.
I "TEOLOGI AUTODIDATTI"
Dossetti ha avuto uno svantaggio iniziale: è stato teologicamente un autodidatta.
Qualcuno domandò una volta a san Tommaso d’Aquino quale fosse il modo migliore di addentrarsi nella "sacra doctrina" e quindi di diventare un buon teologo. Egli rispose: andare alla scuola di un eccellente teologo, così da esercitarsi nell’arte teologica sotto la guida di un vero maestro; un maestro, soggiunse, come per esempio Alessandro di Hales. La sentenza a prima vista meraviglia un po’. [...] E invece ancora una volta il Dottore Angelico rivela la sua originalità, la sua saggezza, la sua conoscenza dell’indole sia della "sacra doctrina" sia della psicologia umana. Nella sua concretezza egli vedeva il rischio non ipotetico degli autodidatti: quello di ripiegarsi su se stessi e di ritenere fonte della verità le proprie letture e la propria acutezza; più specificamente il rischio di finire col compiacersi di un sapere incontrollato, e perfino di arrivare a un’ecclesiologia incongrua e a una cristologia lacunosa.
È stato appunto il caso di don Giuseppe Dossetti, che nell’apprendimento della “scientia Dei, Christi et Ecclesiae” non ha avuto maestri.
A chi gli avesse chiesto da dove avesse preso le sue idee, le sue prospettive di rinnovamento, le sue proposte di riforma, egli avrebbe ben potuto rispondere (e non facciamo che usare le sue parole): "Dalla mia testa e dal cuore".
I "TEOLOGI IMMAGINARI"
Don Giuseppe nutriva grande stima per don Divo Barsotti e aveva iniziato a coinvolgerlo nella sua vita spirituale oltre che nella sua presenza attiva entro il mondo cattolico.
Don Divo però, che era teologo – oltre che geniale – autentico e di solida formazione, si rese conto ben presto delle lacune e delle anomalie del pensiero dossettiano. [...] E mi confidava, alla fine dei suoi giorni, di essere ancora molto preoccupato degli influssi che la “teologia dossettiana” continuava a esercitare su certe aree della cristianità.
Anch’io, devo dire, mi sono reso conto che l'apprensione di don Barsotti non era priva di fondamento. Nei contesti dove oggi ci si richiama all’eredità e all’ispirazione di Dossetti non sempre ritroviamo la serietà e la sufficiente competenza, doverose quando si discorre su argomenti che attengono alla “sacra doctrina” e alla vita della Chiesa.
Appunto nell’area dichiaratamente “dossettiana” ci si imbatte talvolta in alcuni “teologi immaginari”, che in genere sono molto apprezzati dagli opinionisti mondani, abbastanza sprovveduti in questa materia, e trovano facile spazio nei più diffusi mezzi di comunicazione.
"Trasparenza, onestà e responsabilità" - Il "Motu proprio" di Benedetto XVI per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario - NOTA DI P. FEDERICO LOMBARDI, SJ - Da http://chiesa.espresso.repubblica.it/ - 30.12.2010
La pubblicazione odierna di nuove leggi per lo Stato della Città del Vaticano e per i Dicasteri della Curia romana e gli Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede è un evento di rilevante importanza normativa, ma anche di significato morale e pastorale di ampia portata.
Tutti gli enti connessi con il governo della Chiesa cattolica e con quel suo “supporto” che è lo Stato della Città del Vaticano, vengono da oggi inseriti, in spirito di sincera collaborazione, nel sistema di principi e strumenti giuridici che la comunità internazionale sta edificando con la finalità di garantire una convivenza giusta e onesta in un contesto mondiale sempre più globalizzato; contesto in cui purtroppo le realtà economiche e finanziarie sono non di rado campo di attività illegali, come il riciclaggio di proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo, veri pericoli per la giustizia e la pace nel mondo.
Il Papa afferma senza mezzi termini che “la Santa Sede approva questo impegno” della comunità internazionale “e intende far proprie le regole” di cui essa si dota “per prevenire e contrastare” questi fenomeni terribili.
Da sempre le attività illegali hanno dimostrato una straordinaria capacità di insinuarsi e di inquinare il mondo economico e finanziario, ma il loro svilupparsi a livello internazionale e l’uso delle nuove tecnologie le hanno rese sempre più pervasive e capaci di mascherarsi, cosicché per difendersi è diventato urgentissimo costituire reti di controllo e informazione mutua fra le autorità preposte alla lotta contro di esse.
Sarebbe ingenuo pensare che l’intelligenza perversa che guida le attività illegali non cerchi di approfittare proprio dei punti deboli e fragili, talvolta esistenti nel sistema internazionale di difesa e di controllo della legalità, per insinuarsi al suo interno e violarlo. Perciò la solidarietà internazionale è di importanza cruciale per la tenuta di tale sistema, ed è comprensibile e giusto che le autorità nazionali di vigilanza e gli organismi internazionali competenti (Consiglio d’Europa e, in particolare, il GAFI: Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale contro il riciclaggio di capitali) guardino con occhio favorevole gli Stati e gli enti che offrono le garanzie richieste e impongano invece vincoli maggiori a chi non vi si adegui.
Ciò vale naturalmente anche per la Città del Vaticano e gli enti della Chiesa che svolgono attività economiche e finanziarie.
La nuova normativa risponde quindi insieme all’esigenza di conservare un’efficace operatività agli enti che operano nel campo economico e finanziario per il servizio della Chiesa cattolica nel mondo, e – prima ancora - all’esigenza morale di “trasparenza, onestà e responsabilità” che va in ogni caso osservata nel campo sociale ed economico (Caritas in Veritate, 36).
L’attuazione delle nuove normative richiederà certamente molto impegno. C’è la nuova Autorità di Informazione Finanziaria da avviare. Ci sono nuovi obblighi da rispettare. Nuove competenze da esercitare. Ma per la Chiesa non può venirne che bene. Gli organismi vaticani saranno meno vulnerabili di fronte ai continui rischi che si corrono inevitabilmente quando si maneggia il denaro. Si eviteranno in futuro quegli errori che così facilmente diventano motivo di “scandalo” per l’opinione pubblica e per i fedeli. Insomma, la Chiesa sarà più “credibile” davanti alla comunità internazionale e ai suoi membri. E questo è di importanza vitale per la sua missione evangelica. Oggi, 30 dicembre 2010, il Papa ha firmato un documento di genere per lui un po’ insolito, ma di grande coraggio e grande significato morale e spirituale. E’ un bel modo di concludere quest’anno, con un passo concreto nella direzione della trasparenza e della credibilità!
30 dicembre 2010
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COMUNICATO DELLA SEGRETERIA DI STATO
Circa la nuova normativa per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario
1. In data odierna, in esecuzione della Convenzione Monetaria tra lo Stato della Città del Vaticano e l’Unione europea del 17 dicembre 2009 (2010/C 28/05), sono state emanate le seguenti quattro nuove leggi:
- la “Legge concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo”;
- la “Legge sulla frode e contraffazione di banconote e monete in euro” ;
- la “Legge relativa a tagli, specifiche, riproduzione, sostituzione e ritiro delle banconote in euro e sull’applicazione dei provvedimenti diretti a contrastare le riproduzioni irregolari di banconote in euro e alla sostituzione e al ritiro di banconote in euro” e la “Legge riguardante la faccia, i valori unitari e le specificazioni tecniche, nonché la titolarità dei diritti d’autore sulle facce nazionali delle monete in euro destinate alla circolazione”.
Il processo di elaborazione delle citate Leggi è stato condotto con l’assistenza del Comitato misto, previsto dall’articolo 11 della Convenzione Monetaria, composto da rappresentanti dello Stato della Città del Vaticano e dell’Unione Europea. La Delegazione dell’Unione Europea è costituita, a sua volta, da rappresentanti della Commissione e della Repubblica italiana, nonché da rappresentanti della Banca centrale europea.
La legge in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo è pubblicata contestualmente a questo comunicato, mentre le altre saranno pubblicate sul sito dello Stato della Città del Vaticano www. vaticanstate.va
2. La Legge relativa alla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo contiene, in un corpo unitario:
- le fattispecie delittuose, che ricomprendono il riciclaggio, l’autoriciclaggio ed i reati cc.dd. presupposto (cioè i comportamenti delittuosi che generano i proventi, poi “ripuliti” dal riciclatore), per le quali sono previste sanzioni penali;
- le fattispecie che hanno contenuto più specificamente amministrativo, riguardanti la cooperazione internazionale, ma anche la prevenzione, per la violazione della quale sono previste sanzioni amministrative pecuniarie.
La medesima legge è basata sui seguenti principali obblighi:
- di “adeguata verifica” della controparte;
- di registrazione e conservazione dei dati relativi ai rapporti continuativi e alle operazioni;
- di segnalazione delle operazioni sospette.
L’impianto normativo, pur tenendo conto delle peculiarità dell’ordinamento vaticano in cui si inserisce, è conforme ai principi e alle regole vigenti nell’Unione europea, risultando così allineato a quello di Paesi che, in questo ambito, dispongono di normative avanzate. Ciò è testimoniato dalle previsioni, tra l’altro, in materia di autoriciclaggio (fattispecie non ancora contemplata in Paesi a stringente legislazione), dai controlli sul denaro contante in entrata o in uscita dallo Stato della Città del Vaticano, dagli obblighi sul trasferimento di fondi e, infine, dai presìdi sanzionatori amministrativi, alquanto rigorosi ed applicabili, non solo agli enti e alle persone giuridiche, ma anche alle persone fisiche che agiscono in esse, per via della prevista obbligatorietà dell’azione di regresso.
3. La Legge sulla frode e contraffazione risponde all’esigenza di adottare - conformemente a quanto prevede la più avanzata normativa dell’Unione europea - una solida rete di protezione legale delle banconote e delle monete in euro contro la falsificazione. Ciò comporta procedure di ritiro dalla circolazione di banconote e monete false, il rafforzamento delle misure sanzionatorie penali, nonché forme di cooperazione in sede europea ed internazionale.
4. Le Leggi in materia di banconote e monete in euro contengono, per le stesse banconote e monete:
- disposizioni relative alla protezione del diritto d’autore sui disegni,
- regole in ordine ai tagli, alle caratteristiche tecniche, alla circolazione e alla sostituzione;
- la previsione dell’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie in caso di violazione di talune regole in esse previste.
5. Il processo di normazione non ha riguardato tuttavia meramente lo Stato della Città del Vaticano. La Santa Sede - ordinamento distinto da quello dello Stato della Città del Vaticano - alla quale fanno capo enti ed organismi operanti in vari campi, ha recepito come propria normativa la “Legge concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo” . Ciò è avvenuto tramite la “Lettera Apostolica in forma di 'Motu Proprio' per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario”.
