giovedì 8 maggio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Forse servivano quarant’anni per capire l’Humanae Vitae.
2) Humanae Vitae profetica. Anche le femministe e gli ecologisti l'hanno capito
3) Benedetto XVI: "L’azione dello Spirito Santo a servizio dell’unità"
4) Senza sussidiarietà non esiste libertà, di Giorgio Vittadini
5) ISRAELE E LA FIERA DEL LIBRO - IL PREGIUDIZIO GENERA SOLO MOSTRI
6)Legge 40: quante bugie sulle linee guida


Forse servivano quarant’anni per capire l’Humanae Vitae.
Il 29 luglio del burrascoso 1968 Paolo VI promulgò l’Humanae Vitae. Raramente un’enciclica fu tanto attesa prima, e tanto discussa poi.
A 40 anni di distanza, qual è l’eredità e dove risiede l’attualità dell’Enciclica promulgata da Papa Paolo VI? Il convegno internazionale “Custodi e interpreti della vita. Attualità dell’enciclica Humanae Vitae”, che si terrà a Roma dall’8 al 10 maggio presso l’Università Lateranense, cercherà di rispondere a questo interrogativo…
Roma. Il 29 luglio 1968, poco dopo il maggio francese, a meno di un mese dalla grande marcia su Washington organizzata dal movimento per i diritti civili e nel clima bollente che, nella generale contestazione, attaccava dall’interno e dall’esterno anche la chiesa, Paolo VI promulgò l’Humanae Vitae. Raramente un’enciclica fu tanto attesa prima, e tanto discussa poi. Sin dal Concilio Vaticano II, il mondo cattolico aspettava un pronunciamento ufficiale sul controllo delle nascite e, in particolare, sulla scoperta di Gregory Goodwin Pincus, la pillola. A questo scopo Giovanni XXIII nel 1963 aveva nominato una Pontificia commissione per lo studio dei problemi della famiglia e della natalità principalmente per studiare la conformità alla dottrina cattolica del nuovo contraccettivo chimico. I lavori della commissione, che Paolo VI aveva ampliato da 6 a 75 membri in prevalenza laici (scienziati, medici, demografi, teologi e tre coppie di coniugi), furono tutt’altro che pacifici: la maggioranza era favorevole a una revisione della dottrina in tema di contraccezione, mentre la minoranza era nettamente contraria. Giusto per dare un’idea della divisione: nel giugno 1966, in sede di votazione finale dopo tre giorni di dibattito, 9 dei 15 vescovi e 11 tra i 15 teologi votarono a favore della pillola. Fatto sta che poi nell’Humanae Vitae, Paolo VI ribadì il favore verso la sola contraccezione naturale. Nel farlo, si rifiutava con forza quella cultura occidentale, molto diffusa all’epoca, che demonizzava l’esplosione demografica dei paesi poveri, tentando di imporre loro politiche di pianificazione familiare. L’enciclica, dunque, risultò estremamente coraggiosa nel farsi portavoce di popoli e culture che all’epoca contavano poco o nulla. Civiltà Cattolica annoterà: “In questi ultimi tempi i contraccettivi erano diventati il simbolo di molte crociate contro la fame, la miseria e contro il sovrapopolamento. Ora lo sviluppo non verrà assicurato con una massiccia distribuzione di contraccettivi, ma con una migliore ripartizione delle ricchezze”. Eppure le critiche furono – e continuarono a essere negli anni – numerosissime. Ed esse vennero perfino (costituendo in questo un’autentica novità) anche dall’interno dell’episcopato e del clero. Oltre alla generica critica di chiusura e rifiuto della modernità (e delle scoperte scientifiche), Paolo VI venne accusato di non aver rispettato né il principio della collegialità né il vero, autentico “spirito” del Concilio Vaticano II. Ma cosa è avvenuto nei quarant’anni successivi alla promulgazione dell’enciclica, anni che hanno visto le nostre società cambiare così radicalmente nelle attese e nelle possibilità, nei valori, nei linguaggi e nelle certezze? Qual è l’eredità e dove risiede l’attualità dell’Humanae Vitae (sempre che di attualità abbia senso parlare)? E’ esattamente questo l’ambizioso compito a cui aspira il convegno internazionale “Custodi e interpreti della vita. Attualità dell’enciclica Humanae Vitae”, che si apre oggi a Roma presso l’Università Lateranense. Si parte con l’inquadramento della sua delicata genesi: “La solitudine di Paolo VI e il peso della tradizione” (ne parlerà il professor Giovanni Maria Vian, profondo conoscitore di Montini e direttore dell’Osservatore Romano). Da qui, si arriverà a oggi, tra terreno religioso (in cosa consiste “la libertà personale di fronte al Magistero ordinario” lo spiegherà il teologo gesuita americano John Michael McDermott) e sfaccettature sociali. Come ne è stato investito “lo scenario culturale” tra “la rivoluzione sessuale e i progressi scientifici” (Lucetta Scaraffia)? Cosa ha significato in termini di “paternità e maternità responsabile” (Serge-Thomas Bonino), di “figlio desiderato” e “figlio rifiutato” (Eugenia Roccella) e di “cambiamento del rapporto tra uomo e donna” (Claudio Risé)? E ancora, quali sono stati “gli effetti culturali della rivoluzione demografica” (Paul Yonnet) e quale sfida ha lanciato l’Humanae Vitae in termini di “legge naturale e biotecnologie” (Francesco D’Agostino)? Nel programma dei tre giorni di lavoro alla Lateranense, non mancherà nemmeno un intervento su “il relativismo alla base della politica europea” (Janne Haaland Matlary). A proposito della sua enciclica terremoto, Paolo VI ha poi detto: “Non mai abbiamo sentito come in questa congiuntura il peso del nostro ufficio. Abbiamo studiato, letto, discusso quanto potevamo; e abbiamo anche molto pregato. Ma non abbiamo avuto dubbio sul nostro dovere di pronunciare la nostra sentenza nei termini espressi dalla presente enciclica”. Ebbene, cercare di indagare come e in che modo quella sentenza abbia creato giurisprudenza nei decenni successivi è impresa tutt’altro che facile. Del resto, non solo la varietà geografica dei tanti studiosi chiamati a intervenire, ma anche il concorrere di competenze varie (dalla teologia alla storia, dalla psicanalisi alla filosofia del diritto, passando per sociologia e politica in senso lato) denota l’intento di analizzare il tema da una pluralità di ottiche, in modo da offrire una panoramica quanto più possibile completa.
