lunedì 26 maggio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Messaggio di Medjugorje del 25 maggio 2008
2) Benedetto XVI: “l’Eucaristia è scuola di carità e di solidarietà” - Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus
3) Diagnosi prenatale per la vita e contro l’eugenetica - Documento-appello di medici e associazioni di disabili: Accesso consapevole alla diagnosi genetica prenatale
4) Usciamo dallo statalismo, di Giorgio Vittadini


Messaggio di Medjugorje
25 Maggio 2008
"Cari figli, in questo tempo di grazia, in cui Dio mi ha permesso di essere con voi, di nuovo vi invito, figlioli, alla conversione. Lavorate per la salvezza del mondo in modo particolare mentre sono con voi. Dio è misericordioso e dona grazie particolari e per questo chiedetele attraverso la preghiera. Io sono con voi e non vi lascio soli. Grazie per aver risposto alla mia chiamata."


Benedetto XVI: “l’Eucaristia è scuola di carità e di solidarietà” - Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 maggio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI ad introduzione della pregheira mariana dell'Angelus recitata con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
In Italia e in diversi Paesi ricorre oggi la solennità del Corpus Domini, che in Vaticano e in altre nazioni è stato già celebrato giovedì scorso. E’ la festa dell’Eucaristia, dono meraviglioso di Cristo, che nell’Ultima Cena ha voluto lasciarci il memoriale della sua Pasqua, il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, pegno di immenso amore per noi. Una settimana fa i nostri sguardi erano attratti del mistero della Santissima Trinità; quest’oggi siamo invitati a fissarli sull’Ostia santa: è lo stesso Dio! Lo stesso Amore! Questa è la bellezza della verità cristiana: il Creatore e Signore di tutte le cose si è fatto "chicco di grano" per esser seminato nella nostra terra, nei solchi della nostra storia; si è fatto pane per essere spezzato, condiviso, mangiato; si è fatto nostro cibo per darci la vita, la sua stessa vita divina. Nacque a Betlemme, che in ebraico significa "Casa del pane", e quando incominciò a predicare alle folle rivelò che il Padre l’aveva mandato nel mondo come "pane vivo disceso dal cielo", come "pane della vita".
L’Eucaristia è scuola di carità e di solidarietà. Chi si nutre del Pane di Cristo non può restare indifferente dinanzi a chi, anche ai nostri giorni, è privo del pane quotidiano. Tanti genitori riescono a malapena a procurarlo per sé e per i propri bambini. E’ un problema sempre più grave, che la comunità internazionale fa grande fatica a risolvere. La Chiesa non solo prega "dacci oggi il nostro pane quotidiano", ma, sull’esempio del suo Signore, si impegna in tutti i modi a "moltiplicare i cinque pani e due pesci" con innumerevoli iniziative di promozione umana e di condivisione, perché nessuno manchi del necessario per vivere.
Cari fratelli e sorelle, la festa del Corpus Domini sia occasione per crescere in questa concreta attenzione ai fratelli, specialmente ai poveri. Ci ottenga questa grazia la Vergine Maria, dalla quale il Figlio di Dio ha preso la carne e il sangue, come ripetiamo in un celebre inno eucaristico, musicato dai più grandi compositori: "Ave verum corpus natum de Maria Virgine", e che si conclude con l’invocazione: "O Iesu dulcis, o Iesu pie, o Iesu fili Mariae!". Maria, che portando nel suo seno Gesù fu il "tabernacolo" vivente dell’Eucaristia, ci comunichi la sua stessa fede nel santo mistero del Corpo e del Sangue del suo divin Figlio, perché sia veramente il centro della nostra vita. Attorno a Lei ci ritroveremo sabato prossimo 31 maggio, alle ore 20, in Piazza San Pietro, per una speciale celebrazione a conclusione del mese mariano.


[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Saluto con grande affetto i pellegrini di lingua cinese, che sono convenuti a Roma da tutta Italia in occasione della Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina. Affido all’amore misericordioso di Dio tutti quei vostri concittadini che in questi giorni sono morti in conseguenza del terremoto, che ha colpito una vasta aerea del vostro Paese. Rinnovo la mia vicinanza personale a quanti stanno vivendo ore di angoscia e di tribolazione. Grazie alla fraterna solidarietà di tutti, possano le popolazioni di quelle zone tornare presto alla normalità della vita quotidiana. Insieme con voi chiedo a Maria, Aiuto dei Cristiani, Nostra Signora di Sheshan, di sostenere "l’impegno di quanti in Cina, tra le quotidiane fatiche, continuano a credere, a sperare, ad amare, affinché mai temano di parlare di Gesù al mondo e del mondo a Gesù", rimanendo "sempre testimoni credibili" del suo amore e "mantenendosi uniti alla roccia di Pietro su cui è costruita la Chiesa".
Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i ragazzi di Coviolo (Reggio Emilia), che si preparano a ricevere la Cresima; Direttori ed alunni del Collegio "Rosa e Carolina Agazzi" di Barquisimeto, Venezuela; il gruppo che ha percorso a cavallo la Via Francigena; l’Associazione Motociclisti Forze di Polizia; la Croce Verde pubblica assistenza di Lucca - sezione Garfagnana. Infine, in occasione della Giornata nazionale del Sollievo, saluto quanti sono radunati presso il Policlinico "Gemelli" per promuovere la solidarietà con le persone affette da malattie non guaribili. A tutti auguro una buona domenica.


[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


Diagnosi prenatale per la vita e contro l’eugenetica - Documento-appello di medici e associazioni di disabili
di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 25 maggio 2008 (ZENIT.org).- “Il bambino non è mai un rischio. Non si possono eliminare i concepiti per il rischio di una malattia. I medici devono curare la malattia, non sopprimere il malato”, sostiene Carlo Valerio Bellieni, Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena.
In alcune dichiarazioni a ZENIT il neonatologo ha spiegato un documento-appello dal titolo “Per un accesso consapevole alla diagnosi genetica prenatale” sottoscritto dai presidenti di varie associazioni familiari e di disabili, insieme a bioeticisti e medici specialisti in genetica, pediatria, psichiatria e ginecologia
Tra i firmatari: i neonatologi Carlo Bellieni e Guido Cocchi; la psichiatra Margherita Gravina; Marco Maltoni, medico palliativista; i ginecologi Giuseppe Noia, e Patrizia Vergani; i bioeticisti Gabriella Gambino e Claudia Navarini; Paolo Arosio, neonatologo e presidente dell'associazione “Amici di Giovanni”; Luigi Vittorio Berliri, presidente dell'associazione “Spes contra Spem”; Loris Brunetta, presidente dell'associazione ligure talassemici; Sabrina Paluzzi, presidente dell'associazione “La Quercia Millenaria”; e Claudia Ravaldi, psichiatra e presidente dell'associazione “Ciao Lapo”.
I promotori del documento constatano con preoccupazione che la diagnosi prenatale, da strumento utile per la diagnosi e cura delle malattie, sta diventando sempre più uno strumento di discriminazione eugenetica che giustifica la selezione delle nascite.
A questo proposito, Bellieni ha riportato le denuncia di Didier Sicard, presidente del Comitato francese di Bioetica, il quale ha precisato che “la diagnosi prenatale sta diventando un fattore di eugenetica” perchè “tende alla soppressione e non alla cura” e che in questo modo “la Francia costruisce passo dopo passo una politica sanitaria che flirta ogni giorno di più con l’eugenetica”.
Il neonatologo senese ha quindi rilevato come il timore che la diagnosi prenatale possa favorire una pratica selettiva ed eugenetica sia stato sollevato anche da alcune riviste medico-scientifiche come il Journal of Medical Ethics che nel 2000 ha pubblicato un articolo dal titolo “Consumerism in prenatal diagnosis” (Sul consumismo nella diagnosi prenatale), o i lavori di M. Aldred che sostengono l’eticità dell’aborto per evitare la nascita di bambini con anomalie dentarie.
Bellieni ha segnalato anche un articolo di D.I. Bromage sul Journal of Medical Ethics del 2006 in cui si parla del “trend in aumento di diagnosi prenatale e di aborti di feti che sarebbero nati con disabilità”.
In 10 anni per effetto dell’aborto non sono nati “il 43% dei feti con palato fesso e il 64% di quelli con piede torto, nonostante entrambe le situazioni siano curabili”. Nell’articolo si spiega che il suggerimento è stato che "abortire feti con disabilità è una forma di altruismo".
Per evitare la deriva eugenetica i firmatari dell’appello chiedono “di salvare la buona diagnostica” e un “accesso consapevole alla diagnosi genetica prenatale”.