Con la suddetta Lettera, anch’essa emanata in data odierna a firma del Sommo Pontefice Benedetto XVI:
- si stabilisce che la Legge dello Stato della Città del Vaticano e le sue future modificazioni abbiano vigenza anche per i “Dicasteri della Curia Romana e per tutti gli Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede”, tra i quali l’Istituto per le Opere di Religione (IOR), riconfermando l’impegno del medesimo ad operare secondo i principi ed i criteri internazionalmente riconosciuti;
- si costituisce l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF), Organismo autonomo ed indipendente con incisivi compiti di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo nei confronti di ogni soggetto, persona fisica o giuridica, ente ed organismo di qualsivoglia natura dello Stato della Città del Vaticano, dei Dicasteri della Curia Romana e di tutti gli Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede;
- si delegano i competenti Organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano ad esercitare, per i reati in materia di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, la giurisdizione penale nei confronti dei soggetti appena richiamati.
La Lettera Apostolica è pubblicata sul sito della Santa Sede www. vatican.va
6. L’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF), il cui Presidente con i membri del Consiglio direttivo sono nominati dal Santo Padre, è chiamata ad emanare complesse e delicate disposizioni di attuazione, indispensabili per assicurare che i soggetti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano rispettino i nuovi ed importanti obblighi di antiriciclaggio e di antiterrorismo a partire dal 1° aprile 2011, data di entrata in vigore della Legge.
7. L’esperienza segnalerà le eventuali esigenze di affinamento ed integrazione dell’assetto normativo in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo ai principi e agli standard vigenti nella comunità internazionale; tali esigenze potrebbero prospettarsi in ragione della disponibilità già manifestata da parte della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano a confrontarsi con i competenti organismi internazionali attivi sul fronte del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
8. La presente nuova normativa si iscrive nell’impegno della Sede Apostolica per l’edificazione di una convivenza civile giusta ed onesta. In nessun momento si possono perciò trascurare o attenuare i grandi “principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità” (cfr. Benedetto XVI, Enciclica "Caritas in Veritate", n. 36).
30 dicembre 2010
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LETTERA APOSTOLICA IN FORMA DI "MOTU PROPRIO"
Per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario
La Sede Apostolica ha sempre levato la sua voce per esortare tutti gli uomini di buona volontà, e soprattutto i responsabili delle Nazioni, all’impegno nell’edificazione, anche attraverso una pace giusta e duratura in ogni parte del mondo, della universale città di Dio verso cui avanza la storia della comunità dei popoli e delle Nazioni [Benedetto XVI, Lett. enc. "Caritas in veritate" (29 giugno 2009), 7: AAS 101 /2009), 645]. La pace purtroppo, ai nostri tempi, in una società sempre più globalizzata, è minacciata da diverse cause, fra le quali quella di un uso improprio del mercato e dell’economia e quella, terribile e distruttrice, della violenza che il terrorismo perpetra, causando morte, sofferenze, odio e instabilità sociale.
Molto opportunamente la comunità internazionale si sta sempre più dotando di principi e strumenti giuridici che permettano di prevenire e contrastare il fenomeno del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
La Santa Sede approva questo impegno ed intende far proprie queste regole nell’utilizzo delle risorse materiali che servono allo svolgimento della propria missione e dei compiti dello Stato della Città del Vaticano.
In tale quadro, anche in esecuzione della Convenzione Monetaria fra lo Stato della Città del Vaticano e l’Unione Europea del 17 dicembre 2009, ho approvato per lo Stato medesimo l’emanazione della "Legge concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo" del 30 dicembre 2010, che viene oggi promulgata.
Con la presente Lettera Apostolica in forma di "Motu Proprio":
a) stabilisco che la suddetta Legge dello Stato della Città del Vaticano e le sue future modificazioni abbiano vigenza anche per i Dicasteri della Curia Romana e per tutti gli Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede ove essi svolgano le attività di cui all’art. 2 della medesima Legge;
b) costituisco l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) indicata nell’articolo 33 della "Legge concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo", quale Istituzione collegata alla Santa Sede, a norma degli articoli 186 e 190-191 della Costituzione Apostolica "Pastor Bonus", conferendo ad essa la personalità giuridica canonica pubblica e la personalità civile vaticana ed approvandone lo Statuto, che è unito al presente Motu Proprio;
c) stabilisco che l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) eserciti i suoi compiti nei confronti dei Dicasteri della Curia Romana e di tutti gli Organismi ed Enti di cui alla lettera a);
d) delego, limitatamente alle ipotesi delittuose di cui alla suddetta Legge, i competenti Organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano ad esercitare la giurisdizione penale nei confronti dei Dicasteri della Curia Romana e di tutti gli Organismi ed Enti di cui alla lettera a).
Dispongo che quanto stabilito abbia pieno e stabile valore a partire dalla data odierna, nonostante qualsiasi disposizione contraria, pur meritevole di speciale menzione.
La presente Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio stabilisco che sia pubblicata in "Acta Apostolicae Sedis".
Dato a Roma, dal Palazzo Apostolico, il 30 dicembre dell’anno 2010, sesto del Pontificato.
BENEDICTUS PP. XVI
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STATUTO DELL’AUTORITÀ DI INFORMAZIONE FINANZIARIA (AIF)
CAPO I
Articolo 1
Istituzione, finalità e sede
§ 1. È eretta con Motu Proprio del Sommo Pontefice Benedetto Decimo Sesto del 30 dicembre 2010 l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) avente compiti in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo.
§ 2. L’Autorità di Informazione Finanziaria è una Istituzione collegata con la Santa Sede a norma degli articoli 186 e 190-191 della Costituzione Apostolica "Pastor Bonus".
§ 3. L’Autorità gode di personalità giuridica canonica pubblica e di personalità giuridica civile vaticana.
§ 4. Essa ha sede legale nello Stato della Città del Vaticano.
Articolo 2
Funzioni
§ 1. L’Autorità di Informazione Finanziaria svolge le funzioni, i compiti e le attività indicati nella Legge dello Stato della Città del Vaticano concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo 30 dicembre 2010, n. CXXVII.
§ 2. L’Autorità di Informazione Finanziaria, a norma del diritto e dei principi internazionali in materia di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, esercita le funzioni, i compiti e le attività richiamati nel paragrafo che precede e nel presente Statuto in piena autonomia e indipendenza.
§ 3. L’Autorità svolge il suo servizio nei riguardi dei soggetti di cui all’articolo 2 della Legge dello Stato della Città del Vaticano concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo 30 dicembre 2010, n. CXXVII operanti sul territorio dello Stato della Città del Vaticano oltre che dei Dicasteri della Curia Romana e di tutti gli Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede.
CAPO II
Articolo 3
Organi e personale dell’Autorità
§ 1. Sono Organi dell’Autorità di Informazione Finanziaria.
a) Il Presidente;
b) Il Consiglio direttivo.
§ 2. Fanno parte dell’Autorità il Direttore e il personale addetto.
Articolo 4
Presidente
§ 1. Il Presidente è nominato dal Sommo Pontefice; dura in carica cinque anni e può essere confermato.
§ 2. Il Presidente sorveglia l’andamento dell’Autorità promuovendone il regolare ed efficace funzionamento.
§ 3. Egli presiede il Consiglio direttivo. In caso di sua assenza o impedimento, è sostituito da un Membro del Consiglio direttivo a ciò designato. Di fronte ai terzi la firma di chi sostituisce il Presidente fa prova dell’assenza o impedimento del medesimo.
§ 4. Al Presidente spetta la rappresentanza legale dell’Autorità e l’uso della firma. Il Presidente o chi ne fa le veci può delegare di volta in volta o per determinati atti o attività la facoltà di rappresentare l’Autorità di fronte ai terzi e in giudizio.
Articolo 5
Consiglio direttivo
§ 1. Il Consiglio direttivo è presieduto dal Presidente dell’Autorità ed è composto da altri quattro membri nominati dal Sommo Pontefice tra persone di provata affidabilità, competenza e professionalità.
§ 2. Il Consiglio direttivo, cui spettano tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, è responsabile dell’organizzazione e del funzionamento della struttura dell’Autorità, della quale programma, dirige e controlla l’attività. In tale ambito ed a titolo esemplificativo: a) formula, in armonia con i fini istituzionali, le strategie fondamentali ed i relativi programmi per l’attività dell’Autorità e vigila sulla loro attuazione; b) emana regolamenti di natura organizzativa aventi anche rilevanza esterna; c) partecipa, anche attraverso propri rappresentanti, agli organismi internazionali impegnati nella prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo internazionale e alle attività di studio e di ricerca da questi organizzate; d) sovrintende al personale dell’Autorità promuovendone la formazione professionale specifica; e) delega al Direttore o ad altri soggetti addetti all’Autorità, con apposite comunicazioni di servizio indicanti principi e criteri direttivi, determinate tipologie di atti aventi natura ricorrente.
§ 3. Il Consiglio direttivo può attribuire a singoli membri poteri per il compimento di determinati atti o per la supervisione di determinate attività od aree di attività, stabilendone poteri, modalità di svolgimento e di informativa al Consiglio.
§ 4. Il Consiglio direttivo è convocato dal Presidente, in via ordinaria, di norma ogni trimestre e, in via straordinaria, ogni volta che se ne manifesti la necessità. Il Presidente fissa l’ordine del giorno della seduta, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie indicate nell’ordine del giorno vengano fornite a tutti i componenti.
§ 5. L’avviso di convocazione contenente l’ordine del giorno deve pervenire ai singoli componenti almeno cinque giorni prima di quello fissato per la riunione con mezzi che ne garantiscano il ricevimento; nei casi di urgenza la convocazione è effettuata con avviso da trasmettere con telefax, posta elettronica o altro mezzo di comunicazione urgente almeno un giorno prima della seduta.
§ 6. Le riunioni del Consiglio, che possono essere tenute anche in videoconferenza, sono prese a maggioranza assoluta dei voti dei membri presenti e all’unanimità qualora siano presenti tre membri; in caso di parità prevale il voto di chi presiede. Per la validità delle adunanze del Consiglio è necessaria la presenza di almeno tre membri.
§ 7. Delle adunanze e delle deliberazioni del Consiglio deve redigersi verbale da iscriversi nel relativo libro da firmarsi a cura del Presidente e del segretario. Il libro e gli estratti del medesimo, certificati conformi dal Presidente e dal segretario, fanno prova delle adunanze e delle deliberazioni del Consiglio.
Articolo 6
Direttore e personale dell’Autorità
§ 1. Il Direttore, in possesso di adeguata e comprovata competenza e professionalità in campo giuridico-finanziario ed informatico maturata nelle materie istituzionali dell’Autorità, è nominato dal Presidente con il nulla osta del Segretario di Stato.
§ 2. Il Direttore:
a) è responsabile dell’attività operativa dell’Autorità;
b) coordina l’attività del personale addetto ai fini dell’esecuzione dei programmi e dei compiti dell’Autorità;
c) sottopone al Consiglio direttivo ogni atto che non rientri nelle sue competenze;
d) è normalmente invitato a partecipare alle adunanze del Consiglio direttivo;
e) cura l’Amministrazione dell’Autorità.
§ 3. Il personale dell’Autorità, di norma in possesso di un’adeguata esperienza professionale nelle materie istituzionali della medesima, viene assunto dal Presidente dell’Autorità con il nulla osta del Segretario di Stato.