di Giulia Galeotti
Il Foglio 8 maggio 2008


Humanae Vitae profetica. Anche le femministe e gli ecologisti l'hanno capito
Data: 7 Maggio 2008 da lozuavopontificio.net
Sono passati quarant'anni dalla promulgazione dell'Enciclica profetica "Humanae Vitae" (25 luglio 1968). Un'Enciclica che portò Paolo VI a decidere, «come avvocato della persona umana», anche contro la maggioranza della commissione di studio appositamente da lui costituita. Si trattava non solo di riaffermare, approfondendolo, un insegnamento che apparteneva al patrimonio permanente della dottrina morale della Chiesa, ma anche di contrastare la logica profonda dell'atto contraccettivo e la sua radice ultima. Quale logica? Quale radice? La logica anti-vita: per la quale in questi quarant'anni numerosi Stati hanno rinunciato alla loro dignità di essere i difensori della vita umana innocente, con le legislazioni abortiste, realizzando così una vera strage di innocenti. Una logica che ha la sua radice nella ribellione contro Dio Creatore, unico Signore della vita e della morte delle persone umane, nel tentativo, intrinsecamente assurdo, di costruire un mondo da cui Dio sia del tutto estraneo. «Raramente - scrisse l'allora card. Ratzinger - un testo della storia recente del Magistero è divenuto tanto un segno di contraddizione come questa Enciclica, che Paolo VI ha scritto a partire da una decisione di coscienza profondamente sofferta».
Oggi, anche se con un notevole ritardo, che è costato non poco all'intera società, anche le femministe e gli ecologisti pare ammettano il valore profetico dell'Enciclica "Humanae Vitae". Ma certi settori della vita ecclesiale sembra che resistano ancora nel considerarla tale...

"Humanae Vitae" profetica e quanto mai attuale
Il 25 luglio 1968 Paolo VI pubblicava l'Enciclica "Humanae Vitae" nella quale insegnava come verità non solo per i credenti ma anche per ogni uomo, che la contraccezione è obiettivamente ingiusta. "Atto contraccettivo" ha un significato molto preciso nel Magistero della Chiesa: è l'atto di privare la sessualità umana della sua fecondità in vista, durante, o immediatamente dopo un atto coniugale, al fine di evitare il concepimento di una nuova persona.
L'Enciclica rispondeva alla tendenza ormai chiara di ritenere etica la separazione dell'esercizio della sessualità coniugale dalla fertilità in essa eventualmente presente. Si trattava di contrastare la sconnessione della sponsalità/coniugalità dalla paternità/maternità.
Esattamente dieci anni dopo, nel luglio del 1978 venne al mondo la prima persona umana concepita non mediante un rapporto sessuale, ma mediante un procedimento tecnico di fecondazione in vitro. Dimostrando possibile il concepimento umano senza alcuna relazione sessuale, la fecondazione in vitro separava per ciò stesso in linea di principio, almeno, la paternità/maternità dalla sponsalità/coniugalità.
Come ha fatto ripetutamente Giovanni Paolo II durante il suo pontificato, anche Benedetto XVI, in due discorsi dell'11 e del 13 maggio 2006 (rispettivamente al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia e al Pontificio Consiglio per la Famiglia), ha definito l'Enciclica "Humanae Vitae" di Paolo VI "profetica e sempre attuale".
La sorpresa ci viene ora da dove non era così facilmente prevedibile attendersela.
Il 25 aprile scorso su Liberation, il giornale dei sessantottini francesi, fondato da Jean Paul Sartre e ora in mano al banchiere Edouard de Rothschild e a Carlo Caracciolo (presidente onorario del Gruppo Editoriale L'Espresso; dal 2 gennaio 2007 Caracciolo ha acquistato il 30% del quotidiano francese Libération, diventandone il secondo azionista dopo Edouard de Rothschild, che detiene circa il 38%), è apparso l'articolo "Aujourd'hui, cette prise de position peut paraître prophétique" ("Oggi questa presa di posizione può sembrare profetica").
Si tratta di un'intervista alla prof.ssa Emma Fattorini, che insegna all'Università La Sapienza di Roma, Dipartimento di Storia moderna e contemporanea. Le sue ricerche si sono concentrate principalmente sullo studio dei cattolicesimi europei nell'Ottocento e nel Novecento.
Nell'intervista la Fattorini descrive sinteticamente lo choc che l'Humanae Vitae, pubblicata nel 1968 da Paolo VI, provocò nel mondo cattolico: "Numerosi credenti furono profondamente delusi. Dicevano che non si poteva essere allo stesso tempo contro l'aborto e contro la contraccezione".
Quarant'anni dopo la promulgazione di questa Enciclica , dando torto ai teologi progressisti, la professoressa Fattorini afferma: "Oggi, la presa di posizione di Paolo VI può sembrare, per alcuni aspetti, profetica: ha avuto l'intuizione che dissociando completamente la sessualità dalla riproduzione, si creavano le basi per trasformazioni antropologiche irreversibili. [...] Questo appello al rispetto delle leggi naturali e alla tradizione, che sta alla base dell'Humanae Vitae, oggi è meglio compreso, non solamente nel mondo cattolico, ma anche fra le femministe e gli ecologisti preoccupati degli eccessi scientisti".