Secondo Bellieni, “troppo spesso, la diagnosi genetica prenatale viene proposta in modo routinario, e troppo spesso la donna viene lasciata sola a decidere, con una diagnosi di malattia del figlio in arrivo, che cosa fare di lui”.
“Ma negli Stati Uniti – ha precisato il neonatologo – dove la pratica prevede la piena informazione, il colloquio con lo specialista della malattia diagnosticata, l’analisi delle prospettive terapeutiche, si è visto che crolla il ricorso all’aborto”.
Per questo motivo i firmatari del documento sostengono che la diagnosi prenatale “non può mai essere routinaria né proposta sistematicamente, nemmeno nel caso della diagnosi genetica ecografica (per esempio misurazione dello spessore della plica nucale), ma deve essere sempre preceduta da una dettagliata informazione su limiti, rischi, implicazioni e possibilità terapeutiche nell’ambito di una adeguata consulenza pre-diagnostica, affinché la donna possa compiere una scelta informata ed autenticamente consapevole, conservando la piena libertà di accettare o rifiutare lo screening o il test”.
Nel documento si afferma inoltre che “in caso di riscontro di una patologia, la diagnosi prenatale non è da considerarsi terminata (salvo esplicito diniego da parte della donna) senza il coinvolgimento di uno specialista della patologia riscontrata (consulenza post-diagnostica, come riportato dal Journal of the American Medical Association 2007), in grado di fornire informazioni sulla patologia, sulla possibilità di un percorso terapeutico e su possibili agevolazioni socio-economiche in grado di assistere la famiglia, e senza informare sulla possibilità di partorire in anonimato e dare il figlio in adozione”.


Accesso consapevole alla diagnosi genetica prenatale
(Integrazione di una consulenza pre-diagnostica e post-diagnostica nelle procedure di diagnosi genetica prenatale)
I sottoscritti medici, bioeticisti e responsabili di associazioni di disabili, a fronte dell’utilizzo sempre più frequente della diagnosi genetica prenatale nei Paesi occidentali, preoccupati per le conseguenze che l’impiego diffuso ed indiscriminato di questa pratica può avere sia a breve che a lungo termine nella popolazione, ritengono doveroso richiamare l’attenzione sui seguenti fattori:
a) Pericoli dell’uso generalizzato e selettivo della diagnosi prenatale: La comunità scientifica ha più volte reagito preoccupata della diffusione della diagnostica genetica prenatale proposta/imposta come screening: “È come se con lo screening delle trisomie 18 e 21 (Down) […] la scienza avesse ceduto alla società il diritto di stabilire che la nascita di certi bambini non è più desiderabile. [In tale contesto] i genitori che ne desiderano la nascita devono esporsi, oltre che al dolore dell’handicap, al rimprovero sociale per non aver accettato la proposta della scienza legittimata dalla legge. In Francia, la diffusione generalizzata dello screening è basata su una proposta, ma nella pratica è divenuta quasi obbligatoria”. (D. Sicard, Presidente Comité National d’Ethique francese, Le Monde, 2007). Merita ricordare che in Italia le interruzioni di gravidanza dopo i 90 giorni sono aumentate di 5 volte dal 1981 al 2006 (0.5% vs 2.6% dei parti).
b) Carenza di limiti istituzionali nell’impiego selettivo della diagnosi prenatale: Un esempio di limitazione dell’uso della diagnosi genetica prenatale è stato proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha chiarito come la metodica invasiva non debba essere regolata dalle pure leggi di mercato, in un quadro definito da Henn di “consumismo prenatale” che riguarda anche le metodiche non invasive:“La diagnosi prenatale deve essere eseguita solo per dare ai genitori e ai medici informazioni sulla salute del feto”. “La diagnosi prenatale per alleviare l’ansia materna, in assenza di indicazioni mediche che la giustifichino, deve avere una priorità secondaria nell’allocazione delle risorse rispetto alla diagnosi prenatale con indicazioni mediche”. (OMS, Geneve 1998). Si consideri che il limite di 35 anni introdotto per consigliare l’amniocentesi è stato scelto perché oltre detta età il rischio di aborto legato alla tecnica invasiva equivale a quello di avere un figlio affetto da Sindrome di Down (Prenat Diag 2002), dunque si basa su un calcolo costi-benefici, dove i costi sono la perdita di feti sani in seguito alla procedura e i benefici l’individuazione di feti affetti da Sindrome Down.