Articolo 7
Segreto
§ 1. I soggetti menzionati negli articoli di cui al presente Capo sono obbligati al più rigoroso segreto per tutto ciò che riguarda l’Autorità ed i suoi rapporti con i terzi.
§ 2. L’obbligo di segreto non è di ostacolo all’adempimento degli obblighi in materia di cooperazione internazionale e nei confronti dell’Autorità Giudiziaria, inquirente e giudicante, quando le informazioni richieste siano necessarie per le indagini o per i procedimenti relativi a violazioni sanzionate penalmente.
CAPO III
Articolo 8
Risorse, contabilità e bilancio
§ 1. All’Autorità di Informazione Finanziaria sono attribuiti mezzi finanziari e risorse idonei ad assicurare l’efficace perseguimento dei suoi fini istituzionali.
§ 2. Il Consiglio direttivo, entro il trentuno marzo di ogni anno, deve approvare il bilancio di esercizio relativo all’anno precedente.
§ 3. L’esercizio si chiude il trentuno dicembre di ogni anno.
§ 4. Il Presidente, dopo l’approvazione, trasmette il bilancio di esercizio al Cardinale Segretario di Stato.
CAPO IV
Articolo 9
Relazione sull’attività
§ 1. L’Autorità di Informazione Finanziaria trasmette al Segretario di Stato una relazione sulla propria attività nei termini previsti dalla legge.
CAPO V
Articolo 10
Approvazione e pubblicazione
§ 1. Il presente Statuto è approvato e sarà pubblicato in "Acta Apostolicae Sedis".
§ 2. Per quanto non disposto da questo Statuto si applicano le vigenti disposizioni canoniche e civili vaticane.
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> LEGGE N. CXXVII DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO
Concernente la prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo
BENEDETTO XVI: I CRISTIANI SIANO PER L'UMANITÀ LA STELLA CHE GUIDÒ I MAGI - Angelus nella solennità dell'Epifania del Signore
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 6 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo dell'intervento di Benedetto XVI in occasione della recita della preghiera mariana dell'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro nella solennità dell'Epifania del Signore.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Celebriamo oggi l’Epifania, la manifestazione di Gesù a tutte le genti, rappresentate dai Magi, che giunsero a Betlemme dall’Oriente per rendere omaggio al Re dei Giudei, la cui nascita essi avevano conosciuto dall’apparire di una nuova stella nel cielo (cfr Mt 2,1-12). In effetti, prima dell’arrivo dei Magi, la conoscenza di questo avvenimento era andata poco al di là della cerchia familiare: oltre che a Maria e a Giuseppe, e probabilmente ad altri parenti, esso era noto ai pastori di Betlemme, i quali, udito il gioioso annuncio, erano accorsi a vedere il bambino mentre ancora giaceva nella mangiatoia. La venuta del Messia, l’atteso delle genti predetto dai Profeti, rimaneva così inizialmente nel nascondimento. Finché, appunto, giunsero a Gerusalemme quei misteriosi personaggi, i Magi, a domandare notizie del "re dei Giudei", nato da poco. Ovviamente, trattandosi di un re, si recarono al palazzo reale, dove risiedeva Erode. Ma questi non sapeva nulla di tale nascita e, molto preoccupato, convocò subito i sacerdoti e gli scribi, i quali, sulla base della celebre profezia di Michea (cfr 5,1), affermarono che il Messia doveva nascere a Betlemme. E infatti, ripartiti in quella direzione, i Magi videro di nuovo la stella, che li guidò fino al luogo dove si trovava Gesù. Entrati, si prostrarono e lo adorarono, offrendo doni simbolici: oro, incenso e mirra. Ecco l’epifania, la manifestazione: la venuta e l’adorazione dei Magi è il primo segno della singolare identità del figlio di Dio, che è anche figlio della Vergine Maria. Da allora cominciò a propagarsi la domanda che accompagnerà tutta la vita di Cristo, e che in vari modi attraversa i secoli: chi è questo Gesù?
Cari amici, questa è la domanda che la Chiesa vuole suscitare nel cuore di tutti gli uomini: chi è Gesù? Questa è l’ansia spirituale che spinge la missione della Chiesa: far conoscere Gesù, il suo Vangelo, perché ogni uomo possa scoprire sul suo volto umano il volto di Dio, e venire illuminato dal suo mistero d’amore. L’Epifania preannuncia l’apertura universale della Chiesa, la sua chiamata ad evangelizzare tutte le genti. Ma l’Epifania ci dice anche in che modo la Chiesa realizza questa missione: riflettendo la luce di Cristo e annunciando la sua Parola. I cristiani sono chiamati ad imitare il servizio che fece la stella per i Magi. Dobbiamo risplendere come figli della luce, per attirare tutti alla bellezza del Regno di Dio. E a quanti cercano la verità, dobbiamo offrire la Parola di Dio, che conduce a riconoscere in Gesù "il vero Dio e la vita eterna" (1 Gv 5,20).
Ancora una volta, sentiamo in noi una profonda riconoscenza per Maria, la Madre di Gesù. Ella è l’immagine perfetta della Chiesa che dona al mondo la luce di Cristo: è la Stella dell’evangelizzazione. "Respice Stellam", ci dice san Bernardo: guarda la Stella, tu che vai in cerca della verità e della pace; volgi lo sguardo a Maria, e Lei ti mostrerà Gesù, luce per ogni uomo e per tutti i popoli.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo di cuore il mio saluto e i più fervidi auguri ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Orientali che domani celebreranno il Santo Natale. La bontà di Dio, apparsa in Gesù Cristo, Verbo incarnato, rafforzi in tutti la fede, la speranza e la carità, e dia conforto alle comunità che sono nella prova.
Ricordo poi che l’Epifania è la Giornata Missionaria dei Bambini, proposta dalla Pontificia Opera della Santa Infanzia. Tanti bambini e ragazzi, organizzati nelle parrocchie e nelle scuole, formano una rete spirituale e di solidarietà per aiutare i loro coetanei più in difficoltà. È molto bello e importante che i bambini crescano con una mentalità aperta al mondo, con sentimenti di amore e di fraternità, superando l’egocentrismo e il consumismo. Cari bambini e ragazzi, con la vostra preghiera e il vostro impegno voi collaborate alla missione della Chiesa. Vi ringrazio per questo e vi benedico!
Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani dell’Oratorio San Vittore di Verbania e i partecipanti al corteo storico-folcloristico, che quest’anno è animato dalle famiglie di Città di Castello e dell’Alta Valle del Tevere. A tutti auguro una buona festa dell’Epifania.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
OMELIA DI BENEDETTO XVI NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 6 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'omelia che il Papa ha pronunciato questo giovedì, solennità dell'Epifania del Signore, celebrando la Messa nella Basilica vaticana.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
nella solennità dell’Epifania la Chiesa continua a contemplare e a celebrare il mistero della nascita di Gesù salvatore. In particolare, la ricorrenza odierna sottolinea la destinazione e il significato universali di questa nascita. Facendosi uomo nel grembo di Maria, il Figlio di Dio è venuto non solo per il popolo d’Israele, rappresentato dai pastori di Betlemme, ma anche per l’intera umanità, rappresentata dai Magi. Ed è proprio sui Magi e sul loro cammino alla ricerca del Messia (cfr Mt 2,1-12) che la Chiesa ci invita oggi a meditare e a pregare. Nel Vangelo abbiamo ascoltato che essi, giunti a Gerusalemme dall’Oriente, domandano: "Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo" (v. 2). Che genere di persone erano, e che specie di stella era quella? Essi erano probabilmente dei sapienti che scrutavano il cielo, ma non per cercare di "leggere" negli astri il futuro, eventualmente per ricavarne un guadagno; erano piuttosto uomini "in ricerca" di qualcosa di più, in ricerca della vera luce, che sia in grado di indicare la strada da percorrere nella vita. Erano persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la "firma" di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare. Forse il modo per conoscere meglio questi Magi e cogliere il loro desiderio di lasciarsi guidare dai segni di Dio è soffermarci a considerare ciò che essi trovarono, nel loro cammino, nella grande città di Gerusalemme.
Anzitutto incontrarono il re Erode. Certamente egli era interessato al bambino di cui parlavano i Magi; non però allo scopo di adorarlo, come vuole far intendere mentendo, ma per sopprimerlo. Erode è un uomo di potere, che nell’altro riesce a vedere solo un rivale da combattere. In fondo, se riflettiamo bene, anche Dio gli sembra un rivale, anzi, un rivale particolarmente pericoloso, che vorrebbe privare gli uomini del loro spazio vitale, della loro autonomia, del loro potere; un rivale che indica la strada da percorrere nella vita e impedisce, così, di fare tutto ciò che si vuole. Erode ascolta dai suoi esperti delle Sacre Scritture le parole del profeta Michea (5,1), ma il suo unico pensiero è il trono. Allora Dio stesso deve essere offuscato e le persone devono ridursi ad essere semplici pedine da muovere nella grande scacchiera del potere. Erode è un personaggio che non ci è simpatico e che istintivamente giudichiamo in modo negativo per la sua brutalità. Ma dovremmo chiederci: forse c’è qualcosa di Erode anche in noi? Forse anche noi, a volte, vediamo Dio come una sorta di rivale? Forse anche noi siamo ciechi davanti ai suoi segni, sordi alle sue parole, perché pensiamo che ponga limiti alla nostra vita e non ci permetta di disporre dell’esistenza a nostro piacimento? Cari fratelli e sorelle, quando vediamo Dio in questo modo finiamo per sentirci insoddisfatti e scontenti, perché non ci lasciamo guidare da Colui che sta a fondamento di tutte le cose. Dobbiamo togliere dalla nostra mente e dal nostro cuore l’idea della rivalità, l’idea che dare spazio a Dio sia un limite per noi stessi; dobbiamo aprirci alla certezza che Dio è l’amore onnipotente che non toglie nulla, non minaccia, anzi, è l’Unico capace di offrirci la possibilità di vivere in pienezza, di provare la vera gioia.
I Magi poi incontrano gli studiosi, i teologi, gli esperti che sanno tutto sulle Sacre Scritture, che ne conoscono le possibili interpretazioni, che sono capaci di citarne a memoria ogni passo e che quindi sono un prezioso aiuto per chi vuole percorrere la via di Dio. Ma, afferma sant’Agostino, essi amano essere guide per gli altri, indicano la strada, ma non camminano, rimangono immobili. Per loro le Scritture diventano una specie di atlante da leggere con curiosità, un insieme di parole e di concetti da esaminare e su cui discutere dottamente. Ma nuovamente possiamo domandarci: non c’è anche in noi la tentazione di ritenere le Sacre Scritture, questo tesoro ricchissimo e vitale per la fede della Chiesa, più come un oggetto per lo studio e la discussione degli specialisti, che come il Libro che ci indica la via per giungere alla vita? Penso che, come ho indicato nell’Esortazione apostolica Verbum Domini, dovrebbe nascere sempre di nuovo in noi la disposizione profonda a vedere la parola della Bibbia, letta nella Tradizione viva della Chiesa (n. 18), come la verità che ci dice che cosa è l’uomo e come può realizzarsi pienamente, la verità che è la via da percorrere quotidianamente, insieme agli altri, se vogliamo costruire la nostra esistenza sulla roccia e non sulla sabbia.