Dunque anche le femministe e gli ecologisti, finalmente, hanno capito il valore profetico dell'insegnamento contenuto nella tanto disprezzata Enciclica Humanae Vitae.
Questa affermazione fatta da una donna come la Fattorini, non certo tenera con la Chiesa, è molto significativa.
LA STORIA
La vicenda che riguarda la genesi della "Humanae vitae" e tutto il dibattito sulla liceità della contraccezione abbraccia un arco di tempo di quattro anni: dal 23 giugno 1964, quando Paolo VI comunicò la sua decisione di sottrarre al dibattito conciliare la questione della morale matrimoniale e di creare un'apposita commissione pontificia, fino al 29 luglio 1968, quando il testo dell'enciclica, firmato quattro giorni prima, fu reso pubblico. Ma le radici del dibattito affondano ancora più indietro. Il 31 dicembre 1930 Pio XI aveva pubblicato l'Enciclica "Casti connubii", che dichiarava l'illiceità dei mezzi anticoncezionali.
La dottrina della "Casti connubii" fu riconfermata ripetutamente da Pio XII.
Intorno alla fine degli anni Cinquanta comincia il dibattito tra medici e moralisti intorno alla "pillola Pincus". Inizialmente l'opinione corrente tra i teologi è di deciso rigetto. A poco a poco, però, si fanno strada una serie di distinguo riferiti a casi limite o particolari (l'uso terapeutico della pillola per regolarizzare il ciclo, il suo uso preventivo da parte di religiose che vivono in Paesi in guerra, con il rischio di violenze sessuali; eccetera). Il dibattito continuò incalzante fino ai primi degli anni Sessanta. E quando si giunse al Concilio fu chiaro a tutti che i fronti si erano capovolti e che l'opinione prevalente soltanto 10 anni prima era divenuta minoritaria.
Nel marzo del 1963, Giovanni XXIII (1958-1963) aveva istituito una Commissione di studio per affrontare i temi relativi al matrimonio e alla famiglia, la quale aveva dato un parere favorevole al controllo artificiale delle nascite.
Nel giugno 1964 Paolo VI avocò a sé il tema della contraccezione, sottraendolo al dibattito conciliare e creando una Commissione pontificia di esperti. In realtà una Commissione era già stata creata nel marzo del 1963 da Giovanni XXIII ed era composta da sei membri. Paolo VI la ristrutturò, portandola a 12 membri. Nella primavera del 1965 la rafforzò di nuovo, includendovi medici, sociologi, demografi, teologi e un certo numero di sposi cattolici. E nel marzo 1966 ne ingrossò ancora le file. Alla fine la commissione risultò composta di 75 membri oltre a un presidente (il cardinale Ottaviani, prefetto del Sant'Uffizio) e due vicepresidenti (i cardinali: Doepfner, tedesco, e Heenan, inglese).
Il 29 ottobre 1964 il cardinale Leo Suenens, arcivescovo di Malines (Belgio), pronuncia uno degli interventi più famosi e drammatici del Concilio Vaticano II. Si sta dibattendo il paragrafo 21 (sulla teologia del matrimonio) dello schema De Ecclesia in mundo huius temporis, che diventerà poi parte della Gaudium et spes. Ma il vero oggetto della discussione è una questione "caldissima": il rinnovamento della morale coniugale, i problemi della regolazione delle nascite e, in definitiva, la liceità o meno della "pillola" come strumento per attuare una moderna «paternità responsabile». Suenens si fece interprete dell'esigenza di un rinnovamento della morale coniugale che affrontasse in maniera nuova e più aperta anche il delicato tema della regolazione delle nascite. Accanto alla sua, si levarono anche le voci dei cardinali Alfrink e Léger, e del patriarca melchita Maximos IV Saigh e di altri autorevoli esponenti della maggioranza "progressista" dei Padri conciliari.
Nel giugno 1966 la Commissione Pontificia per lo studio della Popolazione, della Famiglia e della Natalità (Cppfn) concluse i suoi lavori. Paolo VI richiese un supplemento di studio al cardinale Ottaviani e ad un ristretto gruppo di teologi.
Si deve ricordare, a questo punto, il ruolo che ebbero alcuni teologi e pastori che operavano come una vera lobby già prima della promulgazione dell'Enciclica. Nell'aprile del 1967, per far pressione sul Papa, la lobby di teologi e pastori favorevoli alla pillola contraccettiva, tra cui il redentorista Bernard Haring, fecero uscire contemporaneamente in Francia su Le Monde, in Gran Bretagna su The Tablet e negli Stati Uniti sul National Catholic Reporter, il "documento della commissione preparatoria", che a maggioranza era in contrasto con le decisioni che prenderà poi Paolo VI (si scrisse che nella commissione i favorevoli erano 70 e i contrari solo 4).
Importante a questo proposito è la testimonianza di Bernardo Colombo, professore emerito di demografia all'Università di Padova, fratello di mons. Carlo Colombo, vescovo e teologo di fiducia di Paolo VI negli anni del Concilio Vaticano II, che in qualità di "perito" conciliare, prese parte all'elaborazione della costituzione "Gaudium et Spes", ma soprattutto lavorò intensamente nella Commissione Pontificia per lo studio della Popolazione, della Famiglia e della Natalità (Cppfn).
