Nella rassegna stampa di oggi:
1) Il berlusconismo oltre il bunga bunga di Massimo Introvigne 29-01-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
2) Il giorno in cui Gesù fu presentato al Tempio di Ruggero Sangalli, 29-01-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
3) I matrimoni omosessuali e i pacs nel mondo -scheda- Legali in 10 paesi, in Italia non c'è ancora una legislazione, da http://www.portaledibioetica.it
4) Avvenire.it, 29 gennaio 2011 - Illegali forzature eutanasiche - Spot mortali. Si lascia fare? Di Francesco D'Agostino
5) L’iniziativa Lezioni di biopolitica al servizio della democrazia, da ROMA PIER LUIGI FORNARI, Avvenire, 29 gennaio 2011
6) Il dibattito Benedetto XVI e la strada della verità - In Laterano la seconda delle tre serate dedicate ai discorsi del Pontefice con Dalla Torre, Lanza e Ferrara.Vallini: il Papa indica il senso della vita, Avvenire, 29 gennaio 2011
Il berlusconismo oltre il bunga bunga di Massimo Introvigne 29-01-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
Al disagio e perfino allo «sgomento» dei cattolici italiani di fronte alle ultime vicende della politica ha dato voce in modo duro ma equilibrato il cardinale Bagnasco, condannando sia il «libertarismo» sia il «moralismo». A una chiara denuncia di stili di vita incompatibili con l'educazione che si deve ai giovani e con il decoro delle istituzioni, si è accompagnata una critica di «modelli mentali e di comportamento radicalmente faziosi» dove i torti non stanno certo tutti da una sola parte: e «qualcuno — ha aggiunto il cardinale — si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine» profusa per un certo, particolare imputato.
Tutto questo richiama però a una riflessione il più possibile seria e profonda sul cosiddetto berlusconismo, di cui — trovandomi in questi giorni all'estero — comprendo bene tutte le difficoltà. Non è la prima volta che, frequentando ambienti internazionali, fuori dell’Italia mi chiedono come spiegare il fenomeno Berlusconi. La difficoltà straniera di capire il berlusconismo non comincia certo con il bunga bunga. Si può dire del resto che anche la sinistra italiana e i suoi intellettuali del berlusconismo abbiano capito ben poco: di qui le loro ricorrenti sconfitte. Anche solo per impostare la questione non basterebbero diversi volumi, e alcuni – di diseguale valore – sono già stati pubblicati.
Credo che l’uso di cinque categorie sociologiche e proprie della scienza politica ci permetta non di risolvere il problema ma almeno di descriverlo, aprendo «finestre» diverse su una questione che non è semplice.
UN'ITALIA, TANTE DESTRE
La prima è la nozione di destra. Benché Berlusconi si definisca un uomo di centro, la nozione di centro è vaga e nebulosa. La consistenza elettorale e molte proposte politiche di Berlusconi appartengono alla destra, o almeno si presentano come ostili e alternative alla sinistra. Sul tema della destra molti – compreso il sottoscritto – sono tornati in occasione delle recenti e rapidissime mutazioni di Gianfranco Fini. Vale la pena di ricordare l’essenziale di questa discussione. Le nozioni di destra e sinistra nascono semplici, dopo la Rivoluzione francese. È di destra chi si oppone alla Rivoluzione francese e ai suoi principi. Chi invece alla Rivoluzione è a diverso titolo favorevole è di sinistra.
Nel corso del XIX e XX secolo – dal momento che il processo rivoluzionario che ha avuto un passaggio decisivo nella Rivoluzione francese non si ferma, ma continua – nascono altre «destre», che complicano il quadro. C’è una «destra» liberale, che accetta i principi della Rivoluzione francese ma rifiuta l’ulteriore passaggio costituito dal socialismo. E c’è una «destra» nazional-rivoluzionaria, o socialista nazionale, che accetta molti aspetti essenziali del socialismo ma rifiuta l’inveramento finale del socialismo nel comunismo marxista di obbedienza sovietica.
Ognuna di queste «destre» si frammenta in numerose varianti, così che i libri sulle destre in Europa – e altrove – sembrano talora sforzi di classificazione degni di un Carlo Linneo (1707-1778). E in Italia le «destre» sono socialmente diffuse. Per anni hanno trovato scarsa rappresentanza politica, ma periodicamente si è verificata quella che Giovanni Cantoni in un suo libro ha chiamato la «lezione italiana».
Comunque sia, gli italiani non vogliono la sinistra esplicitamente al potere e, quando questo pericolo incombe, si ribellano. Dal punto di vista dottrinale più una posizione è chiara, più è forte. È questo il vantaggio della destra cattolica contro-rivoluzionaria – che da un punto di vista storico può ben dire di essere la destra originaria, quella doc – rispetto alle altre «destre». Ma a questo vigore speculativo non corrisponde un’uguale forza operativa. Nella pratica politica – che si tratti di elezioni o di altri modi per conquistare il potere – la destra «vera» non può vincere se non alleandosi con qualcun altro, spesso con le altre «destre» che pure chiama, non a torto, «false».