E veniamo così alla stella. Che tipo di stella era quella che i Magi hanno visto e seguito? Lungo i secoli questa domanda è stata oggetto di discussione tra gli astronomi. Keplero, ad esempio, riteneva che si trattasse di una "nova" o una "supernova", cioè di una di quelle stelle che normalmente emanano una luce debole, ma che possono avere improvvisamente una violenta esplosione interna che produce una luce eccezionale. Certo, cose interessanti, ma che non ci guidano a ciò che è essenziale per capire quella stella. Dobbiamo riandare al fatto che quegli uomini cercavano le tracce di Dio; cercavano di leggere la sua "firma" nella creazione; sapevano che "i cieli narrano la gloria di Dio" (Sal 19,2); erano certi, cioè che Dio può essere intravisto nel creato. Ma, da uomini saggi, sapevano pure che non è con un telescopio qualsiasi, ma con gli occhi profondi della ragione alla ricerca del senso ultimo della realtà e con il desiderio di Dio mosso dalla fede, che è possibile incontrarlo, anzi si rende possibile che Dio si avvicini a noi. L’universo non è il risultato del caso, come alcuni vogliono farci credere. Contemplandolo, siamo invitati a leggervi qualcosa di profondo: la sapienza del Creatore, l’inesauribile fantasia di Dio, il suo infinito amore per noi. Non dovremmo lasciarci limitare la mente da teorie che arrivano sempre solo fino a un certo punto e che – se guardiamo bene – non sono affatto in concorrenza con la fede, ma non riescono a spiegare il senso ultimo della realtà. Nella bellezza del mondo, nel suo mistero, nella sua grandezza e nella sua razionalità non possiamo non leggere la razionalità eterna, e non possiamo fare a meno di farci guidare da essa fino all’unico Dio, creatore del cielo e della terra. Se avremo questo sguardo, vedremo che Colui che ha creato il mondo e Colui che è nato in una grotta a Betlemme e continua ad abitare in mezzo a noi nell’Eucaristia, sono lo stesso Dio vivente, che ci interpella, ci ama, vuole condurci alla vita eterna.
Erode, gli esperti delle Scritture, la stella. Ma seguiamo il cammino dei Magi che giungono a Gerusalemme. Sopra la grande città la stella sparisce, non si vede più. Che cosa significa? Anche in questo caso dobbiamo leggere il segno in profondità. Per quegli uomini era logico cercare il nuovo re nel palazzo reale, dove si trovavano i saggi consiglieri di corte. Ma, probabilmente con loro stupore, dovettero costatare che quel neonato non si trovava nei luoghi del potere e della cultura, anche se in quei luoghi venivano offerte loro preziose informazioni su di lui. Si resero conto, invece, che, a volte, il potere, anche quello della conoscenza, sbarra la strada all’incontro con quel Bambino. La stella li guidò allora a Betlemme, una piccola città; li guidò tra i poveri, tra gli umili, per trovare il Re del mondo. I criteri di Dio sono differenti da quelli degli uomini; Dio non si manifesta nella potenza di questo mondo, ma nell’umiltà del suo amore, quell’amore che chiede alla nostra libertà di essere accolto per trasformarci e renderci capaci di arrivare a Colui che è l’Amore. Ma anche per noi le cose non sono poi così diverse da come lo erano per i Magi. Se ci venisse chiesto il nostro parere su come Dio avrebbe dovuto salvare il mondo, forse risponderemmo che avrebbe dovuto manifestare tutto il suo potere per dare al mondo un sistema economico più giusto, in cui ognuno potesse avere tutto ciò che vuole. In realtà, questo sarebbe una sorta di violenza sull’uomo, perché lo priverebbe di elementi fondamentali che lo caratterizzano. Infatti, non sarebbero chiamati in causa né la nostra libertà, né il nostro amore. La potenza di Dio si manifesta in modo del tutto differente: a Betlemme, dove incontriamo l’apparente impotenza del suo amore. Ed è là che noi dobbiamo andare, ed è là che ritroviamo la stella di Dio.
Così ci appare ben chiaro anche un ultimo elemento importante della vicenda dei Magi: il linguaggio del creato ci permette di percorrere un buon tratto di strada verso Dio, ma non ci dona la luce definitiva. Alla fine, per i Magi è stato indispensabile ascoltare la voce delle Sacre Scritture: solo esse potevano indicare loro la via. E’ la Parola di Dio la vera stella, che, nell’incertezza dei discorsi umani, ci offre l’immenso splendore della verità divina. Cari fratelli e sorelle, lasciamoci guidare dalla stella, che è la Parola di Dio, seguiamola nella nostra vita, camminando con la Chiesa, dove la Parola ha piantato la sua tenda. La nostra strada sarà sempre illuminata da una luce che nessun altro segno può darci. E potremo anche noi diventare stelle per gli altri, riflesso di quella luce che Cristo ha fatto risplendere su di noi. Amen.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
BENEDETTO XVI: IL NATALE CI INVITA A LASCIARCI TRASFORMARE DA DIO - All'Udienza generale del mercoledì - ROMA, giovedì, 6 gennaio 2011 (ZENIT.org)
ROMA, giovedì, 6 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI durante l'Udienza generale svoltasi nell’Aula Paolo VI.
Nel suo discorso, il Papa si è soffermato ancora sul tempo liturgico del Natale.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Sono lieto di accogliervi in questa prima Udienza generale del nuovo anno e di tutto cuore porgo a voi e alle vostre famiglie fervidi auguri. Il Signore del tempo e della storia guidi i nostri passi sulla via del bene e conceda a ciascuno abbondanza di grazia e prosperità. Ancora circondati dalla luce del Santo Natale, che ci invita alla gioia per la venuta del Salvatore, siamo oggi alla vigilia dell’Epifania, in cui celebriamo la manifestazione del Signore a tutte le genti. La festa del Natale affascina oggi come una volta, più di altre grandi feste della Chiesa; affascina perché tutti in qualche modo intuiscono che la nascita di Gesù ha a che fare con le aspirazioni e le speranze più profonde dell’uomo. Il consumismo può distogliere da questa interiore nostalgia, ma se nel cuore c’è il desiderio di accogliere quel Bambino che porta la novità di Dio, che è venuto per donarci la vita in pienezza, le luci degli addobbi natalizi possono diventare piuttosto un riflesso della Luce che si è accesa con l’incarnazione di Dio.
Nelle celebrazioni liturgiche di questi giorni santi abbiamo vissuto in modo misterioso ma reale l’ingresso del Figlio di Dio nel mondo e siamo stati illuminati ancora una volta dalla luce del suo fulgore. Ogni celebrazione è presenza attuale del mistero di Cristo e in essa si prolunga la storia della salvezza. A proposito del Natale, il Papa san Leone Magno afferma: "Anche se la successione delle azioni corporee ora è passata, come è stato ordinato in anticipo nel disegno eterno…, tuttavia noi adoriamo continuamente lo stesso parto della Vergine che produce la nostra salvezza" (Sermone sul Natale del Signore 29,2), e precisa: "perché quel giorno non è passato in modo tale che sia anche passata la potenza dell’opera che allora fu rivelata" (Sermone sull’Epifania 36,1). Celebrare gli eventi dell’incarnazione del Figlio di Dio non è semplice ricordo di fatti del passato, ma è rendere presenti quei misteri portatori di salvezza. Nella Liturgia, nella celebrazione dei Sacramenti, quei misteri si rendono attuali e diventano efficaci per noi, oggi. Ancora san Leone Magno afferma: "Tutto ciò che il Figlio di Dio fece e insegnò per riconciliare il mondo, non lo conosciamo soltanto nel racconto di azioni compiute nel passato, ma siamo sotto l’effetto del dinamismo di tali azioni presenti" (Sermone 52,1).
Nella Costituzione sulla sacra liturgia, il Concilio Vaticano II sottolinea come l’opera della salvezza realizzata da Cristo continua nella Chiesa mediante la celebrazione dei santi misteri, grazie all’azione dello Spirito Santo. Già nell’Antico Testamento, nel cammino verso la pienezza della fede, abbiamo testimonianze di come la presenza e l’azione di Dio sia mediata attraverso i segni, ad esempio, quello del fuoco (cfr Es 3,2ss; 19,18). Ma a partire dall’Incarnazione avviene qualcosa di sconvolgente: il regime di contatto salvifico con Dio si trasforma radicalmente e la carne diventa lo strumento della salvezza: "Verbum caro factum est", "il Verbo si fece carne", scrive l’evangelista Giovanni e un autore cristiano del III secolo, Tertulliano, afferma: "Caro salutis est cardo", "la carne è il cardine della salvezza" (De carnis resurrectione, 8,3: PL 2,806).
Il Natale è già la primizia del "sacramentum-mysterium paschale", è cioè l’inizio del mistero centrale della salvezza che culmina nella passione, morte e risurrezione, perché Gesù comincia l’offerta di se stesso per amore fin dal primo istante della sua esistenza umana nel grembo della Vergine Maria. La notte di Natale è quindi profondamente legata alla grande veglia notturna della Pasqua, quando la redenzione si compie nel sacrificio glorioso del Signore morto e risorto. Lo stesso presepio, quale immagine dell’incarnazione del Verbo, alla luce del racconto evangelico, allude già alla Pasqua ed è interessante vedere come in alcune icone della Natività nella tradizione orientale, Gesù Bambino venga rappresentato avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia che ha la forma di un sepolcro; un’allusione al momento in cui Egli verrà deposto dalla croce, avvolto in un lenzuolo e messo in un sepolcro scavato nella roccia (cfr Lc 2,7; 23,53). Incarnazione e Pasqua non stanno una accanto all’altra, ma sono i due punti chiave inseparabili dell’unica fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio Incarnato e Redentore. Croce e Risurrezione presuppongono l’Incarnazione. Solo perché veramente il Figlio, e in Lui Dio stesso, "è disceso" e "si è fatto carne", morte e risurrezione di Gesù sono eventi che risultano a noi contemporanei e ci riguardano, ci strappano dalla morte e ci aprono ad un futuro in cui questa "carne", l’esistenza terrena e transitoria, entrerà nell’eternità di Dio. In questa prospettiva unitaria del Mistero di Cristo, la visita al presepio orienta alla visita all’Eucaristia, dove incontriamo presente in modo reale il Cristo crocifisso e risorto, il Cristo vivente.