Colombo raccontò che quando uscì sulla stampa la cosiddetta "relazione della maggioranza", egli si sentì "intimamente offeso e disgustato". Quel testo era solo "uno di dodici rapporti presentati al Santo Padre". Quanto ai responsabili della fuga afferma: "Io vi vedo una campagna orchestrata con malizia: non mi risulta che questa rientri tra le virtù cristiane. [...] Intimamente sentii che quella gente, in fatto di comportamenti morali, non aveva nulla da insegnarmi. [...] A me venne fatto di confrontare la serietà di quelle persone con quella dei componenti del comitato centrale del partito comunista italiano...".
Dopo la promulgazione dell'Enciclica, avvenuta il 25 luglio 1968, la contestazione esplose un po' ovunque - dentro e fuori la Chiesa - e quella lobby, uscita sconfitta, non era certamente estranea a questa ondata di contestazione del Magistero.
Durante la preghiera dell'Angelus del 4 agosto il Papa farà udire la sua voce di padre e pastore: «La voce della Nostra Enciclica Humanae vitae ha avuto molti echi [...]. Sappiamo che vi sono anche molti che non hanno apprezzato il Nostro insegnamento, anzi non pochi lo osteggiano. Possiamo in un certo senso capire questa incomprensione ed anche questa opposizione. La Nostra parola non è facile, non è conforme ad un uso che oggi si va purtroppo diffondendo, come comodo e apparentemente favorevole all'amore e all'equilibrio familiare. Noi vogliamo ancora ricordare come la norma da Noi riaffermata non è Nostra, ma è propria delle strutture della vita, dell'amore e della dignità umana; è cioè derivata dalla Legge di Dio. Non è norma che ignori le condizioni sociologiche o demografiche del nostro tempo [...]. È solo una norma morale esigente e severa, oggi sempre valida, che vieta l'uso di mezzi i quali intenzionalmente impediscono la procreazione, e che degradano così la purezza dell'amore e la missione della vita coniugale. Abbiamo parlato per dovere del Nostro ufficio e per carità pastorale [...]».
Gli studiosi cattolici Hervé Cavallera e Ramón Garcia de Haro avanzano l'ipotesi che da questa Enciclica sia cominciata la grande contestazione del Magistero pontificio: in effetti, dalla grave crisi modernista manifestatasi all'inizio del secolo XX, mai il Magistero pontificio aveva più ricevuto contestazioni così dure ed esplicite all'interno della Chiesa; sotto Paolo VI queste invece ci saranno e cresceranno proprio con l' "Humanae vitae".
Paolo VI, il 18 settembre 1968, parlando dei "cattolici inquieti" e della contestazione in atto, denunciava che "uno spirito di critica corrosiva è diventato di moda in alcuni settori della vita cattolica", aggiungendo: «Vengono alle labbra le parole di Gesù: "Inimici hominis, domestici eius", i nemici dell'uomo saranno i suoi di casa!».
Il 12 di settembre, pochi giorni prima di concludere il suo pellegrinaggio terreno (23 settembre), Padre Pio da Pietrelcina scrisse una lettera - anche a nome di tutti coloro che in qualche modo gli erano legati: figli spirituali, gruppi di preghiera, benefattori delle opere sociali e caritative, ecc. -, con la quale intendeva alleviare le sofferenze del Papa promettendogli la sua preghiera ed i sacrifici, affinché il Signore mitigasse il suo dolore e facesse trionfare la verità da lui proposta e difesa in quella Enciclica tanto contrastata e in tutti gli altri atti del suo Supremo Magistero Apostolico. La lettera di Padre Pio venne pubblicata dall'Osservatore Romano del 29 settembre 1968.
Testo della lettera di San Pio da Pietrelcina:
San Giovanni Rotondo, 12 settembre 1968
Santità,
approfitto del Vostro incontro con i padri Capitolari per unirmi spiritualmente ai miei confratelli ed umiliare ai Vostri piedi il mio affettuoso ossequio, tutta la mia devozione verso la Vostra Augusta Persona, nell'atto di fede, amore ed obbedienza alla dignità di Colui che rappresentate sulla terra. [...]
So che il Vostro cuore soffre molto in questi giorni per le sorti della Chiesa, per la pace del mondo, per le tante necessità dei popoli, ma soprattutto per la mancanza di obbedienza di alcuni, perfino cattolici, all'alto insegnamento che Voi assistito dallo Spirito Santo e nel nome di Dio ci date.
Vi offro la mia preghiera e sofferenza quotidiana, quale piccolo ma sincero pensiero dell'ultimo dei Vostri figli, affinché il Signore Vi conforti con la sua grazia per continuare il diritto e faticoso cammino, nella difesa dell'eterna verità, che mai si cambia col mutar dei tempi.
Anche a nome dei miei figli spirituali e dei "Gruppi di preghiera" vi ringrazio per la parola chiara e decisa che avete detto, specie nell'ultima Enciclica Humanae Vitae, e riaffermo la mia fede, la mia incondizionata obbedienza alle vostre illuminate direttive.
Voglia il Signore concedere il trionfo alla verità, la pace alla sua Chiesa, la tranquillità ai popoli della terra, salute e prosperità alla Santità Vostra, affinché dissipate queste nubi passeggere, il regno di Dio trionfi in tutti i cuori, mercé la vostra opera apostolica di supremo Pastore di tutta la cristianità.
Prostrato ai vostri piedi vi prego di benedirmi, assieme ai confratelli, ai miei figli spirituali, ai "Gruppi di preghiera", ai miei ammalati, a tutte le iniziative di bene che nel nome di Gesù e con la vostra protezione ci sforziamo di compiere.
Della Santità Vostra umilissimo figlio
p. Pio, cappuccino.
(Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario IV, 1984, pp. 11-14)


Senza sussidiarietà non esiste libertà
Giorgio Vittadini08/05/2008
Autore(i): Giorgio Vittadini. Pubblicato il 08/05/2008 – IlSussidiario.net
Si è svolta in Vaticano, dal 2 al 6 maggio, la XIV Sessione Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali sul tema “Perseguire il bene comune: come la solidarietà e la sussidiarietà possono lavorare assieme?”. Se da sempre il tema della solidarietà ha suscitato interesse, il principio di sussidiarietà è tornato di attualità solo negli ultimi anni. È solo nel 2001 infatti che il principio viene inserito nella Costituzione italiana ed è solo negli anni più recenti che i politici dichiarano di volersi ispirare ad esso. L’ultimo, in ordine di tempo, è il neo sindaco di Roma Gianni Alemanno che, al congresso delle Acli di venerdì scorso, ha affermato di voler fare di Roma il primo comune governato dalla sussidiarietà.
I lavori della Sessione dell’Accademia delle Scienze Sociali, coordinati dal sociologo Pierpaolo Donati ed animati da autorevoli studiosi, ha avuto il suo culmine sabato 3 maggio, quando si è svolta l’udienza con Benedetto XVI. Il Papa ha così sintetizzato il suo personale contributo al tema in discussione: “In che modo la solidarietà e la sussidiarietà possono operare insieme nella ricerca del bene comune in un modo che non solo rispetti la dignità umana, ma le permetta anche di prosperare?”. Il Papa ha inoltre più volte mostrato che l’approccio a tali problemi non può essere innanzitutto sociologico e analitico, ma deve rifarsi a una concezione antropologica non ridotta e all’esperienza spirituale di ogni uomo: i principi di solidarietà e sussidiarietà “non sono semplicemente ‘orizzontali’: entrambi possiedono un’essenziale dimensione ‘verticale’. […] Questa è la dimensione ‘verticale’ della solidarietà: sono spinto a farmi meno dell’altro per soddisfare le sue necessità (cfr. Gv 13, 14-15). […] Parimenti, la sussidiarietà, che incoraggia uomini e donne a instaurare liberamente rapporti donatori di vita con quanti sono loro più vicini e dai quali sono più direttamente dipendenti, e che esige dalle più alte autorità il rispetto di tali rapporti, manifesta una dimensione ‘verticale’ rivolta al Creatore dell’ordine sociale (cfr. Rm 12, 16, 18)”.
II Papa ha quindi concluso mostrando come mai oggi sia vuoto e inconcludente parlare di libertà senza la dimensione della sussidiarietà che ne permette l’espressione in ambito sociale. Infatti: “Una società che onora il principio di sussidiarietà libera le persone dal senso di sconforto e di disperazione, garantendo loro la libertà di impegnarsi reciprocamente nelle sfere del commercio, della politica e della cultura (cfr. Quadragesimo anno, n. 80). Quando i responsabili del bene comune rispettano il naturale desiderio umano di autogoverno basato sulla sussidiarietà lasciano spazio alla responsabilità e all’iniziativa individuali, ma, soprattutto, lasciano spazio all’amore”.
La presentazione di numerose esperienze concrete quali la Fondazione Banco Alimentare Onlus, l’organizzazione non governativa Avsi, l’economia di comunione, il microcredito, ha mostrato esemplificativamente come nessuna teoria e nessuna scelta politica, per quanto raffinate, potranno portare a un cambiamento e a un affronto realista dei problemi attuali, sia a livello nazionale che internazionale, se dimentica queste autorevoli indicazioni del Papa, frutto della riflessione sull’esperienza concreta delle migliori good practices dell’uomo di ieri e di oggi.


Benedetto XVI: "L’azione dello Spirito Santo a servizio dell’unità"
Nell'Udienza generale alla presenza di Sua Santità Karekin II

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 7 maggio 2008 (ZENIT.org).- L’Udienza generale di questo mercoledì mattina si è svolta in piazza San Pietro dove Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
All’Udienza era presente Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni, in visita ufficiale.
Nel corso dell’incontro il Papa ha trattato il tema: "L’azione dello Spirito Santo a servizio dell’unità".


* * *
Cari fratelli e sorelle,
come vedete, è tra noi questa mattina Sua Santità il Catholicos Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni, accompagnato da una distinta delegazione. Rinnovo l’espressione della mia gioia per la possibilità che mi è data stamani di accoglierLo: l’odierna sua presenza ci ravviva nella speranza della piena unità di tutti i cristiani. Colgo volentieri l’occasione per ringraziarLo anche dell’amabile accoglienza che Egli ha riservato di recente in Armenia al mio Cardinale Segretario di Stato. E’ un piacere per me fare altresì memoria dell’indimenticabile visita che il Catholicos compì a Roma nell’anno Duemila, appena dopo la sua elezione. IncontrandoLo, il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, Gli consegnò una insigne reliquia di San Gregorio l’Illuminatore e in seguito si recò in Armenia per restituirGli la visita.
È noto l’impegno della Chiesa Apostolica Armena per il dialogo ecumenico, e sono certo che anche l’attuale visita del venerato Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni contribuirà ad intensificare i rapporti di fraterna amicizia che legano le nostre Chiese. Questi giorni di immediata preparazione alla Solennità di Pentecoste ci stimolano a ravvivare la speranza nell’aiuto dello Spirito Santo per avanzare sulla strada dell’ecumenismo. Noi abbiamo la certezza che il Signore Gesù non ci abbandona mai nella ricerca dell’unità, poiché il suo Spirito è instancabilmente all’opera per sostenere i nostri sforzi tesi a superare ogni divisione e a ricucire ogni lacerazione nel vivo tessuto della Chiesa.