L'OPERAZIONE FUSIONISTA
Di qui la seconda nozione rilevante per il nostro problema: il «fusionismo». Si pensa che questo concetto nasca negli Stati Uniti nel secolo XX, ma non è così. Nasce in Francia nel XIX secolo, tra destre monarchiche divise da questioni sia dottrinali sia dinastiche. Una «destra» liberale, quella detta orléanista perché fa capo alla dinastia degli Orléans, tenuta in sospetto sia dalla destra contro-rivoluzionaria perché gli Orléans avevano aderito alla Rivoluzione francese, sia dalle destre nazional-rivoluzionarie per il legame degli stessi Orléans con una borghesia accusata di sfruttare implacabilmente i più poveri, propone un’alleanza che chiama appunto «fusionista» a tutte le destre monarchiche. Queste la pensano diversamente su molte cose, ma dovrebbero almeno avere in comune la preferenza per la monarchia rispetto alla repubblica. I tempi e i luoghi non sono maturi, e il «fusionismo» degli Orléans fallisce.
Ma altrove avrà successo, particolarmente negli Stati Uniti dove il «fusionismo» che unisce «destre» cristiane, liberali e perfino libertarie porterà il Partito Repubblicano alle sue vittorie più spettacolari. Berlusconi ha messo in campo una classica operazione fusionista. Ha tirato su una tenda, sotto la quale tutte le «destre» possono stare insieme. A nessuna viene chiesto di tradire la sua identità.
La destra cattolica può stare sotto la tenda e fare la sua parte – il che è molto perché, come nota spesso il Papa, nel mondo moderno spesso i cattolici fedeli ai loro principi non negoziabili sono semplicemente espulsi ed emarginati. La «destra» liberale classica è la benvenuta. Perfino «destre» socialisteggianti – pensiamo a certi «partiti della spesa pubblica» del Sud che, almeno fino a tempi recenti, sono rimasti saldamente con Berlusconi – ovvero radicaloidi e libertarie sono bene accolte. A nessuno è impedito di dire la sua, ma neppure gli è permesso di vietare al vicino di dire cose piuttosto diverse.
I vicini danno fastidio, è vero: i cattolici non sono entusiasti di ritrovarsi con radicali libertari e liberali talora libertini. Ma stanno sotto questa tenda perché qui possono dire più o meno quello che vogliono e altrove no. Anzi, su alcuni temi tutt’altro che secondari – pensiamo soltanto al matrimonio omosessuale – i cattolici sono riusciti a far accogliere la loro posizione alla maggioranza dei compagni di tenda, più o meno convincendoli ma comunque portando a casa il risultato.
IL "NEMICO" COMUNISTA
Terza nozione: la designazione del nemico. Perché le operazioni fusioniste riescano ci vuole la rilevante presenza di un avversario. È difficile fare stare insieme persone che non si amano. Ma rimarranno insieme se avranno paura dello stesso nemico che si avvicina. Perché il fusionismo abbia successo bisogna che Annibale (247-182 a.C.) sia alle porte. Il più grande fusionista nella storia politica statunitense, Ronald Reagan (1911-2004), riuscì a tenere insieme «destre» disparate convincendole che l’«impero del male» comunista sia minacciava tutti, sia poteva essere sconfitto. Aveva ragione su entrambi i punti.
Berlusconi ha costruito la sua vittoria del 1994 sulla paura dei «comunisti». O vinceva lui, diceva, o «Occhetto e D’Alema a Palazzo Chigi». Vinse lui. Il fusionismo di Berlusconi funziona attraverso il meccanismo sempre reiterato della designazione del nemico comunista. Gli avversari di Berlusconi ripetono come dischi rotti che «i comunisti non ci sono più». Ma proprio su questo punto perdono. Dire che l’Unione Sovietica non esista più significa ripetere una banalità, anche se questo non è di totale conforto a un poveretto che vive in Corea del Nord, dove di certo il comunismo c’è ancora.
Ma soprattutto il comunismo italiano del secondo dopoguerra non era quello sovietico dei carri armati. La teoria dell’egemonia di Antonio Gramsci (1891-1937) – che il PCI aveva adottato un po’ per convinzione e un po’ per costrizione internazionale – sostituiva la presa del potere diretta con il colpo di Stato e, appunto, i carri armati con la lenta infiltrazione nei gangli del potere reale: scuola, cultura, università, giornali, magistratura. Il vecchio PCI non era al governo. Ma nelle università, nelle redazioni dei giornali, nei tribunali era ampiamente al potere. Era quel potere che dava molto fastidio a tanti italiani, e che c’è ancora. Quando Berlusconi dice che molte redazioni di giornali e molte procure della Repubblica sono «comuniste» usa forse un linguaggio semplificante, ma dice anche una verità che gli italiani sperimentano sulla loro pelle.