La celebrazione liturgica del Natale, allora, non è solo ricordo, ma è soprattutto mistero; non è solo memoria, ma anche presenza. Per cogliere il senso di questi due aspetti inscindibili, occorre vivere intensamente tutto il Tempo natalizio come la Chiesa lo presenta. Se lo consideriamo in senso lato, esso si estende per quaranta giorni, dal 25 dicembre al 2 febbraio, dalla celebrazione della Notte di Natale, alla Maternità di Maria, all’Epifania, al Battesimo di Gesù, alle nozze di Cana, alla Presentazione al Tempio, proprio in analogia con il Tempo pasquale, che forma un’unità di cinquanta giorni, fino alla Pentecoste. La manifestazione di Dio nella carne è l’avvenimento che ha rivelato la Verità nella storia. Infatti, la data del 25 dicembre, collegata all’idea della manifestazione solare – Dio che appare come luce senza tramonto sull’orizzonte della storia –, ci ricorda che non si tratta solo di un’idea, quella che Dio è la pienezza della luce, ma di una realtà per noi uomini già realizzata e sempre attuale: oggi, come allora, Dio si rivela nella carne, cioè nel "corpo vivo" della Chiesa peregrinante nel tempo, e nei Sacramenti ci dona oggi la salvezza.
I simboli delle celebrazioni natalizie, richiamati dalle Letture e dalle preghiere, danno alla liturgia di questo Tempo un senso profondo di "epifania" di Dio nel suo Cristo-Verbo incarnato, cioè di "manifestazione" che possiede anche un significato escatologico, orienta cioè agli ultimi tempi. Già nell’Avvento le due venute, quella storica e quella alla fine della storia, erano direttamente collegate; ma è in particolare nell’Epifania e nel Battesimo di Gesù che la manifestazione messianica si celebra nella prospettiva delle attese escatologiche: la consacrazione messianica di Gesù, Verbo incarnato, mediante l’effusione dello Spirito Santo in forma visibile, porta a compimento il tempo delle promesse e inaugura i tempi ultimi.
Occorre riscattare questo Tempo natalizio da un rivestimento troppo moralistico e sentimentale. La celebrazione del Natale non ci propone solo degli esempi da imitare, quali l’umiltà e la povertà del Signore, la sua benevolenza e amore verso gli uomini; ma è piuttosto l’invito a lasciarci trasformare totalmente da Colui che è entrato nella nostra carne. San Leone Magno esclama: "il Figlio di Dio … si è congiunto a noi e ha congiunto noi a sé in modo tale che l’abbassamento di Dio fino alla condizione umana divenisse un innalzamento dell’uomo fino alle altezze di Dio" (Sermone sul Natale del Signore 27,2). La manifestazione di Dio è finalizzata alla nostra partecipazione alla vita divina, alla realizzazione in noi del mistero della sua incarnazione. Tale mistero è il compimento della vocazione dell’uomo. Ancora san Leone Magno spiega l’importanza concreta e sempre attuale per la vita cristiana del mistero del Natale: "le parole del Vangelo e dei Profeti … infiammano il nostro spirito e ci insegnano a comprendere la Natività del Signore, questo mistero del Verbo fatto carne, non tanto come un ricordo di un avvenimento passato, quanto come un fatto che si svolge sotto i nostri occhi… è come se ci venisse ancora proclamato nella solennità odierna: «Vi do l’annunzio di una grande gioia, che sarà per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore che è il Cristo Signore»" (Sermone sul Natale del Signore 29,1). Ed aggiunge: "Riconosci, cristiano, la tua dignità, e, fatto partecipe della natura divina, bada di non ricadere, con una condotta indegna, da tale grandezza, nella primitiva bassezza" (Sermone 1 sul Natale del Signore, 3).
Cari amici, viviamo questo Tempo natalizio con intensità: dopo aver adorato il Figlio di Dio fatto uomo e deposto nella mangiatoia, siamo chiamati a passare all’altare del Sacrificio, dove Cristo, il Pane vivo disceso dal cielo, si offre a noi quale vero nutrimento per la vita eterna. E ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi, alla mensa della Parola e del Pane di Vita, ciò che abbiamo contemplato, ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo fatto carne, annunciamolo con gioia al mondo e testimoniamolo generosamente con tutta la nostra vita. Rinnovo di cuore a tutti voi e ai vostri cari sentiti auguri per il Nuovo Anno e vi auguro una buona festività dell’Epifania.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli di Caravaggio, la delegazione delle Associazioni sportive di Trani, i rappresentanti dell’Associazione PUER, di Roma. Tutti esorto a rinsaldare con entusiasmo il generoso impegno di testimonianza evangelica.
Saluto infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Domani, solennità dell’Epifania del Signore, ricorderemo il cammino dei Magi verso Cristo, guidati dalla luce della stella. Il loro esempio, cari giovani, alimenti in voi il desiderio di incontrare Gesù e di trasmettere a tutti la gioia del suo Vangelo; conduca voi, cari ammalati, ad offrire al Bambino di Betlemme i vostri dolori e le sofferenze, resi preziosi dalla fede; costituisca per voi, cari sposi novelli, costante stimolo a rendere le vostre famiglie "piccole chiese", accoglienti dei segni misteriosi di Dio e del dono della vita.
[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]
Natale di sangue tra il Nilo e l'Indo - La violenza islamista ha sempre più come bersaglio i cristiani e i loro difensori. Le ultime micidiali aggressioni a Baghdad, Alessandria d'Egitto e Lahore. La "ragionevole" proposta del papa ai musulmani continua a non trovare ascolto di Sandro Magister
ROMA, 7 gennaio 2011 – Che in molte regioni del mondo i cristiani siano oggi "la minoranza più oppressa e tormentata" è un dato di fatto che è entrato prepotentemente e in termini nuovi nel linguaggio della suprema autorità della Chiesa cattolica.
Nel discorso prenatalizio alla curia romana del 20 dicembre scorso – il discorso in cui ogni anno il papa fa il punto sulle questioni capitali della Chiesa – Benedetto XVI ha usato per la prima volta la parola "cristianofobia".
Come tema per la giornata mondiale della pace che si è celebrata lo scorso Capodanno, il papa ha scelto la libertà di fede: tema giudicato necessario dopo un anno tanto "segnato dalla persecuzione, dalla discriminazione, da terribili atti di violenza e di intolleranza religiosa".
All'Angelus di domenica 2 gennaio il papa ha definito "strategia di violenze" che "offende Dio l'umanità intera" quella che prende di mira i cristiani.
E tornerà sicuramente su questi temi nel discorso che terrà lunedì prossimo, 10 gennaio, come ad ogni inizio d'anno, al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
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Gli attacchi recenti che più hanno impressionato le autorità della Chiesa – il papa li ha definiti "vili" – sono stati quello del 31 ottobre contro la cattedrale siro-cattolica di Baghdad e quello del 31 dicembre contro la chiesa copta dei Santi Marco e Pietro di Alessandria d'Egitto, con molte decine di morti e di feriti.
In entrambi i casi l'aggressione è avvenuta quando le chiese erano gremite di fedeli per la messa.
E in entrambi i casi le motivazioni dell'attacco hanno mostrato tratti comuni. Tipicamente religiosi, per un islam "puro" contro infedeli e apostati. Nel rivendicare l'aggressione alla chiesa di Baghdad, gli autori della strage hanno incluso tra i loro moventi anche la vendetta per il presunto sequestro, da parte dei copti, di due donne egiziane convertite dal cristianesimo all'islam, Wafa Costantine e Camelia Shehata.
La Chiesa copta ha sempre affermato che tali conversioni non sono mai avvenute e che le due donne, mogli di sacerdoti, sono sotto protezione per timore che siano rapite.
Ma sono quattro anni che tale accusa viene continuamente martellata, con una campagna simile a quella che in Occidente si fa per salvare dal patibolo l'iraniana Sakineh. Lo scorso 31 dicembre, subito dopo la predica del venerdì, dalla moschea che è a duecento metri dalla chiesa dei copti di Alessandria d’Egitto che poche ore dopo sarebbe stata attaccata, partì un corteo di musulmani che reclamavano la liberazione delle due donne.
I cristiani e le loro chiese sono divenuti il bersaglio principale e dichiarato delle cellule islamiste. È un bersaglio facile ed efficace, che immediatamente conquista le prime pagine dei media di tutto il mondo, con molta più visibilità delle stragi tra musulmani sunniti e sciiti, che pur continuano, e con effetti più forti sulle popolazioni e gli stati. In Iraq, in Egitto, nell'intero Medio Oriente, in Asia, in Africa e persino in Europa.
Anche in Nigeria, ad esempio, dove le sanguinose aggressioni tra cristiani e musulmani erano fino a ieri giudicate dalle autorità della Chiesa sostanzialmente "politiche", il giudizio è mutato.
Alla vigilia di Natale una serie di esplosioni contro chiese a Jos, capitale dello Stato nigeriano di Plateau, hanno provocato 86 morti e un centinaio di feriti. Nei giorni successivi diversi luoghi di culto cristiani sono stati attaccati da uomini armati nell’area di Maiduguri, nel nordest della Nigeria, provocando altre vittime. Gli assalti sono stati rivendicati dalla setta islamista Boko Haram. Il 4 gennaio scorso, l'arcivescovo di Jos, Ignatius Ayau Kaigama, ha dichiarato all'agenzia vaticana "Fides":
"In passato gli scontri a Jos e dintorni avevano una componente religiosa che era mischiata ad altre motivazioni: le frustrazioni dei giovani disoccupati; le rivalità tra pastori e agricoltori; le tensioni etniche tra indigeni e immigrati da altre regioni del Paese. Questi attacchi di Natale hanno invece un chiaro significato religioso perché si sono voluti colpire i simboli del cristianesimo durante la sua festività più sacra, assieme alla Pasqua. In secondo luogo, negli scontri passati si è fatto uso di armi da taglio e di qualche fucile. In questo caso, invece, si è fatto uso di esplosivo. Anche per questo penso che gli ultimi avvenimenti vadano oltre la Nigeria".
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Ma l'ultimo caso clamoroso, che ancor di più convince le autorità della Chiesa a vedere all'opera nel mondo islamico una generale "strategia di violenze" anticristiana, è stata l'uccisione in Pakistan, il 4 gennaio, di Salman Taseer, governatore del Punjab e futuro potenziale primo ministro.
Taseer è musulmano. Ma la sua colpa – dichiarata dal suo stesso uccisore, una sua guardia del corpo – è stata di voler abrogare la legge che in Pakistan punisce la bestemmia ed è usata strumentalmente per far condannare a morte singoli cristiani con accuse pretestuose.
Di più. Taseer si è battuto per salvare dall'esecuzione, a motivo di questa legge, una cristiana pakistana di nome Asia Bibi.
La campagna a favore di Asia Bibi è in corso da tempo in diversi paesi. In Italia, gli appelli per la sua salvezza sono propagandati con molto vigore dai due media della conferenza episcopale, il quotidiano "Avvenire" e il canale televisivo TV 2000.
Alla vigilia di Natale Taseer aveva incontrato l'arcivescovo di Lahore, la capitale del Punjab, Lawrence John Saldanha. Il quale, dopo la sua uccisione, ha dichiarato all'inviato di "Avvenire":
"In Pakistan esiste uno scontro tra islam ortodosso e islam liberale. È una lotta che si trascina dalla nascita del paese e oggi è arrivata a una soglia critica. Dove a prevalere sono violenza e attentati. Dove talebani e gruppi terroristi legati ad al-Qaeda minacciano non solo le minoranze religiose ma tutti i cittadini. Noi cristiani, in questa situazione, siamo un 'soft target', un obiettivo facile".