Proprio questo Gesù promise ai discepoli negli ultimi giorni della sua missione terrena, come abbiamo sentito poc’anzi nel brano del Vangelo: assicurò loro l’assistenza dello Spirito Santo, che Egli avrebbe mandato perché continuasse a far loro sentire la sua presenza (cfr Gv 14,16-17). Tale promessa divenne realtà quando, dopo la risurrezione, Gesù entrò nel Cenacolo, salutò i discepoli con le parole «La pace sia con voi» e, alitando su di loro, disse: "Ricevete lo Spirito Santo" (Gv 20,22). Li autorizzava a rimettere i peccati. Lo Spirito Santo, quindi, appare qui come forza del perdono dei peccati, del rinnovamento dei nostri cuori e della nostra esistenza; e così Egli rinnova la terra e crea unità dov'era divisione. Poi, nella festa di Pentecoste, lo Spirito Santo si mostra attraverso altri segni: attraverso il segno di un vento gagliardo, di lingue di fuoco, e gli Apostoli parlano in tutte le lingue. Questo è un segno che la dispersione babilonica, frutto della superbia che separa gli uomini, è superata nello Spirito che è carità e che dà unità nella diversità. Dal primo momento della sua esistenza la Chiesa parla in tutte le lingue — grazie alla forza dello Spirito Santo e alle lingue di fuoco — e vive in tutte le culture, non distrugge niente dei vari doni, dei diversi carismi, ma riassume tutto in una grande e nuova unità che riconcilia: unità e multiformità.
Lo Spirito Santo, che è la carità eterna, il legame dell'unità nella Trinità, unisce con la sua forza nella carità divina gli uomini dispersi, creando così la multiforme e grande comunità della Chiesa in tutto il mondo. Nei giorni dopo l'Ascensione del Signore fino alla domenica di Pentecoste, i discepoli con Maria erano riuniti nel Cenacolo per pregare. Sapevano di non poter essi stessi creare, organizzare la Chiesa: la Chiesa deve nascere ed essere organizzata dall’iniziativa divina, non è una creatura nostra, ma è dono di Dio. E solo così essa crea anche unità, una unità che deve crescere. La Chiesa in ogni tempo — in particolare, in questi nove giorni tra l'Ascensione e la Pentecoste — si unisce spiritualmente nel Cenacolo con gli Apostoli e con Maria per implorare incessantemente l'effusione dello Spirito Santo. Sospinta dal suo vento gagliardo essa potrà così essere capace di annunciare il Vangelo sino agli estremi confini della terra.
Ecco perché, pur di fronte alle difficoltà e alle divisioni, i cristiani non possono rassegnarsi né cedere allo scoraggiamento. Questo chiede a noi il Signore: perseverare nella preghiera per mantenere viva la fiamma della fede, della carità e della speranza, a cui si alimenta l’anelito verso la piena unità. Ut unum sint! dice il Signore. Sempre risuona nel nostro cuore questo invito di Cristo; invito che ho avuto modo di rilanciare nel mio recente Viaggio apostolico negli Stati Uniti d’America, dove ho fatto riferimento alla centralità della preghiera nel movimento ecumenico. In questo tempo di globalizzazione e, insieme, di frammentazione, "senza preghiera, le strutture, le istituzioni e i programmi ecumenici sarebbero privi del loro cuore e della loro anima" (Incontro ecumenico nella chiesa di S. Joseph a New York, 18 aprile 2008). Rendiamo grazie al Signore per i traguardi raggiunti nel dialogo ecumenico grazie all’azione dello Spirito Santo; restiamo docili all’ascolto della sua voce, affinché i nostri cuori, ricolmi di speranza, percorrano senza sosta il cammino che conduce alla piena comunione di tutti i discepoli di Cristo.
San Paolo, nella Lettera ai Galati, ricorda che "il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (5,22-23). Sono questi doni dello Spirito Santo che invochiamo anche noi oggi per tutti i cristiani, perché nel comune e generoso servizio al Vangelo, possano essere nel mondo segno dell’amore di Dio per l’umanità. Volgiamo fiduciosi lo sguardo a Maria, Santuario dello Spirito Santo, e per mezzo di Lei preghiamo: "Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore". Amen!


[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Saluto i pellegrini di lingua italiana. In particolare, rivolgo un cordiale pensiero al pellegrinaggio promosso dalle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento in occasione della beatificazione di Maria Maddalena dell’Incarnazione, ed incoraggio a promuovere sempre più l’amore per l’Eucarestia affinchè sorgano, accanto ad ogni Monastero dell’Ordine, gruppi di "adoratori". Si realizzerà così l’anelito della vostra Beata Fondatrice che amava ripetere: "Gesù sia da tutti conosciuto, amato, adorato e ringraziato ogni momento nel SS.mo e Divinissimo sacramento". Saluto i rappresentanti delle Scuole delle Maestre Pie Venerini che ricordano il 280° anniversario di morte della Fondatrice, ed auspico che il loro pellegrinaggio a Roma sia ricco di frutti spirituali. Saluto i Dirigenti e i calciatori dell’Inter, nel centesimo anniversario di fondazione, e colgo l’occasione per sottolineare ancora una volta l’importanza dei valori morali dello sport nell’educazione delle nuove generazioni. Un affettuoso saluto rivolgo poi agli studenti del Circolo didattico di Sant’Antioco e a quelli dell’Istituto Madre Teresa di Calcutta, di Campodipietra.
Desidero, infine, salutare i giovani, i malati e gli sposi novelli. Cari giovani, in questo mese di maggio da poco iniziato, che la tradizione popolare dedica a Maria, imparate da Lei a compiere sempre la volontà di Dio. Contemplando la Madre di Cristo crocifisso, voi, cari malati, sappiate riconoscere il valore salvifico di ogni croce; e voi, cari sposi novelli, affidatevi alla protezione della Santa Vergine, per creare nella vostra famiglia quel clima di preghiera e di serenità che regnava nella casa di Nazareth.