L’apparato egemonico della sinistra nella cultura, nell’educazione e tra i magistrati non è stato smantellato. Soprattutto i centristi – che su questo si giocano l’esistenza – hanno un bell’insistere sul fatto che i «comunisti» non ci sono più. Si può cavillare sul significato cangiante dell’espressione «comunista» – forse incorporando le tesi radicali su vita e famiglia i «comunisti» di oggi, diventati partito radicale di massa, sono peggiori di quelli di ieri – ma gli italiani che votano Berlusconi sono convinti che abbia ragione lui e torto i centristi e gli intellettuali: il sistema di potere comunista continua a funzionare, che ci sia o no il Muro di Berlino. E quanto ai giudici certamente non tutti i magistrati sono comunisti, ma qualche volta gli italiani hanno l’impressione - certo esagerata, ma comprensibile - che tutti i comunisti siano magistrati.
IL CARISMA
Quarta nozione: il carisma. Non c’è bisogno di scomodare Max Weber (1864-1920) per sapere che un’operazione fusionista, oltre che di un nemico alle porte, ha bisogno di un capo carismatico. Barry Goldwater (1909-1998) aveva pensato l’operazione fusionista in modo forse più profondo di Reagan, ma fu Reagan a portarla alla vittoria perché era dotato di carisma, quella strana realtà tanto difficile da definire quanto facile da riconoscere.
Che Berlusconi sia carismatico non lo negano neppure i suoi più fanatici detrattori. E i sociologi che hanno studiato il carisma lo hanno definito come una forma, non come un contenuto. Il fatto che sia difficile afferrare e definire una «dottrina del berlusconismo» non è di ostacolo al carisma. È piuttosto il contrario. Il carisma, nella sua declinazione fusionista, consiste nel farsi riconoscere da tutti come vicino, da nessuno come identico. Chiunque sta sotto la tenda e si specchia in Berlusconi in lui vede qualcosa di se stesso.
Weber aveva anche previsto i conflitti tra diversi tipi di autorità che coesistono nelle società moderne: legale-burocratica, tradizionale (tipica della Chiesa Cattolica) e carismatica. Il carisma nel senso di Weber è spesso sorto nella storia al di fuori di qualunque contesto istituzionale, anche se le istituzioni hanno trovato modi per «routinizzarlo»: un'espressione coniata dallo stesso sociologo tedesco per indicare come, per esempio, la Chiesa Cattolica attraverso il riconoscimento degli ordini religiosi e le canonizzazioni dei santi fosse riuscita a ricondurre alle istituzioni, s'intende dopo averli vagliati, anche carismi difficili.
Andando oltre Weber, la sociologa delle religioni contemporanea Eileen Barker ha coniato nel 1993 il neologismo «carismatizzazione» per indicare come nel mondo postmoderno il carisma si costruisce attraverso una interazione, che funziona anche «dal basso», tra la figura carismatica e i suoi sostenitori. Senonché, costruito così, il carisma postmoderno ha spesso tratti imprevedibili e anarchici, come mostra bene il caso di Berlusconi.
Ne nasce un rapporto difficile fra l'autorità che a Berlusconi deriva dal carisma - e dalla legittimazione elettorale, certo, ma la seconda non ci sarebbe senza il primo - e diversi tipi di autorità: quella legale-burocratica delle istituzioni e della magistratura, e quella tradizionale della Chiesa. I casi contingenti hanno certo una loro speciale gravità. Ma le radici del disagio manifestato dal cardinale Bagnasco attengono pure a questo «contrasto carismatico» che viene da molto lontano.
L'ETHOS ITALIANO
Quinta nozione: l’ethos. Ciascuna nazione ha un suo ethos, costituito dai tratti del carattere nazionale che derivano dalla lingua, dalla cultura, dalla religione, da un lungo deposito di virtù e di vizi. Forse Reagan non avrebbe vinto in Italia perché era un leader quintessenzialmente americano. Berlusconi invece è un arci-italiano, e ha piantato i paletti della sua ampia tenda fusionista sempre tenendo fermo lo sguardo sui caratteri nazionali italiani.
Sa che l’Italia è cattolica, e nella tenda non ha mai fatto mancare crocifissi, cappellani e un’attenzione non solo formale ai principi non negoziabili – il caso Eluana insegna. I suoi stessi vizi sono, ahimé, vizi storici e diffusi tra gli italiani, anche se le dimensioni quando si tratta di capi carismatici diventano spesso francamente esorbitanti, e magari peggiorano con l’età.
Se introduciamo queste categorie capiamo qualche cosa che gli stranieri e anche molti intellettuali nostrani non capiscono quasi mai, e cioè perché Berlusconi ha successo. Lo ha perché in Italia le «destre», pure rimaste spesso nella storia senza rappresentanza, sono diffuse nel corpo sociale. Perché ha saputo metterle insieme con un’operazione fusionista talora spregiudicata, designando con chiarezza il nemico: il «comunismo», che secondo gli intellettuali è scomparso ma secondo la maggioranza degli italiani c’è ancora. Perché a tutti i convenuti nella tenda fusionista ha offerto un capo carismatico – unico collante con cui i fusionismi funzionano. Ma, forse soprattutto, perché ha mostrato una sintonia non soltanto retorica con l’ethos nazionale. Il problema del carisma è che è legato alla persona. Non ci sono partiti carismatici, ci sono solo leader carismatici. Per questo ogni fusionismo collegato al carisma di un capo è esposto all’invecchiamento e al declino, perché gli uomini invecchiano.