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Lo scorso ottobre i vescovi del Medio Oriente hanno tenuto a Roma un sinodo speciale dedicato alla loro regione, nella quale la Chiesa ha avuto la sua prima grande fioritura ma dalla quale i cristiani rischiano qua e là di scomparire, spinti all'esilio dalle continue aggressioni.
Ogni paese ha caratteri peculiari, e così la resistenza dei cristiani. In Libano, negli anni della guerra civile, i cristiani combattevano con proprie milizie armate. In Egitto i copti protestano vivacemente nelle piazze e si scontrano con la polizia. In Nigeria talora avviene che assaltino delle moschee.
Ma quasi ovunque la resistenza dei cristiani è pacifica. L'Iraq è oggi l'esempio più clamoroso di stragi compiute contro vittime innocenti e inermi, uccise solo perché credenti in Cristo.
E pensare che proprio dall'Iraq è nata la parola "genocidio". La coniò nel 1943 un avvocato ebreo polacco, Raphael Lemkin, grande promotore di cause umanitarie, dopo aver studiato il sistematico sterminio di cristiani assiri compiuto dieci anni prima dai governanti musulmani della nuova nazione irachena sorta dal disfacimento dell'impero ottomano.
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Insomma, i fatti recenti confermano i giudizi di fondo di papa Joseph Ratzinger sull'islam, sul suo non risolto rapporto tra fede e ragione, da cui nasce la violenza contro infedeli ed apostati.
Nello stesso anno della lezione di Ratisbona, il 2006, Benedetto XVI si recò anche in Turchia. E prima di Natale, nel discorso alla curia, lanciò al mondo musulmano questa proposta rivoluzionaria:
"In un dialogo da intensificare con l'Islam dovremo tener presente il fatto che il mondo musulmano si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi dell'illuminismo e che il Concilio Vaticano II, come frutto di una lunga ricerca faticosa, ha portato a soluzioni concrete per la Chiesa cattolica. [...]
"Da una parte, ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi specifici criteri di misura.
"D'altra parte, è necessario accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione. Come nella comunità cristiana c'è stata una lunga ricerca circa la giusta posizione della fede di fronte a quelle convinzioni – una ricerca che certamente non sarà mai conclusa definitivamente – così anche il mondo islamico con la propria tradizione sta davanti al grande compito di trovare a questo riguardo le soluzioni adatte.
"Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in questo impegno per trovare le soluzioni giuste. Noi cristiani ci sentiamo solidali con tutti coloro che, proprio in base alla loro convinzione religiosa di musulmani, s'impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà. In questo senso, i due dialoghi di cui ho parlato si compenetrano a vicenda".
L'attuale "strategia di violenze" anticristiana è la prova che da questa rivoluzione illuminista, invocata da papa Benedetto, il mondo islamico è drammaticamente lontano.
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PER IL GRANDE IMAM AL-TAYYEB LA COLPA È SEMPRE DEL PAPA
Alle parole dette da Benedetto XVI all'Angelus del 2 gennaio – di condanna del "vile gesto di morte" compiuto ad Alessandria d'Egitto, di preghiera per le vittime e di sostegno per le comunità cristiane colpite dalla violenza – il grande imam della moschea di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, ha reagito accusando il papa di "ingerenza", di "un intervento inaccettabile negli affari dell'Egitto", e infine, in un'intervista al "Corriere della Sera" del 6 gennaio, di "creare una reazione politica negativa nell'Oriente in generale e in Egitto in particolare".
Ha quindi sfidato Benedetto XVI a riparare lui i guasti di cui sarebbe colpevole:
"Spero che Sua Santità Benedetto XVI decida di inviare un messaggio al mondo islamico. Un messaggio che possa ristabilire i ponti di fiducia e che dissipi le origini dei malintesi".
Doverosamente il "Corriere" ha affiancato all'intervista questo corsivo critico, di Luigi Ippolito:
"Il grande imam Ahmed al-Tayyeb è un uomo di fede che merita ascolto e rispetto. Ma nelle sue parole – quelle pronunciate il giorno dopo la strage di Alessandria e quelle ribadite oggi al 'Corriere' – c'è qualcosa che stride. È la sua disposizione intellettuale di fondo, si potrebbe dire, che suscita perplessità: all'indomani della più grave strage di cristiani compiuta in Egitto in epoca recente si è sentito in dovere di rimbeccare il papa che chiedeva protezione per i fedeli in Oriente; e anche adesso è lui che continua a chiedere al Vaticano un gesto distensivo verso i musulmani. Come se sull'altra sponda del Mediterraneo a essere minacciati fossero i seguaci del Corano. Come se la realtà non fosse quella di una comunità cristiana diventata bersaglio privilegiato dello stragismo degli adepti di Bin Laden, dall'Iraq alle rive del Nilo. Il grande imam sembra prigioniero di uno schema mentale smentito dai fatti: a lui pare che la comunità arabo-musulmana sia perennemente vittima dei 'crociati' e dell'Occidente e debba ricevere in qualche modo riparazione sempre e comunque. Mentre invece al-Tayyeb dovrebbe indirizzare le sue esortazioni a quanti dalla sua parte non garantiscono ai cristiani d'Oriente sicurezza e libertà, o a quanti, ancora numerosi, vedono nei cristiani un corpo estraneo da espungere con la violenza da quelle terre, come sta accadendo in Mesopotamia".
Va notato che al-Tayyeb è una personalità ben conosciuta in Vaticano. È uno dei firmatari della famosa "lettera dei 138 saggi musulmani" a Benedetto XVI in risposta dialogica alla sua lezione di Ratisbona. È uno degli ospiti più riveriti dei meeting interreligiosi di pace organizzati ogni anno dalla Comunità di Sant'Egidio (dove peraltro, nel 2004, approvò pubblicamente gli atti terroristici contro i civili in Iraq e in Terra Santa). È insomma ritenuto un campione dell'islam cosiddetto "moderato".
In Egitto è stato prima gran mufti, poi rettore dell'università di al-Azhar, la più importante del mondo musulmano sunnita, e infine grande imam della prima moschea del Cairo. Sempre per nomina governativa. È quindi indubitabilmente una voce autorevolissima dell'islam non solo egiziano.
Preti pedofili, la verità e la menzogna di Andrea Tornielli 07-01-2011 da http://www.labussolaquotidiana.it
La notizia che arriva dagli Stati Uniti deve far meditare: l’avvocato americano Donald H. Steier ha consegnato alla Corte Superiore della contea di Los Angeles una memoria di dieci pagine nella quale contesta la veridicità di molte accuse di molestie sessuali a danni di minori rivolte a sacerdoti cattolici nella grande diocesi californiana.
Si badi bene: quand’anche i casi di pedofilia tra il clero si riducessero a uno solo, sarebbe uno di troppo. La ferita in molti casi insanabile che questi sacerdoti infedeli hanno provocato abusando di bambini e ragazzi rappresenta un atto gravissimo e abominevole. Nessuna consolazione può venire dalle statistiche, che mostrano come il fenomeno non sia certo un’esclusiva cattolica. Nessuno può permettersi di minimizzare.
Il danno e la controtestimonianza sono stati e continuano a essere enormi. Benedetto XVI, che già da cardinale aveva predisposto norme più severe per combattere il fenomeno e che le ha volute ulteriormente inasprire, ci ha insegnato a considerare proprio il peccato dentro la Chiesa come la persecuzione più grave per la Chiesa stessa. Una persecuzione che arriva dall’interno, non da avversari esterni.
Il Papa non ha minimizzato, non ha scaricato responsabilità, ha preso a incontrare personalmente durante i suoi viaggi le vittime dei preti pedofili. Questo atteggiamento profondamente evangelico di Benedetto XVI, che ha chiesto penitenza, purificazione e giustizia, non ci deve però far chiudere gli occhi sulla possibilità che in alcuni (pochi? molti?) di questi casi le accuse non corrispondano al vero o siano state esagerate.
Proprio questo emerge dalla relazione dell’avvocato Steier, il quale afferma che nella metà dei casi che ha preso in esame le accuse si sono dimostrate false o molto esagerate rispetto alla realtà dei fatti. Di fronte alla facilità con cui le diocesi ora liquidano lauti idennizzi, oltre alle vittime vere, si sono fatti avanti i furbi.
Nessun prete che si sia macchiato di questo atroce delitto deve rimanere impunito e soprattutto è necessario che i vescovi esercitino i loro compiti di governo impedendo che casi del genere si ripetano. Le vittime vanno accolte e seguite.
Ma ogni accusato ha diritto alla difesa ed è sacrosanto verificare la fondatezza delle accuse. Anche perché la cronaca dimostra che soprattutto Oltreoceano, ma non solo, ci troviamo di fronte a campagne mediatico-giudiziarie che non mirano soltanto alla verità dei fatti, ma che intendono presentare la Chiesa cattolica come una congrega di malfattori e di predatori sessuali e pretendono chiamare alla sbarra lo stesso Pontefice per rispondere in sede civile delle responsabilità di singoli sacerdoti.
«La Chiesa non ha paura della verità», disse Leone XIII, aprendo agli studiosi l’Archivio segreto vaticano. Di fronte all’abominio di chi ha tradito il sacerdozio abusando dei bambini, bisogna chiedere giustizia, non bisogna aver paura della verità. Ma la verità va in ogni caso prima accertata.
Samir: «Attacco a chiese, nuova fase della strategia» - di Riccardo Cascioli 04-01-2011 da www.labussolaquotidiana.it
«Strategia di violenza che ha di mira i cristiani», aveva detto il Papa all’Angelus del 2 gennaio; «Ingerenza negli affari interni dell’Egitto», aveva replicato il Gran Sceicco dell’Università Al-Ahzar del Cairo, Ahmed al-Tayeb. Parole quest’ultime che hanno generato una certa sorpresa, visto che al-Tayeb – una laurea alla Sorbona di Parigi, ottima conoscenza di francese e inglese - è conosciuto come un leader moderato, spesso presente agli incontri internazionali interreligiosi. «Ma non è così strano se si conosce il mondo islamico», dice padre Samir Khalil Samir, teologo gesuita e uno dei massimi esperti di islam.
Padre Samir, perché non è strana la reazione di al-Tayeb?
Perché nell’islam manca qualsiasi senso di autocritica, qualsiasi riflessione sull’islam. Forse in un incontro privato tra poche persone, al-Tayeb potrebbe dire altre cose, ma ogni intervento pubblico è sempre apologetico, non si mette mai in discussione l’islam. Leggevo ieri ad esempio un forum di un giornale egiziano: c’erano sessanta interventi; tutti, dicasi tutti, sostenevano che l’attentato non aveva niente a che fare con l’islam, questo è un atto esterno. La maggior parte puntava il dito contro Israele e gli Usa. Neanche uno che si sia almeno posto la domanda su come mai nel mondo islamico si è arrivati a fare questo.