[APPELLO DEL PAPA]
Faccio mio il grido di dolore e di aiuto della cara popolazione del Myanmar, che ha visto improvvisamente distrutte dalla sconvolgente violenza del ciclone Nargis numerosissime vite, oltre a beni e mezzi di sussistenza.
Come ho già assicurato nel messaggio di solidarietà inviato al Presidente della Conferenza Episcopale, sono spiritualmente vicino alle persone colpite. Vorrei inoltre ripetere a tutti l'invito ad aprire il cuore alla pietà e alla generosità affinché, grazie alla collaborazione di quanti sono in grado e desiderano prestare soccorso, si possano alleviare le sofferenze causate da così immane tragedia.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


ISRAELE E LA FIERA DEL LIBRO - IL PREGIUDIZIO GENERA SOLO MOSTRI
Avvenire, 8 maggio 2008
GIORGIO FERRARI
Criticare Israele non è un reato. Muovere obiezioni al governo Ol­mert, alla condotta nella guerra liba­nese, alle scelte che hanno portato al­lo stallo dei colloqui di pace con l’Au­torità nazionale palestinese e all’as­sedio di Gaza fa parte del normale di­ritto di cronaca e della sacrosanta pre­rogativa di ogni uomo libero, quella cioè di esprimere il proprio parere. Civilmente, come instancabilmente ci ricorda Giorgio Napolitano.
Ma la Fiera del Libro di Torino che si va ad aprire oggi alla presenza del ca­po dello Stato ha assunto sfortuna­tamente pesanti connotati ideologi­ci i quali a loro volta, oltre a segnare profonde divisioni e lacerazioni, so­no quasi sempre l’anticamera del­l’intolleranza. Tanto che – per chiu­dere il cerchio – ciascuno finisce per arroccarsi nella convinzione inscalfi­bile di trovarsi dalla parte della ra­gione e del diritto: Israele nel sentir­si eternamente accerchiata da una pregiudiziale antisionista (quando non antisemita); i suoi detrattori nel rivendicare le ragioni dei palestinesi giustificandone qualunque atto, an­che il più fero­ce.
Il dialogo fra sordi dilaga dunque attorno a una Fiera che come è noto quest’anno a­vrà Israele e la cultura ebraica come ospite d’onore. E ciò nonostante l’offerta sia ric­chissima e il co­ro di voci un’au­tentica ecume­nica polifonia: Israele infatti non si autocelebra, ma nel solco della mi­gliore tradizione ebraica srotola le proprie contraddizioni e la propria straordinaria cultura che non è affat­to a senso unico come si tende spes­so a pensare, ma è ricca di antagoni­smi, di autocritica, di profonda ri­flessione.
Ma tutto questo i volonterosi svento­latori di bandiere palestinesi – gli stes­si, magari, che bruciano in piazza quella americana e quella con la stel­la di David – non se lo danno ad in­tendere. Accomodarsi in una sorta di pensiero unico dove tutto il male ri­siede manicheisticamente nella terra di Canaan e il bene nelle Striscia di Gaza è sicuramente meno faticoso che porsi dei quesiti meno banali e più impegnativi. Domandarsi se non è vero che a frenare il 'processo di pa­ce' in Medio Oriente siano stati più volte proprio coloro che pubblica­mente lo reclamavano (come Yasser Arafat, ieri, o il leader di Hamas Hanyieh, oggi) è sicuramente molto più faticoso che srotolare uno stri­scione che invita al boicottaggio del­la Fiera. Boicottaggio che in definiti­va simboleggia una sorta di damna­tio memoriae, una specie di oblio coatto, come se Israele non esistesse da 60 anni o non dovesse più esiste­re.
E nella fiera del pensiero avvelenato dall’ideologia spicca – e ce ne si duo­le, visto il personaggio – un’inteme­rata di Gianni Vattimo. Il quale ha pensato bene di rivalutare addirittu­ra i Protocolli degli anziani di Sion, un libello apocrifo diffuso dall’Ochrana, la polizia zarista, nella Russia del 1903, che tracciava il disegno di una cospi­razione mondiale a opera degli ebrei. Vattimo, già campione del pensiero debole e tardo epigono di Nietzsche e Heidegger, ha dichiarato: «Non ci ho mai creduto, ma ora comincio a ricredermi, visto il servilismo dei me­dia ». Che dire? Una caduta di stile? Un momento di debolezza? Certamente. Un pensiero così debole da diventa­re pesante come piombo.

Legge 40: quante bugie sulle linee guida
Avvenire, 8 maggio 2008
di Ilaria Nava
Nelle ultime ore prima di diventare un ex ministro, Livia Turco si è affannata a spiegare i motivi del testo che applica la norma sulla fecondazione assistita Ragioni sostenute anche da altri ma che non trovano riscontro nella legge, nei fatti, nel diritto e anche nella logica. Al nuovo governo il compito di mettere riparo ai molti errori.
Astuta strategia politica o semplice incompetenza?
Ormai poco importa, visto che Livia Turco ha lasciato il ministero della Salute, non prima di aver consegnato al suo successore una complicata matassa da dipanare, insieme alla possibilità (sarebbe meglio dire la necessità) di rimettere le cose in ordine. L’emanazione delle linee guida, in ogni caso, è stato un atto grave e scorretto, dettato da una visione ideologica della realtà, che l’ex ministro nei giorni scorsi ha avuto la possibilità di esplicitare con la sua partecipazione a programmi televisivi e radiofonici, in cui ha chiarito il proprio pensiero. A interessarci, più che la Turco, sono le idee, peraltro condivise anche da altri.
Ai microfoni di Radio 24 ad esempio Livia Turco ha detto: «L’articolo 14 della legge sancisce il diritto delle coppie a essere informate sullo stato di salute degli embrioni. Se nella legge ci fosse scritto che è vietata la diagnosi pre­impianto, allora sarebbe legittima l’interpretazione che dice che è proibita. Ma nella legge 40 non c’è scritto il divieto della diagnosi pre­impianto in quanto tale» . Ma non è così.