Il problema non è solo il bunga bunga quanto la crescente consapevolezza che, come tutti i nati da donna, anche Berlusconi non è eterno e che la «fase postcarismatica» di un movimento sociale è sempre un periodo difficile e complesso. Può capitare fra cinque giorni o fra cinque anni, ma la formula a cinque stadi che ho cercato di descrivere è destinata a esaurire i suoi effetti.
Quando finirà, i cattolici legati ai principi non negoziabili che hanno deciso di stare sotto quella tenda potranno dire di non avere, tutto sommato, sbagliato scelta. Molti nostri vicini – compresa la cattolicissima, almeno per storia, Spagna – hanno il riconoscimento delle unioni omosessuali, i bimbi dati in adozione alle coppie dello stesso sesso, spesso anche l’eutanasia. In Italia queste cose non ci sono – i casi, per ora fortunatamente isolati, alla Eluana sono opera della magistratura – perché i paletti della tenda hanno in qualche modo e misura tenuto.
Resterà certo ai cattolici la sensazione sgradevole che deriva dall'avere dovuto coesistere con i libertari e i libertini, sotto la bandiera di un carisma eticamente anarchico e strutturalmente postmoderno, molto lontano dal percorso tradizionale che porta una persona a essere riconosciuta come autorevole che è invece proprio della Chiesa. Ma forse la vera questione è un'altra.
I cattolici hanno approfittato di questi anni di relativa libertà di azione sotto la tenda del berlusconismo per costruire attraverso i percorsi di formazione e di educazione richiamati dal cardinale Bagnasco una loro presenza più robusta, quella che Benedetto XVI ha chiamato una nuova classe dirigente, avvertendo anche che «non si inventa»? Non sono le parole di questo o quel politico a contare. Tra poco si vedranno i fatti. Il seguito, come si dice, alla prossima puntata.
Il giorno in cui Gesù fu presentato al Tempio di Ruggero Sangalli, 29-01-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
La Chiesa celebra questa festa il 2 febbraio, quaranta giorni dopo il 25 dicembre, date estreme comprese. Per le Chiese orientali è la festa dell’incontro del Signore. È anche la festa della vita consacrata e rendiamo grazie con gioia di ogni vita donata a Dio.
Non è possibile sapere con certezza se le date corrispondessero al 25 dicembre per la nascita, al 1° gennaio per la circoncisione e al 2 febbraio per la presentazione, ma il periodo dell’anno era proprio quello: sono numerosi gli indizi dei Vangeli che avvalorano l’ipotesi invernale del Natale, a cavallo tra la fine del 2 a.C. e l’inizio del 1 a.C., in corrispondenza dei mesi di kislev, teveth e shevat del calendario ebraico.
I Vangeli dell’infanzia di Matteo e di Luca non sono contraddittori: quanto descritto è un insieme di informazioni che si integrano, senza smentirsi o escludersi a vicenda. Durante i quaranta giorni tra la nascita a Betlemme e la presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme, ci fu la visita dei Magi.
Non ha alcun senso che nel frattempo la famiglia, d’inverno e con un neonato da accudire, si fosse allontanata da Betlemme, dove comunque c’erano dei parenti. Inoltre la mamma, resa impura dal parto, doveva restare ad attendere la propria purificazione, secondo quanto stabilito dalla legge del Signore.
In Levitico 12,2-8 leggiamo che la madre di un figlio maschio doveva purificarsi trentatre giorni dopo la circoncisione, il che equivale a quaranta giorni dopo la nascita, prima di presentarsi al sacerdote e offrire in olocausto o un agnello di un anno o, per i più poveri, una coppia di colombe o di tortore, una per l’olocausto e l’altra in espiazione del peccato.
Il giorno stabilito, Giuseppe e Maria portarono il bambino Gesù al Tempio di Gerusalemme. Il Vangelo di Luca non riporta dell’agnellino, ma solo delle tortore/colombi, il che deporrebbe a favore di una condizione di ristrettezza in quel frangente.
Impressiona anche quel numero 33: esattamente trentatre anni dopo, la Madre sarà protagonista di ben altra offerta riparatrice del figlio, per i peccati del mondo. L’agnello lo aveva già offerto senza ancora saperlo.
In seguito Giuseppe fu «avvertito in sogno» (Mt 2,13) di stare attento ad Erode: dal Vangelo di Luca è possibile intuire che dopo la presentazione al Tempio andarono a Nazaret e che quindi la fuga in Egitto potrebbe anche essere partita da là. In effetti una volta che le indagini di Erode avessero appurato l’indirizzo di Giuseppe, anche la Galilea non sarebbe stata sicura per Gesù, persino la sconosciuta Nazaret: comunque la famigliola partì per l’Egitto. Si stabilirà a Nazaret dopo la morte di Erode (1 d.C.).
Tra i protagonisti dell’episodio della presentazione di Gesù al tempio figurano due anziani.
Il primo è Simeone (Lc 2,25), uomo giusto e pio, che attendeva la redenzione di Israele.