Il papa ha parlato chiaramente di “strategia di violenze che mira ai cristiani”.
Chiunque può vedere che la violenza sta aumentando ed è una violenza sempre più cieca. Inoltre, c’è un fatto nuovo: questo uccidere la gente in chiesa o davanti alla chiesa, ora in Egitto così come era accaduto due mesi fa a Baghdad. C’è un salto di qualità, una connotazione religiosa più evidente, che prende di mira i cristiani. E’ un fatto indiscutibile: in Nigeria, in Vietnam, in Pakistan e così via. Non tutta, ma la gran parte di questa violenza viene dal mondo islamico, e prende di mira soprattutto i cristiani anche se non esclusivamente.
«Strategia di violenze», fa pensare a una regia unica.
C’è sicuramente una tendenza unica. Cioè da alcuni decenni emerge nell’islam una tendenza radicale, e che si radicalizza ogni giorno di più in tutto il mondo islamico, ma che è più penetrante nei paesi con governi più deboli. La tendenza dei fondamentalisti islamici è di voler instaurare uno stato islamico, che vuole dire uno stato fondato sull’applicazione della sharia in modo rigoroso, come in Iran, in Arabia saudita, in Pakistan e in dodici province della Nigeria. Proprio in Nigeria, ad esempio, in pochi anni abbiamo visto crescere questo movimento prima con una provincia, poi due, sei, adesso 12, forse di più. Lo vediamo anche nelle Filippine, a Mindanao, o in alcune province dell’Indonesia. E anche in Malaysia dove addirittura ai cristiani è vietato da anni di usare la parola Allah, che è l’unica – sebbene di origine araba – a indicare Dio in lingua malese. Ma gli islamici considerano questa parola un loro monopolio, e fa niente che sia una parola araba che noi cristiani abbiamo usato prima dei musulmani e che gli ebrei hanno usato ancora prima in arabo. C’è quindi una tendenza che si diffonde ed è sostenuta qua e là da una strategia di diffusione. Ci sono diverse istituzioni che si occupano di questo, anche in America: c’è un centro negli Usa, ad esempio, per l’islamizzazione della cultura, che ha pubblicato una trentina di volumi in arabo, diffusi poi nei paesi mediorientali.
C’è un progetto di islamizzazione della cultura, dell’economia, della politica, della scienza. Questo non vuol dire automaticamente violenza, ma facilmente può essere trasformato in violenza dai movimenti radicali. Ed è quello che vediamo sempre più spesso in questi ultimi tempi. E la violenza fa un salto importante quando si attaccano le chiese. Una cosa finora inaudita. Perciò il papa ha lanciato un appello perché c’è questo doppio fattore: c’è una strategia e si rivolge contro i cristiani.
Il Gran sceicco di al-Ahzar rimprovera però al Papa di non usare la stessa sollecitudine quando a essere uccisi sono i musulmani.
Questo poi non è vero. Se si fa allusione all’invasione americana in Iraq, se qualcuno ha detto con autorità che questa invasione non è ammissibile questo è stato Giovanni Paolo II, e dopo di lui Benedetto XVI. Mai la Santa Sede ha sostenuto la legittimità dell’aggressione contro l’Iraq e contro Saddam Hussein. E comunque questa aggressione, condannata dalla Chiesa, non era contro i musulmani. E mi sorprende che una persona colta come il Gran sceicco di al-Ahzar, faccia questo miscuglio tra politica e religione. L’America ha aggredito l’Iraq, non sono i cristiani d’America che hanno aggredito i musulmani d’Iraq. Si deve dire basta, e con chiarezza, a questa confusione continua tra religione e stato. L’Iraq non è musulmano, non è stata un’aggressione contro l’islam. In realtà esiste una aggressione contro l’islam, ma è una aggressione di musulmani contro altri musulmani, di sunniti che aggrediscono gli sciiti e di sciiti che aggrediscono i sunniti. Quando in Iraq qualcuno si fa esplodere dentro una moschea è inaccettabile, ma questo è compiuto da altri musulmani. Lo stesso succede in Pakistan , così come è successo in Libano. Ma l’aggressione di un paese contro un altro non ha niente a che vedere con la religione. Nel caso di questi giorni invece c’è un’aggressione di musulmani contro i cristiani, in una chiesa. Quando si prende di mira una chiesa il messaggio è chiaro. Lo stesso accade in Iraq, per cacciare i cristiani.
Perché vogliono eliminare i cristiani?
I cristiani vanno eliminati anzitutto perché non sono islamici, e sono quindi un ostacolo per creare uno stato islamico. In Iraq poi c’è un progetto per dividere il paese in tre parti: sunniti, sciiti e curdi. Per i cristiani non c’è spazio. Al momento sono spinti dalla violenza verso il Kurdistan, nel nord est dell’Iraq, ma i cristiani sanno che questa non è la loro terra: i curdi oggi li accolgono, domani possono ucciderli come è già successo in passato.
I cristiani poi in tutto il Medio Oriente sono gli artefici dello sviluppo culturale ed economico, sono un movimento di modernità, e c’è chi non vuole la modernità. Oppure, ed è una terza ragione, per puro fanatismo: i cristiani devono essere sottomessi, al limite li proteggiamo purché rimangano sottomessi.
Lei diceva prima che c’è una tendenza, ma anche dei centri di diffusione di questa tendenza. Chi è che li guida?
In Medio Oriente i soldi vengono dai paesi islamici petroliferi, Arabia Saudita in testa, ma l’ideologia viene dall’Egitto, sia dal movimento dei Fratelli musulmani sia dalle tendenze più radicali che sono nate da questo movimento. Nel subcontinente indiano - Pakistan, Afghanistan – l’ideologia è partita da un altro movimento simile oppure dai talebani. L’Iran ha a sua volta la sua ideologia, partita da Khomeini e che arriva fino in Libano con gli hezbollah. La tendenza in realtà è la stessa, prende forme particolari a seconda dei paesi e delle divisioni tra sunniti e sciiti. Poi l’aspetto militante e militare viene dal fatto che viviamo in paesi che sono tutti, più o meno, corrotti.
In Medio Oriente abbiamo solo due sistemi: dittatoriale o semi-dittatoriale, come era l’Iraq al tempo di Saddam e come è ancora oggi la Siria di Assad: c’è sicurezza, ma senza libertà. Oppure abbiamo il sistema islamista fondamentalista. Unica eccezione a questo bipolarismo è forse la Giordania. In ogni caso siamo presi tra due estremi.
Ma allora tentare di portare la democrazia era un’idea sbagliata?
Ma non si può esportare la democrazia, già il fatto di volerla esportare è un atto antidemocratico. La democrazia dobbiamo crearla noi: sarà diversa da popolo a popolo, ma con l’accettazione del principio che ci sia uno stato di diritto dove non è la tribù che decide o il gruppo di pressione.
Purtroppo oggi le cose vanno nella direzione sbagliata: le elezioni in Egitto, ad esempio, sono state visibilmente truccate. E questo per la gente è inaccettabile perché ormai – con la globalizzazione dei media - tutti sanno ciò che accade, anche gli analfabeti. Però i modi di fare non sono cambiati. Basta guardare: in Libia Gheddafi è presidente da 40 anni. In Tunisia, paese progredito, di nuovo c’è una forma di dittatura, in Egitto adesso arriva il figlio di Mubarak, Gamal, in Siria c’è la dinastia di Assad. E sto parlando dei paesi che non sono arretrati. E’ una situazione insostenibile che suscita movimenti che vogliono una trasformazione. Ora, l’unico movimento capace di mettere insieme le folle è quello islamico. Perché, da noi, basta dire religione e non c’è più discussione.
Ma nel mondo islamico, oltre ai movimenti fondamentalisti, si muove qualcos’altro che possa andare nella direzione opposta?
Qualcosa di diverso lo vediamo In Tunisia, ad esempio: alla facoltà di teologia di Tunisi c’è un’apertura diversa che inizia con l’obbligo per gli studenti di imparare obbligatoriamente una lingua non musulmana (inglese, francese, italiano, quello che uno vuole) per avere un’apertura sul mondo non musulmano. Perché se leggo solo l’arabo non esco mai da questo giro mentale. La prima cosa perciò è la conoscenza attiva di una lingua occidentale che permette di confrontarsi con un altro punto di vista sul mondo islamico, sugli studi, ecc. Poi c’è un approccio diverso della storia, per uscire da una visione ripetitiva dove un buon imam è qualcuno che ripete perfettamente ciò che è stato detto nei primi secoli dell’islam. Si comincia a capire che non si deve solo imparare il Corano a memoria – questo non è un male – ma imparare a capirlo, a interpretarlo, a studiarlo.
Gli imam sparsi per il mondo però non si formano in Tunisia.
Questo è vero, ed è vero che dall’Università al-Azhar del Cairo escono migliaia di imam di tutti i paesi che assorbono anche l’ideologia fondamentalista, però è proprio sull’educazione che dobbiamo puntare. Perché il problema non è militare o economico, anche se questo ha la sua importanza. Il problema è essenzialmente ideologico. E nei paesi islamici, il modello religioso implica che l’islam sia la risposta a tutto. Il partito dei Fratelli Musulmani, che ha un grande influsso su tutto il mondo arabo, usa una formula semplicissima, che consiste in due parole: “l’islam è la soluzione”. Qualunque domanda si ponga, la risposta è data: “l’islam è la soluzione”. Come mai non riesco a trovare lavoro? “L’islam è la soluzione”. Come mai non ho la casa? “L’islam è la soluzione”. Il che significa che l’islam, ad esempio, predica la solidarietà dunque se applichiamo l’islam non ci saranno poveri. Questo ovviamente è un mito, ma ripetere sempre questa formula per la gente è convincente. Parlare di giustizia, di diritto, in questo modello non ha senso: l’islam ha il suo diritto, la sharia. Dov’è il problema? Il problema è che la sharia è stata stabilita nel IX secolo e noi viviamo nel XXI secolo e nel frattempo ci sono altre pretese da parte della gente.
Come se ne esce?
La grande sfida, ripeto, è quella dell’educazione, dell’uso della ragione. Se prendiamo la sharia, ad esempio, vediamo che – a parte qualche eccezione - nessun paese islamico la applica quando si tratta di tagliare la mano a chi ruba. Tutti hanno sospeso questa applicazione. Ciò vuol dire che anche nei paesi islamici si ritiene che la sharia presa tale e quale non è applicabile, però nessuno vuole tirare le conclusioni e iniziare a ripensare un progetto di società islamica che faccia i conti con la modernità. Oppure, prendiamo l’esempio del suicidio: l’islam lo rifiuta, addirittura – tra tutte le religioni che conosco - l’islam è la più dura contro chi si suicida perché non ha neanche il diritto alla sepoltura, deve essere lasciato nel deserto e mangiato dalle bestie. Allora come si spiega il fenomeno dei kamikaze, come mai tanti si suicidano? Ah no – dicono - è diverso perché lì lo fanno per amore di Dio e della comunità islamica. Due pesi e due misure. Invece bisogna aiutare a riflettere: perché l’islam, il cristianesimo e altre religioni, sono contrarie al suicidio? Perché il suicidio significa una disperazione riguardo a Dio, mancanza di fede. Ecco, allora si riflette e, riflettendo, ad esempio la Chiesa ha riconosciuto che spesso il suicidio è un fenomeno psicopatico, non una ribellione contro Dio. Allora si è detto: diamo la sepoltura anche religiosa ai suicidi. Per noi questa riflessione continua sulla realtà è normale, ma nel mondo islamico è bloccata dal XII secolo, non c’è più. E qui sta la sfida, riprendere questo cammino di riflessione. In Egitto, situazione che conosco bene, ci sono migliaia di personalità eccezionali, che sono già su questa strada. Il problema è che sono intellettuali, universitari laici, e non essendo religiosi non hanno peso. E’ importante ora che questo processo inizi anche tra i religiosi.