c) Uso equivoco del termine “prevenzione”: Ad oggi esistono poche terapie prenatali per malattie genetiche (vedi i trapianti prenatali per le sindromi da immunodeficienza congenita, per la osteogenesi imperfetta, per la beta-talassemia, già effettuati nell’uomo ma con risultati clinici non sempre ottimali) individuate dalla diagnosi genetica prenatale. Diversi studiosi evidenziano da tempo l’equivocità insita nell’espressione medica “disease prevention”: “Prevenzione significa prevenire la nascita di individui diagnosticati come geneticamente aberranti” (B.L. Eide, 1997). Poter accedere ad una diagnosi di patologia genetica fetale non costituisce, se non in rari casi, un presupposto per poter intervenire preventivamente e in maniera più efficace sulla malattia, rispetto alla diagnosi effettuata al momento della nascita. Tuttavia in alcune condizioni patologiche l’uso di procedure invasive per la precisazione diagnostica si rende necessario proprio per opporsi all’ansia del rischio di anomalia cromosomica che la diagnostica genetica non invasiva – con i suoi falsi positivi -può ingenerare.
d) Rischi delle procedure diagnostiche: In base ai dati più recenti pubblicati dall’Associazione dei Ginecologi Canadesi, il rischio di perdita fetale in seguito all’impiego di procedure diagnostiche invasive (amniocentesi o prelievo dei villi coriali) è di 1 aborto non voluto ogni 200 procedure e di 1 su 100 secondo il Royal College of Obstetrics and Gynecology, o valori intermedi secondo altri. Inoltre, considerando che in Italia si eseguono circa 100.000 amniocentesi ogni anno e che la maggior parte dei feti sottoposti ad indagine prenatale risulta sana, appare sconcertante l’elevato numero di bambini (probabilmente sani) persi in seguito alla procedura.
e) Pericoli per l’autonomia delle donne: vari studi dimostrano che le donne che si sottopongono a diagnosi genetica prenatale (sia nella forma invasiva che in quella di screening con ecografie mirate o integrate con analisi del sangue materno) raramente hanno piena consapevolezza dei limiti, dei rischi, delle modalità di esecuzione e degli scopi degli screening per la sindrome di Down (Am J Obst Gyn 2008) e che l’informazione al momento della proposta o dell’esecuzione dell’esame è talora carente (Fetal Diagnosis and Therapy, 2008) anche con riguardo agli esami combinati con ecografia e test su sangue che hanno la finalità di individuare feti a maggior rischio di anomalie cromosomiche, e rispetto ai quali spesso le donne non sanno che possono dare risultati Falsi Negativi (rassicurazione falsa) o Falsi Positivi (preoccupazione falsa) con i conseguenti rischi di ansia e depressione.
Ciò premesso, si ritiene opportuno fornire le seguenti proposte affinché la diagnosi genetica prenatale sia impiegata secondo criteri eticamente accettabili:
In caso di diagnosi prenatale genetica (tramite screening sanguigni o ecografici e procedimenti invasivi), con scarse possibilità terapeutiche, l’esecuzione va attentamente valutata alla luce dei possibili rischi e benefici per entrambi i soggetti (madre e bambino/a), e:
A - non può mai essere routinaria né proposta sistematicamente, nemmeno nel caso della diagnosi genetica ecografica (per esempio misurazione dello spessore della plica nucale), ma deve essere sempre preceduta da una dettagliata informazione su limiti, rischi, implicazioni e possibilità terapeutiche nell’ambito di una adeguata consulenza pre-diagnostica (OMS, 1995), affinché la donna possa compiere una scelta informata ed autenticamente consapevole, conservando la piena libertà di accettare o rifiutare lo screening o il test. Mai devono essere usati termini generici (“piccolo”, “trascurabile”, “grande”) quando si spiega il tasso di rischio, ma vanno forniti dati numerici, nonché il significato di tali dati. Deve essere richiesto chiaramente il consenso informato ed esplicito su numero, tipologia e finalità degli accertamenti.