Lo Spirito Santo (si badi che Luca ne fa esplicita menzione avendo scritto il suo Vangelo ben prima di ogni sviluppo teologico in senso trinitario, il che dovrebbe interrogare chi pensasse che la Chiesa abbia “inventato qualcosa”) gli aveva rivelato che non sarebbe morto senza aver veduto il Messia.
Prendendo tra le braccia Gesù, recita una meravigliosa preghiera: «Ora lascia o Signore che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola…». A Maria rivolse un ben triste augurio: «A te una spada trapasserà l’anima».
Non può non commuovere immaginare l’impressione che queste parole poterono avere su Maria, all’incirca quindicenne. Parole mai dimenticate, come quelle dell’annunciazione, che Maria stessa deve aver riferito così che fossero scritte nel Vangelo, più che mai resoconto di cose successe davvero.
La seconda persona anziana in scena è Anna (Lc 2,36), descritta da Luca come profetessa e con una precisione anagrafica e cronologica tutta particolare: figlia di Fanuel tribù di Aser, sette anni di matrimonio prima di rimanere vedova e ottantaquattro anni di età all’epoca della presentazione di Gesù al Tempio.
Tanto dettaglio dovrebbe però far dubitare chi non ritenesse scrupoloso Luca nell’attribuire i trenta anni che aveva Gesù (Lc 3,23) al momento del suo battesimo: perché Luca dovrebbe essere stato così pignolo sull’età di Anna ed invece approssimativo sul Messia?
Nelle parole dei due anziani, è grande la pubblicità a quel Bambino: per Simeone egli è «luce che illumina le genti e gloria del tuo popolo Israele». Anna ne parla a tutti come l’atteso da quelli che agognavano la liberazione di Gerusalemme.
La presentazione di Gesù al Tempio non fu un’anonima cerimonia, bensì un episodio che fece discutere la gente. Forse queste voci trapelarono fino alle orecchie invidiose di Erode, già irritato per aver perso le tracce dei Magi.
I matrimoni omosessuali e i pacs nel mondo -scheda- Legali in 10 paesi, in Italia non c'è ancora una legislazione, da http://www.portaledibioetica.it
Roma, 28 gen. (TMNews) - Un quadro delle differenti legislazioni sui matrimoni omosessuali nel mondo, dopo che la Corte costituzionale francese ha dichiarato conforme alla Costituzione il divieto delle nozze gay, legali in dieci paesi.
- Paesi Bassi: dopo aver creato nel 1998 una partnership aperta agli omosessuali, l'Olanda è stato il primo paese, nell'aprile 2001, ad aprire ai matrimoni civili per le coppie dello stesso sesso. Obblighi e diritti dei congiunti sono identici a quelli delle coppie eterosessuali, tra cui quello di adozione.
- Belgio: i matrimoni tra omosessuali sono legali dal giugno 2003. Le coppie gay hanno gli stessi diritti di quelle etero, ad eccezione delle leggi sui figli. Hanno tuttavia ottenuto nel 2006 il diritto di adottare dei bambini.
- Spagna: il governo ha legalizzato nel luglio 2005 le nozze tra omosessuali ed è possibile per queste coppie, sposate o meno, di adottare dei bambini.
- Canada: matrimonio e diritto di adozione per le coppie gay è legge dal luglio 2005. In precedenza la maggioranza delle province canadesi concedeva già le unioni tra persone dello stesso sesso.
- Sudafrica: nel novembre 2006 il Sudafrica è divenuto il primo paese africano a legalizzare le unioni tra due persone dello stesso sesso tramite "nozze" o "partenariato civile".
- Norvegia: una legge del gennaio 2009 mette sullo stesso piano le coppie omosessuali ed eterosessuali, sia in merito alle nozze che all'adozione di bambini e ai benefici legati alla fecondazione assistita. Dal 1993 esisteva la possibilità di stipulare un patto civile.
- Svezia: pioniera in materia di diritto all'adozione, la Svezia concede dal 2009 alle coppie gay di sposarsi civilmente o tramite rito religioso. Dal 1995 erano autorizzate le unioni di fatto.
- Portogallo: Una legge del primo giugno 2010 modifica la definizione di matrimonio, cassando il riferimento "tra sessi diversi", ma per le coppie gay è escluso il diritto all'adozione.
- Islanda: il primo ministro Johanna Sigurdardottir ha sposato la sua compagna il 27 giugno 2010, giorno in cui è entrata in vigore la legge che legalizza le nozze gay. In precedenza gli omosessuali potevano stipulare delle unioni, diverse tuttavia dai matrimoni.
- Argentina: il 15 luglio 2010, l'Argentina è diventato il primo paese a autorizzare i matrimoni omosessuali in Sudamerica, la più grande regione cattolica del pianeta. Le coppie gay possono adottare e hanno gli stessi diritti degli eterosessuali.
Ci sono poi paesi che autorizzano le nozze omosessuali su buona parte del loro territorio, come Stati Uniti (negli Stati di Iowa, Connecticut, Massachusetts, Vermont, New Hampshire e la capitale Washington), e Messico (nella capitale federale).