Le falsità sui cristiani Pigi Colognesi - lunedì 10 gennaio 2011 da ilsussidiario.net
Quando le cronache riportano all’attenzione del mondo - come è tragicamente successo in queste ultime settimane - la questione della persecuzione contro i cristiani, emergono, dentro e fuori la Chiesa, due posizioni a mio avviso molto parziali.
Da un lato si sottolinea che il cristianesimo è un elemento decisivo dell’identità storica e culturale dell’Occidente e che per questo i cristiani vanno difesi dagli attacchi degli estremisti. È una posizione che ha il vantaggio di riscuotere tutti quelli che, specialmente tra le autorità politiche, vorrebbero far finta che non stia succedendo nulla e pensano che, per esempio, gli scambi commerciali con la Cina o coi paesi arabi possano far chiudere un occhio sulla difesa della libertà religiosa in quelle terre.
Il limite di questa impostazione è però quello di appiattire la fede cristiana ad addobbo religioso dell’Occidente. Il che è falso, perché il cristianesimo è universale. E rischia di essere controproducente, perché chi attacca i cristiani a volte lo fa proprio in quanto li percepisce rappresentanti dell’odiato Occidente.
Dall’altro lato spunta l’idea che l’unico cristianesimo autentico sarebbe sempre e solo quello martirizzato. Il ragionamento è pressappoco questo: col famigerato editto di Costantino - siamo nel 313 - la Chiesa (allora ancora indivisa) ha commesso una specie di peccato originale: l’alleanza col potere politico; per liberarsene deve spogliarsi di ogni legame con tutto ciò che anche lontanamente è collegato col potere.
È l’idea di una Chiesa inerme, che non si immischia, che non usa della realtà umana concreta; e il potere, a ogni livello, ne è inevitabilmente parte. Senza contare che normalmente i propugnatori di questa visione sono persone molto abili nell’usare il potere, almeno quello mediatico. Il fatto è che si tratta di una visione astratta, che va bene per un convegno o un editoriale. Nella vita concreta le mani in pasta bisogna mettercele eccome; con tutti i rischi del caso. Se è vero che la storia cristiana è costantemente attraversata dal rischio del cedimento al potere, la soluzione non può essere un'astensione previa da ogni implicazione con l’umano nella sua integralità.
Sant’Ambrogio ha vissuto molto acutamente il problema. Quando è diventato vescovo di Milano, lui che proveniva dalla carriera politico-amministrativa, il cristianesimo era libero da parecchi decenni e proprio in quel periodo è addirittura diventato la religione ufficiale dell’impero. Come far sì che lo stretto rapporto col potere non inquinasse la fede? Col coraggio della verità.
Quando l’imperatore Teodosio si macchiò di un eccidio, Ambrogio si mise davanti alla porta della chiesa per impedirgli di entrare se prima non avesse chiesto perdono e fatto penitenza. Il vescovo non è il supporter del potere imperiale e nelle questioni della fede tocca a lui decidere e non al potere, fosse pure quello supremo dell’imperatore.
Ambrogio non ha cercato il martirio, ma si è chiesto come il cristiano, cittadino di un impero diventato anch’esso cristiano, potesse dare testimonianza autentica (che è proprio il significato della parola martirio). Prima di tutto col culto dei martiri stessi. Ambrogio ne ha rinvenuto i corpi e onorato con basiliche e inni le spoglie e la memoria; i suoi fedeli non dovevano dimenticare che per la fede si può, e qualche volta si deve, morire.
E poi ha sostenuto è favorito un’altra forma di dedizione della vita a Cristo, una forma che non prevede lo spargimento del sangue, ma che ha la stessa carica di totalità del martirio: la verginità. Quella abbracciata da sua sorella Marcellina, cui Ambrogio ha dedicato pagine memorabili.
CRONACA - DELITTO GENOVA/ Qual è il vero dramma degli omicidi della porta accanto? Alessandro Banfi - lunedì 10 gennaio 2011 da ilsussidiario.net
Il grande William Shakespeare diceva che "la gelosia è un mostro dagli occhi verdi che schernisce la carne di cui si nutre". Ieri a Genova si è consumata una tragedia che davvero si spiega solo con la cieca follia scatenata nella mente umana da questo sentimento. Un 70enne di Genova ha infatti ucciso due vicini di casa, la moglie e poi, dopo essersi barricato nella sua abitazione, si è a sua volta sparato alla tempia, suicidandosi.
Una strage tra persone anziane che non ha vere spiegazioni, se non il mostro dagli occhi verdi. Secondo la ricostruzione della Polizia, Carlo Trabona, di origini siciliane, muratore in pensione con un precedente per omicidio volontario nel 1977, è andato in un bar vicino a casa dove ha colpito due fratelli, suoi vecchi conoscenti e coetanei, uno alla testa e uno all'addome: entrambi sono morti poco dopo il ricovero in ospedale.
Pare che la lite sia partita dalle accuse dello stesso Trabona nei confronti dei due, presunti amanti della moglie. Accuse ritenute assolutamente inventate, senza alcun riscontro di realtà. Certo, con le due vittime c'era un rapporto d frequentazione, ma è evidente che sono stati sottovalutati i problemi psichici dell'omicida. Che poi ha ucciso la moglie e non ha voluto, alla fine, ascoltare la dirigente della sezione omicidi della Squadra mobile Alessandra Bucci, che ha tentato inutilmente di trattare con lui.
L'episodio è terribile e ci parla di una tragedia che, come ricordavamo all'inizio, è antica almeno quanto i drammi di Shakespeare. E tuttavia il senso di frustrazione che ci attanaglia quando sentiamo storie di questo tipo ha qualcosa di specificamente contemporaneo. Possibile che nessun avesse avvertito il disagio mentale di quest'uomo? Perché sua moglie non ha avuto la possibilità di confidare a qualcuno le ossessioni del marito? Davvero la vita nelle nostre metropoli è quella di un arido e "popoloso deserto", senza servizi sociali, che siano davvero tali?
La notte di Capodanno un'altra storia, accaduta a Carmagnola, vicino a Torino, aveva creato sconcerto. Una 38 enne, separata e in depressione, tornata a vivere coi suoi genitori, li ha ammazzati entrambi la notte di San Silvestro. Il movente nella sua confessione è stato: "Mi controllavano". Nel recente passato un'aggressione al marito, che poi aveva ritirato la denuncia nei suoi confronti.
Sembra che nel nostro Paese sia impossibile prevenire anche i misfatti più prevedibili e quasi scontati. Si è fatto qualcosa in materia di violenze contro le donne grazie alla nuova legge sullo stalking, ma non basta. La convivenza sociale delega ogni problema alla giustizia penale e alla repressione di Polizia, ma prima che tutto precipiti c'è un vuoto drammatico, che si manifesta e di cui nessuno, a volte, si sente responsabile.
PAPA/ Benedetto e le stelle: avevano ragione i Magi, la ragione non basta Lucio Brunelli - venerdì 7 gennaio 2011 - ilsussidiario.net
Il papa, le stelle, e il grande mistero del Creato. L’omelia pronunciata ieri da Benedetto XVI nella solennità dell’Epifania capovolge molti degli stereotipi sul rapporto fede e scienza. La mentalità comune vuole che i credenti basino le loro convinzioni circa l’origine dell’universo esclusivamente su un a priori indimostrabile chiamato “fede” (il racconto biblico della Genesi, preso più o meno alla lettera) mentre gli scienziati poggiano le loro teorie solo sull’osservazione e lo studio dei fenomeni naturali. Posto così, sarebbe e infatti molto spesso è un dialogo fra sordi.
Il papa non ci sta. Le varie teorie “scientifiche”, come quella suggestiva del big bang ma anche per certi versi quella dell’evoluzione, non sono “affatto in concorrenza con la fede”. Il problema è “che arrivano fino a un certo punto” ma non riescono a spiegare “il senso ultimo della realtà”.
La riflessione del papa prende spunto dalla figura dei re Magi. “Sapienti che scrutavano il cielo, non per leggere negli astri il futuro, eventualmente per ricavarne un guadagno” come fanno i furbi mercanti dell’astrologia moderna. No, “sono persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la firma di Dio, che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare”. Quindi un elogio, anzi una sfida per la ricerca umana. Fiducia nel tratto di strada che la ragione può e deve percorrere. “Nella bellezza del mondo, nel suo mistero, nella sua grandezza e nella sua razionalità non possiamo non leggere la razionalità eterna...”.
È il compito suggestivo della scienza scoprire questa intima razionalità del Creato. In questo contesto il papa afferma che “l’universo non è il risultato del caso, come alcuni vogliono farci credere”. Proprio certe teorie, spiega, sono una “limitazione” della mente, quando pretendono chiudere una realtà debordante in assiomi, loro sì, troppo dogmatici. È l’osservazione del creato, la scoperta continua di nuove cognizioni a spingere la ricerca sempre più in là, inappagata, verso la misteriosa trama che lega i vari dati.
Come fecero i re Magi, appunto. “Uomini in ricerca di qualcosa di più, in ricerca della vera luce, che sia in grado di indicare la strada da percorrere nella vita”. Inno alla ricerca, quindi, passione vera per la realtà tutta intera. Senza timori o censure. Ma poi, certo, anche il più puro senso religioso non basta. Lascia l’uomo in un’ultima nostalgia melanconica. Perché l’uomo non può vivere di sola attesa. “Così ci appare ben chiaro anche l’ultimo elemento importante della vicenda dei Magi: il linguaggio del creato ci permette di percorrere un buon tratto di strada verso Dio, ma non ci dona la luce definitiva”.
Alla fine, commenta il papa, per i Magi non è stato sufficiente scrutare il cielo: “è stato indispensabile ascoltare la voce delle Sacre Scritture; solo esse potevano indicare la via”. Cercavano un re, hanno trovato un bimbo in una mangiatoia. Probabilmente con stupore, dovettero constatare che quel neonato non si trovava nei luoghi del potere e della cultura, anche se in quei luoghi venivano fornite preziose informazioni su di lui. Si resero conto, invece che, a volte, il potere, anche quello della conoscenza, sbarra la strada all’incontro con quel Bambino... “La potenza di Dio si manifesta in modo del tutto differente: a Betlemme, dove incontriamo l’apparente impotenza del suo amore”.