B - In caso di riscontro di una patologia, la diagnosi prenatale non è da considerarsi terminata (salvo esplicito diniego da parte della donna) senza il coinvolgimento di uno specialista della patologia riscontrata (consulenza post-diagnostica, JAMA 2007), in grado di fornire informazioni sulla patologia, sulla possibilità di un percorso terapeutico e su possibili agevolazioni socio-economiche in grado di assistere la famiglia, e senza informare sulla possibilità di partorire in anonimato e dare il figlio in adozione. Sarà compito del ginecologo diagnosta indirizzare verso tale consulenza specialistica.
La nostra richiesta di integrare sistematicamente la diagnostica prenatale con una “fase pre-diagnostica” e una “post-diagnostica” si basa sulla constatazione che la diagnosi genetica prenatale non è eticamente neutra: come tutti gli atti umani è una scelta e le scelte richiedono una reale conoscenza dei dati e implicano una responsabilità. L’autonomia delle donne nelle decisioni sulla loro gravidanza può essere seriamente compromessa da un uso routinario (dunque una “non scelta”) della diagnosi genetica prenatale, che spesso proviene da una pressione sociale per non far mettere al mondo figli con anomalie genetiche. Occorre garantire nei fatti la libertà nella scelta. A tal fine, politiche sociali e dinamiche culturali nuove dovranno essere varate perché mai la donna venga costretta a considerare l’interruzione di gravidanza come l’unico sbocco possibile in caso di malattia genetica fetale.
Carlo Bellieni, neonatologo
Guido Cocchi, neonatologo
Margherita Gravina, psichiatra
Marco Maltoni, medico palliativista
Giuseppe Noia, ginecologo
Patrizia Vergani ginecologa
Gabriella Gambino, bioeticista
Claudia Navarini, bioeticista
Paolo Arosio, neonatologo, presidente associazione “Amici di Giovanni”
Luigi Vittorio Berliri, presidente associazione “Spes contra Spem”
Loris Brunetta, presidente associazione ligure talassemici
Sabrina Paluzzi, presidente associazione “La Quercia Millenaria”
Claudia Ravaldi, psichiatra, presidente associazione “Ciao Lapo”


Usciamo dallo statalismo
Giorgio Vittadini26/05/2008
Autore(i): Giorgio Vittadini. Pubblicato il 26/05/2008 – IlSussidiario.net

Si preannunciano i primi provvedimenti economici del governo e si torna a parlare di liberalizzazioni. Tra le priorità c’è la riforma del welfare, dove appare urgente uscire da un assistenzialismo che pretende – con un incremento continuo di spesa pubblica – di assicurare a tutti la risposta ai bisogni crescenti di individui e collettività riguardo sanità, istruzione, assistenza, mercato del lavoro.
Lo si può fare evitando il progressivo prevalere di una situazione di tipo “americano”, che esclude dall’universalità del servizio una quota crescente della popolazione?
Per evitare questo rischio occorre innanzitutto smetterla di sprecare risorse come fanno alcuni enti pubblici territoriali, per esempio in sanità, che accumulano debiti crescenti, nella certezza che lo Stato centrale, prima o poi, ripianerà il buco. Ciò può avvenire costruendo un federalismo fiscale “solidale”, caratterizzato da una presa di responsabilità degli enti pubblici nella gestione economica dei servizi del welfare e, nello stesso tempo, da adeguate perequazioni tra regioni ricche e regioni povere.
In secondo luogo, occorre uscire dal regime di statalismo, senza instaurare un mercato selvaggio in settori dove l’ottimo consiste, più che nel massimizzare in modo forzato l’utile da distribuire, nel ri-investire gli utili per rispondere in modo sempre più efficace ed efficiente ai bisogni delle persone.
Liberalizzare tali settori vuol dire perciò aprire a soluzioni quali quelle dei “quasi mercati”.
In essi l’utente è libero di scegliere tra erogatori di servizi pubblici, privati e non profit, aiutato da strumenti di accreditamento e valutazione che informano sulla qualità dei servizi, e supportato finanziariamente da voucher, detrazioni e deduzioni secondo il principio che "i soldi seguono l'utente", come il buono socio-sanitario che sostiene economicamente chi voglia curare i propri cari a casa.
Particolare rilievo in questo modello hanno le realtà non profit che, per gli ideali che le generano, perseguono il miglioramento continuo del servizio a vantaggio di tutti, mentre gli enti pubblici divengono arbitri di un sistema libero di rispondere alle sollecitazioni degli utenti.
Esperienze di questo tipo sono già avvenute in alcune regioni: si avrà il coraggio di seguire questi esempi virtuosi?