Altri paesi hanno adottato una legislazione sulle unioni civili che concedono dei diritti più o meno estesi agli omosessuali, tra cui la Danimarca, che ha aperto la strada nel 1989 creando un "registro di partenariato", la Francia che ha creato i Pacs (Pacte civil de solidarité, 1999), la Germania (2001), la Finlandia (2002), la Nuova Zelanda (2004), il Regno Unito (2005), la Repubblica Ceca (2006), la Svizzera (2007), l'Uruguay e la Colombia.
L'Italia non ha attualmente una legislazione effettiva nè per i matrimoni gay, nè per le unioni civili. Alcune regioni italiane hanno tuttavia approvato degli statuti favorevoli ad una legge sulle unioni civili, anche omosessuali, tra cui la Calabria, la Toscana, l'Umbria e l'Emilia-Romagna.
Fonte: http://notizie.virgilio.it
Francia, niente matrimoni gay
Lo ha stabilito il consiglio costituzionale francese.
Il Consiglio costituzionale francese ha dichiarato quest’oggi che l’interdizione dell’unione tra due omosessuali è conforme alla Costituzione. Secondo l’ultima istanza giudiziaria francese, per la legge un matrimonio è valido solo se coinvolge un uomo e una donna. I saggi hanno preso posizione dopo che una coppia lesbica legata da un patto civile (PACS), si era rivolta alla corte per ottenere una maggiore sicurezza giuridica per i loro quattro figli. Il Consiglio ha nel contempo dichiarato che in futuro spetterà ai politici statuire su un eventuale cambiamento della legislazione in materia.
28 gen 2011 - 11:25
Fonte: http://www.ticinolibero.ch/
EST - Francia, il Consiglio costituzionale legittima il no alle nozze gay
La sentenza non esclude che il legislatore modifichi le norme in vigore
Roma, 28 gen (Il Velino) - Secondo la legge francese il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna. Questa la motivazione con cui il Consiglio costituzionale ha dichiarato conformi alla Costituzione gli articoli del codice civile francese che non permettono il matrimonio tra persone dello stesso sesso. L’alto organo costituzionale ha validato l’annullamento decretato dalla Cassazione di un matrimonio gay celebrato a Begles nel 2004. Il Consiglio, tuttavia, non preclude a priori la strada alla celebrazione di nozze omosessuali. Ricordando che “il legislatore ha valutato che la diversa situazione tra coppie dello stesso sesso e coppie di sesso diverso può giustificare un differente trattamento quanto alle regole del diritto di famiglia”, il Consiglio osserva anche che non è nelle proprie competenze “sostituire la propria valutazione con quella del legislatore”. Al quale di conseguenza spetta l’ultima parola in materia.
Alla sentenza del Consiglio si è giunti dopo che Corinne Cestino e Sophie Hasslauer, due donne conviventi da 14 anni e madri di quattro figli - tre dei quali ottenuti con l’inseminazione artificiale in Belgio – hanno adito le vie legali dopo che il sindaco della loro città sei anni fa rifiutò di sposarle. Legate dal Patto civile di solidarietà (Pacs) da dieci anni, Corinne e Sophie non si accontentano di una tutela che ritengono incompleta e dopo il no del sindaco si sono rivolte al Tribunale di Reims, prima e alla Cassazione poi. L’Alta corte ha infine sollevato il caso davanti al Consiglio costituzionale.
(dam) 28 gen 2011 10:39
Avvenire.it, 29 gennaio 2011 - Illegali forzature eutanasiche - Spot mortali. Si lascia fare? Di Francesco D'Agostino
I radicali sostengono di amare la dignità dell’uomo. I radicali sostengono di difendere i diritti umani. I radicali affermano di venerare la nostra Costituzione e si indignano tutte le volte che la vedono umiliata e calpestata. Ciò non di meno i radicali continuano da settimane e settimane a far trasmettere da diverse televisioni locali (ma sono anche riusciti a introdursi in una rete nazionale) uno spot sull’eutanasia: uno spot che offende la dignità dell’uomo e che quindi non può che essere definito indegno. Uno spot che ci indigna, perché va contro un diritto umano fondamentale, e di rango costituzionale, quale quello alla vita. Uno spot che introduce, in un dibattito delicatissimo come quello sulla fine della vita umana, una dimensione mediatico-pubblicitaria, assolutamente indebita, pensata evidentemente per orientare (non però attraverso l’argomentazione, ma attraverso l’emozione) le decisioni dei parlamentari che saranno presto chiamati a votare in via conclusiva sul disegno di legge sul fine vita.