La legge 40, in numerosi articoli, prevede infatti la tutela dell’embrione.
L’articolo 1 lo definisce un soggetto di diritto. È naturale che anche i genitori e gli altri soggetti coinvolti nel procedimento di fecondazione artificiale lo siano, ma questa disposizione è particolarmente importante perché l’embrione è il soggetto debole. La legge, infatti, gli riconosce alcuni diritti la cui tutela è però affidata unicamente alla legge stessa, non potendo l’embrione farli valere personalmente (almeno non in quel momento), diversamente da quelli di tutti gli altri soggetti coinvolti. È vero anche che l’articolo 14 afferma che i genitori «sono informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero». Tuttavia, il diritto dei genitori a essere informati veniva ricondotto nelle vecchie linee guida alla sola osservazione degli embrioni.
Attualmente il diritto dei genitori a essere informati trova un limite nel diritto dell’embrione di non essere leso nella sua integrità fisica dalle tecniche utilizzate.
La legge correttamente non vieta la diagnosi pre-impianto tout court, che in sé non è del tutto illecita. Se, ad esempio, non violasse l’embrione e servisse per intervenire tempestivamente e curare eventuali patologie sarebbe una tecnica pienamente conforme alla lettera della legge 40. A oggi è giusto che sia vietata, proprio perché, per le modalità con cui è svolta e per le conseguenze che avrebbe, risulta incompatibile con la legge.
Correttamente quindi le vecchie linee guida limitavano l’indagine sull’embrione alla sola osservazione.
« Io ho ripristinato la legge 40, che all’articolo 13 prevede il divieto di diagnosi preimpianto a scopo eugenetico». Siamo sicuri? Con questo ragionamento l’ex ministro Turco afferma che le indagini ora consentite sugli embrioni – non più soltanto di tipo «osservazionale» come prescrivevano le vecchie linee guida – non hanno finalità eugenetica. L’articolo 13 della legge 40 afferma esplicitamente che è vietata «ogni forma di selezione a scopo eugenetico». È lecito quindi domandarsi che finalità abbiano queste indagini.
Come abbiamo visto, non hanno lo scopo di curare, perché per ora non è possibile. E la finalità meramente informativa, sancita da un comma della legge, non giustifica il rischio di lesione dell’integrità fisica dell’embrione, tutelato dall’intera normativa.
Altra dichiarazione eloquente registrata nei giorni scorsi è quella nella quale Livia Turco si diceva «contraria all’eugenetica, contraria alla selezione sulla base della malformazione in quanto tale, perché quello che conta è la salute fisica e psichica della donna, è il giusto equilibrio tra i diritti delle persone coinvolte».
Come spesso accade, è una questione di parole. Pochi nella storia del mondo si sono dichiarati esplicitamente favorevoli all’eugenetica e siamo felici di avere la conferma – ma non avevamo alcun dubbio – che anche l’ex ministro sia fra questi. Tuttavia bisogna intendersi sui termini: la mentalità eugenetica si favorisce in molti modi, non solo varando leggi ad hoc. Secondo la Turco la prova che non si tratti di eugenetica è data dal fatto che non sarebbe la malattia in sé a causare la soppressione dell’embrione, bensì il danno alla salute della madre provocato dalla notizia. È chiaro che il varco aperto punta ad applicare il principio che rende possibile l’aborto anche alla fecondazione artificiale. Innanzitutto secondo alcuni la 194 viene applicata in modo da favorire una mentalità eugenetica. Lo sforzo, quindi, dovrebbe essere quello di correggere quest’ultima anziché la legge 40. In ogni caso, siamo su due piani completamente differenti. Innanzitutto perché si tratta di materie disciplinate da due leggi diverse, che affermano cose differenti. La 194 si applica quando una gravidanza è già in corso, mentre la legge 40 no.
Quest’ultima, inoltre, non parla di danno alla salute fisica e psichica della madre che autorizzerebbe la soppressione dell’embrione ancor prima che inizi la gravidanza. Anzi: la lettera della norma, come detto, tutela l’embrione come soggetto di diritto. Ma soprattutto la 194 si applica a casi di gravidanze 'indesiderate', mentre nel caso della fecondazione in vitro sono le coppie a voler generare l’embrione. Come si può dire che l’embrione generato con tanti sforzi, una volta venuto all’esistenza, provochi un danno alla salute che ne legittimi la soppressione?
Infine l’ex ministro si è cimentata nelle ultime ore del suo incarico con argo­mentazioni giuridiche: «Nelle linee guida da me firmate ho cancellato la parte annullata dalla sentenza del Tar che è definitiva, perché i quesiti posti alla Corte Costituzionale sono al­tri ». Anche qui, le cose stanno diversa­mente.
La sentenza con cui il Tar del Lazio ha annullato un comma delle linee guida non è ancora passata in giudicato, perché il termine per l’impugnazione davanti al Consiglio di Stato non è ancora scaduto.
Ciò nonostante, la Turco si è attivata per emanare le nuove linee guida in conformità a essa. Con la stessa sentenza il Tar ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sulla legge 40. Davanti alla Consulta pende quindi un giudizio sulla legge, indipendente da quello che riguarda le linee guida che si svolgerà davanti al Consiglio di Stato se la sentenza del Tar sarà impugnata. In teoria solo dopo che la Corte costituzionale avrà emanato la sentenza sulla legge sarà possibile varare le nuove linee guida applicative di essa.
Quelle attuali sono state emanate in applicazione di una legge su cui è pendente un giudizio della Corte costituzionale. E questo non si fa.