Sono esagerate queste affermazioni? No. Anzi esse dovrebbero essere ancora più aspre, perché l’offesa che lo spot arreca al dignità umana è particolarmente subdola. La dignità umana, infatti, è offesa non solo quando viene sadicamente umiliata, ma anche, paradossalmente, quando viene ideologicamente esaltata. Nello spot i fautori dell’eutanasia volontaria costruiscono un’immagine irreale e quindi ideologica dell’ uomo, un’immagine nella quale il malato che "sceglie" la morte e chiede di essere ascoltato dal "governo" appare sereno, lucido, consapevole, coraggioso e quindi esemplarmente ammirevole: ma in tal modo (chissà se se ne rendono conto i radicali) essi sottraggono dignità, umiliandoli, a tutti i malati terminali che vivono la loro esperienza nella debolezza, nella solitudine, nella paura, nella fragilità e spesso nella disperazione, meritano paradossalmente il biasimo che va riservato ai pavidi, a chi non avendo il coraggio di chiedere l’eutanasia…
Intervenire su di un dibattito così tragico e sottile come quello sul fine vita ricorrendo, anziché ad argomentazioni esplicite, articolate e sofferte, a uno spot umilia la democrazia, prima ancora che l’etica. Sappiamo infatti che esistono visioni del mondo che banalizzano il dono della vita o che non riescono più a percepirne il senso quando la malattia si impadronisce ineluttabilmente del corpo. È doveroso però che queste visioni del mondo, quando entrano nel dibattito etico, politico e sociale rispettino fino in fondo i valori non solo formali, ma sostanziali della legalità. Legalità significa in primo luogo rispetto sincero e onesto delle leggi vigenti (anche di quelle che non si condividono!) e nel nostro Paese è tuttora vigente una legislazione (per di più penale) esplicitamente orientata alla difesa della vita e di quella terminale in particolare. Legalità significa correttezza nell’informazione data al pubblico: i radicali non possono non sapere che le indicazioni statistiche che essi forniscono in chiusura dello spot (e cioè che il 67% degli italiani sarebbe favorevole all’eutanasia) sono inattendibili, fino a che il termine non sia rigorosamente precisato nel suo significato. Legalità significa soprattutto rinuncia a forme indebite di propaganda mediatica, soprattutto quando la posta in gioco verte su temi etici fondamentali. Uno spot mediaticamente efficace attiva una sorta di corto-circuito mentale, induce cioè a comportamenti fondati non su convinzioni autentiche e su scelte meditate, ma su emozioni, su sentimenti o peggio ancora su sottili e occulte forme di condizionamento psicologico. Lo spot sull’eutanasia sembra paradossalmente pensato per confermare l’accusa alla televisione di essere una "cattiva maestra".
È davvero stupefacente che nessuna autorità istituzionale – e ce ne sono diverse che possiedono e dovrebbero riconoscersi e onorare una competenza in questo campo – abbia preso posizione in merito, malgrado le tante esplicite sollecitazioni ricevute.
L’iniziativa Lezioni di biopolitica al servizio della democrazia, da ROMA PIER LUIGI FORNARI, Avvenire, 29 gennaio 2011
U na scuola di biopolitica per dar modo a futuri legislatori, amministratori e uomini di governo di fronteggiare le sfide poste dalle scoperte scientifiche, in particolare dalle biotecnologie. L’iniziativa promossa dalla fondazione Magna Carta è stata presentata ieri dal sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, e dal vicecapogrupppo del Pdl al Senato, Gaetano Quagliariello. «A due anni dalla morte di Eluana Englaro e alla vigilia del dibattito nell’aula della Camera della proposta di legge sul fine vita – ha osservato il presidente della Fondazione, Francesco Valli –, si impone una riflessione di alto livello su queste tematiche in linea con il nostro approccio culturale».
La Roccella ha evidenziato «la necessità e l’urgenza» di una informazione e formazione sulla biopolitica, perché i problemi attinenti sono entrati nella vita quotidiana delle persone e dei legislatori che spesso invece «non riescono a fronteggiarle con cognizione di causa». Una formazione di questo tipo non rientra nella «vecchia concezione » della cosa pubblica, ha proseguito il sottosegretario, serve perciò una preparazione scientifica e culturale adeguata per evitare che questioni importanti, come quelle relative alla procreazione e al termine della vita, siano governate al di fuori dei canali democratici, nei quali si esprime la sovranità popolare. «Deve decidere il Parlamento perché, se non lo fa allora decide la magistratura con le sue sentenze», ha spiegato la Roccella. Il riferimento concreto è ad esempio alle decisioni della Corte dei diritti umani di Strasburgo che ha condannato l’Austria per il divieto della fecondazione eterologa in vitro, pronunciamento ripreso da alcuni tribunali italiani che hanno sollevato un dubbio di costituzionalità sulla legge 40 presso la Consulta. Per questo l’Italia ha presentato una memoria in favore di Vienna nel giudizio definitivo che si terrà alla Grande Chambre. Il modo in cui, poi, in Olanda è stata introdotta l’eutanasia attraverso progressivi pronunciamenti della magistratura, nell’arco di un quindicennio, sta a dimostrare la rilevanza del problema.
È questione decisiva per «la democrazia e la politica del XXI secolo » emersa in Italia nella tragica vicenda della Englaro, ha concordato Quagliariello, presidente onorario di Magna Carta, rimarcando che nel momento in cui «lo sviluppo della scienza ha portato i problemi bioetici nello spazio pubblico la politica deve sviluppare competenze e conoscenze per combattere i pregiudizi basati sull’ignoranza». Il corpo docente è composto da cristiani, fedeli di altre religioni e non credenti, ha specificato il senatore pidiellino, nella convinzione che con queste diverse provenienze ideali si «possa creare un’alleanza fondata sugli stessi principi di civilità».
Il corso che mette a tema «la sfida antropologica e l’etica della vita », prevede 16 ore di lezione, articolate in quattro sabati a partire da oggi e fino al 19 febbraio. Nel corso del mese è prevista anche la formazione online in cui gli studenti potranno dialogare a distanza con gli insegnanti. Gli iscritti sono quaranta, laureati o laureandi in materie affini alla interdisciplinarietà del corso. La scuola si rivolge anche agli addetti del settore: insegnanti, professionisti in ambito giuridico e socio-sanitari, membri di comitati etici. Prestigioso il collegio dei docenti. Oltre alla Roccella, direttrice della scuola, tra gli altri: Sergio Belardinelli (responsabile del comitato scientifico), Carlo Bellieni, Raffaele Calabrò, Francesco D’Agostino, Adriano Fabris, Alberto Gambino, Giorgio Israel, Assuntina Morresi, Eleonora Porcu.
Saranno analizzati in 4 moduli didattici: il Caso Englaro, nei risvolti giuridici e politici; le frontiere della tecnoscienza (procreazione medicalmente assistita). Il terzo modulo sarà dedicato ad una riflessione sulla persona («l’umano tra natura e artificio »). Nell’ultimo si indagherà sull«individualismo distruttore», concludendo, però, con «una definizione positiva di bioetica».
La Roccella e Quagliariello spiegano le ragioni della scuola promossa da Magna Carta: «Necessaria e urgente perché, di fronte allo sviluppo delle tecnoscienze, sia ancora il Parlamento a decidere»
Il dibattito Benedetto XVI e la strada della verità - In Laterano la seconda delle tre serate dedicate ai discorsi del Pontefice con Dalla Torre, Lanza e Ferrara.Vallini: il Papa indica il senso della vita, Avvenire, 29 gennaio 2011
DA ROMA
In Europa la verità non è più di moda, sostituita dalla mania dell’occulto. Per questo è più che mai attuale l’insegnamento del Papa sulla riscoperta delle radici cristiane del Continente e sulla necessità di «cercare Dio». Lo ha ribadito monsignor Sergio Lanza, assistente ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nell’ampio intervento di giovedì sera nel Palazzo del Laterano, a Roma, tenuto nell’ambito della riflessione sul tema «La cultura europea: origine e prospettive». L’appuntamento, il secondo di un ciclo di tre letture (su altrettanti discorsi del Pontefice) promosso dall’Ufficio per la pastorale universitaria della diocesi di Roma, ha preso in esame l’intervento del Papa al Collège des Bernardins di Parigi (12 settembre 2008). Con Lanza hanno preso la parola il rettore della Lumsa, Giuseppe Dalla Torre e Alessandro Ferrara, docente di filosofia all’Università di Roma Tor Vergata. L’uomo di oggi, ha notato Lanza, è «uomo tecnologico» e «continua a cadere vittima dell’illusione idolatra. E non soltanto nelle forme – mascherate, ma ben note – del denaro e del potere; anche in nuove forme di religiosità, esotica e modernistica a un tempo, nel cui crogiolo trovano risonanza, e momentaneo appagamento, le aspirazioni di superficie del nostro tempo». Allora, la parola della fede, ha aggiunto Lanza, «può essere accolta e suscitare risposta di adesione solo se l’uomo di oggi, abbandonata la presunzione della ragione prometeica e l’abdicazione del pensiero debole, si fa di nuovo – coraggiosamente e umilmente – cercatore di verità».
Dalla Torre, poi, ha fatto presente che nel discorso a Parigi, «attraverso il paradigma del monachesimo cristiano, Benedetto XVI indica una via possibile per l’oggi, con quanto c’è di diverso dal passato, ma anche con quanto c’è di analogo; con quanto, meglio, è proprio sempre, per tutti e dappertutto, della condizione umana. Una via possibile a chi è credente e a chi non lo è, giacché si tratta di non di mortificare l’intelligenza e la ragione, ma di stimolarle a cogliere la struttura interna dell’intera creazione, con le sue leggi intrinseche immesse da Dio creatore e ordinatore». Non va scordato, ha aggiunto, che il mondo monastico «ha plasmato il mondo occidentale col binomio di intelletto ed amore».
«Quando la ricerca di Dio si dispiega entro comunità di fede che si raccolgono attorno alla Parola di Dio la vita degli esseri umani si arricchisce e splende di luce – ha spiegato Alessandro Ferrara – quando invece la Parola interpretata aspirò a tramutarsi in legge la vita umana si è imbarbarita ed è stata funestata ». Chiudendo l’incontro il cardinale Agostino Vallini, vicario di Roma, ha sottolineato che Benedetto XVI «fa riflettere, fa pensare e stimola proprio al pensiero. Queste serate – ha concluso Vallini – invitano a pensare per ritrovare il senso della propria vita, questi discorsi aprono prospettive enormi ».
Fabrizio Mastrofini